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Universit di L'Aquila

Facolt di Ingegneria
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Appunti dalle Lezioni di
Fisica Tecnica Ambientale
Termodinamica Applicata
Introduzione, Primo e Secondo Principio
Prof. F. Marcotullio
Ottobre 2013
ii
Indice
Avvertenze v
Testi consigliati vii
1 Sistemi di unit di misura 1
1.1 Generalit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Grandezze fondamentali e derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.3 Sistema C.G.S . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.4 Sistema M.K.S o Giorgi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
1.5 Sistema Tecnico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.6 Sistema inglese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.7 Sistema internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.8 Fattori di conversione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
2 Concetti di base e denizioni 11
2.1 Oggetto della termodinamica e sua metodologia . . . . . . . . . . 11
2.2 Il sistema termodinamico e gli stati di equilibrio . . . . . . . . . 12
2.3 Grandezze di stato e equazioni di stato . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.3.1 La pressione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.3.2 Il volume specico e la densit . . . . . . . . . . . . . . . 14
2.3.3 La temperatura e il Principio Zero . . . . . . . . . . . . . 15
2.4 Le trasformazioni termodinamiche e le grandezze di processo . . 20
2.4.1 Trasformazioni quasi statiche con scambi di lavoro termo-
dinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.4.2 Trasformazioni quasi statiche con scambi di calore . . . . 26
3 Le propriet termodinamiche delle sostanze pure 29
3.1 Gli stati di aggregazione della materia . . . . . . . . . . . . . . . 29
3.2 Il diagramma p-v-T per una sostanza pura . . . . . . . . . . . . . 30
3.3 I sistemi monofase e il diagramma p-T . . . . . . . . . . . . . . . 31
3.4 Il gas perfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
3.5 I gas reali e la legge degli stati corrispondenti . . . . . . . . . . . 36
3.6 I sistemi bifase, il diagramma p-v e i vapori saturi . . . . . . . . 39
iii
iv INDICE
4 Il primo principio della Termodinamica 43
4.1 Lenergia interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
4.2 Lentalpia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
4.3 Esperimento di Joule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
4.4 Lenergia interna e lentalpia del gas ideale . . . . . . . . . . . . . 47
4.5 La trasformazione adiabatica quasi statica del gas ideale . . . . . 48
4.6 I calori specici alla luce del Primo Principio . . . . . . . . . . . 50
4.7 Limiti del Primo Principio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
5 Secondo Principio della Termodinamica 55
5.1 La conversione dellenergia e le macchine . . . . . . . . . . . . . . 55
5.2 Trasformazioni reversibili e non reversibili . . . . . . . . . . . . . 56
5.3 Enunciato di Kelvin-Planck del Secondo Principio . . . . . . . . 57
5.4 Enunciato di Clausius del Secondo Principio . . . . . . . . . . . . 59
5.5 Il teorema di Carnot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
5.5.1 Il ciclo di Carnot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
5.5.2 La scala assoluta della temperatura . . . . . . . . . . . . 62
5.6 Lentropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
5.7 Entropia e irreversibilit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5.8 Entropia del gas ideale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
5.9 Il diagramma di stato T-s . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
Avvertenze
La presente dispensa didattica rivolta agli allievi del Corso di Fisica Tecnica
Ambientale (Corso di Laurea in Ingegneria Edile - Architettura) e costituisce la
raccolta completa degli argomenti svolti in aula.
Disporre della dispensa tuttavia non esime n dai doverosi approfondimenti
sui testi consigliati, n soprattutto dalla frequenza delle lezioni e delle esercita-
zioni.
Saranno graditi suggerimenti nonch la segnalazione di errori ed inesattezze.
v
vi AVVERTENZE
Testi consigliati
Testi consigliati in lingua italiana:
1. M.W. Zemansky, M.M. Abbott e H.C. Van Ness, Fondamenti di Termo-
dinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna 1979
2. M. Felli, Lezioni di Fisica Tecnica - Volume I: Termodinamica, Macchine,
Impianti, Morlacchi Editore, Perugia 1998
3. G. Moncada Lo Giudice, Termodinamica applicata, Masson, Milano 1999
4. A. Cavallini, L. Mattarolo, Termodinamica applicata, Cleup, Padova 1992
5. Yunus A. engel, Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill
- Libri Italia, Milano 1998
vii
viii TESTI CONSIGLIATI
Capitolo 1
Sistemi di unit di misura
1.1 Generalit
Nello studio della Fisica e dellIngegneria ha interesse lanalisi dei fenomeni
da un punto di vista quantitativo. Il risultato di una tale indagine porta alla
scrittura di relazioni matematiche (leggi del fenomeno) tra i valori assunti da
certe grandezze capaci di caratterizzare il fenomeno stesso le quali, come tali,
debbono risultare misurabili.
Eettuare la misura di una grandezza consiste nel confrontarla, secondo un
assegnato criterio, con unaltra, omogenea alla prima, scelta come campione e
detta unit di misura.
In generale, quindi, indicando con G la grandezza generica e u la sua unit
di misura, la misura

G di G pari a:

G =
G
u
in cui , essendo

G il rapporto tra grandezze omogenee, rappresenta un numero
puro.
La scelta dellunit di misura ovviamente convenzionale ed arbitraria. Ne
risulta che se per G si fosse assunta una diversa unit di misura, ad esempio:
u

= m u
allora la misura

G

di G sarebbe stata:

=
G
u

=
G
m u
=
1
m
G
u
=

G
m
ed m o 1/m costituisce il fattore di conversione tra le due unit di misura.
Come si vede, al variare dellunit di misura varia anche la misura (

G o

nellesempio precedente) della grandezza G. E necessario quindi esprimere


sempre una grandezza con il numero (puro) che ne esprime il valore (

G o

G

) e
la relativa unit di misura allo scopo di evitare grossolani errori di valutazione.
1
2 CAPITOLO 1. SISTEMI DI UNIT DI MISURA
1.2 Grandezze fondamentali e derivate
In linea di principio, per quanto detto nora, man mano che le diverse gran-
dezze si presentano, si potrebbe procedere alla denizione delle relative unit di
misura.
Ci tuttavia diventerebbe scomodo da un punto di vista pratico. Si pensi
solo ai problemi connessi con listituzione prima e la realizzazione pratica poi
di campioni delle unit adottate la cui funzione quella di costituire in qual-
siasi momento un riferimento attendibile, preciso, riproducibile, accessibile ed
invariabile. Poich tra le grandezze intercorrono, come mostra lesperienza, del-
le relazioni a volte costituite dalle denizioni delle stesse (come accade per la
velocit media, ad esempio, intesa come rapporto tra uno spazio percorso ed il
tempo impiegato a percorrerlo) o da relazioni geometriche (larea di una super-
cie di un rettangolo data dal prodotto delle lunghezze dei due lati) o, ancora, da
principi o legge generali (la forza data come prodotto della massa per laccelera-
zione dalla seconda legge della dinamica) si preferito, per comodit, scegliere
un certo numero di grandezze siche indipendenti denominate fondamentali o
primarie. Da queste si ricavano tutte le altre che perci sono dette derivate o
secondarie a patto che siano denite e date tutte le leggi e le equazioni che le
correlano alle prime.
Fissate allora le unit di misura delle grandezze fondamentali, le unit di
misura delle grandezze derivate si ottengono inserendo nelle relazioni che espri-
mono le corrispondenti grandezze, al posto delle grandezze fondamentali le re-
lative unit di misura. Nel caso si considerasse, come si far, la velocit come
grandezza derivata mentre come fondamentali la lunghezza (con unit di misu-
ra il metro) e il tempo (con unit di misura il secondo), lunit di misura della
velocit si ottiene partendo dalla sua denizione:
v =
s
t
=
metro
secondo
e si usa dire nella fattispecie, che, la velocit ha dimensione [1] per la lunghezza
e dimensione [1] per il tempo intendendo per dimensione di una grandezza
derivata rispetto ad una fondamentale lesponente che questa presenta nella
denizione della prima. Si usa scrivere a proposito, una relazione del tipo:
[v] =
_
L T
1

denominata equazione dimensionale. Se una grandezza derivata presenta dimen-


sione nulla rispetto a tutte le grandezze fondamentali, si dice che la grandezza
adimensionale. Essa assume lo stesso valore qualunque sia il sistema di unit
di misura scelto purch coerente. Si coglie loccasione per ricordare che tutte
le equazioni non solo esprimono uguaglianza numerica, ma anche dimensionale
dei due membri dellequazione stessa.
La scelta delle grandezze fondamentali, la scelta delle relative unit di mi-
sura, (unit fondamentali), la individuazione delle relazioni o leggi siche in
base alle quali ricavare le grandezze derivate e le relative unit di misura (unit
derivate) consentono di denire un sistema di unit di misura.
1.2. GRANDEZZE FONDAMENTALI E DERIVATE 3
La scelta delle grandezze fondamentali stata scandita dallo sviluppo storico
della scienza. La geometria, che forse la scienza di pi antiche tradizioni, si
basa principalmente sul concetto di lunghezza che fu perci la prima grandezza
fondamentale.
Lastronomia ha poi associato al concetto di lunghezza quello di intervallo
di tempo che divenne la seconda grandezza fondamentale. Fino a questo punto
era possibile denire tutte le grandezze cinematiche. Nel seguito, la necessit
di studiare i fenomeni dinamici costrinse alla scelta di una terza grandezza fon-
damentale. Tale grandezza poteva essere indierentemente la massa o la forza.
Dalladozione della prima scaturisce un sistema di unit di misura pi comune-
mente impiegato nel campo scientico (CGS, MKS). Ladozione della seconda
origina un sistema di unit di misura pi orientato a soddisfare la maggior parte
delle applicazioni pi comuni (sistema tecnico). Tali sistemi consentono lo stu-
dio di tutti i fenomeni meccanici. In seguito, lintroduzione della termodinamica
richiese ladozione di una ulteriore grandezza fondamentale: la temperatura. Lo
studio dei fenomeni elettromagnetici impose lintroduzione di una quinta gran-
dezza. Tra le varie possibilit (la carica elettrica, la resistenza elettrica, ...)
prevalse lindicazione fornita dalla moderna elettrodinamica: lintensit di cor-
rente elettrica. La sesta grandezza fondamentale fu lintensit luminosa per i
fenomeni ottici e, inne, la settima: la quantit di materia particolarmente utile
nel campo della chimica-sica.
Sebbene, come gi accennato, la scelta delle unit di misura sia completa-
mente arbitraria, essa deve rispettare tuttavia certi criteri di convenienza e di
praticit, come ladozione di unit che non siano cos grandi n cos piccole da
imporre, poi, nei calcoli luso di troppi pressi per multipli e sottomultipli. Ci
nonostante, tale criterio non sempre applicabile in quanto spesso non com-
patibile con la costruzione pratica del campione dellunit di misura. Questo
deve essere denibile in maniera semplice, univoca e completa; possibilmente
attraverso un campione naturale invariabile nel tempo e nello spazio e di facile
riproducibilit.
Un sistema di unit di misura si dir:
completo quando in esso sono denite un numero di grandezze fondamen-
tali in grado di rappresentare tutti i campi della Fisica;
assoluto quando le unit in esso adottate sono invariabili in ogni tempo
e luogo e sono denite teoricamente senza alcun riferimento a denizioni
sperimentali;
coerente quando il prodotto o il quoziente di pi unit di tale sistema
forniscono una nuova unit il cui valore sempre unitario;
decimale quando i multipli e i sottomultipli delle sue unit sono scelte
secondo potenze di 10.
Per motivi storici i sistemi di unit di misura ancora oggi maggiormente diusi
sono il sistema inglese (i primi tentativi di unicazione risalgono al tredicesimo
secolo) e quello metrico (relativamente pi recente essendo stato introdotto da
4 CAPITOLO 1. SISTEMI DI UNIT DI MISURA
Napoleone negli ultimi anni del settecento). Sebbene il secondo abbia vantaggi
sensibili rispetto al primo (unit di misura riferite a campioni ritenuti allora
invariabili, grandezze caratterizzate da una sola unit di misura con multipli
e sottomultipli decimali) ancora oggi, come allora, il sistema inglese in uso
sia in Inghilterra che nei suoi domini (Stati Uniti compresi). Con lavvento
dellera industriale, di quella spaziale, di nuove e pi sosticate tecnologie, di
un pi stretto scambio commerciale e scientico a livello internazionale, non
solo si sentita lesigenza oggettiva di un sistema di unit di misura che dovesse
rispondere a esigenze scientiche e tecnologiche (precisione e denizione dei
campioni pi spinta), ma anche di unicazione. Nonostante siano oggi ben 41 i
paesi industrializzati che fanno capo alla Conferenza Generale dei Pesi e Misure
(CGPM) e sia stato messo a punto il sistema internazionale (SI), la relativa
diusione avviene con lentezza essendo nelle persone profondamente radicata
labitudine a pensare in termini di unit da troppo tempo introdotte. Lentit
di questa trasformazione, daltra parte, non deve essere valutata solo in base
a considerazioni di natura psicologica ma anche di natura economica. Basti
pensare al costo derivante dalla sostituzione degli strumenti di misura e di quelli
per il controllo della produzione in ambito industriale.
Nel seguito si illustreranno sia il sistema inglese ( ancora fortemente radica-
to nella letteratura tecnica e scientica anglosassone e soprattutto americana)
che quelli derivati dal sistema metrico: pi sommariamente il CGS, M.K.S. e
Tecnico, pi diusamente, per ovvie ragioni, il Sistema Internazionale. Sono
riportate, sebbene limitate agli scopi che qui si perseguono, alcune tabelle che
elencano sia le unit di misure fondamentali che derivate e le relative simbologie,
sia i fattori di conversione che consentono il passaggio da un sistema allaltro.
1.3 Sistema C.G.S
Risale al 1881. Nella versione originale prevede tre sole grandezze fondamentali:
Lunghezza (L), Massa (M), Tempo (T) scegliendo come unit di misura, rispet-
tivamente, il centimetro (cm), il grammo massa (g) e il secondo (s). Esistono
anche altri due distinti sistemi: il C.G.S. elettrostatico e il C.G.S. elettromagne-
tico allo scopo di estendere luso di questo sistema anche a grandezze elettriche.
Il sistema C.G.S. metrico decimale, assoluto e coerente in quanto tutte le uni-
t derivate hanno valore unitario. Eattualmente molto usato dai sici mentre
i tecnici ne fanno un limitato uso per i piccoli valori che assumono le unit
derivate rispetto a quelli di uso comune nelle applicazioni tecniche.
1.4 Sistema M.K.S o Giorgi
Nei primi anni di questo secolo si inizi luso del sistema M.K.S. che prevede le
medesime grandezze fondamentali del C.G.S. (lunghezza, massa e tempo) ma
diverse unit di misura (metro, kg massa e secondo). Nel seguito fu corredato
di una nuova grandezza fondamentale (lintensit di corrente elettrica) la cui
1.5. SISTEMA TECNICO 5
unit lAmpre. Anche questo sistema, al pari del C.G.S., decimale, assoluto
e coerente. La larga diusione avuta dal sistema Giorgi dovuta essenzialmente
al fatto che esso ben si presta sia ad usi tecnici che scientici e didattici. Esso
, di fatto, la base per il Sistema Internazionale (SI).
1.5 Sistema Tecnico
Edetto anche Pratico o degli Ingegneri. Esso basato su tre grandezze fon-
damentali: lunghezza (metro), tempo (secondo) e forza (Kg peso). Ne risulta
che la massa, a dierenza degli altri sistemi n qui elencati, una grandezza
derivata la cui unit (U.T.M. unit tecnica di massa) denita come la massa
che sotto lazione del Kg forza riceve una accelerazione pari allaccelerazione di
gravit g. Essendo laccelerazione di gravit variabile da luogo a luogo, anche
lunit di misura risulta variabile, in generale, nel tempo e nello spazio. Ne
deriva, quindi, che il S.T. non assoluto. Inoltre esso non coerente. Infatti
nella denizione di alcune grandezze derivate, le relative unit di misura hanno
coeciente diverso da uno. Ad esempio, la massa, grandezza derivata ha una
unit di misura (UTM) pari a:
1 UTM =
1 kg
f
g
m
s
2
=
1
g
kg
f
m
1
s
2
o lunit di potenza, spesso impiegata, espressa dal cavallo (o cavallo vapore):
1 CV = 75
kg
f
m
s
1.6 Sistema inglese
E basato sulle stesse tre grandezze fondamentali di sistemi C.G.S. e M.K.S. ma
con diverse unit di misura (Iarda = 91.4 cm, Libbra = 0.454 Kg, Secondo). I
multipli e sottomultipli non sono decimali. Per la lunghezza, infatti, si usano di
frequente anche il Pollice (1 Inch = 2, 54 cm e pari a 1/36 di Iarda) e il Piede
(1Foot = 12 Inch = 1/3 Iarda = 30, 5 cm). Per i multipli e sottomultipli
dellunit di massa si usano, rispettivamente, lo Stone (1 Stone = 14 Libbre =
6, 4 Kg) e lOncia (1 Oncia = 1/16 Libbra = 28 gr). Il sistema inglese non
n decimale n coerente per cui il relativo uso non semplice. Esiste anche
un sistema di unit di misura Pratico (Lunghezza, Forza, Tempo). Le unit di
misura corrispondenti sono: la Iarda, la Libbra-forza e il secondo.
1.7 Sistema internazionale
Nasce nel 1960 e rappresenta una estensione ed un perfezionamento del sistema
M.K.S. Esso decimale, assoluto e coerente. Le grandezze fondamentali, come
gi ricordato, sono:
6 CAPITOLO 1. SISTEMI DI UNIT DI MISURA
la Massa (M) che ha come unit di misura il chilogrammo (Kg) corrispon-
dente alla massa di un cilindro di platino-iridio conservato e Sevrs. Esso
dovrebbe corrispondere, a meno di errori per i nostri scopi trascurabili, al-
la massa di un decimetro cubo di acqua distillata alla sua massima densit
(4 gradi centigradi);
la Lunghezza (L) che ha come unit di misura il metro (m). Esso cor-
risponde ad un multiplo (1.650.763.73 volte) della lunghezza donda nel
vuoto della riga arancio-rossa del Cripto 86. Del metro esiste, come mo-
to, anche un campione materiale conservato a Sevrs. Esso costituito
da una barra di platino irido, tenuta a zero gradi centigradi, su cui sono
incise due tratti alla distanza, appunto, di un metro;
il Tempo (T) che ha come unit di misura il secondo (s) ed equivale ad
1/86.400 del giorno solare medio. Pi esattamente la denizione del cam-
pione viene legata a fenomeni atomici e molecolari invariabili e suscettibili
di misure estremamente precise. Perci il secondo attualmente deni-
to come la durata di 9.192.631.770 cicli della radiazione emessa tra due
particolari livelli energetici del Cesio 133;
la Temperatura che ha come unit di misura il grado Kelvin (K) il qua-
le rappresenta 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo
dellacqua. Il grado Kelvin coincide con il grado centigrado che rappresen-
ta la centesima parte dellintervallo compreso tra il punto di solidicazione
(zero gradi centigradi) e ebollizione (cento gradi centigradi) dellacqua alla
pressione di 1 atmosfera. Se si trattano, quindi dierenze di temperatura,
esse possono essere indierentemente espresse in gradi centigradi e gradi
Kelvin;
lIntensit di corrente elettrica che ha come unit di misura lAmpre (A).
Lampre rappresenta lintensit di corrente elettrica che se mantenuta in
due conduttori elettrici, paralleli, rettilinei, di lunghezza innita, di sezione
circolare trascurabile rispetto alla distanza, posti alla distanza di un metro
luno dallaltro nel vuoto produce fra di essi una forza di 210
7
N per
ogni metro di lunghezza;
lIntensit luminosa che ha come unit di misura la Candela Internazionale
(Cd). Essa rappresenta lintensit luminosa, nella direzione perpendicola-
re, di una supercie di 1/600.000 di metro quadrato di un corpo nero alla
temperatura di solidicazione del platino alla pressione atmosferica;
la Quantit di sostanza che ha come unit di misura la mole (mol). Essa
rappresenta la quantit di sostanza che contiene tante entit elementari
quante ne sono contenute in 0.012 Kg di carbonio 12. Poich la massa
del carbonio 12, per convenzione internazionale, stata ssata proprio in
0.012 Kg, la quantit di sostanza, corrispondente ad una massa assegnata,
data dal rapporto tra la massa (Kg) e la massa molare (Kg/mol).
1.8. FATTORI DI CONVERSIONE 7
Presso Fattore Simbolo Presso Fattore Simbolo Presso Fattore Simbolo
exa 10
18
E etto 10
2
h micro 10
6

