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Sottratto allabbraccio post-mortale di Domenico Leccisi, il corpo del duce ha conosciuto, dal 1946 al 57, una lunga stagione

di occultamento in nome della ragion di Stato. Per ordine della Presidenza del Consiglio (1) e con laccordo del cardinale Schuster, la salma di Mussolini stata custodita in una cappella del convento dei padri cappuccini di Cerro Maggiore, nei pressi di Milano: accomodazione conforme allimpegno assunto dal questore Agnesina con i trafugatori neofascisti, di dare al cadavere sepoltura segreta ma cristiana. (2) Durante undici anni, soltanto una ristrettissima cerchia di uomini politici, di autorit religiose e di funzionari statali ha saputo lubicazione esatta della tomba. Negando alla famiglia Mussolini la restituzione della salma, il governo italiano ha inteso evitare che il sepolcro del duce divenisse, nel bene o nel male, luogo della memoria. Da un lato, i vertici istituzionali della Repubblica hanno voluto precludere agli epigoni di Mussolini la tentazione di fare del cimitero di Predappio la meta di pellegrinaggi neofascisti; daltro lato, hanno voluto scongiurare il ripetersi degli oltraggi alla tomba perpetrati nel cimitero di Musocco tra 1945 e 46. La strategia governativa non bastata per a cancellare dalle memorie il ricordo della salma del duce: anzi, lignoranza dellubicazione del sepolcro da parte dellopinione pubblica si rivelata un elemento di stimolo dellimmaginario. Gli italiani hanno potuto liberamente fantasticare sopra il luogo suscettibile di custodire le spoglie mortali di Mussolini; lassenza fisica del cadavere ne ha garantito come vedremo (3) lubiquit fantasmagorica. Sbaglierebbe tuttavia chi volesse operare una reductio ad cadaver della vicenda postuma di Mussolini. Poich non stato soltanto attraverso il consumo delle notizie vere o false sopra le passeggiate del suo fantasma, (4) che gli italiani si sono confrontati con il problema della sopravvivenza simbolica del duce; n soltanto attraverso la gestione politica del suo retaggio da parte del Movimento sociale. NellItalia dellimmediato dopoguerra, la vitalit post-mortale di Mussolini stata garantita anche da unabbondante produzione pubblicistica e letteraria, non tutta minore. Oltre alla vena di oscuri libellisti nostalgici, il corpo del duce ha pungolato la fantasia di scrittori laureati. Chi voglia ricostruire la vita doltretomba di Mussolini non pu quindi limitarsi a rintracciare, in archivio, i riflessi polizieschi o giudiziari delle avventure e disavventure della salma. N pu contentarsi di rispolverare, frugando tra le bancarelle dei librai, i frutti tipografici della passione neofascista. Deve misurarsi, in biblioteca, con alcuni classici della letteratura italiana contemporanea. Durante il primo decennio repubblicano, la cultura antifascista ha preferito non indugiare sopra la trista figura di Mussolini. (5) Cos, la cultura estranea ai valori della Resistenza ha avuto agio di svolgere quasi senza contraddittorio (6) il proprio racconto della vita, della morte e dei miracoli del duce. Multiforme nel genere, diseguale nella qualit, il discorso a pi voci sul corpo di Mussolini stato coerente nella sostanza. Prima di ritornare alle picaresche vicende della salma, con questo discorso necrologico che dobbiamo fare i conti: perch in forme dirette o mediate, la necrologia ha veicolato unideologia.

1. Falsi testamenti
Lenin, Mussolini, Hitler, Mao: alla morte di leader tanto carismatici, la posterit si interrogata sullesistenza o meno di un loro testamento politico. Ma la questione si presentata diversamente secondo che la morte del capo abbia coinciso con la fine del regime, come nellItalia e nella Germania del 1945, oppure che il regime sia sopravvissuto al suo fondatore, come nellUrss del 1924 e nella Cina del 1975. Nel caso dei due sistemi comunisti, la discussione sopra le ultime volont del leader defunto ha assunto spiccato rilievo politico: il destino del paese si giocato sulla maggiore o minore credibilit dei candidati alla successione come esecutori testamentari del capo scomparso. (7) Nel caso dei due regimi fascisti, lesistenza di un testamento pubblico del dittatore, e a fortiori il suo contenuto, hanno rivestito tuttal pi unimportanza simbolica, non immediatamente politica. Nella Germania in rovine dellanno zero, la pubblicazione delle ultime volont di Hitler ha offerto lennesima prova ormai futile della nibelungica intesa tra il Fhrer e il suo popolo. (8) NellItalia della Liberazione, laccertamento delle ultime volont di Mussolini potuto sembrare tanto meno urgente in quanto il duce stesso aveva ripetutamente dichiarato il proprio rifiuto di

trasmettere al paese qualsivoglia lascito testamentario. (9) Peraltro, con il trascorrere dei mesi e degli anni dopo il 25 aprile 1945, molti italiani si sono interrogati con rinnovata curiosit sullesistenza di un testamento di Mussolini. Non che la questione abbia finito con lacquisire rilevanza politica, nella Repubblica nata dalla Resistenza: anche dopo la nascita del Msi, gli eredi diretti del patrimonio mussoliniano sono rimasti esclusi dai circuiti del potere degasperiano. (10) Linteresse per le ultime volont del duce maturato non tanto sul terreno della lotta politica, quanto su quello delle mentalit collettive. LItalia dei tardi anni quaranta culturalmente, lItalia del rotocalco (11) era un paese che guardava avanti, verso i miti del consumismo, e insieme si volgeva indietro, verso i riti del fascismo. (12) Come gli abitanti dellimmaginaria Laudomia di Calvino, cos gli italiani dellimmediato dopoguerra avvertivano il bisogno, per sentirsi sicuri, di cercare al cimitero la spiegazione di se stessi: (13) anzitutto la spiegazione del proprio passato di fascisti. Peccato che dopo le rocambolesche vicende occorse alla salma di Mussolini nel 1946, nemmeno fuor di metafora vi fosse cimitero dove gli italiani potessero interrogare la tomba del capo. Nellimpossibilit di un dialogo virtuale con il duce morto, era forse possibile raccogliere elementi di spiegazione storica dallultimo monologo del duce vivo? Per una decina danni dopo la morte di Mussolini, si periodicamente riacceso, sulle colonne dei settimanali a rotocalco, il dibattito intorno allautenticit di questo o quel documento che avesse valore di testamento del duce. Ma prima di far cenno a tali discussioni, occorre rendere conto di un testamento mussoliniano cos scopertamente falso da non aver meritato neppure la critica dei filologi della domenica: quello pubblicato da Indro Montanelli nel 1947, sotto il titolo Il buonuomo Mussolini. Gi allindomani della Liberazione, con la miscela di invenzione e autobiografia contenuta in Qui non riposano, il giornalista del Corriere della Sera aveva attestato la propria sensibilit epigrafica e necrologica. Lanno seguente, Montanelli si era calato nei panni di Quinto Navarra, lusciere del duce ai tempi doro di Palazzo Venezia: pubblicate nel 1946 e pi volte ristampate, le Memorie del cameriere di Mussolini erano risultate dal lavoro di scrittura di due ngres prestigiosi quali Montanelli e Longanesi. (14) Lo sguardo retrospettivo dal buco della serratura aveva permesso di rappresentare il fascismo non come regime totalitario, ma come fiera delle vanit; Mussolini non come un terribile dittatore, ma semplicemente come il pi fatuo degli italiani. (15) Ora, recidivo nel genere del pastiche letterario, Montanelli sceglieva di indossare gli abiti del duce in persona. La finzione del Buonuomo Mussolini consisteva nel rendere pubbliche le disposizioni testamentarie che il duce morente aveva affidato a un buon parroco del Comasco, e che il parroco aveva rimesso al celebre cronista del Corriere della Sera: un centinaio di pagine cui i rotocalchi italiani offrivano immediata cassa di risonanza, (16) e che editori nazionali avrebbero continuato a ristampare fino a tempi recenti. (17) Tutti noi si leggeva nella premessa del libello abbiamo sentito la mancanza di un testamento di Mussolini: i nostalgici del fascismo per attingervi elementi di difesa, i corifei dellantifascismo per rinvenirvi nuovi capi daccusa. Tanto sospirato testamento, eccolo, proclamava Montanelli con limpudenza del toscanaccio, degno emulo di Curzio Malaparte. (18) Il pastiche di Montanelli era lungi dal possedere le qualit stilistiche de La pelle, cui Malaparte andava allora lavorando. Ma di questo best-seller prossimo venturo, il libello montanelliano anticipava il paradossale messaggio. Nel finto testamento, Mussolini dichiarava infatti di avere volontariamente operato affinch lItalia uscisse battuta dalla seconda guerra mondiale, perch gli italiani sono grandi non quando vincono ma quando perdono (Montanelli 1947: 32 sgg.). Anche Malaparte avrebbe scritto il suo romanzo-saggio sullItalia sconfitta per argomentare che il valore umano dei vinti superiore a quello dei vincitori. (19) Opinionisti tra i pi ascoltati nel paese, il giovane Montanelli (38 anni nel 1947, alluscita del Buonuomo Mussolini) e il vecchio Malaparte (51 anni nel 1949, alla pubblicazione della Pelle) non condividevano soltanto le origini culturali strapaesane (20) e la facile vena del bastian contrario. Comune ad entrambi era il proposito di dar voce alla cattiva coscienza dItalia, (21) ponendo giornalismo e letteratura al servizio di unideologia definibile come lanti-antifascismo. La battaglia di Malaparte e Montanelli rappresentava la versione patinata, borghese, della protesta volgare, plebea, dellUomo Qualunque: corrispondeva a una rivolta contro il mito della Resistenza e gli eccessi

dellEpurazione. Colpevoli di cosa, gli italiani che avevano creduto nel duce? Colpevole di cosa, Mussolini stesso? Paradossale o semiseria, istrionica o qualunquistica, la polemica post-fascista dei maledetti toscani rianimava il fantasma del duce sulla ribalta della Repubblica. Lasciamo Malaparte per adesso e guardiamo al Montanelli del testamento mussoliniano. In poche decine di pagine, troviamo concentrati quasi tutti gli argomenti storici e politici che per mezzo secolo avrebbero alimentato larsenale dellanti-Resistenza. Il 25 luglio 1943? Senza essere eroica, la decisione assunta da Grandi e Bottai di opporsi al duce in Gran Consiglio era stata coraggiosa: a ben vedere, lunico gesto di coraggio contro il fascismo nellintera storia del regime (Montanelli 1947: 92). I saturnali del 26 luglio? Poca roba, notava argutamente lo pseudo-Mussolini. Del resto, perch gli italiani avrebbero dovuto odiare il duce? Di terribile, non aveva fatto altro che smorfie, mentre il suo governo era stato improntato alla mitezza: in ventanni, appena qualche centinaio di confinati politici (Montanelli 1947: 97). Non per caso le uniche vittime del 26 luglio erano stati i simboli del regime disseminati nelle strade e nelle piazze dItalia: perch i monumenti, i fasci littori, le targhe coi nomi fascisti costituivano gli ingredienti pi odiosi di una dittatura allacqua di rose (Montanelli 1947: 98). Quanto allepilogo della sua carriera politica, dopo la liberazione dalla prigionia del Gran Sasso per opera degli aviatori nazisti, lo pseudo-Mussolini ammetteva di non riuscire a immaginare come sarebbe finito senza lo spericolato intervento di Skorzeny. Forse attore a Hollywood, secondo un perfido pronostico di Eduardo De Filippo; forse coimputato nel processo delle Nazioni Unite contro i criminali di guerra; pi probabilmente ancora, comandante di una banda di partigiani, a simiglianza di molti miei gerarchi (Montanelli 1947: 98). Nel 1947, il Mussolini di Montanelli giustificava la scelta di farsi capo della Repubblica sociale con il medesimo ordine di ragioni che la memorialistica saloina avrebbe trasmesso alla storiografia apologetica dei decenni successivi: si era trattato di un sacrificio personale, inteso a salvare il salvabile nellItalia occupata. Conoscendo la furia vendicatrice dei tedeschi, immaginando quanto crudele sarebbe stata la loro vendetta dopo il voltafaccia monarchico dell8 settembre 1943, Mussolini si era interposto come un paraurti tra nazisti e italiani (Montanelli 1947: 100). Per seicento interminabili giorni, il duce aveva cercato di attutire leffetto dei colpi prodotti sullanima e sul corpo della nazione dai soldati della Wehrmacht e delle SS. Come il maresciallo Ptain nella Francia di Vichy, cos il Mussolini di Sal si era uniformato alla legge morale che obbliga il vero statista a scegliere sempre e comunque la pi difficile tra le opzioni possibili; aveva dunque accettato di andare incontro alla morte per risparmiarla ad infiniti altri connazionali. La sua decisione era stata tanto pi tragica in quanto il duce si aspettava di essere ucciso a furor di popolo. Alla fine di aprile del 1945, Mussolini aveva raggiunto Milano proprio affinch il cerchio del fascismo si chiudesse l dove egli laveva aperto nel 1919, perch la citt del crucifige fosse la medesima dellosanna (Montanelli 1947: 11). Nelle ultime pagine del testamento, il finto Mussolini si scagliava contro lidolo che il vero Montanelli avrebbe infaticabilmente attaccato durante il decennio successivo in articoli di giornale e rubriche di rotocalco, libri e libelli: lidolo antifascista. Spiegava il duce che lItalia post-bellica poteva evitare il peggio soltanto uscendo dalla malinconica diatriba del fascismo e dellantifascismo (Montanelli 1947: 104-05). Lungi dallintenerirsi davanti alle foto ingiallite degli esuli del Ventennio, occorreva diffidare di simili padri fondatori, qualunque trascorso noi accettando pi volentieri in un uomo che il fuoruscitismo. (22) Gli italiani non avevano ragione alcuna di vergognarsi della loro storia precedente la Resistenza. Men che meno del loro passato di fascisti: perch sin dai tempi di piazza San Sepolcro, il fascismo aveva rappresentato uno strumento atto ad impedire la metastasi europea del bolscevismo (Montanelli 1947: 105-06). Se mai Mussolini aveva commesso un delitto, era stato non gi di instaurare il terrore fascista, ma di rinunciare a instaurarlo; il duce degli anni trenta aveva interpretato unoperetta, mentre i tirapiedi italiani di Stalin si erano specializzati in tragedie (Montanelli 1955: 99 & 1947: 105). Peccava quindi di ingenuit chiunque faceva coincidere con la Liberazione linizio della vita democratica italiana: cadeva nella trappola predisposta dai comunisti per suggellare le loro nefandezze con il bel timbro del Cln (Montanelli 1955: 254). Far discendere la marcia su Roma dalla vittoria dei bolscevichi a Pietrogrado; ridurre la crisi del fascismo al formato della congiura di palazzo; svilire la Resistenza al rango di stratagemma dei

