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NUMERO 11 OTTOBRE 2012

Pensare la politica
contributi di Pietro Barcellona Laura Bazzicalupo Giancarlo Bosetti Gianni Cuperlo Vito De Filippo Mario Dogliani Maurizio Ferraris Miguel Gotor Francesca Izzo Marcella Marcelli Alberto Melloni Elena Pulcini Nadia Urbinati Lucia Votano

Stefano Di Traglia
Direttore responsabile

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Direttore editoriale

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Coordinatore del Comitato editoriale

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Segretaria di redazione

COMITATOEDITORIALE Massimo Adinolfi Mauro Ceruti Paolo Corsini Stefano Fassina Chiara Geloni Claudio Giunta Miguel Gotor Roberto Gualtieri Marcella Marcelli Eugenio Mazzarella Anna Maria Parente Francesco Russo Walter Tocci Giorgio Tonini SITOINTERNET
www.tamtamdemocratico.it

SOMMARIO
FOCUS PENSARELAPOLITICA

5 8 11 17 20 25

Dare peso alle idee La nostra agor

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Ricerca e formazione come leva dello sviluppo Lucia Votano L'Italia ne uscir solo se ce la far il sud Vito De Filippo Condizioni per la rinascita. Il caso Napoli Francesca Izzo Una svolta culturale per la domanda di autorealizzazione Laura Bazzicalupo La stella polare della persona e dei diritti Marcella Marcelli

Gianni Cuperlo
Politiche del realismo Maurizio Ferraris Ci che manca all'Europa Alberto Melloni Valorizzare le passioni civili

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Tam Tam Democratico spazio di approfondimento del Partito Democratico

Elena Pulcini
Oltre l'egemonia dell'economia e la democrazia plebiscitaria Nadia Urbinati

Proprietario ed editore Partito Democratico Sede Legale - Direzione e Redazione VIa SantAndrea delle Fratte n. 16, 00187 Roma Tel. 06/695321 Direttore Responsabile Stefano Di Traglia Registrazione Tribunale di Roma n.270 del 20/09/2011 I testi e i contenuti sono tutelati da una licenza Creative Commons 2.5 CC BY-NC-ND 2.5 Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate

CARTADINTENTI

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Civismo e PD si diano la mano Miguel Gotor Non bastano le parole Giancarlo Bosetti Il conflitto tra le generazioni Pietro Barcellona

ALTRICONTRIBUTI

COMUNICAZIONE
progetto grafico/sito internet dol - www.dol.it

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Costituzione e virt politica Mario Dogliani

Dare peso alle idee

uesto numero di Tamtm democratico consta di tre parti. Nella prima, anticipiamo taluni contributi del seminario promosso dal Centro studi del PD e al quale hanno partecipato una trentina di studiosi di varie discipline, specie filosofi e storici, che hanno interloquito con il segretario Pier Luigi Bersani (gli atti integrali sono di prossima pubblicazione). I saggi in oggetto sono introdotti da Gianni Cuperlo che appunto dirige il Centro studi. Nella seconda parte figurano alcune reazioni alla Carta di intenti dei democratici e progressisti messa a punto da Bersani quale base di discussione e confronto per le primarie di coalizione. A seguire un denso saggio di Mario Dogliani su Costituzione e virt politiche. Uno dei riferimenti basici della "questione democratica" che il PD intende porre al vertice della sua agenda insieme alla "questione sociale" e al rilancio del progetto europeo. Ci sembrato appropriato dare all'intero numero il titolo "Pensare la politica". nostra convinzione che, nel rispetto delle reciproche sfere di autonomia, chi fa politica e chi si dedica alla riflessione, allo studio e alla ricerca debbano interloquire sempre pi intensamente. Perch la leggerezza pu anche essere una virt su altri fronti, non su quello del pensiero.

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La nostra agor
Gianni Cuperlo
presidente del Centro Studi e deputato del Pd

tate attenti: la nave in mano ormai al cuoco di bordo e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano pi la rotta ma che cosa si manger domani. Queste parole, scritte pi di un secolo e mezzo fa da Soren Kierkegaard, mi pare dicano piuttosto bene il grande pericolo, non ancora scampato, corso dalla politica (non solo italiana) negli ultimi ventanni. Alcuni, prendendo a prestito il vocabolario della finanza, parlano di shortermismo per significare laccorciarsi temporale e spaziale delle scelte, lincapacit di pensare in termini di medio-lungo periodo,

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la ristrettezza degli orizzonti, il prosciugarsi del pensiero che hanno caratterizzato la lunga stagione dellegemonia economico-finanziaria. Siamo chiari: che cosa si manger domani tema non secondario e non trascurabile, tanto pi nel pieno di una crisi senza precedenti, che ha gi dissestato la vita di milioni di persone e, insieme, le forme della democrazia. Che riuscita a scardinare sovranit, equilibri e ordinamenti di una realt storica come lEuropa, e pi in generale dellOccidente. Ed precisamente perch cogliamo la profondit di questa crisi, ben oltre e al di l di come, ancora oggi, in tanti ce la raccontano, che decidiamo di partire da qui. Dal fatto che, una volta smarrita la rotta, presto o tardi, non ci sar pi niente da mangiare (e non solo in senso metaforico). Siamo di fronte a quella che un tempo avremmo chiamato una transizione di egemonia, una fase delicata (come sospesa tra il non pi e il non ancora) in cui sincastrano le spinte pi pericolose: il riarmo dei nazionalismi, o populismi di diversa estrazione, ma che piegano sempre sul fianco destro. In qualche modo la stessa utopia di unEuropa integrata, non solo nella moneta, oggi sembra chiusa dentro questa morsa. Una situazione drammatica che chiede alla politica di gestire lemergenza (dagli spread al debito, alle

Siamo di fronte a quella che un tempo avremmo chiamato una transizione di egemonia, una fase delicata (come sospesa tra il non pi e il non ancora) in cui sincastrano le spinte pi pericolose: il riarmo dei nazionalismi, o populismi di diversa estrazione, ma che piegano sempre sul fianco destro.

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strategie anti-cicliche), ma anche di costruire un pensiero, in larga parte originale, che faccia da cornice a un nuovo modello per lo sviluppo di domani. Messa cos in alto, chiaro che sar impossibile saltare lasticella da soli. Ecco perch la cultura, i saperi in particolare quelli diversi dalleconomia non possono sottrarsi alla responsabilit di assumere una parte importante della fatica nellimmaginare una via di uscita possibile. Questa la prova del nostro tempo. Questo il compito delle classi dirigenti, non solo nella politica. Ed anche lo spirito che guida un partito come il nostro nel momento in cui si candida a condurre il paese fuori da quella che ormai, senza iperboli, possiamo ben chiamare decadenza. Direi che soprattutto per questa ragione abbiamo scelto un percorso non scontato: e a chi spingeva per un leader, un programma e un sistema di alleanze da decidere subito, abbiamo risposto che era giusto, invece, partire da una Carta dintenti e da unidea dellItalia e della sua funzione in Europa. Il punto per noi che quella Carta e quel progetto devono fondarsi su un corpo didee che non interamente compreso dentro un solo partito, per grande che sia e che non destinato ad accompagnare una sola stagione, seppure cruciale, come quella che si apre da qui alla prossima campagna elettorale. Sentiamo di dover incrociare una cittadinanza attiva, movimenti, competenze, senza le quali letteralmente impossibile una ricostruzione dal basso. Questo mi pare il senso del progetto civico che abbiamo messo a base di un nuovo centrosinistra e di unalleanza credibile con i moderati. Questo il senso del confronto cercato con le forze intellettuali di cui lincontro dello scorso 26 luglio stato una tappa importante alle quali non abbiamo chiesto di aderire a un disegno gi scritto, ma di aiutarci a pensarlo nella consapevolezza che siamo davanti a una prova molto impegnativa. La risposta stata per noi incoraggiante e, come credo dicano i testi qui pubblicati in anteprima, ricchissima di suggestioni e stimoli a proseguire in un cammino di lunga lena che, se non la rotta, sappia ritrovare almeno la voglia del mare.

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Politiche del realismo


Maurizio Ferraris
insegna filosofia teoretica allUniversit di Torino

isogna che non appena questa gente tenter di sbarcare, sia congelata su questa linea che i marinai chiamano del bagnasciuga. Come sappiamo, il bagnasciuga era poi la battigia, e si anche visto come andata a finire. Churchill, invece, non si illudeva affatto che, in caso di invasione, i tedeschi sarebbero stati congelati sul bagnasciuga, ed per questo che disse: Noi combatteremo sulle spiagge, noi combatteremo nei luoghi di sbarco, noi combatteremo sui campi e sulle strade, noi combatteremo sulle colline, e non escludeva nemmeno che lInghilterra potesse essere completamente invasa. Ora, che cosa caratterizza il discorso del bagnasciuga? Semplicemente e banalmente il rifiuto della realt, la sostituzione di quello che c con quello che si vorrebbe che fosse, lillusione spacciata per liberazione. Di discorsi del bagnasciuga se ne sono sentiti tanti dopo quello, ed per questo che alla presa della Bastiglia si tratta ora di sostituire una pi modesta presa della battigia, da intendersi come una politica del realismo, che chiami le cose con il loro nome. Per brevit, propongo otto spunti per la discussione. Il mio primo punto riguarda la mitologia. Il populismo tradizionalmente mitologico, e ai miti delleroe e del me ne frego si sostituita la favola del milione di posti di lavoro che stata pagata cara quasi quanto quella degli otto milioni di baionette. Fin qui, tutto normale. Lanomalia che durante il postmoderno anche la sinistra ha inseguito delle mitologie, a volte cinematografiche e televisive, ma mitologie. Rette magari da un equivoco di fondo, e cio che il realismo, abusivamente confuso con la Realpolitik, sia di
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Siamo in un mondo iper-politico, nel quale la politica talmente diffusa, in forma capillare e microfisica, da apparire invisibile e da risultare spesso ingovernabile.

destra, e questo proprio nel momento in cui lantirealismo e la mitologia erano i cavalli di battaglia del populismo. Intanto, come si visto a saziet, la tendenza della destra populistica fortemente antirealistica. Inoltre, il realismo non in quanto tale n di destra, n di sinistra, ma migliora la politica tanto quanto lantirealismo la peggiora, per lo stesso motivo per cui si preferisce, potendo, andare da un buon medico invece che da uno sciamano. Che poi possa essere declinato a destra o a sinistra un altro discorso. Da questo punto di vista, una politica del realismo richiede, in secondo luogo, una riflessione sulla politica. Non affatto vero che siamo in unepoca post-politica come si sente da trentanni a questa parte. Anche lantipolitica politica, ed una politica, per lappunto, particolarmente ideologica e mitologica, basti dire che da noi riuscita persino a costruire una entit fantasmatica come la Padania. Dunque, siamo in un mondo iper-politico, nel quale la politica talmente diffusa, in forma capillare e microfisica, da apparire invisibile e da risultare spesso ingovernabile. Rispetto ai tempi in cui De Gaulle si chiedeva come si pu governare un paese che ha pi di 300 tipi di formaggio? la situazione si ulteriormente complicata. Quello che emerge, per esempio, nello specchio dei social network, spesso una agonalit pura, un rifiuto delle mediazioni. Il che legittimo, ma proprio per questo lo spazio della politica e della democrazia deve presentarsi come il momento della sintesi, e ci pu avvenire solo ridando centralit al parlamento e rispettabilit alla politica. Il mio terzo punto riguarda la sinistra. Non capisco tanto i discorsi, anche quelli vecchi di decenni, secondo cui questa distinzione non ha pi senso. Il senso c, eccome, ed , grosso modo, questo: la sinistra illuminista e punta per una emancipazione dellumanit attraverso la ragione, mentre la destra crede che lumanit debba essere comandata dal trono e dallaltare (e dalle loro versioni aggiornate). Di l discendono tutte le differenziazioni ulteriori su cui ha richiamato a suo tempo lattenzione Bobbio: sul piano dei valori (uguaglianza o differenza tra gli uomini), della politica (autorit o libert) e della prospettiva storica (progresso o conservazione). Era cos nellOttocento, al tempo delle destre controrivoluzionarie, orleaniste e bonapartiste, ed cos anche adesso. Ci premesso, pu capitare che la sinistra governi con modalit di destra (si pensi a Stalin) e che la destra attui ideali di sinistra (si pensi appunto a Churchill

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nella Seconda Guerra Mondiale). Inoltre, il mondo pieno di persone che si credono di sinistra e sono di destra (o pi raramente si credono di destra e sono di sinistra). Questo non significa che destra e sinistra non abbiano pi senso, ma semplicemente che gli esseri umani non sempre hanno le idee chiare. Mi ci metto anchio nel novero, per c una cosa su cui sento di potermi esprimere con certezza, ed che coloro che si proclamano al di l della distinzione destra/sinistra sono, in effetti, di destra, perch tipico della destra lappello a una dimensione impolitica o metapolitica. Il mio quarto punto riguarda il neoconservatorismo. Se permane la differenza tra destra e sinistra, gi sotto il profilo culturale non pu essere privo di conseguenze il fatto che i riferimenti teorici della sinistra siano stati, da almeno trentanni a questa parte, di destra: Nietzsche, Heidegger, Schmitt. Che infatti hanno determinato le linee politiche fondamentali: decisionismo, potere carismatico, fatalismo. Perch si sia imposto il neoconservatorismo si pu spiegare sociologicamente con le analisi ancora valide di Lukcs: gli intellettuali non accettano le rinunce per il loro stile di vita che comporterebbe il marxismo, e preferiscono la rivoluzione mitologica e a costo zero di Zarathustra. Si obietter che, da ventanni a questa parte, dopo la caduta del muro, si assistito a un potente ritorno di Marx. Per il ritorno di Marx anchesso mitologico. Marx ritorna ma, daccordo con la caratterizzazione di Derrida che ha dato via al processo, ritorna come spettro. Nel momento in cui il socialismo realizzato esiste solo in Goodbye Lenin!, allora lintellettuale non ha alcuna difficolt a dichiararsi marxista. La situazione ben descritta da Cartesio: il pio marito che piange sulla tomba della moglie non sarebbe poi cos contento se costei resuscitasse. Fuor di metafora, nellarco di un quarantennio la sinistra ha visto, in successione, la propria affermazione culturale sullonda della ribellione giovanile, e poi il crollo del socialismo reale. In questa trasformazione, leffetto pi significativo che stili comunicativi di sinistra (vincenti sotto il profilo culturale) hanno veicolato contenuti di destra (vincenti sotto il profilo politico), e come risultato si avuto il fenomeno del neoconservatorismo. Questultimo ha fatto valere con molta forza lappello al conflitto, alla contrapposizione agonale e militare, al non fare prigionieri.

Nellarco di un quarantennio la sinistra ha visto, in successione, la propria affermazione culturale sullonda della ribellione giovanile, e poi il crollo del socialismo reale. In questa trasformazione, leffetto pi significativo che stili comunicativi di sinistra hanno veicolato contenuti di destra e come risultato si avuto il fenomeno del neoconservatorismo.

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Il mio quinto punto riguarda allora la ricostruzione. Invece di proclamare astrattamente lattualit (o linattualit, che ai fini della retorica lo stesso) di Marx, si tratta di esercitare una critica dellideologia mettendo a fuoco gli elementi pi problematici del postmoderno, ossia (come ho estesamente analizzato nel Manifesto del nuovo realismo), lironizzazione, la desublimazione e la deoggettivazione. Lironizzazione una presa di distanza dalle responsabilit e soprattutto una messa tra virgolette della realt, sistematicamente impropria e manipolabile. La desublimazione la convinzione che le forze del mito e del desiderio siano vie di emancipazione pi potenti e vere rispetto alla ragione. La deoggettivazione, proclamare la superiorit della solidariet sulla oggettivit, dimenticarsi che le cosche mafiose sono estremamente solidali, e che loggettivit (cos come il sapere in generale, che non pu essere abusivamente confuso con il potere) per lappunto ci che ci permette di distinguere non solo il caldo dal freddo o il nero dal bianco, ma una cosca mafiosa da un parlamento.