peta 10
15
P deca 10
1
da nano 10
9
n
tera 10
12
T 1 pico 10
12
p
giga 10
9
G deci 10
1
d femto 10
15
f
mega 10
6
M centi 10
2
c atto 10
18
a
kilo 10
3
k milli 10
3
m
Tabella 1.1: Denominazione e simboli dei pressi dei multipli e sottomultipli
decimali delle grandezze fondamentali e derivate del S.I.
Oltre alle predette sette grandezze fondamentali sono previste due grandezze
supplementari che nella loro denizione fanno ricorso a unit di lunghezza e di
area:
langolo piano che ha come unit di misura il radiante (rad). Esso rappre-
senta langolo piano che su una circonferenza di raggio qualsiasi, avente
centro nel vertice dellangolo, intercetta un arco di lunghezza uguale al
raggio della circonferenza stessa;
langolo solido che ha come unit di misura lo steradiante (sr). Esso
rappresenta langolo solido che, su una sfera avente centro nel vertice del-
langolo e raggio qualsiasi interessa una calotta di area pari a quella di un
quadrato avente lato uguale al raggio della sfera stessa.
Per quelle grandezze, fondamentali o derivate, che risultassero troppo grandi o
troppo piccole per la particolare applicazione, sono raccomandati alcuni pressi
per la designazione dei multipli e sottomultipli che sono assunti decimali. Tali
pressi, i relativi fattori e simboli sono mostrati nella Tab....
1.8 Fattori di conversione
Le trasformazioni tra diverse unit di misura una operazione ricorrente per
i motivi pi volte richiamati. Il calcolo passa attraverso la scrittura delle
equazioni di conversione:
1 m 39.37 in
1 N 0.225 lb
f
ovvero nella determinazione dei fattori di conversione che si ottengono dalle
precedenti dividendo per il primo membro:
1 39.37
in
m
1 4.158
lb
f
N
8 CAPITOLO 1. SISTEMI DI UNIT DI MISURA
La trasformazione di una unit derivata da un sistema allaltro si pu eettuare
impiegando sia le equazioni che i fattori di conversione. A solo titolo di esempio
si voglia esprimere in unit S.I. (J) un lavoro pari a 30 lb
f
ft.
Impiegando le equazioni di conversione:
1 ft 0.305 m
1 lb
f
4.448 N
da cui:
30 lb
f
ft = 30 1 lb
f
1 ft 30 0.305 m 4.448 N 40.7 J
mediante i fattori di conversione si sarebbe ottenuto:
1 0.305
m
ft
1 4.448
N
lb
f
e in denitiva
30 lb
f
ft = 30 lb
f
ft 1 1 30 lb
f
ft 0.305
m
ft
4.448
N
lb
f
40.7 J
Nel seguito sono riportati i fattori di conversione tra alcune unit di mi-
sura (fondamentali e derivate) di pi largo impiego per le nostre nalit e
relativi ai sistemi di unit di misura gi descritti.
1.8. FATTORI DI CONVERSIONE 9
Tabella 1.2: Fattori di conversioni per unit di massa.
Per convertire da a moltiplicare per
grammi, g chilogrammi 1.00 10
3
UTM chilogrammi 9.80665
Libbra-massa, lb
m
chilogrammi 0.4536
Tabella 1.3: Fattori di conversioni per unit di lunghezza.
Per convertire da a moltiplicare per
centimetro, cm metro 1.00 10
2
pollice, in metro 2.54 10
2
piede, ft metro 0.3048
iarda metro 0.9144
Tabella 1.4: Fattori di conversioni per unit di forza.
Per convertire da a moltiplicare per
dina newton 1.00 10
5
kg-forza, kg
f
newton 9.80665
libbra-forza, lb
f
newton 4.4482
Tabella 1.5: Fattori di conversioni per unit di energia.
Per convertire da a moltiplicare per
erg joule 1.00 10
7
kcal joule 4186.8
kWh joule 3.6 10
6
chilogrammetro, kg
f
m joule 9.80665
libbra-forzapiede, lb
f
ft joule 1.3558
Tabella 1.6: Fattori di conversioni per unit di pressione.
Per convertire da a moltiplicare per
dine/cm
2
Pa (N/m
2
) 0.100
kg
f
/m
2
(mm H
2
O) Pa (N/m
2
) 9.80665
lb
f
/in
2
Pa (N/m
2
) 68794.76
atmosfera, atm Pa (N/m
2
) 1.013 10
5
bar Pa (N/m
2
) 1.00 10
5
tor (mm Hg) Pa (N/m
2
) 133.32
10 CAPITOLO 1. SISTEMI DI UNIT DI MISURA
Capitolo 2
Concetti di base e denizioni
2.1 Oggetto della termodinamica e sua metodo-
logia
La Termodinamica costituisce quella parte della Fisica che si interessa essen-
zialmente ai fenomeni nei quali sono implicati scambi di calore, lavoro e energia
in generale esaminandone i limiti della reciproca trasformabilit.
Tenuto conto che praticamente impossibile trovare una qualche applicazio-
ne di interesse dellingegneria in cui non si abbia a che fare, in modo pi o meno
diretto, con processi in cui sono coinvolti scambi di energia, una conoscenza
sucientemente approfondita dei concetti fondamentali della Termodinamica
da sempre ritenuta parte essenziale della preparazione dellingegnere.
Per lo studio della Termodinamica possono essere seguiti due approcci: quel-
lo fenomenologico e quello molecolare.
Il primo si fonda su pochi principi generali di natura sperimentale e su un
numero limitato di grandezze direttamente misurabili e percepibili dai nostri
sensi (termodinamica classica).
Il secondo richiede, al contrario, la conoscenza della struttura della materia
e si basa sullanalisi statistica di un numero molto elevato di grandezze non
direttamente misurabili n capaci di impressionare i nostri sensi (termodinamica
statistica).
I vantaggi del primo approccio costituiscono i difetti del secondo.
Infatti, se la termodinamica classica presenta lo svantaggio di non poter di-
re nulla su aspetti importanti come quello della struttura della materia e della
natura dellenergia, presenta il vantaggio di basarsi su verit sperimentali ed
essendo particolarmente adatta allanalisi delle applicazioni della termodina-
mica allingegneria quella che si seguir in questo corso. La termodinamica
classica si basa su quattro principi (o postulati) fondamentali stabiliti per via
sperimentale:
Il principio zero che si occupa dellequilibrio termico.
11
12 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
Il primo principio o di equivalenza o di Mayer-Joule (1842-43) che riguarda
la conservazione dellenergia.
Il secondo principio o di Carnot (1824) che si occupa della trasformabilit
tra forme diverse di energia e dello studio dei fenomeni reali.
Il terzo principio o di Nerst (1906) che si occupa delle propriet della materia
in prossimit dello zero assoluto e propriet particolari interne dei corpi pi
speciche della chimica che esulano dalle nalit di questo corso.
2.2 Il sistema termodinamico e gli stati di equi-
librio
Si denisce:
Sistema Termodinamico quella parte delluniverso che oggetto del nostro
studio. I sistemi possono essere in quiete o in moto nello spazio. Nel
seguito si far riferimento, salvo diversa esplicita indicazione a sistemi in
quiete.
Mezzo o Ambiente Circostante quella parte delluniverso che non sistema
ma che interagisce con il sistema.
Il sistema viene distinto dallambiente circostante connandolo allinterno di una
supercie che ne costituisce la frontiera; essa pu essere reale o immaginaria.
Le interazioni tra sistema e mezzo, come pure i conseguenti scambi di ener-
gia, avvengono attraverso la frontiera; la natura delle interazioni e della forma
dellenergia scambiata dipendono dalle caratteristiche della frontiera stessa. In
particolare:
Se la frontiera deformabile, possono presentarsi interazioni di tipo mec-
canico. Queste, al contrario, sono certamente assenti in presenza di una
frontiera rigorosamente rigida.
Se la frontiera diatermica (una supercie metallica ad esempio) possono
presentarsi interazioni di natura termica le quali sono assenti in presenza
di una frontiera adiabatica.
Se la frontiera permeabile alla materia, le interazioni consistono in scambi
di massa tra sistema (denominato in questo caso aperto) e lambiente circo-
stante. Se la frontiera impermeabile alla materia, le predette interazioni
sono assenti ed il sistema detto chiuso.
Se la frontiera tale da impedire qualunque tipo di interazione, allora
siamo in presenza di un sistema isolato. Osserviamo che il sistema e
lambiente circostante costituiscono, nel loro insieme, un sistema isolato.
Si dice che un sistema in equilibrio quando esso non in grado di compiere
cambiamenti spontanei. Lequilibrio pu essere chimico, meccanico e termico. Si
dice che un sistema chimicamente inerte in equilibrio termodinamico quando
2.3. GRANDEZZE DI STATO E EQUAZIONI DI STATO 13
sono assenti al suo interno ed in corrispondenza della sua frontiera interazioni
di tipo meccanico e termico.
2.3 Grandezze di stato e equazioni di stato
Consideriamo un sistema in equilibrio termodinamico. Lesperienza mostra che
a questa condizione sono associabili precisi valori di un certo numero N, gene-
ralmente limitato, di grandezze siche riferiti al sistema nel suo insieme i quali
deniscono, in modo oggettivo, lo stato (di equilibrio) del sistema stesso. Tali
grandezze si dicono variabili o funzioni di stato e si distinguono in estensive
o intensive a seconda che, rispettivamente, dipendano o meno dalla massa del
sistema
1
. In taluni casi pu risultare utile riferirsi allunit di massa del sistema.
In queste circostanze si parla di grandezze di stato speciche le quali, come tali,
divengono intensive.
In generale, non tutte le N grandezze di stato sono indipendenti nel senso
che, ssate un certo numero i di esse, restano ssate le restanti Ni. Il numero
i di grandezze di stato indipendenti caratteristico del sistema e viene detto
varianza del sistema stesso. La varianza si ricava dalla regola delle fasi di Gibbs:
i = n f + 2 (2.1)
dove n rappresenta il numero dei componenti (specie chimiche) che costituiscono
il sistema ed f il numero delle fasi (solida, liquida, gassosa) presenti.
Sistemi di interesse per questo corso e per molteplici applicazioni dellinge-
gneria sono:
le sostanze pure, ossia una singola specie chimica (n = 1), in ununica fase
(f = 1). In questo caso la varianza i = 3 f. Si hanno sistemi costituiti
da ununica fase (solida, liquida, aeriforme) per i quali i = 2. Interessanti
per la tecnica sono anche sistemi costituiti da ununica specie chimica in
due fasi (f = 2) per i quali i = 1. Sistemi costituiti da ununica specie
chimica in cui coesistono le tre fasi in equilibrio presentano i = 0.
le miscele monofasi di pi specie chimiche. Un caso ricorrente riguarda
miscele di pi gas chimicamente inerti. In questo caso la varianza i =
n 1 + 2 = n + 1. Si vedr a suo tempo che laria umida (laria che ci
rirconda) costituita da due componenti (aria secca e vapor dacqua) e,
come tale, presenta una varianza i = 2 + 1 = 3.
Una volta che le i variabili di stato indipendenti sono state ssate, qualsiasi altra
grandezza di stato legata alle prime dalla cosiddetta equazione di stato. Esiste
una equazione di stato per ciascuna delle N i variabili di stato dipendenti;
le N i equazioni di stato costituiscono il sistema delle equazioni di stato. Le
1
A solo titolo di esempio si consideri una massa m di gas connato in un serbatoio di volume
V. Si immagini di suddividere idealmente il serbatoio in due parti uguali: per ciascuna delle
due parti le funzioni di stato intensive risultano dimezzate a dierenza di quelle intensive.
14 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
equazioni di stato sono di origine sperimentale e il pi delle volte sono date in
forma di tabelle o di graci detti diagrammi di stato.
I sistemi che saranno trattati qui possono essere descritti attraverso gran-
dezze di stato facilmente misurabili quali il volume V , la pressione p e la
temperatura T. La prima estensiva, le restanti due sono intensive.
2.3.1 La pressione
La pressione una grandezza scalare, denita come il rapporto tra il modulo
della forza agente ortogonalmente a una supercie e larea della supercie stessa.
Nelle unit del sistema internazionale si misura in Pascal (1 Pa =
1 N
m
2
). La pres-
sione assume particolare importanza in numerose discipline per cui continuano
ad essere impiegate molte unit di misura. Oltre alle anglosassoni, si sente spesso
parlare di atmosfera standard (1 atm = 1.013 10
5
Pa), di bar (1 bar = 10
5
Pa)
unitamente ai suoi sottomultipli (pi noto il millibar spesso impiegato per le
variazioni della pressione atmosferica in conseguenza di variazioni climatiche).
Continuano ad essere impiegate unit di misura manometriche della pressione le
quali si basano sulla pressione generata dal peso di una colonna di liquido di una
certa altezza h e base pari ad 1 m
2
. Si parla di mm di Hg (1 atm = 760 mmHg)
o metri di colonna dacqua (1 atm = 10.332 mH
2
O)
2
.
2.3.2 Il volume specico e la densit
Una variabile di stato estensiva il volume V occupato dal sistema. Lunit di
misura del volume nel S.I. il m
3
. In Termodinamica si usa riferirsi pi spesso
al volume specico v, denito come il volume occupato dallunit di massa:
v =
V
m
m
3
kg
Una ulteriore grandezza di stato intensiva la densit denita come la massa
contenuta nellunit di volume:
=
m
V
=
1
v
kg
m
3
La densit dei solidi e dei liquidi fortemente inuenzata dalla temperatura; in
genere la densit diminuisce allaumentare della temperatura in quanto i solidi e
i liquidi si dilatano allaumentare della temperatura. A questa regola, tuttavia,
esistono delle eccezioni. Lacqua, ad esempio, nellintervallo 0-4C presenta una
contrazione di volume e quindi unaumento della densit. La densit dei gas
inuenzata dalla pressione (il volume di un gas diminuisce con la pressione a
temperatura costante) e dalla temperatura (il volume di un gas aumenta con la
temperatura a pressione costante).
2
Si ricorda che la densit dellacqua e del mercurio valgono, alla temperatura ambiente,
1000 e 13589 kg/m
3
rispettivamente
2.3. GRANDEZZE DI STATO E EQUAZIONI DI STATO 15
A
A
A
A
B
B
A
A
B
B
B
B
x
1
x
2
x
2
x
1
y
1
y
2
y
2
y
1
Figura 2.1: Sistemi in equilibrio termico
2.3.3 La temperatura e il Principio Zero
Meno immediata la denizione di temperatura. Allo scopo supponiamo che
il sistema chiuso A si trovi in uno stato di equilibrio. Supponiamo altres, per
ssare le idee, che il sistema sia bivariante. Siano x
A
1
e y
A
1
le due variabili
indipendenti che ne caratterizzano lo stato A
1
. Si consideri ora un secondo si-
stema B, anchesso bivariante, il cui stato B
1
sia rappresentato dalle grandezze
di stato x
B
1
e y
B
1
. Si supponga ora di porre a contatto i due sistemi con inter-
posta una parete diatermica (Fig.2.1) che ne conserva lidentit permettendo,
contemporaneamente, una interazione di tipo termico come gi si detto.
Si osserva sperimentalmente che i due sistemi non permangono nello stato
iniziale ma, interagendo mutuamente attraverso la parete diatermica, evolvo-
no nella direzione che annulla tali interazioni. Gli stati nali raggiunti sono di
equilibrio per ciascuno dei due sistemi e le coppie di variabili di stato che li carat-
terizzano non sono indipendenti dovendo esprimere lequilibrio ( detto equilibrio
termico) dellinsieme dei due sistemi interagenti. Il legame viene stabilito dal
Principio Zero della Termodinamica il quale aerma che esiste per qualunque
sistema termodinamico in equilibrio una grandezza di stato chiamata tempera-
tura. Luguaglianza della temperatura condizione necessaria e suciente per
lequilibrio termico.
Sulla base del principio zero per i due sistemi A e B di Fig. 2.1 si possono
scrivere le equazioni di stato seguenti:
f(x
A
2
, y
A
2
) = T e g(x
B
2
, y
B
2
) = T
che costituiscono il legame cercato.
La temperatura misurabile. Allo scopo necessario ssare una scala, una
unit e una serie di regole che ne consentono la misura. Per far ci si far
riferimento ancora al principio zero della termodinamica. Si visto, infatti, che
16 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
se dato un sistema A in uno stato di equilibrio di cui si voglia conoscere la
temperatura, suciente mettergli a contatto un secondo sistema B mediante
una parete diatermica. Allorch lequilibrio termico stato raggiunto il sistema
B sar caratterizzato dalla medesima temperatura di A (in virt del principio
zero) e da un certo numero di grandezze di stato (il cui numero e la cui natura
dipendenti dal sistema considerato) che si sono portate dai valori relativi allo
stato iniziale a quelli relativi allo stato nale di equilibrio. Supporremo che il
sistema B abbia caratteristiche tali da non indurre variazioni apprezzabili nello
stato iniziale di A e quindi delle variabili di stato temperatura compresa. Il
sistema B verr denominato termometro e una qualsiasi delle sue variabili di
stato, che indichiamo genericamente con X, caratteristica termometrica. Le
restanti (una sola se B bivariante) assumono valori costanti e deniti.
Il legame funzionale T = T(X) tra la caratteristica termometrica X e la
temperatura T viene denominata funzione termometrica. Questa funzione del
tutto arbitraria e per essa si pu ipotizzare una struttura semplice del tipo:
T = aX
La costante a pu essere determinata associando convenzionalmente un valore
della temperatura (T
rif
) a un assegnato valore della caratteristica termometrica
(X
rif
). Anche questa associazione del tutto arbitraria sebbene sia utile tenere
presente la facile riproducibilit dello stato di riferimento per ovvi motivi. Si
avr allora:
T
rif
= aX
rif
da cui a =
T
rif
X
rif
e inne:
T =
X
X
rif
T
rif
Lequazione precedente denisce una scala della temperatura. Lo stato di riferi-
mento riconosciuto come punto sso standard della termometria il cosiddetto
punto triplo dellacqua. Esso si riferisce alla coesistenza, in equilibrio, dei tre
stati di aggregazione dellacqua: solido liquido e aeriforme. Alla temperatura
di questo stato si attribuisce, convenzionalmente, il valore di 273,16 K (gradi
Kelvin) per cui:
T = 273.16
X
X
rif
(2.2)
Il grado Kelvin, che rappresenta lunit di misura della temperatura nel S.I.,
denito come la 1/273, 16 parte di quella del punto triplo dellacqua.
Anche per il termometro si pu adottare, in linea di principio, un sistema
termodinamico qualsiasi sebbene nella pratica risulta comodo riferirsi ad una
sostanza pura monofase (bivariante).
Un gas chiuso in un recipiente (v=cost) che varia la sua pressione, varia
anche la sua temperatura (essendo questa una variabile di stato). Quindi si pu
scrivere che:
T = T(p) v = cost
2.3. GRANDEZZE DI STATO E EQUAZIONI DI STATO 17
Serbatoio
di mercurio
Bulbo
Indice
Capillare
h
Figura 2.2: Termometro a gas
Allo stesso modo, un liquido in un capillare, a pressione costante, che varia il
suo volume (ovvero la sua lunghezza L) varia anche la sua temperatura:
T = T(L) p = cost
Un resistore elettrico per una pressata geometria cambia la sua resistenza R
con la temperatura:
T = T(R)
Per ognuno dei termometri considerati si potr scrivere una relazione analoga
alla (2.2). Cos per il termometro a gas a volume costante:
T = 273.16
p
p
rif
Per il termometro a liquido a pressione costante:
T = 273.16
L
L
rif
Per il termometro a resistenza:
T = 273.16
R
R
rif
E semplice, a questo punto, vericare che tutti i termometri cos costruiti se
segnano lo stesso valore di T in prossimit di 273.16 K, indicano valori diversi
in ogni altra condizione essendo diverso in generale il legame che la caratteristica
termometrica ha con la temperatura. Ne consegue che:
T = f (X, Termometro)
18 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
O
P
T
(
P
)
H
N
Aria
2
2
2
Figura 2.3: Termometro a gas
Quindi, per la corretta denizione di una scala delle temperature anche neces-
sario ssare, oltre ad uno stato di riferimento, anche un termometro di riferi-
mento. Il termometro in parola quello a gas a volume costante (vedi Fig.2.2).
Il motivo risiede nelle seguenti osservazioni sperimentali:
Si misuri una temperatura con un termometro a gas a volume costante.
Si otterr:
T

