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Gli indistruttibili paradossi di Zenone

Giorgio Israel
Dipartimento di Matematica Sapienza Universit di Roma P.le A. Moro, 2 00185 Roma (Italy) israel@mat.uniroma1.it

Rileggendo Koyr Lapproccio puramente filologico ai paradossi di Zenone sterile, non solo perch essi ci sono stati trasmessi in modo indiretto, ma perch esprimono un problema filosofico-matematico che si ripresenta continuamente e che, pur assumendo forme diverse nei diversi contesti storici, ha una consistenza indistruttibile. Ha quindi ragione Koyr a dire che la discussione degli argomenti o piuttosto dei paradossi di Zenone, come quella di tutti i veri problemi filosofici, non sar mai chiusa [Koyr 1922, ed. 1971, p. 9.] Di fatto, i paradossi di Zenone hanno toccato un punto nevralgico della rappresentazione scientifico-matematica della realt. Nel 1922, Koyr scrisse una nota di osservazioni sui paradossi di Zenone che ripropose senza modifiche nel 1961 manifestamente influenzata dal dibattito contemporaneo sullinfinito matematico e sulla teoria degli insiemi di Cantor. In questa nota egli contestava la visione riduttiva dei paradossi di Zenone come confutazione di stile parmenideo della possibilit del movimento; e osservava che il problema sollevato da Zenone non caratteristico soltanto del moto: riguarda il tempo, lo spazio e il moto, nella sola misura in cui vi sono implicate le nozioni di infinito e di continuit [Ivi, pp. 9-10]. Ed per questo motivo che egli contestava le confutazioni concentrate sul solo tema del moto, come quelle di Georges Nol, Henri Bergson e Franois Evellin. Florian Cajori ha notato che, verso la fine dellOttocento, vi fu unesplosione di pubblicazioni sul tema dei paradossi di Zenone, in particolare in Francia [Cajori 1915]. Questo non strano per la ragione dianzi accennata: questo il periodo in cui si sviluppa la tematica della teoria degli insiemi e riemerge con forza il tema dellinfinito attuale. Le teorie cantoriane suscitano dure opposizioni ma trovano anche ardenti sostenitori, come Pavel Florenskij, secondo cui soltanto linfinito attuale il vero infinito, e persino lidea di infinito potenziale non pu darsi se non nel contesto dellinfinito attuale. Per la prima volta lostracismo nei confronti dellinfinito attuale decretato da Aristotele e confermato da Galileo e Descartes messo in discussione. Tuttavia, il concetto di infinito attuale solleva non poche difficolt e cos i paradossi di Zenone tornano alla
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ribalta con diverse motivazioni. Da un lato, c chi tende a sottolineare la loro persistente validit; dallaltro chi tenta ancora una volta di confutarli.1 Koyr sottolinea linanit dei tentativi di confutare definitivamente i paradossi di Zenone e il fatto che essi non investono solo il problema del movimento quanto, pi in generale, le concezioni dellinfinito e del continuo. Tuttavia, lapproccio da lui seguito conduce a oscurare proprio la ragione pi profonda dellimpossibilit di confutare i paradossi di Zenone. Difatti, egli sostiene che i quattro argomenti, senza perdere nulla del loro valore, sono suscettibili di una duplice interpretazione, secondoch ci si collochi sul terreno delle ipotesi finitiste o infinitiste [Koyr 1922, ed. 1971, p. 12]. Questa doppia interpretazione si basa sullidentificazione degli istanti temporali e delle posizioni spaziali con i punti geometrici: ma i paradossi di Zenone mettono in luce proprio la problematicit di questa identificazione. Essi mirano a dimostrare che il continuo geometrico dellintuizione elementare un indivisibile che non si presta a una trattazione quantitativa. La dimostrazione si sviluppa mostrando che la descrizione geometricoquantitativa del moto conduce ad aporie insuperabili. Ma il senso dei paradossi pi profondo e generale su questo Koyr ha ragione perch investe la concezione del continuo e il rapporto tra geometria e aritmetica.