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Nellesaminare questi tre punti si tratta di tener ferme le istanze decostruttive avendo tuttavia ben chiaro che nel momento in cui la confusione diviene una ideologia non c niente di pi utilmente critico del realismo e della ricostruzione, e che dunque un obiettivo fondamentale quello di ricostruire la decostruzione. indispensabile che le analisi decostruttive della critica dellideologia vengano affiancate, in termini costruttivi, da indagini di ontologia sociale. Nel mondo non ci sono solo gli oggetti naturali, esistono anche gli oggetti sociali, come le crisi economiche e le guerre, le vacanze e i matrimoni, i parlamenti e la democrazia. Questi oggetti non sono affatto evanescenti o liquidi, come spesso si legge. Sono solidi come alberi o case, e importantissimi perch da loro dipende in buona parte la nostra felicit o infelicit. Per questo la trasformazione difficile, richiede pazienza e fatica, si presta male ai colpi di bacchetta magica e alla finanza creativa. In questo senso, lapporto specifico di un realismo di sinistra starebbe nel condurre una analisi sulla genesi, la struttura e le propriet della realt sociale, che permetterebbe un intervento incisivo in quella realt medesima. Il mio sesto punto il richiamo alle regole. Come abbiamo visto, al centro della mitologia c il rifiuto della realt, e al centro dellidea della mitologia postmoderna c lidea che il mondo sia liquido ed evanescente. Nella sua versione di sinistra, c lidea che la realt, la sua nettezza e le sue regole, siano lo strumento dei forti contro i deboli, quando chiaramente vero il contrario. I forti non hanno bisogno di realt, cos come non hanno bisogno di leggi. Sono i deboli che devono contare sullesistenza di giudici, di istituzioni, di regole, che a loro volta devono essere condivise e legittime. La cultura italiana, con un effetto di lungo periodo che stato ampiamente studiato, ribellistica, e questo porta, del tutto naturalmente, allantirealismo, al sogno, alla fuga dalle regole, sperando che il polverone e lanomia si possa volgere a nostro vantaggio. Per questo uno slogan come non ci sono fatti, solo interpretazioni ha potuto incontrare un cos grande successo, ed essere vissuto come emancipativo. Perch il senso di quello slogan era una sorta di liberi tutti, sebbene il suo risultato, come del tutto ovvio, la ragione del pi forte sempre la migliore. qui che interviene il mio settimo punto, e cio luniversit. La ricostruzione e il riconoscimento delle regole si inseriscono in un complessivo bisogno di sapere. In questi

I forti non hanno bisogno di realt, cos come non hanno bisogno di leggi. Sono i deboli che devono contare sullesistenza di giudici, di istituzioni, di regole, che a loro volta devono essere condivise e legittime. La cultura italiana, con un effetto di lungo periodo che stato ampiamente studiato, ribellistica, e questo porta, del tutto naturalmente, allantirealismo, al sogno, alla fuga dalle regole, sperando che il polverone e lanomia si possa volgere a nostro vantaggio.

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La stagione passata ha visto il parlamento invaso dalla televisione. Non sarebbe sbagliato che ora la biblioteca riprendesse il suo posto, magari anche in forma aggiornata e con ebook, e certamente con la consapevolezza che avere cultura non significa essere intelligenti o giusti, ma aiuta.

anni la sinistra ha interiorizzato lanti-intellettualismo della destra. Fenomeni come labuso della cultura pop sono da questo punto di vista illuminanti, perch fanno passare come culturale un atteggiamento che pu essere anticulturale e radicalmente mitologico. Lo stesso vale per il culto del presente. E da questo punto di vista la riforma delluniversit progettata dalla sinistra e attuata dalla destra in spirito rigorosamente bipartisan un fenomeno clamoroso, il cui effetto principale stato di favorire il pubblico e soprattuto di distruggere le lites intellettuali che tradizionalmente sono state il sostegno della sinistra, se ammettiamo, come suggerivo pi sopra, la consustanzialit di sinistra e illuminismo. La riforma parte dunque dallistruzione e dalluniversit, in cui abbiamo libert di azione, in cui non ci si pu appellare ai vincoli e allo spread (perch una cattiva riforma costa quanto una buona). La stagione passata ha visto il parlamento invaso dalla televisione. Non sarebbe sbagliato che ora la biblioteca riprendesse il suo posto, magari anche in forma aggiornata e con e-book, e certamente con la consapevolezza che avere cultura non significa essere intelligenti o giusti, ma aiuta. Infine e questo ultimo punto potrebbe sintetizzare tutti gli altri si tratta di riconoscere la centralit del lavoro. Essere realisti non significa in alcun modo considerare leconomia come ultima istanza di riferimento. Leconomia una struttura con fortissimi elementi di immaginazione, e tra populismo ed economicismo ci sono molti tratti in comune, in particolare il fatto che basta una frase lasciata sfuggire in televisione o sul web per causare catastrofi o salvezze. Lultima istanza di riferimento, per una politica di sinistra, allora appunto il lavoro, come trasformazione concreta della realt. A livello globale assistiamo alla realizzazione della dialettica signoria-servit: chi produce si sta impossessando della terra. A questo non si pu rispondere con delle guerre di carta, ma con altro lavoro, che pu certo essere anche lavoro intellettuale, ma deve essere lavoro, che produce ricchezza (il beneficio secondario consisterebbe nel restituire dignit alle persone). E se un qualche neoconservatore eroico verr a dirci che questo latteggiamento dellultimo uomo gli risponderemo che s, magari cos, e che lui se lo desidera pu fare lo Zarathustra e il superuomo, ma a casa sua, come DAnnunzio alla Capponcina.

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Ci che manca allEuropa


Alberto Melloni
dirige la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna

l 24 settembre del 2011 The Tablet, la maggiore rivista cattolica del Regno Unito, ricordava a tutti una questione di fondo, drammatica, tale da convincere tutti al fatto che gli sforzi che oggi circondano lEuropa e leuro non possono essere ridotti a mero affare negoziale: If euro falls, what prices peace?. Nelle pagine interne della rivista un buon articolo di Stephen Wall toccava tasti meno grevi: ma gi Romano Prodi al convegno di Fscire e dellExcellenz Kluster Religion und Politik aveva spinto fino allestremo il paragone fra lEuropa degli anni Trenta che si dissolve e quella degli anni Sessanta che si raccoglie; proprio per non rifluire ancora verso la guerra. E adesso laffiorare di una espressione a qualunque costo usata da Draghi, Monti, Hollande per parlare della difesa dalla speculazione, torna in fondo a ridire qualcosa di tremendo e fatale. Dopo leuro non ci sono le monete: c la guerra. Come tutte le generazioni pensiamo di essere meglio dei nostri padri e dei nostri nonni: il che, insegna il profeta Isaia, una balla. Non siamo per nulla pi saggi delle generazioni di cento anni fa che sono andate ad una distruzione convinte del valore del gesto bellico, guerra, proprio quando giungeva al suo apogeo la cultura, la potenza e linnocenza di un continente che si era macchiato del pi atroce crimine della storia umana, il colonialismo. La potenza contaminante della violenza che lEuropa aveva disseminato nel mondo sarebbe diventata visibile solo dopo, quando una frase del papa che nessuno beatific, divent la riga pi celebre di tutto il magistero pontificio: una inutile strage.
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Le chiese infatti hanno assunto e rilanciato un euroscetticismo che ha eroso la capacit di visione. Dimentiche che stato un istinto cristiano (la penitenza) che ha fondato lEuropa, si sono convinte che il processo che ha unificato ancorch poco il continente sia il veicolo di una secolarizzazione selvaggia fatta di diritti indigeribili; come se la storia non avesse insegnato che diritti un tempo negati (le libert di coscienza, luguaglianza della donna, le costituzioni parlamentari) hanno giovato alla corsa dellevangelo nel tempo.

Non siamo nemmeno migliori delle generazioni che sono andate dietro ai fascismi nella seconda guerra mondiale, che hanno portato consenso ed in due casi i Popolari in Italia, il Centro in Germania hanno regalato il consenso cattolico allesordio della catastrofe dalla quale solo dopo alcuni anni dalla fine del conflitto sarebbe emersa la coscienza di ci che la Shoah era stata e ci che la Shoah aveva disvelato. Nel linguaggio odierno, apparentemente, non c nulla della cultura della violenza degli anni dieci: gli stereotipi nazionalisti o le banalit geoteologiche non fanno paura, ancora. Ma insegnano rime antiche di odio: e il populismo suonato nelle orecchie di una generazione giovane dai tromboni di destra e di sinistra dellindignazione dovrebbero renderci attenti alla fatto che la tragedia scende sempre dal Viale delle Banalit: dopo leuro non ci sono le monete; c quella guerra che gli europei non hanno mai mancato di farsi prima che lintuizione dei superstiti vedesse nellunione (o nella comunit, come si diceva con una espressione assai pi bella) europea il rimedio al male intrinseco. Dietro leuro c la guerra: e sulla capacit di enunciare questo assunto qui che lespressione a qualunque costo prende senso oggi ci che misura le fragilit o la forza culturale delle classi dirigenti europee, la cui statura del dire e del pensare stata erosa da molti venti: quello dei partiti che inseguono la piazza, degli intellettuali che si danno sapore col proprio narcisismo (le got du poisson cest la sauce, dice la cucina francese); e anche dalle chiese, che contro la storia hanno partecipato di questo degrado. Le chiese infatti hanno assunto e rilanciato un euroscetticismo che ha eroso la capacit di visione. Dimentiche che stato un istinto cristiano (la penitenza) che ha fondato lEuropa, si sono convinte che il processo che ha unificato ancorch poco il continente sia il veicolo di una secolarizzazione selvaggia fatta di diritti indigeribili; come se la storia non avesse insegnato che diritti un tempo negati (le libert di coscienza, luguaglianza della donna, le costituzioni parlamentari) hanno giovato alla corsa dellevangelo nel tempo. Contro questa Europa che, secondo il discorso del cardinal Ratzinger del 1aprile 2005, sera della morte di Wojtya, sarebbe giunta ad impedire alla chiesa di enunciare il suo magistero sullomosessualit, le chiese hanno adottato un silenzio istituzionale e magisteriale. La Santa Sede non ha un sostituto per lEuropa, la conferenza dei vescovi europei non ha detto nulla di serio della crisi e delle sue radici, e il papa

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Benedetto XVI ha speso la sua autorit in difesa dellEuropa. Quasi che non si rendesse conto che tramite lui e la figlia del pastore Merkel rischia di posarsi una nuova ombra scura e densa sulla storia tedesca. In secondo luogo le chiese hanno assunto e rilanciato la sfiducia nella democrazia, usandola come fosse un attrezzo, una cosa priva di valore in s. Forzando in questo caso il pensiero di Ratzinger (e Scola) hanno fatto di principi non negoziabili (il lessico quello del fondamentalismo battista degli anni Venti) una clava che cala spezza la fisiologia democratica, fulmina il timer delicatissimo che porta alla affermazione di valori fondamentali nella societ pluralista. Cos le chiese finiscono per lasciarsi usare come stampella di destre (palesi ed occulte) prive di idee, che certo non amano la dottrina cristiana, ma conoscono bene le cose che eccitano la fantasia dellistituzione ecclesiastica. Sicch anzich assumere in modo superficiale o opportunistico i linguaggi delle chiese con la convinzione che questo aiuti a guadagnare quei consensi irriflessi e quei voti suffragi in eredit che in politica non sono mai esistiti, i grandi attori della societ europea dovrebbero sperare che le chiese possano concentrarsi sul loro dovere fondamentale (quod vulgo dicitur mission): praticare la misericordia, conoscere la debolezza, dar fiducia alla coscienza formata, insegnare il disprezzo del potere, relativizzare con sapienza il furore ideologico. Se le chiese pospongono questo dovere alle carriere e agli opportunismi, allEuropa manca qualcosa. E allEuropa qualcosa manca nel rintocco muto di ci che vale qualunque prezzo.

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Valorizzare le passioni civili


Elena Pulcini
insegna filosofia sociale presso l'Universit di Firenze

orno in primo luogo a proporre la domanda che avevo fatto preliminarmente al mio intervento: perch siamo qui? Qual il senso e lo scopo di questa riunione, al di l di un sia pur utile scambio e brainstorming sui grandi temi di attualit politica? Nelle risposte, ho colto con piacere un obiettivo ambizioso: quello di ricostruire un pensiero politico, di dotarsi degli strumenti teorici adatti ad affrontare le sfide del presente. Siamo infatti di fronte a sfide inedite, a veri e propri mutamenti epocali di cui urgente non solo prendere atto, ma fare in modo che emergano nellagenda politica e nelle sue priorit. Non pretendo certo qui di addentrarmi in una diagnosi del tempo, ma mi preme sottolineare subito quello che a mio avviso il quadro generale allinterno del quale inserire la mia riflessione: la globalizzazione (preferisco dire let globale per sottolineare linsorgere di una nuova epoca rispetto alla modernit) portatrice di problemi e rischi inediti, ma anche di nuove chances da cogliere con attenzione. Vediamo allora i rischi e gli aspetti problematici. Il prepotente emergere dellegemonia delleconomia rispetto alla politica nella sua forma moderna che indebolisce, come ben mostra la crisi finanziaria, la sovranit degli Stati; la comparsa sulla scena dei cosiddetti rischi globali (global warming e riscaldamento del pianeta, erosione delle risorse e crisi ecologica, minaccia nucleare), che rivelano pienamente linterdipendenza quale caratteristica peculiare del mondo globale, rendendo obsolete le strategie immunitarie della modernit.

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Ne deriva una condizione diffusa di insicurezza e di paura che genera un sentimento di impotenza e spinge gli individui a ritrarsi sempre pi in un asfittico individualismo. Siamo ormai confinati nel triste ruolo di spettatori di eventi che non riusciamo a controllare e a volte neppure a capire. Cresce inoltre la tirannia del consumo, che in una dilagante societ dello spettacolo sembra compensare la fragilit delle identit e invade sempre nuove sfere della vita (come la cultura, i sentimenti e la stessa politica), sottraendo energie e risorse a tutto ci che non riguardi le effimere e narcisistiche soddisfazioni del presente. La paura inoltre genera regressioni sicuritarie, e sfocia in aggregazioni endogamiche ed esclusive, fondate sullopposizione Noi/loro (come appare evidente da secessionismi, rigurgiti di razzismo, revivals nazionalistici o etnico-religiosi). Si delineano cos le due fondamentali patologie della societ globale: da un lato, un radicale individualismo che si traduce nellindifferenza, nel deficit di impegno e nella diserzione della sfera pubblica; dallaltro un comunitarismo entropico che ripropone forme di condivisione distruttive, generando nuove forme di violenza. Sappiamo bene, facendo anche tesoro della lezione tocquevilliana, come tutto questo si traduca in una torsione totalitaria della democrazia: gli Stati sfruttano lindifferenza e la paura per imporre forme di dominio indirette e pervasive, peculiari di quello che Tocqueville chiamava il dispotismo mite. Assistiamo cos allerosione dei diritti, alla proclamazione di leggi ingiuste, allinasprirsi del controllo sulla vita intima e privata delle persone. Si crea in altri termini un circolo vizioso tra individui e politica, in virt del quale i primi chiedono alla politica lesonero dalla vita pubblica e la politica reagisce a sua volta attraverso la progressiva riduzione degli spazi democratici. La democrazia sopravvive indubbiamente in una serie di forme di protesta che attraversano il pianeta e sono animate da un risveglio di passioni collettive. E vero che queste assumono spesso il volto preoccupante di un diffuso populismo: il quale nelle sue forme peggiori, va ad alimentare gli inganni e le derive della societ dello spettacolo producendo, come nel caso del nostro paese, mostri carismatici; e nelle sue forme migliori, appare incapace di tradursi in progetto, strategia, proposta politica. Ma la torsione populistica non deve indurre a liquidare le legittime istanze che emergono dalle passioni collettive e dai movimenti che ne sono lespressione; perch il pericolo, in

Si delineano cos le due fondamentali patologie della societ globale: da un lato, un radicale individualismo che si traduce nellindifferenza, nel deficit di impegno e nella diserzione della sfera pubblica; dallaltro un comunitarismo entropico che ripropone forme di condivisione distruttive, generando nuove forme di violenza.

