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Il World Water Forum, per una settimana ha riunito quasi diecimila persone e i
rappresentanti di 130 diversi Paesi per parlare di «azioni locali e sfide globali» intorno a
quella che è stato definito «il problema dell'oro blu». Nella capitale latino-americana sono
giunti uomini di Stato, tecnici e scienziati, esponenti di organizzazioni non governative,
rappresentati di popolazioni locali. Notevole la posta in gioco: verificare i risultati di una
strategia che da dieci anni tenta di risolvere il problema dell'acqua e proporne,
eventualmente, un'altra.
Qual’è «il problema dell'oro blu» e quale è la ormai decennale strategia che ha cercato di
risolverlo? Quasi due miliardi di persone non hanno accesso regolare e sufficiente
(almeno 20 litri al giorno) all'acqua potabile; 3,25 miliardi di persone non hanno servizi
igienici in casa. Quasi 1,5 milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo per queste
carenze. Senza contare il cambiamento del clima, la desertificazione, l'erosione delle
coste, l'innalzamento del livello dei mari, l'aumento degli eventi meteorologici estremi, il
fatto che il 20% delle specie viventi rischia di scomparire a causa dell'inquinamento delle
acque.
Occorre destinare una parte degli aiuti allo sviluppo in opere idrauliche e, più in generale,
alla gestione del problema acqua nei Paesi più poveri e più aridi, si diceva. Circa una
decina di anni fa si constatò però che gran parte di questi fondi non venivano spesi per
risolvere i problemi idrici, ma finivano nelle tasche di governanti corrotti. Allora si modificò
la strategia: «trades not aids», “commerci non aiuti”, è stato il grido di battaglia di un nuovo
pensiero, quello neo-liberista, espresso dal Presidente degli Stati Uniti e diventato
egemone in tutto il mondo. Da qui, la nuova strategia, supportata dalle grandi
organizzazioni finanziarie internazionali: privatizzare. Conferire all'acqua un valore
economico e metterla sul mercato. Solo così - sostengono i neo-liberisti - si possono
drenare le risorse necessarie per risolvere il problema del liquido non a caso definito «oro
blu».
Al World Water Forum di Città del Messico, gli organizzatori (il privato World Water
Council) hanno rilanciato il “globalismo”, parlando di sfida globale da cogliere mediante
azioni locali: superare il rapporto tra stati (e tra aziende e stati) per creare rapporti tra
comunità locali (e tra aziende e comunità locali). Ma bisogna sempre considerare che le
comunità locali sono molto più deboli dei governi nella trattativa con le aziende (soprattutto
con le grandi aziende). A Città del Messico, dunque, il vero nodo, quello dell'acqua ridotta
a merce, non è stato sciolto. Alejandro Encinas Rodriguez, sindaco della città ospite, ha
detto: «Senza un forte controllo pubblico, la privatizzazione dei sistemi di distribuzione
dell'acqua non potrà mai assicurare un equo e sufficiente accesso di tutti all'acqua».
L'acqua dovrebbe essere considerata un diritto universale. Non può essere privatizzata.
Non può essere mercificata. Dovrebbe rimanere pubblica. Ma ormai è diventata un grosso
business. Non importa che 11 milioni di persone già oggi rischiano di morire a causa della
siccità in Africa orientale.
Water Wars: The Mexico City World Water Forum Begins 17-03-2006
Del totale di acqua del pianeta, solo il 2,8 % è acqua dolce. La maggioranza si trova ai poli
e nei ghiacciai. Resta solo lo 0,02%
di acqua superficiale e lo 0,37 % di
falde sotterranee, a cui si accede
mediante le tecnologie di estrazione.
Di fronte alla sempre più pressante crisi globale dell'acqua (accesso, distribuzione,
degradazione, spreco), che colpisce soprattutto i paesi più poveri, quale soluzione
propone il governo globale, che si rispecchia in entità transnazionali come la Banca
Mondiale? La privatizzazione. La maggioranza delle fonti e dei distributori dell'acqua in
tutto il mondo sono pubbliche, ma già obbligate a concessioni per l'estrazione, la
raffinazione, l'imbottigliamento, la distribuzione, verso privati. In Messico, ad esempio, le
principali multinazionali dell'acqua (Suez, Vivendi, RWE) sono già ben radicate sul
territorio e detengono proprietà completamente fuori dal controllo pubblico. Così come
avviene in altri importanti settori, come l'energia, l'agricoltura e la salute, al controllo del
mercato si somma il controllo dei brevetti e delle tecnologie chiave. La Vivendi e la Suez
possiedono il 70% del mercato mondiale dell'acqua che è controllato complessivamente
da 10 multinazionali. La maggioranza sono imprese multiple adibite all''estrazione, alla
costruzione di reti di distribuzione e a tutti gli altri aspetti connessi, come le già nominate
Suez, RWE e Bechtel, fino ad arrivare alla Nestlè, la Coca-cola, la Pepsi, la Danone,
l'Unilever (dati gentilmente forniti da Tony Clarke e Maude Barlow in "Oro Blu", ndr).
