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Evoluzione vegetale

Era Periodo Phyticera Eventi Tempo (Ma)

Cenozoico Neogene Cenofitico

Paleogene --------1.8-----
-------5.3------
-------23.8----
Mesozoico Cretaceo -------33,7----
-------54.8----
--------65-----
Giurassico Mesofitico
Evoluzione delle
piante a fiore. -------144----
Triassico

Paleozoico Permiano

Paleofitico
Carbonifero
--------206----

Devoniano Grande espansio-


ne delle piante a
seme.
Siluriano
--------290----

Ordoviciano
--------323----

Proterofitico --------354----
Cambriano

Precambriano
-------417-----
Evoluzione delle
piante vascolari
Archeofitico
(terre emerse)
-------443-----

------- 490 ----

Prime piante
La vita, lo sappiamo tutti, ebbe inizio nelle acque. E fu vita autotrofa, pacifica, a bassa di-
versità. La nascita dei primi predatori fu la causa iniziale di una esplosiobe evolutiva che ci
ha portato ai giorni nostri. L’azione predatoria fu da stimolo ad una diversificazione degli
autotrofi verso nuove nicchie ecologiche, nuovi modi di vivere negli oceani e di sfuggire ad
una minaccia nuova. Questa diversificazione, accompagnata da una diversificazione para-
gonabile nei predatori, portò in tempi geologicamente brevi alla saturazione delle nicchie
oceaniche, e quindi al “tentativo” di conquistare un habitat fino ad allora vergine, le terre
emerse. Ma questa conquista richiedeva modificazioni qualitativamente molto diverse ri-
spetto a quelle precedenti: bisognava in qualche modo rendersi autonomi dall’acqua, e l’e-
voluzione successiva è tutta percorsa da questo tema, l’interiorizzazione dell’oceano. Ma
perchè questa storia potesse avere inizio erano necessarie certe condizioni di partenza,
senza le quali la vita come la conosciamo non sarebbe stata in grado di conquistare i nuo-
vi territori: esse erano la presenza di stabili ambienti costieri, una formazione di suolo e lo
sviluppo di condizioni climatiche ed atmosferiche adatte.

