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LUCA CAMPIONE

FIGLIA DI ELEUSI

Romanzo

Iniziato il: 19/12/08 Finito il:

Alle mie due sorelle Elena e Noemi, alla mia maestra che molto sa, a Giusy che mi sempre vicina e a te, gentile lettore, che ti accingi a leggere le avventure che sto per narrarti

Quale delle foglie, tale la stirpe degli uomini. Il vento brumal le sparge a terra, e le ricrea la germogliante selva a primavera. (OMERO Iliade, libro VI)

PROLOGO

LA FINE DEL VIAGGIO

SPESSE nubi saddensano sopra le nostre teste sottraendoci alla vista le stelle e la luna. La notte cupa, il cielo avvisa bufera e fintantoch il vento si abbatte su noi con tutto il suo furore, non posso non ringraziare i marinai per la destrezza che dimostrano nel governare la nave. Al loro posto, sono certa, sarei annegata tra i flutti. Mentre me ne sto qui, rigida e infreddolita sul ponte di prua, porgo lorecchio in ascolto, pi per abitudine che per vero desiderio dudire qualche suono; il mio respiro si fa lento. Tutto mi giunge in disordine. Le invettive del capitano si mescolano agli ansimi dei rematori affaticati, ai gridolini spaventati che ogni tanto le altre donne lanciano dabbasso in sentina e allo scalpiccio dei passi affrettati verso corde e finimenti. Rumore e caos un tempo insopportabili per me, ma che adesso, dopo le strazianti urla della guerra, mi sembrano una folle musica. Quasi ho voglia di ballare su questa brutale peana. Resisto saggiamente alla tentazione, ma da quanto tempo non agito pi i piedi nel cerchio della danza? Anni, certamente. Da quando quella maledetta guerra scoppiata; da quando fuggii presso le terre dellIda, ad Ilio. E ora essa caduta. Chiudo gli occhi, lascio che il vento impetuoso mi scompigli i capelli. Mi faccio cullare dal suo abbraccio per niente dolce, ma che sin da piccola ho amato alla stregua dun invisibile amante, dolce nella brezza mattutina, violento nella burrasca. Un sorriso cos mi affiora alle labbra; che sia un briciolo della a lungo dimenticata felicit? Nostalgia celata a riso magari? Forse, o quasi certamente un impulso improvviso, uno sfogo dovuto alle amarezze accumulate. Troia caduta, Pergamo arde. Tutto sembra perduto, terminato come un lungo sogno -o forse incubo- svanito dimprovviso col sopraggiungere del giorno, abbandonando dietro di s solo

vuoto e desideri inappagabili. Ceneri, ceneri portate via dal vento, questo quello che resta, e terre desolate e lacrime amare. Un brivido freddo mi percorre la schiena ed io sono costretta a riaprire gli occhi. Mi avvolgo pi stretta al mantello, unico avere rimastomi e osservo loscuro orizzonte. La massa nera del mare si agita e ruggisce, schiumando contro lo scafo della nave, facendola ondeggiare a destra, a sinistra, come un vecchio ebbro di vino. Un tempo sarei riuscita a far placare il vento, ad acquietare i flutti con un solo gesto, ma adesso adesso finita. La mia Forza svanita, lasciandomi solo dei ricordi lontani. Mi sento inutile. Il mio spirito morto. Vorrei piangere, urlare, gemere senza fine, ma di lacrime ne ho versate troppe e, in questo momento, non ho neppure la forza per soffrire in silenzio. Mi sento sterile, rassegnata alla mutata sorte. Su cosa piangere, mi domando? Cosa urlare? Cosa tacere? Su cosa lamentare?... Su pietre riarse dalla fiamma argiva? Sui corpi mutilati di uomini caduti per una guerra non loro? Sul destino infame di donne ora schiave dei vincitori?... Vincitori Ma chi sono i veri vincitori di un conflitto? Chi pu dire di non aver perso nulla? Con passo strascicato mi accosto al parapetto; alle spalle sento un rude marinaio intimarmi di fare attenzione. Lo riconosco; lo stesso che mi ha aiutata a salire a bordo. Forse teme che voglia gettarmi in mare. Non sarei n la prima n lultima a farlo, del resto consuetudine in simili situazioni e gli uomini sono abituati a vedere la donna fragile e sciocca, incapace di reggere simili drammi. E forse non hanno tutti i torti. La mia unepoca ingr ata, soprattutto con noi donne. Le sacerdotesse pi giovani, mosse dallinesperienza, sirriterebbero nello scorgere simili atteggiamenti maschili, ma io ci sono abituata ormai. Gli uomini non sono affatto diversi da noi. Nella mia vita ho conosciuto molti uomini; principi, sovrani, guerrieri ed eroi, e di ciascuno rammento forze e debolezze, paure, passioni, segreti Achille pi-veloce, re Priamo, il superbo Agamennone, il nobile Ettore e altri prodi che agli occhi del mondo tanto somigliano a Dei, ma che a me paiono solo fanciulli sperduti nellEgeo.