Modzelewski afferma che sia la Vivendi che la Suez, come la General Electric, il maggior
produttore di apparecchiature idrauliche, stanno utilizzando nanotecnologie e acquisendo
brevetti su di esse. In breve tempo, queste megaimprese si compreranno tutte le più
piccole e arriveranno a controllare non solo il mercato ma anche le licenze delle tecnologie
chiave.
Water: a crisis of governance says second UN World Water Development Report 09-03-
2006
Right to Water
L'articolo sorvola sui progetti di Suez, Veolia e RWW-Thames, anch'esse impegnate nel
settore (forse perché fanno capo all'ambiente sinarchista di Rohatyn). “La dissalazione
richiede sempre troppi investimenti e troppa energia”; per questo motivo la Siemens,
insieme alla israeliana Mekerot, preferisce dedicarsi “al riutilizzo della poca acqua
disponibile”. Un'impresa del South Carolina invece pianifica di far soldi caricando di acqua
le petroliere nel viaggio di ritorno in Medio Oriente.
There's Money In Thirst; Global Demand for Clean Water Attracts Companies Big
and Small 10-08-2006
Nel paese più povero e forse più coraggioso del Sud America, un altro consorzio
multinazionale per la privatizzazione dell'acqua ha chiuso i battenti. Le organizzazioni di
quartiere della città boliviana di El Alto hanno indetto uno sciopero generale a tempo
indeterminato, esigendo che Aguas del Illimani - una società operata dal gigante francese
Suez - restituisse immediatamente il sistema idrico cittadino al controllo pubblico. I cittadini
hanno marciato in massa sulla capitale per festeggiare la loro vittoria e avanzare richieste
analoghe per le forniture di elettricità e gas.
A El Alto (800 mila abitanti), dove la povertà è dilagante, la gente è insoddisfatta per la
mancanza di servizio in alcune zone periferiche, e per i costi elevati. Un nuovo
allacciamento alla rete idrica può costare fino a 445 dollari americani (secondo i dati delle
Nazioni Unite, il 34% degli 8,6 milioni di boliviani vivono con meno di 2 dollari al giorno, e il
salario minimo è di circa 66 dollari al mese). Suez dice di aver ottemperato, superandoli,
tutti i suoi obblighi contrattuali (che escludono certe aree della città), di aver sempre
prestato molta attenzione alle richieste della popolazione di El Alto (soprattutto quella non
raggiunta dal servizio) e di essersi sempre preoccupata di venir incontro ai bisogni dei
clienti che vivono sotto la soglia di povertà. Greenwood fa notare inoltre che i prezzi e i
parametri contrattuali non sono fissati dalla Suez, ma dal governo.
Come a Cochabamba, la chiave fondamentale per la gente non è tanto l'impresa idrica,
quanto un sistema (la globalizzazione, ndr) in cui le decisioni fondamentali per la vita delle
persone sono prese da governi che sembrano rispondere più alle pressioni del sistema
finanziario internazionale che ai loro cittadini. Oscar Olivera, dirigente dell'organizzazione
che era in prima linea nella battaglia di Cochabamba, dice che non è semplicemente una
questione di privato contro pubblico, ma piuttosto di stabilire un controllo locale e
partecipato delle risorse. “La gente vuole partecipare alla gestione di tutto quanto influenzi
la propria vita quotidiana”, dice Olivera, “la gente vuole costruire un nuovo modello”.
Nonostante si cerchi di negare l'esistenza di tali pressioni, una relazione scritta nel 2002
dall'Operations Evalutation Department (Sezione per la Valutazione delle Operazioni, ndr)
della Banca Mondiale afferma che: “Il presidente boliviano ha deciso di privatizzare i
servizi idrici e fognari di La Paz e Cochabamba, ottemperando ad una delle condizioni
imposte dalla Banca Mondiale per prorogare i termini del credito fino al 1997”. La Banca
Mondiale ha fornito quasi un quarto dei 68 milioni di dollari necessari per i primi cinque
anni del progetto.
Era il 10 aprile del 2000 e per la prima volta in Bolivia e nel mondo un movimento popolare
riusciva a sconfiggere un consorzio di multinazionali occidentali che aveva privatizzato
l'acqua nella città di Cochabamba, triplicando le tariffe, escludendo il 50% della
popolazione dall'accesso al servizio idrico, diventando proprietario di un bene comune per
oltre 40 anni come previsto dal contratto e addirittura proibendo la raccolta dell'acqua
piovana. In quattro mesi di mobilitazioni, con morti e feriti, il popolo di Cochabamba è
riuscito a cacciare il consorzio di multinazionali Aguas del Tunari e a riappropriarsi
dell'azienda municipale.