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questo caso, di consegnarle alla destra e alle sue strumentalizzazioni senza scrupoli (credo ancora nella distinzione tra destra e sinistra!). Mi chiedo perch la sinistra non abbia mai fatto seriamente i conti con una teoria delle passioni chiudendosi spesso in uno scettico snobismo, mi chiedo perch non sembri prendere sul serio il fatto che ogni mobilitazione poggia sempre e comunque su componenti emotive; le quali quindi hanno bisogno di essere comprese e differenziate, incoraggiate laddove necessario, frenate laddove assumono torsioni negative. Per fare solo un esempio: come rapportarsi di fronte al fenomeno dilagante dellindignazione? Come far s che essa possa essere compresa e rispettata come lhumus necessario da cui nasce una protesta legittima, e allo stesso tempo evitare che degeneri in sterile risentimento? Penso che abbia ragione il filosofo Sloterdjk quando sostiene che si persa

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oggi la capacit di raccogliere le energie emotive che scaturiscono dallira e dallindignazione in banche dira capaci di dar vita a movimenti emancipativi. Non dovrebbe essere uno dei compiti della sinistra quello di favorire il coagulo delle passioni di lotta veicolandole verso risposte democratiche? Ma non solo. indubbio infatti che dalla societ civile non emergono solo passioni di lotta, tese alla legittima rivendicazione di diritti e alla lotta contro lingiustizia. Disponiamo anche di un tessuto di mobilitazione animato da quelle che vorrei definire passioni pubbliche e solidali: dai Social forum mondiali ai referendum locali sull'acqua, dall'arcipelago del volontariato alla difesa dell'ambiente, dalle associazioni civili che si organizzano contro il degrado di un quartiere all'impegno dei docenti della scuola verso l'educazione alla legalit e al rispetto del diverso; per non parlare, last but not least, dellimpegno delle donne contro la mercificazione del corpo e le seduzioni avvelenate della societ dello spettacolo. Insomma, esistono aree molteplici nelle quali l'obiettivo dell'impegno civile va oltre la stessa lotta per i diritti e la giustizia, nelle quali emerge un prepotente bisogno di condivisione solidale attorno alla parola d'ordine di un futuro migliore. Lo slogan, argutamente ironico, "il futuro non pi quello di una volta", usato qualche tempo fa nell'ambito delle lotte degli studenti in Italia, esprime qualcosa di pi della pur sacrosanta lotta per il diritto al lavoro, in quanto contiene, appunto, la nostalgia per l'idea stessa di futuro. Nel denunciare la perdita di futuro, che paradossalmente smentisce e rovescia le promesse stesse della modernit con i suoi miti del progresso e del benessere, i giovani sembrano volersi riappropriare non solo dei loro diritti, ma anche di una diversa immagine del mondo. E pensare una diversa immagine del mondo, significa, qui ed ora, prendere in cura il mondo, farsi carico responsabilmente del suo futuro. Paradossalmente, come ho premesso sopra, l'et globale, portatrice di rischi e sfide inediti, sembra allo stesso tempo fornire le condizioni oggettive per la condivisione e l'agire comune. Per la prima volta infatti, nel corso della storia, siamo tutti legati e interdipendenti; per la prima volta un evento locale pu avere conseguenze planetarie (basti pensare all'11 settembre o alla crisi finanziaria), e viceversa un evento globale pu coinvolgere le zone pi remote della terra (come il riscaldamento del pianeta). Ma questo vuol

Nel denunciare la perdita di futuro, che paradossalmente smentisce e rovescia le promesse stesse della modernit con i suoi miti del progresso e del benessere, i giovani sembrano volersi riappropriare non solo dei loro diritti, ma anche di una diversa immagine del mondo. E pensare una diversa immagine del mondo, significa, qui ed ora, prendere in cura il mondo, farsi carico responsabilmente del suo futuro.

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dire anche che, senza ovviamente trascurare le disuguaglianze e senza negare le differenze, siamo tutti membri di un'unica umanit potenzialmente esposti agli stessi rischi e allo stesso destino, e vincolati gli uni agli altri nella possibilit di un progetto comune. Insomma l'interdipendenza pu diventare una chance, purch diventi oggetto di una consapevolezza soggettiva e preluda alla mobilitazione di passioni pubbliche e solidali. In questo, la politica pu avere una funzione feconda e insostituibile: nel promuovere questa consapevolezza e trasformare l'interdipendenza in un valore, nel dare visibilit ad eventi che a dispetto della loro importanza non hanno l'appeal massmediale sufficiente ad ottenere lattenzione che meritano, nel raccogliere e valorizzare esperienze che per il momento restano frammentarie e prive di coordinazione. Si parla spesso di ricostruire la societ civile, di ricucire lo strappo tra individui e politica. Valorizzare e stimolare le passioni pubbliche mi pare un primo passo in questa direzione: per lo sviluppo di un associazionismo civile che colmi lo spazio vuoto tra gli individui e le istituzioni e ricostruisca una rete di solidariet e di attiva partecipazione. Ma perch questo avvenga, necessario che la politica diventi quell'agire di concerto nel quale Hannah Arendt riconosceva la precondizione per un nuovo inizio.

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Oltre l'egemonia dell'economia e la democrazia plebiscitaria


Nadia Urbinati
insegna scienze politiche alla Columbia University di New York

ffronto due temi, dedicando al secondo maggiore spazio: il ruolo dell'economia e la mutazione della democrazia. Quando si parla di egemonia dell'economia occorre secondo me fare una precisazione: l'economia della quale lamentiamo d'egemonia non l'economia politica quale la intendiamo noi umanisti ma neppure la scienza del benessere economico che si studia e si insegna nei dipartimenti economici. I protagonisti della crisi economica scoppiata nel 2007, con l'avvisaglia venuta dall'Islanda e dall'Irlanda, vengono dalla Business School prima che dai Dipartimenti di Economia. Gli obiettivi dei tecnici del profitto finanziario sono assolutamente semplici e settoriali, oggetto di algoritmi e grafici. dunque una disciplina che non si occupa pi del benessere della societ, della produzione e della ricchezza nel senso classico. La celerit degli scambi sui mercati azionari e l'andamento verso il basso o verso l'altro sono il motore che muove calcoli e previsioni a breve. Mentre giusto criticare l'egemonia dell'economia occorre nel contempo evitare demonizzazioni dell'economia; si tratterebbe semmai di riportarla alla sua vocazione classica e nobile, quella che la qualificava come una componente essenziale della politica. Economia come scienza dei mezzi per il benessere della societ e non come tecnica di accumulo del denaro. Come scienza sociale non come branca della matematica. Un effetto collaterale di questa trasformazione scientistico-razionalistica dell'economia (una trasformazione che iniziata alla fine del diciannovesimo secolo) di aver impresso una radicale trasformazione delle discipline sociali e politiche, anch'esse dominate dalla
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Nelle societ democratiche c' una parte importante dell'agire politico che fuori delle istituzioni, anche se in dialogo con esse, e che organizzato secondo un metodo che le carte costituzionali garantiscono e proteggono: quello della libert, che significa costruzione e trasformazione dell'opinione politica e pubblica, elaborazione di progetti e programmi su come meglio governare i processi sociali, costruzione di movimenti politici per la conquista di maggioranza o l'abbattimento di maggioranze esistenti

riduzione metodologica che ha cambiato l'economia politica: metodo del rational choice (teoria della scelta razionale) e lettura dei comportamenti politici come reazioni di individui che hanno obiettivi razionali e fanno calcoli di costi e benefici per riuscire ad attuarli. Il ruolo delle emozioni e delle passioni, e quindi dell'ideologia, perdono di senso oppure figurano come strategie intenzionali messe in atto da un attore (un'elite) per acquisire e preservare il potere con il consenso manipolato dei cittadini. Questa trasformazione strumentalista e razionalistica della disciplina della scienza politica interna alla trasformazione dell'economia. Certo, la lettura strumentalista dei processi decisionali non inutile; anzi, la scienza politica ha beneficiato di essa, in quanto i comportamenti collettivi quando sono organizzati secondo norme e procedure (istituzioni) possono essere previsti e i loro effetti controllati o diretti. Tuttavia l'azione politica non si compone soltanto di comportamenti istituzionali o istituzionalizzabili. Nelle societ democratiche c' una parte importante dell'agire politico che fuori delle istituzioni, anche se in dialogo con esse, e che organizzato secondo un metodo che le carte costituzionali garantiscono e proteggono: quello della libert, che significa costruzione e trasformazione dell'opinione politica e pubblica, elaborazione di progetti e programmi su come meglio governare i processi sociali, costruzione di movimenti politici per la conquista di maggioranza o l'abbattimento di maggioranze esistenti. La politica nelle societ democratiche una diarchia: volont sovrana che normata o istituzionalizzata e giudizio politico che costruito con azioni ideative e collettive di cittadini associati in partiti politici e movimenti. Dimensione istituzionale e dimensione deliberativa corrispondono alle due forme della disciplina che studia la politica, composta di un settore sottoposto a analisi razional-scientifica, e un settore sottoposto all'arte della politica come azione organizzati di cittadini liberi che usano il discorso per modellare e creare consenso, e promuove dissenso. Due dimensioni che con l'egemonia matematica della disciplina economica rischiamo di annullarsi in una: la produzione di decisioni, come risposte necessarie a fatti oggettivi determinati e controllati dall'andamento dei mercati finanziari. Il decisionismo in cui l'arte della politica si via via trasformata figlio della

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semplificazione dell'economica politica in tecnica finanziaria. Recuperare la diarchia della politica istituzioni (e decisioni) e sfere pubblica del discorso (costruzione del giudizio pubblico) un obiettivo centrale della politica democratica. Passo cos alla seconda parte sulla mutazione della democrazia. Dietro un'espressione imprecisa e piena di ambiguit come antipolitica si fa strada l'idea che noi ci troviamo a fare le esequie ai partiti sostituendo alla democrazia dei partiti la democrazia del pubblico. Propongo di evitare questa semplificazione. L'idea che propongo che nella democrazia contemporanea (quella italiana in modo molto visibile) i partiti politici, essenziali attori del sistema rappresentativo fin dalla sua apparizione nellInghilterra dei commonwealthmen, hanno mutato la loro funzione ma non sono decaduti o finiti come spesso si sente sostenere; a questa loro mutazione corrisposta una trasformazione della democrazia da rappresentativa a plebiscitaria, con la precisazione che il plebiscitarismo contemporaneo non fatto di masse mobilitate da leader carismatici auspicato Max Weber e teorizzato Carl Schmitt come forma pi completa di democrazia. Il nuovo plebiscitarismo quello dellaudience, lagglomerato indistinto di individui che compongono il pubblico, un attore non collettivo che vive nel privato della domesticit e quando agente sondato di opinione opera come recettore o spettatore di uno spettacolo messo in scena da tecnici della comunicazione mediatica e recitato da personaggi politici. La personalizzazione del potere e della politica un sintomo e un segno tanto della trasformazione dei partiti che della formazione della democrazia dellaudience. Circa la trasformazione dei partiti, essa riguarda il loro dimagrimento democratico al quale corrisponde unobesit di potere materiale effettivo nelle istituzioni dello stato e, soprattutto, la catena di funzioni che si dipana dallesecutivo, il potere dello stato che questa trasformazione ha esaltato oltre e sopra quello del parlamento. Non per questo convincente presentare la democrazia dei partiti come una fase, ormai tramontata, della storia del governo rappresentativo (questa la tesi sostenuta da Bernard Manin). Vero che essa diventata a tutti gli effetti una democrazia dei partiti, cio esercitata da loro senza pi cercare (prima ancora che avere) un
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rapporto con i cittadini che non sia di strategia orientata alla conquista dei voti: democrazia dei invece che per mezzo dei partiti. Il declino dei partiti quindi declino di una forma democratica di essere del partito politico; un declino che si manifesta con il restringimento fino alla scomparsa della sua struttura organizzativa periferica o territoriale, segno tangibile di una trasformazione di funzione, poich lorganizzazione (partito pesante) si addice a un partito che deve cercare un rapporto molto stretto e continuativo (non solo nel momento delle elezioni) con i cittadini, per muoverli o renderli partecipi (a favore di una parte) attraverso narrative ideologiche che creano identit di appartenenza o di ispirazione ideale e fungono da strumenti interpretativi e critici (mi riferisco all'importante lavoro di Mauro Calise). Lerosione del partitoorganizzazione non ha significato la fine del partito, ma la fine di un partito che aveva bisogno e cercava innervamento nella societ perch aspirava a costruire consenso e ottenere unaffermazione che non era solo numerica, ma era anche di progetto. Quel partito pesante perch basato sullorganizzazione era per met dentro e per met fuori delle istituzioni statali, cerniera tra stato e societ, un corpo intermedio della democrazia rappresentativa che svolgeva varie funzioni di limitazione del potere: selezione degli eleggibili, controllo degli eletti (che il libero mandato rende legalmente irresponsabili verso i cittadini), stimolo e orientamento dellopinione; infine esso fungeva da scuola vera e propria per la formazione del personale politico delle istituzioni periferiche e centrali dello stato. Nei primi decenni del secondo dopo guerra, et della formazione e del consolidamento della democrazia rappresentativa in Europa, la democrazia dei partiti ha gestito il reclutamento tra cittadini/e ordinari/e di sindaci e dirigenti, di parlamentari e ministri. Con i nuovi partiti liquidi o leggeri, la funzione di captare gli interessi e le opinioni, una funzione che di rappresentativit, svolta non pi dalle idee e dalle narrazioni ideologiche ma dai sondaggi. Se non che i sondaggi servono al partito non per rappresentare al meglio o anche indirizzare la politica governativa ma per vincere le elezioni e seguire al meglio gli umori sociali. Il declino del partito-organizzazione ha corrisposto alla crescita di un partito-spugna, che segue cio i flussi e in qualche
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modo li irrora o alimenta ad arte per meglio guadagnare consenso. Infine, il partito leggero di difficile controllo da parte dei cittadini simpatizzanti e iscritti che non dispongono pi di strutture e regole per larticolazione interna del dissenso e del controllo, mentre propenso a esaltare la persona del leader e per questo pu farsi istigatore di politiche populistiche, se trova ci conveniente, invece di essere una diga che le argina come era il partito-organizzazione. Questo slittamento da organizzazione a liquidit e professionalizzazione sondaggistica, da educatore politico a seguace e istigatore degli umori popolari fa s che la democrazia dei partiti sia una democrazia protesa verso nuove forme plebiscitarie. questo laspetto che fa da retroterra alla trasformazione della democrazia da democrazia del partiti a plebiscito dell'audience. La democrazia del pubblico, quella che chiamo plebiscitarismo dellaudience. Schmitt interpret la democrazia plebiscitaria facendo leva sul mutamento di significato del pubblico da una categoria giuridiconormativo (ci che pertiene allo stato civile) a una categoria estetica, come di ci che esposto alla vista e esistente in senso teatrale (ci che fatto davanti agli occhi del popolo). Questa visione romana del pubblico con la centralit del forum ritorna nel plebiscitarismo contemporaneo. La rinascita degli argomenti e delle idee che pilotarono la crisi del parlamentarismo nei primi decenni del ventesimo secolo quando la concezione plebiscitaria prese una configurazione alternativa alla democrazia rappresentativa o dei partiti unindicazione preoccupante del nuovo filone di ricerca teorica e applicazione pratica interno alla democrazia contemporanea, un filone ancora una volta critico nei confronti della struttura parlamentare e della funzione mediatrice dei partiti politici. Il declino della democrazia del partito politico e la crescita della democrazia del pubblico significa radicale personalizzazione della leadership; la politica come luogo nel quale creare la fiducia nel leader. L'accettazione di una crescente richiesta di potere discrezionale da parte dellesecutivo si incontra con un mutamento nellorganizzazione della democrazia elettorale che ora gestita non pi da partiti di leader e di militanti, ma da partiti di esperti della comunicazione e di candidati alla carriera politica. La democrazia dellaudience

Il declino della democrazia del partito politico e la crescita della democrazia del pubblico significa radicale personalizzazione della leadership; la politica come luogo nel quale creare la fiducia nel leader. L'accettazione di una crescente richiesta di potere discrezionale da parte dellesecutivo si incontra con un mutamento nellorganizzazione della democrazia elettorale che ora gestita non pi da partiti di leader e di militanti, ma da partiti di esperti della comunicazione e di candidati alla carriera politica.

