Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
html)
Sasha Kashlinsky, del Goddard Space Flight Center della NASA, che si trova a Greenbelt,
nel Maryland, sta studiando il movimento di ammassi di galassie “ribelli” che a grandi
velocità (circa 1.000 km/s) si stanno spostando verso i confini dell’universo visibile (verso
una regione del cielo che si trova in mezzo tra le costellazioni del Centauro e della Vela),
in contrasto con il movimento di espansione dell’universo. Al movimento di queste galassie
è stato dato il nome di “dark flow” (flusso oscuro).
Un altro mistero, che si aggiunge a quelli della materia oscura (una materia invisibile che
tiene insieme le galassie e che costituirebbe circa il 30% dell'energia dell'Universo e circa
il 90% della massa) e dell’energia oscura (l'ipotetica forma di energia che si trova in tutto
lo spazio ed ha una pressione negativa che causa l’accelerazione dell’espansione
dell’universo).
Kashlinsky sta misurando la velocità a cui si muovono circa 800 ammassi galattici distanti
5 miliardi di anni luce analizzando le immagini di vari telescopi a raggi x e le immagini
catturate dalla sonda NASA Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), cercando
segni del loro movimento nella Radiazione Cosmica di Fondo (Cosmic Microwave
Background - CMB). I fotoni nella CMB generalmente fluiscono ininterrottamente per
miliardi di anni luce nello spazi interstellare, ma quando passano attraverso un ammasso
galattico incontrano gas caldo ionizzato negli spazi tra le galassie e mostrano una sottile
distorsione della temperatura rilevabile con i raggi x.
Da cosa è provocato questo flusso oscuro? Non può essere la materia oscura la causa,
dice Kashlinsky, perché non produce una forza di gravità sufficiente. Non può essere
neanche l’energia oscura, perché si diffonde regolarmente nello spazio. Secondo
Kashlinsky c’è una sola possibile spiegazione: qualcosa di celato oltre l’orizzonte cosmico
la cui forza di gravità attrae le galassie.
Secondo la teoria dell’universo inflazionario, da 10-37 a 10-34 secondi dopo il Big Bang ci
sarebbe stata una espansione esponenziale ad una velocità crescente, fino a superare la
barriera della luce, che ha proiettato nell'universo un insieme di fluttuazioni quantistiche di
densità tra una regione dello spazio e l'altra che hanno definito il futuro schema delle
galassie. Tali fluttuazioni sono state riscontrate nella Radiazione Cosmica di Fondo:
all’inizio piccolissime, sono poi divenute distribuzioni di materia su larga scala.
C’è chi ha proposto spiegazioni più radicali: secondo il cosiddetto scenario dell’ “eterna
inflazione”, il nostro universo potrebbe essere non il solo ad aver subito l’inflazione;
potrebbero esserci state tante inflazioni e ad ognuna corrisponderebbe un distinto
universo, quindi vivremmo in un multiverso.
Secondo Laura Mersini-Houghton, fisica teorica che insegna alla University of North
Carolina di Chapel Hill, il flusso oscuro è causato da un altro universo che esercita una
attrazione gravitazionale sugli ammassi galattici del nostro universo. Lei e il suo team
hanno calcolato come altri universi, sparsi casualmente attorno al nostro, altererebbero la
gravità.
Altri ritengono che il nostro universo-bolla inflazionato abbia generato altre bolle e che il
flusso oscuro potrebbe essere generato dalla collisione di due universi.
L’ipotesi di un universo frattale è tuttavia molto ardita, soprattutto perché una distribuzione
frattale della materia è incompatibile con la teoria dell’inflazione.
Il fisico Douglas Scott della University of British Columbia di Vancouver, in Canada, non
crede che il flusso oscuro sia causato da qualcosa al di fuori del nostro universo
osservabile. Potrebbe trattarsi di qualche struttura molto grande all’interno dell’orizzonte,
che però sfiderebbe il modello cosmologico standard.