fascisti voltagabbana; riconoscere sul corpo del Mussolini di Sal le stimmate del martire; smascherare il carattere mistificatorio dellunit ciellenista: quello coniugato da Montanelli era il paradigma del revisionismo storiografico presente e futuro. Dal punto di vista dei suoi avversari, loperazione riusciva tanto pi insidiosa in quanto il finto esecutore testamentario di Mussolini figurava come stella fissa nel firmamento pubblicistico della neonata Repubblica: inviato di punta del Corriere della Sera, collaboratore conteso dai maggiori rotocalchi italiani, colonna ideologica delle edizioni Longanesi e poi del periodico Il Borghese. (23) Il successo di pubblico di Montanelli negli anni della ricostruzione molto doveva alla sua capacit di rivolgersi da cattiva coscienza dItalia alla coscienza degli italiani che erano stati fascisti, non volevano pi esserlo, ma nemmeno volevano sentirsi in colpa per esserlo stati. In questo senso, il falso testamento trasmesso ai posteri dal Buonuomo Mussolini rischiava di nuocere alla causa dellantifascismo pi di un testo la cui circolazione restava confinata agli ambienti neofascisti: il Testamento politico di Mussolini, stampato a Roma nel 1948, che con migliori argomenti poteva venire considerato come espressivo delle ultime volont del duce. (24) Nella forma, la pubblicazione aveva i caratteri della reliquia. Si trattava infatti della riproduzione fotografica del testo dattiloscritto dellultima intervista di Mussolini, concessa al direttore del Popolo dAlessandria nellimminenza della fine: (25) testo dettato corretto siglato da Lui, precisava il frontespizio. Nella sostanza, limpresa para-testamentaria rifletteva la vacuit di una riproposizione meccanica della cultura saloina entro il nuovo contesto dellItalia repubblicana. Giornalista di dubbia reputazione professionale, (26) lintervistatore Gian Gaetano Cabella mostrava di avere affrontato la prova dellincontro fisico con Mussolini oscillando tra fissazioni vetero-fasciste e pulsioni omoerotiche: la voce del duce aveva i toni metallici delluomo-macchina che gli italiani avevano imparato ad ammirare in piazza Venezia; la sua bianca mano un po grassoccia stava cos vicino a quella di Cabella che questultimo aveva dovuto far forza per non accarezzarla (Testamento politico: 2-3). Quanto allintervistato, Mussolini aveva scelto di interpretare sino in fondo il ruolo del bue nazionale, pronto a sacrificarsi per il bene del paese. Di contro alle rappresentazioni infamanti della stampa antifascista del centro-sud Mussolini servo dei tedeschi, Mussolini unicamente sollecito dellamante, Mussolini con le valige pronte il duce si era detto irremovibile al suo posto di lavoro, l dove immancabilmente lo avrebbero trovato i vincitori. (27) Difficile sfuggire alla tentazione del confronto tra propositi cos fermamente espressi il 20 aprile 1945, e la realt della settimana successiva: Mussolini in fuga travestito da soldato tedesco, con Claretta Petacci a fianco e loro della Banca dItalia in saccoccia Cabella non trovava in questo contrasto una buona ragione per rinunciare a rendere pubblica lintervista. Ma appena tre anni dopo i fatti, il ricordo del miserevole epilogo di Dongo rimaneva troppo vivo nella memoria collettiva perch il Testamento politico di Mussolini conoscesse fortuna al di fuori delle conventicole neofasciste. Quandanche lo stampatore romano Tosi avesse avuto la forza commerciale di diffondere il prodotto, limmagine di un duce che attende a pi fermo larrivo dei vincitori sarebbe parsa bugiarda agli occhi della stragrande maggioranza degli italiani. Per converso, in unItalia che la campagna elettorale del 1948 rivelava particolarmente attenta ai bisbigli di sacrestia, poteva ben circolare la favola di Mussolini convertito in extremis al cattolicesimo. Poteva sembrare plausibile lidea che lultimo Mussolini fosse stato travolto dagli eventi perch indifferente agli eventi stessi: lidea di un duce al seguito dei gerarchi piuttosto che alla loro guida, rassegnato piuttosto che invasato, irenico piuttosto che bellicoso, insomma povero cristiano piuttosto che tetragono fascista. Due settimane prima del 18 aprile, la favola ha trovato in Oggi, rotocalco fra i pi diffusi nel paese, un prezioso amplificatore. Giornalista con trascorsi saloini, Alberto Giovannini si prestato a ritrarre il duce di Gargnano nelle vesti pi edificanti possibili: quelle del catecumeno. (28) Con il trascorrere degli anni, forse sotto i colpi del destino, Mussolini era diventato credente. Frequenti i colloqui del duce con padre Eusebio, il frate minore francescano che si trovava a capo dellUfficio assistenza spirituale delle Brigate nere; incontri durante i quali Mussolini amava discutere a lungo di Dio. Secondo Giovannini, verso la met di aprile del 1945 il duce aveva ingiunto a padre Eusebio di rimettere i suoi peccati. Colto di sorpresa, il frate si era inizialmente sottratto alla richiesta. Ma poi, vedendo lespressione contrita di Mussolini, la famosa mascella umilmente affondata nel petto, la postura di un soldatino sullattenti, padre Eusebio aveva levato le dita nel segno rituale: Ego te absolvo (Giovannini 1948: 9). La scena madre del pentimento che

Alessandro Manzoni aveva negato a don Rodrigo un Giovannini qualsiasi voleva concederla al duce, alla vigilia di un appuntamento elettorale decisivo per le sorti del paese! Di l a poco, la testimonianza di un altro sacerdote avrebbe retrodatato il ritorno a Dio di Mussolini al tempo della prigionia nellisola di Ponza. (29) Infine, ormai negli anni cinquanta, la favola della conversione sarebbe stata rilanciata dalla pubblicazione di un supposto testamento spirituale del duce, datato da Germasino (presso Dongo) il 27 aprile 1945. Ancora oggi, chi visita il cimitero di Predappio si vede offrire una copia di questo testo in forma di brochure o di santino: (30) appena una ventina di righe, ma ricche di storia. (31) Gi durante lestate del 1946, frammenti del documento sono stati riprodotti dal settimanale romano Il Pubblico. Lanno seguente, le presunte ultime volont del duce hanno fatto capolino sulle colonne di un periodico neofascista doltre Atlantico, Il Risorgimento di Buenos Aires. Nel 1951, lintero documento ha circolato durante una messa in suffragio di Mussolini clandestinamente officiata nella chiesa di SantAgostino a Roma. La discussione pubblica sopra lautenticit del testamento si aperta nel gennaio del 1953, per iniziativa del curatore dellOpera omnia mussoliniana Duilio Susmel; (32) e ha impegnato per un paio danni grafologi e sacerdoti, storici e reduci di Sal. Nel giugno 1953, il settimanale Epoca si pronunciato per la falsit assoluta del documento. (33) Senza smontarsi, Susmel divenuto collaboratore abituale del rotocalco mondadoriano ha insistito nel sostenere che Mussolini si era riaccostato a Dio nel momento del tracollo, rimandando al testamento di Germasino come alla prova inconfutabile della conversione. (34) Da allora, il documento stato dato per buono dagli storici dilettanti, mentre gli studiosi seri ne hanno escluso lautenticit. Nel suo presunto testamento spirituale, Mussolini dichiarava di affrontare la morte rasserenato dal supremo conforto della fede: Ho creduto nella vittoria delle nostre armi come credo in Dio, Nostro Signore. La fiducia del duce nellEterno era resa ancor pi salda dai rovesci militari del paese; perch sul banco di prova della disfatta sarebbero risultate particolarmente visibili la forza danimo e la grandezza morale dei buoni italiani. Il povero cristiano parlava una lingua congeniale al clima rugiadoso dellItalia degasperiana: Se questo dunque lultimo giorno della mia vita, intendo che anche a chi mi ha abbandonato e a chi mi ha tradito vada il mio perdono (Mussolini, Testamento: s.i.p). Cos da un finto testamento allaltro limmagine sanguigna del duce vivo trascolorava nellimmagine eterea del duce morto; il buonuomo Mussolini cedeva il passo a Mussolini buonanima.

2. Miti teatrali
Tra i sopravvissuti alla rovina del fascismo, almeno uno si era convertito veramente al cattolicesimo: Giuseppe Bottai. E lo aveva fatto senza attendere la venticinquesima ora: allinizio degli anni quaranta, lintenso dialogo con un sacerdote avvezzo a muoversi in partibus infidelium, don Giuseppe De Luca, aveva regalato al gerarca fascista la consolazione della fede. (35) Dopo linopinata risurrezione politica di Mussolini come capo della Rsi, Bottai aveva rischiato di pagare caro il suo voto contro il duce nella fatidica seduta del Gran Consiglio del 24 luglio 1943; soltanto la protezione della Santa Sede lo aveva sottratto alla vendetta di Mussolini. (36) Ma Bottai non si era contentato di nascondersi allombra dei palazzi vaticani. Nellautunno del 1944, lex gerarca aveva inaugurato un severo cammino di espiazione arruolandosi nella Legione straniera e combattendo nella campagna di Francia e Germania. Per tre anni ancora dopo la fine della guerra, Bottai aveva servito da legionario in Africa settentrionale, prima che si creassero le condizioni per un suo ritorno in Italia: condizioni giuridiche, poich lex gerarca voleva sfuggire alle forche caudine dellEpurazione; condizioni politiche, poich unico fra i membri sopravvissuti del Gran Consiglio egli non considerava necessariamente conclusa la propria carriera di uomo pubblico. (37) Il travaglio post-fascista di Bottai viene riflesso nel suo diario di latitante e di legionario. Nettamente espressa la fierezza di essere stato fascista, lorgoglio di avere consapevolmente obbedito a un comando della storia; ma altrettanto nettamente pronunciata la condanna del neofascismo, sterile scimmiottamento del modello originale. (38) Dal suo esilio di legionario, Bottai accoglieva senza indulgenza le notizie che gli pervenivano riguardo alle imprese cimiteriali di personaggi come Domenico Leccisi: Questo neofascismo razzola tra tombe e epitaffi, [] pute cadaveri e corone

sgualcite (Bottai 1988: 546; 24 ottobre 1947). Lex gerarca si guardava dal rinnegare lamore per Mussolini che aveva animato la sua giovinezza, orientato la sua maturit e financo motivato la scelta del 24 luglio 1943, ribellione di un innamorato deluso. Rifiutava per di seguire i fondatori del Movimento sociale italiano nel culto assurdo di un Mussolini redivivo; poche prospettive gli apparivano anzi politicamente pi perniciose che quella di un nuovo mito reducistico, di un fascismo da revenants (Bottai 1988: 547; 25 ottobre 1947). Il nucleo teorico del diario consisteva nella formulazione di una critica che Bottai aveva concepito fin dal tempo della marcia su Roma, e lungamente rimuginato durante il Ventennio: lassoluta dipendenza del regime dalla figura e dunque dalla vita mortale del capo. (39) Nella progressiva affermazione del mussolinismo, gi il gerarca Bottai aveva rilevato il pericolo di uninvoluzione teatrale del fascismo. Ad uso privato, Bottai si era appropriato di un clich vecchio quanto lantifascismo, quello del duce grande attore; secondo un appunto personale del 1940, la moltiplicazione dei Mussolini offerti allapplauso della gente aveva trasformato il duce in politico da ribalta: contadino, minatore, sportivo, soldato, uomo di mondo, operaio, gran generico [] al modo dei teatranti. (40) Daltra parte, il crollo del regime dopo il fatale voto del Gran Consiglio era valso da prova a contrario del fascino di Mussolini (Bottai 1988: 460-61; 10 ottobre 1946). Come quadrare, allora, il cerchio di un fascismo che non si risolvesse in mussolinismo? Nei monasteri laziali dove si nascondeva tra 1943 e 44, sui campi di battaglia lorenesi e alsaziani dove combatteva nel 44-45, nelle guarnigioni magrebine dove espiava dal 45 al 48, il legionario Jacquier si arrovellava intorno al medesimo problema che aveva preoccupato il gerarca Bottai: lantitesi fra intensit del carisma e stabilit del potere. (41) Qui, il diario di Bottai interessa soprattutto per alcune pagine scritte in Algeria nel 1946 e pubblicate da Garzanti, subito dopo il rientro in Italia, nel libro di memorie Ventanni e un giorno; (42) scusandosi per il latinetto a buon mercato, Bottai le qualificava come un abbozzo di fenomenologia del fascismo in corpore Mussolini (Bottai 1977: 32). Di questo, infatti, si trattava: del tentativo di sviscerare, nel senso letterale della parola, i caratteri del fascino esercitato dal duce sopra gli italiani. Ma non prima di aver rinnovato unestrema dichiarazione damore a Mussolini. Al suo corpo non grande, eppure tale da suggerire una sensazione di enormit per non so quale grandezza, non fisica soltanto, di quelle membra; ai suoi occhi di normale taglio, eppure colmi di uno sguardo immenso, incontenibile; alla sua voce non grossa, eppure vibrante di echi infiniti (Bottai 1977: 25-26). La dichiarazione damore del Bottai legionario al defunto Mussolini conteneva daltronde un primo abbozzo di fenomenologia del fascismo. Perch a differenza degli autori delle prime storie antifasciste del Ventennio, ciechi e sordi di fronte allevidenza per cui il corpo del duce non era stato un corpo come un altro, (43) lex gerarca enfatizzava la natura corporale del regime fascista. Fin dal 1922 spiegava Bottai un intero progetto di societ futura era stato caricato sulle spalle di Mussolini: spalle certo possenti, ma pur sempre spalle duomo e non dAtlante, soggette alla fatica, ai contraccolpi, allusura. Lo Stato fascista si era incarnato nel corpo del duce, a costo di un derisorio stravolgimento del canone politico organicista: Non pi lo Stato che luomo in grande, ma luomo che uno Stato in piccolo. Secondo lanalisi di Bottai, il fascismo non aveva tuttavia fallito per questo. Il sistema era entrato in crisi quando gli ingredienti teatrali avevano prevalso sui corporali; e non tanto per volont di Mussolini, quanto per volont degli italiani. La gente vedeva il duce personaggio prima che persona: aveva dunque spinto un regime che non voleva essere rappresentativo a risolversi in rappresentazione. Le folle fasciste avevano trasformato il burattinaio in burattino. Isolato dinnanzi a uno specchio, il duce era stato forzato a rimirarsi, a contemplarsi, a atteggiarsi (Bottai 1977: 27-32). Mussolini non aveva fatto altro che recitare un copione scritto da quaranta milioni di mussoliniani: questa la conclusione maturata dal sergente Jacquier nellesilio, e prestamente pubblicata da Bottai al suo ritorno in Italia; conclusione che il lettore del diario sa esser stata sofferta e sincera. Ma si trattava anche di una conclusione comoda, che in un sol colpo affrancava sia il duce, sia gli italiani dalla responsabilit morale del fallimento del fascismo. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Quantunque nobilitata dal lavacro del convertito e dal sacrificio del legionario, linterpretazione storica di Bottai finiva cos per somigliare a quelle di tanti ex fascisti i cui memoriali sospesi tra