Infelice mortale, la cui sorte in mano a gli di, non volgere mai la prora della vita contro londa, segui invece il mutare dei tempi giacch tutto muta oltre la nostra volont. Ed ecco che adesso il mondo cambia ed io me ne accorgo solo ora che ho perduto tutto e ritorno allunico luogo che potr sempre chiamare casa: Eleusi. Un lampo balena nel cielo, illuminando dinfiniti fulgori le onde spumeggianti. Il cielo tuona poco dopo, quasi a mostrare che lira degli Immortali Signori non s ancora placata. Sospiro mentre il capitano ci urla di tornare sottocoperta, lancio un ultimo, fugace sguardo alla terraferma ove il futuro incerto mi attende e con noncuranza mi volto Non sento paura. Solo stanchezza e una strana tranquillit, la medesima che provavo in giovent ogni qual volta mimpegnavo a riparare le reti di mio padre: pesante, immota ed un po rass egnata, densa di fatalit. questo il momento in cui tutto sar spiegato e la storia narrata cos com avvenuta. Alla fine del viaggio. Potrei raccontare menzogne o verit, a voi il giudizio. Le parole, in fondo, sono sempre e solo parole. Fatalit! Tutto comincia e si conclude proprio con una parola, considerata foriera donori e sventure, gioie e tormentosi r imorsi. Un nome eternamente ricordato Elena che, Moire vollero, anche il mio nome.

FIGLIA DELLA NUTRICE

MENTRE con passo strascicato scendo gi nella stiva, il chiassoso ribollire della tempesta va smorzandosi. Eccettuato il fragore di qualche tuono e leco attutito di voci allarmate, sottocoperta r egna un silenzio immobile e pesante. Scendendo le traballanti scale odo il rumore dei passi echeggiare nella stiva piena solo per met. quasi angosciante. Latmosfera chiusa puzza di pesce marcio. La luce stentata, donataci da una piccola lampada. Il resto buio. Velati dallombra, viaggiatori esiliati come me riposano. Mi chiedo come riescano a farlo quando la nave su cui viaggiamo preda degli elementi. Non faccio in tempo a muovere un passo che dimprovviso il pavimento sinclina spaventosamente e sono costretta ad aggrapparmi ai pioli della scala per non scivolare. La nausea mi assale; sento la gola pizzicarmi fastidiosa e un sapore acido in bocca. Se non mi controllo presto dar di stomaco. Odio le navi! Decido di sedermi; prima, per, attendo qualche secondo cercando di ritrovare lequilibrio. Non appena mi sento pi sicura, lascio la presa e mi avvicino lentamente alla parete opposta, proprio dove si trova la lampada dalla debole fiammella. Questa notte molto fredda. Sono molto vicina, mancano pochi passi alla meta quando, con un nuovo scossone limbarcadero oscilla unaltra volta e cado bocconi. Gli Di ce lhanno proprio con me! Vorrei urlare per la frustrazione, ma il quieto russare dei compagni di viaggio mi frena. Cos, impreco a bassa voce per non disturbarli, poi, carponi raggiungo la candela traballante su una cassa e, schiena alla parete, siedo a gambe incrociate cercando una posizione comoda per quanto il pavimento di legno viscido e sporco possa offrire