'Tilting' the Universe with the Landscape Multiverse: The 'Dark' Flow 30 ottobre 2008
Nello spazio scoperto il Dark Flow, una forza misteriosa che risucchia le galassie 01
dicembre 2008
WMAP - Wikipedia
Alcuni cosmologi, finanziati dall'UE e collocati nel Regno Unito, hanno prodotto immagini
dettagliate dell' "alba cosmica", la formazione delle prime grandi galassie nell'universo (la
ricerca è stata pubblicata sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society).
Il lavoro del team presso l'Institute for Computational Cosmology (ICC) dell'università di
Durham, nel Regno Unito, è stato in parte sostenuto da “Alfa II” dell'UE, un programma di
cooperazione tra istituti di istruzione superiore dell'Unione europea e dell'America latina.
L’ “Alba Cosmica” sarebbe iniziata dunque, 590 milioni di anni dopo il Big Bang, quando le
galassie hanno cominciato a formarsi dai detriti delle prime stelle supermassicce formatesi
dai gas che costituivano le protogalassie e poi esplose . I calcoli hanno predetto
dove sarebbero apparse le prime galassie e anche la loro evoluzione fino ai giorni nostri,
13 miliardi di anni dopo. I ricercatori sperano che i risultati contribuiscano a fare luce sulla
materia oscura che si ritiene costituisca l’80% della massa dell’Universo.
I gas, sotto l’effetto gravitazionale della materia oscura, si riscaldano prima di raffreddarsi
rilasciando radiazioni e trasformarsi in stelle. Le immagini prodotte dalla simulazione
mostrano che le galassie producono stelle in modo molto più vigoroso in certi momenti.
Rispetto all’universo primigenio, il tasso con cui vengono formate nuove stelle è
notevolmente aumentato.
"La presenza della materia oscura – dice Alvaro Orsi, ricercatore all’ICC che ha condotto
lo studio – è la chiave della formazione delle galassie, senza materia oscura non
saremmo qui oggi".
"La cosmologia computazionale gioca una parte importante nella nostra comprensione
dell’Universo”, dice il Prof. Keith Mason, Chief Executive dello Science and Technology
Facilities Council, “queste simulazioni non ci consentono solo di viaggiare indietro nel
tempo fino all’Universo primigenio, complimentano il lavoro e le osservazioni dei nostri
astronomi”.
Un’ulteriore prova dell’esistenza dell’energia oscura è stata raccolta dal satellite a raggi-x
Chandra della Nasa indagando un ammasso di galassie (“Abel 85”) distante 740 milioni di
anni luce dalla Terra. La scoperta è frutto di un’indagine condotta dagli scienziati
dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Boston che ha scandagliato 86
ammassi galattici proprio allo scopo di cercare tracce dell’energia oscura.
I ricercatori hanno studiato 86 tra i più massicci ammassi galattici, localizzati a milioni o
miliardi di anni luce dalla nostra galassia, mediante il telescopio ROSAT (raggi-x) -
progetto in cui collaborano Germania, USA e Inghilterra - diversi telescopi ottici (Keck,
Magellan, NTT), il telescopio RTT-150 (Russia e Turchia), anche se il principale strumento
è stato l'osservatorio a raggi-x Chandra.
La grande quantità di dati ha permesso agli astrofisici di creare un modello dello sviluppo
dell' Universo durante gli ultimi 5.5 miliardi di anni, approssimativamente l'età del Sole.
Durante questo periodo di tempo, la crescita delle strutture di larga scala è diminuita.
Qualche mese fa, un altro gruppo di ricercatori aveva trovato tracce di materia oscura nei
rilevamenti di antimateria di PAMELA (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light-
nuclei Astrophysics), una collaborazione tra Italia, Russia, Germania e Svezia. Diversi
studiosi pensano che ATI e PAMELA presentino due facce della stessa medaglia.
La particella di Kaluza Klein, la cui esistenza è prevista dalla teoria delle stringhe, secondo
le quali esistono più di quattro dimensioni nell'universo, potrebbe essere una strana
componente della materia oscura e interagire molto debolmente con la materia ordinaria.
Aldo Morselli, della sede di Roma dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è più propenso
all'ipotesi che il colpevole sia una pulsar, cioè una stella di neutroni in rapidissima
rotazione, e che comunque è necessario aspettare ancora per avere altri dati dal
telescopio spaziale Fermi.
