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20/10/13 Parmenide (dialogo) - Wikipedia

Parmenide (dialogo)
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Il Parmenide (in greco Παρμενίδης) è un dialogo di Platone Parmenide


inserito nella III tetralogia (insieme a Filebo, Simposio e
Titolo originale Παρμενίδης
Fedro) e appartenente ai cosiddetti dialoghi dialettici o della
Altri titoli Sulle idee
vecchiaia, quelle opere caratterizzate dallo sviluppo e dalla
messa in discussione, da parte del filosofo, delle teorie avanzate
nella fase della maturità. La sua data di stesura va quindi
presumibilmente posta tra il 368 e il 361 a.C.[1]

Conosciuto come l'opera più complessa ed enigmatica di


Platone,[2] il Parmenide narra il dialogo avvenuto tra gli eleati
Parmenide e Zenone, ad Atene in occasione delle Grandi
Panatenee, e il giovane Socrate - dialogo quasi sicuramente mai
avvenuto. Gli argomenti affrontati possono essere così elencati:
analisi del monismo parmenideo e obiezioni di Socrate alle
affermazioni di Zenone; analisi della dottrina socratica delle idee
e conseguenti obiezioni di Parmenide; formulazione da parte del
filosofo eleate di un metodo di indagine ipotetico (differente da
quello del Fedone e del Menone); esemplificazione di tale
metodo, prendendo in esame le ipotesi opposte «se l'uno è» e
«se l'uno non è», sviluppandone le conseguenze e scoprendone
l'aporeticità.

Indice Ritratto di Platone


Autore Platone
1 Personaggi 1ª ed. originale IV secolo a.C.
2 Cornice e struttura del dialogo
Genere dialogo
2.1 I Parte: la dottrina delle idee (127d6-135c7)
Sottogenere filosofico
2.2 II Parte: indagine ipotetica sull'uno (137c4-166c5)
3 Platone e l'Eleatismo Lingua originale greco antico
4 Interpretazioni del Parmenide Personaggi Socrate, Parmenide,
5 Note Zenone di Elea,
6 Bibliografia giovane Aristotele
6.1 Edizioni Serie Dialoghi platonici, III
6.2 Bibliografia secondaria tetralogia
7 Voci correlate
8 Altri progetti

Personaggi
Parmenide di Elea, anziano filosofo in visita alla casa di Pitodoro ad Atene;
Zenone di Elea, il più famoso allievo di Parmenide;
Socrate, giovane ateniese, futuro filosofo e maestro di Platone;
Aristotele, ragazzino ateniese, futuro politico oligarchico e membro del gruppo dei Trenta Tiranni[3] (da
non confondere quindi con il più noto filosofo Aristotele di Stagira).
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Cornice e struttura del dialogo


Cefalo, voce narrante del dialogo, narra come, con alcuni filosofi di Clazomene, una volta giunto ad Atene abbia
chiesto a Glaucone e Adimanto di essere condotto da Antifonte,[4] in modo da farsi raccontare la discussione
avvenuta tra il vecchio Parmenide, Zenone e il giovane Socrate - discussione che lo stesso Antifonte non ha
ascoltato di persona, ma di cui ha sentito parlare da Pitodoro. Il Parmenide si presenta così nella forma del
dialogo riportato, costruito su quattro livelli: questa scelta è stata interpretata come un'ulteriore prova da parte
dell'autore che la discussione presentata è frutto d'invenzione. D'altra parte, i riferimenti cronologici in nostro
possesso non permettono di affermare che il giovane Socrate abbia mai potuto dialogare con l'anziano
Parmenide.[5]

L'opera è divisa in due parti, di estensione diseguale.[6] Dopo un breve cappello introduttivo, in cui Socrate
attacca le posizioni assunte da Zenone per difendere il maestro (126a1-127d6), si entra nel vivo del dialogo:
nella prima parte (127d6-135c7), sotto forma di dialogo indiretto, Parmenide discute con Socrate la dottrina
delle idee, sollevando tre pesanti obiezioni apparentemente irrisolvibili; segue la descrizione da parte di
Parmenide di un metodo ipotetico per indagare la verità (135c8-137c3), da cui si passa infine alla seconda
parte del dialogo (137c4-166c5), la più lunga e complessa. Qui lo stile si evolve in dialogo diretto tra Parmenide
e il giovanissimo Aristotele, in cui il filosofo mostra un esempio del metodo di indagine appena delineato
analizzando le due ipotesi tra loro opposte "se l'uno è" (εἰ ἔν ἐστι) e "se l'uno non è" (εἰ μή ἔστι τὸ ἔν).
Sviluppando quattro conseguenze per ognuna delle due ipotesi, il filosofo giungerà alla fine del dialogo a delle
conclusioni aporetiche per entrambi i casi.

