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L'Armata dei Sonnambuli - DinamoPress

T a c c u in o : Taccuino di edascenzi
Cre at o : 08/04/2014 10:38
U RL : http://www.dinamopress.it/news/larmata-dei-sonnambuli

L'Armata dei Sonnambuli


di Giuliano Santoro 3

Ultima modifica il Lunedì, 07 Aprile 2014 23:39

Il "romanzo del Terrore" dei Wu Ming: nel clima infuocato della


Rivoluzione avanza un nuovo tipo di restaurazione. Un eroe
mascherato, un uomo di scienza e una donna del popolo
cercheranno di fermarla
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“Te lo si conta noi, com'è che andò. Noi che s'era in piazza della Rivoluzione”: pare
di sentirlo davvero, il racconto che sgorga dal corpo sociale che popola gli anfratti
maleodoranti, eccitati e in preda alla febbre e al trambusto del Terrore
rivoluzionario che viene fuori dalle quasi 800 pagine de “L'Armata dei Sonnambuli”,
il nuovo romanzo collettivo dei Wu Ming.

Va a finire (ma non vi preoccupate, quello che segue non è uno spoiler, la trama la
scoprirete da soli assieme al finale) che in questo affresco corale, umanissimo e
radicale, potente e mai caricaturale, realismo e favola si contaminano e a loro volta
tracimano con le pagine della vita vera, perché nelle ultime pagine il romanzo entra
nella storia approfondendo il percorso degli Oggetti Narrativi non Identificati
wuminghiani. Lasciamo alle settimane che seguiranno, e alle discussioni che
verranno, di trovare analogie e differenze tra le discussioni sulle incombenze dei
giorni che ci tocca vivere e la storia narrata dell'Armata dei Sonnambuli. Per ora
concentriamoci sul racconto, che scorre fluente ma che come al solito non contiene
tesi semplicistiche o allegorie a chiave.

Si affonda dentro le strade bagnate di sudore, lastricate di sangue e annaffiate di


alcolici di pessima qualità. Siamo a Parigi, l'epicentro dello scandaloso evento
storico che arbalta il mondo. Ma si aprono anche i sentieri selvaggi delle regioni a
qualche giorno di viaggio dalla città della Bastiglia ma separate anni luce dalle
scosse telluriche repubblicane. I due luoghi, la città e la provincia, rappresentano
rispettivamente l'effervescenza terragna della sommossa permanente e l'arretratezza
quasi metafisica della servitù. Due universi contigui ma inconciliabili, parte della
stessa nazione che si ritrova nel fervente subbuglio con gli occhi del mondo antico
puntati addosso: chi sta in alto in preda al terrore e chi sta in basso impegnato a
riscaldare con combustibile di fortuna l'ardore rivoluzionario.

Nel mezzo, tra il passato superstizioso e il futuro agguantato con rabbia, vi


troverete in un altro luogo: nella fortezza biopolitica del castello di Bicêtre,
istituzione totale e paradigma panottico che si staglia alla periferia meridionale della
capitale francese. La struttura viene impiegata simultaneamente come orfanotrofio,
prigione, manicomio e ospedale. Nel castello degli orrori mentali si sperimentano
forme nuove di comando e obbedienza: quelle provenienti dall'ancien régime non
sono più efficaci. Bisogna andare oltre la pura “restaurazione”. “La
controrivoluzione è a sua volta una rivoluzione, oppure non è nulla”, si legge in
uno dei passaggi chiave del romanzo nel quale cominciamo a scoprire le mosse dei
nemici del popolo. Bicêtre è il laboratorio delle tecniche governamentali citato
anche da Foucault nella sua “Storia della follia nell'età classica”. Perché non basta
sostituire le catene con la camicia di forza per giungere a condizioni di trattamento
più umane: l'ipnosi, il mesmerismo, il magnetismo sono discipline nuove, affilate e
adatte ai tempi nuovi. Consentono di muovere massa di sonnambuli forzando la
loro volontà. I fluidi elettrici che attraversano il corpo sociale possono essere
manovrati dall'alto e non necessariamente a fin di bene.