Un’equipe di astronomi della NASA ha intercettato uno strano rumore cosmico il cui suono
è sei volte più forte di quanto ci si aspettasse.
Il rumore, rilevato il segnale con uno strumento a bordo della mongolfiera ARCADE
(Absolute Radiometer for Cosmology, Astrophysics, and Diffuse Emission).proviene dalle
zone remote del cosmo, nessuno sa cosa sia a causarlo.
Le onde sonore non possono viaggiare nel vuoto (di cui è composta la maggior parte dello
spazio), o almeno non possono farlo in modo efficiente, ma le onde radio sì. Esse non
sono onde sonore bensì elettromagnetiche, situate nella zona a bassa frequenza dello
spettro luminoso.
Nell’universo molti oggetti, comprese le stelle e i quasar, emettono onde radio. Anche la
nostra galassia, la Via Lattea, emette un sibilo statico (rilevato per la prima volta nel 1931
dal fisico Karl Jansky). Anche altre galassie inviano un sibilo di sottofondo. Ma il rumore
rilevato dal team di Kogut è molto più forte di quanto ci si poteva aspettare.
A luglio 2006, l’ARCADE è stato lanciato dalla Columbia Scientific Balloon Facility della
NASA a Palestine, in Texas, e ha raggiunto una quota di circa 120.000 piedi (36.500
metri), dove l’atmosfera si dirada verso il vuoto dello spazio. La missione dell’ARCADE era
di esplorare il cielo alla ricerca dei deboli segni che attestassero la presenza di calore
proveniente dalla prima generazione di stelle, e invece ha rilevato questo rumore
misterioso proveniente dalle zone distanti dell’universo.
Analisi dettagliate hanno fatto escludere che esso possa derivare dalle stelle primordiali o
da qualsiasi fonte radio conosciuta, compresi i gas presenti nell’alone più lontano della
nostra galassia. Si esclude anche che possa provenire da altre radio-galassie.
Il rumore ha anche oscurato il segnale proveniente dalle prime stelle che si stava
cercando. D’altro canto, questa stessa interferenza cosmica potrebbe fornire indicazioni
importanti sullo sviluppo delle galassie nel periodo in cui l’universo era molto più giovane
di adesso, ovvero quando aveva meno della metà della sua età attuale. Poiché le onde
radio provengono da molto lontano, viaggiando alla velocità della luce, rappresentano
infatti un’epoca precedente dell’universo.
Radiogalassia - Wikipedia
Per molti mesi gli esperimenti di GEO600 sono stati però afflitti da un inspiegabile rumore
ed è qui che entra in gioco il “principio olografico”. Nel corso degli anni Novanta, i fisici
Leonard Susskind e Gerard 't Hooft suggerirono che il mondo tridimensionale di cui
abbiamo quotidianamente esperienza potrebbe essere una proiezione olografica di
processi fisici che hanno luogo su una lontana superficie bidimensionale.
Secondo molti moderni astrofisici, la composizione dello spazio-tempo non è continua ma,
a dimensioni microscopiche, nella scala di Planck, è composta di microgranuli (un po’
come i pixel che formano l’immagine digitale) la cui grandezza è pari alla lunghezza di
Planck (10—35 m), cento miliardi di miliardi di volte più piccoli di un protone, impossibili da
rilevare con gli strumenti attuali.
Pensare lo spazio-tempo come un ologramma significa pensare l’Universo come una sfera
bidimensionale ricoperta da queste minuscole unità Planck ognuna contenente un bit di
informazione (secondo il principio olografico il numero di unità Planck deve corrispondere
al numero dei bits dell’Universo). Secondo la teoria di Hogan, tutto ciò che esiste non è
altro che la proiezione tridimensionale dei microgranuli che esistono sulla superficie
bidimensionale della sfera. Ma il volume della sfera è molto maggiore della sua superficie
esterna. Secondo Hogan, il mondo interno deve essere dunque fatto di unità che superano
la lunghezza di Planck e la cui proiezione olografica potrebbe arrivare a circa 10—16 m,
potenzialmente rilevabili dagli esperimenti in corso. Se Hogan ha ragione, il rumore
rilevato da GEO600 indicherebbe la sfasatura tra i microgranuli originali e la loro
proiezione olografica.