(p) = 273.16
p

rif
Si manometta ora il termometro diminuendo la massa di gas nel bulbo
e quindi la pressione di riferimento p

rif
. Se ora si eettua ancora la
medesima misura precedente si trova:
T

(p) = 273.16
p

rif
Si eettuino ulteriori misure della stessa temperatura in corrispondenza di
volumi di gas contenuti nel bulbo sempre pi piccoli e quindi di pressioni di
riferimento sempre minori. Si osserva che i valori T

, T

, T

, . . . pur se riferiti
ad una stessa temperatura sono diversi. Per un termometro a gas a volume si
pu aermare che:
T = T(p, p
rif
)
Se la medesima misura viene ripetuta con il medesimo termometro contenente,
per, un gas diverso dal primo, le nuove temperature dieriscono non solo tra di
loro ma anche dai dati della serie precedente come chiaramente mostrato dalla
Fig.2.3. Si dovrebbe, quindi, scrivere che:
T = T(p, p
rif
, gas)
2.3. GRANDEZZE DI STATO E EQUAZIONI DI STATO 19
Dalla medesima gura si osserva, tuttavia, che la dipendenza della temperatura
misurata dal gas e dalla pressione di riferimento si attenua man mano che la
massa del gas posto nel termometro (e con esso la pressione) diminuisce. Sembra
anzi che se p
gas
0 il termometro misura la medesima temperatura qualunque
sia il gas impiegato. Si ha cio:
T = T(p)
Questo comportamento, comune a tutti i gas in condizioni limite (p 0),
viene attribuito ad un ipotetico gas, non riscontrabile in natura, denomina-
to gas ideale. Si usa denire temperatura del gas ideale quella che si ottiene
dallequazione:
T = 273.16 lim
p
rif
0
p
p
rif
Notiamo che sia la denizione della scala della temperatura del gas ideale, sia
delle modalit operative di misura sono legate, come si appena visto, alle
propriet generali dei corpi in fase gassosa. Nel seguito vedremo che possibile
introdurre una scala delle temperature indipendente da qualunque sostanza.
Il termometro a volume costante a gas rappresenta il campione assoluto. Il
suo uso, tuttavia, delicato e riservato a laboratori specializzati. Per tale moti-
vo stata introdotta una scala internazionale pratica delle temperature (SIPT)
costituita da una serie di temperature, determinate con estrema precisione me-
diante il termometro a gas, relative ad altrettanti stati facilmente riproducibili
(punti tripli, punti di fusione o di ebollizione normali di sostanze pure) e da
un insieme di regole che indicano come interpolare tra i punti ssi. Rispetto a
questa scala ogni termometro secondario deve essere tarato. Oltre alla scala as-
soluta della temperatura termodinamica (che verr a suo tempo discussa), quella
del termometro a gas (o del gas ideale) ampiamente illustrata in precedenza e
alla SIPT, sono in uso anche altre scale empiriche che utile ricordare.
Scala Celsius. Utilizza una unit di misura (il grado Celsius o centigrado) la
cui ampiezza coincide con il grado Kelvin. Essa denita mediante due punti
ssi: quello del punto triplo dellacqua (0, 01gradi centigradi = 273, 16 gradi
Kelvin) e quello del vapore dacqua che condensa a pressione atmosferica (100
gradi centigradi = 373, 16 K). Si ha:
T(K) = T(C) + 273.15 (2.3)
Scala Fahrenheit. E molto usata nei paesi anglosassoni ed denita anchessa
mediante gli stessi due punti ssi della scala Celsius a cui, per, sono associati
valori diversi (punto triplo: 32 F; vapore dacqua a pressione atmosferica: 212
F). Il grado Fahrenheit quindi pi piccolo di quello Celsius essendo lo stesso
intervallo di temperatura espresso da 21232 = 180 F e da 100 gradi centigradi.
Si ha quindi che 1F = 100/180 = 5/9 C. In denitiva:
T(F) = 32 +
9
5
T(C)
T(C) =
5
9
[T(F) 32] (2.4)
20 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
Scala Ramur. E usata soprattutto in Francia e denita ancora con i soliti due
punti ssi a cui sono per associati rispettivamente 0 e 80 R. Ne risulta che il
grado Ramur pi grande di quello centigrado e, quindi, del grado F. Con
riferimento al grado centigrado si avr che:
T(R) = 4/5T(C) (2.5)
Scala Rankine. E utilizzata, al pari di quella Fahrenheit nei paesi anglosassoni.
Essa una scala assoluta al pari della scala Kelvin (entrambe hanno lo zero a
273.15 C) ma a dierenza di questa presenta come unit di misura il grado
Fahrenheit. In altri termini il legame tra la scala Rankine e la scala Farhrenheit
analogo a quello esistente tra la scala Kelvin e Centigrada. Si ha infatti che:
T(R) = T(F) + 459.67
essendo lo zero assoluto pari a 459.67 F. Tenendo conto della prima delle 2.4
si ricava il legame tra la scala centigrada e Rankine:
T(R) = 1.8T(F) + 491.67
Un confronto visivo tra le scale di temperatura su riportate mostrato in Fig.2.4.
273.15 491.67
500.67
0 32
5 41
283.15 509.67
278.15
10 50
K C R F
Figura 2.4: Scale di Temperatura
2.4 Le trasformazioni termodinamiche e le gran-
dezze di processo
Un sistema che permane indenitamente in condizioni di equilibrio termodi-
namico presenta scarso interesse per le nalit proprie della Termodinamica
Applicata. E pi utile, al contrario, che il sistema compia una trasformazione
termodinamica che lo porti da uno stato di equilibrio A (detto stato inizia-
le della trasformazione) ad uno stato di equilibrio B (detto stato nale della
trasformazione). Durante una trasformazione:
2.4. LE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE E LE GRANDEZZE DI PROCESSO21
1. variano, in generale, tutte le grandezze di stato del sistema;
2. si manifestano scambi di energia, nelle sue varie forme, tra il sistema e
lambiente attraverso la frontiera.
Si hanno dierenti tipologie di trasformazioni. Una prima classicazione distin-
gue tra:
1. trasformazione aperta, quando lo stato iniziale A diverso da quello nale
B. Se si indica con X una grandezza di stato qualsiasi essa subisce, in
conseguenza della trasformazione, una variazione pari a X
B
X
A
che
dipende solo dagli stati iniziale e nale della trasformazione e non dalla
trasformazione stessa;
2. trasformazione ciclica (o ciclo) se, al contrario, lo stato iniziale coinci-
de con quello nale (A B). Ne consegue che, essendo X
A
= X
B
,
nulla la variazione di una qualunque variabile di stato prodotta dalla
trasformazione ciclica.
Lesperienza mostra che per indurre un sistema in equilibrio termodinamico a
compiere una trasformazione suciente creare, tra sistema ed ambiente e/o
allinterno dello stesso sistema, uno squilibrio delle variabili di stato intensive
(pressione e temperatura). Tuttavia, le modalit seguite per produrre i suddetti
squilibri hanno ripercussioni su questioni di primaria importanza.
Pensiamo, solo per ssare le idee, ad un corpo solido (il sistema) che si trovi
in equilibrio termico con un uido che lo lambisce (lambiente). La temperatura
di ogni punto del sistema pari a quella, T
f1
, del uido. Se si vuole variare
la temperatura del sistema suciente variare la temperatura T
f
del uido.
Immaginiamo, ad esempio, che al tempo t
1
la T
f
venga variata istantaneamente
da T
f1
a T
f2
> T
f1
. Ora semplice convincersi del fatto che, mentre la tempe-
ratura dei punti del sistema immediatamente a contatto con il uido assumono
valori uguali a quella del uido stesso, i punti interni aumentano la propria con
ritardi temporali crescenti con la distanza dalla frontiera. Con la temperatura
variano, da punto a punto e nel tempo, le altre grandezze di stato del sistema.
Partendo dallistante t
1
il sistema percorre una trasformazione che dura no
allistante t
2
allorch la temperatura di ogni punto interno al sistema si porta
al valore T
f2
> T
f1
. Nellintervallo di tempo tra listante t
1
(prima del quale
il sistema era in equilibrio) e listante t
2
(dopo il quale il sistema ancora in
equilibrio) il sistema attraversa stati di non equilibrio per i quali non possibile
parlare di valori univoci delle variabili di stato riferiti al sistema nel suo insie-
me. Quindi, nel corso della trasformazione ipotizzata, impossibile descrivere
il sistema in modo sintetico (come vuole la Termodinamica classica) dalla cono-
scenza dei valori di un numero limitato di variabili di stato ognuno riferito al
sistema nel suo insieme.
Un discorso analogo vale anche in presenza di squilibri di pressione. Si pensi
ad un cilindro adiabatico munito di pistone mobile, anchesso adiabatico, che
racchiude un uido (il sistema) in equilibrio meccanico con un altro uido ester-
no al cilindro (lambiente). In tali ipotesi, il valore della pressione allinterno
22 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
del pistone uguale a quello p
1
che regna nel uido esterno. Si immagini, al
tempo t
1
di comprimere il gas variando istantaneamente il valore della pressione
esterna da p
1
a p
2
> p
1
. In conseguenza di ci la pressione allinterno del siste-
ma si porter istantaneamente al valore nale p
2
nei punti della massa uida a
contatto con la supercie del pistone, mentre nei punti pi lontani dal pistone
laumento della pressione si presenter con ritardi temporali crescenti con la
distanza dalla supercie mobile. Con la pressione variano, da punto a punto e
nel tempo, le altre grandezze di stato del sistema.
Partendo dallistante t
1
il sistema percorre una trasformazione che dura no
ad un istante t
2
allorch ogni punto interno al sistema si porta ad un valore
unico della pressione pari a p
2
> p
1
. Tra listante t
1
(prima del quale il sistema
era in equilibrio) e listante t
2
(dopo il quale il sistema ancora in equilibrio) il
sistema attraversa stati di non equilibrio per i quali non possibile parlare di
valori univoci delle variabili di stato riferiti al sistema nel suo insieme. Ancora
una volta si osserva che, nel corso della trasformazione, impossibile descrivere
il sistema in modo sintetico (come vuole la Termodinamica classica) dalla cono-
scenza dei valori di un numero limitato di variabili di stato ognuno riferito al
sistema nel suo insieme.
Per non rinunciare alla comodit derivante della descrizione sintetica adotta-
ta per i sistemi in equilibrio termodinamico si potrebbe pensare ridurre la velo-
cit con cui viene provocato lo squilibrio di temperatura e di pressione necessario
per indurre il sistema a trasformarsi.
Si riconsideri il processo di riscaldamento e si immagini di variare la tempera-
tura del uido da T
f1
a T
f2
in due step. Nel primo, la temperatura venga variata
da T
f1
, ad esempio, al valore T
fm
intermedio tra T
f1
e T
f2
e si attenda un tempo
suciente perch si raggiunga una condizione di equilibrio termodinamico con il
sistema alla temperatura uniforme T
fm
. A questo punto si procede, in modo del
tutto analogo, con il secondo step portando il sistema dalla temperatura T
fm
al-
la temperatura T
f2
. Cos facendo, il massimo valore dellindeterminazione della
temperatura allinterno del sistema pari a (T
f2
T
f1
)/2. Se si opera realizzan-
do n passi lindeterminazione massima della temperatura (T
f2
T
f1
)/n. Non
complicato convincersi che un risultato del tutto identico si ottiene pensando
di condurre per passi una trasformazione di espansione o di compressione.
Se si fa tendere allinnito il numero dei passi
3
:
tende a zero la velocit della trasformazione;
tende a zero la dierenza tra i valori che le variabili di stato intensive pre-
sentano tra punto e punto; in tal modo il sistema attraversa, nel corso della
trasformazione, inniti stati di quasi equilibrio innitamente prossimi.
Una trasformazione condotta secondo le modalit appena descritte si dice quasi
statica. E appena il caso di precisare che una trasformazione quasi statica, prin-
cipalmente per la sua innita lentezza, non trova riscontro nel mondo reale. Ci
3
Ovvero sino ad un numero sucientemente elevato da garantire che le dierenze di tem-
peratura allinterno del sistema siano, ad esempio, dello stesso ordine di grandezza degli errori
di misura o dello spessore della linea che rappresenta la trasformazione su un diagramma.
2.4. LE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE E LE GRANDEZZE DI PROCESSO23
F
S
ds
p v
Figura 2.5: Lavoro di espansione o di compressione
nonostante, la trasformazione quasi statica rappresenta unutile schematizzazio-
ne almeno per due motivi: a) esistono situazioni in cui la trasformazione reale
avviene secondo modalit che molto approssimano quelle di una trasformazione
quasi statica
4
; b) nei casi in cui ci non si verica, il ricorso alla trasformazione
quasi statica consente di ricavare, in modo relativamente agevole, risultati che
costituiscono un utile riferimento per la corrispondente trasformazione reale.
2.4.1 Trasformazioni quasi statiche con scambi di lavoro
termodinamico
Sempre lesperienza mostra che durante una trasformazione si manifesta co-
stantemente un trasferimento di energia tra il sistema e lambiente attraverso
la frontiera. Se gli squilibri prodotti tra sistema e ambiente riguardano la pres-
sione e la frontiera deformabile e adiabatica, si ha trasferimento di energia
solo sotto forma di lavoro
5
. Il lavoro a cui si sta facendo riferimento si trasferi-
sce dallambiente al sistema o viceversa in conseguenza della deformazione della
frontiera dovuta allapplicazione di una forza di pressione. Si parla in questo
caso di lavoro termodinamico o di lavoro di variazione di volume
6
.
4
Lelevata velocit con cui una variazione di pressione si propaga allinterno di una massa
gassosa (la velocit del suono nel gas dellordine delle centinaia di m/s) fa s che la variazione
della pressione avvenga istantaneamente in ogni punto della massa uida (i tempi di rilassa-
mento sono enormemente piccoli). Per tale motivo i rapidi processi reali di compressione e
di espansione di un gas possono essere approssimati a processi quasi statici a fronte di una
insignicante perdita di precisione nei risultati. Ci non si verica nei processi di riscalda-
mento e di rareddamento. La ridotta velocit con cui si propaga il calore in una massa uida
(specialmente gassosa), ovvero il lungo tempo di rilassamento, procura dierenze signicative
di temperatura tra punto e punto del sistema nel corso di una trasformazione reale.
5
Ricordiamo che in Fisica il lavoro denito come il prodotto scalare di una forza per lo
spostamento del punto di applicazione della forza stessa.
6
Vedremo a suo tempo che i sistemi aperti hanno, in genere, il contorno rigido e scambiano
lavoro con lesterno attraverso sistemi collegati ad un albero ruotante (turbine, compressori,
ventilatori). In questo caso si parla di lavoro allasse o di lavoro tecnico.
24 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
2
2
1
1
p
v
v v
l
Figura 2.6: Signicato geometrico del lavoro in un piano di Clapeyron
Si consideri il sistema costituito dallunit di massa di un gas racchiuso
allinterno di un cilindro a pareti rigide munito di pistone mobile senza peso
e di area S (vedi Fig.2.5); supporremo che: a) la supercie del cilindro e del
pistone siano adiabatiche in modo da poter ritenere assenti interazioni di tipo
termico e b) che il sistema sia in equilibrio termodinamico sotto leetto della
forza F
7
. Siano p e v la pressione ed il volume specico del sistema.
Il gas pu essere fatto espandere dal volume v a v + dv semplicemente di-
minuendo la forza antagonista F di una quantit dF. In conseguenza delle-
spansione, il pistone subisce uno spostamento ds = dv/S verso lalto e poich
il sistema esercita sul pistone una forza pari a p S esso cede una quantit di
energia sotto forma di lavoro pari a:
= pdv (2.6)
esprimibile attraverso le variabili di stato p e v. Per una trasformazione nita
quasi statica tra uno stato iniziale 1 (p
1
, v
1
) ed uno stato nale 2 (p
2
, v
2
) il
lavoro di espansione fatto dal sistema dato dallintegrale:
=
_
v2
v1
pdv
J
kg
(2.7)
Lequazione appena ricavata permette il calcolo del lavoro ceduto dallunit di
massa del sistema nel corso di un processo quasi statico di espansione purch sia
noto il percorso seguito dalla trasformazione ovvero, in un piano di Clapeyron,
la funzione p = p(v). La (2.6) e la (2.7), bench ottenute per un caso particolare,
hanno validit generale.
In maniera del tutto analoga e nelle medesime ipotesi si sarebbe potuto
incrementare di dF la forza F provocando una compressione innitesima con
il volume specico che passa da v a v dv. In questo caso il lavoro ricevuto
7
Non necessario specicare la natura di F. La forza antagonista pu essere dovuta ad un
peso e/o allattrito. E importante solo che ci sia.
2.4. LE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE E LE GRANDEZZE DI PROCESSO25
2 2
2
2
2
2
1 1
1
1
1
1
p
p
(+)
(b)
(c) (d)
(a)
(-)
p
p
v
v
v
v
v
v
v
v
v
v
v
v
l
l
(+) l l (-)
Figura 2.7: Lavoro scambiato nel corso di trasformazioni aperte e cicliche
dal sistema e pu essere ancora espresso, a meno del segno, mediante la (2.6) e
per una trasformazione di compressione nita, sempre a meno del segno, vale la
(2.7).
In un diagramma di stato pv la (2.7) acquista il noto signicato geometrico:
il lavoro compiuto dallunit di massa di un sistema quando passa dallo stato 1
allo stato 2 rappresentato dallarea racchiusa dallasse delle ascisse, le isocore
v = v
1
e v = v
2
e la curva che rappresenta la trasformazione (Fig.2.6). Dalla
(2.6) si vede che, essendo p sempre positiva, il segno di dipende dal segno di
dv. Quindi:
> 0 se dv > 0
< 0 se dv < 0
Diremo perci che positivo il lavoro ceduto dal sistema e negativo il lavoro
ricevuto dal sistema. Ritornando al diagramma di Clapeyron, il lavoro mostrato
in Fig.2.7,a positivo, quello in Fig. 2.7,b negativo.
Il lavoro scambiato nel corso di una trasformazione ciclica dato dallinte-
grale circolare non nullo:
=
_