Le implicazioni dei paradossi Sebbene i paradossi di Zenone siano ben noti li ricorderemo rapidamente per rendere chiaro il nostro discorso.

Fig. 1

Il paradosso della dicotomia considera un segmento AB (Fig. 1) e un mobile che lo percorre da A verso B. Per giungere in B, il mobile deve transitare per il punto di mezzo C del segmento. Ma prima di arrivare in C transiter per il punto di mezzo D del segmento AC; analogamente, prima di arrivare in D transiter per il punto di mezzo E del segmento AD; e cos via. Se ammettiamo che il segmento sia infinitamente divisibile, il procedimento non avr fine. Quindi, il mobile, per arrivare in B, dovr percorrere uninfinit di intervalli finiti. Ne deriva un assurdo, sia dal punto di vista spaziale che temporale. Difatti, se lintervallo somma di infiniti intervalli finiti infinito, ed impossibile percorrere un intervallo di spazio infinito in un tempo finito. Se invece ammettiamo che AB sia finito, dobbiamo confrontarci col fatto che, per percorrere ognuno dei sottointervalli occorrer un tempo finito e, siccome tali intervalli sono in numero infinito, per percorrere una distanza finita occorrer un tempo infinito.

1 La posizione di Bergson a parte, in quanto dettata dalla sua agenda filosofica volta ad affermare una visione del tempo e del movimento come entit irriducibili a rappresentazioni quantitative e cinematografiche. 2

Il bersaglio del paradosso evidente: si contesta la possibilit di dividere allinfinito un intervallo continuo (spaziale o temporale.) Zenone confuta sia la possibilit del moto che la divisibilit allinfinito del continuo. Le cose non vanno meglio se abbandoniamo la divisibilit allinfinito, e concepiamo il segmento come un aggregato (continuo) di punti indivisibili, dotati di spessore, e quindi ben diversi dai punti privi di dimensioni del caso precedente. questa la concezione pitagorica del punto, visto come un atomo costitutivo di ogni cosa, come lunit concepita nello spazio. Nella visione pitagorica, le figure geometriche sono aggregati di punti. Per confutare il punto di vista pitagorico Zenone ricorre al paradosso della freccia. Se lanciamo una freccia da A verso B (Fig. 1), il movimento non continuo ma una successione di piccolissimi salti da un punto a quello successivo: un movimento di tipo cinematografico. Quando la freccia raggiunge un punto essa occupa una posizione definita e in quellistante in quiete in essa. Pertanto, in realt, non si muove, perch in ogni punto del segmento ha velocit nulla. Questo paradosso confuta sia la possibilit del moto che la concezione di un intervallo come aggregato di atomi indivisibili. Pertanto, per Zenone, un intervallo spaziale o temporale pu essere concepito soltanto globalmente, con un atto sintetico del pensiero, non pu essere diviso allinfinito n visto come un aggregato di atomi. Gli altri due paradossi sono solo un modo diverso di giungere alla stessa conclusione. Analogo al paradosso della dicotomia il celebre paradosso di Achille e la tartaruga. Achille per raggiungere la tartaruga fa un balzo verso la posizione da essa occupata. Nellintervallo di tempo necessario al balzo la tartaruga ha mosso un passo. Achille deve quindi compiere un altro balzo per raggiungerla, sia pure pi piccolo perch la tartaruga pi lenta, supponiamo che sia la met. Nel frattempo la tartaruga avanzata di un quarto del passo precedente. Achille compie un altro balzo, e cos via. Gli intervalli sono sempre pi piccoli, ma mai nulli, per cui Achille non raggiunger mai la tartaruga. Il paradosso dello stadio parente del paradosso della freccia. Esso mostra come non solo lo spazio ma anche il tempo non possa essere concepito come aggregato di intervalli temporali indivisibili, intervalli minimi di tempo. Siano A1, A2, A3, A4 quattro gladiatori immobili (Fig. 2); B1, B2, B3, B4 quattro gladiatori che si muovono verso destra in modo che ogni B raggiunga il corrispondente A nel tempo minimo; C1, C2, C3, C4 quattro gladiatori che si muovono verso sinistra in modo che ogni C raggiunga il corrispondente A nel tempo minimo.