autobiografia, cronaca e storia ingombravano le vetrine dei librai nellimmediato dopoguerra. In particolare, limmagine del regime suggerita da Bottai coincideva con quella proposta da una vedette giornalistica del Ventennio, Paolo Monelli, in quel libro notevole per felicit di registro narrativo e acuit di giudizio storico, ma non per onest intellettuale, che era Roma 1943. (44) Anche Monelli addebitava agli italiani la deriva del fascismo verso il mussolinismo, latrofia dello slancio ideale delle origini e lipertrofia del culto corporale del dittatore, insomma la degenerazione feticistica della rivoluzione fascista. Nella misura in cui identificava nella teatralit il tratto distintivo non soltanto del duce ma degli italiani, Monelli considerava Mussolini tipico rappresentante di una grande parte di noi. Il gusto per luniforme, i distintivi, i titoli onorifici; labitudine di cambiare contegno quando osservati, particolarmente da una donna; limpazienza di far sapere subito a tutti chi si e che si fa; la smania di comparire al centro degli avvenimenti: altrettanti risvolti di carattere che Mussolini aveva condiviso con milioni di mussoliniani (Monelli 1993: 27-28). NellItalia dellimmediato dopoguerra, ripensare il fascismo come pantomima era una tentazione tanto diffusa quanto ideologicamente ambigua. In effetti, lagnizione che portava a riconoscere nel duce una maschera riepilogativa, mandata dal destino a farci da specchio, (45) si prestava sia ad assolvere tutti gli italiani, sia a trascinarli tutti sul banco degli accusati. In un saggio del 1946, Tre imperi mancati, Aldo Palazzeschi pareva far proprio il secondo programma: Non esiste n mai esistito il Duce, ma esiste questa immagine che uno specchio fedele nel quale dovete guardarvi. Siamo noi che giorno per giorno gli abbiamo dato quelle mani e quella voce, quegli occhi e quelle mandibole; il Duce una creazione nostra, carne della nostra carne, sangue del nostro sangue, e lo abbiamo creato in unora di vanit, di assenza e di esaltazione; guardatevi bene in questa immagine come dentro ad uno specchio, altrimenti non costruirete la nuova civilt ma una nuova immagine vana e folle, la mistificazione di una civilt. (46) Lettore non sospetto di nostalgie per il regime fascista, Vittore Branca esprimeva disagio di fronte al libro di Palazzeschi e poneva, da recensore, alcune scomode domande. (47) Davvero la vicenda del Ventennio era riconducibile a unazione drammatica tra il personaggio Mussolini e il popolo suo autore? Davvero la spiegazione del fascismo era contenuta per intero nel corpo lombrosiano del duce torace massiccio su corte ed esili gambe, delinquenza manifesta allangolo dellocchio e nella sproporzione delle mandibole (Palazzeschi 1946: 10)? Nel 1946, Branca non parlava da studioso di letteratura promesso a una fulgida carriera universitaria; parlava da reduce della Resistenza. (48) Le domande chegli poneva a Palazzeschi ne implicavano unaltra, pi sottile, pi bruciante: davvero cera differenza tra una condanna collettiva e unassoluzione generale degli italiani? Se trova il libro di Monelli Roma 1943 e quello di Palazzeschi Tre imperi mancati, direi che la potrebbero interessare, forse divertire: tale, nella lettera a unamica, il parere di Carlo Emilio Gadda (Gadda 1983d: 158; 14 gennaio 1946). Il quale esitava, invece, a mandare in libreria le pagine sul fascismo che andava vergando con foga inaudita. (49) Del saggio di Monelli, un uomo misogino come Gadda (50) doveva particolarmente apprezzare le allusioni al clima da basso impero del tardo fascismo, quando Mussolini ormai succube di Clara Petacci aveva permesso che la politica nazionale obbedisse agli umori e ai capricci della brunetta ricciuta e popputa (proprio il suo tipo) (Monelli 1993: 41 sgg.). Del libro di Palazzeschi, Gadda doveva prediligere le pagine dedicate allo strano prurito che le donne italiane avevano risentito davanti alla prorompente virilit del duce, felici di venire trattate come arpe cui era rimasta soltanto la corda centrale (Palazzeschi 1946: 14-15). In generale, accomunava Gadda e Palazzeschi una sensibilit che li lasciava indifferenti di fronte alle anime e ai corpi degli uomini e delle donne normali, li rendeva mordaci davanti alla presunta grandezza degli individui splendidi, e viceversa li faceva clementi verso i buffi, le donne e gli uomini mancati o caduti. (51) Se non si tiene in conto questa piet per le vittime della storia, si fatica a comprendere quanto Gadda ha scritto, retrospettivamente, sul capo del fascismo. Nessuna immagine pi estranea alla vena post-bellica dello scrittore milanese che quella di

Mussolini buonanima. A partire dallinverno 1944-45, Gadda ha rivolto prima contro il vecchio di Sal, poi contro lesposto di piazzale Loreto uninterminata e feroce logorrea; non cadaverosi poemi, secondo la tradizione dei vati italiani denunciata gi nella Cognizione (RR I 682), ma cadaverose invettive. Una storia del corpo morto di Mussolini non pu dunque escludere Gadda dal novero dei propri personaggi. Le due versioni di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana , dalledizione su rivista del 1946 al bestseller garzantiano del 57; Il primo libro delle Favole, uscito nel 52; labbozzo di Eros e Priapo dato alle stampe nel 55: durante limmediato dopoguerra, nessuno scrittore italiano si impegnato altrettanto nello sforzo di ricostruire le implicazioni corporali del mussolinismo, o addirittura le sue implicazioni genitali. In apparenza, guardando al regime fascista attraverso le lenti del fisiologismo (categoria interpretativa di Roscioni 1995: 109), Gadda ha elaborato un discorso storiografico sorprendentemente novatore, quasi unanticipazione di certi odierni esercizi di body history . In realt, il suo approccio si rivela tanto originale nella forma quanto convenzionale nella sostanza. Sebbene dannato, stramaledetto, il duce postumo di Gadda assomma i caratteri funzionali a uninterpretazione di comodo del ventennio fascista. Inesauribile la serie di qualifiche che lo scrittore ha attribuito a Mussolini: ciascuna dotata di valore aggiunto, contributo alla decifrazione di quel pachidermico sistema di segni (52) che per Gadda il corpo del duce. Basta accumularle secondo un banale ordine alfabetico per suggerire la ricchezza ermeneutica della prospettiva assunta da Gadda: (53) Amatissimo, Appestato Appestatore, Batrace, Bombetta, Caciocavallo, Ciuco Maramaldo, Cupo nostro, Defecato maltonico, Emiro col fez, Estrovertito, Ex-Bomba, Facciaferoce, Fava, Fava Marcia, Farabutto Impestato, Favente Genio, Fetente, Furioso Ingrogato, Ginocchio, Giuda in bombetta, Glorioso, Gradasso Ipocalcico, Grande Imago, Gran Pernacchia, Gran Somaro Nocchiero, Gran Tamburone del Nulla, Gran Tauro, Grugnone Sanguemarcio, Inturgidito Modellone, Maccherone fottuto di Predappio, Maldito, Marchese delle Caminate, Mascella dasino Maltone, Mascellone ebefrenico, Merda, Merdonio, Minchiolini, Minchione Ottimo Massimo, Modellone Torsolone, Mugliante, Napoleone fesso e tuttoculo, Nero personaggio, Nullapensante, Paflagone inturgidito, Pirgopolinice, Poffarbacco, Predappio, Predappiogiuda, Predappiomerda, Priapo-Imagine, Primo Racimolatore e Fabulatore ed Ejettatore, Profeta forlimpopolo, Provolone, Pulcinella finto Cesare, Pupazzo, Rincoglionito Quirino, Scipione Affricano del due di coppe, Smargiasso impestato, Somaro, Sovrano Seminatore, Stivaluto, Super Balano, Tauro zefreo, Testa di Morto, Trebbiatore, Tritacco, Trombone e Naticone ottimo massimo, Truce, Tuberone, Verbo sterile, Vigile dei destini Il torrenziale vituperio maschera appena una personale crisi di coscienza; come Bottai, anche Gadda parla di Mussolini da innamorato deluso. Il suo il dramma del moralista che ha creduto nel fascismo (si era iscritto al Pnf sin dal 1921 Roscioni 1997: 185) come opera meritoria di riqualificazione nazionale, (54) e non pu assistere alla miseranda fine del regime senza avvertire indegna la propria stessa sopravvivenza (cfr. Gadda 1983d: 155). Uomo troppo profondo l ingegnere milanese, e troppo personalmente segnato dalla tragedia della Grande Guerra, per avere aderito al fascismo in modo superficiale: per quanto il vitalismo delle camicie nere fosse riuscito estraneo al suo carattere (Roscioni 1997: 187), il borghese reduce dal Carso e da Caporetto aveva condiviso con la propaganda del regime la passione nazionalistica, lesigenza dordine, le pulsioni xenofobe (Greco 1983: 65-67). Il disincanto era intervenuto alla fine degli anni trenta, davanti alle sanguinose campagne militari intraprese da Mussolini in Africa orientale (Pecoraro 1996: 166 sgg). I disastri della seconda guerra mondiale avevano fatto il resto, alimentando in Gadda un odio viscerale, divorante, paranoico per lanima e il corpo del duce. Sentimento che potrebbe sembrare elementare o perfino ingenuo, se non contribuisse a spiegarlo levoluzione mentale di un uomo sessualmente irrealizzato e psicologicamente incline allomoerotia; ossessionato non per caso dalla presunta sifilide di Mussolini, ritenuta fatale conseguenza del suo inverecondo attivismo sessuale. Ma i testi di Gadda riescono parlanti anche senza che si faccia ricorso, per intenderli, alla psicologia del profondo. Dallinsieme delle sue scritture postbelliche emerge un ritratto a tutto tondo del corpo del duce: il pi irriverente dei ritratti possibili, eppure lindispensabile supporto di un discorso morale e di uninterpretazione storica. Vincendo la ripugnanza, guardiamo questo ritratto. (55) Secondo Gadda, il cranio alopecico di Mussolini somigliava indifferentemente a un provolone o a una testa di cavolo: era comunque un ricettacolo vuoto, poich il duce mancava di encefalo. Il suo grugno suino risultava tipico del nato