COLONIZZAZIONE

Le condizioni per la colonizzazione delle terre emerse da parte delle piante si presentaro-
no nel tardo Ordoviciano, circa 458-443 milioni di anni fa. Ma le prime evidenze fossili che
le piante acquatiche avessero effettivamente sviluppato delle caratteristiche compatibili
con un ambiente non acquoso si situano nel primo Siluriano (ca. 470-430 milioni di anni
fa). In questo fossili si riscontrano misure per la protezione dal disseccamento, le prime
cellule specializzate per il trasporto di acqua e nutrienti, le prime strutture di supporto mec-
canico e delle modalità riproduttive che non dipendono principalmente da acqua esterna.
Le inferenze da dati scarsi sono sempre rischiose, ma sembra possibile dire che nel tardo
Siluriano - primo Devonianio (ca. 430-400 Ma) dalle alghe verdi emersero le prime piante
terrestri, che comprendevano piante non-vascolari (le Briofite), piante vascolari (Tracheofi-
te) e piante con caratteristiche miste. Probabilmente le primissime piante terrestri a com-
parire furono quelle non vascolari, in particolare le Epatiche, seguite dai muschi, forse i più
vicini, evolutivamente. alle piante vascolari.1
Ma torniamo alla nostra storia di colonizzazione. Intorno al primo Devoniano (ca. 408 mi-
lioni di anni fa) avviene il primo passaggio evolutivo rivoluzionario: compaiono le prime
piante vascolari, ed intorno ai 400 milioni di anni fa compaiono le Eutracheofite, il gruppo
tassonomico che comprende quasi il 99% delle piante moderne. Quindi possiamo dire che
molte delle caratteristiche della nostra flora si stabilirono 400 milioni di anni fa.
Queste prime piante terrestri erano felci, licopodi e code cavalline, piccole erbacce alte al
massimo un metro, che nel giro di circa 100 milioni di anni avrebbero formato completi
ecosistemi forestali con alberi alti fino a 35 metri e simili alle nostre foreste attuali anche
se, a vederle, queste foreste primordiali ci apparirebbero forse aliene. Questa profonda e
rapida trasformazione non fu dovuta soltanto a modificazioni adattive delle piante rispon-
denti a fattori biotici, ma anche a grandissimi cambiamenti climatici e tettonici, che com-
presero lo spostamenti del polo Sud, tre glaciazioni e una forte riduzione dell’anidride car-
bonica dell’atmosfera.
Le piante svilupparono meccanismi sempre più complessi, “inventarono” radici, cortecce,
foglie, legno e una vascolatura più efficiente: fino alla comparsa, circa 380 milioni di anni
fa, delle prime forme arboree; e già intorno al primo Carbonifero, 350 milioni di anni fa, esi-
stevano foreste di equiseti, licopodi, felci e pro-gimnosperme.
Ma la vera rivoluzione era ancora da venire. Tra i 290 e i 249 milioni di anni fa (Permiano),
in corrispondenza di un cambiamento climatico caratterizzato da un graduale e continuo ri-
scaldamento ed inaridimento, ed in seguito alla formazione del supercontinente Pangea
(ca. 300 milioni di anni fa), emergono e si diffondono le prime piante a seme (Spermatofi-
te) che sono piante a seme nudo (Gimnosperme). Il nuovo gruppo di piante comprende le
Cycadi, le Gingkgoaceae, le Bennetite e le Pteridofite. Il seme fu una rivoluzione radicale
rispetto al metodo a spore adottato da tutte le piante fino a quel momento. Le spore, per
potersi incontrare e fondersi fino a formare un nuovo individuo, avevano bisogno di essere
rilasciate in un ambiente fortemente acquoso, dove potessero sopravvivere senza disidra-
tarsi e nuotare l’una verso l’altra per potersi incontrare. Il seme sciolse questo forte lega-
me. Infatti le “spore” (polline e ovuli) non vengono più rilasciati nell’ambiente L’ovulo rima-
ne fisso ed il polline, disperso dal vento, lo raggiunge e lo feconda. Dopo la fecondazione,
inizia subito a svilupparsi il nuovo individuo, ma lo sviluppo si ferma subito e la protopianti-
na (l’embrione) rimane racchiuso in un ambiente ricco di acqua e nutrienti e protetto da
una capsula a tempo, solida e e pronta ad aprirsi solo quando incontra le condizioni am-
bientali adatte: il seme. E’ chiaro che la pianta a seme è in vantaggio: può colonizzare am-
bienti nuovi, aridi, o sopravvivere nelle mutate condizioni ambientali che hanno ridotto
l’ambiente tropicale (fino ad allora quasi universale sulla terra) a ridotte fasce. Inoltre arri-
va sul terreno in vantaggio sulle spore: la piantina è già formata, attende solo le condizioni
giuste, e parte quindi avvantaggiata.
Non sorprende quindi che, dopo la comparsa delle Conifere nel periodo subito successivo
(Triassico ca. 248-206 milioni di anni fa), entro la prima parte del Giurassico (206-180 mi-
lioni di anni fa) la vegetazione globale sia ormai dominata da piante a seme ed inizi, alme-
no in parte, ad assomigliare alla copertura forestale attuale.
La terza grande rivoluzione (dopo le piante vascolari e le piante a seme) è quella delle
piante a fiore (o piante a seme nascosto - Angiosperme), che avviene 140 milioni di anni
fa, molto tardi dal punto di vista evolutivo (300 milioni di anni dopo le Tracheofite e 220 mi-
lioni di anni dopo le Spermatofite), probabilmente a partire dalle Bennettitales e/o Gneta-
les. La comparsa tardiva è però seguita da una rapida diversificazione a partire da 100 mi-
lioni di anni fa, diversificazione che in tempi relativamente brevi (nel Terziario tardo, ca. 65
milioni di anni fa) porta ad una dominanza globale delle Angiosperme. Il gruppo si diversifi-
ca rapidamente sia dal punto di vista dei meccanismi riproduttivi e della morfologia: com-
paiono prima le dicotiledoni erbaceo-arbustive e di seguito le monocotiledoni, e le strutture
floreali passano da semplici fiori a simmetria radiale con molte componenti a fiori sempre
più asimmetrici, con fusione di parti, fino al raggruppamento di singoli fiori in infiorescenze
(come nelle Asteraceae).