Per una trasformazione ciclica reversibile lintegrale precedente pu essere cal-
colato mediante la:
=
_
pdv (2.8)
che, in un piano di Clapeyron, misura larea racchiusa dalla trasformazione
ed assume valore positivo o negativo a seconda del verso di percorrenza del
ciclo. E facile vericare, infatti, che il lavoro compiuto in un ciclo chiuso
26 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
positivo se il ciclo viene percorso in senso orario, negativo nel caso contrario
(vedi Fig.2.7,c,d).
Da quanto detto nora, emerge chiaramente che:
1. il lavoro termodinamico non una propriet del sistema
8
. E sbagliato,
pertanto, parlare di variazione di lavoro; corretto, invece, parlare di
quantit di lavoro trasferita tra il sistema e lambiente (o viceversa) du-
rante una trasformazione. Si voluto enfatizzare quanto appena aermato
indicando il lavoro innitesimo ceduto dal o al sistema con e non con d
con cui si usa indicare il dierenziale di una funzione (in Termodinamica
la variazione innitesima di una funzione di stato: dV , dT, dp).
2. il lavoro termodinamico una grandezza di processo nel senso che si
presenta solo nel corso di una trasformazione;
3. il lavoro termodinamico dipende dal percorso seguito dalla trasformazione
stessa; al contrario la variazione di una grandezza di stato dipende solo
dagli stati estremi della trasformazione;
2.4.2 Trasformazioni quasi statiche con scambi di calore
Se tra sistema ed ambiente vengono prodotti squilibri di temperatura e la fron-
tiera diatermica e indeformabile, il sistema subisce una trasformazione nel
corso della quale si osserva trasferimento, tra sistema e ambiente o viceversa, di
energia sotto forma di calore. Il calore, in eetti, una forma di energia che si
manifesta solo in presenza di una dierenza di temperatura e si trasferisce, spon-
taneamente
9
, dal corpo a pi alta temperatura a quello a pi bassa temperatura
ovvero, allinterno di uno stesso corpo, dalla regione a pi alta temperatura alla
regione a pi bassa temperatura.
A solo titolo di esempio si consideri un sistema di massa unitaria, in equi-
librio termico alla temperatura T, separato dallambiente da una supercie che
supporremo indeformabile e diatermica. Si immagini ora di modicare la tem-
peratura dellambiente portandola, ad esempio, da T a T + dT. E esperienza
corrente che il sistema si porter dallo stato di equilibrio iniziale ad uno stato
di equilibrio nale con lambiente circostante. Nel corso del processo ci sar
trasferimento dallambiente (alla temperatura pi alta) al sistema (a pi bassa
temperatura) di una quantit di calore innitesima che, per unit di massa del
sistema, indichiamo con q. Per una trasformazione nita quasi statica che porti
lunit di massa del sistema da uno stato iniziale 1 (alla temperatura T
1
) ad uno
nale 2 (alla temperatura T
2
> T
1
), la quantit di calore globalmente ricevuta
dal sistema pari a:
q =
_
2
1
q
J
kg
(2.9)
8
Se cos fosse lintegrale espresso dalla (2.8) dovrebbe essere nullo
9
I processi spontanei, o naturali, sono quelli che avvengono in natura senza necessit di un
intervento esterno.
2.4. LE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE E LE GRANDEZZE DI PROCESSO27
Assumeremo, per convenzione, positiva la quantit di calore ricevuta dal siste-
ma. Agli stessi risultati si giunge considerando una trasformazione quasi statica
nita che porti il sistema da una temperatura T
1
ad una temperatura T
2
< T
1
.
In questo caso il calore q espresso dalla (2.9) transita dal sistema allambiente
circostante e viene convenzionalmente assunto negativo.
Del calore q per unit di massa pu essere trasferito, al netto, al o dal sistema
anche nel corso una trasformazione ciclica quasi statica. In questo caso q dato
dallintegrale circolare non nullo:
q =
_
q
J
kg
(2.10)
ed positivo o negativo a seconda del verso di percorrenza del ciclo. Da quanto
sopra si pu dedurre che:
1. il calore non una propriet del sistema
10
. E sbagliato parlare di varia-
zione di calore; corretto,invece, parlare di quantit di calore trasferita
tra il sistema e lambiente (o viceversa) durante una trasformazione. Si
voluto enfatizzare quanto appena aermato indicando una quantit di ca-
lore innitesima con q e non con dq con cui si usa indicare il dierenziale
di una funzione (dV , dT, dp).
2. il lavoro una grandezza di processo nel senso che si presenta solo nel
corso di una trasformazione;
3. la quantit di calore trasferita tra sistema ed ambiente durante una tra-
sformazione dipende dal percorso seguito dalla trasformazione stessa.
Fatte salve alcune eccezioni, esperienza corrente che la somministrazione di
calore ad un sistema o, al contrario, la cessione di calore da parte di un sistema
provoca, rispettivamente, laumento o la diminuzione della temperatura del si-
stema stesso in una misura che dipende dal sistema. Si denisce capacit termica
C di un sistema di massa m il rapporto tra la quantit di calore Q scambia-
ta dal sistema nel corso di una trasformazione innitesima e la corrispondente
variazione di temperatura:
C =
Q
dT
La capacit termica C di un sistema:
1. si misura in
J
K
nelle unit del sistema internazionale;
2. una grandezza estensiva dipendendo dalla massa (Q = mq);
3. dipende dal sistema;
4. dipende, in generale, dalla temperatura;
5. dipende dalla trasformazione dipendendo dalla trasformazione il calore
scambiato.
10
Se cos fosse lintegrale espresso dalla (2.10) dovrebbe essere nullo
28 CAPITOLO 2. CONCETTI DI BASE E DEFINIZIONI
Legato alla capacit termica il calore specico che costituisce la capacit
termica dellunit di massa:
c =
q
dT
(2.11)
Il calore specico presenta la medesime propriet della capacit termica, ma si
misura in
J
kgK
.
Consideriamo due stati generici 1 e 2 appartenenti a due distinte isoterme,
una alla temperatura T e laltra alla temperatura T + dT. Poich possono
essere innite le trasformazioni impiegabili per portare il sistema dallo stato 1
allo stato 2, sono ugualmente inniti i valori del calore specico attribuibili al
sistema considerato. Inoltre, lesperienza mostra che i calori specici possono
assumere anche valori negativi il che signica che, nel corso di taluni processi,
il sistema si riscalda pur cedendo calore ed in altri, al contrario, si raredda
pur assorbendo calore. Sebbene da un punto pratico siano c
v
e c
p
quelli di
maggiore interesse in conseguenza dellimportanza applicativa che rivestono le
trasformazioni isocore e isobare, una spiegazione dellampia variabilit del calore
specico sar illustrata nel seguito.
Capitolo 3
Le propriet termodinamiche
delle sostanze pure
3.1 Gli stati di aggregazione della materia
E esperienza comune che, in assegnate condizioni termodinamiche, una sostanza
pura pu presentarsi in dierenti stati di aggregazione detti anche fasi
1
. Si
parla di fase solida, liquida e aeriforme
2
. Ciascuna di esse presenta proprie
peculiarit.
La fase solida caratterizzata da forze di coesione rilevanti. Le particelle
elementari, pertanto, si presentano luna accanto allaltra, pi o meno ordinate,
ed oscillano intorno ad un punto sso senza per spostarsi liberamente. Per tali
motivi un solido ha forma e volume propri.
Nello stato liquido lenergia delle particelle pi elevata che nello stato solido:
esse non sono legate saldamente e, pur non potendo allontanarsi come nello stato
aeriforme, scivolano le une sulle altre rompendo legami tra loro e formandone
di nuovi in continuazione. Un liquido, pur avendo un proprio volume, non ha
forma propria ed assume la forma del recipiente che lo contiene.
La fase aeriforme costituita da molecole indipendenti luna dallaltra, do-
tate di energia cinetica e soggette ad un movimento del tutto disordinato. La
mancanza di azioni reciproche tra le molecole fa s che esse, nel loro insieme,
assumano la forma e il volume del recipiente che le contiene.
E esperienza corrente, inoltre, che in appropriate condizioni termodinamiche
possano coesistere due fasi in equilibrio. Si pensi, ad esempio, ad acqua liquida
in cui galleggiano pezzi di ghiaccio. Allo stesso modo possibile osservare stati
1
Per fase si intende una porzione omogenea di materia dotata di propiet chimico-siche
invariabili (o variabili con continuit) e conni ben deniti
2
Meno conosciuto, sebbene di gran lunga pi comune nelluniverso, lo stato di plasma.
Esso stato riconosciuto come tale solo in tempi recenti grazie allo sviluppo delle teorie
atomiche e ha importanza per particolari applicazioni che esulano dai nostri interessi.
29
30CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
di equilibrio termodinamico in cui coesistono, in equilibrio, tutti e tre gli stati
di aggregazione.
3.2 Il diagramma p-v-T per una sostanza pura
Solido + vapore
Liquido + vapore
S
o
l i d
o

+

liq
u
i d
o
p
T
v
v = v
p = p
T = T
Linea del punto triplo
C
C
C
A
B
C
D
E
F
H
M
Q
O
N
Figura 3.1: Supercie p v T per una sostanza pura
Lequazione di stato F(p, v, T) = 0 di una sostanza pura chimicamente
inerte ed in equilibrio termodinamico determinata per via sperimentale ed
rappresentabile gracamente da una supercie su un diagramma di stato
tridimensionale p v T il cui andamento tipico mostrato in Fig.3.1.
Su di essa sono individuabili diverse zone. Alcune si riferiscono al sistema
monofase come la zona della fase solida (S), quella della fase liquida (L) ed,
inne, della fase aeriforme. Questultima, a seconda della zona sul diagramma,
presenta caratteristiche dierenti per cui prassi parlare della zona del vapore
(V), del gas (G) e del uido (F)
3
. Altre si riferiscono alla coesistenza di due
fasi in equilibrio. Si ha cos la zona del liquido+vapore, quella del solido+liquido
e quella del solido+vapore. Esiste una linea (linea del punto triplo) i cui punti
rappresentano gli stati termodinamici nei quali coesistono i tre stati solido,
liquido ed aeriforme.
Una linea come la ABDEF H rappresenta una isobara (il luogo
dei punti con p = cost), mentre una curva come la MNOQ una isoterma
(il luogo dei punti con T = cost) . Una isoterma particolare quella passante
3
Come si vede per T > T
C
la sostanza non pu esistere allo stato liquido. In particolare,
per p < p
C
siamo in presenza di gas, mentre per p > p
C
di uido. Per T < T
C
la sostanza
pu esistere allo stato aeriforme (vapore) se la pressione bassa oppure allo stato liquido se
la pressione sucientemente elevata.
3.3. I SISTEMI MONOFASE E IL DIAGRAMMA P-T 31
per il punto C (punto critico) detta isoterma critica. Essa giace nel piano p v
e presenta, in corrispondenza del punto triplo, un esso. Pertanto lisoterma
critica deve rispettare le due condizioni seguenti:
p
v

T=TC
= 0

2
p
v
2

T=TC
= 0 (3.1)
Lisobara che passa per il punto critico (p = p
C
) detta, analogamente isobara
critica.
3.3 I sistemi monofase e il diagramma p-T
Proiettando la supercie p v T di Fig.3.1 sul piano p T si ottiene il graco
mostrato in di Fig.3.2 detto anche diagramma delle fasi. In esso sono visibili le
zone di esistenza dei sistemi mono-fase le quali sono racchiuse dalle tre curve
seguenti:
La curva di sublimazione o di brinamento (a-t ) che si estende verso le
basse temperature ed i cui punti rappresentano stati di equilibrio di un
sistema bifase solido+vapore.
La curva di fusione o di solidicazione (t-b) i cui punti rappresentano stati
di equilibrio di un sistema bifase solido+liquido. Essa si estende verso le
alte pressioni (nora si sono raggiunte alcune decine o centinaia di migliaia
di atmosfere).
La curva di vaporizzazione o di condensazione (t-c) i cui punti rappresen-
tano stati di equilibrio di sistemi bifase liquido+vapore. Essa si estende
no al punto critico caratterizzato da una ben precisa coppia della tem-
peratura e della pressione (temperatura critica e pressione critica) propria
della particolare sostanza.
Il punto t da cui si dipartono le curve di cambiamento di fase rappresenta lo
stato (p
t
, T
t
) in cui possono sussistere in equilibrio i tre stati aggregati ed detto
punto triplo. Esso al pari del punto critico caratteristico della sostanza.
Alla sinistra della curva a-t-b si trova la zona di esistenza della fase solida;
a destra della curva a-t-c il dominio di esistenza della fase gassosa e tra le
curve t-b e t-c quello della fase liquida. La limitata estensione della curva di
vaporizzazione rende in un certo senso arbitraria la suddivisione in zone cui si
fatto prima riferimento. Cos la zona del liquido limitata dalla curva di
fusione e dallisoterma critica e la stessa isoterma critica rappresenta il conne
tra la fase vapore (la fase aeriforme caratterizzata da p < p
c
e T < T
c
che come
tale pu essere condensata sia diminuendo la temperatura che aumentando la
pressione) e quella gassosa vera e propria. Pi precisamente la regione del gas
caratterizzata da T > T
c
e p < p
c
. Cos un gas pu essere sempre condensato
diminuendone la temperatura. La zona con T > T
c
e p > p
c
racchiude uno stato
32CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
SOLIDO
p
p
T T
c
t
c t
p
T
LIQUIDO
isobara critica
I
s
o
t
e
r
m
a

c
r
i
t
i
c
a
VAPORE
FLUIDO
GAS
c
t
a
b
curva di vaporizzazione
c
u
r
v
a
d
i
s
u
b
lim
a
z
io
n
e
c
u
r
v
a

d
i

f
u
s
i
o
n
e
Figura 3.2: Diagramma p T di una sostanza pura
che presenta caratteristiche che non permettono di stabilire una distinzione netta
tra gas e liquido. Si parla cos di zona del uido.
Le curve di sublimazione (o di brinamento) e di vaporizzazione (o condensa-
zione) hanno sempre pendenza positiva. Ci signica che la pressione che carat-
terizza lo stato di un sistema bifase solido-vapore o liquido-vapore una funzione
monotona crescente con la temperatura. Al contrario, la curva di fusione (o di
solidicazione) pu presentare, a seconda della sostanza, una pendenza positiva
o negativa. In particolare, la pendenza positiva quando la solidicazione av-
viene con aumento di densit (diminuzione di volume) ed negativa quando la
solidicazione avviene con diminuzione di densit (aumento di volume)
4
.
Linteresse pratico per i sistemi monofase di una sostanza pura rivolto
a processi e sistemi che coinvolgono prioritariamente le regioni del gas e del
vapore.
3.4 Il gas perfetto
Losservazione sperimentale del comportamento dei gas (che costituiscono un
uido termodinamico) inizia intorno al XVII secolo. Tali osservazioni origina-
rono una serie di conclusioni che si concretizzarono in alcune leggi importanti
che sono qui riassunte:
1. Legge di Boyle e Mariotte: a temperatura costante, il volume di un gas
varia inversamente alla pressione. Con riferimento allunit di massa si
ha:
v
1
p
(3.2)
4
Lacqua, unitamente a poche altre sostanze, si espande solidicando. Se cos non fos-
se i ghiacci si deporrebbero sul fondo degli oceani dove costituirebbero ghiacciai perenni
impedendo lo sviluppo della vita e dellevoluzione delle attuali specie viventi.
3.4. IL GAS PERFETTO 33
p
p = p
2
2
1
2
1
1
2
2
1
2
X
X
(I)
(II)
1
T = T
p = p
v = v
T = T
p = p
v = v
T = T
p = p
v = v
v
Figura 3.3: Gas perfetto
o anche in altra forma:
(pv)
T
= cost = f
1
(gas) (3.3)
Ci vuol dire che, per un dato gas, presi due stati qualsiasi 1 e 2 purch
caratterizzati dallo stesso valore della temperatura, i valori della pressione
e del volume ad essi relativi (v
1
, p
1
, v
2
, p
2
) non sono indipendenti ma sono
legati dalla relazione:
p
1
v
1
= p
2
v
2
Inoltre dalla (3.3) deriva che in un piano di Clapeyron una trasformazio-
ne isoterma rappresentata da un ramo di iperbole (essendo p sempre
positiva).
2. Legge di Gay-Lussac: riscaldando un gas a pressione costante, il volume
del gas aumenta con la temperatura. Ancora per lunit di massa si pu
scrivere:
v T (3.4)
ovvero
_
v
T
_
p,gas
= cost = f
2
(gas) (3.5)
dove T rappresenta la temperatura, in gradi K, misurata da un termometro
a gas ideale. Cos, presi due stati qualsiasi 1 e 2 caratterizzati dalla
medesima pressione, i relativi valori del volume e della temperatura (v
1
,
T
1
, v
2
, T
2
) non sono indipendenti ma legati dalla relazione:
v
1
T
1
=
v
2
T
2
In un diagramma T,v una trasformazione isobara rappresentata da una
retta passante per lorigine.
34CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
Si considerino, ora, due stati qualsiasi 1 e 2 di un certo gas su di un diagramma
di Clapeyron (vedi Fig.3.3) e si passi da 1 a 2 mediante:
una trasformazione isoterma (I) che porti il sistema da 1 (a temperatura
T = T
1
) ad uno stato intermedio X con p = p
2
. Lo stato X quindi
caratterizzato p
2
, v
X
, T
1
;
una trasformazione isobara (II) che porti il sistema da X a 2.
Per le predette trasformazioni possibile scrivere rispettivamente le leggi di
Boyle e Mariotte:
p
1
v
1
= p
2
v
X
(T = T
1
)
e di Gay-Lussac:
v
X
T
1
=
v
2
T
2
(p = p
2
)
Eliminando v
X
dalle precedenti si ottiene:
p
1
v
1
T
1
= p
2
v
2
T
2
e poich i punti scelti sono qualsiasi, qualunque sia lo stato di un gas di parametri
di stato p, v, T potr scriversi:
_
p
v
T
_
gas
= cost
La costante a secondo membro dellequazione precedente non dipende dallo stato
del gas ma solo dalla sue propriet ed denominata, per questo motivo, costante
del gas. Essa varia, quindi, da un gas allaltro e viene comunemente indicata
con R