Hogan è convinto che GEO600 si sia imbattuto nel limite fondamentale dello spazio-
tempo, il punto in cui esso cessa di manifestarsi come il continuum descritto da Einstein e
si dissolve in granuli: “È come se GEO600 stesse rilevando le microscopiche convulsioni
quantistiche dello spazio-tempo”.
Una ricerca italiana, pubblicata su Montly Notices, utilizzando i dati del satellite
INTEGRAL, dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ha scoperto che i buchi neri
supermassicci, quelli oscurati da nubi di polvere cosmica, sono più frequenti di quanto non
si pensasse, circa 1 su 4.
Gli astronomi le chiamano le galassie attive (Active Galactic Nuclei - AGN): si tratta di
galassie in cui una frazione significativa dell'energia viene emessa da oggetti diversi dai
normali componenti di una galassia: (stelle, polveri e gas interstellare) e, a seconda del
tipo di galassia attiva, può essere emessa lungo quasi tutto lo spettro elettromagnetico,
come infrarossi, onde radio, UV, raggi X o raggi gamma.
Tutte le galassie attive sembrano essere alimentate da una regione compatta posta al loro
centro. Alcune di queste regioni emettono getti di materia che possono essere molto
lunghi, trasportando energia verso strutture estese (come nelle radiogalassie). Ma in tutti i
casi è il nucleo, il cosiddetto motore centrale, ad essere la fonte di energia. Secondo il
modello standard, l'energia è generata da materia che cade in un buco nero
supermassiccio (che ha una massa compresa tra 1 milione e 1 miliardo di volte quella del
Sole). Questo modello è supportato da osservazioni che suggeriscono la presenza di un
buco nero supermassiccio nel centro della Via Lattea e di molte altre galassie.
Le galassie di Seyfert, i quasar e i blazar sono i tipi principali di AGN che emettono
radiazione energetica (raggi X e gamma). I quasar, in particolare, sembrano essere gli
oggetti più luminosi dell'universo conosciuto.
Le galassie attive in cui l’attività del buco nero è oscurata da una densità di polvere e gas
tale da assorbire le pur potentissime emissioni ad alta energia sono chiamate «AGN
fortemente oscurati» (“Compton thick AGN”) e non sono rilevabili con i raggi x. Secondo lo
studio guidato da astrofisici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica
(INAF-IASF) di Bologna, tali galassie, osservate con i raggi gamma, sono una frazione
rilevante della popolazione totale di AGN.
Per calcolarne correttamente la distribuzione, occorre valutare non solo quanta polvere li
avvolge, ma anche a che distanza si trovano. È ciò che ha fatto il gruppo di astrofisici
guidato da Angela Malizia, dell’INAF-IASF Bologna, basandosi sui dati raccolti dal
telescopio spaziale INTEGRAL, finanziato per l’Italia dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana).
«Abbiamo preso in esame il campione completo delle 88 AGN con l’emissione più
intensa», spiega Malizia, «le abbiamo analizzate una ad una, con infinita pazienza,
ricostruendone il flusso, l’oscuramento e la distanza. Ci siamo accorti che quelli
fortemente oscurati diminuivano mano a mano che la distanza aumentava. Così, per
calcolare in modo affidabile la distribuzione, abbiamo pensato di selezionare un sotto-
campione che comprendesse solo le sorgenti più vicine».
Il risultato? Gli AGN fortemente oscurati sono superiori al 24% del totale, dunque circa 1
su 4.
“Da tempo si cercavano questi AGN oscurati. Adesso li abbiamo intercettati e visti anche
grazie agli osservatori spaziali che dimostrano così di funzionare benissimo. Ora
sappiamo che questi buchi neri giganti sono molti di più di quanto riuscissimo a vedere e
che si nascondono all'interno di un nucleo galattico attivo, coperti dalle polveri galattiche",
conclude Angela Malizia.