Le campagne e le mobilitazioni hanno fatto luce su alcuni dei meccanismi perversi della
finanza internazionale. Si è scoperto che se paghi la bolletta della luce e del gas a Milano
all'AEM (l'Azienda Energetica Milanese), in realtà stai sostenendo l'impresa che ha chiesto
il mancato profitto ai cittadini di Cochabamba. Incredibile ma vero. Il consorzio Aguas del
Tunari è per il 55% controllato da un'impresa che si chiama IWL (International Water
Limited), per il 25% dalla spagnola Abengoa e per il 20% da privati. La IWL appartiene per
un 50% alla statunitense Bechtel (legata a Dick Cheney) e per l'altro 50% all'italiana
Edison. E qui viene il bello: da ottobre l'Edison è della TDE, mentre la TDE appartiene per
il 50% alla francese WGRM e per il restante 50% all'italiana AEM e cioè l'Azienda
Energetica di Milano, che per il 43.26% appartiene al Comune. Da quando sono state
privatizzate, le municipalizzate anche in Italia pensano a fare operazioni di compravendita
dei pacchetti azionari di altre imprese, acquisendo il controllo di aziende che producono
disastri in giro per il mondo come nel caso della Bolivia.
Nel 2006, il MAS ha vinto le elezioni e Evo Morales è diventato Presidente della
Repubblica. "L’acqua non può essere un business privato, non può essere trasformata in
merce, perché ciò costituisce una violazione dei diritti umani. L’acqua è una risorsa e deve
essere un servizio pubblico”, ha enfatizzato il neo eletto Presidente.
Morales ha così creato il Ministero dell’Acqua nominando come primo Ministro dell’Acqua
del paese il leader delle proteste di El Alto contro Aguas de Illimani. Inoltre ha nominato
Luis Sánchez-Gómez Cuquerella, ex attivista nella lotta contro la privatizzazione a
Cochabamba, come Vice-Ministro dei Servizi di Base.
Il Governo di Evo Morales vorrebbe anche far passare una nuova legge per regolare i
nuovi servizi chiamata “Water for Life” (“Agua para la Vida”).Secondo il Vice-Ministro Rene
Orellana, questa nuova regolamentazione consentirà di eliminare il SISAB
(Superintendencia de Saneamiento Básico) e di introdurre una decentralizzazione.
Saranno eliminate anche le tasse insieme al concetto legale di concessione in modo da
rafforzare i diritti comunitari all’acqua.
Bath student helps water regulators in Ghana learn from Bolivian experience 17-19
novembre 2008
In pochi anni, l'effetto combinato di questi fattori ha dato luogo ad un notevole aumento
delle tariffe che adesso cominciano ad approssimarsi al prezzo di “mercato”, proprio come
esigono i dogmi della teoria economica neoclassica. Le ultime barriere sono cadute
quando, il 29 aprile 2004, il Parlamento ha approvato una riforma della Legge delle Acque
Nazionali che favorisce le concessioni alle imprese private a danno degli organismi
municipali rinunciando ai principi fondamentali della giustizia sociale.
La nuova legge stabilisce, infatti, che le imprese che costruiscono le dighe avranno anche
il diritto a vendere i servizi d'irrigazione ed elettricità. Al tempo stesso, gli utenti sprovvisti
di contatore potranno essere sanzionati con multe fino a 225.000 pesos, che, nel caso di
campesinos le cui entrate raramente superano i 50 pesos al giorno, rappresentano cifre
enormi.
Non è tutto. A pochi mesi dall'entrata in vigore della legge, il titolare del Segretariato
dell'Ambiente e delle Risorse Naturali (Semarnat), Alberto Cárdenas Jiménez, ha
affermato di non voler riposare fino a che il prezzo dell'acqua non raggiunga un livello “da
far male”. Ma fa male già adesso (secondo studi recenti, i settori sociali più emarginati
spendono fino al 30% dei propri averi per comprare il vitale liquido).
Secondo la compagnia, quello era l'unico modo per frenare il consumo stimolando il
risparmio e limitando così lo sperpero. L'impresa passò, malgrado ciò, per molteplici
disavventure finanziarie accumulando debiti. Con la svalutazione della moneta nel 1994,
questi diventarono pressoché ingestibili. Per evitare la bancarotta e la sospensione del
servizio, la giunta municipale dovette apportare grandi dosi di capitale pubblico
(mostrando ancora una volta come i grandi monopoli privatizzano i ricavi, ma socializzano
le perdite).
Il colmo: nel 1996 il contratto originale fu modificato per favorire ancor più l'impresa,
ampliando a 30 anni la durata della concessione e rendendo tuttavia più flessibili i suoi
obblighi, esimendola dall'investire nella costruzione di infrastrutture.
Un libro di Tony Clarke e Barlow - “Blue Gold The Battle against Corporate Theft of The
World’s Water” (“Oro Blu. La Battaglia contro il Furto Mondiale dell’Acqua” (Arianna
Editrice, 2005) - documenta decine di situazioni analoghe nei quattro angoli del mondo,
ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Ci sono casi limite, come in Cile, dove i Chigago Boys sono riusciti a privatizzare perfino i
fiumi. Un pozzo d'acqua vale oggi più che un pozzo di petrolio.
“C'era una volta - scrive Arundhati Roy in un appassionato appello contro la costruzione di
52 dighe lungo il fiume Narmada, in India - un mondo che amava le dighe. Tutti ne
avevano - comunisti, capitalisti, cristiani, musulmani, indiani e buddisti. Le dighe non
incominciarono come un'impresa cinica, ma come un sogno. Però finirono in un incubo.