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Il prezzo per diventare un leader in questa democrazia plebiscitaria deve essere reso alto e costoso: questa lunica arma di controllo che laudience ha dalla sua.

governo degli esperti di media, e quindi la celebrazione del potere oculare. Mentre nellet della democrazia dei partiti politici le elezioni erano fortemente basate sulla dimensione vocale e laspetto volitivo della politica la partecipazione alla decisione era espressione della forma classica della sovranit popolare che i partiti si incaricavano di organizzare lapparire in pubblico o il sottoporsi al verdetto dellaudience ora ci che definisce larte della politica. La transizione dalla centralit della cittadinanza come autonomia alla centralit della visione e della trasparenza segno distintivo di questa trasformazione. La voce infatti lorgano di unazione politica che vuole essere di proposta e di critica, espressione di una idea di partecipazione attiva o protesa alla decisione secondo la definizione classica della sovranit democratica come autonomia o autogoverno, cio il darsi leggi. Daltro canto, la visione lorgano di unazione giudicante non attuativa, valutativa di qualcosa che esiste e altri fanno e che si mostra allocchio di chi titolato a giudicare piuttosto che agire. Parole, discussione e conflitti tra idee e interessi (o tra programmi di partiti), ovvero deliberazione in senso lato, sono centrali quando la voce il centro della politica; trasparenza o candore (nel senso romano classico per cui chi si candidava metteva una stola candida dando cos il segno di volersi esporre al pubblico) sono centrali nel caso della democrazia dellaudience, in cui lorgano del potere popolare diventa losservazione piuttosto che lautonomia. La democrazia dell'audience plebiscitario risulta in un divorzio interno alla sovranit popolare tra il popolo come cittadini partecipanti (con ideologie, interessi e lintenzione di competere per ottenere la maggioranza) e il popolo come ununit impersonale e completamente libera da interessi che ispeziona e giudica il gioco politico giocato da alcuni e gestito da partiti elettoralistici. La partigianeria non espulsa dal dominio della decisione; espulsa dal forum, nel quale il popolo sta o opera come pubblico o una massa indistinta e anonima di osservatori che come supremo spettatore guarda soltanto e giudica ma non vuole vincere nulla. Il prezzo per diventare un leader in questa democrazia plebiscitaria deve essere reso alto e costoso: questa lunica arma di controllo che laudience ha dalla sua. Il

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costo che il leader deve pagare in cambio del potere che gode la rinuncia di molta parte della sua libert individuale. Il leader si mette completamente nella mani del popolo-audience perch permanentemente sotto i suoi occhi. Ma dalla considerazione convincente sul peso della pubblicit che il politico eletto sopporta e deve mettere in conto non discende lassicurazione che portare il leader sul palco del teatro pubblico comporter eo ipso rendere il suo potere limitato e controllato. La decostituzionalizzazione delle democrazie plebiscitarie riposa sull'assunto che il vero controllo democratico sia locchio popolare controllo superiore a quello delle norme costituzionali. Ma come ha dimostrato l'Italia nell'era Berlusconi, essere permanentemente sotto locchio dei media che si intrufolavano nella sua vita non era per rivelare i potenziali illeciti del Premier ma per soddisfare la sete di scandali da mettere in pubblico. Creare il mercato degli scandali e dare allopinione pubblica la forma di tabloid non servito a controllare o limitare il potere di Berlusconi. Il paradosso di insistere sul fattore estetico dellopinione pubblica a spese di quello cognitivo e di quello politico-partecipativo che non tiene conto del fatto che le immagini sono la sorgente di un tipo di giudizio che valuta gusti pi che fatti politici, ed quindi irrimediabilmente soggettivo. Per comprendere il modello di democrazia plebiscitaria dellaudience lo si deve mettere a confronto con gli altri due modelli che si sono consolidati negli anni della democrazia per mezzo dei partiti, quello deliberativo (razionalistico e normativo) e quello proceduralistico (realistico e strumentale), il primo associato al nome di Jrgen Habermas e il secolo al nome di Joseph A. Schumpeter. Gli argomenti che i deliberativisti e i proceduralisti hanno avanzato sono essenzialmente etici e morali, fatti o nel nome del principio di universabilit degli argomenti razionali come principio legittimante o nel nome dei principi di aggregazione delle preferenze e ricambio periodico degli eletti come le sole vie pragmatiche per risolvere la carenza di razionalit contenuta nelle opinioni politiche senza rinunciare alla libert ovvero al consenso elettorale. I teorici habermasiani e quelli schumpeteriani concepiscono la democrazia come un ordine politico che basato sullautonomia e il voto, una visione dellattivit politica
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che centrata sulla decisione e la voce. Essi trattano lopinione dellindividuo privato come una realt che non dovrebbe entrare nel dominio politico senza subire trasformazioni. Gli habermasiani propongo di ottenere ci filtrando le opinioni private attraverso la deliberazione razionale e pubblica (usando la grammatica dei diritti e della legge, non quella delle credenze o delle convenienze personali), gli schumpeteriani estraendo dalle opinioni private lunit numerica di calcolo, il fatto misurabile del voto (un dato che il conteggio rende insindacabile e mette al riparo dalle interpretazioni personali). Queste due strategie sono ci che la democrazia plebiscitaria dellaudience contesta e confuta quando oppone alla intermediazione del giudizio riflessivo (per mezzo delle ragioni pubbliche o dei partiti) quello reattivo ed emotivo alle immagini. Quando i cittadini votavano per partiti con piattaforme e programmi esercitavano il loro giudizio sulla politica futura, il loro voto non esprimeva semplicemente la fiducia nella persona del notabile anche perch limmagine del candidato non si sostituiva alle aspettative future degli elettori come succede nella democrazia plebiscitaria, dove le elezioni sono incentrate sullimmagine del candidato e il riferimento ai programmi e alle piattaforme politiche pressoch irrilevante. La conseguenza che anche laccountabiliy (la rispondenza degli eletti agli elettori) viene a perdere rilevanza poich gli elettori non hanno pi alcun controllo, seppure indiretto, sulle questioni pubbliche e le politiche, nemmeno durante la campagne elettorali. Dunque, la trasformazione dal discutere e dibattere (e votare sui programmi) al guardare e giudicare stando in una posizione spettatoriale un segno di malessere non un miglioramento democratico. Per ritornare alla considerazione fatta nella prima parte: la politica democratica dovrebbe essere guidata dall'obiettivo di preservare la diarchia di potere che la caratterizza: potere istituzionalizzato e potere giudicate o dell'opinione.

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Carta dintenti

Leggi il testo completo della Carta d'Intenti sul sito del Partito Democratico

www.partitodemocratico.it/cartadintenti

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Civismo e PD si diano la mano


Miguel Gotor
insegna Storia moderna allUniversit di Torino

el 1901 Bolton King, primo biografo di Giuseppe Mazzini, cos descriveva lItalia e la decadenza dei partiti che caratterizzava quel periodo storico: Lazione [dei partiti] sembra poco meno di uninteressata lotta per raggiungere cariche pubbliche e di una cieca resistenza a forze che non sanno comprendere e assimilare e pertanto temono. La politica italiana si annebbiata: niente lo mostra in modo pi penoso della differenza che corre fra la Destra e la Sinistra di oggi, rispetto agli uomini che governarono lItalia nuova nei suoi primi tempi. Nellagosto 1945 Alcide De Gasperi tenne un discorso al Consiglio Nazionale della Dc in cui ricord che, a soli quattro mesi dalla fine della guerra di Liberazione, gli italiani si mostravano stanchi dei partiti, in preda a una atarassia dilagante. Negli stessi mesi un protagonista della lotta partigiana come Emilio Lussu notava amareggiato che il partito del malcontento in Italia era sempre esistito sin dai tempi di Pasquino e Marforio e si sarebbe potuto chiamare movimento o partito piove, governo ladro!. Da allora trascorso tanto tempo e oggi molti guardano a quel passato ormai lontano con un sentimento di nostalgia troppo spesso acritico che induce a contrapporre meccanicamente let delloro della partecipazione e della rappresentanza allet bronzea dei tempi attuali, caratterizzati dalla disaffezione politica e dalla perdita di autorevolezza dei partiti. Per sfuggire i rischi insiti in ogni processo di idealizzazione, laltra faccia della rimozione, utile essere consapevoli che lindifferenza o il malanimo degli italiani, e

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soprattutto di gran parte delle sue classi dirigenti economiche, industriali, finanziarie, editoriali, verso i partiti e la politica rappresenta un costume antico della storia nazionale, alimentato dal carattere ristretto assunto dal processo risorgimentale, dal successo del regime fascista che ha costituito una straordinaria miscela di antipolitica e di iperpolitica, e che si incrostato nel corso della crisi degli anni Settanta, allorquando ha iniziato a trasmigrare dalla destra alla sinistra, dopo il fallimento delle speranze rivoluzionarie di una generazione super impegnata sul terreno dellideologia e della militanza. Intendiamoci: la cosiddetta antipolitica, un termine che non mi piace perch nasconde al suo interno tutto e il contrario di tutto, in realt anche una richiesta travolgente di buona politica. Affinch questa domanda trovi una risposta soddisfacente e non sia sfruttata in senso conservatore o reazionario anzitutto necessario non fare di ogni erba un fascio e quindi esercitare larte critica della distinzione. obbligatorio farlo in quanto altrimenti si fa oggettivamente il gioco dei ladri che guardano con benevolenza a un discorso che alimenta lidea di una notte in cui tutte le vacche sono nere e di quanti puntano al disonore della politica e alla sua incessante alimentazione mediatica per aumentare la propria sfera di influenza in campo giornalistico o imprenditoriale. Per comprendere il problema e spiegarlo non basta fornire una risposta semplicistica, che riguarda lelenco degli episodi di malaffare e degli scandali di questi ultimi mesi e anni. Essi ci sono sempre stati, con forme di corruzione non meno gravi di queste. Il dominio pubblico di questo discorso in realt lultima forma assunta dallegemonia berlusconiana nella sua fase declinante: egli entrato in politica svalutandola, presentandosi come limprenditore del fare contro il Palazzo e i suoi corrotti. stata la crisi di quel mondo di potere a provocare unesplosione del fenomeno, in base allidea di una presunta corresponsabilit di tutti gli schieramenti e le forze politiche, in cui, ancora una volta, non si vuole distinguere. Sul piano politico, ci sono almeno tre scelte da compiere per reagire allattuale situazione: rispondere alla sacrosanta richiesta di trasparenza, di sobriet e di correttezza con comportamenti e atti conseguenti; provare a colmare la faglia che si aperta tra politica e cittadinanza attraverso la partecipazione civica che consenta di valorizzare e mettere in

Sul piano politico, ci sono almeno tre scelte da compiere per reagire allattuale situazione: rispondere alla sacrosanta richiesta di trasparenza, di sobriet e di correttezza con comportamenti e atti conseguenti; provarea colmare la faglia che si aperta tra politica e cittadinanza attraverso la partecipazione civica che consenta di valorizzare e mettere in opera le tante energie inespresse o soffocate che esistono nel Paese e, infine, assumere una concezione della politica come limite, costringendola a fare un passo in dietro rispetto al civismo.

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opera le tante energie inespresse o soffocate che esistono nel Paese e, infine, assumere una concezione della politica come limite, costringendola a fare un passo in dietro rispetto al civismo. Un movimento in cui la politica accetta di farsi penetrare e modificare, ma allo stesso tempo, proprio in virt di questazione di apertura, ribadisce la propria dignit e autorevolezza. Questi tre atti sono un passaggio ineludibile per realizzare quella ricostruzione civica del Paese in cui il civismo e un partito rinnovato nelle sue modalit di agire devono darsi la mano e camminare insieme. Da questa analisi e dalla consapevolezza dello stato di emergenza raggiunto scaturisce la proposta del segretario del Partito democratico di convocare le primarie di coalizione in deroga allo statuto del partito. Un atto di coraggio duplice, da un lato teso a verificare e reinvestire il proprio consenso e quello del Pd e, dallaltro, rivolto verso linterno del partito, per stimolare i suoi gruppi dirigenti centrali e periferici ad andare in campo aperto, non rinchiudendosi in un fortino di certezze e rendite di posizione. Piuttosto bisogna guardare la gente in faccia per costruire la base di quel consenso che consentir al Partito democratico di porsi, nel momento della competizione elettorale, come forza che ambisce al governo ed in grado di raccogliere la sfida riformista che esso

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comporter. doveroso rischiare per recuperare la qualit della politica, non basta andare in televisione a dire di volerlo fare, bens necessario avviare processi politici effettivi e comportamenti conseguenti che implichino il senso di una scommessa che mette in gioco lessenza stessa e lenergia riformatrice del Pd. La governabilit di questo Paese, infatti, soprattutto in tempi difficili come questi potr essere assicurata soltanto se si stabilir uneffettiva connessione sentimentale tra esecutivo e corpo elettorale. Solo cos si potr raggiungere il duplice obiettivo di valorizzare le esperienze migliori dellattuale governo Monti e di portare allopposizione, per la prima volta negli ultimi ventanni, tutti i populismi esistenti sullo scenario politico nazionale. Si tratta di una sfida nobile che ha illustri quanto preveggenti progenitori. Beniamino Andreatta in un articolo pubblicato nel 1977, intitolato Strutture organizzative per una nuova strategia nella societ italiana, toccava pubblicamente per la prima volta il tema della selezione della classe dirigente della Democrazia cristiana che per rinnovarsi avrebbe dovuto aprirsi alla societ civile attraverso periodici referendum di consultazione anche dei non iscritti e allargare cos il proprio consenso. Un passaggio obbligato, che avrebbe dovuto comportare un processo di spoliazione del potere e che avrebbe garantito alla Dc di sopravvivere alla crisi del sistema dei partiti. Anche Enrico Berlinguer, in un articolo del 1979 sul Compromesso storico e i suoi avversari, denunciava gli affanni della democrazia italiana, cogliendo la crisi della forma partito e collegandoli allemergere di una vera e propria questione morale. Egli si diceva preoccupato e molto che in una situazione quale quella attuale prevalgono lottusit del pragmatismo, le miserie del qualunquismo, i calcoli brevi dellopportunismo: tutti portatori di acqua al mulino della disgregazione e dellimbarbarimento del Paese. Da questi ammonimenti di Andreatta e di Berlinguer sono trascorsi tanti anni e il mondo di oggi incommensurabilmente diverso da quello di allora, ma la tenacia e la forza dei loro messaggi, che individuano i principali avversari di ogni cultura democratica, restano attuali e devono motivare latto di coraggio che il segretario del Pd ha richiesto al suo partito, un coraggio di cambiare e di governare utile a preparare giorni migliori per lItalia.

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Non bastano le parole


Giancarlo Bosetti
direttore dellassociazione Reset - Dialogues on Civilizations

on bastano le parole, dice la Carta degli intenti del Pd, con una nota sincera, dal sen fuggita, di realismo. No, non bastano per colmare la faglia, il crepaccio minaccioso che si aperto tra la grande maggioranza dei cittadini italiani e il ceto politico. Metto tra virgolette questa espressione che allude alla politica come conquista del seggio, del vitalizio, della prebenda; una politica che appare cos quando un sistema democratico non d pi rendimenti, come nel 92-93. Con altrettanto realismo ho detto che il crepaccio taglia fuori la grande maggioranza dei cittadini, non tutti, perch non dobbiamo fingere di non vedere che i beneficiari della politica interpretata dal ceto, che i pi aggressivi vogliono casta, sono un numero ragguardevole. La societ civile, come noto, non composta di soli innocenti e se consideriamo tutto lindotto del fatturato della politica. Daltra parte sappiamo non da oggi che un certo radicamento del voto ha il segno dello scambio: favori contro preferenze. Lo spettacolo della Regione Lazio ha mostrato dosi estreme di squallore del ceto, nella forma che gli ha dato una destra senza classe dirigente, ma non c da farsi troppe illusioni sul centro e sulla sinistra: esitazioni e silenzi delle opposizioni sono indicativi di un certo accomodamento con il corso delle cose. Si capisce che il populismo, nelle sue forme classiche di agitazione antipolitica, trova nel malessere economico sommato allo spettacolo di questo ceto il carburante per fare strada. Messi alla prova i tribuni populisti, a causa della loro vaghezza istituzionale e del loro rancore contro la democrazia, si rivelano sempre pi pericolosi dei loro

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avversari. Il programma e il linguaggio di Grillo parlano di un popolo che prende in mano il proprio destino, ma non si capisce bene esattamente come, e contengono promesse di benessere, salute, opere pubbliche, pi treni e pi tutto, che non si vede come si potranno mai realizzare. Alla inconcludenza segue di solito un ceto peggiore del precedente. Abbiamo gi misurato il sapore di questo dcalage con Di Pietro e il suo De Gregorio. Non bastano dunque le parole, sicuro, ci vogliono comportamenti, azioni e coerenze. E nel momento in cui sfida il populismo, il Pd sceglie un avversario appropriato, una minaccia reale. Purtroppo la forza delle evidenze e delle azioni che testimoniano una buona conduzione della cosa pubblica non cos schiacciante come si vorrebbe. Nelle citt e nei comuni la sinistra conserva ancora un buon capitale di fiducia, ma non basta. Il ritiro della politica da aree che non le competono una buona intenzione, ma che cosa ha impedito o impedisce al Pd di fare i passi che pure sarebbero alla sua portata? E che dovrebbero essere annunciati e fatti ora, con una terapia shock. Perch non ha dato battaglia contro una gestione della sanit che appare pressoch ovunque inquinata da partiti invasivi e affamati di

Nel momento in cui sfida il populismo, il Pd sceglie un avversario appropriato, una minaccia reale. Purtroppo la forza delle evidenze e delle azioni che testimoniano una buona conduzione della cosa pubblica non cos schiacciante come si vorrebbe.

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denaro, da Milano a Bari? E perch il Pd non ha compiuto una svolta netta nella comunicazione, liberando il campo dal mostruoso ingombro della Rai dei partiti? Qui lItalia un soggetto sotto osservazione, e ripetutamente ammonito dalla Commissione europea e dal Consiglio europeo. Badate che siamo ancora e sempre un paese PF (solo parzialmente libero) per Freedom House. Chi risponde che colpa di Berlusconi ha molte ragioni, ma finge di ignorare che nel generarsi della oscena situazione attuale (il 58 per cento delle risorse pubblicitarie alle tv generaliste, un massacro per la stampa, senza eguali nel mondo), la Rai ha avuto una colossale funzione di alibi, di punto di leva per la creazione speculare di un monopolio commerciale privato. Lo statu quo della Rai oggi presidiato e difeso da Berlusconi come ancora di salvezza per il suo pericolante impero economico. E in questo stato di cose il Pd continua imperterrito a coccolare le sue quote di presenza, il suo canale prediletto, le sue trasmissioncine, senza capacitarsi che questi sono contentini che mantengono viva linfezione generale di un sistema malato. Arduo il compito, si capisce. La rottura di abitudini diventate strati storici, sedimenti rocciosi, istituzioni, carriere, impresa per animi forti. Ma non stiamo parlando di questo? O si spera di farcela nellalveo di una inerziale, residuale tenuta di un vecchio paziente elettorato, da coltivare con Ballar e il Tg3? Non sottovalutiamone il peso: nella tempesta potrebbe essere un appiglio per tenersi in piedi. Ma questa la via duscita dalla terribile impasse in cui siamo? Sarebbe il momento di coltivare una profonda rigenerazione del progetto che il PD stato, ma i tempi presentano una strettoia ravvicinata. E allora c da augurarsi che una vera battaglia, aperta, a esito non scontato, nelle primarie, e poi una campagna elettorale su unagenda europea che prosegua e completi il lavoro iniziato con il governo Monti, producano quelle azioni e coerenze, con cui il Pd possa mostrare di sapere separare la sua storia da quella di un ceto politico fallimentare e fallito.