INTEGRAL chases obscured active galaxies in the deepest extragalactic hard X-ray
survey to date 01 agosto 2008
One in four AGN is Compton thick in the local Universe 18 agosto 2009
La materia sparisce verso il buco nero nella Via Lattea Altro Giornale 03 maggio
2009
Black Holes Are The Rhythm At The Heart Of Galaxies 19 novembre 2008
Louis Crane, professore di matematica alla Kansas State University, sta elaborando nuovi
approcci alla teoria della gravità quantistica. Secondo Crane, il problema del modello
standard, quello attualmente in voga in fisica, è che prevede molte costanti fondamentali,
ad esempio quelle relative alle forze fondamentali e alle masse delle particelle elementari,
senza spiegarne il valore. “Basterebbero sottili differenze nei valori”, dice Crane, “e ci
ritroveremo in un altro universo”.
La sua idea si basa sul lavoro del fisico teorico Lee Smolin. Ma, mentre Smolin propone
un Universo perfettamente “sintonizzato” per produrre stelle e pianeti, Crane crede che la
sintonizzazione serva a produrre delle civiltà industriali, inclusa la nostra. “La vita non
potrebbe esistere se le stelle non brillassero da miliardi di anni”, dice ancora Crane, “solo
la sintonizzazione delle costanti permette ciò come ad esempio l’abbondanza di carbonio
che rappresenta il fondamento della vita”.
Crane sostiene che se veramente è possibile creare dei buchi neri artificiali, allora civiltà
industriali come la nostra potranno produrli ed utilizzarli per viaggi interstellari.
Si ritiene che i buchi neri producano un nuovo universo alla fine della singolarità ma che
sia irraggiungibile. Secondo Crane potrebbero essere universi sintonizzati per produrre
vita, civilizzazioni e, eventualmente, altri buchi neri. “Credo che le forme di vita siano parte
di un grande ciclo evoluzionario che include universi e buchi neri”.
I buchi neri astrofisici nascono quando la materia diviene così densa da collassare in un
punto detto singolarità: la forza di gravità del buco nero è così grande che nulla, neanche
la luce, può sfuggire dal confine attorno ad esso chiamato orizzonte degli eventi. La
radiazione di Hawking, teorizzata dal noto fisico da cui ha preso il nome, è una radiazione
termica che si ritiene sia emessa dai buchi neri a causa degli effetti quantistici.
A proposito di buchi neri artificiali, che cosa è successo alla “macchina della fine del
mondo”, il generatore di buchi neri che per qualche giorno, un anno fa, ha fatto temere
l'Apocalisse?
Il gigante degli acceleratori, il Large Hadron Collider (LHC) del Cern di Ginevra, che
promette di aprire la finestra su una nuova fisica, dodici mesi fa ha lavorato per 60 ore
sotto i riflettori di tutto il mondo e poi, il 20 settembre, un guasto lo ha fermato.
Per i fisici che vi lavorano non è stato facile, ma non è stato tempo perduto: «È stato un
anno molto operoso e siamo contenti, la macchina ripartirà a metà novembre», dice il
direttore della ricerca del Cern, Sergio Bertolucci.
L'LHC ripartirà con l'energia di 7 Tev (7.000 miliardi di elettronvolt), metà di quella
massima. Probabilmente ci sarà una breve pausa a Natale, a febbraio-marzo 2010
raggiungerà i 10 Tev e poi lavorerà ininterrottamente fino a fine anno.
Una corsa per scongiurare il sorpasso con l'acceleratore americano Tevatron? «Più che
una sfida tra Europa e Usa, è una sfida tra due sponsor, ma non della comunità
scientifica», dice Roberto Petronzio, presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
(INFN), uno dei principali partner di LHC e CERN. «Tantissimi fisici italiani ed europei
lavorano negli Usa, è una comunità molto ibrida», aggiunge.
A fermare l'LHC era stata la rottura di una delle giunzioni che alimentano elettricamente i
magneti e la scarica generata aveva provocato la rottura di una delle condutture in cui
scorre l'elio liquido, necessario a mantenere bassa la temperatura per il funzionamento dei
magneti superconduttori. Da allora si è lavorato moltissimo, e non solo per riparare i danni.
Per Bertolucci «è stata una pausa utile. Oltre a riparare i danni, abbiamo avuto modo di
migliorare in modo sostanziale l'operatività della macchina», aggiunge.
