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Wolfhart Pannenberg

Teologia della creazione


Regno Documenti 15/2003 La teologia cristiana non potr essere indifferente rispetto a come le scienze naturali descrivano questo mondo e se ci avvenga in sintonia con la fede in Dio quale creatore di questo mondo. In occasione dell'incontro su Teologie della creazione e scienze della natura. Vie per un dialogo in prospettiva interreligiosa, tenutosi presso l'Istituto trentino di cultura il 28-29.5.2003, il prof. Wolfhart Pannenberg ripercorre la storia del rapporto tra la fede nella creazione e le diverse teorie filosofiche e scientifiche succedutesi nel tempo, evidenziando analogie e differenze, punti di contatto e contrasti. L'attuale dottrina teologica della creazione deve fare un uso corrispondente della attuali conoscenze sul mondo, orientandosi ai dati biblici senza tuttavia fissarsi su concezioni ormai superate; la sfida odierna proprio quella di utilizzare concetti mutuati dalla fisica e dalla cosmologia per descrivere come Dio abbia creato l'universo, le stelle e la terra, le piante e gli animali fino all'uomo.

La teologia ebraica e quella cristiana, come pure l'islam, professano l'unico Dio come creatore del mondo. Con tale concetto non s'intende solo il mondo degli uomini e dei popoli ma anzitutto il mondo naturale, che conosciamo pi o meno a partire dalla nostra esperienza e che viene studiato e determinato anche dalle scienze naturali. Per tale ragione la teologia cristiana non potr essere indifferente rispetto a come le scienze naturali descrivano questo mondo e se ci avvenga in sintonia con la fede in Dio quale creatore di questo mondo. La fede nel Dio unico sempre riferita all'unit del cosmo: il Dio unico il fondamento e l'origine dell'unit del cosmo. Sul fatto che la realt del cosmo necessiti di un simile fondamento per la sua unit si basa gi il monoteismo filosofico dell'antichit. In tale contesto per il cosmo non sempre stato pensato come creazione di Dio. Spesso il Dio unico veniva inteso solo come origine dell'ordine, che distingue il cosmo dal caos e dalla materia disordinata. La fede ebraica e cristiana nella creazione del mondo afferma invece che non esiste nulla che non sia stato creato da Dio, nemmeno la materia. La fede nella creazione comporta dunque implicitamente il fatto che il mondo non esiste dall'eternit come Dio stesso, bens conosce un'origine della sua esistenza (Dasein), un inizio appunto nell'atto creatore di Dio. Inoltre dalla fede nella creazione consegue anche che il mondo resta dipendente dall'azione creatrice di Dio, ovvero che Dio permane attivo negli eventi della natura. Fin sulla soglia dell'et moderna esisteva, come unica sfida alla fede cristiana nella creazione, la dottrina aristotelica circa il mondo senza inizio. Anche per Aristotele comunque il mondo era sin dal primissimo inizio dipendente dall'azione del motore divino. Solo con le scienze naturali del XVII secolo si svilupp una tendenza all'autonomia della concezione del divenire naturale da Dio. Ci avvenne mediante l'introduzione del principio di inerzia. Questo afferma che ogni corpo ha di per s la tendenza a restare nel proprio stato, sia esso di moto o di stasi, finch non subisca l'influsso di un altro corpo. Per Cartesio tale principio necessitava ancora di una fondazione nella immutabilit di Dio, che in virt della sua immutabilit conserva tutte le cose create nel loro stato. Ogni mutamento nello stato dei corpi e nel loro movimento dunque fondato esclusivamente nel mutuo influsso degli uni sugli altri. Dio non ha pi niente a che fare con tutto ci. Un ricorso a Dio al massimo richiesto per spiegare l'origine del primo stato di moto entro il mondo dei corpi. questo il Dio del deismo, responsabile solo dell'inizio del cosmo e del suo movimento. Tutto il resto si verifica solo in base a processi e a cause meccanici.

