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L'AQUILA FUNESTA.
Gli ultimi otto anni in cui regnò il re Huayna Capac furono pieni di contrarietà e d
i cattivi presagi.
Una volta, durante una festa in onore del Dio Sole, apparve in cielo una grande
aquila reale inseguita da falchi e altri uccelli rapaci che l'attaccavano con i
loro becchi, uno alla volta, impedendole di volare.
La regina dei cieli, così crudelmente aggredita, venne a rifugiarsi fra la gente c
he si trovava nella piazza centrale dove c'era la corte.
Vedendo l'uccello così ferito e spogliato delle piume anche più piccole lo presero e
lo portarono a palazzo con grande sollecitudine e cercarono d'alimentarlo e di
procurargli tutte le cure necessarie, affinché guarisse, perché quell'incidente acca
duto durante la festa era considerato un cattivo presagio e gli Amautas, gli ind
ovini, e tutto il popolo si erano allarmati vedendo scendere dal cielo un' aquil
a regale in quelle condizioni pietose.
Huayna Capac, contrariato da quell'avvenimento, riunì gli indovini che per l'occas
ione fecero un infinità di predizioni rivolte tutte ad annunciare la prossima dist
ruzione dell'Impero e la rovina della famiglia reale.
Nel frattempo erano giunte notizie di grandi imbarcazioni che navigavano lungo l
a costa, il cui equipaggio era composto da valorosi guerrieri di pelle bianca e
grandi barbe bianche (2).
Il re chiamò il capitano più anziano della sua scorta chiamato Pechuta, persona di g
rande fiducia per il suo giudizio e la sua prudenza, e gli chiese qual'era la su
a opinione a proposito dell'arrivo degli uomini bianchi.
Pechuta rispose: "Grande signore, figlio del Sole e protettore dei poveri, un an
tico oracolo ritenuto attendibile dai nostri antenati annunciava che passati tan
ti re quanti sono quelli che in te si contano, sarebbero arrivati stranieri mai
visti prima, i quali avrebbero dominato il regno e distrutto i nostri Dei.".
Preoccupato più di prima il sovrano decise di lasciare il suo erede Huascar nel re
gno di Cuzco, ritirandosi insieme ad Atahualpa, il figlio avuto dalla principess
a di Quito, in quella città.
Ma nemmeno lì lo abbandonarono i cattivi presagi e i quattro elementi diedero vita
a cataclismi, terremoti, comete, simboli strani che spaventarono e intimorirono
tutti.
Fra tutti questi presagi accadde che in una notte chiara apparve la luna circond
ata da tre cerchi molto grandi: il primo era di colore del sangue, il secondo ve
rde scuro e il terzo sembrava formato di fumo.
Un indovino chiamato Llayca fu il primo a vedere questa apparizione e parlato co
n Pechuta dello strano avvenimento decisero di riferire a Huayna Capac e così pres
entandosi dinnanzi al re gli dissero: "O solo signore! Devi sapere che tua madre
la luna, come madre pietosa e indulgente, ti avverte che Pachacamac, creatore e
protettore del mondo, minaccia il tuo sangue regale e il tuo impero con grandi
tragedie; perché il primo cerchio, color sangue, significa che dopo che sarai anda
to a riposare con tuo padre il Sole, ci saranno fra i tuoi discendenti crudeli g
uerre e molto versamento di sangue regale, così che in pochi anni non avrai più ered
i.
Il secondo cerchio nero dice che dopo le guerre e lo sterminio dei tuoi la nostr
a religione e il nostro Stato saranno distrutti, e il tuo impero passerà in altre
mani, convertendosi in fumo, come indica il terzo cerchio!".
Il re ascoltò molto impressionato, ma per non dimostrare debolezza ordinò ai maghi d
i allontanarsi dicendo loro che forse quella notte era stato solo il sogno della
premonizione di sua madre la luna e aggiunse, perché i suoi non si perdessero d'a
nimo: "Non credo alle vostre parole perché non è possibile che il Sole mio padre pos
sa odiare così tanto il proprio sangue da permettere la distruzione dei suoi figli
".
Gli oracoli ritenevano che le predizioni erano quelle attese fin dai tempi antic
hi e che erano confermate dagli avvenimenti che accadevano giorno per giorno, sp
ecialmente dalla notizia della nave carica di stranieri mai visti che si dirigev
a verso le loro coste.
I sacerdoti che annunciavano disgrazie e sfortuna, in tutte le provincie, consul
tarono anche su questo fatto i loro oracoli favoriti e il re non dimenticò di cons
ultare, per mezzo di inviati speciali, il diavolo Rimac, un idolo di pietra molt
o venerato dai nativi perché rispondeva a ciò che gli si chiedeva.
Rimac in questo caso fu vago e astuto, perché non avendo il coraggio di annunciare
al re cose buone, nemmeno parlò delle grandi sventure preannunciate dagli Amautas
e da tanti altri.
Una sera che Huayna Capac usciva dal bagno d'acqua sorgiva sentì un freddo strano
impossessarsi del suo corpo e più tardi avvertì fremiti e febbre.
Il re intuì che era giunta la fine della sua esistenza e, riunendo i parenti e la
corte, fece testamento prevedendo l'arrivo di stranieri sconosciuti nelle loro t
erre, i quali avrebbero sottomesso non solo il suo impero, ma tanti altri.
L'Inca disse, prima di morire: "Nostro padre il Sole ci ha annunciato che dopo d
odici re della nostra famiglia sarebbero arrivati degli uomini che vi supererann
o in tutto e che si proclameranno signori del nostro impero.
Io vi comando di ubbidirli, perché la loro legge sarà migliore della nostra e le lor
o armi poderose e invincibili per noi".
Gli Amautas sopravvissuti ad Atahualpa e ad Huascar dovettero aspettare pochi an
ni per vedere compiute quelle profezie e così quando vedevano apparire nel cielo u
n'aquila o un condor ricordavano e ripetevano la storia di Huayna Capac e del gi
orno in cui celebrò a Cuzco la sua ultima festa al dio Sole.
L'AMORE DI ACOYTRAPA, di Martin de Murùa.
Sulla cordigliera, nelle montagne innevate, ai lati della valle di Yucay chiamat
a Sabasiray, veniva custodito il bestiame bianco, che gli Incas offrivano al sol
e.
Un giovane indio, nativo di Lares, chiamato Acoytrapa, ragazzo gentile e disponi
bile, camminava sempre dietro al bestiame e, mentre gli animali pascolavano, suo
nava dolcemente il flauto.
Non sentiva alcun bisogno di esprimere le sensazioni amorose dell'adolescenza, p
erò queste sensazioni lo turbavano.
Un giorno, mentre suonava il flauto, arrivarono da lui le due figlie del sole.
Le sorelle avevano rifugi in tutta la terra, che usavano per riposarsi.
Ognuno dei rifugi era custodito da guardiani.
Le figlie del Sole, durante il giorno, potevano vagare per monti e per valli, ma
di notte non dovevano mancare da casa e quando ritornavano alle loro abitazioni
erano perquisite dai guardiani, i quali controllavano che non avessero niente c
he le potesse danneggiare.
Le figlie del sole arrivarono dunque da Acoytrapa che, distratto, ancora non le
aveva vedute, e per iniziare una conversazione si misero a parlare con lui del b
estiame e dei pascoli.
Il pastore, che fino ad allora non le aveva viste, anche se un po' turbato si in
ginocchiò, credendo che fossero due delle quattro fontane cristalline, molto vener
ate in tutta la regione, le quali si fossero presentate a lui sotto sembianze um
ane; e per ciò non disse una parola.
Ma loro continuarono la conversazione sul bestiame pregandolo di non aver paura,
perché erano le figlie del Sole, signore di tutta la terra; e per rassicurarlo lo
presero sottobraccio e di nuovo gli dissero di non avere nessun timore.
Poi il pastore si alzò baciando le mani ad entrambe e rimanendo sbalordito dalla l
oro splendente bellezza.
Dopo essere stati a parlare per un po', il ragazzo chiese loro il permesso di ra
dunare il bestiame, perché era tempo ormai di tornare a casa; ma la più grande delle
sorelle, chiamata Chuquillanto, affascinata dalla grazia e dalla gentilezza del
pastore, cercò di trattenerlo domandandogli come si chiamava e da quale regione p
roveniva.
Il giovane rispose che era nativo di Los Lares e che si chiamava Acoytrapa.
All'improvviso lei posò lo sguardo su un oggetto d'argento, chiamato "campu" dagli
indios, che risplendeva e dondolava graziosamente sulla fronte del pastore e vi
de che nella parte inferiore c'era un piccolissimo acaro; guardandolo più da vicin
o osservò che gli acari stavano mangiando un cuore.
Allora Chuquillanto domandò quale fosse il nome di quell'oggetto d'argento.
Il pastore rispose che si chiamava utusi.
Noi non sappiamo in significato esatto di quel termine ma è probabile che signific
asse l'organo genitale maschile.
La parola fu inventata in passato dai primi innamorati.
Probabilmente anche il termine "campu" ha lo stesso significato di "utusi".
Chuquillanto torna a palazzo.
Soddisfatta la sua curiosità, la Nusta figlia del Sole salutò il pastore e gli resti
tuì l'oggetto.
Portando impresso nella memoria il suo nome e quello degli acari, rievocava stra
da facendo la delicatezza del disegno, così realistico che le sembrava di vedere a
ncora gli acari vivi che stavano mangiando il cuore, e parlava con sua sorella d
el gentile pastore.