I Parte: la dottrina delle idee (127d6-135c7)

Nella casa di Pitodoro, in cui si trovano riuniti Parmenide con l'allievo


Zenone, il giovane Socrate, il giovanissimo Aristotele («quello che divenne
uno dei Trenta», allora undicenne) e altri due ospiti anonimi, Zenone dà
lettura di un proprio scritto in cui, difendendo le affermazioni del maestro,
attacca quanti ammettono la molteplicità degli enti: se infatti gli enti fossero
molteplici, sorgerebbero infinite contraddizioni, col risultato che di ogni ente
si dovrebbe dire che è al tempo stesso uno e molteplice, simile e dissimile, e
via discorrendo. A tale conclusione Socrate però obietta che i molti possono
sì esistere, se partecipano di alcune unità da cui traggono il nome: per
esempio, diciamo «simili» tutte le cose che partecipano di un’idea della
somiglianza. Non ha dunque senso meravigliarsi che le cose, i molti, siano
Platone ritratto da Raffaello simili e dissimili allo stesso tempo; piuttosto ci si dovrebbe meravigliare se il
mentre indica l'iperuranio simile in sé diventasse dissimile, e viceversa (129a).

Parmenide tuttavia non tarda a mostrare al giovane interlocutore alcune


difficoltà che sorgono da quanto ha appena detto. Non è infatti da escludesi che Platone abbia voluto
rappresentare, per bocca del giovane Socrate, alcune delle sue originarie considerazioni filosofiche, di cui
analizza le possibili contestazioni.[7] Una prima obiezione, di carattere generale, riguarda la natura delle idee:
l'Eleate si domanda se, accanto alle idee di giusto e bene, uguaglianza e grandezza, esistano anche quelle di
uomo e acqua, o addirittura quelle decisamente ridicole di capello o fango. Socrate è sicuro per quanto riguarda
bontà e grandezza - affermando quindi la natura assiologica delle idee[8] -, mentre esprime perplessità su quelle
di uomo e acqua, e riconosce l'assurdità delle idee di capello o fango. Parmenide prosegue allora con altre tre
obiezioni più specifiche.

Prima obiezione
La prima difficoltà riguarda la partecipazione (mètexis) dell'idea con l'oggetto sensibile: «ciascun oggetto

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che partecipa [di un'idea] partecipa dell'intera idea o di una parte»? Socrate tenta un paragone con il
giorno, che pur essendo uno illumina varie terre, e con un lenzuolo che copre molti uomini. Tuttavia, il
lenzuolo non potrà essere per intero su ciascun uomo, ma solo per una sua parte. Se ne deduce che
anche l'idea dovrà essere divisa in tante parti, quante gli oggetti che ne partecipano (130e4-131e9).

Seconda obiezione
Parmenide pone a Socrate una seconda difficoltà, che il filosofo Aristotele definirà "del terzo uomo".[9] Se
si pensa che tutte le cose grandi, tra di loro, abbiano qualcosa che le accomuna, ovvero la partecipazione
al grande in sé, allora è plausibile pensare anche che tutte le cose grandi, a loro volta, abbiano qualcosa in
comune con il grande in sé: ecco allora apparire una seconda idea di grandezza, di cui partecipano sia gli
oggetti grandi sia l'idea di grande. Allo stesso modo, è però possibile ipotizzare che vi sia qualcosa che
accomuni il grande in sé, gli oggetti grandi e la nuova essenza appena trovata, ipotesi che porterebbe alla
comparsa di un'ulteriore idea di grandezza, innescando così un processo infinito (132a1-b2). A nulla
giova l'ipotesi di Socrate per cui le idee potrebbero esistere solo nel pensiero; da ciò infatti Parmenide
conclude che «o ciascuna cosa consiste di pensieri e tutte pensano oppure esse, pur essendo pensieri,
sono prive di pensiero» (132b3-c11). Socrate ipotizza allora che le idee possano essere modelli fissi, di
cui le cose sensibili sono solo copie. In questo caso la partecipazione delle cose alle idee consisterebbe
nell'«essere foggiate come immagini di esse», ma così si ricade nell'obiezione del "terzo uomo" (132b4-
133a10).