Se questa autonomia dei processi naturali - descritti ormai solo in termini puramente meccanici - veniva collegata all'idea dell'infinitudine temporale e spaziale del mondo, allora il pensiero del Dio creatore non era pi richiesto nemmeno in riferimento al primo inizio dell'universo della materia mobile. In tal modo nel XVIII secolo la teoria di Kant circa un'origine puramente meccanica del sistema dei pianeti, elaborata verso la fine del secolo dall'astronomo francese Pierre Simon Laplace, ha molto contribuito a scuotere la fede in un inizio del mondo mediante un atto creatore di Dio. Mentre Kant stesso nei suoi primi scritti ancora ammetteva un inizio temporale del mondo, nel 1781 giudicava questa questione nella sua Critica della ragion pura come irrisolvibile. Alla questione di quale ruolo avesse Dio nel suo sistema meccanico del mondo, Laplace rispondeva che non aveva bisogno di tale ipotesi. Mentre il XIX secolo si muoveva sulla scia della concezione di un'estensione illimitata dell'universo nel tempo e nello spazio, nel XX secolo si giunse a un profondo mutamento nell'immagine del mondo. Le considerazioni teoriche di Alexander Friedman nel 1922 e le ricerche di Edwin Powell Hubble a partire dal 1923 sull'analisi spettrografica dei segnali luminosi emessi dalle stelle e dai sistemi stellari hanno condotto al risultato che i sistemi astrali si allontanano sempre pi gli uni dagli altri, e che dunque l'universo si espande. Se si calcola a ritroso, partendo da tale meccanismo di espansione, si viene ricondotti a un punto iniziale che si trova circa 15 miliardi di anni fa. La conseguenza che l'universo a noi noto si presenta di nuovo come limitato nel tempo e nello spazio. Non c' da stupirsi che papa Pio XII in una sua dichiarazione del 22.11.1951 abbia spiegato tale rivoluzione nella cosmologia fisica come una conferma della dottrina cristiana circa la creazione del mondo. Nel frattempo la Chiesa cattolica diventata - e a ragione - pi prudente nelle sue conclusioni. In tale senso papa Giovanni Paolo II ha espressamente messo in guardia nel 1988, in occasione del terzo centenario dell'opera di Newton sui Principi della descrizione della natura, dal fare un uso acritico e affrettato (con fini di apologia teologica) del modello standard dell'attuale cosmologia fisica che parla di un punto di origine dell'espansione cosmica nel big bang prima del tempo finito. A ragione il filosofo cattolico Ernan McMullin ha evidenziato gi nel 1981 che il big bang non da considerarsi automaticamente come l'inizio del tempo e dell'universo. D'altra parte la convergenza della cosmologia sull'esplosione originaria con la dottrina cristiana della creazione sembra essere stata recepita anche tra quegli scienziati della natura che sono avversari del cristianesimo. Il gesuita Stanley L. Jaki ha spiegato nel 1974 come alcuni scienziati naturalisti abbiano ricercato in maniera febbrile delle descrizioni alternative dell'evoluzione del cosmo, ritenendo che non potesse esser vero che la cosmologia fisica convergesse con la dottrina della Chiesa. Un esempio di ricerca di tali alternative la concezione che l'universo potrebbe quasi oscillare tra fasi di contrazione e fasi di espansione. Il moto di espansione a noi noto sarebbe allora solo una fase all'interno di tale movimento oscillante e infinito. Simili supposizioni sono per pura fantasia. Dal punto di vista empirico ci noto solo quell'unico moto di espansione dell'universo, che ha inquietato alcuni fisici proprio per la sua prossimit con la concezione cristiana della creazione. Sebbene il big bang quale punto di partenza dell'espansione cosmica non possa esser considerato quale prova fisica della fede nella creazione divina del mondo, a differenza degli ultimi secoli sussiste una sorprendente coincidenza, una consonanza, come afferma Ernan McMullin: se l'universo e con esso il tempo del cosmo dovessero avere il proprio inizio nell'atto creatore di un Dio creatore, allora un simile universo dovrebbe presentarsi alla scienza fisica - pi o meno come oggi il caso nell'attuale cosmologia fisica con la sua assunzione di un'esplosione originale - quale punto di partenza del moto di espansione dell'universo. In tal senso esiste una "consonanza" tra il modello standard dell'attuale cosmologia fisica e la dottrina sulla creazione dei teologi cristiani. Tale constatazione di McMullin vale tuttavia solo al verificarsi di una serie di condizioni riguardo a una pi esatta formulazione del concetto di creazione e del suo rapporto con la descrizione del mondo proposta dalle scienze naturali. La spiegazione cristiana del mondo naturale quale creazione di Dio non si riferisce infatti solo al fatto che l'universo ha un inizio. Essa si riferisce anche al fatto che Dio agisce continuamente in maniera creatrice negli eventi della natura. Ci trova la propria espressione nella contingenza dell'evento,