Alla luce della fiamma, provo a dormire. Ne ho bisogno: un mese e pi che viaggio per mare, sono stremata ed il peso del passato mopprime ed aggiunge anni alla mia gi avanzata et. Chiudo gli occhi, cerco di rilassarmi, ma per quanti sforzi io faccia il dio Sonno sembra riluttante ad accogliermi fra le sue braccia. Sospiro spazientita e arresa. So cosa mi frena, cosa scaccia il sonno ristoratore: i ricordi. Ah, i ricordi! Il dono pi bello e al tempo il pi spregevole che gli Di potessero offrirci. Molte cose non sarebbero accadute se la memoria dei torti passati non fosse perdurata, ed io avrei ancora il mio sonno. Da un lato, comprendo che serbare memoria di ci che stato pu essere un insegnamento di cui godere in futuro, un balsamo nella sconfitta, ma dallaltro so che pu dar adito a un odio sco nfinato. Si, molte cose bene dimenticarle. E che Calcante dica ci che vuole; qui il Fato centra poco o nulla! In quarantanni ho veduto molto e, per aggiunger danno alla beffa, la mia memoria si mostra ben preservata. Solitamente il tempo cancella i ricordi sbiadendoli poco a poco, come affreschi esposti alle intemperie, ma nel mio caso le esperienze vissute e gli esecrabili orrori di cui sono stata al tempo stesso partecipe e spettatrice tardano a svanire. Ci nonostante, in questa coltre di amarezze scorgo la fioca luce dei miei primi ricordi, dolci, legati allinfanzia, quando ancora vivevo con la mia famiglia in una casupola di vimini e argilla sullisola di Creta... *** Fra i pochi episodi della fanciullezza che ancora ostinatamente serbo, il giorno in cui conobbi Limnorea di Eleusi certamente quello pi vivido, soprattutto ora che torno per sostituirla. Ho conosciuto gli uomini e le donne pi potenti del mio tempo eppure, nessuno mai riusc ad eguagliare Limnorea ai miei occhi. La sua bellezza, il portamento fiero, mi colpirono dal primo istante e so che il mio essere sacerdotessa di Demetra lo devo principalmente a lei. Se vi dicessi che sono figlia di un pescatore ed una levatrice nullatenenti, che sono nata e cresciuta in una casupola misera con un fratello gemello ci credereste? Probabilmente no, ed certo

che mi guardereste perplessi, interdetti nel ritenere le mie parole come uno scherzo o una improbabile verit. Almeno, questo quel che accade la maggior parte delle volte. Eppure, cos che stanno le cose. Sono nata nei pressi di Amnisos, una gran citt portuale a nord-est di Cnosso, e come gi detto, nulla della mia nascita lasciava presagire un avvenire da Melissa eleusina. Personalmente ho sempre ritenuto Amnisos un posto delizioso e mai provai vergogna per i miei natali sebbene, lo ammetto, ne parlai solo occasionalmente e a pochi. Quei poveretti! Sorrido ancora al ricordo delle facce profondamente imbarazzate, contratte dal fiato mozzo per la sorpresa. Ah, quant grande lingenuit umana! Sovente si preferisce ignorare la realt se non corrisponde alle costruite aspettative. In verit non so perch la gente mi ritenesse di sangue nobile; forse per via dei miei abiti o delleducazione impartitami al tempio. Fatto sta che se pensarono questo, non li disillusi. Non ho mai dato eccessivo peso alle stime della gente. Credo piuttosto daver fatto sempre il contrario di ci che si aspettavano. Sino allet di dieci anni vissi con la mia famiglia nella piccola casa appollaiata come un nido di gabbiano in cima alla scogliera, perpetuamente squassata dai venti caldi del mare. Non era molto grande, per la verit, tuttavia non ebbi occasione di vivere in un luogo pi ampio sino a che non lasciai Creta. E poi in quattro ci stavamo comodi. Ivi trascorsi uninfanzia serena, anche se non priva di occasionali imprevisti, passando le ore liete della giornata giocando per la campagna o lungo la spiaggia con i miei amici, sotto il caldo sole dellisola. Mio padre si chiamava Ideo, figlio a sua volta di Iasione il marinaio, dal quale aveva ereditato tutto nei modi e nellaspetto fuorch laltezza. Ideo era basso, scuro di carnagione e capelli, con una folta barba ricciuta, spalle larghe, mani callose, occhi perpetuamente rivolti al mare e un perenne odore di salmastro addosso. Non lo si poteva giudicare bello, piuttosto laspetto selvat ico e la scarsa statura gli conferivano unaria simile a quella di certi satiri rappresentati nelle teche che custodiscono le statue degli dei. Ma per quanto selvatico potesse essere nelle fattezze, di converso lanimo di mio padre era buono: sempre allegro, straordina-

