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LETTERA APERTA =============== Caro Ugo Nespolo, ho letto in ritardo ma con interesse il tuo articolo -L'arte al castello di Rivoli

un sapore acido da obitorio-, comparso il 17-3-'93 su La Stampa". Nell'articolo lamenti che la mostra, Un'avventura internazionale. Torino e le Arti 1950-70, non onora l'assunto che si propone per mancanza di verit. Memore dell'insegnamento del secolo dei lumi, tu giustamente pretendi l'obiettivit da chi si occupa di storia, ma sfortunatamente dimentichi un altro insegnamento che proviene da quell'illustre secolo: al potere pubblico e non a quello privato appartiene il dovere di garantire la verit, con la connessa distinzione di ruoli e poteri. Se avessi tenuto conto di quest'aspetto, sono sicuro che non avresti lanciato strali contro i curatori della mostra (Celant, Fossati, Giannelli), perch ti saresti accorto che la irresponsabilit del loro comportamento da imputare a chi li ha preposti a svolgere tale funzione con un mandato che li vincola a comportarsi come comuni amatori d'arte. Privo della possibilit di colpire i curatori, le tue frecce avrebbero senza difficolt centrato l'Assessore Nerviani e il Consiglio della Regione Piemonte, responsabili di aver confuso privato e pubblico, mercato e diritti civili, dando vita a quel mostruoso ibrido che i1 Castello di Rivoli, insulto vivente al buon senso prima ancora che alla democrazia. Nell'era del villaggio globale l'arte non ha bisogno della separatezza ma di veder riconosciuto, in tempi reali, l'apporto che sa -o non sa- dare allo sviluppo della societ. Senza questo riconoscimento non ci pu essere tutela dell'arte, nemmeno da parte di chi la ama. Se la Fiat avesse compreso tale nozione, invece di frodare Rivoli allo Stato per elevarla su un piedistallo, l'avrebbe servita con i mezzi di cui dispone (La Stampa, il Corriere della Sera) e, al posto di celebrarla nel rito senza tem-po riservato ai morti, l'avrebbe onorata nell'incalzare contraddittorio dei giorni della vita. Rivoli , quindi, catafalco prima di essere obitorio, ed obitorio non perch le opere esposte siano cadaveri, ma perch lo Stato lasciandole usare come randelli e badili per colpire, abbattere, seppellire quelle escluse le equipara a morte cose. Caro Ugo, nell'articolo scrivi che Si al tempo in cui lo stivale aggriccia, abbrividisce ed una gelida bufera soffiando scoperchia le baracche del potere. Spero che quanto scrivi sia vero, che la bufera incominci a separare la responsabilit dall'irresponsabilit, l'inerzia dal fare. L'arte al pari della societ aspetta da troppo tempo che lo Stato le renda giustizia. Aspetta che Rivoli venga trasformato in Ente pubblico, con l'incarico di organizzare delle esposizioni per quegli artisti viventi, europei e mondiali, le cui opere assumono rilievo internazionale. Un Ente itinerante, agile, svincolato dal peso della conservazione, affidato ad un unico direttore responsabile, fornito di adeguati mez-zi finanziari, nominato dal Presidente della Repubblica che lo sceglie tra eminenti critici, direttori di musei, galleristi, dei Paesi della Comunit europea, con incarico triennale non rinnovabile. Se un tale Ente verr creato, capace di premiare i meritevoli, di abbattere angusti confini nazionali, di tutelare gli interessi e le posizioni che si confrontano e scontrano nel variegato mondo dell'arte, di superare i capricci del mercato, dei singoli e dei gruppi, incomincer a credere che la bufera che aggriccia avr prodotto mutamenti sostanziosi e benefici. Fino ad allora niente dovr essere dato per scontato; preclusa la via dei piccoli ritocchi e delle scorciatoie, tese a fomentare riforme effimere subito sopite, rimarrebbe da battere -a colpi di querela- il ferro radicale; questo per cosa troppo seria per essere praticato senza adeguato approfondimento e preparazione. Gradisci un saluto antidogmatico Armando Puglisi Torino, giugno '93

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