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QUALE FUTURO PER LUNIONE EUROPEA?

Sopravviver lUnione Europea attuale ai referendum di Francia e Gran Bretagna, per lapprovazione della Costituzione? Dal punto di vista meramente tecnico, la Carta Fondamentale predisposta dalla speciale Commissione presieduta da Giscard dEstaign qualcosa di terrificante, a causa delle centinaia di pagine e di articoli che la compongono. Oltre a rinunciare alle sue radici cristiane, infatti, lEuropa del futuro difetta del dono della sinteticit (sarebbe bastato ispirarsi, per questo, alla Costituzione americana!), affinch i grandi principi che la sorreggono fossero immediatamente percepibili e fruibili da tutti i suoi cittadini. I temi politici della nuova Unione sono piuttosto complessi e, pertanto, vale la pena analizzarli in profondit, facendo ricorso allinchiesta pubblicata dal settimanale The Economist del 28 aprile 2005. Primo: molti, tra i nuovi Paesi membri, ostentano indifferenza, rispetto al loro avvenuto ingresso nella UE, anche se di fatto hanno furiosamente sgomitato per riuscirci. Al contrario, malgrado le dichiarazioni preliminari e le buone intenzioni, i Paesi fondatori della Comunit (tra cui lItalia), dimostrano vari gradi di apprensione, in funzione delle loro specifiche realt sociali ed economiche, per quanto riguarda sia il notevole differenziale esistente tra i diversi sistemi fiscali (teso a favorire, da parte dei Paesi dellEuropa dellEst, gli investimenti esteri ed, in particolare, europei), sia i bassi salari che contraddistinguono il trattamento economico dei lavoratori dei nuovi Stati comunitari. Di fatto, lampliamento dello scorso anno ha avuto benefici effetti e ricadute positive per i neopromossi e per la stessa UE. Malgrado i timori della vigilia, infatti, le istituzioni europee di Bruxelles hanno retto limpatto, mentre le economie dei nuovi Paesi membri mostrano un tasso di crescita economica straordinario, pari a due-quattro volte quello degli Stati europei pi anziani, malgrado i forti timori iniziali, per quanto riguardava sia limpatto della regolazione sui sistemi industriali post-comunisti, sia la tenuta del settore agricolo locale, una volta entrato nel mare aperto del libero mercato. Va detto che, al contrario, in Polonia accaduto esattamente lopposto: lindustria manifatturiera polacca ha ottenuto significativi guadagni di competitivit, approfittando delle frontiere aperte e delle facilitazioni allesportazione dei suoi prodotti, mentre i produttori agricoli hanno tratto notevole giovamento dai sussidi e dallaumento della domanda. Il problema vero che, tuttavia, i popoli dellEuropa centrale si sentono cittadini di Serie-B dellUnione. Fa fede, in tal senso, sia la loro esclusione, protratta ancora per due anni, dallarea Shengen (questo significa, in pratica, che chi ha un passaporto dellEst non pu attraversare liberamente le frontiere inter-comunitarie), sia il congelamento per ulteriori sei anni della libera circolazione dei lavoratori, con la sola eccezione di Inghilterra, Svezia ed Irlanda, che hanno aperto fin da subito le porte ai Paesi dellEst Europa. I nuovi arrivati, poi, sono obbligati a sottoporsi ancora ad una lunga trafila di verifiche e controlli sui loro bilanci pubblici e sulle normative di settore, prima di poter entrare nella zona euro. Per di pi, i lavoratori agricoli dei nuovi Paesi comunitari ricevono appena un quarto dei contributi spettanti ai 15 vecchi membri, con la scusa che tale restrizione necessaria per favorire la ristrutturazione delle aziende agricole dellEst Europa. Ma, la vera novit potrebbe venire dal referendum francese, previsto per il prossimo 29 maggio, per lapprovazione della Costituzione europea. In tal senso, i sondaggi locali danno in netto vantaggio il NO. In questo caso, quali conseguenze sul futuro dellUnione potrebbe avere il rigetto della Costituzione, da parte dei cittadini francesi? Con ogni probabilit, in questo caso, si andrebbe ad una diversa configurazione per anelli concentrici della cooperazione europea, dove nel pi interno compariranno i Paesi comunitari storici, che si daranno istituzioni monolitiche, e in quelli pi periferici tutti gli altri, in funzione del loro dichiarato grado di adesione alle varie aree tematiche (euro, spazio penale comune, regimi fiscali armonizzati, politica estera, etc.).