Fig. 2

Se le posizioni occupate allinizio sono quelle della Fig. 2, dopo lintervallo minimo di tempo le nuove posizioni saranno quelle della Fig. 3:

Fig. 3

C1 avr superato due gladiatori della fila B, nellintervallo di tempo minimo. Pertanto, esiste un intervallo di tempo ancor pi piccolo, quello necessario a C1 per superare un solo B, che la met di quello minimo, il che assurdo. Paul Tannery sintetizza efficacemente la situazione in questi termini: Se riassumiamo gli argomenti di Zenone, si vede che si riducono a stabilire per assurdo: che un corpo non una somma di punti; che il tempo non una somma distanti; che il moto non una somma di semplici passaggi da un punto allaltro [Tannery 1887, p. 258]. E inoltre: Qual era il punto debole individuato da Zenone nelle dottrine pitagoriche del suo tempo? [] La chiave data da una celebre definizione del punto matematico, ancora classica ai tempi di Aristotele []. Per i pitagorici il punto lunit considerata nello spazio. Segue immediatamente da questa definizione che il corpo geometrico una pluralit, somma di punti, come il numero una pluralit, somma di unit. Ora, una siffatta proposizione assolutamente falsa: un corpo, una superficie o una linea non sono affatto una somma, una totalit di punti giustapposti; il punto, matematicamente parlando, non affatto ununit, uno zero puro, un nulla di quantit. [Ivi, p. 250]. Koyr ha tentato di mostrare che i quattro paradossi possono essere pensati sotto entrambi i punti di vista: quello della divisibilit allinfinito e quello indivisibilista, che egli chiama infinitista e finitista: a nostro avviso impropriamente, perch non detto che il numero di componenti indivisibili del segmento sia finito. Al contrario, in tutta la tradizione successiva (si pensi a Bonaventura Cavalieri) linee, superficie e solidi saranno visti come aggregati infiniti di indivisibili.2 Le due coppie di paradossi (dicotomia e paradosso di Achille da un lato, paradossi della freccia e dello stadio dallaltro) mirano a distruggere due modi opposti di asserire la stessa cosa, e cio che il continuo un aggregato di punti. Quel che oppone i due modi la concezione di punto: da un lato, un ente privo di dimensione, un nulla, una mera posizione; dallaltro, ununit atomica elementare e indivisibile, dotata di spessore, le cui dimensioni sono le minime possibili. La concezione dello spazio e del
Daltra parte, se si vuole considerare un paradosso come quello della freccia da punto di vista infinitista (nel linguaggio di Koyr) indispensabile pensare il segmento come unione di infiniti indivisibili. Come ha messo in luce Galileo [Galilei 1638, pp. 116-118], aggiungere un numero finito di indivisibili luno allaltro non produce una quantit divisibile, altrimenti anche gli indivisibili sarebbero divisibili. Per produrre una grandezza divisibile sono necessari infiniti indivisibili. 4