. Lequazione precedente pu essere scritta perci:


pv = R

T (3.6)
che nota sotto il nome di equazione di Clapeyron e rappresenta lequazione di
stato del gas.
Alcune precisazioni sono doverose. Le leggi di Boyle e Gay-Lussac che hanno
permesso di ricavare lequazione (3.6) sono, come si detto, di natura sperimen-
tale e sono dedotte dallo studio del comportamento dei gas alle basse pressio-
ni. Ci si chiede a questo punto quanto le relazioni che abbiamo qui impiegato
rispecchiano il comportamento eettivo di un gas.
Veriche con strumenti ad alta precisione hanno mostrato che, a rigore,
anche per pressioni basse, il comportamento dei gas dierisce da quello descritto
dallequazione di Clapeyron. Ci nonostante sembra chiara una tendenza: la
(3.6) approssima sempre meglio il comportamento del gas al diminuire della sua
densit cio quanto pi grande il volume che il gas ha a disposizione per una
data massa, ovvero quanto pi linterazione molecolare limitata alle collisioni
reciproche. Un gas che segue rigorosamente la (3.6), che come tale quindi
una astrazione, si dice gas perfetto e la (3.6) detta equazione di stato di un
gas perfetto. Sebbene unastrazione, esistono vari motivi validi per introdurre il
concetto e lo studio di un gas perfetto:
3.4. IL GAS PERFETTO 35
p p
p
T
v
T
v T
v
Figura 3.4: Trasformazioni di un gas perfetto
nella pratica applicativa non raro trattare con gas a pressioni rela-
tivamente basse. In tali condizioni i calcoli eettuati impiegando le-
quazione del gas perfetto e le sue conseguenze mostrano una suciente
approssimazione;
il concetto di gas perfetto e le sue leggi sono utili quali limiti di validit
delle leggi dei gas reali. Da un punto di vista metodologico pu risultare
spesso utile esprimere, ad esempio, alcune propriet dei gas reali partendo
da quella del gas ideale ed apportando una correzione commisurata alle
relative imperfezioni.
Ulteriori considerazioni riguardano la valutazione della costante R

e pi esat-
tamente la sua dipendenza dalle propriet del gas a cui si riferisce. E possibile
dimostrare che vale la:
R

M = R
La costante R quindi valida per ogni gas ed denominata costante universale
dei gas. La (3.6) si trasforma allora nella:
pv =
R
M
T
o pi in generale:
pV =
m
M
RT = nRT (3.7)
che evidenziano la semplice dipendenza di R

dal gas.
Il valore di R pu essere valutato una volta per tutte, ad esempio per via
sperimentale, determinando il volume molare per assegnati valori della pressione
e temperatura (per altro arbitrari) di un gas qualunque. Ne risulta che:
R = 8.314
Pa m
3
mol K
=
J
mol K
dove con mol si indicato la mole della specie gassosa il cui valore rappresenta-
to dalla massa molecolare espressa in grammi. E interessante considerare a que-
sto punto landamento delle trasformazioni quasi statiche isoterme (T = cost),
36CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
isobare (p = cost) e isocore (V = cost) nei diversi diagrammi di stato: p v;
p T; v T.
Diagramma di stato p v (Fig.3.4,a). Poich
p =
_
RT
M
_
1
v
una isoterma rappresentata in un punto pv da una iperbole equilatera
tanto pi alta quanto pi alta la temperatura.
Diagramma di stato p T (Fig.3.4,b). Poich:
p =
_
R
M v
_
T
le isocore sono rappresentate da un fascio di rette passanti per lorigine
con un coeciente angolare che decresce al crescere del volume.
Diagramma di stato v T (Fig.3.4,c). Analogamente si ricava che:
v =
_
R
M p
_
T
Ne deriva che le isobare sono rappresentate da un fascio di rette passanti
per lorigine con un coeciente angolare decrescente al crescere di p.
Il lavoro conseguente ad una variazione di volume del gas ideale nel corso di una
trasformazione isoterma quasi statica vale:
L =
_
v2
v1
pdv =
RT
M
_
v2
v1
dv
v
=
RT
M
ln
v
2
v
1
Per un processo isobaro si ottiene facilmente che:
L = p
_
v2
v1
dv = p (v
2
v
1
)
Per un processo caratterizzato dalla legge pv
k
= cost che, come si vedr, cor-
risponde ad una trasformazione adiabatica quasi statica di un gas ideale, si
ottiene:
L =
_
v2
v1
pdv =
p
2
v
2
p
1
v
1
1 k
=
p
1
v
1
1 k
_
_
p
2
p
1
_k1
k
1
_
3.5 I gas reali e la legge degli stati corrispondenti
Per pressioni superiori a qualche decina di bar il comportamento di un gas reale
si discosta da quello di un gas perfetto in misura non tollerabile per le usuali
applicazioni dellingegneria. Tale scostamento dovuto principalmente al fatto
3.5. I GAS REALI E LA LEGGE DEGLI STATI CORRISPONDENTI 37
Tabella 3.1: Costanti dellequazione di van der Waals per alcune sostanze
Sostanza a b 10
3
Sostanza a b 10
3
m
6
Pa/kg
2
m
3
/kg m
6
Pa/kg
2
m
3
/kg
Elio 850.64 11.76 Ossigeno 152.40 1.06
Argon 85.4 0.81 Azoto 72.72 0.89
Idrogeno 6093.08 13.2 Cloro 130.86 0.79
Metano 886.97 2.67 Amminiaca 503.45 1.28
An. Carbonica 404.24 1.42 Acqua 1908.74 1.79
che le particelle hanno un volume proprio e presentano nella realt interazioni
molecolari non nulle le quali crescono allaumentare della pressione. Sono state
proposte numerose equazioni che possono rendere conto del comportamento dei
gas non ideali. Per una raccolta esaustiva ed una discussione critica si rimanda
ai testi consigliati
5
. Nel seguito viene discussa la sola equazione di stato di Van
der Waals (1873) sia per pure ragioni storiche, ma anche perch porta in modo
quasi naturale al principio degli stati corrispondenti.
Van der Waals ha modicato lequazione di stato dei gas perfetti (3.6) come
segue:
_
p +
a
v
2
_
(v b) = R

T (3.8)
I termini
a
v
2
e b hanno lo scopo di tenere conto:
del volume proprio delle molecole. Allo scopo si pu ipotizzare in prima
approssimazione che, a temperatura costante, la pressione p quando
il volume tende ad assumere quello proprio delle molecole. Questa condi-
zione ottenuta sostituendo il volume specico v presente nella (3.6), con
il termine v b dove b detto covolume;
delle forze di attrazione molecolare. Si ipotizza che le forze di attrazione
molecolare presentano risultante nulla sulle molecole poste allinterno del-
la massa gassosa mentre presentano risultante non nulla e diretta verso
linterno della massa gassosa nei riguardi delle particelle poste nelle vici-
nanze del recipiente che contiene il gas. Tutto va come se il gas presentasse
una pressione pi elevata rispetto a quella del gas perfetto a parit di ogni
altra condizione in una misura che cresce al crescere del numero di parti-
celle presenti nellunit di volume (densit) ovvero al diminuire del volume
specico.
Le due costanti a e b, al pari di R

, sono caratteristiche del gas e sono


determinate sperimentalmente (vedi Tab.3.1).
5
Si veda ad esempio M. Felli, Lezioni di Fisica tecnica - Volume I: Termodinamica, Macchine
, Impianti, Morlacchi Editore, Perugia, 1998, pp. 68-75
38CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
E interessante, tuttavia, tentare di determinare le costanti a, b in modo tale
che la (3.8) verichi le condizioni (3.1). Allo scopo si ricava che:
p
v

T=TC
=
R

T
c
(v
c
b)
2
+
2a
v
3
c
= 0 (3.9)

2
p
v
2

T=TC
=
2R

T
c
(v
c
b)
3

6a
v
4
c
= 0
le quali, risolte, forniscono:
a = 3p
c
v
2
c
; b =
1
3
v
c
(3.10)
Poich la (3.8) deve valere al punto critico:
_
p
c
+
a
v
2
c
_
(v
c
b) = R

T
c
si pu eliminare il volume critico. Allo scopo si pongano le (3.10) nellequazione
precedente; si ricava:
v
c
=
3
8
R

T
c
p
c
(3.11)
Se, allo stesso modo, le costanti a e b si pongono nella (3.8) si ottiene:
_
p +
3p
c
v
2
c
v
2
__
v
1
3
v
c
_
= R

T
ovvero:
pv
_
1 + 3
p
c
p
_
v
c
v
_
2
_ _
1
1
3
v
c
v
_
= R

T (3.12)
Il rapporto
vc
/v si ottiene dividendo ambo i membri della (3.11) per v:
v
c
v
=
3
8
R

T
c
vp
c
=
3
8
p
R
T
R
1
Z
(3.13)
nella quale si indicato con p
r
=
p
pc
e T
r
=
T
Tc
la pressione ridotta e la temperatu-
ra ridotta rispettivamente e con Z =
pv
R

T
il cosiddetto fattore di compressibilit
il quale, per come denito, assume costantemente valore unitario per un gas
perfetto e ore una misura qantitativa della deviazione del comportamento di
un gas reale dal quello ideale. Sostituendo la (3.13) nella (3.12) si ottiene con
semplici passaggi:
Z
3

_
1 +
p
r
8T
r
_
Z
2
+
27
64
p
r
T
2
r
Z
27
512
p
2
r
T
3
r
= 0
3.6. I SISTEMI BIFASE, IL DIAGRAMMA P-V E I VAPORI SATURI 39
Lequazione precedente fornisce, una volta risolta, i valori del cociente di com-
pressibilit Z in funzione delle due sole grandezze adimensionali p
r
e T
r
(vedi
Fig.3.5).
Osserviamo immediatamente che: a) lequazione precedente discende diret-
tamente dallequazione di stato di Van der Waals e b) non contiene alcuna
grandezza che faccia esplicito riferimento ad una particolare specie chimica. Si
pu pertanto concludere che due qualsiasi gas presentano comportamento simile
in condizioni termodinamiche equidistanti dalle condizioni critiche (ossia uguali
valori della pressione ridotta e della temperatura ridotta).
0.1
0.1
0.2
0.2
0.3
0.3
0.4
0.4
0.6
0.6
0.5
0.8
1.0
2.0
3.0
0.8 1
r
2 3 4 6 8 10 20 30
0 0.1 0.2
0.7
0.8
Z
0.9
1.0
0.3
pressione ridotta
pressione ridotta, p
f
a
t
t
o
r
e

d
i

c
o
m
p
r
e
s
s
i
b
i
l
i
t

,

Z
0.4
Tr = 0.8
0.7
0.9
1.0
1.1
1.2
0.6
0.5
15
10
8
6
4
3
2
1.6
1.4
1.0=Temperatura ridotta
1.0=Temperatura ridotta
0.9
1.01
1.03
1.05
1.1
1.15
1.2
1.3
1.4
1.6
2.0
15
0.8
0.7
0.75
Figura 3.5: Fattore di compressibilit Z in funzione della pressione ridotta p
r
e
della temperatura ridotta T
r
.
3.6 I sistemi bifase, il diagramma p-v e i vapori
saturi
Lesperienza mostra che in particolari condizioni un sistema monofase pu tra-
sformarsi in uno polifase (bi-trifase) in cui, cio, coesistono pi fasi in equilibrio.
La trasformazione detta cambiamento di fase.
A ciascun cambiamento di fase consuetudine associare una dizione precisa
(vedi Fig.3.6). Si denisce fusione e solidicazione, rispettivamente, la transi-
zione dalla fase solida a quella liquida e viceversa. Per evaporazione si intende
il passaggio dalla fase liquida a quella gassosa; la trasformazione contraria si
dice condensazione. La sublimazione identica il passaggio diretto dalla fase
solida a quella aeriforme. Il passaggio inverso si chiama brinamento, ma talora
indicato anchesso come sublimazione.
Quale che sia il cambiamento di fase, esso sempre associato ad un trasferi-
mento di calore denominato genericamente calore di trasformazione intendendo
con ci la quantit di calore necessaria per far cambiare di stato lunit di mas-
sa di una certa sostanza pura (kcal/kg ovvero kJ/kg). E caratteristico della
sostanza e, per una certa sostanza, varia con la temperatura assumendo valore
40CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
AERIFORME
LIQUIDO
SOLIDO
F
U
S
IO
N
E
E
V
A
P
O
R
A
Z
IO
N
E
LIQ
U
E
F
A
Z
IO
N
E
SUBLIMAZIONE
SO
LID
IF
IC
A
Z
IO
N
E
BRINAMENTO
Figura 3.6: Cambiamenti di fase
nullo in corrispondenza della temperatura critica (vedi Fig.3.7). Esso positivo
(viene fornito al sistema dallambiente) nella sublimazione, fusione e vaporizza-
zione e viene reso, nella stessa misura, dal sistema allambiente (negativo) nel
corso delle trasformazioni contrarie (brinamento, solidicazione e liquefazione).
0
0
100
Punto
Critico
200
Temperatura [C]



C
a
l
o
r
e

l
a
t
e
n
t
e

d
i
v
a
p
o
r
i
z
z
a
z
i
o
n
e

[
J
/
k
g
]
300
1000
2000
3000
400
Figura 3.7: Calore latente di vaporizzazione dellacqua
Nonostante la cessione o lassorbimento di calore di trasformazione, lespe-
rienza mostra che nel corso di un cambiamento di fase la temperatura resta co-
stante (purch la pressione resti costante). Per questo motivo si usa parlare di
calore latente per distinguerlo da quello sensibile che, come accade usualmente,
provoca una variazione di temperatura.
Per lo studio dei processi che prevedono cambiamenti di fase, risulta pi utile
riferirsi al diagramma di fase nel piano di Clapeyron ottenibile dalla proiezione
della supercie di Fig.3.1 su un piano p v (Fig.3.8). In esso sono identicabili,
infatti, sia le zone di esistenza della fase singola sia quelle di esistenza dei sistemi
in equilibrio bifase. In questultimo caso, essendo il sistema monovariante, per
3.6. I SISTEMI BIFASE, IL DIAGRAMMA P-V E I VAPORI SATURI 41
p
isobara critica
v
a
p
o
r
e

s
a
t
u
r
o
a
c
b
l
i
q
u
i
d
o

s
a
t
u
r
o
is
o
te
r
m
a
c
r
i
tic
a
linea del punto triplo
S
L
L
G
V
L + V
S + V
+
S
F
v
Figura 3.8: Diagramma p v di una sostanza pura
una data temperatura restano assegnate, tra laltro, la pressione di saturazione e
i volumi specici delle singole fasi. Il volume specico della miscela (che si legge
sulle ascisse del diagramma di stato p v) funzione della composizione della
miscela stessa, ovvero delle masse delle singole fasi. Allo scopo di determinare
tale dipendenza si osserva che per un sistema bifase:
V
M
= V
1
+V
2
essendo il volume una grandezza estensiva. Dividendo per la massa della miscela
si ottiene:
v
M
=
V
1
m
M
+
V
2
m
M
e, tenuto conto che V
1
= m
1
v
1
e V
2
= m
2
v
2
, si ha:
v
M
=
m
1
m
M
v
1
+
m
2
m
M
v
2
=
m
1
m
M
v
1
+
m
M
m
1
m
M
v
2
dove si tenuto conto del principio di conservazione della massa (m
M
= m
1
+
m
2
). Introducendo il titolo del componente 1 (x =
m1
/mM) si ottiene in deni-
tiva:
v
M
= x v
1
+ (1 x) v
2
= v
2
+x (v
1
v
2
)
Dalla equazione precedente si ricava anche che:
x =
v
M
v
2
v
1
v
2
(3.14)
dalla quale si vede che il titolo esprimibile gracamente come rapporto di
segmenti da leggersi direttamente sul diagramma di stato.
Particolare interesse viene riservato in Termodinamica agli stati di equilibrio
bifase liquido-vapore i quali sono rappresentati dai punti sotto la curva a cb
detta curva di Andrews dal nome di colui che ne inizi lo studio sistematico
(vedi Fig.3.9). Essa culmina nel punto critico. A sinistra di esso (tratto a c)
42CAPITOLO3. LE PROPRIET TERMODINAMICHE DELLE SOSTANZE PURE
p
Gas
T = T
s
a
b
c
0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 x = 1 0.6 0.7 0.8 0.9
Isoterma
critica
vapore
saturo secco
p (T)
v
Liquido saturo +
vapore saturo
(vapore umido)
x = 0.0
liquido
saturo
Vapore
surriscaldato
L
i
q
u
i
d
o
s
o
t
t
o
r
a
f
f
r
e
d
d
a
t
o
Figura 3.9: Sistemi liquido-vapore. Andamento delle isotitolo
si estende la curva detta del liquido saturo (titolo in vapore x = 0) mentre
alla destra (tratto a c) quella detta del vapore saturo secco (titolo in vapore
x = 1). Nella medesima gura sono riportate le curve isotitolo determinate
mediante limpiego della (3.14). Consideriamo una certa temperatura (T =

T) e
indichiamo con p
s
la pressione del vapore saturo corrispondente. Un vapore alla
pressione p
s
il cui stato sia rappresentato da un punto qualsiasi alla destra della
curva del vapore saturo secco si trova costantemente ad una temperatura pi
alta di quella relativa al vapore saturo alla stessa pressione. E per questo motivo
che la zona tratteggiata nel diagramma di Fig.3.9 detta anche zona del vapore
surriscaldato. In maniera del tutto analoga, possibile vedere che un liquido
alla pressione di saturazione p
s
il cui punto rappresentativo sia localizzato alla
sinistra della curva del liquido saturo si trova costantemente ad una temperatura
pi bassa di quella relativa al liquido saturo alla stessa pressione. La zona
tratteggiata nello stesso diagramma di Fig.3.9 detta, perci, zona del liquido
sottorareddato.
Capitolo 4
Il primo principio della
Termodinamica
4.1 Lenergia interna
Si mostrato a suo tempo che per una trasformazione ciclica di un sistema
chiuso a riposo gli integrali q =
_
q e =
_
sono quantit in genere diverse
da zero e dipendono dalla trasformazione. Losservazione sperimentale mostra
che, per un qualunque sistema, purch chiuso e a riposo, e per una qualsiasi
trasformazione purch ciclica, vale sempre il bilancio:
_
q =
_
(4.1)
ossia che nel corso di una qualsiasi trasformazione ciclica il lavoro netto scam-
biato tra il sistema e lambiente (preso con il proprio segno) uguaglia sempre il
calore netto scambiato (preso con il proprio segno). In altre parole, se il sistema
riceve durante una trasformazione ciclica, al netto, una certa quantit di calore
(positiva per convenzione), deve cedere al netto, durante la stessa trasformazio-
ne ciclica, una uguale quantit di lavoro (positiva per convezione). Un ciclo che
opera in tal senso viene detto ciclo diretto. Allo stesso modo, se il sistema riceve
nel corso di una trasformazione ciclica, al netto, una certa quantit di lavoro
(negativo per convenzione), deve cedere, nel corso della stessa trasformazione
ciclica, una uguale quantit di calore (negativa per convezione). Un ciclo che
opera in tal senso viene detto ciclo inverso.
Losservazione sperimentale mostra, altres, che se la trasformazione aperta
tra uno stato 1 e uno stato 2 (la 1a2 di Fig.4.1), il bilancio tra il calore ed il
lavoro scambiati tra il sistema e lambiente circostante durante la trasformazione
non chiude a zero. In altre parole si osserva costantemente che:
_
1a2
q =
_
1a2
(4.2)
43
44 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
1
2
a
b
c
Figura 4.1: Energia interna
Interessanti conclusioni, tuttavia, si possono trarre immaginando di riportare
il sistema da 2 a 1 attraverso una trasformazione che segua un percorso (2b1)
distinto da quello (1a2) seguito dalla prima come mostrato in Fig.4.1. Anche
per tale ultima trasformazione, essendo aperta, si ha:
_
2b1
q =
_
2b1