scemo. Gli occhi erano quelli spiritati, basedowiani, del luetico allultimo stadio. Alle mascelle da ciuco facevano riscontro due mandibole da sterratore analfabeta. Il buccale sfinctere si chiudeva su labbra turpemente prolate in un broncio da idiota. Dentro la bocca, la lingua era rossa e poi nera e poi rossa e nera, ma ognora di leccaculo. In fondo a due braccia cortissime, da rospo, le mani stavano abbarbicate in modo innaturale, parevano quelle di un morto o di un fantoccio di pezza. Dieci detoni [] je cascavano su li fianchi come du rampazzi de banane, evidenziando le merdosissime unghie sue. Il torace che pure Mussolini amava esibire nudo nelle pi varie occasioni contava appena du pelucchi (chaltri nha un bosco) torno torno i capzzoli. Gonfia e rilasciata la pancia, malamente trattenuta dal cinturone della divisa militare. Pien di lebbre il genital fusto, la verga ulcerata dalla sifilide. Infine, i ginocchi irrigiditi del duce, le sue gambe a cchese e i tacchi tripli delle scarpe contribuivano a rendere specialmente goffo il mappamondo del sedere, inappetibile a chiunque. Quale risulta dal collage, lorroroso ritratto non serve soltanto a sfogare la delusione sentimentale di Gadda, n soltanto a veicolarne la creativit linguistica o il gusto espressionistico. Lo scrittore si fa esegeta del corpo del duce per trarne una lezione etica che lo consoli della tragedia nazionale: a dispetto di quanto Mussolini aveva berciato, lo spirito non vince la materia (Come lavoro, SGF I 434; Eros, SGF II 271). Nelle ributtanti forme fisiche del duce e nella logica luciferina della sua caduta, Gadda riconosce il contrappasso di una mistica daccatto. Gli apoftegmi del Primo libro delle Favole sopral mortorio del Somaro (SGF II 73) rappresentano Mussolini come soggetto ai bisogni corporali pi degradanti (Andreini 1988: 65). Sommandosi, la scatologia e lescatologia danno limmagine di un duce morto costretto a replicare gli exploits del vivo entro un Averno a dominante escrementizia. Nella favola 111, lo spettro di Mussolini figura ridicolmente impegnato ad arringare una folla di pipistrelli: le mani sulla cintola nel vano sforzo di contenere le trippe debordanti, i piedi bilanciati per accentuare la rotondit delle natiche. Senonch, indifferenti alla mimica e alloratoria del duce, i pipistrelli la dogal cuticagna limpisciavono, e scacazzavono sul capo calvo. Allora, dal culo di un Mussolini finalmente silenzioso, quasi per divin decreto gli trombett perepep (Primo libro, SGF II 35-36). In unaltra favola, Gadda descrive gli amplessi infernali del duce con la Morte. Scende nei dettagli, illustra la preferenza di Mussolini per le posizioni di coito pi tipicamente ferine, ed assicura: la Megera, come gi la Clara, alla giumentesca bisogna sacconci. (56) Peraltro, Gadda rifiuta di costringersi nel solco di una tradizione letteraria particolarmente ricca in Italia, quella dei morti che parlano e delle storie doltretomba; lo scrittore milanese intende bens far letteratura, ma con gli eventi della storia piuttosto che con i voli della fantasia. Del percorso biografico di Mussolini, soprattutto sembra averlo colpito lepilogo di Dongo: il duce in fuga con il salvadanaio della Banca dItalia in una mano e la manina dellamante nellaltra. Con milioni di connazionali, Gadda identifica nella scena una triade di significati: Mussolini codardo, Mussolini disonesto, Mussolini infedele. E subito lo scrittore si mette al lavoro per schiacciare il duce sotto il peso della prosa pi dissacrante, facendolo morire una, dieci, cento altre volte. Al Mussolini del cancello di villa Belmonte, al morituro del 28 aprile 1945, Gadda risparmia la crisi di cacarella chegli attribuisce al duce dellambulanza, allarrestato del 25 luglio 1943 (Come lavoro, SGF I 434; I tre imperi, SGF I 940): nondimeno, davanti al mitra di Valerio, il capo della Rsi non sa andare oltre un ma signor colonnello!, allora che savvis chera piombo. (57) Il tesoro sequestrato al duce rinvia al secondo peccato capitale iscritto nel copione dellultimo atto: lessere scappato con lerario dopo aver promesso tante volte di arrivare nudo alla meta; gli rinvennero sterline doro nellastinente borsa littoria, a Dongo quando da ultimo gli dissero finalmente le ragioni. (58) Infine, la presenza sulla scena dellesecuzione di Claretta Petacci anzich di donna Rachele viene considerata da Gadda la miglior prova dellipocrisia della propaganda mussoliniana sulla santit della famiglia (Eros, SGF II 238, 248). Ma lo scrittore milanese non si contenta di seguire il duce fino a Dongo, n di scortarlo fino a piazzale Loreto; almeno un cenno compiaciuto quanto criptico egli dedica alle avventure posteriori della salma. Se Dio volle, lhanno appeso lui a un pi degno lampione. E ora dissemina pollici marci per tutta terra, leggiamo in un testo del 1946 (Un testimone, SGF I 945-46). Evidentemente, Gadda ha tenuto a informarsi sul trafugamento di Musocco abbastanza per sapere che limpresa di Leccisi era costata allo scheletro di Mussolini il distacco di qualche falange. (59)

In maniera rapsodica nel Pasticciaccio, in modo pi sistematico in Eros e Priapo, Gadda si sforza di collocare la vicenda del corpo del duce nel contesto di uninterpretazione generale del periodo fascista. Le coordinate del suo discorso storico sono poche, ma chiare. Colpa prima di Mussolini era stata il narcisismo erotomane, la priapesca [] vantardigia (Eros, SGF II 275, 365). I maschi italiani avevano contratto dal duce identica sindrome: unassurda vanagloria di contenuto sessuale prima ancora che politico (SGF II 244). Quel che peggio, anche le donne italiane si erano scoperte una foia inestinguibile; dal menarca alla menopausa, tutte avevano vissuto nella speranza di sperimentare la smisurata virilit di Mussolini (SGF II 250, 271). La bramosia sessuale per il rachitoide acromeglico, che il racconto del Pasticciaccio riferisce al 1927, si era intensificata negli anni successivi: Gi principiavano invaghirsene, appena untate de cresima, tutte le Marie Barbise dItalia, gi principiavano invulvarselo, appena discese daltare, tutte le Magde, le Milene, le Filomene dItalia: in vel bianco, redimite di zgara, fotografate dal fotografo alluscire dal nartece, sognando fasti e roteanti prodezze del manganello educatore. Le dame, a Maiano o a Cernobbio, gi si stralunavano ne su singhiozzi venerei allindirizzo der potenziatore dItalia. (Pasticciaccio, RR II 56) La virulenza della polemica antifemminile di Gadda non va attribuita per intero ai risvolti pi o meno patologici della sua misoginia. Serpeggiava nella cultura laica del dopoguerra lidea che il fascismo andasse spiegato, tra laltro, con la passione delle donne per il corpo del duce; pi precisamente, con il nesso esistente tra lignoranza femminile e il priapismo mussoliniano. (60) Quando luscita del Pasticciaccio da Garzanti avrebbe regalato a Gadda il suo primo successo di pubblico, poche voci della sinistra si sarebbero sottratte al coro delle lodi per lamentare le suggestioni ideologicamente reazionarie del romanzo. (61) In linea di massima, la cultura antifascista avrebbe cercato di annettere Gadda alla propria tradizione. (62) Dalle colonne di Belfagor , Giulio Cattaneo avrebbe salutato come splendide le ingiurie del Pasticciaccio al duce defunto (Cattaneo 1957b: 650-07), mentre alcuni recensori comunisti sarebbero giunti a individuare nel capo del fascismo limplicito colpevole del delitto di via Merulana. (63) Lentusiasmo dellintellighenzia di sinistra per la filosofia politica del Pasticciaccio la dice lunga sulla crisi della cultura antifascista negli anni cinquanta. In una stagione singolarmente propizia per la buonanima di Mussolini, anche gli sfoghi di Gadda sembravano valere da salutare antidoto a certe farsesche nostalgie (Cattaneo 1957b: 607). Eppure, lo scrittore milanese suggeriva uninterpretazione fuorviante e, in ultima analisi, consolatoria del fascismo. Perch la massima colpa del duce non consisteva nellaver schizzato sulla folla di piazza Venezia lo sperma della sua retorica patriottica (Primo libro, SGF II 955; Eros, SGF II 242-43). N si poteva assimilare lItalia del Ventennio a uno stagno nel quale milioni di maschi latini si erano rispecchiati per verificare il gigantismo dei loro attributi virili. Meno che mai, lItalia fascista era stata un bordello dove milioni di donne sospirose avevano atteso la visita di Mussolini. Riducendo il periodo fascista ad era favista (Eros, SGF II 307), Gadda annegava lesperienza storica della dittatura in un mare magnum di liquidi seminali. Al di fuori dello stagno e dei bordelli, non cenacoli, non biblioteche, non prigioni. Oltre i corpi infoiati, non idee, non libri, non armi. Alla maniera genitale di Gadda, la storia del fascismo rendeva futile qualunque storia dellantifascismo. Daltronde, mai lo scrittore milanese aveva nascosto, n nascondeva nel secondo dopoguerra la propria noia per i pontefici dellopposizione al regime, i raddrizzatori di torti della Resistenza, gli idealisti della Repubblica: per le donne Prassedi dellantifascismo, come sarebbe stato tentato di chiamarle (Ferretti 1987: 12829; Pecoraro 1996: 134). Il dialogo ininterrotto con I promessi sposi aveva convinto Gadda a trascegliere quale alter ego nellampia galleria di caratteri manzoniani il personaggio di don Abbondio (Andreini 1988: 26 e 34 ). Chi senza coraggio non se lo pu dare: dal fondo della sua guarnigione africana, il legionario Bottai ravvisava tracce di necroscopica vilt nel presente antimussoliniano di molti scrittori dal passato fascistissimo (Bottai 1988: 367-68). Ma a saperle ben leggere, le cadaverose invettive del laico Gadda proponevano uninterpretazione del Ventennio non dissimile da quella abbozzata nelle pietose memorie del cattolico Bottai. Mussolinismo e fascismo venivano ricondotti a unesibizione di corpi: il corpo tronfio del capo e i corpi in fiore dei balilla, la cui moltiplicata bellezza il duce aveva

sfoggiato come propria (Eros, SGF II 356). Al pari di Bottai, Gadda guardava alla vicenda storica della dittatura dalla prospettiva ingannevole della ribalta, riconoscendo in Mussolini un istrione e negli italiani dei pantomimi (Miti, SVP 920-22). Episodio meramente ottico e acustico il regime fascista; protensione scenica, protuberazione teatrata (Miti, SVP 912; Eros, SGF II 354-55). Sotto la scorza del vituperio, Gadda addomesticava perfino il culto del coltello, che gli squadristi si erano compiaciuti di esibire al cinturone come un argenteo genitale: ne faceva uno dei tanti miti teatrali del fascismo (Pasticciaccio, RR II 72-73; Miti, SVP 905). Quasi che le camicie nere non avessero affondato davvero i loro pugnali nella carne dei refrattari.

3. Autopsie senza cadavere


Per anni dopo il 1945, Gadda ha insistito sopra il tema della lue di Mussolini, scarlatta peste che gli escava il balano. (64) Una vecchia leggenda, questa della sifilide mussoliniana, (65) che la pubblicazione del referto autoptico non bastata a dissipare. Al contrario, la favola ha trovato nuovo alimento nella decisione dellUfficio Sanit della 5a Armata americana di inviare un campione di tessuto cerebrale del defunto dittatore a Washington, per ulteriori accertamenti scientifici. Bench gli ufficiali sanitari statunitensi si siano impegnati a non rendere noti gli esiti delle loro ricerche in alcun tipo di giornale o rivista, (66) lungo un decennio abbondante le porzioni di cervello di Mussolini hanno costituito materia ricorrente di indiscrezioni da parte della stampa italiana. (67) Limmagine retrospettiva di un duce sifilitico allultimo stadio ha circolato abbastanza per promuovere la reazione indignata dei missini, che non potevano accettare comprensibilmente lequazione tra il tardo fascismo e il delirio di un folle. Lex ambasciatore di Sal nella Berlino del Terzo Reich ha garantito che il Mussolini repubblicano era stato uomo del tutto presente a se stesso; (68) un ex ministro della Rsi (che le malelingue dicevano figlio naturale del duce) ha qualificato le voci che volevano demente il Mussolini degli ultimi anni come un luogo comune di dubbio spirito. (69) Ma quanto non riuscito ai dissettori delluniversit di Milano, tanto meno riuscito agli epigoni del fascismo: numerosi italiani sono rimasti convinti che durante lultima fase della sua vita, il mal francese avesse privato Mussolini del pieno possesso delle sue facolt mentali. Laffabulazione intorno alla sifilide del duce rinvia a una dinamica storica generale, propria dei contesti post-totalitari: il disincanto collettivo rispetto alle qualit straordinarie del capo. Morto il leader, quale tentazione pi ovvia che rovesciarne il mito, addebitando allinfluenza di una tara invisibile quanto era stato attribuito in vita allineffabile evidenza del carisma? E nel secolo di Freud, quale ambito pi logico per situare la difformit corporale (ergo mentale) del capo carismatico che i recessi della sua sessualit? Nella Germania postnazista, vi stato chi ha preteso di spiegare il genocidio degli ebrei con una sifilide contratta dal giovane Hitler attraverso lincontro carnale con una prostituta di origine israelitica. (70) Altri hanno discettato sopra i nessi tra la politica nazista e la menomazione fisica accertata dai medici russi in occasione dellautopsia sul cadavere del Fhrer: la mancanza del testicolo sinistro. (71) In una pagina del diario romano di Corrado Alvaro, dato di raccogliere echi del corrispettivo postfascista di queste esegesi genitali del nazismo: C. insinua che il duce sarebbe stato fornito di un membro virile non sviluppato, B. gli replica di essersi preso la briga di misurarlo sul cadavere, e afferma che tutto lapparato era di consistenza normale. (72) Va ricercata invece in un fortunato romanzo degli anni cinquanta, Il prete bello, lironica rivincita del neofascismo genitale. Goffredo Parise ha affidato al personaggio del cavalier Esposito secondino in pensione, vedovo con quattro figlie da maritare la rivendicazione dellipertrofica virilit di Mussolini: lui laveva guardato attentamente, il Duce, in pi duna occasione, per sincerarsene, e [] si vedeva benissimo, anche a occhio nudo. (73) La vita doltretomba di Benito Mussolini ha compreso pure questo: diagnosi a memoria, autopsie senza cadavere. Lesercizio non stato praticato soltanto dai medici personali del duce; alti funzionari del disciolto regime, pubblicisti pi o meno autorevoli, reduci del fascismo primigenio hanno intrapreso il cimento. I clinici hanno dovuto ammettere che tra le patologie di Mussolini non vi era stata linfezione luetica. (74) Georg Zachariae, lufficiale medico tedesco che aveva curato il duce durante il periodo di Sal, ha presentato tuttavia un quadro apocalittico delle condizioni fisiche del paziente: pressione bassa, anemia secondaria, pelle secca e anelastica, fegato

ingrossato, crampi allo stomaco, addome magrissimo nella parte inferiore, intestini rattrappiti, stitichezza acuta. (75) Il Mussolini di Sal, ha concluso il dottor Zachariae, era una rovina di uomo; niente di pi probabile che il dolore fisico lo avesse sopraffatto nei momenti decisivi, facendogli prendere decisioni sbagliate (Zachariae 1948: 11). Lex capo dellOvra, Guido Leto, ha giudicato la decadenza fisica del duce come la causa efficiente del 25 luglio 1943: il fascismo era morto per lisi, non per crisi. (76) Cesare Rossi leminenza grigia del primo fascismo, (77) sacrificata sullaltare del delitto Matteotti sceso nei dettagli. In un libro intitolato Mussolini comera. Radioscopia dellex dittatore, Rossi ha spiegato il decadimento mentale del duce con luso e labuso di afrodisiaci. (78) Per corrispondere alle divoranti esigenze sessuali di Clara Petacci, il maturo dittatore si era rassegnato a consumare tubetti su tubetti di Hormovir : In questo [] risiede linsospettata causa della tragedia mussoliniana, che diventata poi la tragedia italiana (Rossi 1947: 280). Fin negli espedienti di un vecchio impotente, il fascismo si era confermato tragedia corporale. I cicalecci postumi sulle patologie di Mussolini meritano unattenzione storiografica inversamente proporzionale alla loro attendibilit. Limitare lanalisi critica del Ventennio a un bollettino sanitario del duce equivaleva infatti a sottoscrivere un messaggio ideologico: la vittima di una sindrome comunque una vittima. Che gli intellettuali discettassero pure, dallalto delle loro cattedre, intorno al problema di sapere se il fascismo fosse stato la malattia morale di una classe dirigente oppure la malattia costituzionale di una compagine sociale; che gli allievi di Benedetto Croce incrociassero pure il fioretto con i seguaci di Gaetano Salvemini. (79) Gli opinionisti a buon mercato avevano di meglio da fare. Nel loro discorso, la tesi della corporeit morbosa di un regime (80) lasciava il posto alla tesi della corporeit morbosa del duce: qualcosa che molti italiani potevano pi facilmente capire, e accettare. Autore di vari bestseller di divulgazione storica (oltre che ammiraglio in pensione e militante politico missino), Antonino Trizzino avrebbe atteso il 1968 per pubblicare la versione pi articolata della favola: la sifilide del duce gli sarebbe servita per rivalutare lintera esperienza del fascismo, tranne la conduzione militare della guerra mondiale ad opera di un Mussolini sullorlo della demenza. (81) Ma gi nel 1950, un giornalista del prestigio di Paolo Monelli ha spinto alle estreme conseguenze logiche il gioco delle diagnosi sul corpo del duce. Effetti immancabili dellulcera duodenale ha ricordato lautore di Mussolini piccolo borghese lincertezza, la frustrazione, il dubbio continuo; effetti della lue mal curata, la megalomania, lesasperata vanit, il desiderio di vendetta. Dunque, ha concluso Monelli, inutile cercare giustificazione al carattere delluomo nellereditariet, negli studi compiuti, nelle letture fatte, nellambiente in cui vissuto; bastano questi due mali, luno dei quali dovuto ad un fortuito incontro con una donna, a spiegare tutto di lui, virt e difetti, trionfo e martirio, decline and fall. (82) Noi non sappiamo se Carlo Emilio Gadda abbia apprezzato Mussolini piccolo borghese quanto il volume precedente dello stesso autore, Roma 1943. Certo che lapproccio interpretativo di Monelli, come quello di Gadda, eccedeva in fisiologismo. Penetrando nei recessi del corpo del duce, si restava alla superficie dellItalia fascista.