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Il conflitto tra le generazioni


Pietro Barcellona
docente emerito di Filosofia del Diritto all'universit di Catania

ono decenni ormai che il tema del rapporto tra genitori e figli, e pi in generale il rapporto tra le generazioni, alimenta un dibattito che sembra non trovare mai alcuna risposta adeguata. Gramsci era molto attento alle rivolte giovanili e giustamente, al di l del merito delle questioni sollevate dalle nuove generazioni, affermava che l'insorgenza del conflitto metteva in evidenza una inadeguatezza dei rapporti sociali esistenti che certamente non sapevano contenere e trasformare il confuso movimento degli studenti. Ma proprio a partire da queste considerazioni, che mettono in campo una riflessione sulle dinamiche sociali, il tema della capacit dei rapporti sociali esistenti di offrire uno spazio per contenere e trasformare le spinte creative del mondo giovanile non pu essere ridotto alla mediocre vicenda della candidatura di Renzi contro tutto il vecchio establishment del partito che vorrebbe destinare ad una rapida rottamazione. Un conflitto generazionale senza contenuti di proposta politica in cui soltanto l'et diventa titolo per candidarsi di per s un segno culturalmente reazionario. Certamente una pretesa fondata soltanto sulla propria giovane et una forma assai immatura e perdente di contestazione del ruolo dei cosiddetti padri. I padri, infatti, non sono soltanto le figure concrete con cui si fatta l'esperienza dell'infanzia e della giovinezza ma sono anche gli esponenti sociali del principio di realt e della rilevanza della memoria e della tradizione. Come negli anni '70 scriveva Davide Lopez in un piccolo libretto pubblicato da Jaca Book, dedicato al tema della contestazione giovanile degli anni '70 e intitolato Analisi del carattere

Un conflitto generazionale senza contenuti di proposta politica in cui soltanto l'et diventa titolo per candidarsi di per s un segno culturalmente reazionario.

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ed emancipazione: Marx, Freud e Reich, la pretesa di partire da zero e il culto del nuovismo autoreferenziale sempre il segno del persistere di una fantasia onnipotente di carattere narcisistico-infantile. Quando in Europa si cominciato a parlare della scomparsa dei padri (penso al bel saggio di Mitscherlich, Una societ senza padri), si inizi a manifestare nel contesto delle societ contemporanee la tendenza ad una dissociazione quasi patologica fra le tendenze istituzionali, espresse da tutte le classi dirigenti, e il desiderio primordiale di fare piazza pulita di tutto per realizzare ad ogni costo la propria autoaffermazione. Molti guai sono legati a questa vicenda: il prevalere nella discussione pubblica della finzione sull'analisi della realt; lo sfrenarsi di una forma di individualismo minimale, orientato unicamente al godimento immediato; l'emergere di spinte carismatiche e personalistiche in netto contrasto con l'istanza dialogicodemocratica che si voleva proporre all'intera societ. Tutti ricorderanno bene la lotta per la conquista del

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microfono in un'assemblea caotica senza regole e senza alcun ordine nei lavori. Da quella stagione cominciato il terribile vizio di parlare per parlare anche quando non si ha niente da dire e il successo personale si risolto in una pura affermazione del proprio potere senza alcuna vera trasformazione del tumulto delle passioni che certamente agitavano il mondo giovanile. Proprio in quell'epoca Sartre scriveva che l'ambizione dell'uomo contemporaneo era quella di essere figlio di se stesso, ma chi nega la paternit e la dipendenza della nascita da una coppia di altre persone destinato ad quel progressivo delirio megalomane che spinge la societ verso la frantumazione e la guerra di tutti contro tutti. Io sono una persona anziana assolutamente fuori da ogni gioco di potere e guardo al fenomeno di Renzi, come a tutti i fenomeni del giovanilismo, senza alcun pregiudizio, ma proprio per questo posso dichiarare senza alcun problema che non riesco a capire quale sia il senso della candidatura di Renzi poich nel suo discorso pubblico non appare mai alcun criterio di distinzione tra ci che pare giusto fare e ci che pare ingiusto e cio il tema centrale di ogni scontro politico: l'idea di una societ pi giusta rispetto a quella in cui ci si trova a vivere. Gi questa candidatura nasce dal disprezzo e dalla violazione delle norme statutarie dell'attuale Pd, il che non un buon segno perch vero che gli statuti dei partiti non sono testi sacri ma il solo modo serio di cambiarli un congresso con la presentazione di programmi diversi. Mandare a quel paese le regole dell'organizzazione alla quale si appartiene solo con la decisione estemporanea di autocandidarsi alle elezioni del Paese, in pratica significa recidere violentemente ogni legame con la tradizione alla quale si appartiene, dimenticando che la tradizione anche inconsapevolmente un pezzo della propria identit. Tutte le proposte di rivoluzionamento dei rapporti sociali hanno sempre assunto una tradizione di pensiero e una storia comune come premessa fondativa dell'istanza di cambiamento anche radicale. Se alle spalle c' soltanto il nulla anche il cambiamento sar di fatto un nichilismo vuoto. Capisco bene che la situazione nella quale viviamo ha prodotto nelle nuove generazioni un disagio senza precedenti e che lo sbandamento dei ragazzi e delle ragazze oggi una priorit della vera rinascita del paese ma, come la storia ci insegna, anche lo stesso parricidio mitologico si risolve mediante un recupero del rapporto con la nostra

Tutte le proposte di rivoluzionamento dei rapporti sociali hanno sempre assunto una tradizione di pensiero e una storia comune come premessa fondativa dell'istanza di cambiamento anche radicale. Se alle spalle c' soltanto il nulla anche il cambiamento sar di fatto un nichilismo vuoto.

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stessa nascita attraverso quella che Freud chiamava una trasformazione del padre reale in padre ideale. Perch Berlinguer rimasto nell'animo degli italiani come un grande uomo che aveva amato oltre la vita il suo partito e il suo paese? Perch anche le persone che lo avevano combattuto erano abituate a fare i conti con una personalit rigorosa e semplice che imponeva sempre il confronto sui contenuti. Mi viene da dire, forse con una certa superficialit, che i giovani che cercano spazio e visibilit sono figli della generazione di quanti oggi hanno 40 e 50 anni, che hanno rimosso completamente il problema della propria storia e delle propria generazione e hanno trasmesso alle nuove generazioni soltanto gli effimeri impulsi all'esibizione e alla visibilit televisiva. Per comprendere i giovani di oggi bisognerebbe analizzare la societ dei cinquantenni di oggi e del vuoto che hanno creato attorno a s. Per tali ragioni quella di Renzi mi appare una candidatura appesa nel vuoto che pu suscitare labili consensi emotivi ma che certamente danneggia il tentativo ancora troppo timido di Bersani di costruire una forza coesa, capace di porre le basi di una vera alternativa all'attuale fatalismo della grande maggioranza degli italiani. Un tempo tra di noi si considerava pi capace di dirigere chi sapeva unificare le parti diverse e garantire alle diverse opzioni la possibilit di esprimersi. Bisogna dirlo con franchezza, chi tende a produrre spaccature e conflitti non componibili con una mediazione pi alta, di per s mostra di non essere capace di guidare una grande forza politica.

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Ricerca e formazione
come leva dello sviluppo
Lucia Votano
Direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso

on vi dubbio che uno degli argomenti caldi dellattuale dibattito politico e sociale in Italia sia quello della individuazione degli strumenti e delle risorse necessarie per uscire il pi rapidamente possibile dalla crisi e per far ripartire la crescita del sistema Paese. Loccasione specifica per riflettere ancora una volta su questo tema, visto da una persona che si sempre occupata di ricerca fondamentale in fisica, mi stata fornita dalla recente partecipazione ad un congresso internazionale tenutosi a Kyoto in Giappone. I risultati che hanno riscosso il maggiore interesse riguardavano una specifica misura del fenomeno delle oscillazioni di neutrino e sono stati presentati da esperimenti che si trovano in Cina, Corea del Sud, Giappone, Stati Uniti e Francia. A differenza degli altri, i fisici cinesi e soprattutto i coreani hanno iniziato relativamente da poco lattivit sperimentale in questo campo e la rapidit ed efficienza con cui hanno costruito imponenti e sofisticati apparati sperimentali e sono stati in grado di fornire risultati molto importanti, ha impressionato la comunit scientifica internazionale. La Francia, che pure aveva iniziato molto prima, in ritardo nel completare un analogo esperimento e a presentarne i risultati. Cina e Corea sono quindi paesi fortemente emergenti nella ricerca scientifica. Questa radicale trasformazione avvenuta negli ultimi venti anni e la corsa non sembra essersi arrestata a causa della crisi economica che ha colpito pesantemente lEuropa e gli Stati Uniti. Ebbene la Cina ha anche un tasso di crescita media annua superiore al 6% e la Corea del Sud di poco inferiore a tale
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La correlazione tra investimenti in formazione a tutti i livelli, ricerca scientifica, innovazione tecnologica e sviluppo economico di un Paese fortissima.

valore, senza contare che il suo reddito annuo pro capite ha superato quello degli italiani. C un altro dato interessante su cui riflettere, in Corea il 60% dei giovani di et compresa tra i 25 e 35 anni ha una laurea e il 21% in ambito scientifico; in Italia nella stessa fascia di et solo il 20% ha una laurea e il 4% in ambito scientifico, valori pi bassi anche della media europea. Anche in Cina la percentuale dei giovani laureati sta crescendo sempre di pi. Questi risultati sorprendenti raggiunti in campo scientifico e al contempo nello sviluppo economico sono il risultato di sempre crescenti investimenti nella istruzione a livello superiore e nella ricerca. Al di l di questi particolari esempi, studi ben pi ampi e approfonditi dimostrano in modo inequivocabile che la correlazione tra investimenti in formazione a tutti i livelli, ricerca scientifica, innovazione tecnologica e sviluppo economico di un Paese fortissima. Appare invece evidente che in Italia abbiamo una grande risorsa, il capitale umano, che continuiamo a sottoutilizzare e su cui invece imperativo investire per non continuare ad arretrare sempre di pi nelle classifiche mondiali dello sviluppo culturale, sociale ed economico. Siamo un grande Paese con grandi tradizioni culturali, con eccellenze in campo scientifico, nicchie di imprenditori che ancora credono nellinnovazione tecnologica, tuttavia nella scala sociale dei valori listruzione, la cultura, la ricerca hanno perso rispetto e considerazione di pari passo con la costante e notevole decrescita avvenuta negli ultimi 10 anni degli investimenti pubblici in istruzione e ricerca. Il mondo sta cambiando radicalmente e il cambiamento pi grosso proprio nel livello medio di istruzione della popolazione mondiale, e dei paesi emergenti in particolare, nonch nei massicci investimenti che questi paesi hanno riversato negli ultimi venti anni nella ricerca scientifica e tecnologica. OCSE ci fornisce il dato che la media mondiale di giovani laureati oggi intorno al 37%, da confrontare con il 13% della fine degli anni 50. Se poi estrapolassimo a qualche decennio in avanti la velocit di crescita di alcuni Paesi emergenti, supponendo che rimanga ai valori attuali, e la mettessimo a confronto con il nostro immobilismo se non arretramento, potremmo rimanere terrorizzati dalla prospettiva di vedere lItalia come il terzo mondo prossimo venturo. Questa paura la vivono ogni giorno gli scienziati che vedono i propri giovani che appena dopo aver conseguito il dottorato di ricerca o dopo poco anni, devono abbandonare

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le Universit o gli Enti di ricerca per essere accolti con grandi riconoscimenti nelle istituzioni estere. La formazione universitaria a livello scientifico in Italia ancora di altissimo livello e i giovani non incontrano molta difficolt a trovare negli Stati Uniti o in Europa delle opportunit di continuare lattivit di ricerca. Portare un giovane al dottorato costa allo Stato Italiano circa 500000 Euro, un investimento perso se a fronte di un italiano che va allestero per non tornare pi, non possiamo impiegare in Italia come contropartita un giovane straniero altrettanto bravo. Occorre quindi ripartire dalla profonda consapevolezza che solo nella societ della conoscenza possono nascere i presupposti per una crescita del Paese e operare una decisa inversione di tendenza negli investimenti in conoscenza, sapere e ricerca. Altrimenti, a quando lesodo massiccio dei nostri ricercatori verso la Cina e la Corea?

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L'Italia ne uscir solo se ce la far il sud


Vito De Filippo
Presidente della Regione Basilicata

er dieci anni, nel corso dei quali le politiche economiche e sociali della Destra del nostro Paese hanno subito i veti campanilistici di una Lega egoista ed antiunitaria, la parola Mezzogiorno stata cancellata dal vocabolario della politica italiana. E sappiamo come andata a finire, cos come del resto sempre accaduto quando Nord e Sud hanno marciato a ranghi separati. LItalia si allontanata dallEuropa. La crisi ha reso fragile, pi che in altre aree del continente, il nostro tessuto produttivo. E le disuguaglianze, sia sul piano sociale che su quello territoriale, si sono aggravate, scavando un solco profondo nella coscienza dei ceti pi deboli, i quali, contrariamente a quanto era accaduto con i governi di centrosinistra, si sono sentiti abbandonati da uno Stato sempre pi proiettato a garantire gli interessi dei pi forti. Sono convinto, per dirla con Pierluigi Bersani, che lItalia ce la far solo se ce la far il Mezzogiorno. Se il Sud sar rimesso al centro dellagenda di governo. E se, accantonando lillusoria speranza che il Nord possa andare avanti da solo, cos come per anni hanno cercato di far credere Berlusconi e i suoi Ministri, ci si ripiegher su un federalismo veramente solidale. Un federalismo, come scritto nella carta di intenti del Pd, presentata nelle scorse settimane dal segretario nazionale, responsabile e ben ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dellassetto democratico e unitario del Paese. Naturalmente, come classe dirigente di centrosinistra, abbiamo una duplice e difficile sfida da vincere. Perch oltre a rendere nuovamente pronunciabile la parola Mezzogiorno in un contesto politico che per due lustri laveva considerata

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alla stregua di una bestemmia, abbiamo il dovere di fugare, agli occhi del Paese, limmagine di un Sud assistito ed accattone. Sprecone ed inefficiente. Corrotto e irredimibile. E ci sar tanto pi possibile se nella nostra azione amministrativa, in Basilicata come altrove, continueremo a fare del rigore, della competenza e della onest la stella polare dei nostri comportamenti quotidiani. Mai come in questo momento, serve una politica sobria. Responsabile. Rispettosa dei cittadini, chiamati a fare sacrifici, come mai era accaduto in oltre sessantanni di vita repubblicana. Governare in tempi difficili significa esattamente questo. Significa dare lesempio. Come nel nostro piccolo, sin dallinizio della legislatura regionale, ad aprile del 2010, abbiamo voluto fare, abolendo i vitalizi per i consiglieri regionali, riducendo i compensi del 20 per cento e, imponendo a tutti, presidente ed assessori in testa, di raggiungere lufficio con mezzi propri, rinunciando alle mazzette dei giornali, oltre che razionalizzando lutilizzo delle auto blu e degli immobili di propriet regionale, con lindividuazione in ogni interstizio della pubblica amministrazione di qualunque forma di risparmio. Su un fronte delicato, come la Sanit, che in Italia rappresenta una sorta di spartiacque tra le Regioni virtuose e quelle che lo sono un po meno, la Basilicata sulla scia di un primato che non solo meridionale oltre a mantenere i conti in ordine ha voluto fare proprio un obiettivo sicuramente ambizioso, qual quello rappresentato dalle cosiddette politiche di compossibilit, rimuovendo le contraddizioni tra il diritto alla salute e le risorse destinate a garantirlo. Per di pi mirando ad un notevole risparmio etico ed economico. La stessa linea, allinsegna del rigore, ma al tempo della selettivit degli interventi, stata perseguita in altri comparti, non meno importanti, della vita regionale: dalla Scuola allUniversit, dal Turismo ai Beni Culturali. Da questo punto di vista, la carta di intenti del Pd, voluta dal segretario Bersani, quale base programmatica di un patto con gli italiani per la ricostruzione e il cambiamento del Paese, per noi amministratori di centrosinistra del Mezzogiorno un ulteriore motivo di sprone e di sostegno, in un momento nel quale alla politica si chiede di testimoniare competenza e una condotta coerente. In Italia, i dieci anni di governo delle Destre hanno fatto precipitare il Paese in una crisi senza precedenti, scavando un solco profondo tra cittadini e politica. Ci vorr tutto

In Italia, i dieci anni di governo delle Destre hanno fatto precipitare il Paese in una crisi senza precedenti, scavando un solco profondo tra cittadini e politica. Ci vorr tutto limpegno e la forza degli uomini migliori del centrosinistra, proprio a partire da Pier Luigi Bersani, per colmare questa frattura e consentire cos allItalia di rimanere in Europa, coniugando rigore finanziario e solidariet sociale.