prescindendo da ogni naturale determinatezza delle conseguenze dell'evento. Come premessa si deve per chiarire che e per quale motivo la teologia cristiana nella sua dottrina della creazione si debba riferire alle scienze naturali e quale sia il livello di argomentazione a cui un simile rapporto si verifica. Si deve infine anche chiarire come vadano pensati Dio e il suo agire all'interno della creazione, se ci deve trovarsi in consonanza con la descrizione del mondo operata dalle scienze naturali. Trattando il tema della creazione la teologia deve riferirsi ai risultati delle scienze naturali L'affermazione che il mondo creazione di Dio si riferiva sin dall'inizio - ovvero gi nei racconti biblici della creazione - al mondo cos come esso si presenta all'esperienza umana. Cos, il racconto sacerdotale della creazione che troviamo nel primo capitolo della Genesi ha recepito tratti della visione del mondo babilonese e della sua dottrina circa la genesi del mondo stesso, ad esempio la concezione di un oceano celeste al di sopra delle nuvole, dal quale percola la pioggia, acqua cui per viene normalmente impedito grazie a un firmamento di precipitare sulla terra, come poi invece avvenne con il diluvio. L'attuale dottrina teologica della creazione deve fare un uso corrispondente delle attuali conoscenze sul mondo. In tal modo essa si orienta alle conoscenze bibliche non nel senso di fissarsi su singole concezioni della Bibbia, che trovano la propria origine nell'elaborazione di un'immagine di mondo per noi passata. Porto un esempio. La concezione, razionalmente molto incisiva, che Dio avrebbe realizzato un firmamento, una campana emisferica fissa, per separare le acque dell'oceano celeste dalla terra, affinch sulla terra l'acqua potesse addensarsi e far emergere le zone asciutte (Gen 1,6ss), esemplare come ricorso alle conoscenze naturali dell'epoca, ma non paradigmatico di come noi oggi dobbiamo immaginarci l'atto creatore. La teologia deve piuttosto - come fa lo stesso resoconto biblico - interessarsi dell'attuale stato della conoscenza del mondo, per spiegare con l'aiuto dello stesso la pretesa della creazione del mondo da parte del Dio della Bibbia. L'asserzione di fede circa il mondo quale creazione di Dio appartiene di sicuro a un altro livello rispetto alla descrizione del mondo offerta dalle scienze naturali. Eppure se la professione della creazione del mondo da parte di Dio non potesse in alcun modo venir riferita al mondo della nostra esperienza, n espressa mediante la nostra conoscenza empirica del mondo, allora la fede nella creazione del mondo sarebbe una formula vuota, che non ha alcun contenuto reale. In tal modo per anche il Dio unico della fede biblica diverrebbe una grandezza irreale. Il parlare di Dio si caratterizza mediante il suo riferimento al mondo. Cos Martin Lutero nella spiegazione del primo articolo di fede nel suo Grande catechismo del 1529 ha motivato la fede in Dio padre sostenendo che nessun altro potrebbe creare il cielo e la terra. Si tratta di un'affermazione piuttosto forte. Essa sostiene che per l'esistenza del mondo nel suo insieme come pure per quella delle sue singole manifestazioni non esiste alcun miglior motivo del Dio della Bibbia. Ma come si pu giustificare una simile tesi? Il dialogo tra teologia e scienze naturali ha luogo tramite il mezzo della riflessione filosofica La teologia cristiana a partire dal II secolo ha motivato la pretesa della creazione del mondo da parte del Dio della Bibbia disputando con la filosofia. I filosofi greci sostenevano infatti, come anche la religione ebraica, che l'unit del cosmo trova la propria ragione nell'unit della sua origine divina. Il dato di fatto di questa corrispondenza tra il Dio dell'Antico Testamento e il Dio dei filosofi si rivel fondamentale per la diffusione della fede cristiana nel mondo antico. Circa il modo e la maniera in cui il Dio unico origine del cosmo e della sua unit, vi erano comunque dispute che potevano essere condotte solo mediante argomenti. La dottrina cristiana della creazione la forma cristiana per motivare l'esistenza del cosmo e della sua unit a partire dall'unico Dio. Per la concezione della creazione la volont divina risulta essere la ragione ultima per l'esistenza e l'unit del mondo. quanto afferma la dottrina della creazione dal nulla, creatio ex nihilo: Dio non ha chiamato all'esistenza il mondo a partire da materiali preesistenti, bens mediante una sua parola di comando, espressione della sua volont onnipotente.

Interlocutrice primaria della dottrina teologica della creazione stata dunque la filosofia. La conoscenza del mondo delle scienze naturali entra solo indirettamente in tale argomentazione, nella misura in cui le dottrine filosofiche sul cosmo procedono da una riflessione sintetica circa i rispettivi stadi della conoscenza della natura. L'appello a determinati contenuti della conoscenza empirica pu divenire un argomento in favore dell'una o dell'altra concezione del mondo. Tuttavia questa disputa si svolge su di un altro livello rispetto a quello della scienza empirica e della formulazione dei suoi metodi e risultati. La concezione del mondo trascende la conoscenza empirica. Lo si pu riconoscere anche oggi nella disputa sulla questione se l'universo in espansione dell'attuale modello standard della cosmologia delle scienze naturali sia identico con il mondo tout court, con l'intero universo oppure descriva solo una fase della sua storia. Ciononostante all'interno di tale discussione il fatto che noi conosciamo solo tale moto espansivo