Uno dei personaggi principali, il medico Orphée d'Amblanc intraprende una


cavalcata nel cuore di tenebra delle province sperdute che lo porterà a vivere
esperienze angoscianti, il corpo ancora pulsante delle ferite ancora doloranti delle
guerre d'America. È in missione per conto della polizia giacobina. Sono pagine che
si leggono col fiato sospeso, quelle che raccontano l'indagine nelle terre dei bifolchi
timorati di Dio che non sanno ancora cos'è la rivoluzione, in mezzo alle genti
ancora sottomesse all'incantesimo del potere assoluto. Il potere funziona come
un'ipnosi collettiva, una fascinazione magnetica che spinge anche
all'autodistruzione, riesce anche a mandarti a morire in trance, senza farti sentire il
dolore fisico. La restaurazione che si spaccia per rivoluzione è in agguato.

Proprio all'inizio del romanzo, il monarca sconfitto Luigi XVI sale su un


palcoscenico davanti ad una platea urlante per finire con la testa mozzata. Perché il
potere nella temperie dell'immediato post-ottantanove come nelle cerimonie del
lusso nobiliare prima, è anche spettacolo, rappresentazione. La rivoluzionaria (e
attrice teatrale) Claire Lacombe durante il passaggio dal Terrore al Termidoro,
descrive gli eventi che accadono nella Convenzione della sala da spettacoli del
Palazzo delle Tegolerie: “Questi politici si alzano sui banchi per i loro discorsi come
un attore calcherebbe le scene. Per loro il popolo è un pubblico, nient'altro”. Ad
esperire la relazione tra messa in scena e sovranità, e a rendersi conto di come
“rappresentare il popolo” significhi “agire per conto suo” ma anche “metterlo in
scena”, l'attore goldoniano e di origine bolognese Léo Modonnet, al secolo Leonida
Modonesi, che veste i panni di un vendicatore rivoluzionario con tanto di maschera
nasuta di Scaramouche. Prende a saltare sui tetti e a combattere contro i
muschiatini reazionari della “Gioventù Dorata” perché non ha più senso stare al
chiuso di un teatro quando, grazie alle scosse rivoluzionarie che hanno fatto saltare
le regole, il palcoscenico è “divenuto grande quanto Parigi”: “Gli spettacoli più
emozionanti erano quelli dove la gente perdeva la testa per davvero, i cannoni
tuonavano e poteva capitare, da un momento all'altro, che gli spettatori si
trovassero a recitare”.

Leonida interpreta fuori dal palcoscenico un eroe rivoluzionario che non ha nulla a
che vedere col suo omonimo spartano della battaglia delle Termopili. Per questo si
accorge che “Uno da solo non basta” e che per tagliare la testa del serpente
controrivoluzionario bisogna costruire un'alleanza. A fargli prendere coscienza, e
condurre più in là la riflessione dei Wu Ming sull'uso dal basso dei miti e delle
narrazioni, c'è il personaggio di Marie Noziére, donna del popolo che vive sulla sua
pelle il limite della Rivoluzione borghese: quando si tratta di attaccare i
“monopolisti”, quelli che speculano sulla fame e sul lavoro dei diseredati, il Terrore
che con le sue compagne aveva provato a scatenare contro affaristi e taglieggiatori
cambia verso, colpisce a morte Marat, ghigliottina Danton e Robespierre, si insinua
presso i rivoluzionari dei foborghi. Il medico-investigatore, l'artista di strada e la
donna rivoluzionaria sono in primo piano, a segnare una maturità espressiva e una
capacità altissima di rappresentazione dei personaggi. Dietro di loro si muove una
moltitudine di uomini e donne, ritratti qualche volta appena abbozzati e altre volte
più approfonditi, che disegnano un mondo pieno di sfumature vergate con
leggerezza e tratti forti marcati con mano sicura: solo così si può raccontare una
rivoluzione e si intende la forza materiale (e rivoluzionaria) delle tante vite che
almeno per un attimo sollevano lo sguardo oltre l'orizzonte: a più voci e
intrecciando più sguardi. Vi capiterà di affezionarvi a qualcuno dei “comprimari” (ne
citiamo qui solo alcuni: il ciabattino e guardia rivoluzionaria Treignac, l'allibratore
Bernard La Rana, il debole commissario Chauvelin, la femministra Pauline Léon)
per accorgervi che in una rivoluzione non esistono personaggi secondari e che in
un racconto rivoluzionario che si rispetti tutti hanno una funzione chiave che muove
la storia. A meno che non vi capiti di essere arruolati nell'Armata dei Sonnambuli.

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