Arrivate al loro palazzo, prima di entrare furono perquisite dai guardiani, per
verificare che non portassero niente che recasse loro danno perché secondo l'esper
ienza dei loro custodi, molte donne avevano portato i loro uomini nascosti dentr
o le fasce ed altre nelle perle delle collane.
Diffidenti, i guardiani, svolgevano questo compito con molta attenzione e pruden
za.
Dopo essere stata esaminate, le due sorelle entrarono nel palazzo, dove trovaron
o le vergini del sole ad aspettarle con tutti gli squisiti alimenti esistenti su
lla terra in pentole d'oro molto fini.
Chuquillanto si ritirò nella sua stanza senza cenare, con il pretesto di essere mo
lto stanca per aver fatto tanta strada.
Tutti gli altri cenarono con la sorella e se lei aveva qualche pensiero su Acoyt
rapa ciò non la inquietava troppo, anche se, senza farsene accorgere, sospirava la
nguidamente; ma la sfortunata Chuquillanto non ne poteva più; non trovava pace, pe
rché si era innamorata follemente del gentile pastore.
Però alla fine, per non mostrare ciò che il suo cuore nascondeva, saggiamente e prud
entemente si coricò e si addormentò.
C'erano in questa dimora, formata da grandi e suntuosi palazzi, tantissime abita
zioni riccamente arredate in cui vivevano tutte le vergini del sole, provenienti
dalle quattro provincie: Chincha suyo, Conde suyo, Ante suyo e Colla suyo.
Dentro la reggia c'erano quattro fontane d'acqua dolce e cristallina che scorrev
ano verso le quattro terre.
Ognuna delle donne del sole faceva il bagno nella fontana della provincia di nas
cita.
Le fontane si chiamavano: quella di Chinca suyo, che si trova verso Occidente, S
iclla puquio, che significa Fontana delle Alghe; Llullucha puquio (Fontana delle
Uova) si trova verso Oriente (Colla suyo); Ocoruru puquio, che significa Fontan
a dei Nasturzi, si trova a settentrione (Conde suyo); Chicha puquio, che signifi
ca Fontana delle Rane, si trova a meridione (Ande suyo).
In quest'ultima si bagnavano le due di cui abbiamo parlato.
Il sogno di Chuquillanto.
La bellissima Chuquillanto, figlia del sole, dormiva profondamente e sognava di
vedere un usignolo volare e posarsi da un albero all'altro e su ognuno cantare s
oavemente e dolcemente.
Dopo aver cantato armoniosamente e con allegria si posò sul grembo della ragazza e
le disse di non restare in pena e di non far volare la sua immaginazione su cos
e tristi.
Lei rispose che senza il suo pastore sarebbe morta.
Allora l'usignolo le offrì il suo aiuto e le disse di raccontargli la storia.
Lei parlò del grande amore per Acoytrapa, il guardiano del bestiame bianco, sosten
endo che in alcun modo sarebbe riuscita a vivere senza di lui.
Il rimedio per le sue pene sarebbe stato fuggire con il suo amore, perché altrimen
ti sarebbe stata scoperta in quello stato di abbattimento da qualcuna delle verg
ini di suo padre il sole il quale avrebbe ordinato d'ucciderla.
Dopo aver ascoltato, l'usignolo le disse di alzarsi e di sedersi in mezzo alle q
uattro fontane e di cantare loro tutto ciò che aveva in mente.
Se le fontane gradivano ciò che lei cantava, sicuramente avrebbe potuto esaudire i
l suo desiderio.
Dopo aver detto questo, l'uccellino volò via.
La Nusta si svegliò spaventata, e in fretta incominciò a vestirsi, e siccome tutti d
ormivano profondamente nessuno la sentì.
Uscì dalla stanza e camminò verso le quattro fontane; si mise in mezzo a loro e rico
rdandosi del Campu d'argento con gli acari che mangiavano il cuore, disse: "Micu
c Usutucuyuc, Utusi cusin" che significa, "Acaro che stai mangiando l'Utusi che
dondola!" Poco dopo tutte le quattro fontane cominciarono a dirsi l'un l'altra l
e stesse parole pronunciate da Chuquillanto.
La Nusta, sentendo che le fontane le erano favorevoli, andò a riposare, approfitta
ndo delle poche ore di sonno che le rimanevano.
Il pastore diviene triste.
Tornato alla sua capanna il pastore ripensò alla grande bellezza di Chuquillanto,
e questo ricordo lo rattristò.
Il nuovo amore che si radicava nel suo petto gli faceva sentire le prime pene; e
con questo pensiero in testa prese il flauto e iniziò a suonare tristemente, così t
ristemente da intenerire perfino le pietre.
Quando smise di suonare, era tanto sconvolto che cadde a terra e si addormentò.
Si svegliò versando copiose lacrime e disse lamentandosi: "Povero me, sfortunato e
triste pastore, come si avvicina il giorno della mia morte, poiché la speranza ne
ga ciò che il mio desiderio chiede! Come farò, povero pastore, a sopravvivere, se no
n posso raggiungere né vedere la mia amata?" E così dicendo ritornò alla sua capanna e
nuovamente, stanco di tanta fatica, avvilito si addormentò.
La madre di Acoytrapa viveva a Lares, dove venne informata, dagli indovini, dell
a situazione di suo figlio.
Solo lei poteva salvarlo.
Conosciuta la causa della sventura, prese il suo bastone magico dai grandi poter
i, lo adornò per l'occasione, e senza fermarsi mai si incamminò verso la collina.
Fu così che arrivò alla capanna al sorgere del sole.
Entrando rapida vide suo figlio addormentato, con il viso rigato di lacrime arde
nti e lo svegliò.
Il pastore aprì gli occhi e fu emozionato a vedere sua madre.
La madre lo confortò, dicendo che non doveva preoccuparsi, che lei avrebbe rimedia
to il più presto possibile.
Poco dopo uscì dalla casa e trovò fra le rupi una gran quantità d'ortiche (cibo approp
riato, secondo gli indigeni, contro la tristezza) che raccolse e fece in umido.
Non furono ben cotte quando le due sorelle, figlie del sole, erano già sulla sogli
a della casupola, perché Chuquillanto, appena fece giorno e fu l'ora della solita
passeggiata per i verdi prati della collina, uscì dirigendosi in fretta verso la c
asa di Acoytrapa.
Il suo tenero cuore non le consentiva altri piaceri.
Arrivate alla porta della casupola si sedettero, stanche della lunga camminata,
e vedendo dentro la buona vecchietta, la salutarono gentilmente e le chiesero di
mangiare.
La vecchietta fece un inchino e dicendo che non aveva altro da offrire loro che
ortica in umido, le servì.
Le sorelle iniziarono a mangiare di gran gusto.
Chuquillanto si mise allora a girare intorno alla capanna, gli occhi in lacrime,
senza farsi notare ma senza vedere ciò che desiderava, il suo amato, perché nel mom
ento in cui le ragazze erano apparse il giovane si era introdotto, per ordine de
lla madre, dentro il bastone.
La ragazza pensò che Acoytrapa fosse andato a custodire il bestiame e non si preoc
cupò di chiedere di lui.
Poi, posando lo sguardo sul bastone, incuriosita disse alla vecchietta che era m
olto bello e le chiese da dove proveniva.
La donna le rispose che era un bastone che anticamente apparteneva a una delle d
onne e amanti di Pachacamac ("colui che governa la terra", lo spirito della terr
a) di nome Guaca, famoso nelle pianure.
Disse anche di averlo ricevuto come eredità.
Chuquillanto la pregò tristemente di regalarglielo e alla fine la vecchietta accon
sentì; sapeva da tempo che glielo avrebbe chiesto.
Prendendolo fra le mani le sembrò ancora più bello e poco dopo, salutando la vecchia
signora, Chuquillanto uscì e camminando per i prati guardava da ogni parte per tr
ovare l'amato.
D'ora in poi, non parleremo più della sorella minore, perché non più coinvolta nel pro
seguimento della storia; parleremo soltanto di Chuquillanto, la quale era triste
e pensierosa perché durante tutto il tragitto non aveva incontrato il pastore.
Arrivate alla loro dimora, le guardie le perquisirono come facevano tutte le vol
te che le sorelle rientravano a palazzo; e non avendo notato niente di strano, o
ltre al bastone che naturalmente Chuquillanto portava con sé, chiusero le porte e
così restarono, senza saperlo, ingannati.
Le ragazze entrarono nella sala da pranzo e lì rimasero a mangiare a lungo e magni
ficamente.
Passate le prime ore della sera, tutti si ritirarono nelle loro stanze da letto.
Chuquillanto prese il suo bastone e lo depositò accanto al suo giaciglio.
Le sembrò una buona idea, e così si coricò.
Credendo di essere sola, pianse malinconicamente, ricordando il pastore e il suo
strano sogno.
Ma non passò molto tempo che il bastone prese le sembianze umane e chiamò dolcemente
la ragazza per nome.
Chuquillanto, quando sentì d'essere chiamata, si spaventò e alzandosi lentamente dal
letto prese un lume e lo accese, senza far rumore.
Vide allora, con sorpresa, Acoytrapa inginocchiato dinanzi a lei che piangeva so
mmessamente.
Rimase così, turbata, fino a che riuscì a domandargli in che modo era entrato.