Terza obiezione
Si tratta della più pesante teoreticamente. Se le idee sono veramente entità in sé, aventi sostanza in
rapporto a sé stesse, diventano per noi inconoscibili, poiché occuperebbero un piano ontologico a sé
stante rispetto a quello umano/sensibile. Se è così, non solo sarebbe per noi impossibile conoscere il bello
o il bene in sé, ma accadrebbe che persino gli dèi, detentori della scienza in sé (epistéme), non sarebbero
in grado di conoscere gli oggetti sensibili presenti nel mondo degli uomini - conclusione a dir poco
assurda (133a11-135c3).

II Parte: indagine ipotetica sull'uno (137c4-166c5)

La dottrina delle idee comporta dunque varie difficoltà teoriche all'apparenza quasi insormontabili, ultima delle
quali l'impossibilità da parte degli uomini di poter coltivare una scienza delle cose soprasensibili, l'epistéme.
Questa conclusione induce Parmenide a porre al suo interlocutore la domanda: «Che farai allora della filosofia?»
(135c5).

Per Parmenide, il principale problema di Socrate è l'essere troppo giovane e poco allenato nell'esercizio
dell'indagine filosofica. Per rimediare l'Eleate delinea un metodo di indagine basato su ipotesi da verificare
attraverso il ragionamento (136a4-c5): a proposito di qualsiasi oggetto, si prendono due ipotesi tra di loro
contrarie e opposte, una che dica "che è" e l'altra "che non è", e se ne svolgono tutte le conseguenze possibili.
Valutando alla fine i risultati di questa indagine dialettica, è possibile scoprire quale delle due ipotesi sia veritiera
e quale no. Solo con un simile allenamento si può apprendere il modo per discernere la verità ed evitare che
essa sfugga da sotto gli occhi. Si noti che tale esercizio riprende il metodo dialettico e argomentativo di cui
Zenone ha dato prova all'inizio del dialogo, spostando però l'oggetto di indagine dalle cose sensibili alla
metafisica.[10]

Per far comprendere meglio quanto appena descritto, Parmenide decide di darne prova con l'aiuto di Aristotele,
brillante ragazzino lì presente. Da questo punto in avanti il dialogo prenderà la forma del discorso diretto, in cui
quello che si potrebbe sostanzialmente definire un monologo di Parmenide viene intervallato dalle frasi di
assenso del suo giovanissimo interlocutore. Oggetto di un'analisi accurata e dettagliatissima sarà l'uno, svolgendo
dapprima l'ipotesi che lo afferma, e in seguito quella che lo nega. Per ogni ipotesi verranno dedotte quattro serie
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di conseguenze, per un totale di otto di deduzioni (tutte aporetiche), di seguito schematizzate secondo l'analisi di
Maurizio Migliori.[11]

1. Se l'uno è (137c4-160b1)
1. L'uno in sé. Se l'uno è uno, non ammetterà nessuna forma pluralità, sia essa interna o esterna.
L'uno quindi non è composto di parti, non è in nessun luogo, e non è né in movimento né in quiete,
ed è esterno al tempo. Tuttavia in questo modo, nessun altro ente potrà esistere all'infuori dell'uno,
nemmeno l'essere stesso. Ma non esistendo l'essere, nemmeno l'uno sarà (137c4-142a8).
2. L'uno in rapporto agli altri dall'uno. Se l'uno è, dovrà partecipare dell'essere. Ma non
coincidendo, l'uno e l'essere costituiranno due parti di un tutto, e per renderli fra loro diversi, si
dovrà introdurre anche il diverso. Viene introdotto il due, e di conseguenza anche il numero.
Pertanto l'uno non è uno, ma un insieme di parti: l'uno contiene in sé la molteplicità (142b1-
157b5).
3. Gli altri dall'uno in rapporto all'uno. Se l'uno è, gli altri dall'uno, in quanto ad esso partecipi,
cioè in quanto parti del Tutto, si troveranno ad essere allo stesso tempo infiniti (in quanto
molteplici) e limitati (in quanto parti). Essi cioè saranno un insieme molteplice composto di unità,
trovandosi ad essere tra di loro simili e dissimili (157b6-159b1).
4. Gli altri dall'uno considerati in sé. Se l'uno è, gli altri dall'uno considerati in sé stessi come
separati dall'uno, non parteciperanno dell'uno e pertanto, privi dell'uno, non potranno essere
composti di unità, e quindi non saranno molti (159b2-160b1).
2. Se l'uno non è (160b5-166c2)
1. L'uno in rapporto agli altri dall’uno. Se l’uno non è, esso è
diverso dagli altri, in quanto "non essere" qui significa
semplicemente "essere diverso da". In questo caso l’uno si pone in
relazione col molteplice, e a loro volta gli altri dall'uno
parteciperanno delle loro affezioni (160b5-163b6).
2. L'uno in sé. Se l'uno non è, e se "non essere" indica l'assenza
dell'essere, esso sarà privo di caratteri, e perciò non sarà né uno
né molti (163b7-164b4).
3. Gli altri dall'uno considerati in sé. Se l'uno non è, gli altri
dall'uno, rispetto a sé stessi, non possederanno nessuna delle
affezioni dell'uno, e nemmeno saranno molti, ma lo sembreranno
soltanto. Infatti, ogni singolo ente di cui la molteplicità si compone,
potrà solo apparire uno, senza esserlo, poiché l'uno non esiste
(164b5-165e1).
4. Gli altri dall'uno in rapporto all'uno. Se l'uno non è, gli altri
dall'uno rispetto all'uno che non è, non parteciperanno di ciò che
non è, e non saranno né uno né molti né niente di determinato
(165e2-166c2).
Parmenide nella Scuola di
L'analisi di Parmenide risulta dunque completamente aporetica. Il discorso Atene di Raffaello
attorno all'uno, con cui si è aperto il dialogo, si mostra in tutti i propri limiti, e la
teoria monistica di Parmenide ne esce di fatto confutata (166c2-5).