riamente dolce con me e mio fratello e, inoltre, amava nostra madre immensamente. Un sera chiesi a questultima cosa lavesse spinta a sposare mio padre. Ero curiosa poich nel pomeriggio avevo udito delle vecchie signore, che vivevano in alcune case pi non lontane dalla nostra, discuterne animatamente senza giungere, tuttavia, ad una conclusione. Mia madre Ianira, onor del vero, era una donna molto bella, dal volto fine e gli occhi bruni, dunque non stranisce il fatto che la gente sinterrogasse su come fosse nato un connubio s tanto singolare. La risposta che Ianira mi diede fu semplice: Lamore n pi n meno, quasi scontato direste voi. Non ci vuol molto a dedurre che quella striminzita affermazione non mi bast; come tutti a quellet, desideravo capire. Le chiesi ulteriori spiegazioni, ma ella con un gesto spazientito mi zitt replicando: <<Da grande capirai. Per il momento pensa ad andare a dormire, il sole gi calato>>. E l termin la nostra discussione. Da quella volta evitai di far domande su questo argomento e non seppi nulla a riguardo sino al giorno in cui, come vi dicevo, conobbi Limnorea. Avevo raggiunto da poco i sei anni e gi mia madre sapprestava ad introdurmi allarte della nutrice, di cui era esperta, quando il mio destino (se legittimo usare tale parola) prese a delinearsi. La primavera terminava e gi il caldo sera fatto afoso, previa avvisaglia di unestate torrida. Borea giungeva in soccorso soffiando brezza fresca, trasportando fin dentro le case il profumo dei fiori e lodore salso del mare, ma era questa ben poca cosa contro limplacabile calura del sole. Invece, la natura sembrava in pieno rigoglio, affatto infastidita dalla temperatura scottante. La campagna si tingeva poco a poco delloro delle spighe e se si spingeva lo sguardo sino al mare nelle ore meridiane, si vedevano la terra e lacqua fondersi in una unica e vasta piana del biondo color del vino. Il pomeriggio precedente, mio fratello Nico sera ferito al ginocchio giocando con i suoi amici. Sconosco le dinamiche dellaccaduto; lui afferm dessere scivolato sulle rocce, ma il livido nero che ne cerchiava locchio destro lasciava supporre tuttaltro. Ma i miei genitori preferirono non indagare oltre.

Ad ogni modo, sebbene allinizio ci fosse parso un semplice graffio, la ferita nel giro di mezza giornata sinfett e in mancanza delle erbe adatte mia madre si vide costretta a recarsi in citt per comperarle; mi chiese cos, di farle compagnia. Inutile dire che ne fui contenta. Per quanto la vita allaria aperta non mi fosse negata, amavo andare l dove proprio la vita sembrava esprimersi nella sua pi vigorosa forma. Oltre a ci, sin dalla mattina percepivo qualcosa di diverso nel vento, quasi delle voci, ma poich ero piccola non vi feci molto caso. Capirete, dunque, quale spirito sovreccitato mi animava quel d. <<Forza madre, andiamo!>> esclamai mentre mia madre si attardava sulluscio di casa parlando con Ida, una vecchia sorella di mio padre venuta in visita da Cnosso. <<Abbi pazienza Elena>> mi disse lei per lennesima volta. <<La citt non fuggir via>>. Io sbuffai infastidita e mi sedetti ai piedi dun cedro, osservando agognante il mare e la sabbia rilucente. Non ero molto paziente prima di diventare sacerdotessa e nemmeno dopo. Mia madre mi lanci unocchiata di traverso, sorridente, e torn a rivolgersi a mia zia. <<Hai capito tutto?>>. <<S, Ianira, non temere.>> rispose mia zia <<Se tuo figlio dovesse sentir ancora dolore, applicher sulla ferita una tintura di melissa. Di quella ne hai in abbondanza in casa, sta tranquilla e tu!>> riprese acida verso di me, dito puntato. <<Sii buona e cerca di non far stancare troppo tua madre, capito?>>. In risposta le feci una linguaccia. Mia madre non aggiunse altro e dopo aver ringraziato Ida, cincamminammo. Il sole era gi alto e il cielo azzurro, chiazzato qua e l da nuvole bianche. Il vento dondolava le spighe come onde in bonaccia. Il profumo del mare savvertiva intenso, accompagnato dallo str idio acuto dei gabbiani. Discendemmo la collina, godendoci il calore e gli odori soavi del d; mia madre camminava con passo cadenzato, n troppo rapida n troppo lenta, con me che le trotterellavo a fianco. Ogni gesto suo era elegante, fluido come lacqua e la schiena alta, ritta, in un portamento orgoglioso.