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limpegno e la forza degli uomini migliori del centrosinistra, proprio a partire da Pier Luigi Bersani, per colmare questa frattura e consentire cos allItalia di rimanere in Europa, coniugando rigore finanziario e solidariet sociale. La deregulation finanziaria, che ha portato al dominio incontrollato di soggetti estranei alla vita democratica, con tutto ci che ne derivato sul piano economico, richiede oggi un supplemento di partecipazione popolare, sulla scorta di un patto, come quello che il Pd e il suo segretario nazionale hanno proposto al Paese. Le scorciatoie suggerite dai demagoghi di turno, sullonda di unantipolitica che fa di tutte le erbe un fascio, non porterebbero da nessuna parte. Dice bene Pier Luigi Bersani: La sola risposta al populismo in una partecipazione rinnovata come base della decisione. E questo perch la crisi della democrazia non si combatte con meno, ma con pi democrazia. Il che significa pi rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri e lapplicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le pi belle ed avanzate al mondo. I dieci punti della carte dintenti coniugano altrettante parole fondamentali per il destino dellItalia: dalla democrazia allEuropa, dal lavoro alluguaglianza allo sviluppo sostenibile. Ma sulla responsabilit che si gioca la vera partita per il bene comune dellItalia. E Pier Luigi Bersani sono certo sar in grado di guidare responsabilmente lItalia lungo la strada della ricostruzione e del cambiamento.

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Condizioni per la rinascita.

Il caso Napoli
Francesca Izzo
insegna Storia delle dottrine politiche allUniversit Orientale di Napoli

ono personalmente molto interessata a quanto accade nel Pd e intorno ad esso perch ritengo che, al di l di evidenti fragilit che segnalano un processo non concluso di costruzione politicoprogrammatica del partito, esso costituisca una leva indispensabile per porre un termine alla lunghissima crisi democratica italiana. Di sicuro c lenorme debito pubblico che ci rende vulnerabili ed attaccabili da chi vuole colpire leuro e le possibilit dellunificazione politica europea, ma un fattore non secondario del bilico pericoloso su cui scivolata lItalia lattuale assetto istituzionale e politico che non solo ha scavato quel fossato tra politica e cittadini di cui parla la lettera di Intenti ma intralcia ogni intervento che miri a colmarlo e rende incerta ogni prospettiva di rinascita. Bene dunque ha fatto il segretario Bersani a rivolgersi a un variegato mondo fatto di gruppi e di singoli per sollecitarne limpegno e linteresse a vedere consolidarsi un nuovo funzionante sistema politico che pu finalmente prendere di petto mali nuovi e antichi dellItalia. Io , come alcuni sanno, ho un vecchio e radicato interesse a vedere trasformata lItalia in un paese per donne, ma nutro anche una sofferta passione per la mia terra dorigine, il mezzogiorno, e per la sua antica storica capitale Napoli. L ho accumulato una pluridecennale esperienza di docente universitaria e di osservatrice civilmente partecipe delle catastrofi, delle emergenze che ciclicamente lhanno scossa e degli altrettanto ciclici tentativi di rinascimento, tutti falliti. Ne ho tratto un paio di considerazioni. Innanzitutto, se lItalia vuole tornare a pesare in Europa e a competere non
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La perdita generalizzata di una visione nazionale di Napoli capitale del Sud ha fatto s che dinanzi ad un fenomeno clamoroso, il dramma dei rifiuti, c stata una fuga anchessa generalizzata da responsabilit, da parte della politica locale e nazionale, dellintellettualit delle competenze.

pu considerare che la sua seconda area urbana per popolazione abbia non solo conservato ma esasperato le caratteristiche tipiche del sottosviluppo, ovvero non abbia un tessuto industriale produttivo legale e sopravviva anche grazie allespansione delleconomia criminale. Questo processo ha provocato la crisi e la decadenza anche di quelle punte di eccellenza rappresentate da istituti universitari e di ricerca che rendevano Napoli un luogo produttivo di talenti e competenze riconosciute a livello europeo e mondiale. Ma tutto ci non frutto di una maledizione, di un destino: Napoli non un caso di folklore malato che si pu isolare e trattare come unanomalia. Napoli parla dellItalia. Lo smantellamento dellindustria a capitale pubblico tra gli anni 80 e 90 e il nulla, se non le attivit in nero gestite dalla camorra, che lha sostituita parla del blocco dellinnovazione e della crescita che ha colpito linsieme del paese. E quanto sia stata illusoria e foriera di disastri lidea, che aveva ovviamente anche del buono, di un sud, di una citt, di un territorio che fanno da s oggi appare drammaticamente evidente. La rivendicazione dellautonomia e di uno sviluppo autocentrato, se intendeva ribaltare limmagine di un sud piagnone e sempre alla ricerca di aiuto e sostegno esterno, avvalorava la tendenza a declassare il meridione da questione nazionale a singoli e parziali problemi locali. Per il Pd che ambisce essere perno di una rinascita della nazione la ripresa del meridionalismo, a meno che non lo si consideri frutto di mero spirito solidaristico, ha da fare i conti con una riconsiderazione critica di una storia e di una cultura sedimentata innanzitutto nelle teste di chi prende decisioni. La perdita generalizzata di una visione nazionale di Napoli capitale del Sud ha fatto s che dinanzi ad un fenomeno clamoroso, il dramma dei rifiuti, c stata una fuga anchessa generalizzata da responsabilit, da parte della politica locale e nazionale, dellintellettualit delle competenze. Voglio solo ricordare un episodio a titolo di esempio. Allapice della crisi, quando noi docenti e studenti entravamo nella sede universitaria facendoci strada tra muri di immondizia, come accadeva daltronde in tutto il resto della citt, ho pensato che uno dei compiti dell istituzione universitaria fosse quello di interrogarsi e di interrogare linsieme della classi dirigenti economiche, politiche e soprattutto intellettuali e professionali visto che avevano partecipato da protagoniste al risveglio civile dei primi anni 90. Interrogarle su come fosse stato possibile un disastro di

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dimensioni tali da non richiedere solo la testa di qualche capro espiatorio ma unanalisi assai profonda e per certi aspetti di lunga durata. Infatti ero rimasta molto colpita da quello che si sentiva reclamare sulle barricate innalzate per impedire il versamento dei rifiuti nei siti indicati dalle autorit. Perch non li mandate ad Avellino, a Benevento . Ovvero perch non si continua nella relazione che sempre la citt di Napoli ha avuto nei confronti della sua campagna, cio una relazione di tipo feudale e non borghese-moderno. Da Machiavelli sappiamo che il mutamento del rapporto citt-campagna, da economicocorporativo a egemonico da parte della citt (per usare la terminologia gramsciana) il principio, il fondamento della nascita della societ, della politica, dello stato moderni. Ebbene la citt di Napoli, tutta la sua popolazione, dirigenti e diretti, ha vissuto e vive della convinzione che lacampagna sia metaforicamente e realmente il luogo dove gettare la monnezza e questa modalit di relazione struttura forma mentis, selezione ed azione delle classi dirigenti cittadine. Finch non accade che una campagna barbarica non si espanda, conquistando lembo a lembo la citt e arrivando nel cuore della sue istituzioni. Pensavo che nostro compito fosse cercare di capire, al di

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l della frustrazione, dello sconcerto e della rabbia verso i responsabili politici di quella tragedia. La rivolta e il rifiuto verso questi ultimi c stato, il resto no. Ecco, mi aspetto che la curvatura meridionalistica che il Pd intende dare al suo progetto per lItalia non si fermi alle pur necessarie proposte in tema di politiche economiche, sociali,organizzative. Tocca mettere in gioco storia e cultura , gli ambiti decisivi per la formazione (o non formazione) delle classi dirigenti. E si sa che intorno ad esse si vince o si perde la sfida. In altri momenti della vicenda meridionale ed italiana si creato un clima effervescente di mobilitazione di energie, di talenti,di entusiasmi per un nuovo rinascimento che ha coinvolto non poco della cultura italiana. finita male. Ma questo non toglie che da l bisogna ripartire, capire perch si fallito e quali altre forze e come devono essere coinvolte, a cominciare da quello straordinario serbatoio inutilizzato di competenze e di eticit formato, come ci ha detto lultimo rapporto Svimez, da donne.

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Una svolta culturale per la domanda di autorealizzazione


Laura Bazzicalupo
insegna Diritto Pubblico e Teoria e Storia delle Istituzioni allUniversit di Salerno

a Carta di intenti una buona base per la discussione. Rappresenta di per s un valore lapertura in passato piuttosto avara al confronto con quelli che devono poi valutare loperato e i progetti del partito e scegliere gli orientamenti pi consentanei a dare una risposta ad una crisi che non solo economica ma pi radicalmente politica e rappresentativa. Mi sembra dunque primaria e non solo formale la decisione di aprire la discussione e riconoscere gli interlocutori. Il nodo della crisi della rappresentanza cui ho appena accennato e della quale il partito sembra essere consapevole, sta proprio nella difficolt ad ascoltare e a prendere carico delle istanze; o, forse pi radicalmente, dalla oggettiva carenza cui sembra si voglia finalmente ovviare di spazi aperti dove i cittadini democratici possano direttamente partecipare e vedersi riconosciuta quella spinta allautogoverno, al rifiuto delle deleghe che lambivalente portato della cultura neoliberale dellultimo trentennio. Ambivalente perch pu tanto indirizzarsi in senso privatistico e lobbistico, come di fatto nella societ neoliberale, che in senso di partecipazione attiva nella gestione delle situazioni locali e delle cose comuni. Questa attenzione mi sembra di riconoscere nel documento di intenti: sia pure giustamente mediata dallindispensabile servizio di un grande partito, capace di raccogliere e rinforzare le voci sociali. Il documento articolato in modo da mettere in rilievo i punti chiave che, a mio avviso, sono assolutamente condivisibili. Emerge e ritengo debba essere sviluppata nel corso dei
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dibattiti delle primarie la consapevolezza che al declinare di quella che va considerata una grande egemonia culturale della destra una cultura complessa e articolata che pur innestandosi su un riduzionismo economico oggi smentito dalla realt, ha costruito soggettivazioni insofferenti della autorit e della guida morale, proiettate in, anche mitici, progetti di autorealizzazione e di imprenditorialit su se stessi, cui difficilmente si pu rinunciare debba essere offerta una alternativa consapevole della complessit delle nuove soggettivit, formate da quella cultura, ma oggi sofferenti per le realt che quellimmaginario oscurava. Se si riconosce la potenza dellimmaginario neoliberale che ha sorretto il predomino della destra, allora sullimmaginario culturale che si deve lavorare, per lanciare oggi un cambiamento di

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mentalit, accoglibile e condivisibile da quei soggetti, soprattutto giovani, che si sono formati in quel trentennio. Questo significa spingere lacceleratore sulla necessaria svolta culturale con il lancio di parole chiave nuove capaci di egemonizzare la frantumazione delle situazioni singolarizzate e delle domande sociali differenziate: mantenendo, nei limiti del possibile la componente di autogoverno e di intrapresa, ma indirizzandola verso quelle utilit che il mercato distribuisce con grandi ineguaglianze o addirittura sottrae del tutto. Lindividuazione di una serie di beni comuni, commons, che troppo facilmente sono state in passato abbandonati allorientamento privatistico, mi sembra un punto di forza capace di scaldare gli animi e sorreggere una necessaria proposta di visione o di immaginario collettivo nuovo e persuasivo. Ovviamente ma su questo la Carta sembra dare ampie assicurazioni ascoltando e dando voce al disagio del mondo del lavoro e dei precari che il punto di forza per accentuare la crisi dellideologia neoliberista, col suo trionfalismo e la sua esaltazione dellindividualismo estremo, come se la libert non passasse inevitabilmente per la reciproca dipendenza e solidariet. Questa svolta oggi possibile. Molto bene dunque la risposta in termini di pi democrazia. Anche se lespressione: "usare il consenso per governare bene" oltre che suonare generica su un punto sensibile, allude ad un "uso" del cittadino e delle sue scelte. Laddove si potrebbe esprimere una nuova e maggiore fiducia nelle capacit di autogoverno che il partito intende promuovere, servire e organizzare. Questo significa apertura di spazi pubblici (nella Carta se ne parla subito dopo) di partecipazione, dove la mediazione partitica si deve limitare (anche la parola limite giustamente molto presente!) alla tutela della qualit democratica delle decisioni. Limite del partito come agente 'diretto di governo. Indispensabile peraltro soprattutto nelle relazioni internazionali che sfuggono totalmente ai cittadini. Sarebbe importante ed efficace qualche mea culpa in pi, sia pur nelle decise differenziazioni, proprio in relazione all'occupazione partitica dei posti decisionali. Mentre la Carta mi sembra padroneggiare perfettamente il discorso dellEuropa, e, ancor meglio il discorso sul lavoro, impostato con tutta la complessit che merita, sulla scuola e sullUniversit, come sulla cultura in genere, nelle

Se si riconosce la potenza dellimmaginario neoliberale che ha sorretto il predomino della destra, allora sullimmaginario culturale che si deve lavorare, per lanciare oggi un cambiamento di mentalit, accoglibile e condivisibile da quei soggetti, soprattutto giovani, che si sono formati in quel trentennio.

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forme oggi molto diversificate che interessano larghissime fasce del popolo democratico, sarebbe opportuno non solo rafforzare lattenzione a questo bene comune, ma anche esplicitare una consapevolezza adeguata della centralit della battaglia sulla cultura. superfluo ricordare che la identit specifica del partito di sinistra sta esattamente nel binomio lavoro e cultura. Si tratta di rinnovare fermamente, senza cedimenti questa opzione che coinvolge, oggi in tempi di capitalismo cognitivo, praticamente tutte le famiglie e i singoli soggetti. Dopo anni di politiche deficitarie anche da parte della sinistra si tratta di rendere esplicito un cambiamento di rotta rispetto a posizione condivise e addirittura promosse dal Pd. Soprattutto circa la deriva di valutazione 'economica' dell'istruzione: c una sacca di immenso scontento sulla tecnocrazia valutativa e sulla sua cecit culturale. In tutte queste battaglie sui beni comuni, programmate dalla Carta di intenti, occorre discutere lelemento giuridico delle garanzie pubbliche, che potrebbero facilmente scivolare tramite la spinta allautogestione, nellarea opaca del privatismo.