Il pastore le rispose che gli era stato ordinato di entrare nel bastone che lei
aveva portato con sé.
Allora Chuquillanto lo abbracciò e lo coprì con le sue lenzuola di finissima seta ri
camata, e dormì con lui.
All'alba, davanti agli occhi della sua signora, il pastore si introdusse di nuov
o nel bastone.
Quando il sole aveva già bagnato tutta la terra lei uscì dal palazzo di suo padre pe
r camminare per i verdi prati in compagnia solo del suo bastone, e poi si nascos
e in un crepaccio vicino alla collina e lì stette con il suo amatissimo pastore ch
e nuovamente si era tramutato in essere umano.
Ma una delle guardie era andata dietro di loro e, anche se ben nascosti, li trovò.
Vedendo ciò che accadeva cominciò ad urlare.
Sentendolo, essi scapparono verso la collina, verso il paese di Calca finché stanc
hi di
fuggire, si sedettero su delle rocce e si addormentarono.
Poiché nel dormiveglia udirono grandi rumori si alzarono.
Mentre Chuquillanto stava calzando uno dei sandali e l'altro già lo aveva al piede
e guardava dalla parte di Calca entrambi furono trasformati in pietra.
Ancora oggi, da Guallabamba, da Calca e da altre parti si vedono le statue di pi
etra.
E io le ho viste tante, tante volte.
LA SCOPERTA DI POTOSI.
L'Inca Huayna Capac, forse l'uomo più potente e saggio della famiglia reale incaic
a, uscì una volta da Cuzco accompagnato da un esercito di trentamila guerrieri per
dirigersi verso Sud, col proposito di conquistare nuove terre per estendere i c
onfini del potente Impero dei figli del Sole.
Arrivato in Perù, molte furono le provincie che si sottomisero volontariamente al
suo governo, perché conoscevano il potere invincibile delle armi dei conquistatori
e perché sapevano che solo la resa incondizionata avrebbe apportato benefici.
Nelle sue escursioni arrivò anche a Tarapaya e dopo essersi bagnato nelle acque de
lla grande laguna sacra, fatta costruire dall'Inca Maita Capac, si installò a Cant
umarca, villaggio che esiste ancora oggi nei pressi della città di Potosi, dove re
gnava allora una regina chiamata Colla ("Miniera d'argento").
La sovranità dell'Inca sulla regione era ormai assicurata giacché il governante era
molto bravo a irretire le bellezze regnanti dei paesi confinanti.
Ammira la grande collina che aveva di fronte la cui bella configurazione e le to
nalità multicolori delle falde erano avvolte, ma non sempre, di capricciose nuvole
che lasciavano intravedere l'alta cima coronata di nevi eterne.
La bellezza del panorama e il nome Potosi, che significa Sorgente d'argento, dat
o dai nativi alla collina, incuriosì il Re che inviò diverse spedizioni ad esplorare
quelle vette.
Ma i nativi avvertirono gli esploratori, dicendo loro che la collina era sacra e
che presto avrebbe manifestato la sua collera verso gli audaci uomini che si er
ano permessi di scalare le sue falde e scoprire i suoi segreti.
Huayna Capac insistette nei suoi ordini, facendo presente che la sua volontà e il
suo potere provenivano da Pachacamac e che lui era figlio del Sole.
Queste affermazioni tranquillizzarono per un po' di tempo i nativi di Cantumarca
, ma appena gli esploratori iniziarono a scalare la falda della collina una gran
de tormenta, accompagnata da fulmini e tuoni minacciosi che si perdevano nelle p
rofonde cavità della collina, si scatenò contro di loro.
La regina Colla spaventata si presentò dinanzi al Re e affettuosamente gli disse:
"Potente signore del gran Impero, Pachacamac, spirito del mondo, ha destinato qu
elle ricchezze per un'altra gente, chiamata Viracocha (3), e ti chiedo di non in
sistere, di non mandare verso la cima i tuoi sudditi, perché il Sole lascerà d'illum
inarci".
Huayna Capac acconsentì alla richiesta della regina e ordinò alla sua gente di ritor
nare.
Nessun indio doveva scalare la montagna d'ora in poi.
Trascorse molto tempo.
Una sera l'indio Hualpa, che non conosceva l'ordine di Huayna Capac, viaggiava i
n prossimità di Potosi.
Avvenne che smarrì in quei paraggi un lama e mentre lo cercava la notte lo sorpres
e sulle vette solitarie.
Decise allora di continuare a cercare la bestia il mattino seguente; raccolse de
lla legna e accese un fuoco per riscaldarsi durante quella fredda notte.
Il nuovo giorno iniziò a schiarire, Hualpa si preparò per continuare a cercare le tr
acce del suo lama, quando d'improvviso si rese conto che il fuoco aveva fuso una
considerevole quantità d'argento che formava sul terreno una grande lastra luccic
ante.
Hualpa trovò il suo lama e ritornò a casa portando con sé il prezioso carico e per mol
to tempo conservò il segreto di quella ricca miniera.
Ma gli spagnoli, vedendolo in possesso di un minerale di cui ignoravano la prove
nienza, lo spiarono e lo inseguirono dappertutto, arrivando infine a scoprire e
ad appropriarsi del segreto dell'indio.
La collina di Potosi fu ricca e famosa in tutto il mondo durante tre secoli.
L'indio Hualpa di cui parla questa leggenda si crede, per la sua buona e rapida
fortuna, sia quel Hualpa di Yocalla a cui la tradizione attribuisce l'onore di a
vere fatto costruire un ponte al diavolo senza che lo spirito delle caverne pote
sse chiedergli la sua anima come ricompensa.
GLI UCCELLI DONNA, di Fray Bernabé Cobo. I nativi della provincia di Canaribamba,
distretto di Quito, raccontano di due giovani fratelli che si misero in salvo da
l diluvio su di un'alta collina, chiamata Huacaynan.
Passato il diluvio e finite le provviste che erano riusciti a trovare da quelle
parti, si misero alla ricerca di qualcosa da mangiare, lasciando incustodita la
loro dimora, una piccola capanna che avevano costruito come rifugio, dove, nutre
ndosi solo di radici ed erbe, vissero per un po' di tempo con disagio e soffrend
o la fame.
Ma un giorno, di ritorno alla capanna molto stanchi per la camminata alla ricerc
a del cibo, con grande sorpresa la trovarono fornita di cibi prelibati e di abbo
ndante "chicha", senza sapere da dove, né chi avesse fatto loro questo regalo.
I due fratelli cercarono con attenzione nei dintorni della casupola la persona c
he li aveva salvati da una situazione tanto difficile, ma non trovando traccia u
mana si sedettero a mangiare.
Passarono dieci giorni in questo modo, trovando essi la capanna sempre provvista
di alimenti come il primo.
Trascorso questo tempo, curiosi di vedere e conoscere chi faceva loro del bene,
escogitarono un piano: uno di loro sarebbe rimasto nascosto in casa.
Fecero quindi un nascondiglio nella parte più scura della stanza dove quello si sa
rebbe nascosto, intanto che l'altro fosse andato in campagna per il raccolto.
Il fratello che rimase a fare la guardia vide entrare dalla porta due Guacamayas
(uccelli del genere dei pappagalli), che una volta dentro si trasformarono in d
ue magnifiche donne Pallas, come dire donne nobili di sangue regale, riccamente
vestite, e con gli abiti che usano oggi le donne della regione di Canares, con i
lunghi capelli pettinati e un bellissimo nastro che cingeva loro la fronte.
Togliendosi i mantelli, queste iniziarono a disporre e ordinare le squisite piet
anze che recavano con se.
Il giovane uscì dal suo nascondiglio e salutandole molto cortesemente iniziò a conve
rsare con loro.
Ma le due donne, spaurite e confuse per essere state sorprese, senza dire una pa
rola uscirono in fretta dalla capanna, ripresero la loro forma di Guacamayas e s
e ne andarono via volando, senza preparare quel giorno niente da mangiare.
Quando il ragazzo rimase solo, vedendo che non era riuscito a fermarle come desi
derava, lamentandosi e molto preoccupato maledì la sua sfortuna.
Il fratello, di ritorno dalla campagna, lo trovò in questo stato e dopo aver saput
o l'accaduto, in preda a collera lo rimproverò, dandogli del codardo e chiamandolo
uomo senza coraggio né valore, poiché aveva perso una occasione simile.
Infine decisero di rimanere entrambi nascosti dentro la capanna per vedere se le
Guacamayas sarebbero ritornate.
Le donne-uccello ritornarono, com'era abitudine, tre giorni dopo, ed entrando ne
lla stanza dalla porta, presero sembianze umane, e apparvero così due belle fanciu
lle che iniziarono a sistemare le vivande.
I giovani, che erano nascosti, lasciarono loro un po' di tempo perché si sentisser
o al sicuro; dopodiché uscirono all'improvviso e dopo aver chiuso la porta, senza
alcun indugio, le abbracciarono.
Le fanciulle, sorprese e turbate, non riuscirono ad assumere sembianze d'uccelli
.
Stizzite ed indispettite, presero a urlare e a cercare di liberarsi ma i due fra
telli alla fine, con lusinghe e dolci parole d'amore, le calmarono e quando le v
idero serene, le pregarono insistentemente di raccontare la loro provenienza, il
loro lignaggio e il motivo per il quale recavano loro tale beneficio.