dell'universo pu essere chiamato in campo come argomento in favore dell'ipotesi di una creazione del mondo avvenuta prima del tempo finito. Immanuel Kant era ancora dell'avviso che il mondo nel suo insieme non potesse divenire oggetto della conoscenza empirica. Il concetto del mondo sarebbe solo un'idea guida per riassumere le nostre esperienze. Oggi Kant si stupirebbe della misura in cui la fisica cosmologica ha di fatto reso il mondo nel suo insieme, l'universo, oggetto della scienza empirica. Eppure a tutt'oggi il concetto del mondo - e in particolare la questione circa l'origine ultima del mondo e della sua unit - trascende quanto pu essere determinato servendosi puramente della fisica. Il concetto del mondo e l'idea del Dio unico quale origine del mondo e della sua unit sono infatti collegati. a partire dall'unico Dio che viene fondata l'unit del mondo. Viceversa: l'impallidire della dottrina filosofica su Dio nell'et moderna che fa comprendere come la filosofia si sia trovata in difficolt in riferimento al concetto del mondo e della sua unit, come si poteva riconoscere gi con Kant. La moderna cosmologia delle scienze naturali ha infatti reso oggetto di teorie naturalistiche l'universo accessibile alle nostre osservazioni. Permane tuttavia la domanda se oltre a esso non vi sia qualcos'altro che si sottrae alle nostre osservazioni, come un tempo le nebulose stellari. Invece a partire dall'unit del Dio creatore l'unit del mondo quale sua creatura fondata in maniera inconfutabile. Il compito della teologia di fronte alle corrispondenzee differenze tra il racconto biblico della creazione e l'attuale concezione della natura Quale base biblica della fede nella creazione la maggior parte dei cristiani ha presente il primo dei due racconti della creazione presenti nella Bibbia, quello del primo capitolo della Genesi. Questo resoconto circa l'origine delle creature in una prima settimana di sei giorni un documento di un'epoca per noi da lungo passata, ovvero del VI secolo a.C., scritto durante l'esilio babilonese. Ci sorprende comunque che in molti punti vi siano delle corrispondenze con le nostre attuali concezioni circa l'origine dell'universo: l'inizio con la luce corrisponde alle odierne concezioni della fase iniziale dell'universo. Le affermazioni di Gen 1,1ss e 1,24 sulla produzione delle piante e anche degli animali a partire dalla terra prossima alle moderne supposizioni degli evoluzionisti circa l'origine della vita dalla materia inorganica, prossimit che purtroppo non viene riconosciuta dai creazionisti, gli avversari cristiani della teoria dell'evoluzione. Anche il fatto che l'uomo appaia solo alla fine della serie dei viventi si avvicina alle attuali visioni dell'evoluzione della vita, sebbene il pensiero evoluzionista fosse del tutto estraneo ai redattori sacerdotali della storia biblica della creazione. Meno sorprendenti di queste corrispondenze sono naturalmente le grandi differenze tra il resoconto biblico della creazione e le concezioni moderne. Tra queste rientra anzitutto il fatto che le stelle, come pure il sole e la luna, secondo la Bibbia sono state create appena dopo la terra e anzi addirittura dopo la comparsa della vegetazione (Gen 1,14ss), al fine di regolare il tempo. In tale punto di vista utilitaristico dell'esposizione biblica ha senza dubbio trovato anche espressione la polemica ebraica contro il culto degli astri praticato da altri popoli. Non meno sorprendente della concezione di una cos tardiva apparizione delle stelle per l'uomo moderno la visione che tutto sarebbe sorto dall'acqua. Era quanto comunque credeva al tempo in cui sorse tale racconto biblico della creazione anche il pi antico fra i filosofi greci, Talete di Mileto. Secondo il racconto biblico la separazione tra cielo e terra va ricondotta a un intervento di ingegneristica divina, ovvero la gi nominata realizzazione di un firmamento, di una volta fissa, che come campana celeste separasse le acque di

sotto da quelle di sopra, dalle quali mediante la pioggia qualcosa cade sulla terra, con la conseguenza che le acque inferiori si radunarono e poterono lasciar comparire la terraferma, l'asciutto (Gen 1,6-8). Ho gi detto che simili concezioni per noi possono avere ormai solo un valore esemplificativo, cio possono fungere da esempi circa il ricorso che i redattori biblici del racconto della creazione facevano alle conoscenze naturalistiche di allora. Se vogliamo seguire il loro esempio tenendo conto delle mutate condizioni del nostro tempo, allora non dovremmo ripetere le concezioni di quel tempo circa l'origine dell'universo, ma fare ricorso in maniera simile alle attuali conoscenze di fisica e di cosmologia, per esprimere in tal modo la fede nel Dio creatore, cercando di descrivere con i mezzi del nostro tempo come abbia creato l'universo, le stelle e la terra, le piante e gli animali fino all'uomo. Un simile tentativo da parte dell'odierna teologia esige anzitutto il chiarimento di una serie di questioni di fondo circa il rapporto tra la teologia e le scienze naturali. Tra queste rientra una concezione dell'agire divino negli eventi naturali e mediante gli eventi naturali che sia pi di una mera immagine antropomorfa, bens che si trovi in una