La pratica platonica dell'elenchos si coniuga qui con la reductio ad absurdum, ma questo metodo non è
autosufficiente, poiché non è in grado di giungere ad una verità definitiva e inattaccabile. Non è infatti ben chiaro
quale sia lo scopo effettivo di tale metodo e la critica è divisa secondo diversi interpretazioni.[12] Migliori ha

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comunque fatto notare che molte delle aporie presenti nei ragionamenti di Parmenide sono in realtà dovuti alla
polisemia dei termini utilizzati, i cui significati non vengono mai definiti in maniera univoca, ma anzi lasciati nel
vago.

Platone e l'Eleatismo
La lettura del Parmenide pone di fronte al complesso rapporto tra il pensiero di Platone e l'Eleatismo.
Anzitutto, la scelta del personaggio di Parmenide come conduttore del dialogo indica la volontà da parte
dell'autore di mostrare le affinità tra la propria filosofia e quella dell'Eleate. Parmenide ed Eraclito erano visti da
Platone come gli iniziatori della filosofia, riconducibili ai due filoni di pensiero Parmenide-Zenone-Gorgia ed
Eraclito-Protagora. Scegliendo Parmenide come conduttore del dialogo, dunque, Platone ha voluto da un lato
sottolineare il suo debito nei confronti del monismo eleatico, e dall'altro dimostrare l'assurdità di una simile unità
assoluta.[13] Non è infatti possibile spiegare il molteplice in riferimento a sé stesso, poiché esso richiede il
riferimento ad un'unità fondativa - ragion per cui unità e molteplice sono inseparabili. D'altra parte, l'unità del
molteplice non è altro che un insieme di unità e molteplicità relative, su cui avrà il compito di indagare la filosofia
attraverso la dialettica. Le idee sono dunque quegli enti primi, eterni e immobili di cui partecipano le cose
sensibili. Esse rimangono sempre identiche, in sé e per sé, e separate dal mondo sensibile a causa della propria
superiorità ontologica: solo attraverso il ragionamento sarà possibile conoscerle, in modo da conoscere così i
criteri di ragionamento assoluti fondativi della vera conoscenza, dell'etica e della politica.

In secondo luogo, la partecipazione degli oggetti alle idee viene interpretata da Socrate sia come "presenza" che
come "somiglianza", ma in entrambi i casi non si è al riparo da critiche e obiezioni (si pensi alle tre difficoltà
sollevate da Parmenide nella prima parte): le idee devono allora essere postulate, in maniera tale da salvare il
pensiero, come afferma Francesco Fronterotta.[14] Solo in questo modo è possibile spiegare l'indirizzo del
pensiero e della filosofia. In caso contrario, come affermato dallo stesso Parmenide in 135c5-6, non si saprebbe
che fare della filosofia, dal momento che, negando le idee, verrebbe meno lo scopo dell'indagine filosofica, che è
appunto quello di indagare le verità somme attraverso la dialettica.

Interpretazioni del Parmenide


Bisogna infine volgere uno sguardo, seppur rapido, alle diverse
interpretazioni del Parmenide. Il testo più enigmatico di Platone ha infatti
dato adito a diverse interpretazioni nel corso della storia del pensiero
occidentale.