Adesso è giunto il momento di svegliarsi” (“The Algebra of Infinite Justice”, Penguin
Books, Nuova Delhi, India, 2002).
http://www.aguabolivia.org
http://www.democracyctr.org/
http://www.suez-environnement.com/
Nel 1982, la Banca Mondiale si alleò con i militari guatemaltechi per la costruzione di una
nuova diga sul fiume Chixchoy (quello stesso che più giù, al segnare la frontiera con il
Messico, assume il nome di Usumacinta). Poiché le comunità maya che abitavano la
regione si rifiutavano di essere trasferite, l'esercito reagì con la consueta violenza
massacrando circa 400 persone nel giro di pochi mesi. La Banca Mondiale affermò di non
saperne nulla.
“Le grandi dighe” - dice Arundhati Roy - “stanno allo sviluppo come le bombe nucleari alla
guerra. In entrambi i casi, sono armi di distruzione di massa. Armi che i governi impiegano
per il controllo delle popolazioni”.
Da anni, ed in particolare negli ultimi mesi, i 25 mila campesinos coinvolti si trovano sul
piede di guerra. Dopo aver fondato il Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras, il 2
ottobre 2004, insieme con altre comunità che soffrono problemi analoghi, hanno fondato il
Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (MAPDER) i
cui partecipanti si dichiarano “in resistenza totale e permanente conto la costruzione delle
dighe nel Paese”. Il MAPDER, appoggiato anche dal subcomandante Marcos, è
un'alleanza legata a livello continentale con la Red Internacional de Ríos di San Francisco,
California, e con il Movimiento Mesoamericano contra las Presas. Quest'ultimo, che oltre
al Messico comprende i paesi centroamericani, si oppone alla costruzione di circa 350
dighe nella regione di confine tra il Messico e il Guatemala.
Il movimento esige che lo Stato messicano ripari i danni arrecati nel passato a più di 100
mila persone, il risanamento degli ecosistemi, la modifica della legislazione in materia
d'acqua e medio ambiente ed il rispetto del diritto delle popolazioni all'acqua, stabilito dal
Trattato 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro. Finora, la lotta dei campesinos
di Guerrero è stata pacifica, ma di fronte alla repressione selettiva ed al tentativo da parte
del CFE di dividere le comunità comprandone i leader, potrebbe prendere un'altra piega.
Durante la stagione delle piogge del 2003, la diga Villa Vittoria, una delle sette che
alimentano il Sistema Cutzamala, straripò danneggiando le colture e le comunità
mazahua. Il 10 agosto 2004, dopo molteplici e fallimentari tentativi di dialogo, i membri del
Frente para la Defensa de los Derechos Humanos y Recursos Naturales del Pueblo
Mazahua marciarono alla volta di Città del Messico esigendo dal governo federale
l'indennizzo di 300 ettari di coltivi. Di fronte alla chiusura delle autorità, essi fecero un
picchetto davanti all'impianto d'acqua portabile di Berros che rifornisce la valle del
Messico.
Mazahua Indians Briefly Shut Down Main Water Source to Mexico City 13-12-2006
MEXICO: Mazahuas Choose Jail over Going Without Water ipsnews 30-12-2006
Nella Dichiarazione ministeriale stilata a Doha nel 2001 nel vertice del WTO si parla di
eliminazione delle “barriere tariffarie e non tariffarie sui beni e servizi ambientali”, tra cui
ovviamente rientra anche l'acqua. Alle risorse idriche come bene commerciabile fa
esplicito riferimento anche il NAFTA (North American Free Trade Agreement).
Non a caso, nel maggio del 2000, in piena crisi della new economy, il magazine Fortune
ha scritto che il business dell'acqua è il più redditizio per le imprese. Oggi a controllare il
mercato sono una manciata di corporation tra cui spiccano Vivendi Environment e Suez
Lyonnaise des Eaux con un fatturato di 17,5 e 5,1 miliardi di dollari. Sul nuovo affare si
sono lanciate perfino Coca Cola e Pepsi Cola con brand di acque in bottiglia, un’industria
che non solo non garantisce la qualità di ciò che vende ma ha conseguenze mortali
sull'ambiente con l'utilizzo massiccio e indiscriminato della plastica.
Tra gli effetti più evidenti della privatizzazione, attacca Vandana Shiva, ci sono l'aumento
delle tariffe e la mancanza di garanzie di qualità. A Casablanca, il prezzo dell'acqua si è
triplicato, nel Regno Unito le bollette si sono gonfiate del 67% tra l'inizio e la metà degli
anni Novanta. In India, l'acqua Evian, prodotta dalla Britannia Industries e venduta a due
dollari al litro, quasi il doppio del minimo salariale locale, è uno status symbol tra le
famiglie ricche che spendono dai 20 ai 209 dollari al mese per acquistarla. A
Johannesburg, dove la Suez Lyonnaise des Eaux controlla la fornitura idrica, la qualità
dell'acqua si è abbassata di pari passo con l'innalzamento dei prezzi.