Le donne Pallas, pacifiche e trattabili, risposero che era il Signore dell'Unive
rso che le aveva mandate segretamente in loro aiuto, in quel momento di acuto bi
sogno, perché non morissero di fame.
Così, rimasero come mogli dei due fratelli e i loro figli si dice che abbiamo popo
lato la regione di Canares.
E questa regione ebbe come idolo e santuario famoso la collina di Huaycanan e pe
r Dee più importanti le Guacamayas.
Gli abitanti, durante le feste ed i ringraziamenti, si adornano con piume e ador
ano idoli con sembianze di uccelli.
Io ho visto pochi anni fa, nella città di Lima, portata dalla provincia di Canarib
amba, una statuetta a forma di piccola colonna di rame, con due Guacamayas in ci
ma fatte dello stesso materiale.
Gli abitanti della regione di Canares le adoravano, in ricordo di questa leggend
a.
I QUECHUAS E IL LORO IMPERO.
Dalla conquista spagnola del Nuovo Mondo ad oggi, molte e molto diverse sono sta
te le teorie sulla origine e sull'arrivo dell'uomo in questa parte della Terra.
Alcuni hanno sostenuto che egli giunse ai lontani confini di questi lidi attrave
rso Atlantide, il mitico continente che univa l'Europa alle Antille.
Altri hanno parlato di una migrazione di popoli asiatici penetrati attraverso l'
istmo di Behring e di insediamenti cinesi sulle coste americane della California
fin dal quinto secolo.
Secondo altri, anche le razze del Nord America attraversarono i mari polari e ar
rivarono a Terranova e in Florida in epoche relativamente recenti.
Le tradizioni degli Indios del Sud America non ci parlano dell'arrivo via mare d
i popoli e tribù di altri paesi, parlano solo della presenza di uomini bianchi, i
quali arrivavano in diversi periodi e sparivano dopo qualche tempo.
Secondo le leggende, il fondatore dell'impero Incaico non giunse però dal mare, ma
da un lago all'interno del continente.
Tra le pietre che compongono le mura di una grande piazza antistante il tempio C
alassaya a Tiahuanaco, in Bolivia, si trovano incastonate serie di teste di piet
ra che raffigurano le quattro razze allora presenti sulla terra: bianca, gialla,
nera e rossa.
Significa questo che a Tiahuanaco erano presenti o si erano alternati uomini di
razze diverse? O significa che gli abitanti di quella civiltà avevano girato il mo
ndo e conosciuto di conseguenza le diverse razze? Sicuramente contatti con l'Asi
a e l'Europa ci sono stati, in tempi più antichi di quanto possiamo immaginare.
Ci troviamo di fronte a uno dei tanti misteri (insoluti) che ci pone questa vast
a zona della terra.
La tradizione e la storia scritta iniziano, sia in Europa che in Cina, da un'epo
ca che è relativamente recente, specialmente se la confrontiamo con un'altra stori
a viva e immutabile, in cui si racconta in modo eloquente di epoche anteriori a
queste conquiste e alla stessa storia biblica.
Il libro della geologia è stato aperto e nelle sue pagine d'oro è messa in evidenza
l'antichità del suolo americano e la presenza umana in esso in periodi anteriori a
qualsiasi leggenda e tradizione conosciuta.
Eminenti naturalisti hanno analizzato le fasi delle formazioni geologiche anteri
ori all'era quaternaria europea e vi hanno trovato tracce inequivocabili dell'uo
mo dolicocefalo che abitò quelle regioni contemporaneamente a specie d'animali ogg
i estinte, di cui si cibò, e vi insediò la famiglia primitiva al riparo del tetto ro
tondo del guscio del gigantesco Clyptodonte.
Ma vogliamo qui restringere il nostro studio al solo popolo Quechua e alla sua c
iviltà, che in altri tempi si estendeva dalla Cordigliera Andina alle coste del Pa
cifico e da Panama al Cile, a differenza del popolo Guarany, che abitava le terr
e comprese nel grande triangolo orientale del continente limitato dai fiumi Orin
oco e Plata e dall'Atlantico.
Questi due popoli, i più importanti dell'America meridionale all'epoca della loro
scoperta da parte degli europei, differiscono assai per la lingua, ciascuna dell
e quali molto specializzata nei suoi complessi meccanismi espressivi.
La "alta cultura" da cui discendono i Quechuas, si sviluppò nel Perù circa 4000 anni
fa, quando il progresso del neolitico diede avvio allo sviluppo dell'agricoltur
a e alla costruzione di templi cerimoniali di culto e di potere.
Secondo una teoria basata su basi indiscutibili, si afferma che questa "alta cul
tura" fu fondata a Chavin de Huantar, nel fianco della Cordigliera Bianca, da ge
nte proveniente dalla selva amazzonica, che avrebbe attraversato le montagne and
ine verso occidente.
Dal centro di Chavin, questa superiore cultura si disperse per tutto il Perù e anc
he oltre le attuali frontiere.
Nei diversi luoghi in cui giunse (costa, nord, altipiano), si espresse in forme
diverse.
La cultura più grandiosa fiorita nella sierra, sulle sponde del Titicaca, fu quell
a di Tiahuanaco (secoli Quarto e Nono dopo Cristo).
Fu un grande centro di culto, come anteriormente lo fu Chavin, a cui si ispirò.
Tiahuanaco è avvolta da misteri e da domande insolute: non si conosce la sua origi
ne né i suoi costruttori e neppure l'età (qualche studioso parla di 18000 anni fa).
Da questi luoghi e da questi misteri traggono origine le leggende e i miti sull'
origine dei Quechuas e degli Incas.
Le rovine di Tiahuanaco sono resti di costruzioni di tipo ciclopico (cioè in pietr
a, senza calce, sabbia e acqua) e sono simili a quelle di Palenque, in Messico.
Sembra che i popoli mesoamericani (Aztechi e Maya) possano aver avuto, in origin
e, relazioni con quelle successivamente esistite in questa parte di America.
L'impero di Tiahuanaco fu caratterizzato da una forte spiritualità; il suo declino
avvenne nel Nono secolo e a partire dal Decimo secolo si sviluppò la civiltà incaic
a che, attraverso il regno di dodici Inca, governò il popolo Quechua fino alla con
quista da parte degli spagnoli.
Come è sempre accaduto per qualsiasi grande civiltà antica, anche l'origine dell'imp
ero Inca si perde nella leggenda.
Ma indagando attraverso le leggende possiamo scoprire parte delle verità che esse
celano.
Le tradizioni del lago Titicaca hanno trasmesso ai posteri due leggende in cui r
accontano l'origine del popolo Quechua e dell'impero incaico: una è la leggenda de
i "fratelli Ayar", l'altra è la leggenda di "Manco Capac e Mama Ocllo".
Noi ci occuperemo di quest'ultima.
Questa leggenda è stata tramandata fino a noi grazie al cronista Garcilaso Inca de
la Vega che scrisse i "Commentari reali e l'origine degli Incas".
Narra il cronista meticcio (nato da una principessa inca e da uno spagnolo) che
in tempi remoti, pieni di barbarie e di miseria, il Sole creò una coppia, chiamand
o l'uomo Manco Capac e la donna, sua sposa ma anche sua sorella, Mama Ocllo.
Furono posti sul lago Titicaca ed ebbero uno scettro d'oro.
Fatto questo, il Sole diede loro la missione di andare per il mondo a civilizzar
e la gente, incaricandoli anche di piantare lo scettro in tutti i luoghi che avr
ebbero visitato e di fondare regni solo dove lo scettro riuscisse ad affondare n
el terreno.
Li nominò re e signori della terra, riconoscendoli suoi figli, e ordinò loro di diff
ondere la religione del Sole.
La coppia si allontanò dal luogo sacro verso settentrione.
La strada fu lunga: piantarono lo scettro in molti luoghi, ma in nessuno affondò,
finché giunsero a Huanacauri dove, con la sorpresa di entrambi, lo scettro fu ingh
iottito dalla terra.
La coppia comprese che doveva fermarsi in quel luogo e lì compiere la volontà del pa
dre Sole.
Decisero così di separarsi affinché ognuno di loro potesse raggiungere più gente.
Manco Capac marciò a nord e Mama Ocllo a sud della valle.
Così fu che a tutte le genti che incontravano si proclamarono figli del Sole, mand
ati dal cielo per essere maestri e benefattori di tutta la popolazione, sottraen
dola dalla vita bestiale che conduceva e insegnandole a vivere come uomini.
Gli indigeni si mostrarono così sorpresi e si impressionarono tanto a causa dei ve
stiti e dei modi strani dei nuovi venuti, che li credettero esseri soprannatural
i e molti cominciarono ad ascoltarli e seguirli.
Manco Capac riunì i suoi adepti e li inviò a cercare cibo per tutti e a costruire ca
panne.
La stessa cosa fece Mama Ocllo.
Nel periodo che seguì ci fu solo progresso e felicità.
Manco Capac divenne re e maestro degli uomini e insegnò loro a lavorare la terra,
a fare canali d'irrigazione e a fabbricare sandali; la sua sposa insegnò alle donn
e i lavori femminili, specialmente la filatura e la tessitura.
Successivamente Manco Capac, l'eroe civilizzatore, fondò la città di Cuzco (che sign
ifica ombelico, centro del mondo) in nome del dio Viracocha e del Sole.
L'erezione di questa città, è curioso notarlo, fu fatta nel nome del dio Viracocha e
, in secondo luogo, del Sole.