La prima e più importante è quella del Neoplatonismo, rimasta in auge per


svariati secoli. Per i neoplatonici (in particolare ricordiamo Plotino, Proclo e
Damascio) è possibile dedurre le prime ipostasi dalle quattro tesi della prima
ipotesi ("se l’uno è"), mentre le successive quattro servono a verificare
l'impossibilità di negare l'Uno.[15] È un'interpretazione di carattere
strettamente teoretico, che tende a sottolineare gli aspetti metafisico-teologici
del testo, facendo leva sulla sua ambiguità.[16]
Plotino
Nel XIX secolo, Hegel definirà il Parmenide «il capolavoro della dialettica
antica».[17] Egli infatti ritiene che l'uno di cui si parla nel dialogo corrisponda
all'Assoluto: le tesi negative ("se l'uno non è") sono quindi contraddittorie, in quanto rappresentano l'impotenza
dell'uomo di giungere alla conoscenza dell'Assoluto, che deve così ripiegare sulla Ragione per superare le
contraddizioni dell'Intelletto.

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Di grande importanza, infine, è l'interpretazione analitica, che ha preso corpo con lo sviluppo degli studi di
filosofia del linguaggio nel secolo scorso: Ernst Tugendhat, ad esempio, riconduce il problema dell'ontologia
classica a una serie di problemi semantici, dovuti all'incapacità di svelare l'ambiguità dei significati linguistici in
campo. Parmenide ha frainteso il significato di "essere" e non "essere" a causa del duplice valore della copula
"è", che indica sia esistenza sia identità, e il suo ragionamento, degenerato, è stato poi ripreso da Platone nella
sua dottrina delle definizioni e dei concetti universali. Secondo questa interpretazione, quindi, l'ontologia è solo
un'illusione del pensiero.[18]

Note
1. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma
1998, p. 5.
2. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma
1998, p. 3.
3. ^ Parmenide 127d.
4. ^ Glaucone e Adimanto erano fratelli di Platone, mentre Antifonte era loro
fratellastro, figlio di loro madre Perictione e del secondo marito di lei,
Pirilampo.
5. ^ M. Migliori, Dialettica e Verità. Commentario filosofico al Parmenide
di Platone, Milano 1991, pp. 105 sgg.
6. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma G.W.F. Hegel
1998, p. 9.
7. ^ F. Trabattoni, Platone, Roma 1998, p. 233.
8. ^ F. Trabattoni, Platone, Roma 1998, p. 234.
9. ^ Aristotele, Metafisica I, 990a.
10. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma 1998, p. 87-89.
11. ^ M. Migliori, Dialettica e Verità. Commentario filosofico al Parmenide di Platone, Milano 1991, pp. 180-353.
12. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma 1998, pp. 85-87.
13. ^ La polemica di Platone sembra in particolare rivolgersi contro Melisso, suo contemporaneo e allievo di
Parmenide. Cfr. F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma 1998, pp. 22-24.
14. ^ Platone, Parmenide, a cura di G. Cambiano, intr. e note di F. Fronterotta, Bari 1998, p. XLI.
15. ^ Plotino, Enneadi V, 1, 8, 1-25.
16. ^ F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Roma 1998, pp. 106-110.
17. ^ G.W.F. Hegel, Prefazione a Fenomenologia dello spirito, a cura di Enrico De Negri, Firenze 1987, vol. I, p.
59.
18. ^ E. Tugendhat, Introduzione alla filosofia analitica, trad. it, Genova 1989, pp. 28-43.

Bibliografia
Edizioni

Platone, Parmenide, a cura di G. Cambiano, intr. e note di F. Fronterotta, Laterza, Bari 1998
Platone, Parmenide, a cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 2004
Platone, Parmenide, a cura di E. Pegone, in Tutte le opere, a cura di E. V. Maltese, Newton Compton,
Roma 2009

Bibliografia secondaria

F. Fronterotta, Guida alla lettura del Parmenide di Platone, Laterza, Bari 1998
H.G. Gadamer, Il «Parmenide» platonico e la sua influenza, in Studi Platonici, trad. it., Marietti,
Casale Monferrato 1984, vol. 2
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M. Migliori, Dialettica e Verità. Commentario filosofico al Parmenide di Platone, Vita e Pensiero,


Milano 1991
E. Paci, Il significato del «Parmenide» nella filosofia di Platone, Bompiani, Milano 1988
F. Trabattoni, Platone, Carocci, Roma 1998
M. Untersteiner, L'essere di Platone è οὖλον non ἕν, in Parmenide, Testimonianze e frammenti, La
Nuova Italia, Firenze 1958

Voci correlate
Dialoghi (Platone)
Teeteto (dialogo)
Sofista (dialogo)
Politico (dialogo)
Parmenide
Ontologia
Metafisica
Dialettica

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