4. Processi immaginari
In quella Rai dove Gadda presta servizio redazionale a partire dal 1950 (Gadda 1993c), uno scrittore ben pi noto al grande pubblico, Giovanni Guareschi, ha varato la trasmissione radiofonica Signori, entra la corte. Ogni domenica pomeriggio, con la partecipazione degli attori della Compagnia di prosa di Radio Milano, la Rai manda in onda un radioprocesso con giuria popolare: processi immaginari, naturalmente, ma tali da sollevare negli ascoltatori se dobbiamo credere al Radiocorriere reali problemi di coscienza. (83) Il successo di pubblico conseguito dalla trasmissione di Guareschi rimanda al forte interesse per la cronaca nera e per la ricerca giudiziaria della verit, che accomunava gli italiani dopo ventanni di veline e di silenzi di regime; una passione testimoniata altres dalla fortuna commerciale di periodici quali Crimen, Reportage, Cronaca nera (Ajello 1976: 191). Non risulta che il programma di Guareschi abbia investito problemi di coscienza connessi alla figura storica di Benito Mussolini, anche perch la Rai dellepoca degasperiana preferiva mantenersi discreta su fatti e personaggi del fascismo (Isola

1995: 106 sgg. e 255 sgg.). La menzione di questo programma radiofonico vale comunque da pretesto per evocare un piccolo fenomeno letterario di quegli anni, che direttamente pertiene alla vicenda postuma di Mussolini. Lesecuzione sommaria di Giulino di Mezzegra non ha privato gli italiani soltanto delle ultime volont del duce, cos da spingere alcuni solerti libellisti alla redazione di finti testamenti. I fucili automatici di Audisio e Lampredi hanno privato gli italiani anche di un processo esemplare: dello spettacolo in cui Mussolini stesso aveva temuto di dover recitare nella bolgia infernale del Madison Square di New York, (84) e che i giuristi alleati hanno inscenato invece contro i criminali di guerra nazisti nella sobria cornice del Palazzo di giustizia di Norimberga. (85) Ovviamente, la privazione del processo a Mussolini stata vissuta con animo diverso dai neofascisti e dagli antifascisti. Tra questi ultimi, rari sono stati, almeno a ridosso del 1945, quanti hanno osato deplorare pubblicamente che la fucilazione avesse reso impossibile il processo. (86) Ha prevalso negli ambienti antifascisti lidea che la giustizia di Giulino fosse stata sommaria per necessit, a costo di togliere agli italiani la soddisfazione di uno smascheramento teatrale del Cesare di cartapesta. (87) Negli ambienti neofascisti, viceversa, si cristallizzata lidea secondo cui i colpi di mitra frettolosamente esplosi dai partigiani comunisti avevano sottratto il duce a un processo dallesito tuttaltro che scontato, nel corso del quale Mussolini avrebbe potuto dimostrare davanti al mondo la propria buona fede. (88) Recriminazioni sterili? Forse. Ma ancora una volta la fantasia ha saputo riscattare, in certi casi, il vuoto della realt. Nellassenza di una Norimberga italiana, alcuni scrittori si sono finti cronachisti di un immaginario processo contro il duce. (89) Quando liniziativa della finzione letteraria stata assunta da un autore dichiaratamente nostalgico quale Yvon De Begnac, ha prodotto qualcosa come la rielaborazione filo-mussoliniana di un capolavoro classico. Colui che era stato negli anni trenta il giovanissimo biografo ufficiale del duce (90) ha immaginato e pubblicato, in effetti, un Processo a Socrate sulle rive del lago di Como. (91) Rinunciamo a sorridere dellimpegnativo accostamento tra il maestro ateniese e quello predappiese: si trattava dellapprodo di un luogo comune della memorialistica saloina, secondo cui il vecchio Mussolini era stato assiduo lettore dellApologia di Platone, indifferentemente in edizione Garzanti (92) o nel testo originale (Zachariae 1948: 41). Guardiamo piuttosto agli argomenti che De Begnac metteva in bocca al suo Mussolini. Il Socrate del lungolago si attribuiva il merito storico di avere contrapposto la diga del fascismo italiano al fiume in piena del comunismo sovietico; riconosceva come un errore la propria rinuncia ad assumere in pieno le funzioni di tiranno; sosteneva di non essersi suicidato dopo l8 settembre nella speranza di proteggere, da Sal, la vita dei suoi connazionali; dichiarava una macabra presa in giro la democrazia che pretendeva di condannarlo; si augurava di essere ricordato dagli italiani come uomo impolitico (De Begnac 1950: 60-93). Gli argomenti dello pseudo-Mussolini di De Begnac corrispondevano ai punti fermi di una vulgata antiresistenziale relativamente diffusa nellItalia dellimmediato dopoguerra: differivano poco in fondo dagli argomenti dello pseudo-Mussolini di Montanelli. Ma sommandosi alla mediocrit della casa editrice, il partito preso neofascista del finto reporter giudiziario attutiva limpatto che il suo Processo era suscettibile di esercitare sopra lopinione pubblica. Per quanto una rivista come Il Ponte definisse scandaloso il tentativo di presentare Mussolini come incarnazione del buon tiranno, (93) la causa antifascista aveva poco da temere dalla pubblicazione di messinscene come quella ricostruita da De Begnac: che dimostravano, tuttal pi, la capacit dei neofascisti di trasfigurare la realt. (94) Limmaginazione di un finto processo contro il duce avrebbe potuto caricarsi di una forza ideologica altrimenti dirompente se fosse risultata dalla fantasia di uno scrittore estraneo al demi-monde dei pubblicisti neofascisti; tanto pi se questo scrittore avesse scelto di inserire la simulazione tribunalesca allinterno di un controverso bestseller. Lipotesi non sembri peregrina. Nella Pelle, libro fra i pi letti e discussi del dopoguerra italiano, Curzio Malaparte ha effettivamente dedicato un capitolo Il processo allimmaginazione di una Norimberga italiana contro Benito Mussolini. Il Malaparte del secondo dopoguerra era un uomo ossessionato dai cadaveri. (95) Era ossessionato, inoltre, da fantasie riguardanti il corpo del duce. Lo attesta una pagina del diario parigino (96) risalente allultima fase di redazione della Pelle, dove la vena materica del fascista di

strapaese veniva ripresa ma cambiata di segno, e lantico cantore di Mussolini facciadura si trasformava nel ritrattista di un autentico mostro umano. Il duce veniva rappresentato come una bestia piena di sangue flaccido o, forse, di siero di latte: unoca, unenorme oca degna del pennello di Bosch, di Brueghel o del doganiere Rousseau, dei loro animali grassi, gonfi, lenti, tardi, quasi corpi in decomposizione. Implacabile, il Malaparte del diario indugiava lungamente non sul bue, ma sulloca nazionale. Sulla testa di Mussolini, da sempre sproprozionata rispetto al corpo ma divenuta, con gli anni, enfia e deforme. Sugli occhi grandi e scuri, impressionanti soprattutto quando il duce, parlando, li roteava, cos che il bulbo naufragava nel bianco come quello di certe gazzelle in agonia, o di certe donne nel piacere. Sullodore della pelle di Mussolini, un odore di pelle di pollo bagnato, lodore dei cadaveri (Malaparte 1966: 195-96; Parigi, novembre 1948). Nella Pelle, Malaparte ha evitato di versare questa pagina di diario. (97) Ma la scena dellimmaginario processo contro il duce non riuscita perci meno morbosamente espressionistica. Lautore spiegava essersi riposato dalle fatiche della guerra civile vissuta come giornalista al seguito dellesercito alleato nella piccola casa romana di un ostetrico suo amico. A causa della penuria di spazio, aveva dovuto dormire sopra un divano nello studio; ambiente pieno di libri e di strumenti di ostetricia, ma anche di boccali di vetro colmi di un liquido giallognolo: in ognuno di quei boccali era immerso un feto umano. Comprensibilmente, Malaparte aveva finito per trovare angosciante la compagnia dei piccoli mostri: Poich i feti son cadaveri, ma di specie mostruosa: son cadaveri mai nati e mai morti (Malaparte 1978: 280). Una notte, lingrata compagnia si era fatta insopportabile promiscuit. I feti erano usciti dai boccali e avevano preso a muoversi per la stanza, arrampicandosi sulla scrivania, sulle sedie, addirittura sul letto dello scrittore febbricitante. Si erano poi raccolti al centro dello studio, sul pavimento; si erano disposti a semicerchio, quasi un consesso di giudici, e avevano fissato Malaparte con i loro tondi occhi spenti. A un tratto, il capopopolo dei feti, un tricefalo di sesso femminile, si era rivolto ad alcuni mostricciattoli raccolti in disparte e aveva ordinato loro di far entrare laccusato (Malaparte 1978: 281). In questo paesaggio da incubo, sospeso tra la vita e la morte o la non-vita e la non-morte, Malaparte ha orchestrato lapparizione di Mussolini. Ingresso descritto con sapienza manzoniana, come tenendo a mente la scena della madre di Cecilia (nelle intenzioni dellautore, del resto, La pelle avrebbe dovuto intitolarsi La peste): (98) Veniva innanzi lentamente, fra due di quegli sgherri, un feto enorme, dal ventre floscio, dalle gambe coperte di peli bianchicci e lucenti. [] La testa aveva gonfia, enorme, bianca, nella quale luccicavano due occhi immensi, gialli, acquosi, simili agli occhi di un cane cieco. Lespressione del viso era orgogliosa e, insieme, timida: come se lantico orgoglio, e un timor nuovo di straordinarie cose, vi contendessero e, senza mai soverchiarsi a vicenda, vi si confondessero, cos da creare unespressione che aveva del vile e delleroico al tempo stesso. Era un viso di carne (una carne di feto e insieme di vecchio, la carne di un feto di vecchio), uno specchio dove la grandezza, la miseria, la superbia, la vilt della carne umana splendevano in tutta la loro stupida gloria. [] E per la prima volta vidi la bruttezza del volto umano, lo schifo della materia di cui siamo fatti. (Malaparte 1978: 283) Resistendo alla tentazione di trattare le pagine di Malaparte come un semplice pezzo di bravura, magnifica prosa bastante a se stessa, occorre leggere tra le righe, decriptare il messaggio. Perch lautore della Pelle non voleva soltanto tener dietro al suo facile talento di letterato da terza pagina. Attraverso limmaginazione del processo contro Mussolini, Malaparte larcifascista degli anni venti, caduto in disgrazia negli anni trenta prima di improvvisarsi antifascista negli anni quaranta (99) aveva qualcosa di importante da dire agli italiani. Riconosceva di avere lui stesso maledetto Mussolini quando il duce si era trovato, pettoruto e tronfio, allapice della gloria in piazza Venezia; ma ora che era l nel modesto studio di un ostetrico, feto nudo e schifoso, si rifiutava di rider di lui. Anzi, pi lo guardava, pi Malaparte sentiva nascere in cuore unaffettuosa compassione per Mussolini. E la compassione si estendeva indifferentemente ai fascisti e agli antifascisti, ai saloini e ai resistenti, tutti accomunati dal fatale, meraviglioso destino della sconfitta.