Il primo è l'essere supremo ("colui che tutto fa") delle genti di Tiahuanaco; il s
econdo è l'antenato totemico degli Incas e pertanto dei Quechuas.
Viracocha è il creatore, il Sole una sua creatura, ma per un caso niente affatto s
trano la creatura in seguito vince il suo creatore.
Ciò è dovuto a ragioni politiche, allo scopo di cancellare un passato di sconfitte.
Infatti sembra che Manco Capac fosse originario di Tiahuanaco da cui sarebbe fug
gito quando questo impero fu distrutto.
Quindi il mondo incaico non è che il tentativo (riuscito) di far rivivere la grand
e cultura Tiahuanaco.
Il dio Viracocha rimarrà sempre un punto di riferimento importante per gli Incas.
Il messaggio delle leggende può infatti rappresentare il superamento delle condizi
oni di tragedia e di catastrofe in cui si trovava in quel periodo il mondo andin
o.
Gli Incas, eredi fedeli di un mondo anteriore salvati da una catastrofe (o diluv
io sociale), rappresentano un ritorno all'unità, al rinascimento e alla rigenerazi
one delle popolazioni Quechuas.
Abbiamo qui uno dei più utili insegnamenti della protostoria peruviana.
Manco Capac, primo re Inca.
L'occupazione della valle di Cuzco non fu incruenta, poiché molte popolazioni dove
ttero essere conquistate con grande spargimento di sangue.
Alla fine Manco Capac riuscì a confederare tutte le popolazioni e a convincerle a
seguirlo nel suo cammino.
Egli divenne il primo sovrano delle popolazioni Quechuas e l'iniziatore della di
nastia degli Incas.
La parola Inca significa re, persona di sangue regale; Capac vuol dire solo, uni
co, ricco, così che Capac Inca significa "il solo re", titolo che andava solo alla
persona reale o al principe ereditario dopo la scomparsa del predecessore.
Sotto la guida di questo sovrano si gettarono le basi politiche e sociali del fu
turo impero incaico.
Si divisero le terre ed ognuno ebbe un pezzo da coltivare, si costruirono abitaz
ioni e canali, si innalzarono tempi al dio Sole e a Pachacamac, lo spirito della
gran Madre Terra.
I nativi del luogo non tardarono a rendersi conto dei vantaggi del nuovo ordine
di cose e molte tribù ascoltarono le parole buone e paterne di quegli esseri eccez
ionali considerati semidei e che si credeva fossero inviati espressamente per pr
edicare bontà e amore tra gli uomini.
Dalla famiglia reale provenivano i sacerdoti incaricati del culto e delle cerimo
nie religiose.
Le sorelle del principe vivevano recluse nella casa delle vestali o "mogli del S
ole" e l'erede della corona doveva sposarsi con la sorella maggiore allo scopo d
i riprodurre un principe di sangue nobile.
Oltre alle principesse, l'Inca aveva altre mogli, che erano sempre le giovani più
belle del regno, figlie di Curacas o dei potenti signori, che si sentivano onora
ti di offrirle al sovrano.
I cittadini erano divisi in gruppi di dieci ciascuno, comandati da uno di loro.
C'era un centurione che comandava 10 gruppi e un generale a cui obbedivano mille
uomini.
Si arrivava così al Curaca e poi all'Inca che mobilitava i soldati con facilità per
conquistare terre e per realizzare grandi opere.
I sacrifici fatti al sole consistevano principalmente in piccoli lama, conigli o
uccelli da cortile, cereali, legumi e bevande (come la chicha o altre a loro fa
migliari).
I Re, quando stabilivano nuove leggi o sacrifici, sia nel governo religioso come
in quello temporale, invocavano il nome del Sole o loro padre Manco Capac, sost
enendo che da loro proveniva l'ordine perché così lo avevano disposto gli antenati.
E' difficile oggi stabilire con precisione durante quale regno furono fatte le l
oro leggi e avvennero le conquiste, perché non conoscendo la scrittura usavano i Q
uipus (sistema di comunicazione mediante cordicelle annodate secondo un preciso
codice che a tutt'oggi non è stato decifrato).
L'impero Inca, come la città di Cuzco, fu diviso in quattro regioni principali.
La parte orientale fu chiamata Antisuyo, nome che deriva da una provincia chiama
ta Anti, situata ad oriente della vasta cordigliera nevata che percorre il conti
nente.
La parte occidentale fu chiamata Cuntisuyo, nome che viene da un'altra provincia
molto piccola chiamata Cunti situata vicino al mare.
Chinchasuyo fu chiamata la parte nord perché la provincia di Chincha rimane a nord
della città imperiale e infine si chiamò Collasuyo la parte sud perché lì si trovavano
le terre Collas che costituivano la zona più importante dell'Impero.
Le terre dei Collas erano situate a Sud del lago Titicaca e corrispondevano all'
attuale Bolivia.
I Collas (gli attuali Ahimaras) erano indios dalla vasta cultura e non opposero
molta resistenza all'espansione incaica.
Il Cile dopo essere stato conquistato fece parte di quest'ultima divisione e il
grande regno di Quito (corrispondente all'Ecuador) di quella del nord.
Le divergenze che nascevano per questioni di confini o per i pascoli fra le prov
incie limitrofe erano presentate a un giudice, eletto dall'Inca fra i membri del
la famiglia reale.
Se le parti non erano soddisfatte del verdetto ci si appellava allo stesso Inca
che poneva termine al conflitto.
Sinchi Roca.
Il nome del secondo Inca fu Sinchi Roca.
Sinchi significa valoroso e Roca prudente e maturo.
Questo re non espresse il suo valore e la sua prudenza nella guerra bensì nella lo
tta, nella corsa, nel lancio a distanza di una pietra o di una lancia: esercizi
in cui superava tutti i campioni del suo tempo.
Quando Manco Capac morì, il giovane Sinchi Roca, avendo con sé il fregio colorato si
mbolo del comando del regno, riunì tutti i Curacas più potenti e manifestò loro il pro
posito di estendere il regno e di convincere gli abitanti dei villaggi limitrofi
ad abbandonare lo stato primitivo in cui vivevano.
I Curacas si impegnarono ad aiutarlo per togliere dall'ignoranza le popolazioni
confinanti mostrando loro, con la ragione, i vantaggi che presentava adorare il
sole invece dell'idolatrare animali e pietre.
Sinchi Roca, credendo fermamente nei suoi propositi, fece la sua prima spedizion
e verso il Sud accompagnato da molta della sua gente e dai più importanti Curacas,
ottenendo facilmente, con la persuasione, l'obbedienza alle loro leggi da parte
delle popolazioni di Puchina e Canchi che distavano più di venti leghe dalle terr
e sottomesse a suo padre.
Arrivata la spedizione al villaggio di Chuncara e vedendo i buoni propositi e la
buona disposizione degli indigeni ad accettare le sue leggi e i suoi riti, l'In
ca lasciò alcuni suoi uomini per istruirli nella coltivazione della terra, nei pre
cetti e nelle pratiche che avrebbero dovuto seguire d'allora in poi.
Il sovrano tornò alla città imperiale per occuparsi del governo e, sicuro della buon
a volontà con la quale i nuovi sudditi lo avrebbero servito, ordinò che in quelle te
rre si costruissero alcuni edifici destinati a scuole di agricoltura, a templi e
a fortezze come quella di Pucarà, che segnò per qualche tempo il limite a Sud delle
terre conquistate.
Lloqui Yupangui.
Alcuni storiografi hanno attribuito a Sinchi Roca le conquiste di altre terre co
me quelle, per esempio, che arrivarono fino al fiume Callahuaya, che produceva o
ro finissimo, ma è più probabile che queste terre le abbia conquistate Lloqui Yupanq
ui, terzo re che governò l'Impero.
La lingua Quechua è scarsa di vocaboli ma in compenso è molto significativa: per ese
mpio Lloqui significa Zurdo, colui che fa uso della mano sinistra e Yupanqui sig
nifica narratore di storie, virtù, prodezza, clemenza, pietà.
Appena insediato visitò quasi tutto il suo regno col proposito di estenderne i con
fini.
Nominò quindi due suoi zii come aiutanti di campo e consiglieri e ordinò loro di for
mare un esercito di 7000 guerrieri.
Il re in persona guidò le legioni, percorrendo il cammino da Orcosuyo fino alla pr
ovincia di Cana, al cui sovrano fu chiesto di obbedire e servire il figlio del S
ole, e di abbandonare sacrifici e abitudini cruente.
I Canas, conoscendo il potere del re, non ebbero problemi ad obbedirgli accettan
do le leggi e adorando così il Sole.
Non successe la stessa cosa con i Ayavirìs i quali non videro di buon occhio la so
ttomissione delle popolazioni confinanti, né le promesse delle persone inviate dal
l'Inca.
Gli Ayavirìs decisero di difendere la loro libertà e furono i primi ad affrontare, a
rmi in pugno, l'esercito dell'Inca, sostenendo un duro combattimento.
Furono vinti e non volendo arrendersi si barricarono nelle loro fortezze dove fu
rono assediati dal re che non desiderava sterminarli, ma sottometterli per evita
re che altri popoli seguissero il cattivo esempio di prendere le armi contro di
lui.
Gli assediati resistettero molti giorni ma, alla fine, dovettero arrendersi per
fame.
L'Inca, dimostrando bontà, perdonò la loro tenace ribellione e lasciò presso di loro g
ente della sua corte affinché li istruisse per farli diventare sudditi del regno.