L’ESPLOSIONE DEI METABOLITI SECONDARI - DIFESA E RIPRODUZIONE


L'avvento delle Angiosperme porta ad un’altra rivoluzione che ci interessa molto da vicino.
L’esplosione di diversità portata da questo nuovo gruppo non è limitata alle forme o alle
modalità di riproduzione. Essa si esplicita anche nella produzione di una panoplia di com-
posti chimici di difesa o di comunicazione. Le piante, come organismi sessili, non possono
sfruttare le strategie di attacco e difesa dinamiche proprie degli animali: fuggire o attaccare
il nemico. Esse hanno da subito dovuto utilizzare delle difese di tipo statico, per dissuade-
re i predatori come erbivori, batteri, virus, funghi, ecc. dal mangiarle o dall’infettarle. Le pri-
me piante emerse usarono difese di tipo meccaniche mutuate dai meccanismi già in opera
per la costruzione delle strutture di supporto e di trasporto oppure di riduzione della traspi-
razione (un fenomeno di esaptazione secondo Gould e ,...) , quindi lignina e altre sostanze
per rendersi coriacee e difficili da digerire, spine, ecc., oppure sostanze idrofobiche che ri-
coprono i tessuti, come cutina, cere e suberina.
Ma ben presto il fenomeno della coevoluzione, ovvero la rincorsa di risposte e controrispo-
ste palleggiate tra piante e predatori le “costrinse” ad adottare difese più sofisticate, ovve-
ro delle tossine la cui pericolosità (dalla repellenza alla velenosità) dipende da animale, si-
stema metabolico, peso, età, quantità ingerita, ecc). Sono composti tossici che dovevano
in teoria servire per allontanare l’erbivoro, per ucciderlo o per fargli ricordare che era me-
glio non mangiare quella pianta!
Questi composti non svolgono nella pianta ruoli diretti o indiretti nelle funzioni di base,
come fotosintesi, respirazione, trasporto di nutrienti, sintesi proteica, differenziazione, ecc.
Inoltre, ha differenza di amminocidi, zuccheri, lipidi acilici e nucleotidi, non sono ubiquitari
nel mondo vegetale bensì segregati in taxa specifici, a volte in una singola specie. Queste
due caratteristiche sono le più utilizzate per distinguere i metaboliti primari (necessari
sempre per la vita ed ubiquitari) dai metaboliti secondari (non sempre necessari per la so-
pravvivenza e segregati). Fino a qualche decennio fà il significato adattivo di molti metabo-
liti era sconosciuto e la tendenza era di catalogarli tra i prodotti di scarto. Gli ultimi decenni
hanno invece chiarito importanti funzioni ecologiche per le piante, e quindi la loro rilevanza
adattiva.
Oggi noi consideriamo una divisione generale di questi composti in tre classi: terpenoidi,
componenti principali degli olii essenziali; composti fenolici, importanti componenti di alcu-
ni olii essenziali; composti azotati.
Le prime briofite e gimnosperme iniziarono a produrre tannini condensati, glicosidi ciano-
genici, ormoni giovanili ed ecdisoni, e le prime Conifere (Araucaria, Podocarpus, Cupres-
sus arizonica, Pinus strobus, ecc.) iniziarono ad immettere nell’ambiente molti terpenoidi
nelle resine che le caratterizzano (la resina fossile più anticha risale al Carbonifero, ca.
310 Ma); ma è con l’arrivo delle Angiosperme che si arriva alla più grande diversificazione
produttiva, anche in risposta all’escalation messa in atto dai predatori che si adattavano
alle nuove molecole (Tabella 2).
Nelle Angiosperme Dicotiledoni la composizione degli olii essenziali si segrega in senso
evolutivo. Nelle prime, più antiche dicotiledoni, le essenze sono caratterizzate soprattutto