prossimit effettiva con le odierne concezioni circa gli eventi naturali, e che si lasci collegare con le affermazioni relative agli stessi. Cercher di rendere plausibile un simile collegamento in riferimento al pensiero biblico della libert dell'agire creatore di Dio. A tale proposito per anzitutto necessario che non parliamo dell'agire creatore di Dio solo in riferimento all'origine dell'universo, come ha fatto il primo capitolo della Bibbia, bens piuttosto in riferimento agli eventi naturali nel loro insieme. Dio agisce come creatore nel mondo naturale non solo all'inizio ma anche in tutto il processo dell'universo. Ed era anche l'intenzione dei redattori sacerdotali del primo capitolo della Genesi mostrare Dio come origine di tutte le cose e dunque del mondo nel suo complesso. Per tale ragione parlarono della creazione del cielo e della terra, un'espressione che corrisponde al nostro concetto di universo. Essi per espressero tale intenzione della loro esposizione in una forma corrispondente alla mentalit del loro tempo, trattando dell'evento dell'origine come di un fatto fondante ed esemplare per tutti i tempi. La continua attivit creatrice di Dio, non solo la creazione all'inizio L'affermazione che Dio il creatore del mondo si riferisce al mondo nell'interezza della sua estensione spaziale e temporale. Essa non intende solo riferirsi all'origine del mondo, sebbene il racconto biblico della creazione di fatto descriva come Dio abbia in principio creato il cielo e la terra: anche in questa esposizione si tratta dell'insieme del mondo, indicato dalla formula cielo e terra. Ora per i redattori di questa narrazione erano convinti, in sintonia con il pensiero mitico della loro epoca, che l'insieme del mondo e del suo ordine fosse fondato una volta per tutte nella sua origine. In seguito nulla pi sarebbe cambiato. Il nostro modo attuale di vedere concepisce invece l'universo come un processo, entro il quale sorgono continuamente nuove figure. L'evoluzione della vita solo l'esempio a noi pi vicino di quanto sto sostenendo. Di conseguenza, l'oggetto della nostra professione di fede circa la creazione dev'essere l'intero processo dell'universo, non solo la sua origine. Nel linguaggio tecnico della teologia ci significa: l'agire creatore di Dio viene inteso come creatio continua, come attivit creatrice continuativa. Ci richiede una nuova comprensione del rapporto tra creazione e conservazione nell'agire divino. All'interno della tradizione teologica il concetto di creatio continua indicava in origine la conservazione di ci che Dio aveva creato in origine. Senza l'azione conservatrice di Dio la creatura sarebbe tornata a sprofondare nel nulla. Si vedeva in ci la stretta relazione tra creazione e conservazione, senza per che si fosse in grado di render conto del fatto che apparissero realt sempre nuove. L'orientamento unilaterale nel senso della concezione del primo capitolo della Bibbia, ovvero della creazione all'inizio, portava a sottovalutare altre asserzioni bibliche, specialmente le affermazioni dei profeti circa il fatto che l'agire di Dio nella storia crea cose sempre nuove (Is 45,7ss; 48,6s). La continua attivit creatrice di Dio pi che una mera conservazione di quanto creato in origine. Ogni vita individuale si deve in maniera diretta all'agire creatore di Dio, non solo alla conservazione della specie.

L'antica distinzione tra creazione e conservazione considerava tutte le figure della realt creata come fondate una volta per tutte all'inizio, come nel caso delle specie per i singoli viventi. Le specie non sarebbero dovute cambiare in seguito. Sarebbero solo sorti individui della medesima specie. In questo punto si giunse al conflitto della teoria dell'evoluzione con concezioni di creazione troppo unilateralmente orientate alla visione di una creazione all'origine e dunque all'immutabilit dell'ordine della natura una volta per tutte stabilito. La disputa con la teoria dell'evoluzione stata per la teologia un'occasione per ripensare la pluralit delle affermazioni bibliche circa l'agire creatore di Dio e per superare la ristrettezza della concezione della creazione del mondo al suo inizio. In suo luogo attualmente la concezione della creazione si collega con l'agire di Dio nella storia, che sul cammino dall'origine del mondo verso il suo compimento futuro, realizza cose sempre nuove. La libert di Dio nel suo agire creatore e la contingenza negli eventi di natura L'idea del nuovo all'interno della creazione, che compare nel processo di quanto avviene con ogni nuova forma di realt creaturale, in principio, anzi con ogni nuovo evento, centrale per la nuova concezione della creazione del mondo come un processo di creazione continua. Il nuovo all'interno della creazione, per dirla in termini filosofici la contingenza di ogni singolo evento, si trova in rapporto con l'apertura del futuro nei riguardi di ogni circostanza attuale. Dall'apertura del futuro, il nuovo evento di volta in volta si attua nel corso degli accadimenti. Una simile casualit di ogni nuovo evento la riscontriamo oggi nell'indeterminismo della fisica quantistica. La casualit degli eventi non esclude una certa legge nel loro apparire, bens gi premessa nella descrizione