Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Mark Rothko
Di Eleonora Rebecchi
Mark Rothko
Introduzione
Storicamente Mark Rothko è uno dei protagonisti di quel
movimento che la critica ha chiamato espressionismo
astratto, nonostante lui stesso abbia soventemente smentito
questa definizione. L’espressionismo astratto prese piede negli
anni cinquanta e quando le opere furono inviate nei principali
musei europei, riscossero da subito notevole successo ed
interesse. L’espressionismo era considerato nuovo, fresco, senza
modelli precostituiti, e andava a descrivere un processo, piuttosto
che uno stile: i sentimenti erano direttamente espressi tramite
l’azione pittorica. Jackson Pollock, Willem de Kooning, Adolph
Gottlieb, Barnett Newman e Mark Rothko erano i principali
esponenti. Le influenze furono molteplici: dall’arte europea
(surrealismo, espressionismo ed autori come Ernst, Mondrian,
Tanguy e Chagall) alle opere d’arte esposte al MOMA (Matisse,
Kandinsky, Orozco, e le opere tarde di Monet). L’espressionismo
non fu mai una corrente unitaria con un programma ben definito,
ma un gruppo lasso dalle posizioni oltremodo distinte. La pittura
di Pollock e Kooning fu definita d’azione, “action painting”; quella
di pittori come Rothko e Newman si associarono alla seconda
corrente dell’espressionismo astratto, la cosiddetta “Colorfield
painting” traducibile con pittura delle campiture, in cui la forza
emozionale del colore e non l’azione gestuale assume un ruolo
predominante.
Un po’ di storia
La svolta
Fino agli anni quaranta, Rothko si occupa di figurativo, passando
per cupi e drammatici paesaggi urbani fino a mescolare mitologia
e surrealismo: ciò accade grazie all’applicazione della musica,
che egli amava (suonava sia mandolino che pianoforte) alla
pittura. Infatti, per dare alla pittura la stessa emotività della
musica, Rothko proseguì nella dissoluzione della figura umana
fino a giungere alla pura astrazione. L’anno 1946 rappresentò per
Rothko un punto fondamentale nella sua opera. Innanzitutto
realizzò una nuova serie di dipinti, i cosiddetti
“multiforms”(termine postumo che la critica diede a queste
opere), che possono essere considerati quale passaggio
intermedio del cammino verso i dipinti “classici” astratti.
All’epoca l’artista rinunciò ai temi e ai motivi sino ad allora
espressi nei suoi dipinti. Le forme biomorfe dominanti alla metà
degli anni quaranta divengono macchie cromatiche prive di
consistenza, sfocate, che paiono sorgere dall’interno del dipinto.
Rothko donò loro trasparenza e luminosità, stendendo sottili
strati di colore su tela e colore su colore. <<Vorrei dire, senza
riserva, che secondo la mia opinione non ci deve essere alcuna
astrazione. Ogni forma, ogni zona sulla superficie pittorica che
non ha la concretezza pulsante di carne ed ossa, non ha la
fragilità, la ricettività di gioia o dolore, è semplicemente il nulla.
Un’immagine che non descrive l’ambiente circostante in cui può
essere assorbito il respiro della vita non mi interessa>>
Conclusione
L’arte di Rothko è un’arte assolutamente religiosa. Si scorge la
radice della cultura ebraica, che spiega i grandi vuoti dei suoi
quadri. Ma più potente è forse la memoria, meno opposta di quel
che sembra, della cultura delle icone. Le icone non sono
rappresentazioni o racconti di un fatto, come è proprio della
cultura figurativa occidentale. Le icone vivono in una tensione
permanente di immedesimazione con il soggetto rappresentato.
Così la pittura di Rothko vibra nel desiderio di un’identificazione
con l’assoluto. È questo che la fa immensa, indescrivibile anche
se fatta di nulla, praticamente irriproducibile. È questo che te la
fa guardare per interi minuti lasciandoti con la certezza di aver
perso la maggior parte dei particolari.
Ma arriva poi il punto in cui l’assoluto, per essere reale, per
essere un conforto, ha bisogno di diventare un volto. Rothko su
quella soglia si era fermato. Con onestà, passo per passo,
riconosceva l’inadeguatezza di quei miracoli realizzati sulle tele. E
si spingeva sempre più in là a cercare miracoli sempre più grandi.
L’ultimo lo tentò cercando di riempire di luce il nero. «Astrazione
e figurazione sono una falsa questione. La vera questione è di
mettere fine a questo silenzio e a questa solitudine, di respirare e
tendere di nuovo le braccia». Il suo totale rifiuto di riprodurre
nell’arte la natura lo spinse a ridurre la sua pittura a vaste
superfici cromatiche. Attraverso la sua opera ebbe una funzione
sempre più decisiva nell’evoluzione della pittura monocroma. La
profondità spaziale e la forza meditativa delle sue creazioni sono
davvero uniche nel suo genere e riescono anche a ricreare un
vero e proprio dialogo tra osservatore e osservato. Come riusciva
a realizzare con queste poche combinazioni una tavolozza di toni
caldi e freddi, chiari e scuri, splendenti e opachi, luminosi e cupi,
esaltanti e tristi, pacati e passionali, suscitando sentimenti con
cui riusciva a rendere l’ampiezza, la molteplicità, la drammaticità,
la profondità e il respiro della musica sinfonica, da lui tanto
amata? Chi sa rispondere a queste domande sono solo i suoi
dipinti e coloro che li osservano.
Bibliografia
Rothko - Jacob Baal Teshuva, ed. Taschen