Tuttavia, poich la trasformazione complessiva 1a2b1 ciclica, vale anche la:


_
1a2
q +
_
2b1
q =
_
1a2
+
_
2b1
(4.3)
Alla stessa conclusione si sarebbe giunti se per ricondurre il sistema da 2 a 1
si fosse impiegata una qualsiasi altra trasformazione come la 2c1 di Fig.4.1. In
tale circostanza per il ciclo 1a2c1 si sarebbe scritto:
_
1a2
q +
_
2c1
q =
_
1a2
+
_
2c1
(4.4)
Sottraendo la (4.4) dalla (4.3) si ottiene:
_
2b1
q
_
2c1
q =
_
2b1

_
2c1

ovvero: _
2b1
q =
_
2c1
q
Il risultato appena ottenuto mostra che la dierenza q no dipende dal
percorso seguito dalla trasformazione, esso dipende solo dagli stati iniziale e
nale della trasformazione stessa qualunque sia il sistema (purch chiuso e a
riposo) e qualunque sia la trasformazione (purch aperta tra gli stessi stati
iniziale e nale). Ci equivale a dire che per i sistemi chiusi e a riposo esiste
4.2. LENTALPIA 45
una funzione di stato u la cui variazione tra lo stato nale e iniziale di una
qualunque trasformazione aperta misura esattamente il saldo netto tra quantit
di calore e di lavoro scambiate nel corso della trasformazione stessa. Si pu
scrivere pertanto che:
u = u
2
u
1
= q (4.5)
e per una qualunque trasformazione innitesima vale la:
du = q (4.6)
La funzione di stato u viene denominata energia interna, estensiva e si misura,
al pari di q e , in J/kg. Come si vede, in una trasformazione aperta il calore
fornito al sistema (positivo) viene in parte restituito al mezzo circostante come
lavoro (positivo) ed in parte va ad incrementare lenergia interna del sistema
(du > 0). Allo stesso modo il lavoro fornito al sistema (negativo) viene in
parte restituito allambiente sotto forma di calore (negativo) ed in parte va ad
incrementare lenergia interna del sistema (du > 0).
Vale la pena di evidenziare che:
1. dellenergia interna si pu calcolare solo una variazione e non i relativi
valori assoluti;
2. se la trasformazione quasi statica ed il lavoro contemplato solo quello
conseguente ad una variazione di volume, la (4.6) si pu scrivere anche
come:
du = q pdv (4.7)
nella quale si tenuto conto della (2.6).
Dividendo ambo i membri della (4.7) per dT si ricava:
du
dT
=
q
dT
p
dv
dT
e tenendo conto della (4.3) si ha:
c =
du
dT
+p
dv
dT
(4.8)
la quale vale per una qualunque trasformazione quasi statica che contempli
variazioni di temperatura e volume specico. Per una trasformazione isocora
(dv = 0) la (4.8) diventa:
c
v
=
_
du
dT
_
v
(4.9)
4.2 Lentalpia
In taluni casi utile introdurre una funzione ausiliaria, legata allenergia interna,
detta entalpia. Essa, con riferimento allunit di massa, data dallequazione
seguente:
h = u +pv (4.10)
46 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Vuoto Gas
Figura 4.2: Dispositivo di Joule
la quale mostra che lentalpia, essendo funzione di grandezze di stato, essa stes-
sa una grandezza di stato. Inoltre, essendo funzione di grandezze di stato esten-
sive, essa stessa estensiva. La variazione di entalpia per una trasformazione
innitesima :
dh = du +d (pv) (4.11)
che, per una trasformazione innitesima quasi statica, vale:
dh = (du +pdv) +vdp = q +vdp (4.12)
nella quale si tenuto conto della (4.7). Dividendo la precedente per dT si ha:
dh
dT
=
q
dT
+v
dp
dT
ovvero:
c =
dh
dT
v
dp
dT
(4.13)
la quale vale per una qualunque trasformazione quasi statica che contempli va-
riazioni di temperatura e pressione. Per una trasformazione isobara lequazione
precedente diventa:
c
p
=
_
dh
dT
_
p
(4.14)
4.3 Esperimento di Joule
Intorno alla met del XIX secolo Joule condusse un delicato esperimento ten-
dente a valutare la variazione di temperatura conseguente allespansione libera
di un gas a bassa pressione. Allo scopo un gas a bassa pressione viene connato
in un recipiente a pareti rigide ed adiabatiche il quale collegato, tramite un
condotto chiuso da un rubinetto a perfetta tenuta, ad un recipiente analogo in
cui fatto il vuoto (vedi Fig.4.2). Misurata accuratamente la temperatura T del
gas, viene aperto il rubinetto consentendo al gas di espandersi liberamente nel
secondo recipiente. Una volta che il nuovo stato di equilibrio stato raggiunto
4.4. LENERGIA INTERNA E LENTALPIA DEL GAS IDEALE 47
viene nuovamente misurata la temperatura del gas. Joule ha osservato dieren-
ze di temperatura decrescenti con la pressione iniziale del gas ed ha ipotizzato
che quando p 0 tende parimenti a zero la variazione di temperatura qualun-
que sia il gas. Assumiamo questo comportamento comune ad ogni gas per p
che tende a zero come ideale e lespansione libera come espansione libera del
gas ideale. Essendo il contenitore adiabatico (q = 0) e nullo il lavoro raccolto
nellespansione ( = 0) la (4.6) consente di concludere che du = 0, ossia che
nulla la variazione subita dallenergia interna del gas ideale in conseguenza
dellespansione libera. Inoltre, dato che la sola variabile termodiamica che non
cambiata la temperatura si pu concludere che lenergia interna di un gas
ideale funzione della sola temperatura:
u = u(T)
gas ideale
(4.15)
4.4 Lenergia interna e lentalpia del gas ideale
Un gas bivariante. Lenergia interna pu essere posta come funzione di due
qualsiasi variabili di stato. Si ponga, ad esempio, che:
u = u(T, v)
La variazione du di u si esprime, quindi, come il dierenziale di una funzione di
due variabili che nel caso specico :
du =
_
u
T
_
v
dT +
_
u
v
_
T
dv (4.16)
Se il gas ha comportamento ideale si ha che:
_
u
v
_
T
= 0
in virt della (4.15). Di conseguenza, la (4.16) si riduce alla:
du =
_
du
dT
_
v
dT (4.17)
e ricordando la (4.9) lequazione precedente diventa:
du = c
v
dT (4.18)
Lesperienza mostra che per i gas monoatomici la dipendenza di c
v
dalla tem-
peratura debole; esso, infatti, sensibilmente costante in un ampio campo di
temperature ed assume un valore molto prossimo a 3/2R

. Per i gas biatomici,


invece, c
v
si mantiene costante alle temperature ordinarie ed pari a circa 5/2R

mentre a temperature pi elevate tende a crescere con T. Per i gas poliatomici,


il calore specico a volume costante varia con la temperatura in modo diverso
da gas a gas.
48 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Dallequazione (4.10) si ricava facilmente che anche lentalpia di un gas ideale
funzione della sola temperatura, ossia
1
:
h = h(T) (4.19)
Inoltre, assumendo quali variabili di stato indipendenti p e T, il dierenziale
dellentalpia si scrive come:
dh =
_
h
T
_
p
dT +
_
h
p
_
T
dp
In virt della (4.19) il termine
_
h
p
_
T
costantemente nullo e lequazione
precedente si riduce alla:
dh =
_
dh
dT
_
p
dT (4.20)
che per la (4.14) diventa:
dh = c
p
dT (4.21)
Lesperienza mostra che per i gas monoatomici c
p
sensibilmente costante in
un ampio campo di temperature ed assume un valore molto prossimo a 5/2R

.
Per i gas biatomici, invece, il calore specico a pressione costante si mantiene
costante alle temperature ordinarie ed pari a circa 7/2R

mentre a temperature
pi elevate tende a crescere con T. Come pure per il calore specico a volu-
me costante, anche il calore specico a pressione costante dei gas poliatomici
presenta una dipendenza dalla temperatura diversa da gas a gas.
Concludiamo osservando per un gas perfetto, la (4.11) si scrive come:
dh = du +R

dT
la quale, tenuto conto delle (4.21, 4.18), permette di evidenziare lesistenza di
un legame tra c
p
, c
v
e la costante del gas R

:
c
p
c
v
= R

(4.22)
4.5 La trasformazione adiabatica quasi statica del
gas ideale
La trasformazione adiabatica caratterizzata dallassenza di scambio di calo-
re tra sistema ed ambiente. Ci si verica quando la frontiera del sistema
costituita da materiale rigorosamente impermeabile al calore
2
. Se il sistema
1
Per un gas perfetto, infatti, sia lenergia interna che il prodotto pv sono funzioni della sola
temperatura.
2
A suo tempo si vedr che i materiali che consentono di simulare, a tutti gli eetti pratici,
una supercie adiabatica esistono e sono detti isolanti termici.
4.5. LA TRASFORMAZIONE ADIABATICA QUASI STATICA DEL GAS IDEALE49
costituito dalla massa unitaria di gas ideale (bivariante), la legge della trasfor-
mazione adiabatica esprime un legame tra la coppia di variabili indipendenti
(ad esempio tra p e v, p e T, T e v).
Qualora le variabili indipendenti siano p e v, lequazione della trasformazione
adiabatica quasi statica si ricava combinando le equazioni generali del Primo
Principio della Termodinamica (4.7, 4.12) con le equazioni caratteristiche del
gas ideale (4.18, 4.21). Infatti, per una trasformazione adiabatica quasi statica
innitesima valgono le:
du = pdv dh = vdp
ottenute ponendo q = 0 nelle (4.7, 4.12). Le precedenti, per un gas perfetto e
in conseguenza delle (4.18, 4.21), si modicano nel modo seguente:
c
v
dT = pdv c
p
dT = vdp
Dividendo membro a membro la seconda per la prima delle equazioni appena
ottenute si ricava:
c
p
c
v
=
dp
p
dv
v
ovvero, ponendo k =
cp
cv
:
dp
p
= k
dv
v
Il valore di k, sempre positivo e maggiore dellunit in virt della (4.22), di-
pende in generale dalla temperatura. Se si pu ipotizzare, come accade per le
applicazioni di interesse per lingegneria edile, che i campi di temperatura siano
relativamente ridotti, lecito assumere k costante. In questa circostanza, le-
quazione precedente pu essere integrata tra uno stato iniziale 1 (p
1
, v
1
) e uno
stato nale 2 (p
2
, v
2
). Si ottiene in denitiva che:
ln
p
2
p
1
= k ln
v
2
v
1
= ln
_
v
2
v
1
_
k
ovvero:
p
1
v
k
1
= p
2
v
k
2
Poich gli stati estremi della trasformazione sono qualsiasi, si ottiene inne la:
pv
k
= cost (4.23)
In un diagramma p v le trasformazioni adiabatiche sono rappresentate da
una famiglia di curve ciascuna caratterizzata dal proprio k. La pendenza
dp
dv
di
queste curve :
_
dp
dv
_
ad
= cost k v
k1
= k
p
v
50 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
T
T+dT
isobara (dp=0)
isocora (dv=0)
v
p
is
o
te
r
m
a
(
d
T
=
0
)
is
o
te
r
m
a
(
d
T
=
0
)
a
d
i
a
b
a
t
i
c
a
q = 0
1
l > 0 l < 0
l = 0
q < 0 q > 0
Figura 4.3: Calori specici
Le trasformazioni isoterme di un gas ideale (pv = R

T = cost) nello stesso


piano p v costituiscono una famiglia di iperboli equilatere ciascuna delle quali
corrisponde ad un diverso valore di T con pendenze pari a:
_
dp
dv
_
T
=
p
v
Ne consegue che in dato punto del piano p v, una isoterma ha una pendenza
negativa pi piccola di quella delladiabatica passante per lo stesso punto.
Si lascia a chi legge vericare che se la coppia di variabili indipendenti v,
T si ottiene:
Tv
k1
= cost (4.24)
mentre se si sceglie p e T, la (4.23) si trasforma nella:
Tp