dei processi naturali mediante affermazioni relative a leggi. Le leggi naturali formulano conformit nei processi dell'accadere, conformit che si manifestano in ci che dato in maniera contingente. L'apparire di simili conformit gi di per s presuppone che qualcosa avvenga. Esse d'altra parte non escludono nemmeno che avvenga qualcosa di nuovo. Solo che il nuovo non pu essere descritto come infrazione delle leggi di natura; in tal modo infatti verrebbe eliminato il concetto stesso di legge naturale. Invece a nessuna descrizione naturale viene collegata la pretesa che essa spieghi proprio in ogni senso il corso dell'evento. Senza un ordine naturale dell'evento non vi sarebbero forme durature delle realt create. Questa non una visuale del tutto nuova. Gi la Bibbia ha preso atto del significato di un regolare succedersi di semina e raccolto, gelo e caldo, estate e inverno, giorno e notte per la vita dell'uomo (Gen 8,22). Qui non abbiamo altro se non un'incipiente figura di conoscenza delle leggi di natura. Il racconto della creazione nel primo capitolo della Bibbia ha descritto l'ordine del mondo creato in un altro modo, ovvero come ordine delle figure create secondo la serie della loro apparizione e non come ordine delle conseguenze degli eventi. Oggi noi vediamo che l'ordine delle conseguenze degli eventi, che oggetto di descrizione da parte delle scienze naturali grazie alla formulazione di leggi, la forma fondamentale di ordine nella vita della creazione. L'ordine nella sequenza degli eventi determina il sorgere e anche lo scomparire di figure creaturali e permette anche l'apparire di nuove figure. L'ordine delle conseguenze degli eventi, descrivibile in base alle leggi di natura, in rapporto all'ordine di comparsa pi ampio e comprensivo, ma anche pi elastico. Esso pi elastico, in quanto maggiormente aperto al nuovo che il futuro recher. Esso rende possibile l'apparire di figure entro l'attuale visuale della storia dell'universo, ovvero la formazione di atomi, molecole, costellazioni e sistemi solari in ogni tempo, e infine anche la formazione delle condizioni particolari per il sorgere della vita organica sulla terra e per il suo sviluppo nel manifestare sempre nuove figure, fino ad arrivare all'uomo. La produzione di figure durevoli, comprese le forme vitali e finalmente anche l'uomo, da intendersi come il fine dell'ordine dell'universo basato sulle leggi naturali? Lo sostengono oggi i fautori dell'accettazione di un principio antropico della storia dell'universo, in ogni caso nella forma pi forte della tesi secondo cui non solo le costanti importanti del processo cosmico sono impostate in modo tale da rendere possibile di fatto nel loro insieme la comparsa della vita - e finalmente della vita intelligente -, bens che la loro presenza avrebbe come conseguenza necessaria la comparsa della vita, cosicch l'universo sin dal suo inizio sembra impostato

nella direzione di produrre una tale vita. L'ordine dell'universo tenderebbe allora sin da principio alla produzione della vita. Una simile convinzione s'impone per via della concordanza di vari fattori, di per s casuali, con il risultato che essi insieme costituiscono le condizioni complesse per la comparsa della vita. Tale impressione sorge per solo guardando indietro a partire dal dato di fatto che appunto la vita organica effettivamente comparsa. Valutando la questione a partire dai processi precedenti, si resta dell'idea che la comparsa della vita altrettanto casuale come i fattori la cui concordanza rappresenta la condizione previa per tale evento. Come si rapporta questo stato delle cose per se visto dalla prospettiva della teologia? L'ordine della creazione orientato a un fine? Abbiamo gi detto che l'affermazione circa la creazione si riferisce alla totalit dell'universo nella sua estensione spaziale e temporale. In questa prospettiva alla riflessione filosofica e teologica la creazione della vita, e tra i viventi quella dell'uomo, pu presentarsi senz'altro, come ha affermato la dottrina tradizionale sulla creazione, come il fine dell'universo. Con una simile affermazione tuttavia si collegano, dal punto di vista teologico, due problemi: anzitutto essa comporta il pericolo di una concezione eccessivamente antropomorfa del rapporto tra il creatore e la sua creazione; in secondo luogo un modo di vedere le cose che punta alla creazione dell'uomo quale fine dell'universo trascura facilmente il fatto che ogni creatura, in quanto prodotto dell'amore creativo di Dio, esiste anche e originariamente per s e non solo in funzione di un altro. Per quanto riguarda anzitutto il pericolo di un eccessivo antropomorfismo nella descrizione dei rapporti tra creatore e creatura in base all'idea della finalizzazione della storia dell'universo alla comparsa dell'uomo, esso consiste nel fatto che il fine da raggiungere mediante un'azione si riferisce a un futuro che diverso dal presente dell'agente, e che deve essere introdotto dallo stesso, mediante la scelta e l'impiego di mezzi adeguati. Dio viene immaginato quasi come stesse all'inizio del processo del mondo, scrutando il futuro e ponendosi dei fini, che porta a compimento mediante il suo agire creatore. Una simile visuale non per compatibile