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-Alain Daniélou- I quattro sensi della vita ,

CASTA E MATRIMONIO (pp. 60-63)

Il principale problema, nella relazione fra le razze e fra le caste, riguarda il matrimonio. Per il legislatore
indù il matrimonio è innanzi tutto un'istituzione sociale che ha come scopo esclusivo la propagazione di una
specie e la preservazione delle razze, delle caste, delle comunità, potremmo anche dire delle nazioni. Per gli
indù c'è una differenza assoluta fra i divertimenti erotici di ogni natura che fanno parte dello sviluppo
armonioso dell'individuo e il matrimonio che ha come scopo la famiglia, la continuazione di una specie. Il
matrimonio non è dunque una questione di amore ma è piuttosto il risultato di una scelta ponderata che
tiene conto esclusivamente dell’ereditarietà, dell'equilibrio e della felicità dei figli.
Per piaceri transitori e momentanei non c'è affatto bisogno di una istituzione come il matrimonio.
Considerare il matrimonio sotto questo profilo significa misconoscerne completamente la dignità. Il
matrimonio d'amore, di occasione o riparatorio, che può essere rotto con il divorzio, così come è inteso
oggi da molti popoli occidentali è, dal punto di vista indù, un’istituzione assurda e immorale, una sorta di
prostituzione legalizzata che non corrisponde a niente sul piano morale o sociale. Il matrimonio non è
semplicemente una ufficializzazione delle relazioni sessuali. E un'istituzione importante il cui unico scopo è
la prole, la continuazione della specie nelle migliori condizioni possibili, ambientali ed ereditarie.
Avendo come base il rispetto delle specie, che sono opera del Creatore, il matrimonio è un’istituzione che
interessa la casta, la razza, la professione, la nazione, e con la quale l’individuo non ha il diritto di giocare
poiché essa riguarda tutti gli altri individui. II divorzio non è ammesso che per le caste artigianali le cui leggi
sono differenti e per le quali non esiste in pratica alcun divieto sessuale, il che fa parte dei loro privilegi. La
poligamia fa parte del privilegio della casta dei principi (guerrieri).
Se le restrizioni riguardo al matrimonio sono severamente osservate da parte di tutti, le differenti caste o
razze possono vivere insieme in buona amicizia, possono trarre profitto le une dalle altre senza pericolo per
i costumi, le tradizioni e la progenitura di ciascun gruppo. Nell'India antica la donna non è mai stata
rinchiusa come è accaduto dopo l'invasione musulmana e fino a oggi. A quell'epoca era rispettata da tutti e
il matrimonio fra caste diverse era inimmaginabile. È soltanto dopo l’arrivo dei musulmani e poi dei
cristiani, i quali hanno sanzionato unioni razzialmente disparate, che la donna indù ha perduto le libertà di
cui godeva fuori dalla propria casa. La legislazione indù non è puritana, tiene conto in larga misura delle
debolezze umane, ma il matrimonio fuori-casta è considerato come un atto antisociale che rischia di
mettere in pericolo l'intera struttura sulla quale riposa l’equilibrio della società. A questo riguardo i codici
morali dell'Occidente moderno e dell'India sono completamente differenti, poiché l'Occidente considera
morali anche le unioni più eterogenee qualora siano legalizzate, senza preoccuparsi degli eventuali
problemi dei figli. L'indù, al contrario, considera il matrimonio d'amore o fuori casta come più immorale e
come più socialmente pericoloso di qualsiasi forma di unione temporanea, di prostituzione, di
omosessualità, o di fantasia sessuale ove non entrano in gioco che questioni di ordine morale o di equilibrio
individuale, rispetto alle quali ogni legislazione ha ben poche giustificazioni ed è dunque tirannica, giacché,
solamente quando l'azione dell’individuo rappresenta un pericolo per terzi innocenti (in questo caso la
prole) e di conseguenza per la società, lo Stato è legittimato e obbligato a ridurre la libertà individuale. I
legislatori indù erano convinti che l'incrocio delle razze o delle caste distrugga, in grande misura, il valore
delle due parti che si mescolano e ricreano una materia umana primitiva priva delle virtù dei due gruppi che
bisognerà di nuovo plasmare e formare forse per secoli, sino a quando una nuova mescolanza divenga
omogenea e possa dare vita a una razza, a una civiltà nuova, dotata di caratteristiche proprie. Le razze
miste costituiscono generalmente una sorta di isolante ostile e corruttivo che separa profondamente le due
razze che l'hanno generato, e non possono mai, salvo rare eccezioni, servire al loro avvicinamento. Se, al
contrario, ogni possibilità di matrimonio (...) resta assolutamente fuori questione, allora noi possiamo
facilmente legarci con persone, di ogni razza, di ogni casta e trarre grandi vantaggi dalle loro qualità e dalla
loro cultura. Astenersi da ogni tentativo di matrimonio fuori dalla propria casta e dalla propria razza è, dal
punto di vista indù, un elemento di decenza sociale tanto fondamentale quanto, per esempio, astenersi dal
fare proposte sentimentali a ogni donna che si incontra, il che renderebbe piuttosto difficile la vita sociale.
In realtà la questione è quasi identica nei due casi. La differenza risiede solo in una prospettiva di tempi.
L'avventura temporanea che è immorale nella misura in cui rischia di mettere in pericolo la vita di una
famiglia equivale a ciò che rappresenta, nei confronti della vita di una razza, di una casta, di una civiltà
millenaria, il matrimonio di due individui disparati, che non ha senso, giacché il matrimonio non dovrebbe
essere che un anello nella trasmissione della vita di una specie, un istante della vita di una razza, di una
dinastia. L’unione procreatrice che rischia di disorganizzare la vita di una razza è in sé molto più antisociale
e immorale di un’avventura passeggera senza conseguenze."
V. pure "Daniélou - Caste, egualitarismo e genocidi culturali".

www.alaindanielou.org

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