È stato sostituito il sistema che segnala situazioni critiche nei magneti: ci sono volute
7.000 nuove schede elettroniche e 250 chilometri di cavi, ma ora l'LHC è 3.000 volte più
sicuro. «In caso di incidente - prosegue - i danni non si estenderebbero più all'intera
macchina, ma a uno o due magneti. Complessivamente la sicurezza è aumentata almeno
di un fattore dieci». È stato poi messo a punto un sistema per analizzare le giunzioni in
tempo reale: «A intervalli di pochi minuti conosciamo la situazione di ogni singola
giunzione».
Nemmeno la ricerca è stata ferma: «Nelle 60 ore in cui ha funzionato, l'LHC ha acquisito
moltissimi dati e c'è stato tutto il tempo di studiarli con cura», dice ancora. È stata poi
messa alla prova l'intera rete di calcolo (Grid) destinata ad analizzare la valanga di dati
attesa nei prossimi anni.
Non ci sono state le collisioni fra protoni, ma le centinaia di migliaia di raggi cosmici che
hanno attraversato gli apparati dei quattro esperimenti dell'LHC sono state preziose:
«Hanno permesso di allineare tutti i tracciatori con la precisione di 10 millesimi di
millimetro», un'operazione che avrebbe comunque richiesto mesi a macchina accesa.
Cosa succederà quando i fisici raggiungeranno il limite della tecnologia utilizzata per gli
acceleratori di particelle?
I fisici Stephen West, della University of London, Max Bañados, della Pontifical Catholic
University di Santiago del Cile, e Joseph Silk, della University of Oxford ritengono che
saranno proprio i buchi neri rivelare la “nuova fisica”.
Se due particelle accelerano verso un buco nero ruotante con una certa velocità
potrebbero collidere con altissime energie, molto superiori a quelle che potremmo mai
raggiungere sulla Terra.
Per il loro acceleratore a modello naturale, i tre scienziati hanno scelto particelle di materia
oscura: particelle che interagiscono debolmente ma che attratte da un buco nero
potrebbero formare materia ordinaria. I calcoli del team mostrano che se il buco nero ruota
ad alta velocità e le particelle lo approcciano ad una determinata angolazione, allora
potrebbero collidere l’una con l’altra a energie estreme.
Dopo la collisione, una significativa porzione di ciò che viene prodotto sarebbe risucchiato
nel buco nero. Ma, secondo i ricercatori, potrebbe anche generarsi una energia sufficiente
per consentire ad altre porzioni di sfuggire all’attrazione. Per rilevare esattamente quanta
energia è necessaria, si conta nei prossimi esperimenti come ICECUBE in Antartico e
naturalmente il Large Hadron Collider.
“Le energie che verranno sviluppate dall’LHC dovrebbero raggiungere il picco di 14
teraelettronvolts”, dice West, “mentre le energie intorno ad un buco nero sono
teoricamente senza limiti”. Anche se non occorre andare oltre la cosiddetta “energia
Planck”, il punto in cui la nostra comprensione matematica delle interazioni tra particelle, in
particolare della gravità, si infrange a livello quantistico (si tratta di un’energia nell’ordine di
1018 gigaelettronvolts, 100 trilioni di volte maggiore di quella dell’LHC).
"Con la collisione di buchi neri si potrebbe veramente ricreare l’inizio dell’Universo”, dice
ancora West. Il modello di “acceleratore Planck” realizzato dal team potrà forse sondare la
potenzialità delle particelle coinvolte nelle GUTs (Grand Unified Theories – Teorie della
Grande Unificazione), la scala di energia dove le quattro forze fondamentali si ritiene
possano fondersi.
Black holes are the ultimate particle smashers New Scientist 09 settembre 2009
Milky Way's black hole the ultimate particle accelerator 29 febbraio 2007
ICECUBE
Lo scorso marzo, un comunicato del Fermilab annunciava di aver raccolto indizi che
indirettamente confermavano la presenza della agognata particella. «Con i ritardi
accumulati a Ginevra, il Tevatron ha conquistato una seria chance di arrivare per primo»,
ha dichiarato al New Scientist Greg Landsberg della Brown University di Providence, uno
dei tanti americani arrivati al Cern per collaborare alla ricerche con il nuovo acceleratore.