Eppure è ancora possibile fermare questo processo. Lo dimostrano casi come quello di
Cochabamba, regione divenuta il simbolo della lotta per il diritto all'acqua (qui, nel 2000,
un imponente movimento ha bloccato la città per giorni per protestare contro la
privatizzazione e, nonostante la repressione poliziesca, ha costretto l'azienda Bechtel a
lasciare la Bolivia).
Il suo è un libro che con risoluta semplicità colpisce al cuore dello stile di vita occidentale,
quello in cui lo spreco dell'acqua è la norma, e che vorrebbe condannare il Sud del mondo
a pagare il prezzo della distruzione del pianeta.
http://www.ciepac.org/
http://www.imacmexico.org/
http://www.ecoportal.net/
http://www.acqualatina.it/
http://www.acquapubblicalazio.org/
Secondo la Banca Mondiale, la Tanzania è uno dei paesi più indebitati al mondo, con un
debito estero che si aggira intorno ai 7,5 miliardi di dollari. Almeno il 27% (9,8 milioni di
persone) in questo paese africano non ha accesso all'acqua potabile. Il Fondo ONU per
l'infanzia ha segnalato che il 40% dei bambini sotto i cinque anni soffre di diarrea per aver
bevuto acqua a rischio. City Water doveva essere il fiore all'occhiello del programma di
privatizzazione dell'acqua in Africa, ma ha fallito perché era più interessata ai profitti. Il
governo della Tanzania dice di aver revocato il contratto con City Water perché il
consorzio non aveva rispettato i termini dell'accordo, mentre City Water ha sostenuto di
aver ricevuto informazioni imprecise su questioni fondamentali come la portata dei danni
alle infrastrutture e il numero di consumatori attivi. Secondo Kibamba, la società civile
deve premere sul governo della Tanzania per non cedere alla privatizzazione dei servizi
pubblici. “La popolazione non è stata consultata su un tema tanto importante. Non
cederemo”.
IL BUSINESS DELL'ACQUA
Se l'acqua è il petrolio del futuro, si può prevedere la nascita di un cartello di fornitori dell'
"oro blu" sulla falsariga dell'OPEC, una Borsa come Chicago che tratta futures liquidi o,
nella peggiore delle ipotesi, guerre scatenate dalla necessità di accaparrarsi la materia
prima per eccellenza. Un ostacolo al concretizzarsi di questo scenario è però il fatto che
l'acqua, a differenza dell'oro nero, piove dal cielo, e il 71% della Terra è coperto da oceani.
«È vero - ammette Mayer - ma così è inutilizzabile, e anche quella dei fiumi e dei laghi non
può essere bevuta. Deve prima essere filtrata, trattata». Ecco quindi l'ampio spazio di
crescita che hanno tutti i business legati all'acqua: i sistemi di pompaggio, le tubature, le
tecniche per pulirla, gli impianti di irrigazione. Chi ha solo poche migliaia di dollari o di euro
da investire, può scegliere un Etf specializzato nel settore, come PHO. «Ma i titoli nel suo
portafoglio offrono un'esposizione soprattutto alle utilities, i distributori dell'acqua a
domicilio, che non sono il comparto più interessante», avverte Mayer.
Fra le azioni che l'analista raccomanda di comprare direttamente, c'è Nalco, il più grande
produttore al mondo (davanti a GE Water) di sostanze chimiche usate nel trattamento e
purificazione dell'acqua; ha clienti in tutto il mondo, anche in Cina. Fino al 2003 era
controllata da Suez, che l'ha venduta ad un gruppo di private equity; da due anni è quotata
a Wall Street e si è rivalutata del 30% contro il 20% dell'indice S&P500. Altra società che
piace a Mayer è Gorman-Rupp, che fa pompe usate in agricoltura, nelle costruzioni, nel
trattamento dei liquami, nell'industria petrolifera, oltre che per pompare l'acqua negli
acquedotti; negli ultimi cinque anni la sua performance in Borsa (Amex) è stata quasi del
100% contro il 20% dell' S&P500. Più che raddoppiate in cinque anni sono anche le
quotazioni di Northwest Pipe Company, che fabbrica tubi d'acciaio per la trasmissione di
acqua; mentre nello stesso periodo sono aumentate del 150% quelle di Pico Holdings, le
cui controllate Water Resource and Water Storage posseggono diritti sull'acqua in alcuni
stati USA come l’Arizona e il Nevada.
È noto che per quanto le acque minerali siano di proprietà pubblica - in Italia delle regioni -
sono le imprese private che tirano grassi e sicuri
profitti dalla loro mercificazione/vendita. Il business
delle acque minerali in bottiglia è diventato uno dei
settori più lucrativi e in espansione al mondo, dominato
fino a poco tempo fa dalla Nestlé (proprietaria, fra gli
altri, dei marchi del gruppo italiano San Pellegrino) e
dalla Danone. Oramai sono tallonate da altre due
«gentili sorelle dell'acqua» che sono la Cocacola e la
Pepsicola. Sta ora diventando altresì noto che le
imprese private di distribuzione dell'acqua, e quelle a
capitale misto pubblico-privato sempre più numerose
nel settore dei servizi idrici, si stanno impadronendo
della proprietà e/o del controllo dell'acqua potabile
attraverso il mondo. Le francesi Suez-Ondeo e Vivendi-Veolia, da sole, gestiscono la
distribuzione dell'acqua per più di 250 milioni di persone, senza contare quelle servite
dalle società di cui posseggono delle partecipazioni azionarie.