da derivati dell’acido cinnamico come safrolo, eugenolo ed aldeide cinnamica. Quindi nelle
Magnolidae come l’Illicium verum (Magnoliaceae), la Canananga odorata (Annonaceae) o
le molte Lauraceae (Cinnnamomum spp., Laurus nobilis, Myristica fragrans) gli olii essen-
ziali sono ricchi in fenoli o aldeidi fenoliche.
Il passaggio dalle Angiosperme antiche a quelle più moderne porta però ad uno graduale
spostamento delle percentuali. Si riducono i composti dal percorso dell’acido shichimico a
favore dei derivati dell’acetato, prima nelle Rosidae (Myrtus spp. (Myrtaceae); Rosa spp.
(Rosaceae); Citrus spp. (Rutaceae); Pimpinella, Anethum, Angelica, Foeniculum (Apia-
ceae)) e poi nelle Asteridae dove non troviamo più alcun derivato dell’acido cinnamico
(Melissa, Lavandula, Rosmarinus, Thymus, Mentha (Lamiaceae) e Matricaria, Artemisia
absinthium, Achillea, Calendula (Asteraceae). La ragione di questo passaggio può essere
ipotizzata nella enorme plasticità del percorso dell’acetato (fino ad oggi più di 40.000 mo-
lecole di terpeni scoperte) e nella intrinseca maggior sicurezza dei composti derivati dall’a-
cetato. Le piante più evolute hanno scelto di preferire le potenzialità date dalla plasticità, e
di ridurre i rischi, demandando il ruolo di difesa (che era meglio svolto dai composti fenoli-
ci) ad altre molecole (alcaloidi, ecc.).
Funzioni ecologiche delle essenze
Nel parlare della funzione ecologica degli olii essenziali bisogna ricordarsi anche della loro
funzione come componenti di materiali più complessi, in particolare all’interno delle resine.
Anche se non è possibile, o solo raramente, separare la funzione ecologica dell’olio es-
senziale da quello della resina in generale, questi dati sono comunque rilevanti per lo stu-
dio delle essenze. Le nostre conoscenze in questo campo sono quasi esclusivamente limi-
tate alle Conifere di importanza economica, ed in particolare a Pinus ponderosa, P. elliottii
e Pseudotsuga menziesii
Dagli studi su queste specie sappiano dell’importanza delle resina e dei monoterpeni in
essa contenuti nella difesa dai predatori più pericolosi delle Conifere, gli scarabei della
corteccia (Dendroctonus, Ips e Scolytis) e i funghi ad essi associati (Ceratocystis e Tricho-
sporum); le resine sono anche importanti per la difesa da piante parassitarie, da erbivori
grandi e piccoli (scoiattoli), e si evidenziano schemi di coadattamento e segregazione geo-
grafica tra predatori e piante che rinforza l’idea di coevoluzione tra organismi di cui si è già
parlato.
Dall’analisi della produzione ex novo di resina dopo un attacco si evidemzia di solito una
composizione qualitativamente diversa da quella della resina già sintetizzata ed immagaz-
zinata, e una sintesi iniziale di monoterpeni seguita dai sesquiterpeni e dagli acidi diterpe-
nici, una sequenza che sembra servire due scopi, la presenza di composti antisettici e la
presenza di composti che servono a mantenere liquidi i composti più densi, per favorire la
loro dispersione.
Le resine superficiali (Larrea tridentata, Grindelia camporum, ecc.) in specie non xerofite
hanno quasi certamente una funzione di deterrenza per gli insetti (come dimostrato dai
dati su Larrea) ma al contempo funziona da antidisseccante ottimale perché non impedi-
sce le normali funzioni fotosintetiche, impedisce la perdita di acqua ma non l’assimilazio-
ne.
La resina superficiale di molti alberi subartici (Betulla, Pioppo, Alnus) che ricopre i tessuti
giovani di questi alberi li protegge dalla predazione.