con l'eternit di Dio. Nella prospettiva dell'eternit ci che per noi passato, presente e futuro non separato ma contemporaneo. La concezione di un Dio che all'inizio del tempo scruta un futuro da esso distinto, lo sottomette a una situazione dell'agire umano, che non consona all'eternit di Dio. In tal senso questa concezione va giudicata come eccessivamente antropomorfica. Intatto rispetto a tale considerazione critica rimane che i fattori del processo del mondo, visti come unit, possono stare in una relazione che a partire dal risultato pu essere ritenuta congrua al fine, poich le parti sono condizionate dal tutto. Qui interviene per l'altro punto di vista che ho prima citato, ovvero che a ogni figura creaturale va riconosciuta una sua dignit in quanto fine dell'agire creatore di Dio e non semplice mezzo in vista di qualcos'altro. Ci non esclude che tutte le creature possano anche divenire un mezzo per l'esistenza di altre. Viceversa, l'immediatezza dell'agire del Creatore rivolto alle singole creature non viene inficiata dal fatto che ogni figura creaturale sorga grazie alla mediazione di altre. Cos stanno le cose gi nel racconto della creazione, laddove in Gen 1,11 viene detto che Dio ha comandato alla terra di generare la vegetazione. Anche gli animali vengono prodotti dalla terra, secondo Gen 1,24, su comando del creatore. Tuttavia nel verso seguente si legge che Dio ha creato le specie degli animali. Evidentemente per i redattori di questo racconto non rappresentava alcuna contraddizione che Dio compisse qualcosa mediante il suo atto creatore oppure che la medesima figura sorgesse per l'interazione fra altre creature. Se i teologi avessero sempre tenuto conto di questo fatto, allora non sarebbe stato necessario agitarsi per la dottrina dell'evoluzione ma nemmeno per quella della nascita della vita organica dalla materia inorganica. Qualcosa pu benissimo sorgere dalla mediazione tra fattori creaturali come pure in maniera diretta grazie all'agire di Dio. Ci corrisponde alla consonanza tra contingenza e corrispondenza alla legge, di cui abbiamo parlato prima. Come si pu pensare Dio, affinch sia comprensibile quale creatore dell'universo? Gi spiegando il concetto di fine abbiamo toccato la questione di come vada pensato il rapporto del Creatore con la sua creazione. Nella loro critica alle concezioni dei miti sugli dei e sul loro rapporto con il mondo, i primi filosofi greci insistevano sul fatto che la natura del divino dovrebbe venir pensata in maniera tale che

l'origine del mondo - cos come noi la conosciamo - divenga comprensibile a partire dalla peculiarit del divino e non stia invece in contrasto con le supposizioni circa la natura degli dei. In tal modo ad esempio l'unit della divinit risulta essere una premessa per l'unit del cosmo. La teologia cristiana della tarda antichit e del Medioevo ha concepito, in sintonia con le scuole filosofiche dei platonici e degli aristotelici, il Dio unico come intelligenza suprema. Questa concezione di Dio ha segnato ancora la teologia filosofica del tempo moderno e non da ultimo Isaac Newton credeva che in ultima istanza fosse l'intelligenza divina a muovere l'intero processo del mondo, nella stessa maniera in cui l'anima razionale muove in ciascuno di noi le membra del corpo. Oggigiorno da una parte non quasi pi possibile rendere plausibile la concezione di una ragione che esisterebbe senza dimensione corporea, mentre dall'altra il concetto di Dio che ne risulta segnato appare antropomorfo, specie in relazione con la concezione di un Dio che pone e realizza dei fini mediante l'interazione di intelletto e volont. Questa idea di un Dio personale divenuta l'oggetto principale della critica atea, che ha inteso tale immagine di Dio come un riflesso speculare dell'uomo. Se la teologia attuale vuole continuare a pensare Dio in senso personale, addirittura tripersonale nella terna delle Persone trinitarie, allora deve fondare in maniera del tutto diversa il concetto di persona. Oggi chiaro che la concezione di Dio quale intelligenza suprema che guida gli eventi del cosmo non corrisponde nemmeno alla concezione biblica di Dio come spirito; infatti il termine biblico per spirito indica nella sua accezione fondamentale piuttosto l'aria mossa, il soffio ma anche il vento. Per tale motivo nel Vangelo di Giovanni si dice dello Spirito che esso soffia dove vuole; ne senti la voce ma non sai di dove viene e dove va (Gv 3,8). Questa non solo un'immagine relativa all'agire dello Spirito. Un'immagine o una metafora piuttosto la concezione dello Spirito divino come una volont intelligente che pone dei fini. Il significato proprio e radicale dello spirito nella Bibbia piuttosto quello di soffio e vento. La concezione biblica dello Spirito trova il suo parallelo pi prossimo nell'antichit, non nella visione platonica di un'intelligenza divina, bens nella dottrina degli stoici circa lo spirito (pneuma) nel senso di un soffio di aria che tutto permea, che tiene insieme il cosmo mediante la sua tensione. Dato che questa concezione stoica dello spirito dal punto di vista della storia del pensiero precorre il concetto dei campi nella fisica moderna, come ha mostrato Max Jammer, si pu dire che la concezione