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tempo come aggregati di punti privi di dimensione, non meno insostenibile di quella atomistica: essa implica che un segmento nullo, in quanto somma di infiniti zeri. Il difetto del ragionamento di Koyr sta nel concepire le posizioni spaziali e gli istanti temporali come punti geometrici, mentre proprio qui la difficolt sollevata dai paradossi di Zenone: che cos un punto? Entrambe le concezioni di punto conducono a difficolt insormontabili, a meno che esso non venga pensato come un ente puramente geometrico, frutto di unastrazione dal mondo sensibile ma ormai da esso separato. I paradossi di Zenone trasmettono il messaggio che la pretesa di trattare quantitativamente (matematicamente) linfinito spaziale e temporale porta a contraddizioni insolubili. Linfinito va visto come ununit indivisibile. Il continuo non pu essere suddiviso: esso va colto nella sua integrit con un solo atto dellintuizione. La via duscita sta nellabbandonare la pretesa di fare del numero lessenza del mondo. evidente che i paradossi di Zenone anche se nella loro formulazione originaria non potevano esplicitare il problema nei termini in cui lo si visto in seguito centrano la difficolt del rapporto tra matematica e realt, tra numero da un lato, spazio e tempo dallaltro. Difatti, anche se di numeri non si parla, sono in gioco le quantit, e quindi i numeri: la met di un segmento, la met della sua met e cos via; gli intervalli sempre dimezzati dei salti di Achille, lintervallo di tempo minimo. Da un lato la scoperta dellincommensurabilit da parte dei pitagorici, dallaltro i paradossi di Zenone e, pi in generale, lesigenza del rigore filosofico, indussero i Greci a trattare con estrema prudenza linfinito, a tenerlo a distanza. Questa prudenza si tradusse nel primato dellapproccio geometrico sintetico, che accantonava il concetto di numero riassorbendolo nel concetto di grandezza geometrica. I Greci subordinarono laritmetica alla geometria e ci ebbe conseguenze enormi sullo sviluppo del pensiero matematico. Fu soprattutto Eudosso a orientare la matematica greca in tale direzione introducendo il concetto di grandezza e una teoria generale delle proporzioni tra grandezze in cui non intervenivano elementi quantitativi. Gli Elementi di Euclide risentirono in modo decisivo di tale orientamento. La scelta fu di abbandonare lidea pitagorica di punto come indivisibile, e di guardarsi dalla concezione degli enti geometrici come aggregati di punti. Il punto ci che non ha parti, ma la linea non un insieme di punti, bens lunghezza senza larghezza. Gli estremi di una linea sono punti. Si parla di punti su una retta, ma non di punti come elementi costitutivi di una retta. Va tuttavia sottolineato con forza che la geometria greca, sebbene presentata in modo assiomatico, conserva uno stretto legame con lintuizione: gli assiomi non sono asserti formali come nelle versioni moderne. Il divorzio tra aritmetica e geometria, e la rinuncia a sviluppare la prima, ha condotto a rinunciare alla misura quantitativa e a sviluppare la matematica come strumento per la descrizione della realt. La matematica moderna ha invece sfidato linfinito e si posta lobbiettivo di ricomporre il rapporto tra il mondo dei numeri e il mondo delle figure spaziali, e di aritmetizzare sia lo spazio che il tempo. Lo ha fatto con la geometria analitica e il calcolo infinitesimale. Ma la cesura tra aritmetica e geometria stata ricomposta? Certamente s sul piano pratico, pragmatico; definitivamente no, sul piano concettuale. Sotto questultimo profilo avevano visto bene i Greci.