La banca privata svizzera Pictet prevede che nel 2015 le imprese private forniranno
l'acqua potabile a circa 1 miliardo e 750 milioni di «consumatori». In questo contesto, non
sorprende di constatare che le imprese di gestione dell'acqua sono sempre più comprate e
vendute sul mercato delle imprese come si vendono e si comprano delle imprese di
scarpe o di frigoriferi. Ultimo caso maggiore e significativo è quello della Thames Water -
la più grande impresa d'acqua del Regno Unito, numero tre mondiale (dopo le due citate
imprese francesi) - che l'australiana Macquarie ha comprato dalla tedesca RWE. La RWE,
gigante energetico europeo, aveva acquistato Thames Water nel 2000 per 7.1 miliardi di
euro nel perseguimento della sua strategia mirante a diventare il numero uno europeo
delle multiutilities (imprese operanti simultaneamente nei settori dell'energia, dei trasporti,
dei rifiuti, dell'acqua, delle telecomunicazioni). La scelta in favore di una strategia
multiutilities spinse anche, alcuni anni fa, l'ENEL ad interessarsi ad un possibile acquisto
dell'Acquedotto Pugliese. Per diversi motivi, i dirigenti della RWE hanno deciso
ultimamente di concentrarsi unicamente sul loro settore di competenza, allo scopo di
mantenersi all'altezza dei colossi energetici mondiali in via di ristrutturazione e
consolidamento. Così, altrettanto velocemente di come la comprarono, hanno venduto
Thames Water. Thames Water è stata comprata da un'impresa australiana, la Banca
Macquarie, che ha sborsato circa 14 miliardi di euro. La Macquarie non si è mai occupata
di acqua nel passato. È una banca specializzata in servizi finanziari (in Italia opera nel
campo dei mutui per la casa) e in investimenti nelle infrastrutture. Per esempio, gli
aeroporti di Bruxelles e di Copenhagen sono dei «Macquarie Airports». È presente in 24
paesi e ha circa 8.900 dipendenti. Perché ha investito così tanto nel settore dell'acqua,
comprando anche l'americana Acquarion per 860 milioni di dollari USA? Non certo perché
ha un piano industriale e socio-ambientale di ammodernamento della rete e del servizio
idrico per 13 milioni di abitanti della regione londinese e gli altri 50 milioni di persone
servite nel mondo dalla Thames Water. Per la Macquarie si tratta di una strategia
puramente finanziaria: aumentare i livelli di profitto del Gruppo intervenendo in un settore
molto redditizio, destinato a diventarlo ancora di più nel futuro se continuano i processi di
privatizzazione e di rarefazione dell'acqua per usi umani.
Allorché la signora Thatcher privatizzò l'acqua nel 1989, affermò che ai britannici non
importava sapere chi distribuisce l'acqua. L'importante è beneficiare di servizi di qualità
elevata a prezzi convenienti. La privatizzazione dell'acqua non ha però portato risultati
notevoli sul piano dei prezzi (gli aumenti sono stati considerevoli) né su quello della qualità
(di recente la Thames Water è stata severamente ripresa dall'autorità di controllo per non
aver ridotto i livelli di perdite conformemente agli obblighi legati alla tariffa). I britannici
sono stati invece esauditi per quanto riguarda l'irrilevanza della nazionalità del gestore:
«l'acqua del Tamigi» (Thames Water) è passata di proprietà in quindici anni da un ente
pubblico ad un'impresa privata britannica, poi ad un'impresa energetica tedesca e ora ad
una banca australiana. È possibile che fra dieci anni la proprietà della Thames Water
passi ad una società cinese specializzata nella gestione dei rifiuti urbani.