Davanti al consesso dei feti giudicanti, Malaparte indossava la toga di avvocato del mostro Mussolini e dei convitati di pietra al processo, gli italiani: Un uomo, un popolo, vinti, umiliati, ridotti a un pugno di carne marcia, che cosa v di pi bello, di pi nobile al mondo? (Malaparte 1978: 284). Trasparente il significato delloperazione ideologica di Malaparte (quasi un rilancio delloffensiva portata nel Buonuomo Mussolini da quel suo allievo meno clto, meno brillante, ma altrettanto influente che era Indro Montanelli): la riduzione bozzettistica della Resistenza a granguignolesco carnaio dal quale i vinti uscivano paradossali vincitori. Ed esplicito, in Malaparte, il rigetto di qualsiasi interpretazione della guerra civile come lavacro di sangue, tragico eppur salutare rito di passaggio verso la maturit del paese Italia. Quei morti, li odiavo. Tutti i morti, leggiamo nella Pelle (Malaparte 1978: 275). Quanto separava il Malaparte del 1949 dalla sinistra come dalla destra era il suo abbracciare unetica della sopravvivenza, mentre ex resistenti e neofascisti coltivavano unetica del sacrificio. Ma precisamente lelogio della sopravvivenza pu contribuire a spiegare lo straordinario successo di pubblico della Pelle, tanto pi notevole in quanto ottenuto a dispetto di unaccoglienza severa da parte della critica, e senza lappoggio commerciale di un grande editore. (100) Settantamila copie nei primi otto mesi successivi alluscita delledizione italiana: il romanzo-saggio di Malaparte ha venduto dieci volte di pi di quanto tirassero allora i Coralli einaudiani, venti volte di pi della tiratura media di un titolo di narrativa. (101) Difficile pensare che tutti i lettori del bestseller fossero malati di voyeurismo cimiteriale o prenatale. Facile supporre che La pelle incontrasse fortuna anche presso i malati di anti-antifascismo. Era un libro fatto per piacere agli italiani della zona grigia; a quanti, dopo il tragico crollo del mito mussoliniano, non cedevano alle lusinghe del mito ciellenista. Dopo larringa dellavvocato Malaparte, il processo contro il duce si conclude senza un verdetto. Prima di lasciare il tribunale, il feto Mussolini ricorda con voce dolcissima gli ultimi momenti della sua incarnazione di uomo: Mi hanno scannato, mi hanno appeso per i piedi a un uncino, mi hanno coperto di sputi. Dopo di che, due feti dallaspetto di sgherri accompagnano fuori dallaula un duce che si limita a piangere dolcemente (Malaparte 1978: 285). Anche questo lacrimoso nonfinale doveva piacere a molti lettori della Pelle: a quegli italiani da Controriforma cui Malaparte aveva inteso prioritariamente rivolgersi quando ancora si chiamava Suckert (Mangoni 1974: 94 sgg.), e che a maggior ragione egli considerava interlocutori privilegiati dopo la sua conversione cristiana. Nel momento in cui sfuggiva alla realt calvinistica del processo di Norimberga, allalternativa brutale salvati/dannati, certa Italia post-fascista poteva ritrovare nel proprio codice genetico lescamotage tipicamente post-tridentino del terzo luogo, insieme spaventoso e consolante. (102) Mussolini allinferno? Mussolini in paradiso? N luno n laltro: Mussolini in purgatorio.

5. Colloqui doltretomba
NellItalia dellimmediato dopoguerra, si pregato per Mussolini come per unanima del purgatorio. (103) Anno dopo anno, allanniversario della morte del duce, neofascisti pii quanto intraprendenti hanno organizzato messe clandestine di suffragio in absentia del cadavere. (104) Talvolta, laffluenza di pubblico ha richiamato lattenzione delle autorit: a Roma, nel 1947, il numero totale di partecipanti a tali messe stato valutato dalle forze dellordine a varie centinaia di persone. (105) Quando, non paghi di intercedere per lanima dellillustre defunto, i fedeli si sono impegnati in gesti estranei alla liturgia cattolica quali lappello fascista e il saluto romano, capitato che la polizia procedesse ad alcuni fermi o addirittura ad arresti. (106) In genere, le forze dellordine hanno preferito lasciar fare, meritando per questo lapplauso della cosiddetta stampa indipendente. Nella sua rubrica sul settimanale illustrato Tempo, Vitaliano Brancati non ha perso loccasione per sottolineare la felicit dei tempi degasperiani; secondo questo ex propagandista del regime, (107) lindulgenza poliziesca per le messe nostalgiche era il modo migliore di dimostrare che la debole democrazia teme lanima di Mussolini mille volte meno di quanto il potente regime fascista temesse lanima di Matteotti. Durante il Ventennio, ha ricordato Brancati, il semplice proposito di celebrare una messa in suffragio del martire di Fratta Polesine avrebbe giustificato la prigione non soltanto per colui che lavesse formulato, ma anche per il suo compagno di scopone. (108)

Riferendo delle messe officiate in tre chiese di Roma per il secondo anniversario della morte del duce, il settimanale Oggi forniva un complemento dinformazione: la sera stessa del 28 aprile 1947, lo studio di un famoso avvocato romano era servito da teatro per una seduta medianica durante la quale era stato richiamato lo spirito di Mussolini (Senzaterra 1947: 9). Chi voglia far storia del corpo morto del duce costretto a registrare anche questo: dopo i falsi testamenti e i miti teatrali, dopo le autopsie senza cadavere e i processi immaginari, ecco i colloqui doltretomba. Per meglio figurarci le forme della sopravvivenza spiritica di Mussolini, lasciamo trascorrere pochi anni dal 1947 e spostiamoci da Roma a Palermo. In una villa della periferia, ecco riunito presso un sedicente Professore un gruppo di catecumeni che il periodico neofascista locale I Vespri dItalia definisce come provenienti dagli ambienti sociali pi vari. La cerimonia si svolge in due fasi. Dapprima, il Professore invita i convenuti a rispondere a un questionario storico in quattro domande: quale il loro giudizio complessivo su Mussolini? giusta o sbagliata la conquista dellEtiopia? opportuna o improvvida lentrata in guerra dellItalia nel 1940? legale o illegale la Rsi? Nella seconda fase immediatamente successiva il Professore raccoglie gli ospiti della villa in un locale semibuio, e colloca presso lunica lampada una gigantografia di Mussolini al balcone di Palazzo Venezia. Dalla stanza accanto, un grammofono diffonde allora la registrazione dei pi celebri discorsi del duce. Lo sguardo dei presenti inchiodato alla grande fotografia. In tanto religioso silenzio le parole di Mussolini vibrano e mordono come schegge di vetro infisse nella carne. Spento il grammofono, il Professore rivolge agli iniziati il medesimo questionario storico della seduta precedente. Inutile dire che risulta netta levoluzione delle risposte in senso filofascista. (109) Limportanza dello spiritismo nella vita post-mortale del duce non va esagerata. Stiamo parlando di poche decine o poche centinaia di italiani, nella mente dei quali la nostalgia politica per un leader malamente scomparso si accompagnava a uninnocente fascinazione per i fenomeni del paranormale. Succedeva che la vedova stessa del duce, nella modesta casa di Forio dIschia dove risiedeva in regime di domicilio coatto, esibisse potenti qualit medianiche. Almeno una volta, nellautunno del 1947, Rachele Mussolini ha riunito in tinello i figli e alcuni amici fidati, e ha chiesto alle gambe del tavolino di indicare il luogo in cui il questore Agnesina aveva nascosto la salma del marito; ma non ha ricavato dai battiti che lindicazione (inesatta): P-A-V-I-A Conosciamo laneddoto grazie alla testimonianza di un partecipante alla seduta spiritica che era stato, lanno precedente, tra i fondatori del Movimento sociale italiano, e andava servendo da ghost writer delle memorie di Rachele: Giorgio Pini. (110) Si sbaglierebbe a trascurare del tutto questo versante della vicenda postuma di Mussolini: il ricorso allevocazione dei trapassati e alla lievitazione dei tavoli la dice lunga sui caratteri originali del neofascismo post-bellico, ingenuo pi che lucido, patetico pi che insidioso, sentimentale prima ancora che politico. Oltre al brivido delle sedute spiritiche, Rachele provava il sollievo di sogni rivelatori, altrettante sequenze di immagini che la vedova avrebbe finito col gettare in pasto alla curiosit dei lettori di rotocalchi. Come il sogno di un Mussolini miracolosamente giovane e sorridente, che dallalto garantiva: Qui non ci sono rancori, Rachele, [] per nessuno. (111) Ma il duce non popolava soltanto il paesaggio onirico della vedova. Che dire della Jolanda, la volgare affittacamere presso la quale Carlo Levi si trovato ad alloggiare nella Roma del 1945? Mussolini era apparso in sogno anche a lei: Lavesse visto, pallido, tristo, con una voce sofferente. Mi ha detto che gli hanno fatto dei torti, che lavevano tradito, ma che lass un mondo migliore, e che di lass ci avrebbe protetto. (112) Occorrerebbe, appunto, la penna (o il pennello) di Levi, per dipingere con pochi tratti luniverso inesistente e esemplare del neofascismo italiano nei tardi anni quaranta e nei primi anni cinquanta. (113) O almeno per descrivere il piccolo mondo dei neofascisti non direttamente impegnati nellarena della politica: un mondo alla rovescia, dove si volava con la testa in gi e i valori si invertivano, come nel poetico e cabalistico capolavoro di Charlie Chaplin, Il dittatore (Levi 1996: 41). Occorrerebbe lo sguardo insieme acuto e indulgente che lautore di Cristo si fermato a Eboli sapeva posare specialmente su cose e persone del Mezzogiorno dItalia, per restituire il senso di un neofascismo fatto di miracoli sperati e di falsi miracoli, di spiritismo e di gioco del lotto, di culto dei santi e di evocazione dei morti. (114) Beninteso, non tutto il neofascismo era impolitico. Proprio la scomparsa del duce offriva agli epigoni la chance di rilanciare la mistica fascista, incompiuta finch aveva compreso la morte di

tutti tranne che del capo. (115) Sintomatica al riguardo la campagna per il cosiddetto Sepolto dItalia, risalente allautunno del 1950. (116) Si trattava di scovare, in ogni citt e villaggio della penisola, un posticino in bella vista: il cantone di una strada, il muro di una cappella, lo zoccolo di un monumento abbandonato; e di allestirvi un altarino con fiori, candele, fotografie di Mussolini, immagini sacre. In poche parole, si trattava di edificare per il duce un simulacro di tomba. Larte della devozione consisteva nel riuscire a tenere laltarino sempre in piedi, curandolo senza posa o ricostruendolo dopo uneventuale distruzione. Grazie alla solerzia dei neofascisti, Mussolini avrebbe avuto in tal modo non uno, ma innumerevoli sepolcri. La Sua tomba lItalia, spiegava il giornale responsabile delliniziativa. (117) Come suggerendo lidea destinata a rivelarsi tuttaltro che peregrina alla prova dei fatti secondo cui la vita doltretomba del duce sarebbe riuscita tanto pi intensa quanto pi lungamente il vero sepolcro fosse rimasto segreto: invisibile allo sguardo, onnipresente nel cuore. Le sfortunate circostanze della vicenda post-mortale di Mussolini contribuivano dunque a pungolare la fantasia dei neofascisti; lignoranza del luogo di inumazione del suo corpo li stimolava a esprimere il lutto attraverso supporti diversi da quello della pietra tombale. Facendo di necessit virt, il discorso epigrafico si sottraeva alla solidariet col cadavere imposta dallesistenza di un sepolcro. (118) Ritrovando una secolare tradizione letteraria di morti che parlano e di voci dallaldil, i disperati del fascismo (119) potevano rianimare il formidabile profilo del duce sulla grigia ribalta dellItalia degasperiana, potevano liberamente ridare fiato alla voce baritonale del fu Benito Mussolini. Al pari del corpo morto del Fhrer, (120) il corpo morto del duce ha meritato cos la sua dose di letteratura postuma: (121) prodotti a mezza strada tra la libellistica e la pulp fiction, immaginosi epitaffi piuttosto che coerenti manifesti politici. La pi singolare di queste creature letterarie, a firma di Piero Caliandro (uno pseudonimo?), stata partorita a Milano nel 1952: Benito Mussolini senza il fascismo. 12 colloqui dallal di l. Il libro si apriva su unapostrofe rivolta dal duce al medico legale che aveva effettuato la sua autopsia: O anatomo-settore, non sono fantasie di trapassati: qui conosco la verit; voi, invece, esaminate la materia putrescibile o indurita nel formolo e nellalcool. Perch mai il professor Cattabeni era rimasto nei giorni successivi alla dissezione melanconico ed esacerbato? Un po per il comprensibile choc di aver lavorato su cotanto cadavere, un po per la rabbia di non avervi identificato i segni di unulcera degenerata in cancro, di un tumore cerebrale, di una sifilide allultimo stadio; per la delusione, insomma, di non aver trovato nel corpo del duce qualcosa di grosso, da sottoporre alla scienza in vista di una cattedra universitaria e da consegnare al mondo come spiegazione istologica della politica di Mussolini. Si rinunciasse quindi a diffondere la leggenda di un duce ammalato di cervello. Ci si rassegnasse allevidenza per cui il fascismo era tuttora vitale, e prometteva allItalia una stagione di riscatto: Voi, anatomo-settore, insieme ai colpi del giustiziere, non avete estinto Mussolini, avete alimentato una fiamma che andava estinguendosi. (122) Seguivano decine di pagine senza capo n coda, concluse da un appello con cui il duce indicava la soluzione dei problemi italiani nellavvento di un Partito nazionale patriottico, che avrebbe finalmente rimpiazzato la decrepita struttura piramidale dello Stato con una costruzione arborea scientifica della nazione (Caliandro 1952: 163-79). Altri colloqui doltretomba venivano pubblicati da Marco Ramperti: giornalista discretamente famoso nellItalia del 1950, con un passato remoto di critico teatrale del Secolo e dellAmbrosiano e un passato prossimo di portavoce saloino, condannato al carcere durante lEpurazione per propaganda antisemita. (123) In Benito I imperatore, Ramperti muoveva da un postulato controfattuale; immaginava che nellaprile 1945, i paesi dellAsse avessero vinto la guerra mondiale grazie al tempestivo impiego della bomba atomica, e che Mussolini fosse ritornato a Roma per farsi trionfalmente incoronare successore di Augusto. Il libro corrispondeva perci al monologo di un duce vittorioso e imperatore, anzich sconfitto e impiccato. (124) In sostanza, era una torrenziale filippica contro lantifascismo, frutto bacato del tradimento monarchico dell8 settembre, tragico carnevale di belle parole, bugiarda bandiera di un branco di assassini (Ramperti 1950: 9-45). Ma lombra del morto per antonomasia si allungava su prodotti letterari altrimenti colti e raffinati che il Benito I imperatore di Ramperti. Segnatamente sui fascicoli del Borghese, il quindicinale di informazione politica e culturale fondato da Leo Longanesi nel corso dello stesso 1950: dove ogni pretesto riusciva buono per contrapporre alla signora Democrazia (noiosissima

zia) (125) il vulcanico artefice del Ventennio delle illusioni. Di illusioni si era trattato; di quelle per che nobilitano la vita, o almeno danno un senso alla giovinezza: trasformare un paese, vincere una guerra. (126) Sicch Longanesi poteva odiare il fascismo per il male che aveva causato allItalia, e insieme riconoscere nel duce lunico statista dellItalia moderna che avesse chiesto agli italiani qualcosa di serio. (127) Il fondatore del Borghese merita di figurare nella storia di Mussolini buonanima soprattutto per un libro da lui pubblicato nel 1952, Un morto fra noi. Saggio rappresentativo della filosofia che Longanesi condivideva con tanti suoi affezionati lettori: la logica cinica del si-salvi-chi-pu, la morale scettica del chi--senza-peccato-scagli-la-prima-pietra. (128) Saggio evocatore, al contempo, del genere di storiografia che il periodo fascista gli sembrava meritare: una storiografia fondamentalmente pietosa, ansiosa di conservare gli aspetti minimi di un passato che era pur stato condiviso da tutti gli italiani. (129) Nella chiusa del volume, Longanesi raccontava di avere recentemente ritrovato la propria vena di pittore, esaurita da anni. E di aver dipinto un vecchio castello aggrappato ad una roccia selvaggia. Quale la sua sorpresa, qualche notte pi tardi, nello scoprire illuminata una finestra del maniero! Eppure, Longanesi si diceva sicuro di non averla nemmeno disegnata, quella finestra, sicuro che nel castello non abitasse nessuno. La notte successiva, al buio, lartista era tornato a scrutare il quadro, e nuovamente aveva visto palpitare la luce della finestra: qualcuno certamente camminava nella stanza, come in certe notti insonni a Palazzo Venezia Poi, udii un latrare di cani, lontano. Il vento soffiava sulle rocce, nello squallido chiarore di una luna che Longanesi negava di aver dipinto. Infine, lalba era sorta su quel paesaggio maledetto. Poi ho udito un grido, un grido straziante, terribile, che usciva dalla finestra. La luce si spenta e dai crepacci della roccia ho visto scendere sottili rigagnoli di sangue. (130) Secondo ogni evidenza, il fantasma ducesco di Longanesi era stato divorato dai cani. Universit di Genova