Mentre le stavo accanto, aggrappandomi di tanto in tanto alla sua veste azzurra, mi sorprese a fissarla e sorrise facendomi arrossire fino alla radice dei capelli. Tutto in lei esprimeva munificenza, bellezza ed una innata sacralit. La luce del sole lungo la strada polverosa le contornava il capo come unaureola e la lunga chioma castana brillava, fluttuante al vento, faticando a rimanere compatta nellacconciatura. Il chitone di lino, morbido e profumato, frusciava lievemente ad ogni passo, esaltandole con delicatezza le forme armoniose. Quanti la conobbero non cessarono mai dencomiarla definendola come la pi bella di Creta, di certo nata sotto il favore di Afrodite. Beh, personalmente dubito che questultimo asserto sia giusto; la Splendida non ha mai mostrato simpatie per chi serve la Grande Dea Madre come noi. <<Venite signore, venite! Osservate i miei gioielli! Vere rarit provenienti dalla terra dEgitto!>> gridava un vecchio mercante, occhietti slavati e aria rapace, mentre un nugolo di donne faceva ressa attorno al suo barroccino rilucente di gioie. Era mezzod quando raggiungemmo il mercato accanto al porto. La calca era incredibile: gente di tutte le razze, uomini alti e biondi, uomini tozzi e dalla pelle scura, donne dagli abiti colorati e acconciature stravaganti, e poi animali e una infinit di bancarelle e merci belle ed esotiche. Un miscuglio caotico di voci, parole, risate, urla e profumi talvolta cos intensi da farti venire continui capogiri e non tutti piacevoli. Dalla strada di terra battuta saliva un nuvolone di polvere, smossa da centinaia di piedi, che andava adagiandosi sugli abiti e la mercanzia bellamente esposta. Io guardavo confusa quella fiumana tumultuosa che si spintonava, coinvolta comera dalla frenesia per gli acquisti. Intimorita e spaesata, mi aggrappai con forza alla gonna di mia madre. <<Stammi vicina>> profer lei perentoria. <<E non allontanarti per nessuna ragione>>. Annuii in silenzio, strizzando gli occhi; non avevo la minima intenzione di disubbidirle, di questo poteva star certa. Frattanto, i suoni e le immagini mi arrivavano confusi e la testa cominci a dolermi. Avanzammo con cautela fra la gente; ogni tanto qualcuno ci urtava urlando improperi in lingue sconosciute e pi volte rischiai

di cadere. Fortunatamente mia madre aveva buoni riflessi oltre che una presa salda e, manovrandomi alla stregua di un burattinaio col suo bamboccio, mi scostava alloccorrenza evitandomi desser travolta. Mentre percorrevamo la via principale in cerca di un erborista, una voce implorante richiam la nostra attenzione. <<Oh mia signora, beneditemi ve ne prego!>>. Ci voltammo. Una vecchia, avviluppata ad un logoro himation, sera prostrata ai piedi di mia madre posando le mani rugose sulla polvere. Aveva la pelle bianca, quasi cinerea, piena di macchie scure e gli occhi di un verde slavato. Sembrava molto afflitta. <<Concedetemi una benedizione dalla mia Signora... ahim la mia unica figlia sposata da lungo tempo, ma non riesce ad aver bambini. Vi prego beneditemi, desidero tanto avere nipoti che allietino la mia vecchiaia>>. Allinizio mia madre osserv turbata la donna, sorpresa quanto me da quellimprovvisata, poi mi lasci la mano avvicinandosi a lei con un sorriso, congiunse le proprie e gliele impose sul capo. Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere; mia madre era una Ilizia, una nutrice al servizio della Dea Hera, e spesso le altre donne (ed anche alcuni uomini) le chiedevano speciali benedizioni. Vi aspetterete ora la descrizione onirica di una visione, forse, di luci sfolgoranti e potenze divine scendere sulla vecchia attraverso le mani mediatrici e sante di mia madre. Beh, mi spiace deludervi ma raramente assistetti ad eventi mistici di tal fatta e mai a quel tempo. Se qualche prodigio si manifest ai miei occhi, fu solo diversi anni dopo, quando gi servivo ad Eleusi. Ci non toglie che vedere Ianira esercitare i suoi poteri sacerdotali non fosse per me uno spettacolo privo di fascino. La gi figura nobile di mia madre si rivestiva improvvisamente della dignit propria di una Ilizia, risplendente al pari della Dea stessa e, concedetemelo, forse era proprio la Sua maestosa aura a discendere su di lei. <<Che la benedizione della Grande Madre Hera scenda su te e su tua figlia, sorella mia, e che tu possa avere molti nipoti come desideri>> disse mia madre in tono ieratico <<Al tramonto recati con tua figlia presso il tempio ed implora la Dea desaudirti, poi