Sul disegno di legge 772 in tema di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, approvato a
fine giugno dal Consiglio dei Ministri, e in esame ormai da fine settembre in commissione
Affari Costituzionali, da tempo esiste un braccio di ferro dentro la maggioranza, in
particolare, tra il ministro Linda Lanzillotta, forte del recente parere dell'Antitrust di Antonio
Catricalà, e di sponde intelligenti come quelle di Bruno Tabacci, e il fronte della sinistra
radicale, contrario a qualsiasi ipotesi di liberalizzazione e privatizzazione dell'acqua, da
considerare bene pubblico universale. Romano Prodi aveva imposto che il delicato
capitolo acqua fosse scorporato dal pacchetto Lanzillotta e che fosse affidata ad un
comitato ad hoc di ministri, sotto la regia di Enrico Letta, la decisione di moratoria sulle
gare di affidamento dei servizi idrici. Questo prima della crisi di governo. Tra i 12 punti che
Prodi, prima di chiedere la fiducia, ha definito «prioritari e non negoziabili», già approvati
dai segretari dei partiti di maggioranza per restare in sella, quello 3 è dedicato alla TAV e
quelli 4 e 5 proprio all'energia, tra cui la costruzione di nuovi rigassificatori, questione già
fonte in questi mesi di scontro interno, e le liberalizzazioni dei servizi a tutela dei
consumatori, tra cui l'acqua. Nel disegno di legge in questione non si parla di privatizzare
l'acqua - l'acqua potabile che ogni giorno arriva nelle nostre case non è, né tanto meno
può essere, un bene mercificabile oggetto di compravendita perché è un bene diritto; su di
esso non si può invocare nessuna proprietà, che non sia collettiva; nelle componenti
costitutive della tariffa del servizio idrico l'acqua in quanto tale non viene pagata, proprio
perché di tutti - l'oggetto della polemica è la gestione del servizio idrico, che per Lanzillotta
e i riformisti unionisti, e soprattutto per molti centristi, è invece un punto irrinunciabile. “Un
segnale riformista decisivo, al pari di TAV e rigassificatori”, come ha ricordato il
responsabile nazionale Energia e Ambiente di Italia dei Valori, Giuseppe Vatinno. “Ciò che
si paga in bolletta - spiegano - sono esclusivamente i costi del servizio sostenuti dai vari
gestori per distribuire l'acqua e rimetterla in circolo in termini ecologicamente sostenibili”.
Attualmente, più di 1,1 miliardi di persone non hanno accesso all'acqua e 2,6 miliardi
mancano di servizi sanitari, il che determina conseguenze disastrose sulle condizioni
igieniche e sanitarie di queste popolazioni. Nel mondo, 4.500 bambini muoiono ogni giorno
per le conseguenze legate al mancato accesso all'acqua potabile.
AMECE
Portatori d'Acqua
La guerra per l'acqua. Fantascienza o futuro prossimo? Brain 2 Brain 09 giugno 2007
“Maude Barlow e Tony Clarke, Blue Gold: The Fight to Stop the Corporate Theft of the
World’s Water”, ecologiapolitica, 2003
Water Wars by Vandana Shiva thirdworldtraveler 10 aprile 2000
Il Decreto specifica che tutto avverrà “in ottemperanza dei principi di autonomia
gestionale” e “in piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche“. Anche in
funzione della qualità e del prezzo del servizio erogato.
L’Italia dei Valori ha gridato allo scandalo (”L’acqua non è più pubblica e sarà fonte di
arricchimento per i privati”) reclamando un Referendum. «Privatizzare acqua e ciclo dei
rifiuti è un favore alla criminalità organizzata», ha affermato il segretario generale Fp-Cgil,
Carlo Podda, che ha anche invocato «una risposta energica e partecipata a chi, negando
l'evidenza al paese, sta svendendo il nostro welfare e la nostra salute».
Di fatto, la strada è ormai segnata per i sostenitori del criterio "acqua bene pubblico": a
breve, tutti gli enti comunali e regionali dovranno predisporre tutte le misure necessarie
per garantire ai privati la fornitura del servizio dell’acqua corrente.
Acqua ai privati, fiducia al governo Ronchi: più qualità e prezzi minori 18 novembre
2009
Dopo circa cento anni di lotte sociali, lo Stato del welfare europeo, specie nella versione
scandinava e tedesca (molto meno in quella americana) ha rappresentato la vittoria del
lavoro sul capitale, esplicitata, tra l'altro, dopo la seconda guerra mondiale, dalla politica
dei redditi. Questa è stata fondata su una concertazione a tre - imprese, sindacati e Stato -
sulla ripartizione degli incrementi di produttività. Cosi, la produttività era diventata una
«res» comune, la collettività essendone proprietaria e responsabile. Nei rapporti di forza
tra lavoro e capitale, lo Stato del welfare ha costituito la forma di società che il lavoro è
riuscito ad imporre al capitale come limite alla pretesa del capitale privato di governare la
società ed il divenire delle comunità umane. Tuttavia, il welfare non ha dato vita, in nessun
luogo, ad un sistema non-capitalista, anti-capitalista, o post-capitalista.
Negli ultimi trent'anni, il capitale è pervenuto a far compiere alle nostre società
un'inversione strutturale di tendenza riuscendo a smantellare lo Stato del welfare. Il
capitale privato è diventato il soggetto unico proprietario della produttività. Il lavoro ha
perso la sua forte soggettività economica, sociale e politica nei confronti del capitale.
Ridotto alla categoria di «risorsa umana», il lavoro è nuovamente considerato una merce,
un «prodotto», in balia di un mercato è sempre più deregolamentato e liberalizzato. Il
lavoro, precario, flessibile, aleatorio, fa sempre meno parte del campo dei diritti.