«Per il 2011 — hanno sostenuto alla fine d’agosto molti ricercatori statunitensi riuniti in una
conferenza ad Amburgo — avremo registrato abbastanza dati per permetterci di capire il
ruolo del bosone di Higgs nella teoria del modello standard».
A Chicago avevano persino detto che LHC era «troppo potente» per riuscire a individuare
il bosone perché l’energia alla quale si esprime sarebbe più bassa di quella eccezionale a
cui si arriva a Ginevra. «Questa mi sembra proprio una stupidaggine», risponde
sorridendo Sergio Bertolucci, direttore scientifico del Cern, «a tutti piace arrivare primi —
aggiunge diplomaticamente — però la gara deve essere vinta con la fisica. Anche perché
l’avvistamento del bosone è solo l’inizio di una nuova storia che riserverà sorprese ancora
più eclatanti».
La sfida è tremendamente complicata perché teoricamente sono previsti cinque tipi diversi
di «particella di Dio» e poi è determinante, per decifrare il tutto, capire come si accoppia.
Quanto la sfida Chicago-Ginevra si stia arroventando lo dimostra l’iniziativa del celebre
astrofisico britannico Stephen Hawking il quale ha scommesso che la particella di Higgs
non esiste. E il fisico di Edimburgo Peter Higgs, che l’ha ideata e battezzata risponde
polemico: «Hawking non ci crede perché lui, per arrivare al Nobel, propone un’altra
spiegazione».
Fermilab Closer To Discovering Higgs Boson 'God Particle', redorbit, 14 marzo 2009
Fermilab
Brian Greene, fisico teorico della Columbia University di New York, ha passato gran parte
dell’ultima decade a decantare le virtù della teoria delle stringhe nella convinzione che un
giorno fornirà ai fisici una “teoria del tutto” capace di descrivere completamente il nostro
universo. Il suo bestseller “L’Universo Elegante” tratta eloquentemente la ricerca di questa
teoria ultima.
La teoria delle stringhe prevede molti universi, anche molto diversi dal nostro. La speranza
è che riesca ad individuare uno di questi universi come l'unico possibile: il nostro. Finora
ciò non è stato possibile e per questo motivo i teorici delle stringhe stanno iniziando a
tentennare: forse, davvero, il nostro universo potrebbe non essere il solo esistente.
Fino a poco tempo fa molti erano riluttanti ad accettare l'idea del "multiverso" (molti
universi), la consideravano come una vera e propria "falla" nella teoria. Adesso invece non
solo accettano questa possibilità ma cercano di provarla.
Uno dei primi studiosi che si sono avventurati in questo campo è stato il fisico russo Andrei
Linde che ora lavora presso la Stanford University. Nel 1980 Linde sviluppò la teoria
dell’"inflazione", secondo cui nelle prime frazioni di secondo successive al Big Bang
l'universo avrebbe conosciuto una crescita esponenziale. La teoria dell'inflazione
spiegherebbe come mai l'Universo appare omogeneo su grande scala e perché lo spazio-
tempo è "piatto", sebbene la teoria di Einstein abbia ampiamente dimostrato come esso
possa essere facilmente curvato.
Lo stesso Linde ha ipotizzato che il fenomeno dell'inflazione possa essere ancora in atto,
addirittura eterno (“eternal inflation”), nel senso che potrebbe verificarsi di continuo e ogni
volta generare un distinto universo. Lo spazio del multiverso sarebbe allora formato da un
mosaico di differenti universi, ciascuno caratterizzato dalla presenza di determinati tipi di
particelle fondamentali e in determinati rapporti che generano diverse leggi.
Estremizzando ancora di più la teoria si arriva a supporre che le costanti universali, come
ad esempio la massa dell'elettrone o la costante cosmologica, siano determinate in modo
del tutto casuale, e che, sempre casualmente, le costanti e le leggi che governano il nostro
universo si siano rivelate adatte alla vita.