Numeri e geometria Sono passati secoli prima che qualcuno osasse fare quel che i Greci avevano interdetto: identificare i punti di una retta con dei numeri. Dopo aver assimilato un punto I allunit 1, intesa come la distanza da un altro punto O fissato una volta per tutte e pensato come corrispondente del numero 0, gli altri numeri interi si disponevano in modo naturale a destra e a sinistra di O, a intervalli uguali alla distanza unitaria tra O e I. Poi venne naturale inserire le frazioni entro questi intervalli. come se, nella Fig. 1, identificato A con il numero 0 e B con il numero 1, identificassimo C con 1/2, D con 1/4, E con 1/8, e cos via. Poi si scopr che le frazioni (i numeri razionali) sono tantissime, sono uninfinit densa, a differenza degli interi: tra due numeri razionali sempre possibile inserirne infiniti altri. Dal punto di vista geometrico, come se tra due punti qualsiasi ne esistessero infiniti altri. Ma gi i Pitagorici sapevano dellesistenza di altri numeri non rappresentabili in forma frazionaria, quelli che oggi chiamiamo gli irrazionali. Questi numeri presentano un fenomeno quasi scandaloso: tra due numeri razionali non soltanto vi sono infiniti altri razionali, ma anche infiniti irrazionali che brulicano e invadono ogni spazio. Poich non esistono altri tipi di numeri, spontaneo concludere che linsieme dei numeri razionali e irrazionali i numeri reali sono il continuo e invadono completamente la retta: il continuo geometrico ha trovato una rappresentazione nel continuo aritmetico. Ma questa rappresentazione, sebbene intuitivamente evidente, non suscettibile di dimostrazione. impossibile dimostrare che esiste una corrispondenza biunivoca tra linsieme dei numeri reali (la retta reale) e la retta geometrica, per il semplice motivo che mentre gli elementi del primo sono ben definiti mediante costruzioni come quelle di Cantor o di Dedekind gli elementi della seconda sono inafferrabili. Lo abbiamo visto: la definizione di punto geometrico sfuggente e considerare la retta come un insieme di punti geometrici avventato. A ben vedere, la rappresentazione geometrica dei numeri reali con i punti di una retta consiste nel sostituire alla retta geometrica un modello isomorfo (aritmeticamente e ordinatamente) ai numeri reali. Per cui, in fin dei conti, la retta geometrica scomparsa, sostituita con modelli che sono nientaltro che linsieme dei numeri reali, cui si data una veste di tipo geometrico in via del tutto formale. Di fatto, tutte le costruzioni della cosiddetta retta reale non sono altro che costruzioni astratte i cui assiomi, a differenza di quelli di Euclide, sono privi di qualsiasi contenuto concreto. Daltra parte lidentificazione dei numeri reali con la retta geometrica intuitivamente efficace, funziona, pragmaticamente valida. Ma questo non significa che, dal punto vista concettuale, il continuo geometrico e il continuo numerico siano la stessa cosa: una dimostrazione del genere impossibile. Pertanto, anche che le varie confutazioni dei paradossi di Zenone condotte con ragionamenti analitici hanno scarso significato. Per esempio, la traduzione analitica dei paradossi della dicotomia e di Achille e la tartaruga che gli intervalli da percorrere sono 1/2, (1/2)2, (1/2)3, ecc., e quindi che lo spazio totale percorso dato dalla somma infinita (1/2) + (1/2)2 + (1/2)3 + Lanalisi matematica dimostra che questa somma 1 e non infinita come si direbbe sulle orme di Zenone. Tuttavia, una simile confutazione presuppone lidentificazione della
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retta geometrica con la retta reale la quale indimostrabile. Inoltre, la cesura tra mondo sensibile e matematica evidente: la matematica pu ben dirci (ricorrendo allinfinito potenziale) che la somma della serie anzidetta 1, ma non pu contestare levidenza, e cio che Achille costretto a compiere infiniti passi per quanto piccoli (muovendosi nella cornice dellinfinito attuale) condannato per leternit a non raggiungere la tartaruga. La storia del concetto di punto geometrico, e di punto materiale, mostra le difficolt derivanti dalluso di nozioni tanto efficaci quanto sfuggenti. Tali sono state queste difficolt che v chi ha tentato di espellere dalla meccanica il concetto di punto materiale [Maggi 1896]. Emblematico anche il percorso di Ludwig Boltzmann, che ha oscillato tra un approccio matematico-deduttivo alla meccanica in cui il concetto di punto materiale era centrale [Boltzmann 1897-1904] e un approccio fisico-induttivo in cui questo ruolo era marginale [Boltzmann 1899]; per ammettere che la vecchia antinomia kantiana, lopposizione tra divisibilit allinfinito della materia e la sua costituzione atomica tiene ancora la scienza in affanno; e per concludere nel pragmatismo: Noi vedremo in ciascuno di questi punti di vista una costruzione dello spirito e ci chiederemo soltanto quale di queste costruzioni pu essere seguita pi chiaramente e facilmente e pu riprodurre i fenomeni con un massimo di esattezza e un minimo di ambiguit [Boltzmann 1897: 329]. Galileo e Descartes hanno negato alla scienza, e alla matematica in particolare, la possibilit di dominare linfinito, e in questo hanno avuto ragione. Ma la matematica, e la scienza attraverso di essa, ha vinto la sfida pragmatica di riuscire a manipolarlo.

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