Vediamo, in particolare, che cosa potrebbe spingere i francesi a votare NO. Innanzitutto, va detto che la Francia, contrariamente alla sua tradizione di terra dasilo, ha tutto da temere dalla globalizzazione e dalla libera circolazione dei lavoratori, per limpatto che avrebbero sui livelli di welfare e sugli indici di disoccupazione dei lavoratori autoctoni. Del resto, Parigi si sentiva molto sicura di poter svolgere un ruolo trainante nellEuropa a 15, ma lo molto di meno ora che lUnione conta 25 membri, in totale, che diverranno, con ogni probabilit, 27 nel 2007. Lidea che, ad esempio, la Turchia possa un giorno far parte dellEuropa vissuta come unautentica minaccia, da parte delle opinioni pubbliche francese, tedesca ed austriaca. Sicuramente, per i francesi lallargamento significa bassi salari, nonch la rinuncia al modello dello Stato-Provvidenza, fondato su alti livelli di tassazione dei contribuenti, a causa della concorrenza dei nuovi membri, che praticano una politica intensiva di sgravi fiscali. Alcuni esempi, tanto per chiarire: in Lituania la pressione fiscale si attesta al 28, 7% del PIL, risultando cos di ben 17 punti inferiore allequivalente francese! Quella slovacca, ferma addirittura al 19% in media, per quanto riguarda le principali voci della tassazione (persone fisiche, imprese ed IVA), rappresenta il sogno di tutti i Paesi della regione. Per i francesi, invece, questi livelli della fiscalit, ridotta allosso, rappresentano una sorta di dumping fiscale, praticato dai nuovi Stati membri, che utilizzerebbero in maniera poco corretta la leva fiscale, per attirare lavoro (delocalizzazione produttiva) ed investimenti dallEuropa occidentale, a detrimento del fabbisogno di finanziamento della Francia stessa e della Germania. In tema di politica estera, inoltre, gli europei dellEst tendono ad essere decisamente pi atlantisti, rispetto ai loro concittadini occidentali. E si capisce bene il perch, visto che per non pochi decenni hanno dovuto subire le ingiurie e le angherie degli eserciti alleati del Patto di Varsavia! Recentemente, Polonia e Lituania hanno salvato la faccia (e lavato la coscienza!) al resto dellEuropa, assicurando il loro pieno sostegno alla Rivoluzione Arancione dellUcraina. In unaltra occasione, rivelatasi poi infruttuosa, Slovacchia ed Ungheria hanno fatto da sponda allAustria, per lavvio dei colloqui di adesione allUnione della Croazia, mentre dal lato opposto i Cechi hanno fatto un passo diplomatico verso Cuba. Unaltra voce dissonante nel coro, ma non ancora membro a tutti gli effetti, la Romania, che dovrebbe entrare a far parte dellUnione entro un biennio. Il suo nuovo Presidente, infatti, ha dichiarato che non solo la sua priorit consiste nella pi stretta collaborazione con Washington e Londra, formula che sembra fatta apposta per escludere a priori Parigi e Bruxelles, ma che, oltretutto, la Romania intende favorire la realizzazione di uno Stato non dirigista in economia. La cosa, ovviamente, oltre a non far piacere ai francesi, potrebbe spingere Parigi a ritardare ulteriormente lingresso della Romania in Europa, rispetto alla data prevista del 2007. A norma dei Trattai vigenti, infatti, lampliamento della Comunit deve essere ratificato da tutti gli Stati membri e, pertanto, se le cose dovessero ulteriormente deteriorasi, sia il Parlamento francese che quello tedesco (che registra, fin da ora, il malessere dei Democratico-cristiani, indispensabili per raggiungere, a norma della Costituzione tedesca, la necessaria maggioranza qualificata al Bundestag), potrebbero rifiutarsi di aderire allingresso della Romania nellUnione. Ma, il vero nodo da sciogliere, un po per tutti, non tanto lingresso della Romania, quanto quello della Turchia, che stata s accettata come candidato, ma non come membro a tutti gli effetti, agli occhi della maggioranza dei Paesi della Comunit. Allinterno del Parlamento di Strasburgo e delle istituzioni comunitarie, tuttavia, si confrontano e si contrappongono due anime: la prima ritiene praticamente impossibile lassimilazione di uno Stato islamico, mentre la seconda sarebbe felicissima di dimostrare al resto del mondo che tutto ci sia possibile. Quindi, per ora, nellattesa, vale il detto napoletano facimme a muina, ovvero, gattopardescamente, continuare a parlarne (di adesione), senza mai arrivare al fatto compiuto.