Secondo la teoria delle stringhe, tutte le particelle fondamentali alla base della materia e
delle forze naturali sono generate dalla vibrazione di sottili stringhe in 10 dimensioni. Le
sei dimensioni extra dello spazio, rispetto alle quattro di cui abbiamo esperienza (spazio -
larghezza, altezza, lunghezza - e tempo), sono nascoste ai nostri sensi, confinate in scale
ultramicroscopiche, vicine o addirittura inferiori a quella della lunghezza di Planck
(approssimativamente pari a 1,6 × 10-35 metri).
La geometria spaziale prodotta dalle dimensioni extra è più complessa in quanto gli
ipervolumi che si creano in questi spazi hanno molte più geodetiche, cioè percorsi che
identificano punti lontani in detto spazio. Questo aumento di complessità determina un
allontanamento dalla geometria euclidea.
Nel 2004, Michael Douglas, dellae State University of New York, e Leonard Susskind, della
Stanford University, dopo aver indagato gli sviluppi della teoria delle stringhe dissero che
tutte le teoriche varietà di spazio-tempo dovevano essere considerate seriamente come
realtà fisiche, quindi anche il multiverso. Susskind coniò il termine "the landscape of string
theory" per descrivere i 10500 o più possibili universi. Niente nella teoria delle stringhe
suggerisce che qualcuno di questi universi è preferito rispetto agli altri, tutti sono
ugualmente probabili.
Susskind dice che i fisici dovrebbero cominciare a porsi le questioni cosmologiche rispetto
ad un contesto multiversale, non più rispetto ad un unico universo. Questioni come:
possiamo identificare il punto esatto del panorama cosmico che corrisponde al nostro
universo, o almeno le parti che più gli assomigliano? È possibile stabilire quali proprietà
del nostro universo possono essere derivate dai principi primi e quali sono casuali?
Possiamo trovare parti del panorama con condizioni tali da rendere plausibile la teoria
dell’inflazione eterna?
Monodromy in the CMB: Gravity waves and string inflation 05 luglio 2008
Lee Smolin, autore del bestseller “The Trouble With Physics: The Rise of String Theory,
the Fall of a Science, and What Comes Next” (Trad. it. di S. Freudiani, "L'universo senza
stringhe Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza", Einaudi 2007), fondatore e
ricercatore del Perimeter Institute for Theoretical Physics di Waterloo, in Canada, ha scritto
un articolo su Physics World cercando di spiegare perché le teorie cosmologiche secondo
cui il nostro universo è solo uno di tanti – il cosiddetto “Multiverso” – che sostengono che il
tempo non esiste sono sbagliate.
Insieme al filosofo brasiliano Roberto Mangabeira Unger, Smolin ritiene che se veramente
esistesse un multiverso infinito le nostre leggi fische non sarebbero determinabili
sperimentalmente: le connessioni tra le leggi fondamentali, uniche e applicabili
universalmente, e le leggi effettive, basate sulle osservazioni, diventerebbero confuse.
Propone quindi una nuova serie di principi a cominciare dall’asserzione che c’è un solo
universo: tutto ciò che è reale lo è in un dato momento, che segue ad una successione di
momenti precedenti; tutto ciò che in un dato momento è frutto di un processo di
cambiamento che porta al momento successivo. “Se c’è un solo universo, allora non c’è
ragione di separare leggi e condizioni iniziali”, dice Smolin, “ciò di cui abbiamo bisogno è
una legge che spieghi l’unica storia dell’unico universo”.
Se si abbraccia l’idea che esiste un solo universo e che il tempo è una proprietà
fondamentale della natura, si può pensare a delle leggi fisiche che evolvono col tempo.
“La nozione secondo cui la verità può essere scoperta solo trascendendo le nostre
esperienze vincolate al tempo è una fantasia irrealizzabile”, dice ancora Smolin, "quello
che fanno i fisici non è altro che scoprire le leggi che regolano l’universo che esperiamo
insieme al tempo. Tutto ciò che vuole andare oltre è un bisogno religioso di trascendenza
non è scienza".
LINKS
DARK UNIVERSE
DARK FLUID
UNIVERSO INFO-PLATONICO
LHC APOCALYPSE
LHC APOCALYPSE 2