Lo Stato, dal canto suo, non ha fatto altro in questi anni che ritirarsi dal campo
dell'economia e dalle decisioni in materia di allocazione delle risorse produttive, lasciando
al capitale privato, in nome dell'imperativo della competitività mondiale delle imprese
«nazionali», il compito «politico» della regolamentazione finanziaria, tecnologica e
commerciale della ricchezza. In questo nuovo secolo, la partita della res publica si gioca -
in stretto legame alla questione del rafforzamento o, all'opposto, dell'indebolimento delle
dinamiche imperiali mondiali americane e della militarizzazione del mondo - sulla
soluzione dei rapporti tra capitale e vita.
I processi di mercificazione della vita sono favoriti dalla tesi secondo la quale nulla ha
valore senza scambio, senza relazioni di vendita/acquisto le quali fissano il prezzo dei beni
e servizi scambiati. E così, Anche la stragrande maggioranza dei beni e dei servizi comuni
pubblici (l'acqua, la salute, l'educazione, l'alloggio, i trasporti, l'ambiente...) è stata ridotta a
merce sulla base di due argomenti (molto discutibili), fatti diventare «leggi» dai gruppi
dominanti. Il primo consiste nel sostenere che anche questi beni e servizi sarebbero
l'oggetto di domande individuali (una persona utilizza X metri cubi d'acqua, «consuma» X
quantità di medicine, utilizza X ore di trasporti pubblici...) e, quindi, sarebbero oggetto di
rivalità fra venditori ed acquirenti e fonte di utilità individuali. Sarebbero quindi dei beni
economici privati, di cui solo i meccanismi di mercato consentirebbero di ottimizzarne la
produzione e l'uso. Il secondo argomento dice che l'accesso ai beni e servizi comuni
implica necessariamente un costo economico che non può essere coperto che da un
prezzo in funzione del consumo.
Nemmeno l'esercito sfugge alla mercificazione. Parecchie migliaia di militari delle forze
occidentali in Iraq sono composti da soldati mercenari «venduti» agli Stati uniti ed al
Regno unito da società private specializzate in attività di guerra. Lo stesso dicasi dei
saperi. Ancora decenni or sono la Chiesa cattolica «vendeva» le indulgenze, oggi i nuovi
dei del mercato vendono le conoscenze.
Non per nulla, uno dei più grandi dibattiti politici e culturali degli ultimi anni sull'integrazione
europea è stato quello centrato sulla direttiva Bolkenstein, che mira, anche se in una
versione «addolcita», alla liberalizzazione di tutti i servizi di rilevanza economica (i servizi
considerati di non rilevanza economica sono rimasti in pochi).
Gli algoritmi, senza i quali nessun software esisterebbe, l'energia eolica, l'energia solare,
l'educazione... qualsiasi espressione di vita può/deve diventare oggetto di appropriazione
privata e di capitalizzazione finanziaria.
Lo strumento principe utilizzato dal capitale privato, che legalizza ciò che si deve invece
definire come un vero furto o atto piratesco, è il diritto di proprietà intellettuale
concretizzato nell'ottenimento di un brevetto. Il brevetto garantisce al suo proprietario il
diritto esclusivo di uso del bene o del servizio brevettato per un periodo di 18 a 25 anni,
con possibilità di rinnovo. Le principali proprietarie di brevetti al mondo sono le grandi
imprese multinazionali private occidentali, specie statunitensi.
Cosi, il capitale biotico del pianeta è in via di crescente brevettazione. Inoltre, dal 1994, il
Congresso degli Stati uniti ha autorizzato la brevettabilità di geni umani, in ciò seguito nel
1998 dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo per paura che l'industria
biotecnologia europea perdesse competitività e mercati a vantaggio di quella statunitense.
Alla luce di quanto precede, la principale sfida globale e planetaria attuale consiste nel
liberare la vita dall'appropriazione e dal controllo da parte del capitale privato affermando il
primato dei diritti della vita ed alla vita sugli interessi dei proprietari del capitale finanziario
delle grandi imprese globali. La salvaguardia e la promozione dei beni comuni
rappresentano la condizione fondamentale di partenza, necessaria ed indispensabile, per
la lotta alle nuove pretese del capitale privato.
Per il capitale privato l'altro è da rigettare o da sfruttare. La sua visione del mondo,
dell'alterità, è una visione antagonistica ed utilitarista. Nella chiave antagonista, l'altro è
soprattutto un nemico, un contendente nella lotta, con vincitori e vinti, per la
sopravvivenza, la potenza, la ricchezza. Nella chiave utilitarista, la natura, l'ingegnere
informatico di Bangalore o il risparmiatore di Recife, sono visti come uno strumento, una
«risorsa» che vale fintantoché è utilizzabile al fine dell'ottimizzazione della creazione di
valore per il capitale. Non c'è possibilità di alcuna solidarietà economica con l'altro, ma, al
massimo, solo una convergenza temporanea di interessi.
Coloro che pensano che non vi sia più storia possibile al di fuori del capitalismo, sono
convinti che non sarà mai possibile costruire una società fondata sulla pace, la solidarietà,
la giustizia sociale. Il riconoscimento dell'esistenza di beni comuni è, invece, alla base di
una visione cooperativa e solidale della società e del mondo condannata a vivere in esilio
permanente nel regno dell’utopia.
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