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DECADENZA DELLA CONVERSAZIONE In un racconto di Tommaso Landolfi, uno dei pi belli de Un paniere di chiocciole, lautore racconta le sue lunghe,

beate, spesso notturne conversazioni letterarie con Renato Poggioli (chi non ne ricorda Il fiore del verso russo?) con sullo sfondo lincanto della citt unica, Firenze. Ci che rimane indelebile a tanti anni da questa lettura lindifferenza al fluire del tempo dei due amici storditi e dimentichi di ogni altra occupazione. Certo molte cose sono mutate: la Firenze ermetica naturalmente non esiste pi e le Giubbe rosse sono divenute un caff quasi esclusivamente turistico. Non esiste pi nemmeno la Milano esistenzialista degli anni Trenta e Quaranta che vide le appassionate discussioni tra Enzo Paci, Remo Cantoni e Vittorio Sereni n la Torino gobettiana e poi einaudiana. Nella quale una decina di anni fa veniva invece insistentemente ripetuta dai letterati, anche di rilievo e di fama, la confessione, fatta anche a chi scrive, dessere divenuti sordi alla poesia, insensibili, insomma. Detto questo, come discutere pi? I letterati, gli intellettuali italiani non sono dunque da tempo pi rauchi per la conversazione ininterrotta come li rappresenta Franco Fortini in una poesia del 1957. Listantanea pi riuscita di questa afasia in tanti dialoghi di Scuola di nudo, uno dei migliori romanzi degli ultimi anni, in cui Walter Siti descrive con una lucidit che giunge fino al cinismo lindifferenza profonda verso loggetto delle loro fatiche di un gruppo di studiosi pisani. Certo queste non sono le premesse migliori per una dignitosa sopravvivenza da noi della critica letteraria, di cui infatti recentemente Mario Lavagetto ha celebrato leutanasia facendo eco, ventanni dopo, al Critico senza mestiere di Alfonso Belardinelli. Gli addetti ai lavori, nel frattempo, si tirano su definendo mar morto gli attuali studi di letteratura

italiana. Ci si abitua, ci si adatta, ci si chiude a riccio in piccoli gruppi di lettura, per chi insegna c sempre la grande risorsa che sono gli adolescenti, ma insomma, la situazione questa. Che le cose altrove possano stare in modo diverso a tutta prima sembra impossibile. Ma impossibile non . Ne ebbi testimonianza qualche anno fa davanti allentusiasmo delle colleghe spagnole per la loro poesia e per i loro poeti che chiamano amorosamente per nome con un tono ineffabile: Juan Ramn, Federigo. Entusiasmo che ritrovai a un convegno sulla letteratura cilena da parte degli accademici latinoamericani, e che era tanto pi notevole in quanto, come si pu immaginare, non si parlava di cose particolarmente allegre. Non un caso isolato. Me ne accorsi una prima volta quando mi ritrovai a un pranzo ufficiale accanto a una interprete russa, perfettamente bilingue. Approfittando di questo innegabile vantaggio ci immergemmo in una conversazione letteraria quasi in apnea, scoprendo gusti comuni. Michail Bulgakov e Alexander Blok su tutti. Difficile rendere il rapporto intimo, gioioso e insieme rispettoso che la giovane intratteneva con una tradizione che sicuramente per lei era una cosa viva. Con i russi le barriere cadono facilmente, si sa, e cos, ancora recentemente si ripetuto questo miracolo. Un gruppo di ospiti russi seduti in salotto dopo un pranzo, caff, discussione letteraria. Mi sono ritrovato a dibattere con un matematico armeno se la letteratura russa dellOttocento possa essere insidiata nella sua supremazia (che per loro un dato di fatto) da quella francese. Da qui una disputa fitta e garbata, fatta di esempi e controesempi, di analisi di novelle di Maupassant (Boule de suif), di giudizi negativi su Dumas, di citazione di versi di Puskin, di allusioni a Cechov e, naturalmente, a Tolstoj e Dostojevskij. Finimmo con Bachtin senza davvero renderci conto del tempo che passava. Dopo i saluti calorosi abbiamo avuto difficolt a rientrare nella torbida e snervante atmosfera italiana, ma bastato accendere la

televisione. Renato Calapso

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