Ritornò quindi alla sua città imperiale dove fu grandemente festeggiato.
Pochi anni dopo il Re ordinò nuovamente di costituire un esercito di diecimila uo
mini per conquistare Collasuyo.
Questo territorio comprendeva molte provincie che si sottomisero con facilità rite
nendo che sarebbe stato vantaggioso per loro, poiché sarebbero state protette dai
possibili attacchi delle tribù vicine.
I Callas, come abbiamo detto, costituivano una grossa nazione che abitava le spo
nde sud del Titicaca e l'attuale Bolivia.
Erano
popolazioni pacifiche ed accolsero l'Inca con grandi feste.
La loro mitologia e cultura erano affini a quelle quechua: adoravano il lago Tit
icaca e sostenevano che i loro capostipiti erano usciti dalle caverne delle mont
agne per civilizzare il popolo.
Il dio principale di questo popolo era un guanaco bianco, animale che abitava qu
ei luoghi un tempo antichi.
Essi furono principalmente allevatori di bestiame e grandi conoscitori di erbe m
edicinali e per questa ragione credevano che "il mondo alto" (gli spiriti buoni)
li avrebbe protetti e beneficiati più di qualsiasi altro popolo della terra.
L'offerta più frequente a Pachamac (la madre terra) era un piccolo lama bianco (gu
anaco), perché era l'animale che più assomigliava al padre di tutti loro.
L'impero incaico ricevette molte conoscenze e un forte impulso culturale dalla c
onquista dei Collas.
Successivamente i Collas furono protagonisti di una ribellione domata poi dall'I
nca Pachacutec.
Lloqui Yupanqui sottomise altri regni ed altre provincie e, ritornando a Cuzco,
decise di consolidare il suo potere annettendo le terre conquistate nel suo impe
ro.
Gli astronomi indios conoscevano il sole, la luna, le sette stelle della costell
azione del toro (Pleiadi) e la Via Lattea dove dicevano che c'era un lama che al
lattava un piccolo.
Le stelle erano chiamate Coillur e non erano utilizzate per fare il conto dell'a
nno, dei solstizi e degli equinozi, erano considerate soltanto per la loro lucen
tezza.
Se le stelle brillavano si credeva fosse di buon auspicio, al contrario se riluc
evano poco.
Contavano i mesi con le lune, un anno lunare aveva dodici lune, e l'anno solare
aveva undici giorni in più.
Per fare coincidere un anno con l'altro si dovette ricorrere ai solstizi.
Costruirono tre grandi torri nella fortezza di Cuzco, che servivano per seguire
i movimenti della nascita e del calar del sole e per fissare gli equinozi e i so
lstizi.
Conoscevano molte erbe e piante medicinali e avevano nozioni approfondite di geo
metria.
Mayta Capac.
Da Lloqui Yupanqui e Mama Cahua nacque Mayta Capac, quarto re, e Mama Cuca sua s
orella e moglie.
Questo Inca passò alla storia come un Ercole andino per la sua forza poderosa.
Terminate le cerimonie funebri di suo padre e il lutto che in tutto l'Impero durò
un anno, egli s'insediò solennemente e visitò le sue terre come Re assoluto.
Con suo padre le aveva già percorse in due occasioni come principe, ma non avendo
il consenso dei suoi tutori non aveva potuto fare né grazie né favori.
Con un esercito di dodicimila uomini guadò il lago Titicaca conquistando terre e i
ncontrandosi con nobili uomini che gli si sottomettevano volontariamente.
Il suo esercito passò da una riva all'altra del lago su un ponte costruito in quel
l'occasione, con rami di vimini e si accampò nelle vicinanze delle rovine di Tiahu
anaco.
Da qui partì la conquista di altri territori del Collasuyo.
Mayta Capac prima di tornare a Cuzco dopo la conquista e la sottomissione delle
terre vicine lasciò delle persone che insegnarono ai Curacas le pratiche religiose
e le leggi dell'Impero.
Capac Yupanqui.
A Mayta Capac successe il figlio Capac Yupanqui che, appena preso il potere, for
mò un nuovo esercito e partì di nuovo alla volta del Collasuyo per sottomettere altr
i Collas e altri popoli adiacenti al mare.
Gli Incas, dopo la conquista per mezzo delle armi, sottomettevano le genti mostr
ando loro la saggezza delle regole di vita e di governo dei figli del Sole, ma l
asciando, nello stesso tempo, intatte le forme organizzative locali.
Essi ordinavano anche il trasferimento di intere famiglie nelle terre conquistat
e con lo scopo di organizzare l'economia.
I tributi al sovrano si pagavano con tessuti, lana e cereali che servivano per a
pprovvigionare la truppa.
All'Inca si offrivano volontariamente metalli e pietre preziose: queste offerte
servivano per arricchire i templi, la casa reale, la corte e le altre residenze
reali costruite in tutto l'Impero.
I muri del Tempio del Sole erano ricoperti di lamine d'oro, come pure la stanza
della luna, delle stelle, del fulmine, eccetera.
Queste ricchezze erano talmente grandi che possiamo dire che la realtà superava la
fantasia.
Possiamo anche capire come fu possibile agli Spagnoli, durante la conquista, rie
mpire intere stanze di oro e di pietre preziose.
Inca Roca.
A Capac Yupanqui successe Inca Roca, legittimo primogenito, il quale conquistò le
popolazioni dei Chanca e Hancohuallu, che sacrificavano creature al loro Dio pre
diletto, lo spirito del male.
L'Inca vietò i sacrifici umani e dopo aver insediato il suo governo ritornò a Cuzco
dove immediatamente fece preparare un esercito di quindicimila uomini per suo fi
glio Yaguar Huacac che conquisterà negli anni seguenti la provincia di Antisuyo.
In questo tempo il regno si estese alle provincie di Caraca, Ullaca, Hipi, Chich
a e Ampato, popolate da tante genti valorose che il suo predecessore non aveva t
entato di sottomettere perché avrebbe dovuto sterminarle per vincere la loro tenac
e resistenza.
Con Inca Roca si consolidò definitivamente il culto del Dio Sole a scapito del dio
Viracocha.
Fu cioè il Sole ad essere considerato il creatore di tutte le cose e non più Viracoc
ha, ritenuto "colui che tutto fa" dalla mitologia preincaica e in particolare da
quelle di Tihuanaco.
L'Inca ebbe il figlio primogenito Yaguar Huacac da sua sorella Mama Chiya.
Yahuar Huaca.
Il nome del settimo Inca significa "colui che piange sangue".
Si narra che questo Inca fu rapito da bambino da un curaca nemico del padre e ch
e, quando arrivò il momento di dare esecuzione alla sua morte, il fanciullo pianse
sangue.
Spaventati, i rapitori lo abbandonarono nei pascoli dove fu ritrovato e riconseg
nato al padre.
Da questa leggenda l'origine del nome.
Il sovrano ebbe un figlio che fin da piccolo si dimostrò molto violento.
Decise così di diseredarlo e lo mandò a vivere con i pastori che custodivano il best
iame del sole.
Il principe anche se aveva diciannove anni non poteva disobbedire a quella impos
izione e custodì il bestiame per tre anni.
Un giorno che il pastore regale riposava all'ombra delle rocce, gli si presentò un
fantasma dalla lunga barba, vestito con abiti lunghi, che portava un animale sc
onosciuto legato al il collo.
Il fantasma disse al pastore: "Nipote, io sono figlio del sole, fratello dell'In
ca Manco Capac e di Colla Mama Ocllo Huacac, sua moglie e sorella, perciò sono fra
tello di tuo padre e di tutti voi, mi chiamo Viracocha Inca, vengo da parte del
sole, nostro padre, per darti una notizia che dovrai trasmettere a mio fratello:
la maggior parte delle provincie di Chinchasuyo e tante altre, non sottomesse a
l suo Impero, si sono ribellate e stanno raccogliendo migliaia di uomini per for
mare un poderoso esercito che lo caccerà dal suo trono".
Viracocha.
Il principe si presentò con questo messaggio dinnanzi alla corte e a suo padre che
non lo ascoltò e maltrattandolo gli ordinò di tornare in esilio.
Gli avvenimenti non tardarono a confermare il vaticinio e grandi legioni marciar
ono da nord verso Cuzco.
Yaguar Huacac, allarmato, convocò il suo esercito e scappò verso sud con tutta la fa
miglia.
Allora il principe, che dopo l'apparizione del fantasma fu chiamato Viracocha, r
aggiunse il sovrano nei pressi della gola di Mayna e gli disse: "Inca! Com'è possi
bile che per una azione, giusta o sbagliata che sia, di alcuni sudditi ribelli a
bbandoni la tua corte e volti le spalle a nemici ancora nemmeno apparsi? Come pu
oi lasciare la casa del Sole tuo padre e permettere che i tuoi nemici la calpest
ino con i loro piedi? Cosa diremo alle vergini destinate ad essere le mogli del
Sole? Non permetterò che il disonore macchi la mia vita, perciò preferisco rischiarl
a per impedire al nemico di entrare a Cuzco.
Non voglio vedere la atrocità e i sacrilegi che i barbari commetteranno nella sacr
a città fondata dai figli del Sole.
Coloro che vogliono cambiare una vergognosa vita in morte onorevole mi seguano!"
Detto questo il principe marciò verso Cuzco seguito da molti Incas di sangue rega
le, da gente della sua famiglia e della corte.