biblica di Dio quale spirito pi vicina ai concetti di campi della fisica che non alla concezione di un'intelligenza suprema che esisterebbe in maniera incorporea. Ci non significa sicuramente che lo Spirito divino, mediante il quale Dio presente alle sue creature e tramite il quale le vivifica, potrebbe venir identificato con una delle grandezze conosciute dalla nostra attuale fisica dei campi. Gli effetti dello Spirito divino non si estendono sotto forma di onde nella dimensione spaziotemporale. La descrizione dello Spirito divino quale campo dunque una semplice metafora? Non lo credo, proprio per il fatto che la descrizione dello Spirito quale campo si pone in un rapporto spiegabile con i concetti di spazio e di tempo. Gi Newton ha concepito lo spazio come il mezzo della presenza dell'intelligenza divina nel luogo dove si trovano le creature. Newton venne per tale motivo sospettato da Leibniz di panteismo, ma l'amico di Newton, Samuel Clarke, chiar che nel caso dello spazio dell'incommensurabilit divina non si tratta dello spazio della geometria, fatto di varie parti, ma dello spazio infinito e indiviso, che precede necessariamente ogni divisione e composizione nello spazio. Alcuni decenni dopo anche Kant nella sua Critica della ragion pura ha designato l'insieme infinito e indiviso dello spazio gi premesso in ogni concezione di spazi parziali, e dunque anche come premessa dello spazio geometrico che consta di parti. Qualcosa di simile vale anche per il tempo. L'insieme indiviso del tempo gi premesso in ogni concezione di parti del tempo e della loro successione. Questo insieme indiviso del tempo per non altro se non l'eternit, che non appunto senza tempo ma contemporanea a tutte le parti del tempo. Se allora l'incommensurabilit e l'eternit divina vanno viste come condizioni di possibilit del nostro spazio geometrico che consta di parti e del succedersi del tempo, e dunque come origine e base del nostro spaziotempo creaturale, allora anche la descrizione dello Spirito divino quale campo ben pi che una semplice

metafora. Il concetto di campo adeguatamente determinato mediante i concetti di spazio e di tempo. Ci corrisponde in ogni caso alla visione di Albert Einstein, il quale concepiva lo spazio-tempo come il campo a cui riconducibile tutto ci che si manifesta nell'universo. Solo che a tale riguardo Einstein pensava a uno spazio-tempo costruito in senso geometrico, sebbene nel senso di una geometria non euclidea degli spazi curvi. Egli non ha distinto da ci lo spazio indiviso ed eterno e il tempo indiviso ed eterno dell'eternit divina. Ci potrebbe dipendere dal fatto che Einstein aderiva alla filosofia di Spinoza, che a sua volta identificava lo spazio della geometria con lo spazio tout court e che considerava tale spazio come un attributo di Dio. Se invece lo spazio indiviso e infinito dell'incommensurabilit divina e dell'eternit divina deve essere concepito quale origine del nostro spazio-tempo cosmico, che trova la sua figura concreta nel moto di espansione dell'universo, come procede allora questa realt creaturale dall'incommensurabilit ed eternit divina? Questa una domanda enorme, che evidentemente non pu trovare risposta in una frase. Mi accontento qui perci, al termine della mia esposizione, di dare un'indicazione: con l'atto di porre delle attualit finite che si giunge alla successione nel tempo e alla divisione nello spazio. Il tempo diviso in misurazioni e lo spazio diviso in parti sono dunque, come insegna la teoria della relativit, dipendenti dall'esistenza di masse, ovvero di attualit contingenti che stanno in rapporto tra di loro e che si succedono nel tempo. Viceversa, le successioni nel tempo e le vicinanze nello spazio sono le condizioni di fondo perch sia possibile un'autonoma esistenza creaturale. Ci ha un alto valore dal punto di vista teologico, se l'agire creatore di Dio mira alla produzione di creature che esistono in maniera indipendente. La condizione generale di ci l'ordine della legge naturale, e la produzione di figure creaturali avviene all'interno del processo di raffreddamento dell'universo nel corso della sua espansione. Cos in una prospettiva attuale l'espansione dell'universo il mezzo impiegato dal Creatore per produrre le sue creature nella successione del tempo. Il rapporto con l'eternit sembra per essere dato per quanto esiste in maniera temporale mediante il futuro, dal quale procedono sempre nuovi eventi per quanto gi esiste e a partire dal quale l'esistente nel tempo tende al proprio compimento, come gi sosteneva il pi grande teorico del concetto del tempo nell'antichit, Plotino.

Nome file: Wolfhart Pannenberg Teologia della Creazione Regno documenti 15 2003 Directory: C:\documenti Modello: C:\Users\giva\AppData\Roaming\Microsoft\Templates\Normal.dotm Titolo: Oggetto: Autore: girolamo valenza Parole chiave: Commenti: Data creazione: 02/03/2009 14.16.00 Numero revisione: 1 Data ultimo salvataggio:02/03/2009 14.23.00 Autore ultimo salvataggio: girolamo valenza Tempo totale modifica 7 minuti Data ultima stampa: 02/03/2009 14.24.00 Come da ultima stampa completa Numero pagine: 9 Numero parole: 5.994 (circa) Numero caratteri: 34.166 (circa)

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