La resina può servire anche a moderare la dispersione di semi. Il Pinus contorta var latifo-
lia ha un cono serotino, cioè la resina trattiene fermamente i semi, fino a che il calore (di
un incendio) non la scioglie. Dopo un incendio i semi sono così abbondanti che si riscon-
trano spesso popolazioni pure di questa specie.

Attrazione dei pollinatori


I composti emessi dai fiori servono con tutta probabilità ad attirare e guidare i pollinatori,
ma purtroppo al momento esistono ancora pochi studi che sostanziano questa intuizione,
che sostanze odorose possano attrarre dei pollinatori specifici (Dudareva et al., 2004).

Attrazione
Nella frutta, l’emissione e l’accumulazione di composti volatili si è probabilmente evoluta
per facilitare la dispersione dei semi da parte di animali e insetti

Difesa dai patogeni


In generale i tessuto vegetali rilasciano sostanze volatili a seguito di lesioni da parte di er-
bivori (De Bruxelles and Roberts, 2001; Pichersky and Gershenzon, 2002), e questi com-
posti possono minimizzare la soppressione della crescita dei batteri epifitici da parte del
fungo fitopatogeno Botrytis cinerea modificando la dinamica di popolazione sulla siuperfice
della foglia (Abanda-Nkpwatt et al., 2006a).

Informazioni sui più di 700 composti aromatici identificati: (Surburg and Panten, 2005;
http://www.flavornet.org/index.html).

Anatomia vegetale, strutture secretorie e di stoccaggio

(a) Ghiandole peltate e capitate su foglia di basilico. (b) Ghiandole peltate e capitate su
sepalo di basilico. (c) Ghiandole peltate e capitate su foglia di dragoncello (Artemesia dra-
cunculus) (d) Stesse ghiandole ad un ingrandimento maggiore.

Tricoma ghiandolare di (Balsamorhiza sagittata).


Tra le briofite solo le epatiche sintetizzano grosse quantità di olii essenziali, caratterizzati
da terpenoidi e/o composti aromatici, che si accumulano in strutture uniche alle epatiche, i
corpi oleosi, strutture secretorie intracitoplasmiche che si originano dal reticolo endopla-
smatico, differenti dai corpi oleosi delle spermatofite, ma funzionalmente equivalenti alle
strutture secretorie idrofobiche delle spermatofite (ad esempio nel genere Calypogeia i
corpi oleosi sono colorati di blu per l’accumulo di derivati azulenici - Suire et al. 2000)

Distribuzione degli olii essenziali nel regno vegetale

Anche se i prodotti aromatici (intesi come odorosi) sono presenti in molte piante, in alghe
e licheni (Kajiwara y col., 1993; Rodríguez Avalos y Rodríguez, 1991), essi sono concen-
trati in alcune famiglie delle Angiosperme (nelle Verbenáceae, Mirtáceae, Lamiáceae, Ru-
táceae, Lauráceae, Piperáceae, Apiáceae e Asteráceae) e poche specie delle Gimnosper-
me, in particolare nelle Pinaceae.
Una stima sicuramente arrischiata vorrebbe l’esistenza di circa 3000 specie aromatiche,
delle quali sono commercializzate solo 250. Secondo Lawrence (1995) però le specie aro-
matiche sarebbero addirittura 17500. Arctander (1960) parla di circa 400 prodotti aromatici
usati nella preparazione di fragranze e sapori. Fenaroli (1971) parla invece di 200 prodotti.
Circa il 65% del mercato delle essenze proviene da specie coltivate, l’1% da specie silve-
stri e il 33% da alberi.

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