Erano diecimila uomini e strada facendo aumentavano attratti dal valoroso compor
tamento di Viracocha.
Avanzando verso il Nord incontrò il nemico che sconfisse in una sanguinosa battagl
ia.
Viracocha dopo quella vittoria, attribuita alla protezione divina, governò il regn
o come ottavo Inca e costruì un palazzo perché suo padre vivesse in pace in compagni
a di vecchi vassalli.
Il giovane sovrano si preoccupò di migliorare alcune leggi, di perfezionare il sis
tema di irrigazione che portava l'acqua dalle montagne ai campi seminati, di div
idere le terre equamente fra i sudditi, lasciando o facendo lavorare, in ogni di
stretto, una gran fascia di terreno per il mantenimento delle vedove, dei mendic
anti e dei soldati.
L'Inca Viracocha, dopo aver fatto queste e tante altre imprese notevoli, edificò u
n grande tempio in memoria del dio che lo aveva ispirato dentro al quale collocò u
na statua di pietra che lo raffigurava.
Le imponenti rovine del tempio di Viracocha sono ancora oggi ben visibili.
Pachacutec.
Da Viracocha e Mama Runtu (chiamata "uovo" per essere di carnagione bianca) nacq
ue Pachacutec o Titu Manco Capac.
Pachacutec significa: "Colui che trasforma la terra." Fu considerato grande filo
sofo e profondo pensatore.
Dettò massime che rivelano il grado di cultura e civilizzazione a cui erano arriva
te quelle società: - Il Re non ha potere finché i suoi sudditi non gli obbediscano c
on buona volontà.
- L'ubriachezza, l'ira e la pazzia non si differenziano molto tra loro tranne ch
e le prime due sono volontarie e mutevoli, mentre la terza è permanente.
- Colui che invidia un altro danneggia solo se stesso.
- L'uomo nobile e animoso si riconosce perché è paziente nelle avversità.
- E' meglio che gli altri ti invidino per la tua bontà, piuttosto che essere tu ad
invidiare gli altri per la cattiveria.
- Colui che uccide un altro condanna se stesso.
- Gli adulteri che danneggiano la fama e le qualità altrui, devono essere dichiara
ti ladri e pertanto impiccati come tali.- Quando i sudditi fanno ciò che possono,
il sovrano deve concedere loro clemenza e libertà.
- I giudici che ricevono denaro dai querelati, devono essere considerati ladri e
meritano d'essere impiccati.
- L'indio che non sa governare in casa sua, non saprà governare il suo popolo.
- Il medico che non conosce le virtù buone e cattive delle erbe con le quali cura,
non merita il nome che pretende.
- Colui che vuole contare le stelle e non sa contare i Quipus è degno di essere be
ffato.
Pachacutec fece costruire a Cuzco il Coricancha, il famoso tempio del dio Sole,
di cui si possono ammirare il resti imponenti.
Questo Re, una volta al governo, continuò l'opera di suo padre, edificò nuove scuole
e conquistò nuove terre.
Tupac Yupanqui.
Gli successe il figlio Tupac Yupanqui, decimo Inca, appassionato cacciatore.
Sottomise dapprima gli Huancas, poi organizzò un esercito di trentamila uomini che
diresse a Sud, dove sottomise i Chirihuanas e conquistò il Cile, attraversando de
serti e alte montagne.
Aspri combattimenti avvennero nel paese degli Araucos e furono necessari rinforz
i (diecimila uomini) per arrivare ai margini del fiume Maule, dove fu posta la p
ietra miliare che indicava il limite Sud dell'Impero.
L'esercito ritornò in seguito a Cuzco dove fu ricevuto con festeggiamenti per cele
brare le nuove conquiste; fra queste deve anche contarsi la resa volontaria dei
Tucma (Tucumán).
Tupac Yupanqui organizzò anche una leggendaria spedizione marittima nel corso dell
a quale scoprì le isole Galapagos e si narra arrivò anche in Oceania.
Durante il suo regno furono realizzate grandi opere.
La più imponente è la fortezza di Sacsahuaman le cui mura hanno meravigliato il mond
o per le grandi pietre usate per costruirla.
Gli architetti che diressero i lavori di questa costruzione furono scelti fra qu
elli della casa reale.
Oltre a tutte le ricchezze che arredavano i tre palazzi, si racconta che gli imm
ensi giardini erano ornati con numerosi animali in argento e oro di tutte le spe
cie conosciute.
Anche Tupac Yupanqui, come i suoi predecessori, acquisì nuove terre e sottomise gl
i Huacrachucros, i Chachapuyas e i Mayapampas.
Per le sue conquiste merita di essere chiamato l'Alessandro del Nuovo Mondo.
Huayna Capac.
Huayna Capac ("giovane ricco") successe a questo Re; fu grande conquistatore e m
agnanimo sovrano.
L'undicesimo Inca, valoroso come i suoi predecessori, riuscì ad estendere i confin
i dell'Impero e a civilizzare le nazioni barbare che vivevano ai confini.
Si diresse verso il nord con un formidabile esercito e sottomise molte provincie
e regni fra cui quello di Quito la cui conquista era stata iniziata da Tupac Yu
panqui.
Huayna Capac si sposò con sua sorella maggiore, dalla quale non ebbe figli, cosa c
he allarmò la Corte poiché si aspettava da lui un erede consanguineo.
Quando il re dopo cinque anni conquistò Quito, si innamorò per la sua bellezza della
figlia del sovrano che sposò.
Di ritorno a Cuzco con il suo esercito per rendere conto a suo padre delle nuove
conquiste, si sposò con la seconda sorella Rava Ocllo.
Da lei nacque Huascar, intanto che la principessa di Quito dava alla luce Atahua
lpa.
Così nacquero questi due futuri sovrani che causarono la divisione e la rovina del
poderoso Impero dei figli del Sole.
NOTE.
NOTA 1: Gli stranieri "venuti dal mare" sono gli Spagnoli.
La leggenda rispecchia le ultime tragiche vicende dell'impero Inca, con la guerr
a che sconvolse i regni dei due fratelli Huascàr e Atahualpa, favorendo la penetra
zione degli invasori spagnoli.
Quilaco e Curicoillur sono due "collaborazionisti" ante litteram: Curicoillur gi
oca, nella vicenda, un ruolo fondamentale.
NOTA 2: Ancora una volta, appaiono gli Spagnoli.
NOTA 3: Sono, naturalmente, gli Spagnoli.
SE FOSSI INDIO.
PREFAZIONE.
Questa documentazione sulle leggende degli ultimi Indios è nata dalla incontenibil
e voglia di raccontare, se non tutto, almeno in parte, alcuni aspetti di questa
straordinaria vicenda che mi vede vivere con loro e tra loro, nel cuore della fo
resta amazzonica, per lunghi periodi di tempo.
Non è stato facile trattare questo argomento, perché sono un medico e non un antropo
logo, figura questa ben più qualificata per una trattazione del genere.
E' per questo che mi scuso con i lettori più esigenti per le inevitabili omissioni
e imperfezioni che emergeranno lungo la trattazione.
Ma la maggiore difficoltà nel selezionare i miti è derivata dal fatto che, essendo g
li Indios dei popoli senza scrittura, il testo di quasi tutte le leggende è tremen
damente ripetitivo, per far sì che il bambino possa imprimere nella memoria i part
icolari di ogni vicenda e passarli a sua volta ai propri figli e questi alle gen
erazioni successive.
Ne risulta purtroppo un testo esageratamente esteso che rischia di annoiare quei
lettori che, appartenendo ai popoli con la scrittura, non sono avvezzi a ripeti
zioni eccessive dello stesso concetto.
Certamente, la tentazione più immediata era quella di fare una sintesi del mito, a
dattando, cioè, il racconto, alla mentalità dell'uomo bianco, senza però alterare il t
essuto narrativo della leggenda.
Tuttavia non ho avuto il coraggio di fare tagli così impegnativi e rimaneggianti d
i testi millenari.
Mi è sembrato più sensato continuare a scavare in modo più meticoloso tra le memorie d
i oltre 140 tribù per approdare a leggende più brevi o di più immediata comprensione,
così che, alla fine, dopo molti mesi, ne ho selezionate diciassette.
Ma le difficoltà non erano certo finite qui: in che ordine metterle? Dividerle per
tribù o dare loro un susseguirsi secondo un filo conduttore? Questa seconda ipote
si mi è sembrata la migliore; così, esaminando, i titoli delle leggende, mi è parsa bu
ona idea partire dai quattro elementi, cioè la terra ("E l'indio venne sulla terra
"), l'aria (Perché il cielo è lassù?"), l'acqua ( "E venne la pioggia" ) e il fuoco (
"La conquista del fuoco"), per poi proseguire via via nella scala degli esseri v
iventi fino al regno vegetale e animale, in una successione che introducesse il
lettore alla spiritualità dell'Indio.
Ma questa sequenza di leggende non doveva essere totalmente staccata dalla realtà
così tragica che vivono oggi gli uomini della foresta.
Mi è sembrato così importante e necessario chiudere con i racconti di "Yara" e "Il G
rande Spirito creò l'uomo", per introdurre la cattiveria e il cinismo dell'uomo bi
anco, dissolvendo così la dimensione magicoonirica e riportare la mente alla trage
dia dell'estinzione degli Indios dell'Amazzonia.
L'autore.
L'autore ha concesso gratuitamente i testi qui riportati.
"...
