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Un dato da tenere presente è che la maggior parte dei cancerogeni professionali è conosciuta: grazie
a ciò è possibile attuare delle efficaci misure preventive.
Storicamente sono da ricordare varie tappe che hanno portato alla scoperta della cancerogenesi da
parte di sostanze entrate in contatto con determinati lavoratori:
• 1775: Pott è il primo che parla di cancro professionale, in particolare del cancro allo scroto
degli spazzacamini inglesi dovuto all’elevata esposizione agli idrocarburi policiclici presenti
nella fuligine (tali sostanze, data la loro pericolosità, sono menzionate a parte nella 626 e
non necessitano nemmeno delle frasi di rischio, es. R45 o R49);
• 1820: Paris riscontra la comparsa nei lavoratori dello stagno di cancro dello scroto,
determinato dalla esposizione all’arsenico;
• 1879: scoperta del cancro polmonare da radiazioni nei minatori;
• In seguito scoperta della cancerogenicità della 2-naftilamina, dell’asbesto, del cloruro di
vinile monomero (angiosarcoma epatico)
• Vescica:
o Derivati dell’amina (aminodifenile, 2-naftilamina…)
o Auramina
o Fuligine, catrame, olii minerali
• Altri:
o Naso:
• Nickel
• Polveri di legno (da poco entrate per legge nel gruppo dei cancerogeni)
o Sistema emopoietico (leucemie):
• Benzene (abolito nel ’64, ma tutt’ora presente nelle benzine verdi al posto
del Piombo)
• Radiazioni ionizzanti
o Fegato:
• Cloruro di vinile
o Osso:
• Radiazioni ionizzanti
Per quanto riguarda la cancerogenesi, viene classicamente suddivisa in tre tappe:
• Fase di induzione: i cancerogeni agiscono con gli acidi nucleici direttamente o tramite i
prodotti del loro metabolismo; ne consegue un’alterazione irreversibile del DNA, con la
cellula che assume la potenzialità di formare un clone di elementi neoplastici. A questo
punto tutto può fermarsi e non si ha il tumore, ma più spesso si passa alla fase successiva;
• Fase di promozione: per vari stimoli (talora per la sostanza cancerogena stessa, oppure per
fenomeni quali la flogosi…) si ha proliferazione delle cellule iniziate con formazione di
strutture come polipi o papillomi;
• Fase di progressione: si hanno nelle cellule ulteriori cambiamenti a livello gnomico con
alterazioni del cariotipo e assunzione di un comportamento francamente maligno.
Lo studio dei tumori professionali prevede come approccio principale quello epidemiologico, che
va ad analizzare quali sono le sostanze che determinano un aumento dell’incidenza di tumore nei
soggetti esposti. Esistono tuttavia dei problemi da affrontare con tale valutazione:
- la sperimentazione può non essere corretta dal punto di vista etico;
- sono presenti dei problemi di tipo tecnico:
lunghi periodi di latenza (non è possibile fare una ricerca rapida)
spesso nell’ambito di una lavorazione ci sono più sostanze da testare
abitudini di vita confondenti (l’insorgenza di cancro polmonare in un
lavoratore dell’asbesto che fuma, non è facilmente attribuibile dal punto di
vista eziologico)
Lo strumento epidemiologico è invece utilissimo e affidabile per quanto riguarda lo studio di
patologie rare, in particolare mediante studi caso/controllo (rispetto a quelli di coorte).