k1
k
= cost (4.25)
4.6 I calori specici alla luce del Primo Principio
Si ricorda che, per denizione, il calore specico vale:
c =
q
dT
=
du +
dT
Senza per questo togliere generalit ai risultati ma solo per semplicit di tratta-
zione, si consideri un gas a comportamento ideale alla temperatura T (punto 1
dellisoterma di Fig.4.3) e si immagini di sottoporlo ad una trasformazione che
4.7. LIMITI DEL PRIMO PRINCIPIO 51
A
T
A
T
B
B
Figura 4.4: Processi reali: diminuzione del livello energetico del calore
lo porti ad una temperatura T +dT. Qualunque trasformazione che unisce un
punto dellisoterma alla tempartaura T ad un punto qualunque dellisoterma
alla temparatura T + dT idonea allo scopo e, bench ognuna diversa dallal-
tra, esse sono caratterizzate da una identica variazione dellenergia interna. Si
consideri, per prima, la trasformazione adiabatica di Fig.4.3. Lungo questa tra-
sformazione non vi scambio di calore per denizione. La variazione di energia
interna dovuta al lavoro di compressione ricevuto dal sistema:
du =
ad
Ne consegue che per ogni altra trasformazione che porti il sistema da T a T +dT
si pu scrivere:
q =
ad
+ (4.26)
Ci premesso, semplice comprendere che nel corso delle trasformazioni che
giacciono alla sinistra delladiabatica il sistema riceve lavoro di compressio-
ne in una misura tale che || > |
ad
|. Dalla (4.26) si ricava che per tali
trasformazioni q < 0 e c < 0.
Per le trasformazioni che giacciono alla destra delladiabatica, ma alla sini-
stra dellisocora (per la quale = 0 e q
v
= |
ad
|), il sistema riceve ancora
lavoro, ma in una misura tale che || < |
ad
|. Ne consegue che in questi casi
q > 0 e c > 0. Per le trasformazioni alla destra dellisocora il lavoro di
espansione (ceduto allambiente) e cresce via via che il punto nale della tra-
sformazione si porta verso valori crescenti di v. Tra le trasformazioni alla destra
dellisocora vi lisobara per cui si pu concludere che sempre c
p
> c
v
.
4.7 Limiti del Primo Principio
Il Primo Principio della Termodinamica stabilisce che il calore una forma di
energia al pari del lavoro e ne aerma lequivalenza metrologica. Consideriamo
i due processi naturali seguenti ed esaminiamoli alla luce del Primo Principio
della Termodinamica.
52 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Processo 1 - I due corpi A e B di Fig.4.4 sono inizialmente a temperatura T
A
e T
B
con T
A
> T
B
e posti allinterno di un contenitore a pareti rigide ed
adiabatiche.
Il sistema costituito dai due corpi non pu scambiare n calore n lavoro con
lesterno ed essendo chiuso e a riposo, il primo principio prevede che la relativa
energia interna sia costante:
U
A+B
= U
A
+U
B
= 0
ovvero:
U
A
= U
B
Lequazione precedente, conseguenza diretta del Primo Principio della Termodi-
namica, aerma che se uno dei due corpi aumenta la sua energia interna, laltro
dovr diminuire la propria della stessa quantit.
Cos ugualmente lecito ipotizzare che:
U
A
< 0 (A diminuisce la propria energia interna e quindi la propria
temperatura: T
A
< 0)
U
B
> 0 (B aumenta la propria energia interna e quindi la propria
temperatura: T
B
> 0)
ma ugualmente lecito ipotizzare che:
U
A
> 0 (A aumenta la propria energia interna e quindi la propria
temperatura: T
A
> 0)
U
B
< 0 (B diminuisce la propria energia interna e quindi la propria
temperatura: T
B
< 0)
Nel primo caso osserveremmo che il corpo pi freddo (B) si riscalda a spese
dellenergia interna di quello pi caldo (A) che si raredda. Nel secondo caso,
al contrario, il corpo pi caldo (A) si riscalda ulteriormente a spese dellenergia
interna del corpo pi freddo (B) che si raredda ulteriormente.
Lesperienza quotidiana ci insegna che i due processi sono in eetti possibili
con la dierenza che mentre il primo spontaneo (ovvero avviene senza alcun
intervento esterno), il secondo non spontaneo e come tale richiede un interven-
to esterno
3
che prevede un costo. Quanto appena detto pu essere riformulato
aermando:
1. che lenergia termica presenta un livello energetico tanto pi elevato quan-
to pi elevata la temperatura a cui disponibile;
2. che i processi naturali (quelli spontanei) avvengono sempre nella direzione
della diminuzione del livello energetico del calore.
3
La macchina frigorifera di casa fa eettivamente questo.
4.7. LIMITI DEL PRIMO PRINCIPIO 53
R
G
Figura 4.5: Processi reali: diminuzione della qualit dellenergia
Processo 2 - Consideriamo un recipiente isolato R allinterno del quale si trova
un uido che viene mescolato da unelica in moto sotto lazione di un
grave G. Il tutto posto allinterno di un contenitore a pareti rigide ed
adiabatiche (Fig.4.5).
Linsieme del contenitore R e del grave G costituisce un sistema isolato il cui
contenuto energetico totale, per il Primo Principio della termodinamica, rimane
costante :
E
R
+E
G
= 0 (4.27)
con:
E
R
= E
R
C
+E
R
P
+U
R
= U
R
E
G
= E
G
C
+E
G
P
+U
G
= E
G
P
dove con E
C
e E
P
si sono indicate lenergia cinetica e potenziale rispettivamente.
Sostituendo i risultati delle precedenti nella (4.27) si ottiene:
E
G
P
+U
R
= 0
ovvero:
E
G
P
= U
R
(4.28)
Il risultato appena ottenuto mostra che lecito prevedere che sia:
E
G
P
< 0 (G diminuisce la sua energia potenziale e quindi la sua quota)
U
R
> 0 (C aumenta la propria energia interna e quindi la propria
temperatura)
ma anche che sia:
54 CAPITOLO 4. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
E
G
P
> 0 (G aumenta la sua energia potenziale e quindi la sua quota)
U
R
< 0 (C diminuisce la propria energia interna e quindi la propria
temperatura)
Nel primo caso lenergia interna di R aumenta, unitamente alla sua temperatura,
a spese dellenergia potenziale di G che viene trasformata continuamente in
calore a causa della presenza di attriti interni al uido. Nel secondo caso, al
contrario, lenergia potenziale di G ad aumentare a spese dellenergia interna
di R che si raredda.
Lesperienza quotidiana ci insegna che possibile sia la trasformazione di
energia meccanica in energia termica (prima ipotesi), sia la trasformazione di
energia termica in energia meccanica (seconda ipotesi). La dierenza sostanziale
che il primo fenomeno avviene spontaneamente mentre il secondo ha bisogno
di un intervento esterno
4
che prevede un costo. Quanto appena detto pu essere
riformulato aermando:
1. che lenergia meccanica presenta una qualit pi elevata dellenergia ter-
mica
5
;
2. che i processi naturali (quelli spontanei) avvengono sempre nella direzione
della diminuzione della qualit dellenergia.
Senza esemplicare ulteriormente si possono trarre alcune conclusioni di carat-
tere generale. Il Primo Principio della Termodinamica:
1. non in grado di prevedere la direzione verso cui evolvono i processi
naturali in quanto considera tutte le trasformazioni ugualmente possibili.
2. considera in maniera simmetrica lenergia termica e quella meccanica
poich non tiene conto n del livello n della qualit dellenergia.
Se ne conclude lesigenza di un ulteriore principio (Secondo Principio della Ter-
modinamica) che tenga conto sia della qualit che del livello dellenergia e del
verso privilegiato secondo cui tali caratteristiche si modicano nel corso di un
processo termodinamico.
4
Il motore della nostra automobile fa eettivamente questo.
5
Si usa dire anche che lenergia meccanica rappresenta una forma di energia pi nobile
dellenergia termica. Si usa anche denominare lenergia meccanica di prima specie e quella
termica di seconda specie.
Capitolo 5
Secondo Principio della
Termodinamica
5.1 La conversione dellenergia e le macchine
Si dice macchina un sistema termodinamico nalizzato alla conversione continua
dellenergia da una forma ad unaltra ovvero nella stessa forma, ma di dierenti
caratteristiche. Lecienza con cui la macchina provvede alla conversione
misurata quantititativamente dal rapporto tra lenergia convertita E
u
resa
dalla macchina e lenergia E
s
ricevuta dalla macchina per essere convertita:
=
E
u
E
s
Lesperienza mostra che la conversione di E
s
in E
u
non avviene mai integralmen-
te con la conseguenza che sempre minore dellunit in una misura, tuttavia,
che dipende dalle forme di energia coinvolte.
Nelle macchine non termiche, nelle quali cio avviene la conversione continua
tra forme di energia che escludono il calore, si osserva che molto prossimo
allunit; la riduzione modesta deriva dalla presenza di fenomeni dissipativi
spontanei che provocano la conversione continua in calore della dierenza di
E
s
E
u
1
. Sebbene, a rigore, gli eetti dei fenomeni dissipativi non possano es-
sere completamente eliminati, essi possono tuttavia essere fortemente attenuati;
pensabile quindi ad una macchina tecnologicamente perfetta che, eseguendo
trasformazioni perfette, ossia prive di fenomeni che peggiorano la qualit delle-
nergia, possa raggiungere 1. Le forme di energia che, eliminando i fenomeni
dissipativi, consentono di essere convertite integralmente luna nellaltra, sono
dette di prima specie.
1
Si pensi, ad esempio, ad un trasformatore elettrico, allaccoppiamento di ruote dentate,
ecc.
55
56 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Al contrario, nelle macchine nalizzate alla conversione di calore in lavoro
(macchine termiche) si osserva che nettamente inferiore allunit. La causa
duplice:
1. la presenza di processi di degradazione dellenergia. In eetti, questa volta,
oltre alla conversione di lavoro in calore derivante dalla inevitabile presenza
di fenomeni dissipativi, va aggiunta la diminuzione del livello energetico
del calore procurato dai trasferimenti spontanei di calore sotto leetto di
dierenze nite di temperatura caratteristiche delle trasformazioni reali.
2. la parziale trasformabilit, osservabile in natura, di calore in lavoro in
modo continuo. Del calore ricevuto, la macchina in eetti ne trasforma
solo una parte restituendo la restante ad una temperatura inferiore e,
come tale, non riutilizzabile direttamente nella macchina stessa. Si osserva
altres che la quantit di calore restituita tanto pi grande (il valore di
tanto pi piccolo) quanto pi bassa la temperatura a cui il calore da
convertire stato fornito alla macchina.
Questa parziale trasformabilit peculiare del calore il quale, di conseguenza,
si presenta come una forma di energia di qualit inferiore rispetto alle altre.
E questa qualit tanto pi bassa quanto pi bassa la temperatura a cui il
calore disponibile. Per quanto appena ricordato si usa dire che il calore una
forma di energia di seconda specie. Allo scopo di eliminare ogni dubbio bene
ribadire che, pur se la macchina fosse costruita in modo perfetto e le trasforma-
zioni fossero condotte in modalit tali da eliminare i processi di degradazione
dellenergia, il valore di sarebbe comunque minore dellunit.
Le trasformazioni termodinamiche, inesistenti in natura, che conservano il
valore dellenergia messa in gioco nel corso della trasformazione stessa ossia
avvengono senza processi di degradazione dellenergia, sono dette reversibili e
la macchina che opera solo con processi reversibili detta macchina reversibile.
5.2 Trasformazioni reversibili e non reversibili
Una trasformazione si dice reversibile quando avviene in modo tale che, una
volta terminata, sia il sistema che lambiente circostante possano essere riportati
nelle rispettive condizioni termodinamiche originarie senza che ci lasci traccia
nel sistema e nellambiente. Se si esaminano le varie tipologie di trasformazioni
naturali, possibile osservare che esse presentano almeno una delle seguenti
caratteristiche che le rendono irreversibili:
1. non sono soddisfatte le condizioni di equilibrio termodinamico (ovvero per
sistemi chimicamente inerti non sono soddisfatte le condizioni di equilibrio
termico e meccanico).
2. sono presenti eetti dissipativi quali viscosit, attriti, resistenze di varia
natura.
5.3. ENUNCIATO DI KELVIN-PLANCK DEL SECONDO PRINCIPIO 57
In eetti una trasformazione reale avviene sempre con velocit nita e questo
costringe il sistema ad attraversare condizioni di non equilibrio con lambiente
esterno (irreversibilit esterna) e tra punti diversi del sistema (irreversibilit
interna).
Se gli squilibri riguardano la temperatura si ha trasferimento spontaneo di
calore sotto leetto di dierenze nite di temperatura e, pertanto, si ha diminu-
zione del livello energetico del calore. Se gli squilibri riguardano la pressione si
hanno fenomeni di turbolenza ed in denitiva conversione spontanea di lavoro in
calore per eetti viscosi con conseguente diminuzione della qualit dellenergia.
Se si vuole che la trasformazione sia reversibile necessario eliminare queste
cause di degradazione dellenergia. Si visto che se la trasformazione quasi
statica il sistema passa per stati di equilibrio termodinamico che possono essere
attraversati in un verso e nel verso opposto. Se sono assenti gli eetti dissipativi,
tutto il lavoro messo in gioco nel corso di una trasformazione pu essere messo
nuovamente in gioco nella trasformazione opposta.
Si pu concludere pertanto che una trasformazione reversibile:
1. quasi statica;
2. non presenta fenomeni dissipativi.
Una trasformazione reversibile conserva la quantit e la qualit dellenergia mes-
sa in gioco e pertanto costituisce unastrazione nel senso che non pu essere rea-
lizzata nella pratica. Essa, tuttavia, al pari della trasformazione quasi statica
costituisce un utile riferimento per le corrispondenti trasformazioni reali.
5.3 Enunciato di Kelvin-Planck del Secondo Prin-
cipio
Si ripetuto pi volte che la conversione continua di lavoro in calore spontanea.
Al contrario, la conversione di calore in lavoro meccanico, sebbene sia possibile
alla luce del Primo Principio, non spontanea e quindi richiede la realizzazione
di macchinari, appositamente concepiti, che chiamiamo macchine termiche mo-
trici o a ciclo diretto. Sebbene da un punto di vista tecnico e tecnologico possano
esistere dierenze anche rilevanti tra una macchina termica motrice e laltra, da
un punto di vista termodinamico esse sono sempre riconducibili ad un sistema
termodinamico (un uido) che segue una trasformazione ciclica. Il ciclo, per ra-
gioni di opportunit realizzative, costituito da una sequenza di trasformazioni
termodinamiche ognuna delle quali avviene in unidonea apparecchiatura.
Se, come prassi, indichiamo con q la quantit di calore che, per unit di mas-
sa, la macchina riceve al netto dallambiente con il lavoro termodinamico che,
per unit di massa, la macchina cede al netto allambiente, il Primo Principio
ci assicura che:
q =
Se, per ipotesi, la macchina attua una sequenza di trasformazioni reversibili, si
conserva anche il valore dellenergia messa in gioco nelle sue varie forme.
58 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
T
M
T
1
2
2
1
q
q
Figura 5.1: Macchina termica motrice
Ora, poich il processo di conversione del calore in lavoro costituisce in una
valorizzazione dellenergia, non possibile che la macchina converta in lavoro
tutto il calore ricevuto; dovr vericarsi nel corso del ciclo un qualche fenomeno
spontaneo e non desiderato (detto di compenso) il quale procuri una equivalente
devalorizzazione dellenergia messa in gioco nelle sue varie forme. Ci, in altri
termini ed in modo conciso, quanto aerma lenunciato di Kelvin-Palnck del
Secondo Principio: impossibile costruire una macchina operante ciclicamente
il cui unico risultato sia quello di trasformare in lavoro tutto il calore assorbito
da ununica sorgente termica; una parte di esso dovr essere ceduto ad una
temperatura pi bassa di quella alla quale stato ricevuto.
Sulla base dellenuciato di Kelvin-Planck una macchina termica motrice (ve-
di Fig.5.1) opera tra due sorgenti termiche, intendendo per sorgente termica
un sistema a capacit termica innita (lacqua di falda, latmosfera, il mare, i
prodotti della combustione di un generatore di calore, ...). Dalla prima, quella
a temperatura pi elevata T
1
, riceve il calore q
1
; alla seconda sorgente, quella
a temperatura inferiore T
2
, viene invece restituito il calore q
2
. Per il Primo
Principio si ha che:
q = q
1
q
2
=
Sono evidenti i processi di valorizzazione e di devalorizzazione dellenergia: tra-
sformazione di q
1
q
2
in lavoro netto (valorizzazione); passaggio del calore
q
2
= q
1
dalla temperatura T
1
, pi alta, alla temperatura T
2
pi bassa
(devalorizzazione).
La misura dellecienza con cui la macchina termica motrice opera la con-
versione di calore in lavoro data dal rendimento termodinamico:
=

q
1
=
q
1
q
2
q
1
= 1
q
2
q
1
il quale compreso tra 0 e 1 ovvero tra lo 0% e il 100%. Lequazione precedente
mostra inequivocabilmente che il rendimento termodinamico di una macchina
5.4. ENUNCIATO DI CLAUSIUS DEL SECONDO PRINCIPIO 59
T
M
T
1
2
2
1
q
q
Figura 5.2: Macchina termica a ciclo inverso
termica motrice sempre minore di 1 anche se si ipotizzano trasformazioni
reversibili e quindi si escludono fenomeni dissipativi di qualunque genere.
5.4 Enunciato di Clausius del Secondo Principio
E esperienza quotidiana che il calore pu transitare con continuit e spontanea-
mente da una sorgente a pi alta temperatura verso una sorgente a pi bassa
temperatura
2
. Al contrario, il trasferimento continuo di calore da una sorgente
a bassa temperatura verso una sorgente a pi alta temperatura possibile, ma
non spontaneo e quindi richiede la realizzazione di macchinari nalizzati allo
scopo denominati macchine termiche operatrici o a ciclo inverso. Poich il tra-
sferimento di calore da bassa ad alta temperatura costituisce una valorizzazione
dellenergia, deve vericarsi nel corso della trasformazione ciclica, un qualche
fenomeno (il fenomeno di compenso) che peggiori la qualit di altra energia
in gioco. Ci quanto aerma lenunciato di Clausius: impossibile costruire
una macchina operante ciclicamente il cui unico risultato sia quello di trasferire
calore da un corpo a temperatura pi bassa ad uno a temperatura pi elevata
3
.
Si distinguono due tipologie di macchine termiche a ciclo inverso in relazione
al fenomeno di compenso:
1. macchine termiche a compressione di vapore le quali, per il loro funzio-
namento, debbono ricevere lavoro dallambiente esterno; questo lavoro
meccanico viene degradato dalla macchina in calore (fenomeno di devalo-
rizzazione del lavoro); lo schema di una macchina termica a compressione
di vapore mostrato in Fig.5.2.
2
In inverno laria di un ambiente cede con continuit calore allaria esterna.
3
Lenunciato di Kelvin-Planck e quello di Clausius sono del tutto equivalenti. E possibile
dimostrare che la validit o la falsit del primo comporta la validit o la falsit del secondo.
Vedi M. W. Zemansky Fondamenti di Termodinamica per ingegneri, pag. 141
60 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
2. macchine termiche ad assorbimento le quali, per il loro funzionamento,
debbono ricevere calore da una sorgente ad alta temperatura e lo rendono
ad una sorgente a temperatura pi bassa (fenomeno di devalorizzazione del
calore). Una macchina termica ad assorbimento, quindi, richiede quattro
sorgenti come sar visto in seguito.
Una ulteriore distinzione riguarda lo scopo del trasferimento di calore da bassa
ad alta temperatura. Si parla di:
macchine frigorifere se lo scopo quello di sottrarre calore dalla sorgente
a bassa temperatura;
pompe di calore se lo scopo quello di riversare calore alla sorgente ad
alta temperatura.
Sul funzionamento e sullecienza delle macchine frigorifere e delle pompe di
calore, sia a compressione di vapore che ad assorbimento, si torner diusamente
a suo tempo.
Interessa a questo punto arontare alcuni punti di fondamentale importanza
per lo studio delle macchine termiche. In particolare:
la precisa individuazione quantitativa dei limiti di trasformabilit del ca-
lore in lavoro;
la dipendenza di tali limiti dalle caratteristiche della macchina quali:
1. la natura del uido che compie la trasformazione ciclica;
2. la struttura del ciclo;
3. la temperatura delle sorgenti temiche.
5.5 Il teorema di Carnot
Una risposta a tali quesiti data dal teorema di Carnot, del quale non si dar
la dimostrazione, e che si articola in tre parti:
1. nessuna macchina termica operante tra due sorgenti assegnate pu presen-
tare un rendimento termico superiore a quello di una macchina di Carnot
che operi tra le medesime due sorgenti;
2. il rendimento di una macchina di Carnot dipende solo dalle temperature
delle due sorgenti;
3. il rendimenento di una macchina di Carnot indipendente dal uido che
percorre il ciclo.
5.5. IL TEOREMA DI CARNOT 61
T
2
T
1
4
1
2
3
v
p
Figura 5.3: Ciclo di Carnot nel piano p v
5.5.1 Il ciclo di Carnot
Il ciclo di Carnot un particolare ciclo costituito da due trasformazioni isoterme
(T
1
e T
2
) e da due trasformazioni adiabatiche le prime e le seconde entrambi
reversibili (vedi Fig.5.3). Poich la terza parte del teorema di Carnot aerma
che il rendimento di una macchina di Carnot indipendente dal uido operante,
si descriver il ciclo di Carnot a gas ideale. Con riferimento ad un ciclo diretto,
si consideri lunit di massa del gas nello stato 1 che viene fatto espandere iso-
termicamente (T = T
1
) no al punto 2. Nel corso della predetta trasformazione
il sistema posto a contatto con la sorgente calda a temperatura T
1
dalla quale
assorbe il calore q
1
e contemporaneamente produce il lavoro:

esp
= q
1
essendo per un gas ideale u = u(T) e u = 0 per lisoterma.
Al punto 2 termina la cessione di calore e il gas viene fatto espandere in modo
adiabatico no a quando la temperatura non raggiunge il valore T
2
(punto 3). Il
gas viene posto a contatto con la sorgente fredda a temperatura T
2
e compresso
isotermicamente. In questa fase viene fornito al sistema il lavoro:

comp
= q
2
La compressione isoterma prosegue no al punto 4 che si trova sulla adiaba-
tica che passa per 1. Il gas viene riportato nello stato iniziale mediante una
compressione adiabatica.
Il rendimento vale:

C
= 1
q
2
q
1
= 1

comp

esp
(5.1)
e pu essere calcolato facilmente nel caso in cui le trasformazioni possono essere
ritenute reversibili. Infatti in questa ipotesi si ha:
|
esp
| =
_
v2
v1
pdv = R

T
1
ln
v
2
v
1
(5.2)
62 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
e:
|
comp
| =
_
v4
v3
pdv = R

T
2
ln
v
3
v
4
(5.3)
I volumi specici presenti nelle due equazioni precedenti non sono indipendenti.
Tra essi infatti sussistono le equazioni:
p
1
v
1
= p
2
v
2
p
3
v
3
= p
4
v
4
ovvero:
p
2
p
1
=
v
1
v
2
e
p
3
p
4
=
v
4
v
3
(5.4)
derivanti dallappartenenza degli stati 1 e 2 allisoterma T = T
1
e degli stati 3
e 4 allisoterma T = T
2
. Inoltre si ha:
p
1
v
k
1
= p
4
v
k
4
p
2
v
k
2
= p
3
v
k
3
ovvero:
p
2
p
1
_
v
2
v
1
_
k
=
p
3
p
4
_
v
3
v
4
_
k
che derivano dallappartenenza degli stati 1, 4 e 2, 3 a due adiabatiche. Le-
quazione precedente per le (5.4) fornisce:
_
v
2
v
1
_
k1
=
_
v
3
v
4
_
k1
o anche
v
2
v
1
=
v
3
v
4
che poste nella (5.2) e (5.3) consentono di scrivere per il rendimento:

C
= 1
T
2
T
1
(5.5)
La (5.5) ha validit generale in virt del teorema di Carnot; essa esprime, infatti,
il rendimento di un ciclo di Carnot reversibile operante tra due sorgenti alle
temperature T
1
e T
2
e come tale rappresenta il limite superiore del rendimento
di un qualsiasi ciclo reversibile tra le medesime temperature.
5.5.2 La scala assoluta della temperatura
Date due sorgenti di Fig.5.4 alle temperature empiriche
1
e
2
rispettivamente,
la seconda parte dellenunciato del teorema di Carnot consente di scrivere che
il rendimento della macchina di Carnot indicata con C vale:

C
= 1
q
2
q
1
= F (
1
,
2
)
o pi semplicemente:
q
1
q
2
= f (
1
,
2
) (5.6)
5.5. IL TEOREMA DI CARNOT 63
C
1
2
2
1
q
q
C
1
q
B
2
q
3
q
A
A
B
3
q
3

Figura 5.4: Scala assoluta della temperatura


La funzione f, indipendente dalla particolare macchina e dal particolare uido
operante nella macchina stessa, pu essere esplicitata considerando le ulteriori
due macchine termiche di Carnot di Fig.5.4. La macchina A assorbe dalla
sorgente alla temperatura
1
la quantit di calore q
1
(come la macchina C)
e restituisce q
3
alla sorgente ausiliaria alla temperatura
3
. La macchina B
assorbe q
3
dalla sorgente ausiliaria e cede alla sorgente a temperatura
2
una
quantit di calore q
2
(auguale a quella ceduta dalla macchina C).
Per la macchina di Carnot reversibile A operante tra
1
e
3
si pu porre
che:
q
1
q
3
= f (
1
,
3
) (5.7)
Per la macchina di Carnot reversibile B operante tra
3
e
2
si pu scrivere
ancora che:
q
3
q
2
= f (
3
,
2
) (5.8)
Moltiplicando lequazione precedente per la (5.7) si ottiene:
q
1
q
2
= f (
1
,
2
) = f (
1
,
3
) f (
3
,
2
) (5.9)
Ora, se il termine a sinistra dellequazione precedente funzione solo di
1
e