Note
1. Non tutti i risvolti della vicenda post-mortale di Mussolini sono documentati nelle carte consultabili presso lArchivio centrale dello Stato. In particolare, risulta vuoto il fascicolo: Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1944-47, 1.7 / 36191-5, Mussolini, trafugamento salma. Stando a un appunto manoscritto sulla copertina del fascicolo, il contenuto dellincartamento stato riportato in Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1955-57, 1.7.14274, Mussolini, trafugamento salma. Io ho potuto vedere questultimo fascicolo mai versato allArchivio centrale dello Stato a Palazzo Chigi (grazie al cortese interessamento del prof. Paolo Prodi, del prof. Arturo Parisi, del gen. Giovanni Marrocco e della sig.ra Paola Tempesti): salvo constatarne il carattere gravemente lacunoso. Dallinsieme della ricerca archivistica si ricava limpressione, o piuttosto la certezza, che parte delle carte relative alla salma siano andate disperse. 2. Come precisato nel documento firmato da Vincenzo Agnesina e controfirmato da Rachele Mussolini il 30 agosto 1957, in occasione della restituzione della salma di Mussolini alla famiglia: vedi A. Pensotti, La restituzione dei resti di Mussolini nel drammatico racconto della vedova (Roma: Dino Editore, 1972), 81. 3. Vedi infra, Capitolo sesto, pp. 176 sgg. 4. Secondo il titolo immaginoso dellarticolo di J. Nicholson, Italy: Mussos Ghost Walks, in Picture Post (July 12, 1952): 27. 5. Come annunciava Cesare Pavese allartista padovano Tono Zancanaro, a proposito dei programmi culturali della casa editrice Einaudi: vedi C. Pavese, Lettere 1945-1950 (Torino: Einaudi, 1966), 17 (da Torino, 13 giugno 1945).

6. Uneccezione che conferma la regola data dal libro (pubblicato postumo) di G. Dorso, Mussolini alla conquista del potere (Torino: Einaudi, 1949). 7. Vedi M. Lewin, Lultima battaglia di Lenin (Bari: Laterza, 1969; ed. or., New York: Pantheon Books, 1968); E. Collotti Pischel (a cura di), Leredit di Mao Tse-Tung. Un primo bilancio (Milano: Giuffr, 1978). 8. Vedi H. Trevor Roper, Gli ultimi giorni di Hitler [1947] (Milano: Rizzoli, 1994), 212 sgg.; D.M. McKale, Hitler: The Survival Myth (New York: Stein and Day, 1981), 25. 9. Segnatamente, sulla tomba del fratello Arnaldo: io non ho fatto, n far testamenti di alcun genere, n spirituali, n politici, n profani. Inutile quindi cercarli B. Mussolini, Vita di Arnaldo [1932], in Opera omnia (Firenze: La Fenice, 1961), vol. XXXIV, 190. 10. Vedi P. Ignazi, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano (Bologna: Il Mulino, 1989), 62-67. 11. Vedi D. Forgacs, Lindustrializzazione della cultura italiana (1880-1990) (Bologna: Il Mulino, 1992; ed. or., Manchester: Manchester University Press, 1990), 191-92. 12. Enfatizzando limportanza dei miti consumistici, gli storici hanno corso il rischio di minimizzare la rilevanza dei riti post-fascisti: si veda, tipicamente, lintroduzione di Christopher Duggan allopera collettiva di C. Duggan e C. Wagstaff (a cura di), Italy in the Cold War. Politics, Culture and Society, 1948-58 (Oxford-Washington: Berg, 1995), 7 sgg. 13. Vedi I. Calvino, Le citt invisibili [1972] (Torino: Einaudi, 1984), 147. 14. Vedi I. Montanelli e M. Staglieno, Leo Longanesi (Milano: Rizzoli, 1984), 273. 15. Vedi Q. Navarra, Memorie del cameriere di Mussolini (Milano: Longanesi, 1946), 134 sgg. 16. Vedi, in particolare, la recensione entusiastica di E. Rusconi, Qui non riposano, in Oggi (13 maggio 1947). 17. Si veda la raccolta pubblicata come I. Montanelli, I libelli (Milano: Rizzoli, 1975 e 1993). 18. I. Montanelli, Il buonuomo Mussolini (Milano: Edizioni Riunite, 1947), 9. 19. Si vedano i Documenti autobiografici pubblicati in appendice di C. Malaparte, La pelle [1949] (Milano: Mondadori, 1978), 295. 20. Vedi A. Asor Rosa, La cultura, in R. Romano e C. Vivanti (a cura di), Storia dItalia, vol. IV/2, DallUnit a oggi (Torino: Einaudi, 1975), 1502 sgg. e 1568-575. 21. C. Malaparte, Maledetti toscani (Firenze: Vallecchi, 1956), 37. 22. I. Montanelli, Lettere a Longanesi (e ad altri nemici) (Milano: Longanesi, 1955), 254. 23. Vedi N. Ajello, Il settimanale di attualit, in V. Castronovo e N. Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana del neocapitalismo (Roma-Bari: Laterza, 1976), 215. 24. Vedi Testamento politico di Mussolini, dettato corretto siglato da Lui il 22 aprile 1945 (Roma: Tosi, 1948). 25. Sulle circostanze dellincontro, vedi A. Zanella, Lora di Dongo (Milano: Rusconi, 1993), 35-36. 26. Vedi G. De Luna, I quarantacinque giorni e la Repubblica di Sal, in V. Castronovo e N. Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana dalla Resistenza agli anni sessanta (Roma-Bari:

Laterza, 1980), 70. Sulle successive iniziative di Cabella come falsario al servizio della causa neofascista, vedi P.G. Murgia, Ritorneremo! Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1950-1953) (Milano: Sugarco, 1976), 156. 27. Testamento politico: 9. Identica vena viene attestata da unaltra intervistatrice saloina del duce: M. Mollier, Pensieri e previsioni di Mussolini al tramonto (Milano: Tipografia Colombi, 1948). 28. A. Giovannini, Mussolini ordin al frate di assolverlo, in Oggi (4 aprile 1948): 9. 29. L.M. Dies, Istantanea mussoliniana a Ponza (Roma: s.e., 1949), 12. 30. Vedi B. Mussolini, Testamento (Predappio: Ferlandia, s.d.), s.i.p.; vedi anche Ultimi pensieri del Duce (s.l., s.d.). 31. Vedi D. Susmel, Il testamento di Mussolini, in Epoca (15 maggio 1955): 22. 32. Vedi N. Orsini, Mussolini a Dongo non credeva di morire, in Epoca (24 gennaio 1953): 13. 33. G. P., Dove finito il diario di Mussolini?, in Epoca (14 giugno 1953): 19. 34. D. Susmel, C una Maria che sa come fin il camioncino fantasma, in Epoca (28 marzo 1954): 58-59; Susmel 1955: 22-26. 35. Vedi L. Mangoni, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento (Torino: Einaudi, 1989), 298 sgg.; G. Bottai e G. De Luca, Carteggio 1940-1957 (Roma: Edizioni di Storia e Letteratura, 1989). 36. Vedi G.B. Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico (Milano: Feltrinelli, 1976), 242. 37. Guerri 1976: 253. Un indizio delle velleit di rentre politica di Bottai veniva dallorchestrazione di un ampio servizio di Oggi sulla sua esperienza di legionario: vedi G. Vecchietti, Nasce Andrea Battaglia legionario di seconda classe, in Oggi (25 gennaio 1948, e le quattro puntate successive, pubblicate nei numeri seguenti del settimanale). 38. G. Bottai, Diario 1944-1948 (Milano: Rizzoli, 1988), 507 (11 febbraio 1947). 39. Bottai 1988: 51 (15 febbraio 1944), 174 (24 giugno 1945), 498 (31 gennaio 1947). Su Bottai critico del mussolinismo, vedi L. Mangoni, Linterventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo (Roma-Bari: Laterza, 1974), 117. 40. G. Bottai, Diario 1935-1944 (Milano: Rizzoli, 1982), 212 (29 luglio 1940); su queste pagine, vedi R. De Felice, Mussolini il duce, vol. II, Lo Stato totalitario, 1936-1940 (Torino: Einaudi, 1981), 257-58. 41. Riprendo qui le categorie di P.G. Zunino, Lideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime (Bologna: Il Mulino, 1985), 210. 42. Vedi Bottai 1988: 316-19 (15 marzo 1946). E vedi, con lievi ritocchi di stile, Ventanni e un giorno (24 luglio 1943) [1949] (Milano: Garzanti, 1977) 25-32. 43. Dimostravano un totale disinteresse per la natura carismatica del regime, ad esempio, L. Salvatorelli e G. Mira, Storia dItalia nel periodo fascista (Torino: Einaudi, 1956 stampata gi nel 1952 come opera a dispense, sotto il titolo di Storia del fascismo. LItalia dal 1959 al 1945, dalle Edizioni Novissima di Roma). 44. La cui prima edizione (pi volte ristampata) venne pubblicata presso Migliaresi, Roma 1945; e che io citer dalledizione Einaudi, Torino 1993. 45. Cito da un corsivo a firma Il Pontiere, La maschera, in Il Ponte (maggio 1945): 254-55.

46. A. Palazzeschi, Tre imperi mancati. Cronaca (1922-1945) (Firenze: Vallecchi, 1946), 264. 47. La recensione di Branca pubblicata su Il Ponte (ottobre 1946): 178-80. 48. Sulla sua esperienza resistenziale, vedi V. Branca, Ponte Santa Trinita. Per amore di libert, per amore di verit (Venezia: Marsilio, 1987), 13 sgg. 49. Dieci anni dopo, lo scrittore milanese avrebbe parlato dellincontenibile ed esplosiva urgenza del mio animo 1945-1946 (Il pasticciaccio, SGF I 507). 50. I caratteri (e i limiti) della misoginia di Gadda sono stati rilevati dallinsieme della critica. Spunti specialmente perspicui in Calvino 1995: I, 1081. 51. Secondo la terminologia impiegata da Gadda stesso, recensendo il saggio di Palazzeschi (Tre imperi, SGF I 935). 52. Riprendo qui, piegandola ai fini della mia interpretazione, una formula di Pedull 1997a: 15. 53. Lelenco seguente si basa (con varie aggiunte ed alcune omissioni) sopra la voce Mussolini Benito contenuta in BI 176-77. 54. Vedi P.G. Zunino, Musicisti e letterati nellItalia del fascismo. Nuove ricerche, nuove fonti, in Rivista storica italiana (1987): 513. 55. Quanto segue tratto dai Miti del somaro, SVP 922; Tre imperi, SGF I 940; Il primo libro delle Favole, SGF II 43, 70; Pasticciaccio, RR II 55, 265; Eros e Priapo, SGF II 225, 242, 243, 263, 268. 56. Primo libro, SGF II 43-44 (favola 134). La lettura pi profonda delle Favole come rappresentative della scrittura giudiziaria gaddiana stata proposta da Pecoraro 1998a: 73-77. 57. Primo libro, SGF II 71. Il Mussolini di Gadda risulta direttamente ricalcato sopra quello descritto da Walter Audisio in uno dei suoi memoriali sugli eventi di Dongo: Tremava, livido dal terrore, e balbettava con quelle grosse labbra in convulsione: Ma, ma, ma, ma, signor colonnello W. Audisio, Giustizia per il popolo italiano , in lUnit (29 marzo 1947). 58. Fatto personale o quasi, SGF I 496. Lo sgraffignamento di parpagliole doro viene evocato da Gadda anche in una lettera coeva (datata Firenze, 19 marzo 1947) a Domenico Marchetti (Gadda 1983c: 51). 59. Vedi supra, Capitolo terzo, pp. 103-04. La forte impressione suscitata su Gadda dal trafugamento di Musocco sembra ulteriormente attestata da una lettera coeva a Gianfranco Contini: Spero riprendere presto e ultimare Eros e P. = (direi che il libro comincia a diventare necessario, anche storicamente) (Gadda 1998: 39; lettera da Firenze, 30 aprile 1946). 60. Vedi A. Rossi-Doria, Diventare cittadine. Il voto alle donne in Italia (Firenze: Giunti, 1996), 45. 61. Tra le rare, la voce di A. Bocelli, Gadda nel pasticcio, in Il Mondo (22 ottobre 1957): 8; e soprattutto quella di Cases 1987: 41-69. 62. Vedi G.C. Ferretti, Officina. Cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta (Torino: Einaudi, 1975), 35-36. 63. In particolare, Rino Dal Sasso e Adriano Seroni: vedi G.C. Ferretti, Una stagione di narrativa (Rassegna del 1957), in Belfagor (1958): 93. Questa ipotesi interpretativa viene ora rilanciata, con dovizia di argomenti, da Pecoraro 1998a. 64. Cito da una versione sacrificata del manoscritto di Eros e Priapo, pubblicata da G. Pinotti