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La stella polare
della persona e dei diritti
Marcella Marcelli
Centro studi del Pd

o quasi quarantanni. Per met passati a credere che tutto sarebbe andato bene. Anzi meglio. Meglio di come era andata ai miei genitori, ai quali peraltro era gi andata assai meglio che ai nonni e cos di seguito. Che la mia generazione avrebbe avuto un lavoro qualificato e meglio retribuito (sulla sua stabilit non arrivavo neppure a concepire dubbi), un casa pi bella, un frigorifero a due piazze e magari una porta saloon in cucina (come quella dei Robinson, per intenderci). A condire il tutto la granitica certezza che il successo (alfa e omega, giustificazione necessaria e sufficiente di ogni esistenza individuale) fosse dipendente da una sola variabile: il merito. In uno svaporamento leggero e indolore di ogni dimensione collettiva che travalicasse luscio di casa o il gruppo di appartenenza. Sono stata sempre, da che mi ricordi, di Sinistra. Ma questo, con tutta evidenza, non mi ha impedito di credere nel progresso e nello sviluppo come accrescimento, quasi solo quantitativo, intrinsecamente illimitato. Eppure, moltitudini di donne e uomini escluse da questo destino ad ogni latitudine erano l a testimoniare quanto fragile dovesse essere un modello cos clamorosamente fondato su squilibrio, iniquit, disuguaglianza. Indignazione, mobilitazione caritatevole, politiche di cooperazione, capitalismo dal volto umano. Lenitivi non tanto per le suddette moltitudini quanto per la mia cattiva coscienza. E comunque, il sottotesto era che alla fine, anche per loro (le moltitudini), era solo questione di tempo (e di vittoria delle forze progressiste e di Sinistra, obviously).
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Pensare la politica

E cos stato, a ben guardare. Solo che quella previsione andava rovesciata: alla fine, anche per noi, stata solo questione di tempo. Un orecchio attento avrebbe avvertito i primi scricchiolii allalba degli anni Novanta (welfare sempre pi striminziti in nome della sostenibilit della spesa, tasso di natalit in picchiata, svuotamento di senso del lavoro, e di dignit della cultura, sbigottita irritata impaurita chiusura allaltro) ma si sa, del senno di poi Sta di fatto che, da allora, stato tutto un ruzzolare uniformemente accelerato lungo un pendio fattosi da ultimo precipizio, che ci ha portati pi o meno dove siamo ora: con unItalia e una politica fuori di sesto e unidea di futuro da immaginare di nuovo. Non tanto nel senso di ancora (come gi tante volte nella storia accidentata di questo Paese), quanto nel senso di come mai prima dora. Perch, ormai labbiamo capito tutti, non si tratta di tornare ad essere quelli di prima, perch il prima se non ancora morto, di certo non funziona pi. Se laccostamento non suonasse irriverente, direi che la condizione attuale ricorda lindomani della Seconda guerra mondiale con la differenza che allora le macerie erano nelle strade, ch lanima (almeno quella di molti) laveva slavata la Resistenza. Noi, invece, le macerie le abbiamo ingoiate insieme a ci che resta (ed ancora molto) della patina scintillante e vischiosa con cui stato confezionato il racconto del mondo negli ultimi venti o trentanni. La miscela risultata indigesta al punto da generare un senso di nausea a vocazione maggioritaria. Di pi: universale, cosmica. Con queste premesse, che dire del coraggio di un Partito e del suo Segretario, che pensa di mettere penna in carta (dintenti, per giunta!) e che mentre ancora lacqua ci sfiora le ginocchia pensa a come tirarla via, certo, ma allo stesso tempo ai nuovi argini da innalzare e alla nuova citt da ricostruire? Credo che questo sia il merito pi grande della Carta dintenti dei Democratici e dei Progressisti. Non un programma (che pure verr, com ovvio), ma le fondamenta su cui edificare programmi, alleanze, futuro. La spina dorsale di una politica responsabile, consapevole dei propri limiti, ma non per questo subalterna, che si riprende il posto che le compete sapendo che le supplenze, a scuola come nel governo, se durano troppo guastano il rendimento. Una scelta controcorrente, che di fronte alla marea montante del fango che si incrosta su tutto e tutti non rinuncia a spalare perch, prima o poi, si arriva al
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nocciolo della questione. Per i democratici e i progressisti la dignit della persona umana e il rispetto dei diritti individuali sono la bussola del mondo nuovo e la cornice generale entro cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma. Ecco, per quel che vale, credo che in queste poche righe ci sia un bel pezzo di quel nocciolo e certo il tratto pi avanzato di una visione realmente alternativa a quella che ha generato la crisi e che ha minato dallinterno le stesse radici spirituali dellOccidente. Proporre il rispetto dei diritti umani, nella loro indivisibilit, come termometro del grado di sviluppo di una societ e della qualit della sua democrazia, vuol dire vedere e indicare gi un nuovo modello di crescita e di progresso. Un nuovo punto di vista che poi, come dice la Carta, significa tornare a parlare di uguaglianza guardando la societ con gli occhi degli ultimi. Significa, anche, riscoprire il senso profondo e il tratto identitario fondamentale della civilt europea e a quello aggrapparsi per darsi lo slancio. Ma soprattutto mi pare che enfatizzare, come fa la Carta, la centralit di quello che molti chiamano fattore umano, abbia per lItalia un significato in qualche misura rivoluzionario se vero che essa presuppone un grande investimento, un affidamento persino, nella persona, la sua dignit che poi libert e responsabilit. Unapertura di credito (a costo zero!), di fiducia che finora mancata in un Paese che nelle sue classi dirigenti ha conosciuto e conosce dualismi radicati e contrapposizioni finanche irriducibili, ma, sorprendentemente, larghe convergenze sul disincantato (quando non cinico) scetticismo circa la capacit delle persone di decidere consapevolmente e autonomamente del proprio destino. Con la Carta, insomma, si avvia un capovolgimento di prospettiva. Basta con le tutele (morali, politiche o mediatiche poco importa) e avanti con lidea di una politica di servizio, che tratti i cittadini finalmente da adulti e lavori per accorciare la distanza che separa ciascuno dalla propria idea di vita buona. Se toccher al Pd, le leggi (contro la violenza alle donne e lomofobia, per il testamento biologico, il riconoscimento delle unioni civili e la riforma della cittadinanza) verranno, saranno laiche e quanto pi condivise. Ma il punto, oggi, non tanto definire i contenuti quanto lobiettivo: dare piena attuazione allarticolo 3 della Costituzione e a quella

Per i democratici e i progressisti la dignit della persona umana e il rispetto dei diritti individuali sono la bussola del mondo nuovo e la cornice generale entro cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma.

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promessa di dignit e di pieno sviluppo della persona umana senza di che, davvero, la politica non ha senso. Per molto tempo abbiamo inforcato le lenti di altri illudendoci che la visione, comunque, si conservasse nitida grazie ai nostri occhi avvezzi a guardare lontano. finita che lo sguardo si accorciato anche a noi. Averlo capito e ripartire da un nuovo paio di occhiali gi un gran passo in avanti.

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Altri Contributi

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Costituzione e virt politica


Mario Dogliani
insegna Diritto costituzionale all'Universit di Torino

Ci stiamo inabissando. Stiamo correndo a grandi passi verso un qualcosa di molto simile a una regressione verso un primitivismo politico: il paese continua a dimostrarsi attratto (certo, provocato da comportamenti politici vergognosi) da forme, diciamo cos, semplificate ed elementari di organizzazione e legittimazione del potere, mostrando di non avere alcuna

fiducia nel conflitto democratico. Continua a resistere, mutate le forme, il richiamo esercitato da un potere illusionistico (non sprechiamo l'aggettivo "carismatico") fondato sulla affabulazione e sulla manipolazione quello descritto con precisione da Thomas Mann ne Mario e il mago (Mario und der Zauberer) nel 1930 i cui interessi sono stabilmente sincronizzati con quelli dei poteri extrasociali (i signori dell'oro, nazionali e internazionali, e i signori dello spirito, tutori dei credenti non adulti).

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La causa di questo inabissamento non immediatamente economica, perch non si pu affermare che le crisi economiche portino di per s, ineluttabilmente, alla crisi della democrazia. Il New Deal rooseveltiano lo prova; e d'altra parte non si pu sostenere che l'avvento nei fascismi in Europa sia stato direttamente determinato da ragioni economiche. Anche di fronte all'impoverimento diffuso, alla paura, all'avvilimento, alla miseria la causa della deriva autoritaria politica, perch si risolve nella incapacit del potere rappresentativo di reagire in modo razionale ed economicamente efficace alla crisi attraverso gli strumenti che gli sono offerti dalla stessa democrazia che lo ha costituito. Ma che cosa ha prodotto questa incapacit? Oggi tutti dicono: la delegittimazione della classe politica dovuta ai suoi vizi e alla sua incapacit; due concause che si rafforzano vicendevolmente. Questa diagnosi, pur vera, rischia, se non sviluppata nell'esame del contesto costituzionale e culturale che ha consentito il diffondersi di quelle negativit, di confermare solo i giudizi di inutilit e di parassitismo diffusi, senza indicare terapie e vie d'uscita. Invocare resipiscenze e scatti volontaristici, non si sa fondati su che cosa, troppo poco per fronteggiare critiche che si indirizzano non solo alla politica intesa come "mondo politico" (e cio classe politica, casta), ma anche alla politica come tipo di azione umana. Occorre cercare una risposta pi strutturata. Alcuni la trovano nella posizione di degrado e subalternit oggettiva in cui la rappresentanza politica stata condannata dal finanzcapitalismo globalizzato: una funzione servente si dice in sostanza non pu essere svolta che da servi e mercenari, e rivelarsi dunque non solo strutturalmente corrotta, ma, nei momenti difficili, incapace di reagire al contesto che cos l'ha plasmata. Ma anche questa una risposta disperante, o incompleta: se solo il rovesciamento di fatto di questo contesto pu ridare dignit alla rappresentanza, allora nei tempi calcolabili non c' niente da fare. Se, invece, dal punto di vista in esame, sufficiente collocarsi in una posizione di critica seppur radicale allora si deve ammettere che anche un atteggiamento soggettivo pu salvare da questa condizione umiliante. In tal modo, per, si torna ad ammettere la possibilit di una rappresentanza politica "libera e pura" in funzione dei valori assunti dal rappresentante, anche nel contesto attuale. Ma non facile definire con esattezza i valori e gli obiettivi politici "liberanti", produttivi di dignit, che saranno inevitabilmente molteplici. E cos si torna daccapo. dunque necessario cercare di mettere meglio a fuoco la domanda: perch la questione morale stata finora nel nostro sistema irresolubile? E perch la critica politica diffusa, che la agita, non una critica a una politica, ma una critica alla politica? Perch non si incanala in una domanda, ma si getta sull'exit (che resta un exit, anche se gridato, non bastando l'intensit delle grida a trasformarlo in voice)? possibile formulare qualche giudizio sullo stato dei comportamenti pubblici che non si concluda con una mera esortazione alla moralit personale, privata, che dovrebbe guidare i singoli individui cui sono affidate funzioni pubbliche? possibile, cio, fare della questione morale una questione costituzionale?
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C' un passo, famoso, della Politica di Aristotele, che rappresenta una sintesi del suo pensiero circa il nesso tra cittadinanza e virt, e che pu indicare la via per un riscatto della politica non affidato alla mera volont dei singoli e al caso delle loro inclinazioni. Dice Aristotele: ... la citt [non] si costituisce semplicemente perch i suoi membri possano vivere, ma perch possano vivere bene ..., n essa si propone per fine la costituzione di un'alleanza volta a impedire il danno reciproco o a favorire uno scambio vicendevole di servizi, perch in questo caso gli Etruschi e i Cartaginesi e tutti quelli che hanno dei patti di intesa reciproca dovrebbero essere cittadini di una sola citt. Eppure questi che hanno s tra loro patti commerciali sulle importazioni ed esportazioni, convenzioni giudiziarie e trattati scritti di alleanza militare, non hanno magistrature comuni; anzi si reggono con istituzioni diverse gli uni dagli altri, non si curano delle loro rispettive qualit, non prendono provvedimenti perch non si compiano ingiustizie o qualche altra colpa da parte di coloro che sono compresi nell'alleanza, ma badano solo che siano

si curano del buon governo, perch evidente che della virt politica si deve preoccupare una citt degna di questo nome e che non sia tale solo a parole. Altrimenti la comunit cittadina diventerebbe un'alleanza militare differente dalle altre, quelle tra alleati lontani, solo per la posizione geografica dei contraenti, e la legge sarebbe una mera convenzione e ... una garanzia dei mutui diritti, ma non sarebbe in grado di rendere buoni e giusti i cittadini. E ribadisce, dopo aver esaminato tutte le condizioni materiali necessarie perch si dia una convivenza, che la citt non si riduce all'unit materiale fondata su quei mezzi, perch fine della citt ... la buona vita ... una vita perfetta e indipendente ... una vita vissuta in modo bello e felice. Perci bisogna ammettere che la comunit politica abbia come fine le belle azioni e non semplicemente la convivenza. Quanti contribuiscono nella misura pi alta alla vita di questa comunit partecipano alla citt in grado pi alto di quelli che, uguali ad essi per la libert in cui sono nati ... o [superiori] in ricchezza, ne sono superati in virt. Da ci che si detto risultato chiaramente che coloro che discutono sulle costituzioni

dunque ragionevole chiedersi: il nostro costituzionalismo ha contribuito a far s che la Repubblica sia qualcosa di pi di un campo in cui si bada solo che siano rispettati i termini della costituzionetrattato, fondata a sua volta su una convenzione mirante a garantire i mutui diritti?
rispettati i termini del trattato. Alla virt e malvagit politica stanno attenti coloro che
1. Politica, III,9, 1280a, 31 - 1281a, 10.

colgono solo una parte di ci che veramente giusto.1

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Ci che colpisce tra le molte osservazioni possibili che il passo suscita la distinzione tra "citt degna di questo nome" e "citt solo a parole". Distinzione che sembra finalizzata non soltanto a sostenere (con una argomentazione ab absurdo) la polemica intellettuale contro coloro che discutono sulle costituzioni senza comprenderne l'essenza, ma la constatazione che le citt possono veramente essere citt solo a parole; che il rischio di essere citt solo a parole possibile. questa, d'altra parte, una affermazione che ricorre in molti dei nostri discorsi, quando critichiamo l'Unione Europea per il suo deficit di democrazia. Non ci riferiamo infatti, con questa critica, al fatto che, pur avendo "magistrature comuni" (e dunque essendo una "citt"), l'Unione Europea una citt solo a parole perch si limita a sorvegliare il rispetto dei trattati e dei mutui diritti, e non si occupa della buona vita dei cittadini? E quando ricordiamo lo scopo di pace che aveva il disegno europeista ai suoi inizi, e, in fondo al di l degli egoismi nazionali che sono riemersi prepotentemente e della strumentalit di molti dei discorsi sui debiti pubblici quando si parla di quel profilo per cui le parole debito e peccato si intrecciano, non si pone forse il problema di un raccordo tra fini virtuosi e comportamenti virtuosi, in assenza del quale l'Unione resta una citt solo a parole? dunque ragionevole chiedersi: il nostro costituzionalismo ha contribuito a far s che la Repubblica sia qualcosa di pi di un campo in cui si bada solo che siano rispettati i termini della costituzione trattato, fondata a sua volta su una convenzione mirante a garantire i mutui diritti? E in che cosa consiste, oggi, questo "di pi" che renderebbe la costituzione nel suo insieme capace di promuovere effettivamente le "belle azioni" e contrastare (ovviamente su un piano diverso da quello della repressione penale) la "malvagit politica"? E se questo di pi non c', vuol forse dire che viviamo in una citt solo a parole? e cio che non abbiamo (pi) costituzione? Si pu certo innanzi tutto dire che questo "di pi" dovrebbe consistere nell'effettivit politicogiuridica del principio stabilito dall'art 54 della Costituzione, secondo cui Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. La Costituzione "presuppone" la sostanza dei concetti di fedelt, disciplina e onore (e la vincolativit morale del giuramento), designanti virt politiche, e ne afferma il rilievo politico. Non sono necessarie molte parole per dimostrare come la ricerca dei mezzi capaci di dare effettivit a questo principio, e per svilupparlo in tutte le sue implicazioni, magis ut valeat, non sia stata affatto perseguita. Una scorsa alla bibliografia costituzionalistica dimostra che l'attenzione culturale per esso stata minima. Paragonata al rilievo attribuito ai temi pi estremi dei diritti di libert, pressoch nulla. Ed ragionevole affermare che la nullit dell'attenzione accademica sia simmetrica alla nullit dell'attenzione culturale generale, e di quella politica. Sarebbe interessante condurre un'indagine sui luoghi letterari e giornalistici in cui la parola "moralismo" appare in senso spregiativo; e chiarire a

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quale nozione di morale essa si riferisca. appena il caso di ricordare che questo vuoto non affatto colmato dalla strabordante attenzione che politica e accademia hanno dedicato al tema delle riforme istituzionali come riforme della politica. Qui il tema sempre stato quello della efficienza dell'azione di governo, intesa in senso lato, e, in parte minore, quello della responsabilit politica degli eletti: la qual ultima cosa non attribuisce autonoma rilevanza al giudizio sulle virt politiche prima ricordate, essendo rimasta sempre strettamente inscritta nel circuito tra interessi (intesi in senso "materiale", per usare una parola sbrigativa) e valutazione del loro soddisfacimento. N il vuoto stato colmato dal cd. neocostituzionalismo, in quanto la eticizzazione della costituzione che esso propugna si risolve in una eticizzazione della giurisdizione, senza toccare il tema della politica e delle virt politiche. Anzi assumendo che la politica non , n pu essere, il luogo della virt, il quale invece la giurisdizione, in quanto fondata sulla saggia applicazione di un diritto che non coincide con la legge positiva politicamente prodotta. Ci troviamo dunque in una situazione apparentemente paradossale. Da un lato e da tempo a fronte dei vizi anche ripugnanti di una parte cospicua della classe politica si diffonde il convincimento che le cattive azioni e gli scandali minino alla radice la capacit del sistema politico di adempiere alla propria funzione rappresentativa e di governo; dall'altro, il sapere scientifico e strumentale sembrano non riuscire a comprendere la connessione tra questione morale e questione democratica, a valorizzarla e a sistematizzarla nella teoria politica e costituzionale. Cosicch i
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comportamenti viziosi appaiono come un qualcosa, appunto, di scandaloso, di inaudito, di esterno, geneticamente solo privati e imperscrutabili. Prima di riprendere il filo della riflessione sul rapporto tra convivenza e vita buona, tra cittadinanza e virt, pu non essere inutile cercare di definire meglio la natura del sentimento oggi pi diffuso: l'indignazione. E cercare di chiarire le differenze che lo separano dallo sdegno: l'uno, un sentimento potenzialmente o indirettamente politico e, l'altro, radicalmente antipolitico. Un po' scherzosamente (ma non troppo) potremmo chiederci: se nei tempi arcaici della magia il mondo generava sentimenti di terrore; in quelli della religione, di devozione; in quelli della scienza, di curiosit; in quelli delle rivoluzioni, di ribellione; in quelli dei totalitarismi, di resistenza; in quelli della democrazia, di partecipazione ... oggi, quale sentimento il (nostro) mondo genera? Non sarebbe sbagliato dire: lo sdegno. Si usa molto, per definire l'atteggiamento di rifiuto di indirizzi o comportamenti politici, la parola "indignazione"; e l'indignazione cosa sacrosanta. Ma a ben vedere l'atteggiamento pi diffuso non , sempre, di indignazione. Frequentemente, o forse pi frequentemente, di sdegno. Che cosa diversa. Nel linguaggio corrente, indignazione e sdegno possono coincidere; ma lo sdegno ha un significato eccedente. La differenza sta nel fatto che l'indignazione generata dalla violazione di principi morali reputati fondamentali, mentre lo sdegno pu anche nel significato "eccedente" essere generato da una smisurata coscienza di s: dall'orgoglio e dal disprezzo delle cose e