2
, lo deve essere anche quello di destra e come tale indipendentemente da
3
.
Questa condizione soddisfatta solo se la funzione f ha la forma:
f (
1
,
3
) =
(
1
)
(
3
)
; f (
3
,
2
) =
(
3
)
(
2
)
; (5.10)
In tal modo la (5.6) si riduce alla:
q
1
q
2
= f (
1
,
2
) =
(
1
)
(
2
)
64 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Il risultato precedente permette di concludere che per una qualsivoglia macchi-
na di Carnot che operi tra una temperatura generica e quella di uno stato
termodinamico di riferimento
rif
si potr sempre scrivere che:
q
q
rif
=
()
(
rif
)
(5.11)
Se si pone () = a, la (5.11) pu anche essere posta come:
q
q
rif
=

rif
La precedente consente di aermare che due valori di stanno tra loro come le
quantit di calore scambiate in una macchina di Carnot reversibile operante tra
due sorgenti a tali temperature.
Assumendo
rif
= 273.16 si ha:
= 273.16
q
q
rif
(5.12)
la quale mostra che la quantit di calore q funge da caratteristica termometrica
e la temperatura indipendente dalla sostanza termometrica. Per tale ultimo
motivo la detta temperatura assoluta o temperatura termodinamica e si
misura in gradi Kelvin.
Tenuto conto della (5.12), il rendimento di un ciclo di Carnot reversibile pu
essere espresso in funzione delle temperature assolute delle due sorgenti come:

C
= 1
q
2
q
1
= 1

2
Q
rif
273.16

1
Q
rif
273.16
= 1

2

1
(5.13)
Lesame della (5.13) permette di denire lo zero assoluto ( = 0) come quel-
la temperatura a cui dovrebbe trovarsi la sorgente fredda di una macchina di
Carnot che presenta rendimento unitario.
Se si confronta la (5.13) con lespressione (5.5) del rendimento di un ciclo di
Carnot reversibile in funzione delle temperature T
1
e T
2
del gas ideale si vede
immediatamente che T ovvero che la scala della temperatura termodinamica
ottenuta con la scelta operata in precedenza e quella denita mediante limpiego
di un termometro a gas ideale a volume costante sono coincidenti. E per tale
motivo che da questo punto in poi si far riferimento alla temperatura assoluta
che si indicher, ancora, con T.
5.6 Lentropia
Per una macchina termica che opera secondo un ciclo di Carnot vale la:
q
1
T
1
=
q
2
T
2
5.6. LENTROPIA 65
2
1
v
p
2
1
,
,
3
4
3
4
,
,
Figura 5.5: Integrale di Clausius
ossia costante il rapporto tra il valore assoluto della quantit di calore scam-
biata tra il sistema e lambiente e la temperatura assoluta a cui tale scambio
avviene.
Se alle predette quantit di calore viene attribuito il segno secondo la con-
venzione solita (q
1
> 0 e q
2
< 0) la precedente si scrive:
q
1
T
1
+
q
2
T
2
= 0 (5.14)
o, pi in generale:

q
T
= 0 (5.15)
Consideriamo il ciclo reversibile qualunque di Fig.5.5 ed un fascio di adiabatiche
che lo intersecano. Consideriamo, poi, il tratto del ciclo compreso tra due adia-
batiche qualsiasi e tracciamo tra le medesime adiabatiche una trasformazione
isoterma tale che:

12
=
11

2
ossia tale che il lavoro compiuto lungo la primitiva trasformazione 1, 2 sia esat-
tamente uguale a quello compiuto lungo la spezzata 1, 1

, 2

, 2. Applichiamo
lequazione del primo principio alle due predette trasformazioni:
q
12
= (u
2
u
1
) +
12
q
11

2
= (u
2
u
1
) +
11

2
che equivale alla:
q
12
= q
11

2
(5.16)
Ma il calore scambiato lungo la spezzata somma di quello scambiato lungo
ciascuno dei suoi rami:
q
11

2
= q
11
+q
1

2
+q
2

2
= q
1

66 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA


essendo 11

e 2

2 due tratti di adiabatica. Ne deriva per la (5.16) che:


q
12
= q
1

la quale mostra come sia sempre possibile sostituire ad una trasformazione re-
versibile qualsiasi (la 1 2) una seconda trasformazione costituita da una suc-
cessione di un ramo di adiabatica, di uno di isoterma e di nuovo di un ramo di
adiabatica in modo tale che la quantit di calore (e di lavoro) scambiata lungo
di essa sia esattamente uguale a quella scambiata lungo la trasformazione di
partenza.
Riconsideriamo il ciclo di Fig.5.5 e sostituiamo ai tratti di trasformazione
compresi tra due adiabatiche contigue tanti rami di isoterma con il criterio
precedentemente descritto. Il ciclo originario viene quindi rimpiazzato con una
trasformazione costituita da una successione alternata di tratti di adiabatica e
isoterma tale che il calore globalmente scambiato lungo di essa sia uguale a quello
scambiato lungo il ciclo originario. Consideriamo lisoterma 1

, 2

e lisoterma
3

, 4

. Lungo la prima viene scambiata la quantit di calore q


1
alla temperatura
T
1
e lungo la seconda la quantit di calore q
2
alla temperatura T
2
. Poich
esse sono limitate dalle stesse due adiabatiche (1,3 e 2,4), la trasformazione
1,2,4,3 costituisce un ciclo di Carnot reversibile per il quale si pu scrivere
una relazione del tipo (5.15). Un discorso del tutto analogo pu essere ripetuto
ogni coppia di adiabatiche. Si avr allora per il primo ciclo:
q
(1)
1
T
(1)
1
+
q
(1)
2
T
(1)
2
= 0
Per il secondo ciclo:
q
(2)
1
T
(2)
1
+
q
(2)
2
T
(2)
2
= 0
per ln-esimo ciclo:
q
(n)
1
T
(n)
1
+
q
(n)
2
T
(n)
2
= 0
Sommando le precedenti si ottiene che:
n

i=1
q
(i)
1
T
(i)
1
+
n

i=1
q
(i)
2
T
(i)
2
= 0
o anche, in maniera pi compatta:
n

i=1
q
T
= 0 (5.17)
Considerando il passaggio al limite:
lim
n
n

i=1
q
T
=
_
q
T
5.6. LENTROPIA 67
1
2
a
b
c
Figura 5.6: Entropia
si ottiene per la (5.17):
_
q
T
= 0 (5.18)
Lintegrale nellequazione precedente noto come integrale di Clausius e la
(5.18) mostra che esso nullo per ogni ciclo reversibile.
Si consideri ora un sistema che si porti da uno stato 1 ad uno stato 2 median-
te una trasformazione reversibile (a) qualsiasi (vedi Fig.5.6). Quindi si ritorni
allo stato iniziale seguendo una qualsiasi trasformazione reversibile (b). Poich
linsieme delle due trasformazioni costituiscono un ciclo reversibile vale per esso
lequazione (5.18). Lintegrale presente in tale equazione, tuttavia, pu divi-
dersi in due parti: la prima relativa alla trasformazione (a) e la seconda alla
trasformazione (b). Cio:
_
1a2
q
T
+
_
2b1
q
T
= 0 (5.19)
Allo stesso risultato si giunge riportando il sistema allo stato iniziale seguendo
una trasformazione (c):
_
1a2
q
T
+
_
2c1
q
T
= 0
Sottraendo la precedente alla (5.19) si ottiene che:
_
2b1
q
T
=
_
2c1
q
T
Essendo le due trasformazioni qualsiasi, il risultato appena trovato consente di
aermare che:
ds =
q
T
(5.20)
il dierenziale di una grandezza di stato denominata entropia la cui variazione
tra gli stati estremi di una trasformazione reversibile calcolabile mediante
68 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
lintegrale:
s
2
s
1
=
_
2
1
q
T
(5.21)
Lentropia una grandezza di stato estensiva, ha le dimensioni di una uni-
t di energia diviso una unit di temperatura e pertanto si misura, nel S.I.,
in Joule/Kelvin (J/K), mentre nel sistema tecnico impiegata la kcal/Kelvin
(kcal/K). Con riferimento allunit di massa si parla di Joule/(Kelvin kg) ovvero
di kcal/(Kelvin kg). Lentropia specica, quindi, presenta le stesse dimensioni
del calore specico. Dallequazione (5.20) si vede che la variazione che subisce
lentropia pu essere positiva o negativa e ci dipende dal segno assunto da q
essendo T sempre positiva. Cos si avr ds > 0 se q > 0 (calore acquisito dal
sistema) e ds < 0 se q < 0 (calore ceduto dal sistema).
5.7 Entropia e irreversibilit
Consideriamo un ciclo irreversibile operante tra due sorgenti a temperatura T
1
e T
2
rispettivamente che presenta un rendimento
irr
. Per esso vale senzaltro
la:

irr
<
C
in cui si indicato con
C
il rendimento di un ciclo di Carnot operante tra le
medesime sorgenti. La precedente equivale alla:
1
q
2
q
1
< 1
T
2
T
1
Con semplici passaggi si ricava che:
q
2
T
2
>
q
1
T
1
Attribuendo alle quantit di calore i rispettivi segni (q
1
> 0 e q
2
< 0), si ottiene
la:
q
1
T
1
+
q
2
T
2
< 0
che lanaloga della (5.14) valida per un ciclo di Carnot reversibile.
Scomponendo il ciclo irreversibile seguendo il procedimento del precedente
paragrafo, si ricava:
_
q
T
< 0 (5.22)
che lanaloga della (5.18) valida per un ciclo reversibile. Essa mostra che
lintegrale di Clausius per un ciclo irreversibile sempre negativo.
Consideriamo ora la trasformazione irreversibile (a) di Fig.5.7 che porta il
sistema da uno stato 1 ad uno stato 2. Riportiamo poi il sistema allo stato ini-
ziale 1 mediante la trasformazione reversibile (b) come mostrato nella medesima
gura. Per il ciclo 1a2b1 vale la:
_
q
T
=
_
2
1
_
q
T
_
irr
+
_
1
2
_
q
T
_
rev
< 0
5.7. ENTROPIA E IRREVERSIBILIT 69
1
2
a
b
Figura 5.7: Entropia e irreversibilit
Essendo la 2b1 reversibile per ipotesi, la precedente si trasforma nella:
s
2
s
1
>
_
2
1
_
q
T
_
irr
(5.23)
o anche in termini dierenziali:
ds >
_
q
T
_
irr
(5.24)
la quale lanaloga della (5.20) ricavata per trasformazioni reversibili. La (5.20)
e la (5.24) possono anche compendiarsi nella:
ds
q
T
(5.25)
dove il segno di uguaglianza si applica per le sole trasformazioni reversibili.
Alcuni Autori preferiscono scrivere la (5.25) come:
ds =
q
T
+
q
irr
T
(5.26)
evidenziando cos che la variazione di entropia subita dal sistema conseguenza
in generale:
sia del calore, positivo o negativo, scambiato con lambiente nel corso della
trasformazione (entropia scambiata);
sia di quello, sempre positivo, conseguente alle cause di irreversibilit
(entropia prodotta).
Osserviamo immediatamente dalla (5.25) o dalla (5.26) che una trasformazione
adiabatica (q = 0) anche isoentropica solo se invertibile.
70 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Osserviamo, altres, che la (5.25) applicata ad un sistema isolato (q = 0) si
trasforma nella:
ds 0 (5.27)
la quale mostra che in un sistema isolato lentropia non pu mai diminuire
qualunque sia la natura dei fenomeni (reversibili o non reversibili). Essa si
conserva solo se il sistema isolato sede di fenomeni reversibili.
Esempio 1 - Riprendiamo i due corpi di Fig.4.4 che scambiano calore. Poi-
ch il processo irreversibile ed il sistema, costituito dallinsieme dei due corpi,
isolato, deve essere per la (5.27) che:
S
Tot
= S
1
+S
2
=
_
q
1
T
1
+
_
q
2
T
2
> 0
Ora, essendo evidentemente |q
1
| = |q
2
| per il primo principio e T
1
> T
2
per
ipotesi, la condizione precedente vericata solo se q
2
> 0 e, quindi, q
1
< 0.
Ci vuol dire che il calore lascia il corpo pi caldo per trasferirsi nel corpo pi
freddo in accordo con lesperienza.
Esempio 2 - Riconsideriamo il sistema isolato di Fig.4.5. Per il primo principio
si ha:
E
G
+U
R
= 0
Essendo il recipiente a pareti rigide vale la dU
R
= (TdS)
R
e la precedente
diventa:
E
G
+
_
(T dS)
R
= 0 (5.28)
Poich il processo irreversibile e il sistema isolato per ipotesi, vale la (5.27)
ovvero:
_
(T dS)
R
> 0
con la conseguenza che:
E
G
< 0
in accordo con lesperienza.
5.8 Entropia del gas ideale
La variazione che subisce lentropia di un gas ideale nel corso di una trasfor-
mazione reversibile tra uno stato iniziale 1 e uno stato nale 2 si pu calcolare
agevolmente partendo delle equazioni gi note:
q = c
v
dT +pdv
q = c
p
dT vdp
5.9. IL DIAGRAMMA DI STATO T-S 71
Dividendo le precedenti per T si ottiene:
ds = c
v
dT
T
+R

dv
v
ds = c
p
dT
T
R

dp
p
Integrando tra lo stato iniziale e quello nale si ha:
s
2
s
1
=
_
2
1
c
v
dT
T
+R

ln
v
2
v
1
s
2
s
1
=
_
2
1
c
p
dT
T
R

ln
p
2
p
1
Qualora sia possibile ipotizzare c
v
e c
p
indipendenti dalla temperatura, si ricava:
s
2
s
1
= c
v
ln
T
2
T
1
+R

ln
v
2
v
1
s
2
s
1
= c
p
ln
T
2
T
1
R

ln
p
2
p
1
Ricordando che (c
p
c
v
) = R

e ponendo k = c
p
/c
v
si ottiene che:
s
2
s
1
= c
v
ln
_
T
2
T
1
_
v
2
v
1
_
k1
_
(5.29)
s
2
s
1
= c
p
ln
_
T
2
T
1
_
p
1
p
2
_k1
k
_
(5.30)
Le relazioni precedenti evidenziano che le variazioni di entropia per un gas idea-
le dipendono da due variabili di stato ( T, v ovvero T, p nei casi esaminati) a
dierenza di quanto, invece, accade per lenergia interna e lentalpia che, al
contrario, dipendono dalla sola temperatura.
5.9 Il diagramma di stato T-s
Nello studio delle macchine termiche si usa fare riferimento al diagramma di
stato T s. Esso riporta lentropia specica s in ascisse e la temperatura
termodinamica T in ordinate. Dalla (5.20) riferita allunit di massa si ricava
che per una trasformazione innitesima:
q = Tds
72 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
1
2
q =
12
T
s
T ds
s
2
s
1
s
2
s
1
Figura 5.8: Signicato geometrico del calore scambiato in un piano T s
per cui la quantit di calore scambiata tra sistema ed ambiente in una trasfor-
mazione reversibile nita tra due stati 1 e 2 pari a:
q
12
=
_
2
1
Tds
che nel diagramma di stato T s rappresenta larea della supercie sottesa dalla
curva rappresentativa della trasformazione (vedi Fig.5.8). Ne deriva immedia-
tamente che nel caso di una trasformazione ciclica larea del ciclo rappresenta la
quantit di calore netta scambiata nel corso della trasformazione. In particola-
re, se il ciclo percorso in senso orario (ciclo diretto e macchine motrici) larea
del ciclo misura il calore netto ricevuto dalla macchina (positivo); se il ciclo
percorso in senso antiorario (ciclo inverso e macchine operatrici) larea del ciclo
misura il calore netto ceduto dalla macchina (negativo).
Attraverso le (5.29, 5.30) semplice vericare che le trasformazioni isocore
e isobre reversibili di un gas ideale presentano, in un diagramma di stato T s,
landamento esponenziale espresso rispettivamente dalle:
T = T
1
+ e
ss
1
cv
; T = T
1
+ e
ss
1
cp
Ne deriva che essendo sempre c
p
> c
v
una isocora sempre pi alta di una
isobara (vedi Fig.5.9).
Inoltre, ancora dalle (5.29, 5.30), si vede che per una trasformazione isoen-
tropica deve essere:
T
2
T
1
_
v
2
v
1
_
k1
= 1
T
2
T
1
=
_
v
1
v
2
_
k1
(5.31)
T
2
T
1
_
p
1
p
2
_
k1
k
= 1
T
2
T
1
=
_
p
1
p
2
_
k1
k
(5.32)
Dalla prima delle precedenti deriva (vedi Fig.5.10,a) che una isoentropica taglia
5.9. IL DIAGRAMMA DI STATO T-S 73
isobara
isocora
T
s
Figura 5.9: Isocore (dv = 0) e isobare (dp = 0) nel piano T s
p
v
T
s
s
T
(a) (b)
Figura 5.10: Fascio di isocore (a) e di isobare (b) nel piano T s
74 CAPITOLO 5. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
T
s
s
T
(a) (b)
T1
T2
s
1
s
2
T1
T2
I
II
III
a
c
d
e
f
b
Figura 5.11: Ciclo di Carnot nel piano T s (a) e confronto del rendimento di
cicli diversi (b)
un fascio di isocore a temperature che stanno tra loro in ragione inversa dei
volumi (al crescere di T, v diminuisce). La (5.32) mostra, al contrario, che una
isoentropica taglia un fascio di isobore a temperature che stanno tra loro come
le pressioni (vedi Fig.5.10,b).
La Fig.5.11,a evidenzia che in un piano T s un ciclo di Carnot riferito
allunit di massa di uido operante assume la forma semplice di un rettangolo.
Esso limitato dalle isoterme 1,2 (T = T
1
) e 3,4 (T = T
2
) e dalle adiabatiche
2,3 (s = s
2
) e 4,1 (s = s
1
). Ricordando quanto detto in precedenza, si ha che
in un ciclo diretto la quantit di calore q
1
fornita al sistema dalla sorgente calda
espremibile molto semplicemente dalla:
q
1
= T
1
(s
2
s
1
)
mentre quella q
2
ceduta dal sistema alla sorgente fredda parimenti:
q
2
= T
2
(s
3
s
4
) = T
2
(s
2
s
1
)
Ne risulta che il rendimento termico del ciclo di Carnot si ricava agevolmente
dalla denizione generale del rendimento:

C
= 1
q
2
q
1
= 1
T
2
T
1
Il lavoro del ciclo :
= q
1
q
2
= (T
1
T
2
) (s
2
s
1
)
che costituisce proprio larea del ciclo.
La (Fig.5.11,b) mostra, invece, come sia agevole provare, semplicemente con
laiuto di considerazioni geometriche, che un ciclo reversibile qualunque (I) pre-
senta un rendimento inferiore o al massimo uguale ad un ciclo reversibile di
5.9. IL DIAGRAMMA DI STATO T-S 75
Carnot (II) che operi tra le medesime temperature del primo. Infatti se si con-
sidera il ciclo di Carnot 1,2,3,4 (III) che circoscrive quello qualsiasi (I) si ha
certamente che:

C,III
=
C,II
= 1
q
2
q
1
= 1
b
a +b +c +d +e +f
(5.33)
mentre per il ciclo qualsiasi (I) si ha:

I
= 1
q
2
q
1
= 1
b +e +f
a +b +e +f
(5.34)
Dalle precedenti si deduce facilmente che:

C,rev

rev
essendo il numeratore ed il denominatore del secondo membro della (5.34) ri-
spettivamente maggiore e minore degli analoghi termini della (5.33). Da un
punto di vista geometrico possiamo dire, quindi, che quando pi un ciclo qual-
siasi riempie il rettangolo di un ciclo di Carnot reversibile realizzato nello stesso
intervallo di temperature e di entropie, tanto pi alto il rendimento di tale
ciclo arbitrario.

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