chiedete consiglio alle Ilizie mie sorelle ed esse vi diranno cosa fare>>. <<Grazie madre Ianira>> disse lanziana signora, ancora scura in volto. <<Che la Madre sia sempre con te>> poi, con uno strano brillio nelle iridi, mi rivolse un occhiata attenta e misteriosa<<E che tua figlia ottenga la tua stessa saggezza, se non una maggiore>>. Il mio cuore perse un battito dimprovviso. Un brivido freddo mi scosse mentre laugurio, volando al mio orecchio, sembr trasformarsi in una maledizione. Rimasi in silenzio, nascondendomi istintivamente dietro le gambe di mia madre, spaventata, confusa da quel sudore diaccio. Suppongo che il disagio dovesse palesarsi sul mio volto perch, subito dopo, Ianira mi chiese preoccupata: <<Elena, sei stanca? Hai il viso pallido>>. Scossi il capo. <<No>> bisbigliai. Non riuscivo a capire cosa fosse accaduto. Avevo ancora la pelle doca. Guardai davanti a me, ma la vecchia era scomparsa. <<Allora proseguiamo. Prima ci sbrighiamo prima faremo ritorno a casa>>. Riprendemmo a camminare in silenzio, Ianira concentrata nel cercare fra le varie bancarelle ed io, ancora un po stordita, rimuginavo sullaccaduto. Verso la terza ora dopo il mezzod, quando il sole si fece meno intenso e la folla cominci a scemare, mia madre volle fare una sosta. Inutile dire che fui ben lieta alla notizia, avevo i piedi in fiamme e la gola secca. Oltrepassammo in fretta la piazza principale dove il mercato convergeva, ancora enormemente affollata, e ci dirigemmo verso i Giardini, ai piedi della Villa dei Gigli, dimora di Taegete il damos locale. L la vegetazione era florida e gli alberi facevano molta ombra, cerano diverse fontane dalle quali poter bere e rinfrescarsi. Stranamente quel giorno vi era poca gente e subito trovammo posto sotto i rami di un nodoso ulivo. Mangiammo rapidamente le focacce con le olive comperate lungo la strada, chiacchierando allegramente. Poi mia madre si addorment ed io, sazia e nuovamente in forze, decisi di esplorare il posto.

Mi alzai, ben attenta a non svegliare Ianira, e cominciai la perlustrazione: il vociferare della gente in fiera che tanto maveva stordita a primo acchito, adesso giungeva distante e vacuo, mischiato allo stormire delle fronde. Unaltra caratteristica di Creta proprio il soffiare incessante del vento che non smette un istante dincrespare la superficie dellEgeo. Quandero piccina, zia Ida mi narr che quello era il respiro di un Dio che abitava una grande caverna ad ovest. Disse che quando la brezza spirava leggera Egli era assopito, mentre se tirava tempestoso il Dio nella Caverna doveva essere adirato e gli ululati rabbiosi che lanciava facevano tremare il cielo e gli abissi. Allora occorreva restare a casa, al caldo e al sicuro, sperando che le preghiere dei sacerdoti chetassero la Sua collera. Da quando la udii per la prima volta non la dimenticai pi. Non so perch questa favola mi affascinasse cos tanto, ed anche se ormai adulta e distante dal mondo colorato delle favole, ogni volta che percepivo il tocco del vento sulla pelle mi sembrava davvertire delle dita morbide e forti accarezzarmi, giocare coi miei capelli, o una voce dolce sussurrare al mio orecchio migliaia di parole, inudibili agli altri. Forse queste cose le prendereste come fantasie duna bimbetta o magari, considerando gli anni successivi, le allucinazioni duna pazza sentitevi pur liberi di pe nsarlo, risentimento non ne proverei, n mi rechereste offesa: ad oggi sono dellidea che tutti gli uomini, chi pi chi meno, sono pazzi; perch, dunque, dovrei far la differenza? Passeggiai per alcuni minuti, sbocconcellando con poco interesse un dolce alla frutta che Ianira maveva comperato. Tutto mappariva bello e tranquillo in quel momento, avvolto dalla quiete sonnacchiosa delle prime ore del pomeriggio. Unarietta fresca cominciava a spirare, trasportando seco il suono armonico del mare e le migliaia di profumi delicati dei fiori in boccio. Qua e l tra i rami, uccellini dalle piume scure canticchiavano festaioli, tutti intenti a realizzare nidi; un fare e disfare continuo, nel quale ponevano unattenzione quasi maniacale, scegliendo il rametto giusto, la foglia perfetta da apporre al proprio ricovero. Io mi soffermai ad osservarli, divertita dal quel frenetico svolazzare e istintivamente cominciai a cinguettare con loro, gio-