E L'INDIO VENNE SULLA TERRA (Leggenda Kayapò)".
Anticamente gli Indios abitavano nel Cielo e nessuno di essi conosceva la Terra.
Un giorno, un cacciatore si imbatté in un armadillo e cominciò a inseguirlo, avvicin
andosi sempre più alla preda.
Vistosi quasi raggiunto, l'animale cercò di guadagnare la tana e, riuscitovi, vi s
i infilò fino a raggiungere il fondo.
L'Indio non si perse d'animo e cominciò a scavare con decisione.
Scavò giorno e notte finché non riuscì ad agguantare l'armadillo; ma proprio mentre st
ava per cantar vittoria, il fondo del cunicolo si aprì e solo per miracolo l'Indio
riuscì ad aggrapparsi con tutte le sue forze al ciglio della voragine che si era
aperta sotto di lui.
Così rimase a dondolare nel vuoto per qualche tempo, paralizzato dalla paura prima
, sbalordito dalla visione sottostante subito dopo.
Ai suoi occhi meravigliati si presentò uno spettacolo di indescrivibile bellezza:
uno sconfinato arcobaleno, fatto di tante sfumature di verde, di cui non si rius
civa a vedere né l'inizio, né la fine.
Allora, riavutosi dalla sorpresa, corse subito a chiamare i compagni che lo segu
irono incuriositi e restarono attoniti a osservare sul bordo della voragine.
Dall'arcobaleno verde si sprigionava un calore che giungeva fino a loro impregna
to di mille odori nuovi, mentre l'aria era attraversata dal canto di una miriade
di uccelli che continuavano a richiamarsi l'un l'altro da ogni angolo di questo
sconfinato verde, mentre le farfalle svolazzavano tranquillamente posandosi sui
fiori colorati.
Capirono allora che l'arcobaleno era la grande foresta.
I fiumi chiari si alternavano a quelli scuri: quando le loro acque si mescolavan
o, il colore acquistava sfumature di incomparabile bellezza.
I pesci erano così numerosi da non trovare quasi posto in acqua, così che ogni tanto
si vedevano saltare qua e là.
Gli alberi erano ricurvi, malgrado non soffiasse alito di vento: capirono che a
curvare i rami era il peso della frutta profumata, raccoltasi in modo abbondante
.
Pensarono che, se tanta era la frutta, altrettanto ricca doveva essere la selvag
gina.
Gli Indios si guardarono tra loro sbigottiti e, senza esitare, si mostrarono sub
ito desiderosi di dare maggiore serenità al loro futuro.
Decisero così di lasciare la loro dimora il Cielo, per scendere e abitare sulla Te
rra: ma come fare? Il Consiglio degli anziani si riunì e decise di fare una fune,
unendo tra loro tutti i bracciali e le collane della tribù: ne risultò un filo robus
to che, con l'aiuto di tutti arrivò a una lunghezza sufficiente per raggiungere la
Terra.
Fu così che pian piano gli Indios cominciarono a scendere, aggrappati alla fune.
La maggior parte raggiunse la Terra e si sparpagliò nella foresta per popolarla.
Qualcuno, invece, non convinto della visione e, presagendo che la vita su questa
Terra non sarebbe stata così bella come appariva decise di restare lassù.
Quando quasi tutti i guerrieri furono scesi sul pianeta, un bambino dispettoso p
assò vicino alla fune e, con un coltellino, tagliò il filo, di modo che a nessuno fu
più possibile scendere sulla terra.
Così, nel cielo rimasero alcuni Indios e i loro fuochi si notano ancora oggi nella
notte: sono le stelle...
PERCHE' IL CIELO E' LASSU'? (Leggenda Bakairì).
Un tempo gli Indios abitavano non solo sulla terra, ma anche nel cielo.
Solo che il cielo non era in alto come è oggi, ma accanto alla terra; erano così vic
ini l'un l'altro, che ogni Indio era libero di spostarsi da una parte all'altra
senza alcun impedimento.
Ma venne un tempo in cui gli Indios che vivevano nella zona del cielo, cominciar
ono ad ammalarsi di una tremenda malattia che si diffuse in modo micidiale, semi
nando la morte in tutta la regione.
I pochi che riuscirono a sopravvivere, per salvarsi, attraversarono il confine e
si stabilirono sulla terra.
Il cielo, ormai senza Indios, diventò leggero leggero e, piano piano, cominciò a sol
levarsi e a salire sempre più su, più su, fino a raggiungere l'alto, dove ora lo ved
iamo...
...
E VENNE LA PIOGGIA. (Leggenda Kaxinawà).
Un tempo gli Indios non conoscevano la pioggia perché nel cielo c'era un grande la
go che aveva sul fondo un foro costantemente tappato dalla zampa di un enorme uc
cello pescatore.
Ma un giorno, un guerriero gettò verso l'uccello un pesce dorato e, subito, il vol
atile si avventò sulla preda, spostandosi dal foro: fu così che sulla terra cadde la
prima pioggia scrosciante.
Così, il fulmine che fende il cielo, prima della pioggia, è il pesce dorato lanciato
dall'Indio, mentre il piovigginare che precede la grande pioggia è causato dall'a
gitarsi dell'uccello pescatore, che, nell'attesa di ricevere il pesce dorato, si
sporge qua e là equilibrandosi su una zampa sola.
...
E IL GRANDE SPIRITO CREO' L'UOMO. (Leggenda Tukano.
Venne un tempo in cui il Dio del Tuono pensò di popolare la foresta di esseri uman
i.
Decise pertanto di passare all'azione e, sceso sulla terra, si trasformò in una gr
ande canoa la cui forma ricordava un maestoso serpente.
Iniziò allora a scivolare sulle acque e, quasi per incanto, i pesci cominciarono a
saltarvi dentro, trasformandosi nello spirito degli uomini.
La canoa continuò il suo cammino, finché non si arrestò su un'ansa del fiume, scivolan
do dolcemente con la sua chiglia sulla morbida sponda.
In un batter d'occhio gli spiriti si tuffarono nelle limpide acque, fuoriuscendo
subito dopo col corpo di uomini.
Così nacque l'uomo: ma, essendo completamente indifeso, il Dio del Tuono distribuì,
su una distesa di roccia, archi, frecce, lance, cerbottane e un fucile.
Tra gli uomini se ne fece avanti, subito, uno dalla pelle bianca che, afferrato
il fucile cominciò a sparare all'impazzata, senza alcuna ragione, mostrando così la
sua violenza.
Indispettito da questo comportamento, il Dio del Tuono, lo scacciò e lo mandò lontan
o, alla foce del fiume, perché lì si stabilisse.
Gli altri uomini che erano Indios, si spartirono, invece, in modo ragionevole, a
rchi, lance e cerbottane e si incamminarono tranquillamente verso le sorgenti de
l fiume, stabilendosi là dove era stato indicato dal Dio del Tuono.
Fu così che sorsero i villaggi e gli Indios cominciarono a generare la propria sti
rpe, vivendo in pace e in armonia con la natura.
Ma, molto presto, cominciò a giungere l'eco delle cattiverie e della violenza dell
'uomo bianco.
Questo avviene ancora oggi, là dove il fiume scende ed è proprio qui che nascono e s
i diffondono ogni giorno notizie di violenza e di morte...
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Ettore Biocca: "Mondo Yanoama.
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NOTA BIOGRAFICA DEL CURATORE DELLA SELEZIONE.
Aldo Lo Curto è nato in Sicilia nel 1949.
Si è laureato in medicina con lode presso l'Università di Pavia nel 1973 ed è speciali
sta in Anatomia Patologica e Chirurgia Plastica Ricostruttiva.
Fin dal 1978 si è prodigato come volontario nei paesi in via di sviluppo, utilizza
ndo il periodo delle ferie prima e, per lunghi periodi di tempo, poi.
Questo servizio lo ha portato in Africa (Togo, Benin, Zaire, Malawi), in Asia (I
ndia, Nepal, Bhutan, Hong Kong, Filippine), in Oceania (Papua Nuova Guinea) e in
Sud America (Equador, Brasile), dove si è trovato spesso ad operare, da solo e co
n pochi mezzi, in regioni vaste e sperdute utilizzando unicamente la praticità ed
il buonsenso.
Proprio durante questa particolare e instancabile attività, Lo Curto è venuto a cont
atto con la cultura e le tradizioni indigene, che, al di là della semplice curiosi
tà, sono diventate oggetto di studio particolareggiato.
Le sue ricerche, basate inizialmente sullo studio della medicina tradizionale de
i popoli della foresta si sono estese successivamente alla descrizione di altri
elementi culturali che non possono passare inosservati in un periodo storico così
delicato in cui l'estinzione e il razzismo rischiano di divenire realtà.
Dello stesso autore sono anche le monografie "Gli animali che curano, secondo la
medicina indigena dell'Amazzonia", "La droga nei secoli: tra mitologia e storia
" e "Indio: manuale de saùde".
Aldo Lo Curto è membro di Amnesty International.
Questa pubblicazione è stata resa possibile grazie alla collaborazione dei popoli
della foresta e dei numerosi amici che seguono la causa degli ultimi Indios già da
tempo, non solo in Italia, ma anche all'estero.
In particolare desidero esprimere la mia gratitudine a: Andrea, Cinzia, Chiara,
Claudio, Cristina, Ileana, Luca, Mario, Nicoletta, Roberto, Tiziana.
Aldo Lo Curto.