Secondo: che fare, con gli Stati dei Balcani dellOvest, Albania, Bosnia, Croazia, Macedonia, Serbia e Montenegro, ai quali (ma soltanto in linea di principio!) stato promesso di unirsi alla Comunit, una volta soddisfatte le condizioni per la loro adesione? In realt, alla promessa fatta nel 2003 non corrisponde alcuna agenda o scadenzario concreto. Del resto, la questione del Kossovo a tutti ben nota, in quanto il suo status finale (autonomia o indipendenza?) dovr essere deciso di comune accordo con la Serbia, in base ai colloqui in corso, mentre le relazioni tra Serbia e Montenegro sono sub-iudice, in attesa dello svolgimento del referendum previsto per il 2006. Attualmente, soltanto la Croazia sembra pronta ad intavolare i negoziati per ladesione, anche se sul suo capo rimane sospesa come una spada di Damocle la sua mancata collaborazione con il Tribunale Internazionale dellAja, per la consegna dei criminali di guerra. I maligni sostengono che Francia ed Italia, ad esempio, non sono molto farevoli al suo ingresso, per via del fatto che la Croazia rappresenta un temibile concorrente per lindustrioa turistica dei Nostri due Paesi, a causa delle sue coste splendide e dei prezzi imbattibili delle sue struttre alberghiere. Infine, lUcraina, che pure aspira fin dalla sua recente indipendenza ad entrare nellUnione, accentuando la sua rottura storica con il modello socio-economico dellex Unione Sovietica, deve risolvere il solito paradosso delluovo e della gallina che, nel caso specifico, pu essere formulato come segue: lUcraina pu sostenere una politica severa di riforme soltanto se, a fronte, vi siano concrete prospettive di veder accettata la sua candidatura. Viceversa, lEuropa desidera vedere la casa in ordine, prima di intavolare i negoziati veri e propri. A ruota dellUcraina, disposte a seguirne lesempio ed il destino, sono la Moldavia e la Bielorussia, non appena questultima liberata del suo anacronistico dittatore. Naturalmente, non tutti gli altri Paesi comunitari sono su questa linea, nel timore di irritare la Russia, che ritiene quegli ex Stati satelliti ancora sotto la sua sfera di influenza. La posta in gioco, del resto, riguarda in particolare sia la Francia (che intende privilegiare il suo ruolo di alleato della Russia), sia la Germania, dipendente da Mosca per le forniture di gas. Quindi, mentre Berlino e Parigi fanno a gara per tenersi buono Putin, gli Stati baltici e quelli dellEst Europa non vedono lora di liberarsi di quello che ritengono un fastidioso protettore, se non una vera e propria minaccia esterna. Per la verit giocano contro ladesione dei Paesi allOvest dei Balcani anche i sentimenti delle opinioni pubbliche europee. Volendo dar retta allEurobarometro, un sondaggio del 2002, condotto a ridosso dellapprovazione, da parte del Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo, dellallargamento per il 2004, il 41% dei cittadini europei non era affatto interessato a conoscere pi da vicino le realt dei nuovi Paesi candidati, mentre il 76% non avrebbe voluto viverci o lavorarci e, addirittura, il 91% si disse contrario a stabilire qualsivoglia legame con loro. Economicamente, per, occorre dire che si tratta solo di dannosi pregiudizi. In primo luogo, infatti, gli Stati dellEst Europa competono per laffidamento di gare internazionali di beni e servizi con rivali distanti mille miglia dal Vecchio Continente, come la Cina o il Brasile. Quindi, il loro successo non pu che portare sicuri benefici a tutto il resto della Comunit. Certo, resta un dato di fatto che parte dellattivit produttiva europea venga trasferita da ovest verso est e che vi sia una significativa penetrazione di lavoratori dellEuropa centrale nei mercati occidentali dei 15, che sono alla ricerca disperata di manodopera a buon mercato, per poter competere con i colossi asiatici. Il problema vero che, in tal senso, le comunit autoctone vedono i nuovi arrivati come una minaccia al loro benessere ed alloccupazione (malgrado che nessuno voglia quei posti di lavoro che gli immigrati europei sono disposti ad accettare!).

Public opinion in western Europe also senses, accurately, that enlargement points the Union down a road which, if followed to its apparent conclusion, would mean open borders with the Balkans, wages in parts of Europe at Chinese levels, and Turkey as primus inter pares at EU summits. There may be much good to be said for each of these things, but public and even official opinion in many other EU countries is not yet ready to hear it. Anxieties about cultural integrity and national security are too strong. Having been conceived as a way of exporting Europe's stability to neighbouring countries, enlargement is coming to be seen more as a way of importing instability. The emphasis throughout the West on national security since September 11th 2001 means that it is no longer clear even when the countries which joined the EU last year will be admitted to the Schengen zone of passport-free travel, if ever. They can join Schengen only with the unanimous approval of existing members, and that will not come if some interior ministers get their way, says one top EU official. Whatever the outcome of the French referendum on the EU constitution, therefore, future enlargement is going to be much more difficult. Romania and Bulgaria should count themselves lucky if they get in under the wire, Croatia too. If the Union hangs together in its present formby no means a certainty if France votes no next monthit may have to look for other ways to spread stability and prosperity to the mostly rackety countries round about. Already it offers nearby countries cash and technical aid, plus market access, in exchange for economic and political reforms based on European norms. But these exchanges are unlikely to produce the deep transformations which countries must attempt when they want to join the Union. They are regarded rather snootily by the recipient countries, which see themselves as being at once excluded and appeased. One answer might be a two-tier Europe in which new countries would be invited to join the Union, but only on the basis that they would be denied Schengen membership, free movement of labour, farm subsidies, and the right to vote on constitutional issues for a long transitional period or even permanently. This would answer the main public worries in western Europe. It would anger the countries waiting to join, just as the piecemeal postponement of some rights and privileges has angered the countries which joined last year. Even so, would-be members may have to swallow some such deal, if the alternative is no more enlargement.

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