cando a quello strano modo dialogico, seguendoli con lo sguardo, spostandomi dabbasso di albero in albero, divertita da quellinfantile passatempo che, tuttavia, solitario non mi sembrava. Al contrario, avevo come limpressione, forse fantasiosa, che i passeri e gli altri uccellini mi assecondassero rispondendomi col loro ciangottio brioso. Dun tratto maccorsi che su un rami, il pi basso, una giovane passera era accovacciata nel suo nido, tutta gonfia e con le piume ritte: deponeva le uova, assistita a poca distanza dal maschio che, imperterrito continuava di tanto in tanto a rimestare i secchi rametti, quasi fosse quella la giusta distrazione per scaricare la nevrosi del momento. Fu immediato e spontaneo il paragone fra questa e altre scene a cui avevo assistito presso le case di giovani partorienti, accucciata dietro una porta, con orecchio teso, giacch laccesso mera negato dagli adulti, e compresi, con la mente di bambina, che non v poi tanta differenza fra luomo e lanimale, negli aspetti quotidiani cos come negli atteggiamenti pi brutali. Non me ne vogliate per tale paragone che, ai vostri orecchi, potrebbe suonare oltraggioso. Non nelle mie intenzioni offendervi, ma pi volte, negli anni, ne ebbi conferma. Vinta dalla curiosit, volli assistere anchio a quellevento, ed intestardita, conservai ci che rimaneva del mio dolce in una manica e presi ad inerpicarmi (con non poche difficolt) su per il nodoso tronco. Bench fossi avvezza a certe sconsideratezze e per quanto agile di natura, i movimenti mi risultarono impacciati e goffi avviluppata comero nellabito di lino consunto, per non parlare poi dei sandali che rendevano la mia scalata ardua e scivolosa. Sbuffai spazientita mentre mi ritrovavo per la terza volta, sconfitta ma per nulla arresa, ai piedi dellalbero. Togliendomi le foglie dai capelli optai per una risoluzione definitiva. Sciolsi celermente i sandali, gettandoli via con stizza, annodai la gonna poco sopra le ginocchia e, finalmente libera da impedimenti, mi detti alla scalata, attenta a causare il minor numero possibile di scossoni cos da non disturbare la coppia di passeri. Proposito che risult fallimentare, infatti, giunta che fui in cima, scoprii che gli uccelletti erano volati via, spaventati proprio dai miei molteplici tentativi darrampicarmi. Immaginatevi la delusione nel vedere il nido