(SGF II 1008). 65. Risalente almeno al 1919: vedi G.B. Guerri, Fascisti. Gli italiani di Mussolini; il regime degli italiani (Milano: Mondadori, 1996), 19. 66. Si veda il documento ufficiale americano del 4 maggio 1945 riportato in A. Cappellini, Sono emigrati in America dieci grammi del cervello di Mussolini, in Oggi (28 novembre 1948): 6. 67. Secondo quanto denunciato da M. Lupinacci, Porzioni di cervello, in Epoca (14 agosto 1955): 45. 68. Vedi F. Anfuso, Da Palazzo Venezia al lago di Garda (1036-1945) [1950] (Bologna: Cappelli, 1957), 403. 69. P. Romualdi, Fascismo repubblicano [1945-46] (Milano: Sugarco, 1992): 142. 70. Vedi R. Rosenbaum, Explaining Hitler , in The New Yorker (1 maggio 1995): 53. 71. Vedi A. Bullock, Hitler e Stalin. Vite parallele (Milano: Garzanti, 1995; ed. or., New York: Knopf, 1992), 492. 72. C. Alvaro, Quasi una vita. Giornale di uno scrittore (Milano: Bompiani, 1950), 387 (Roma, primavera 1946); commentava lo scrittore: Non credevo che il nostro culto priapico arrivasse a tanto. 73. G. Parise, Il prete bello [1954] (Milano: Mondadori, 1986), 111. 74. Vedi A. Pozzi, Come li ho visti io. Dal diario di un medico (Milano: Mondadori, 1947), 218 sgg. 75. Vedi G. Zachariae, Mussolini si confessa. Rivelazioni del medico tedesco inviato da Hitler al duce (Milano: Garzanti, 1948), 10. 76. Vedi G. Leto, Ovra, fascismo, antifascismo (Bologna: Cappelli, 1952), 96. 77. Secondo la definizione di M. Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo (Bologna: Il Mulino, 1991). 78. C. Rossi, Mussolini comera. Radioscopia dellex dittatore (Roma: Ruffolo, 1947), 279. 79. Tracce di tali dibattiti in N. Valeri, Il fascismo interpretato, in Il Mondo (5 luglio 1952): 3; R. Vivarelli, Lettera agli amici del Ponte, in Il Ponte (aprile-maggio 1955): 750-54. 80. Secondo la categoria crociana, finemente analizzata da P.G. Zunino, Interpretazione e memoria del fascismo. Gli anni del regime (Roma-Bari: Laterza 1991): 132-36. 81. A. Trizzino, Mussolini ultimo (Milano: Bietti, 1968), 108. 82. P. Monelli, Mussolini piccolo borghese [1950] (Milano: Garzanti, 1983), 229. 83. Vedi G. Isola, Cari amici vicini e lontani. Storia dellascolto radiofonico nel primo decennio repubblicano (1944-1954) (Firenze: La Nuova Italia, 1995): 74. 84. Vedi B. Mussolini, Storia di un anno. (Il tempo del bastone e della carota), in Opera omnia (Firenze: La Fenice, 1961), vol. XXXIV, 398. 85. Vedi T. Taylor, Anatomia dei processi di Norimberga (Milano: Rizzoli, 1993; ed. or., New York: Knopf, 1992), 148. 86. Fra questi pochi, A. Natoli, Testamento incompiuto. Benito Mussolini. Storia di un anno,

pubblicato in appendice di Cassius [pseudonimo di M. Foot], Il processo di Mussolini (New York: Edizioni Il Mondo, 1945), 114. 87. Secondo limmagine di Gec [pseudonimo di E. Gianeri], Il Cesare di cartapesta. Mussolini nella caricatura, (Torino: Grandi edizioni Vega, 1945). 88. Si veda, per esempio, A. Tamaro, Due anni di storia, 1943-1945 (Roma: Tosi, 1948-1950), vol. III, 632. 89. Antesignano nella finzione, il giornalista antifascista inglese Michael Foot, autore fin dal 1943, con lo pseudonimo Cassius, di The Trial of Mussolin i: un testo inizialmente tradotto in italiano con intenzioni dichiaratamente antifasciste (vedi Cassius 1945); poi ripreso da altri, in una nuova edizione, con fini ideologicamente pi ambigui, come attestato dalla modificata traduzione del titolo: Cassius, Un inglese difende Mussolini (Milano: Edizioni Riunite, 1946). 90. Vedi Y De Begnac, Alla scuola della Rivoluzione antica: vita dei Mussolini dalle origini al . dicembre 1904 (Milano: Mondadori, 1936); La strada verso il popolo: vita di Mussolini dal gennaio 1905 al dicembre 1909 (Milano: Mondadori, 1937); Tempo dattesa: vita di Mussolini dal gennaio 1910 al 24 maggio 1915 (Milano: Mondadori, 1937). Oltre ai materiali di lavoro pubblicati in Taccuini mussoliniani (Bologna: Il Mulino, 1990). 91. Si tratta del terzo capitolo di unopera monumentale: Y De Begnac, Palazzo Venezia. Storia di . un regime (Roma: Editrice La Rocca, 1950), 45-99. 92. G. Dolfin, Con Mussolini nella tragedia. Diario del Capo della segreteria particolare del duce, 1943-44 (Milano: Garzanti, 1949), 89. 93. Si veda la recensione di Enzo Collotti, in Il Ponte (maggio 1951): 532. 94. Secondo il giudizio critico (di qualche anno pi tardo) di G. Vaccarino, Benito Mussolini dinanzi ad alcuni suoi biografi [1957], in Problemi della Resistenza italiana (Modena: S.t.e.m., 1966): 304. 95. Lo ammetteva lui stesso: vedi C. Malaparte, Diario di uno straniero a Parigi (Firenze: Vallecchi, 1966), 141 (Chamonix, 22 marzo 1948). 96. Malaparte ha lavorato alla Pelle dalla casa di campagna di Daniel Halvy, alla periferia di Parigi, dove soprattutto ha risieduto fra 1947 e 49 vedi G.B. Guerri, Larcitaliano. Vita di Curzio Malaparte (Milano: Bompiani, 1980), 229. 97. Il diario parigino sarebbe stato pubblicato postumo, ma Malaparte lo aveva scritto e rielaborato in vista di unedizione da vivo: vedi E. Falqui, Nota bibliografica (Malaparte 1966: 311). 98. Un titolo al quale Malaparte aveva rinunciato dopo la pubblicazione, nel 1947, de La peste di Albert Camus (vedi Guerri 1980: 237). 99. Per un gustoso ritratto di Malaparte che fa anticamera da Palmiro Togliatti nella Napoli liberata, per accreditarsi (insieme a Longanesi) come sincero comunista, vedi M. Valenzi, C Togliatti! Napoli 1944: i primi mesi di Togliatti in Italia (Palermo: Sellerio, 199), 44-45. 100. Sulle circostanze della nascita delle edizioni Aria dItalia, espressamente fondate in vista della pubblicazione della Pelle e quasi per intero di propriet dello stesso Malaparte, vedi Guerri 1980: 241. 101. Ricavo le cifre delle tirature, rispettivamente, da A. Todisco, Malaparte ha scoperto che gli uomini hanno un naso, in Settimana Incom (20 maggio 1950): 23; e da G.C. Ferretti, Leditore Vittorini (Torino: Einaudi, 1992), 123 e 260.

102. Vedi M. Vovelle, Les mes du purgatoire ou le travail du deuil (Paris: Gallimard, 1996), 93116; G. Zarri, Purgatorio particolare e ritorno dei morti tra Riforma e Controriforma: larea italiana, in Quaderni storici no. 50 (1982): 411 sgg. 103. Secondo il testo di un santino che circola da decenni negli ambienti neofascisti, intitolato Visione!, Benito Mussolini apparve a una certa Madre Speranza di Ges alla fine del 1955, mentre questa si trovava a Fermo (in provincia di Ascoli Piceno): chiese perdono delle sue colpe ed evit cos la condanna eterna, ma fu destinato a un lungo purgatorio. Dopo trenta messe in suffragio, il duce apparve di nuovo a Madre Speranza, mentre sfavillante di gioia volava al cielo. 104. Nel primo anniversario della morte, la polizia si soprattutto interessata ad una messa apparentemente dedicata defunto ignoto ma intenzione altamente rivolta suffragio Benito Mussolini officiata nella cattedrale di Nicastro, in provincia di Catanzaro: vedi Archivio centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Gabinetto P. S., Ufficio cifra, Telegrammi in arrivo, vol. 1946/15. 105. Vedi P.G. Murgia, Il vento del Nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (19451950) (Milano: Sugarco, Milano 1975): 268-69. 106. Vedi G. Senzaterra, Quatti quatti i fedeli tentarono di svignarsela, in Oggi (13 maggio 1947): 9. 107. Vedi supra, Capitolo primo, p. 19. Sulle palinodie di Brancati, si veda il feroce giudizio emesso in occasione della sua morte da O. Vergani, Misure del tempo. Diario 1950-1959 (Milano: Leonardo, 1990), 312 (27 settembre 1954). Vedi inoltre N. Tripodi, Intellettuali sotto due bandiere (Roma: Ciarrapico, 1981), 44-47. 108. V. Brancati, Messe in suffragio, in Tempo (24-31 maggio 1947): 8. 109. Ricavo quanto precede dallarticolo Messa nera, nella rubrica Taccuino del settimanale Il Mondo (14 aprile 1951): 2 (che riporta una cronaca dal titolo Ho incontrato Mussolini, in un numero di poco precedente de I Vespri dItalia). 110. Le memorie inedite di Giorgio Pini (gi biografo di Mussolini, direttore del Resto del Carlino, sottosegretario del ministero degli Interni della Rsi) sono conservate tra le sue carte depositate lArchivio di stato di Bologna (vedi pp. 201-02 del testo dattiloscritto). Le memorie di Rachele, redatte da Pini sulla base di un brogliaccio preparato dalla vedova con laiuto di unamica, sono state pubblicate come R. Mussolini, La mia vita con Benito (Milano: Mondadori, 1948). 111. R. Mussolini, In sogno lo rivedo sempre giovane, in Oggi (7 novembre 1957). 112. C. Levi, Lorologio [1950] (Torino: Einaudi, 1989), 226. 113. C. Levi, La serpe in seno [1952], in Belfagor (31 gennaio 1996): 33. 114. Levi 1996: 33. Questo bel testo, con altri, stato ripubblicato per cura di Sandro Gerbi in C. Levi, Il bambino del 7 luglio. Dal neofascismo ai fatti di Reggio Emilia (Cava dei Tirreni: Avagliano, 1997). 115. Vedi M. Tarchi, Cinquantanni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo (Milano: Rizzoli, 1995), 40. 116. Vedi E. Forcella, Il labaro in soffitta, in Il Mondo (4 novembre 1950): 7. 117. Cit. in E. Forcella, Lora dei cimiteri, in Il Mondo (13 aprile 1954). 118. Sul nesso storico tra iscrizioni epigrafiche e forme di sepoltura, vedi A. Petrucci, Le scritture ultime. Ideologia della morte e strategie dello scrivere nella tradizione occidentale (Torino: Einaudi, 1995), 63 sgg.

119. Riprendo la definizione da un discorso (risalente al 1940) di Niccol Giani, il fondatore e direttore della Scuola di Mistica fascista: cit. in D. Marchesini, La scuola dei gerarchi. Mistica fascista: storia, problemi, istituzioni (Milano: Feltrinelli, 1976), 120. 120. Vedi A. Rosenfeld, Imagining Hitler (Bloomington: Indiana University Press, 1985). 121. Impiego la categoria nel senso argomentato da G. Ferroni, Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura (Torino: Einaudi, 1996), segnatamente 62 sgg. 122. P. Caliandro, Benito Mussolini senza il fascismo. 12 colloqui dallal di l (Milano: Agenzia Rateale Editoriale, 1952), 9-22. 123. La pena prevista, 17 anni di carcere, era stata poi drasticamente ridotta: vedi R.P. Domenico, Processo ai fascisti (Milano: Rizzoli, 1996; ed. orig. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 1991), 209. 124. M. Ramperti, Benito I imperatore (Roma: Scir, 1950), 8. 125. Cito dal componimento non firmato, Lirica, in Il Borghese (15 maggio 1950): 160. 126. Si veda larticolo non firmato (ma visibilmente longanesiano), Le colpe del morto, in Il Borghese (1 gennaio 1951): 3. 127. Secondo lequilibrato giudizio formulato su Longanesi da Pietro Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-1956 (Milano: Sugarco, 1981), 432 (30 maggio 1948). 128. Vedi A. Asor Rosa, Il giornalista: appunti sulla fisiologia di un mestiere difficile, in C. Vivanti (a cura di), Gli intellettuali e il potere (Torino: Einaudi, 1981), 1243 sgg. 129. Vedi M. Mila, Il fenomeno Longanesi [1948], in Scritti civili (Torino: Einaudi, 1995), 280. 130. L. Longanesi, Un morto fra noi (Milano: Longanesi, 1952), 281-86. Published by The Edinburgh Journal of Gadda Studies (EJGS) ISSN 1476-9859 2004-2013 by Sergio Luzzatto & EJGS. Previously published in Il corpo del duce (Turin: Einaudi, 1998), 120-58. artwork 2004-2013 by G. & F. Pedriali. framed image: detail (modified) from a picture of Mussolinis body hanging from a petrol station at piazzale Loreto, 29 April 1945 (Archive Publifoto). The digitisation and editing of this file were made possible thanks to the generous financial support of the School of Languages, Literatures and Cultures, University of Edinburgh. All EJGS hyperlinks are the responsibility of the Chair of the Board of Editors. EJGS is a member of CELJ, The Council of Editors of Learned Journals. EJGS may not be printed, forwarded, or otherwise distributed for any reasons other than personal use. Dynamically-generated word count for this file is 17021 words, the equivalent of 49 pages in print.

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