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delle persone. Pu cio designare l'atteggiamento di chi ritiene di non essere "alla pari" del suo interlocutore, o, peggio, di chi ritiene di non essere adeguatamente considerato o trattato dal suo interlocutore. L'indignazione genera ribellione verso gli autori dei comportamenti inaccettabili e mobilitazione collettiva; e trasporto caritatevole nei confronti delle loro vittime. Lo sdegno, disprezzo stizzito. Il problema che molti che oggi si dicono, e sono definiti come, indignati sono, in realt, sdegnati. Il che spiega anche perch oggi, quando l'indignazione si dice diffusissima e dilagante, la mobilitazione politica sia invece scarsa (dal momento che l'esecrazione solitaria affidata ad un computer difficilmente pu di costume, ma di immediato rilievo costituzionale perch alla base della crisi della rappresentanza moderna, la quale trae il proprio valore da quello attribuito al conflitto e alla mediazione politica. Ed qui, nel preciso punto di questa attribuzione di valore, che lo sdegno si manifesta. Se si ammette che la societ divisa, fratturata, e che qualunque contrasto (di interessi, religioso, etnico ...) pu trasformarsi in un contrasto distruttivo, allora la politica come arte della tessitura capace di indicare un cammino "nazionale" acquista la sua nobilt; anzi si pone come la pi nobile delle attivit umane. Ma se la politica

Si usa molto, per definire l'atteggiamento di rifiuto di indirizzi o comportamenti politici, la parola "indignazione"; e l'indignazione cosa sacrosanta. Ma a ben vedere l'atteggiamento pi diffuso non , sempre, di indignazione. Frequentemente, o forse pi frequentemente, di sdegno
essere considerata, da sola, una mobilitazione), di gran lunga pi scarsa di quella che si manifest in anni passati, sugli stessi temi: appunto perch non di indignazione si tratta, ma di sdegno. Solo gli indignati si mobilitano. Lo sdegno un sentimento complessivo che pu emergere in tutti i momenti della vita e riferirsi a qualunque oggetto, perch la sua caratteristica consiste proprio in questo: nel mettersi al centro del mondo per poi voltargli le spalle. Ma limitiamoci allo sdegno nei confronti della politica. Il suo diffondersi non solo un fenomeno delude e fallisce, tanto pi dopo essersi degradata in demagogia, ed aver adulato il popolo, come avvenuto in Italia allora assume immediatamente i connotati di una funzione inutile e parassitaria. A questo punto scatta la ribellione contro chi incarna tale disprezzata funzione. Ribellione che pu essere propriamente politica (e cio mirata alla restaurazione di un "vero" campo del conflitto), oppure propriamente antipolitica (e cio mirata alla eliminazione del campo politico in s, dal momento che l'operare della classe politica ne avrebbe definitivamente
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dimostrato il carattere finto e inutile). In questo contesto emerge lo sdegno nella sua differenza radicale con l'indignazione. L'indignazione una passione politica violenta; lo sdegno una gelida mummificazione del rapporto con la vita: la classe politica, tutta, inutile dice lo sdegnato e dunque non vado a votare; la classe politica talmente e irrimediabilmente inutile che non merita di esistere: sia eliminata e il governo affidato a non importa chi (ai tecnici o a chi la provvidenza vorr inviarci). ovvio che considerare la politica inutile, e parassitaria in quanto tale, comporta che non si attribuisca alcun valore non solo alla classe politica chiamata ad esercitarla, ma anche al conflitto politico in s, perch non si attribuisce alcun riconoscimento alla difficolt politica dei problemi (alla difficolt generata dal fatto che non si tratta di problemi intellettuali, ma di questioni vitali e dunque mortali di interessi e di potere). Al contrario, si assume che siano problemi "tecnicamente" risolubili se solo non fossero intralciati dall'ignoranza e dalla voracit della classe politica stessa. E se si guarda pi a fondo si vede con chiarezza che ci che viene rifiutato non solo la complessit politica dei problemi, ma la loro complessit toutcourt. la cuoca di leniniana memoria che si reincarna in ogni sdegnato che si chiede "come si faccia a non capire quello che cos evidentemente necessario". in questo tornante che si perfeziona lo sdegno: la politica inutile non perch non brava nell'affrontare problemi difficili, ma perch non capisce le cose che io invece capisco perfettamente. In questo senso campioni dello sdegno sono molti editorialisti dei grandi giornali, che si presentano non come gli esperti che possiedono l'arte di spiegare in modo semplice i problemi difficili senza che la spiegazione perda di rigore, e dunque di verit scientifica (come il Luigi Einaudi ammirato da Piero Gobetti), ma come coloro che sistematicamente contrappongono il loro "ovvio" (offerto come un ovvio rappresentativo di ci che i loro lettori gi sanno) all'inutilmente complicato, o insensato, velleitario, pigro ... fare/non fare della politica. Questo atteggiamento micidiale. I conflitti di qualunque genere non vengono delucidati nella loro cruda realt, come

C' dunque e non solo nel nostro paese (e non solo rispetto alle cose politiche) come una anti-passione diffusa, una voglia di gettare la spugna, di lasciar perdere, che per non accompagnata dal sentimento della sconfitta, dalla rabbia di doversi arrendere all'impotenza, dal desiderio di riprendere in qualche modo la strada non appena possibile, ma piuttosto da un sentimento di fuga nella superiorit: fa tutto schifo, e io non voglio saperne
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conflitti "che ci sono", che il nostro mondo ha prodotto, e che dunque vanno affrontati nel loro essere storico; ma vengono invece presentati come conflitti "che non ci dovrebbero essere" se solo si capisse quel che la malvagit o l'inettitudine o la miopia politica non capisce. In tal modo i conflitti vengono banalizzati, totalmente soggettivizzati, e si getta il germe dello sdegno. Il mondo non pi un groviglio difficile da decifrare e da conformare, grande e terribile; solo uno scenario di banalit, stupido e corrotto. questo continuum tra lo sdegno pubblico del matre penser e del clerc e lo sdegno privato, ma vociante, della cuoca che costituisce un pericolo mortale per la democrazia. Se i problemi posti dalla vita sociale sono chiari e facili, a che cosa servono le istituzioni, i partiti ... Basta che ci sia "uno come noi" che li affronti. Non questione della incapacit e della corruzione dimostrata da questo partito, da questo governo. questione che "io" posso a fare a meno di qualunque partito, di qualunque "schieramento", di qualunque azione collettiva. E come me, tutti quelli come me. Se si potesse sorridere di tutto ci che tragico si potrebbe dire che lo sdegnato canta alla politica: Non sei degna di me; non mi meriti pi.... Al male non si contrappone la critica e la passione per un bene. Si voltano le spalle, si crea un vuoto, si d una delega assoluta: essendo ovvio che chi la raccoglier non potr che essere "come me". C' dunque e non solo nel nostro paese (e non solo rispetto alle cose politiche) come una antipassione diffusa, una voglia di gettare la spugna, di lasciar perdere, che per non accompagnata dal sentimento della sconfitta, dalla rabbia di doversi arrendere all'impotenza, dal desiderio di riprendere in qualche modo la strada non appena possibile, ma piuttosto da un sentimento di fuga nella superiorit: fa tutto schifo, e io non voglio saperne. Il dilagare dello sdegno ferme restando le colpe mortali della corruzione politica, che agisce da catalizzatore potrebbe essere inteso come il nuovo volto di quella anomia che poco tempo fa veniva diagnosticata, dal Censis, sulle orme di riflessioni provenienti dal mondo della psicoanalisi soprattutto francese, come particolarmente evidente nella societ italiana. Una anomia esprimentesi in una perversione del legame sociale, fattosi, da "oblativo", "rapace": perverso proprio in quanto non riconoscente altra regola se non quella del godimento. Una coazione all'appropriazione al godimento compulsivo degli oggetti sembrava dominare i comportamenti, non pi capaci di vero desiderio. Oggi tra i pianti e lo stridor di denti che la crisi provoca c' da chiedersi se quella rapacit sia stata sconfitta. Forse, in suo luogo, purificata dalla sofferenza, si insediata la passione ribelle, di nuovo capace di azione collettiva? o quello stesso atteggiamento ha solo mutato la forma del suo manifestarsi, ed diventato sdegno: egoistico esattamente come la precedente ricerca di godimento? La risposta difficile, ma le domande sono quanto meno sufficienti a dimostrare che ragionevole pensare che la crisi non stia tutta nelle istituzioni, negli apparati, tra "i politici", ma che abbia radici profonde nella struttura psichica di massa, e che lo sdegno sia la parte sommersa, pesantissima, del problema. Lo

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sdegno un voltar le spalle, un modo di andarsene dalla comunit politica. Ma non si pu voltar le spalle alla comunit politica perch, come dice il filosofo, chi (dice che) non ha bisogno di nulla, bastando a s stesso, non parte di una citt, ma o una belva o un dio. Alternativa inquietante. Se non la meccanica delle istituzioni, ma l'assenza di quella componente essenziali delle costituzioni che la virt, il cuore della crisi, come reagire a questa situazione? Come rendere la questione morale una questione costituzionale nel senso prima chiarito, e cio assumendo la costituzione come ci che fa essere la citt una citt non solo a parole? Come reagire, detto pi prosaicamente, ad una situazione umiliante, per cui il nostro paese considerato la pecora nera d'Europa quanto a inefficienza politicoamministrativa, a corruzione pubblica e privata, a estensione della delinquenza... Il primo passo dovrebbe consistere nello smettere almeno da parte di qualche forza politica e di qualche settore della cultura di praticare l'adulazione del popolo, e cio la demagogia. Non c' nessuna societ civile che sempre dalla parte della ragione, e nessuna classe sociale buona per natura. Vizi e virt sociali vanno criticati e discussi pubblicamente. Quanto siamo lontani dalla comprensione del vero "stato della nazione" lo dimostra la totale assenza nella letteratura e nella filmografia di opere critiche (amare o ironiche, satiriche o tragiche) nei confronti della societ "normale". Non inondando le televisioni di programmi fondati sulla lotta tra buoni e cattivi, tra eroi e mostri, che si fa progredire l'autoconsapevolezza critica. Si pu pensare a Bunuel, ma anche solo chiedersi: chi ha pi visto un dottor Tersilli? La "dannazione" di alcuni come "i politici" o i trafficanti di droga se presentati come totalmente altro, confinati in un mondo stilizzato, fantastico, che non ha contatti con quello quotidiano, non fa compiere alcun passo in avanti nel cammino verso l'educazione privata e pubblica. Anzi, genera tranquillizzanti capri espiatori. La "virt", nella tradizione greca, l'eccellenza in una "pratica", dove per "pratica" non si intende una singola azione, ma un'attivit riconosciuta ed apprezzata da una determinata comunit. Tale eccellenza si configura come un "abito", cio una disposizione abituale, frutto di una serie di interventi sul mero dato naturale l'indole quali l'educazione, l'esercizio, l'obbedienza alle leggi, l'elogio e il biasimo della comunit di appartenenza. L'insieme delle virt viene cos a formare il "carattere", in greco thos (con la ta), da cui deriva "etica", il quale a sua volta il frutto dell'abitudine, in greco ethos (con la epsilon), cio della ripetizione di azioni buone, nel caso di un carattere virtuoso, o cattive, nel caso di un carattere vizioso2. Se, a fronte di questo quadro attivo di costruzione sociale delle virt, pensiamo a quanto oggi tutti anche da altissimi scranni dicono: che dobbiamo combattere la corruzione e approvare una apposita legge "perch ce lo chiede l'Europa", cadono le braccia. Alla virt e malvagit politica stanno attenti coloro che si curano del buon governo, perch evidente che della virt politica si deve preoccupare una citt degna di questo nome e che non sia tale solo a parole, abbiamo letto in Aristotele. Da noi,

2. Enrico Berti, Alasdair MacIntyre: comunit e tradizione, in http://www.dircost.unito.it/dizionario/pdf/Berti-MacIntyre.pdf

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occuparsi della virt e malvagit politica un "compito da fare a casa" perch altri ce lo hanno dettato. Non abbiamo pi nemmeno la forza di assumerlo come nostro. In questo orizzonte ed questo il secondo passo che andrebbe fatto, posto che riusciamo, se non a rimetterci in piedi, almeno in ginocchio politica e cultura dovrebbero impegnarsi nello sforzo di riorientare, secondo le diverse visioni del mondo che si accolgano, i sentimenti dell'opinione pubblica, non pi adulata, verso la passione politica e la responsabilit collettiva. Ma non basta dare uno sbocco alla indignazione immettendola nel conflitto politico secondo la mera logica dell'amiconemico, separando bene e nettamente le parti, i campi, i giudizi, le responsabilit. Occorre che la passione politica abbia come elemento costitutivo essenziale una idea di bene (qualcosa di simile all'"amore del ben fare" che caratterizzava la cultura operaia e contadina): un'idea che possa fungere da parametro per l'elogio e il biasimo, strettamente intrecciando dimensione privata e pubblica. Cosicch il discorso politico abbia ad oggetto non solo l'utile, ma anche il bene. Ammettiamo che percorsi educativi siano tuttora presenti nelle formazioni sociali. La parte pi spinosa del discorso riguarda le forme di collegamento tra questi percorsi e l'ambiente pubblico dove quelle diverse forme di educazione dovrebbero assumere dimensione politica. qui che viene il tema difficile dei partiti. ovvio che non ci si pu illudere sulla loro capacit attuale di assumersi questo compito. I partiti nel loro insieme si sono trasformati, ovviamente chi pi chi meno, in artropodi, cio in esseri che (come i granchi e le aragoste) non hanno, a differenza dei vertebrati, uno scheletro (una sostanza sociale che li regge, costituita da risorse di potere autonome, di natura culturale ed organizzativa), ma solo un esoscheletro (una corazza esteriore costituita dai ruoli istituzionali occupati in forza del potere di designare le candidature). Il che spiega la forza preponderante, al loro interno, dei titolari di cariche elettive e l'eclisse della dirigenza di partito come dirigenza autonoma. Anche il maggior partito della sinistra si indebolito in quanto comunit politica. Non certo pi ovvio e naturale paragonarlo a un vertebrato (giraffa, rinoceronte, elefante o leone che si voglia, come nel celebre duello tra Togliatti e La Malfa). Per quanto riguarda la cultura, che dovrebbe contribuire a sostenere questo processo, sarebbe necessario che l'egemonia del sapere scientifico e strumentale, e del radicale individualismo che lo ispira, si riducesse, e che si ampliasse invece l'influenza di quelle forme di sapere che si richiamano alla filosofia pratica e, per altro verso, all'istituzionalismo. Forme di sapere che si dimostrano pi capaci di comprendere la struttura profonda dei comportamenti umani, e che sono interessate a non separare (nel senso di non rendere reciprocamente irrilevanti e ignoranti) il discorso morale da quello istituzionale; la tecnologia del potere dalla critica dei suoi fini; le tradizioni politiche dalle tecniche di governance; l'affidamento esclusivo alle regole repressive dello Stato dalla ricerca delle vie per garantire comportamenti buoni senza costrizione; la responsabilit come esposizione ad una sanzione da quella della responsabilit come assunzione di un compito in favore dell'altro; i diritti fondamentali come diritti pretesi dai singoli beati possidentes dai diritti fondamentali come diritti da rendere
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