pieno solo di piume e foglie morte. Aggrottai con disappunto la fronte, contrariata per la fatica inutilmente spesa e maccinsi a scendere quando, con la coda dellocchio, colsi celato dal fogliame nel nido, un uovo. Era piccolo e rotondo con macchioline castane a punteggiarne il guscio bianco. Era stato dimenticato dai genitori nella fretta della fuga e ora se ne stava l, triste e solo, impossibilitato a schiudersi, col rischio di divenir presto cibo per qualche serpente. Colta da pena assunsi la decisione di prenderlo con me cos da assolvere al compito lasciato in sospeso dai genitori uccelli, in fin dei conti, io li avevo spaventati con la mia cocciutaggine e dunque toccava a me rimediare. Inoltre, ammetto che non mi dispiaceva avere un animaletto da compagnia anche se, gi me la figuravo, mia madre non ne sarebbe stata entusiasta. In bilico sul vuoto, cercai di allungare le braccia cos da prendere luovo, ma la loro cortezza e linquietante scricchiolio del ramo sul quale appoggiavo mi fecero desistere, costringendomi a cambiare dapprima la posizione. Guardai a destra e a sinistra, in alto ed in basso, in cerca di un sicuro appiglio trovandolo in una frasca poco pi in alto, sopra la mia testa. Tesi il braccio libero, il destro, mentre con laltro maggrappavo al ramo sul quale si trovava il nido. Puntai i piedi issandomi, bene attenta a non forzare troppo col peso. Rimasi sospesa per alcuni istanti come una vera acrobata prima di atterrare sul ramo di mio interesse, quellappunto con il nido. Loperazione di salvataggio per non era affatto conclusa. Con passo precario e alquanto nervoso, mi avvicinai gattoni al ricovero per uccelli, evitando accuratamente di guardare in basso ove il suolo mattendeva duro e polveroso. Provai a prendere il piccolo cocco, ma non appena potei sfiorarne coi polpastrelli il guscio, una voce dabbasso mi sgrid. <<Cosa fai ragazzina?! Scendi gi e lascia stare quel nido!>>. Colta in alla sprovvista sobbalzai, persi lequilibrio e gettando un urletto acuto caddi gi in una pioggia di foglie. Devo ammettere che laltezza non era poi cos spropositata, almeno oggi non mi risulterebbe tale, ma per let che avevo i due metri e mezzo erano anche troppi per non farsi male ed io, rispetto ad i miei coetanei, ero bassina. Fortuna volle almeno che ai piedi

dellalbero un cespuglio attutisse il ruzzolone; ebbene, mi ritrovai al fine col sedere per terra, un dolore acuto alla parte suddetta ed i capelli arruffati, pieni di rametti e fogliame. Pochi passi in l, la sconosciuta mi fissava serafica, lievemente soddisfatta dallo spavento causatomi e delle sue conseguenze. <<Cos impari a rapinar ci che non ti appartiene>> sanc severa, avvicinandosi con grazia superba. <<Non stavo rubando nulla!>> replicai piccata, voltandomi in sua direzione. <<Volevo solo salvare quel povero uovo>>. Ella mi guard perplessa qualche istante, con un sopracciglio scuro inarcato, quasi soppesando con attenzione ci che le avevo detto; me ne risentii di quellaria scettica dacch sembrava metter in dubbio la mia onest. Orgogliosamente non mi reputavo affatto una bugiarda, detestavo quando mi consideravano tale, e non mancai di farglielo presente. <<Non sono una bugiarda!>> <<Oh, di questo ne sono sicura. Non ne hai laspetto>> ribatt la donna sarcastica, senza smettere di fissarmi. La fissai a mia volta, affatto intimorita. Dovevo farmi valere! I nostri sguardi sincontrarono a mezzaria, anzi sarebbe meglio dire che si scontrarono stimata locchiata torva che le lanciai, rimarcando cos il concetto che: no! Non ero n una bugiarda n tanto meno una ladra! La misteriosa interlocutrice, di rimando, non sembr turbarsi come avevo sperato e rispose con egual durezza oculare. Senza che ce ne accorgessimo, sapr fra noi una lotta di sguardi in cui le parti contendenti tentavano di prevalere luna sullaltra esibendo con minacciose guardate autorevole supremazia, sfidando lavversaria a dimostrare il contrario; lotta che, in effetti, da quel d non ebbe mai fine tra noi. Fu in quel modo che la conobbi: Limnorea, Somma Sacerdotessa di Demetra ad Eleusi e mio precursore. Restammo cos parecchi minuti, immobili come statue, studiandoci, sfidandoci, legandoci indissolubilmente. Fronte aggrottata, occhi ridotti a sottili lame, concentrate nellostentare la nostra pi truce espressione, sembr che il mondo in torno a noi smettesse di muoversi. Solo il vento osava spirare, smovendo ve-

sti, chiome scure e foglie. Noi, per, non vi badammo; nulla poteva distoglierci dallo scontro. O almeno, cos sembrava.

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