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Le voci sull’impiego di penne esplosive da parte alleata giunte fino ai nostri giorni
nella memoria di molti che vissero il periodo bellico riportavano che dopo i
bombardamenti aerei fosse comune, soprattutto ai bambini, imbattersi in oggetti a
forma di penna, che esplodevano ai primi tentativi di manipolazione. Inquietanti
cartelli, sparsi un pò dovunque, che ammonivano di non toccare questi oggetti, e i
racconti sui giornali, incoraggiavano il diffondersi della “storia delle penne”.
Già dai tempi antichi esiste la consapevolezza che il nemico può essere sconfitto
non soltanto provocandogli la maggior quantità di danni possibile con i metodi
bellici convenzionali, ma anche minando la sua volontà di combattere, arrecandogli
quindi un "danno morale". Spesso i due metodi sono stati legati: ne sono un
esempio i bombardamenti aerei dell’ultimo conflitto mondiale che esercitarono
anche un effetto psicologico molto rilevante sulle popolazioni colpite.
Alcuni rapporti di poco successivi così segnalavano, in modo per la verità un po’
sgrammaticato:
“Matita esplosiva. Il nemico ha lanciato in alcune località della Francia degli ordigni a forma di
matite e penne stilografiche che servono per innescare (con funzionamento a tempo) esplosivi. Essa é
costituita da due corpi cilindrici cavi uno in rame e l'altro in lega di alluminio e da una porta
cassula di ottone. Il cilindro di rame porta nel suo interno una fialetta di vetro contenente acido
solforico. L'altro corpo cilindrico contiene internamente la molla spirale del percussore, ed il
percussore, al cui estremo è legato un filo di acciaio che lo tiene in ritenuta. La porta cassula
contiene la cassula di fulminato di mercurio ed un tubetto per ricevere la miccia detonante. La
deflagrazione della cassula avviene in tempi diversi variabili da 15 minuti primi ad un'ora. Tali
ordigni sono molto pericolosi e la loro presenza va senz'altro segnalata”.
Rispetto alle penne esplosive ci furono ulteriori tentativi di precisare le false notizie
circolanti. particolarmente interessante un documento successivo, del luglio 1943,
inoltrata dalle Regie Questure ai commissariati di P.S e ai comandi dei Carabinieri
Reali che sembra smentire l’intera storia.
La diffusione della voce delle penne esplosive non poteva però essere frenata da
comunicati ufficiali e circolari. La stampa continuò a parlarne e la questione delle
penne rimase ben viva nell’immaginario collettivo fino anche ai nostri giorni.
Ma vediamo che aspetto dovevano avere le famigerate penne esplosive.
Un esemplare esposto fino ad anni recenti e catalogato come “penna esplosiva”, al
Museo di Storia Contemporanea di Milano.
E’ interessante notare come tutte queste presunte armi, di cui abbiamo reperito
documentazione fotografica, non si assomiglino né esista alcuna loro descrizione in
nessuno dei manuali militari per la bonifica degli ordigni esplosivi che abbiamo
consultato. Tutti gli esemplari di cui abbiamo reperito immagini mostrano una
struttura probabilmente inadatta al lancio da aerei da bombardamento, a differenza
di quanto riportavano le voci sul loro impiego..
Secondo il compianto John Minnery, studioso statunitense di armi speciali ed
autore di uno specifico volume sulle armi mascherate da penne (Minnery, 1990), da
interpellato nei primi anni novanta rispetto alla “penna esplosiva” esposta a Milano,
si sarebbe trattato in realtà di uno dei primi modelli di penna a sfera, impiegata
probabilmente dagli equipaggi dei bombardieri alleati, perché più adatta per
scrivere, ad alte quote, rispetto alle comuni penne stilografiche. Se quest’ipotesi
fosse vera il modello è ancora da identificare e sicuramente la questione
meriterebbe un approfondimento presso studiosi e collezionisti di strumenti di
scrittura.
Le ipotesi che si possono formulare sono dunque solo preliminari ma significative.
Manca qualsiasi documentazione sull’esistenza reale di penne esplosive lanciate
dagli aerei Alleati. Le fotografie d’epoca e i pochi reperti superstiti non sembrano
invece attendibili. Ulteriori studi dovrebbero approfondire se negli archivi della
Direzione Generale d’Artiglieria sono conservate descrizioni e immagini di tali
presunti ordigni.
Le notizie riportate dalla propaganda poterbbero in ogni caso essere riconducibili
ad incidenti avvenuti con ordigni esplosivi convenzionali
Le vittime degli ordigni inesplosi furono numerosissime, in particolare i bambini,
tanto da costituire un grave problema sociale e assistenziale a cui cercarono di porre
rimedio iniziative sanitarie e caritative, come quella di Don Gnocchi la cui storia è
raccontata in un altro articolo di questa rivista.
Tutte queste considerazioni in realtà non smentiscono l’impiego di ordigni esplosivi
camuffati da oggetti d’uso comune durante il secondo conflitto mondiale.
E’ ormai accertato che durante la guerra il S.O.E. britannico, impegnato nelle
oscure operazioni della guerra clandestina, poteva disporre di penne esplosive per
impieghi mirati. Questi oggetti però non si prestavano assolutamente né all'impiego
in massa, per gli eccessivi costi di fabbricazione, né al lancio da parte di aerei, per la
loro fragilità. Si tratta di armi con una rilevante funzione psicologica; anche se una
trappola esplosiva è scoperta prima di aver potuto fare dei danni, ha senz’altro
raggiunto il suo scopo di creare il panico e di rallentare i movimenti del nemico,
costringendolo a lente e complesse operazioni di sorveglianza e di bonifica.
E’ descritto come i sovietici utilizzarono largamente durante la Seconda Guerra
Mondiale trappole esplosive con l’aspetto di oggetti innocui. Secondo alcune fonti
gli aerei sovietici lanciavano a bassa quota congegni esplosivi camuffati da oggetti
innocui fra cui scatole di munizioni, pacchetti da medicazione, palle di gomma,
scatolette metalliche, borracce esplosive, finte rane in grado di scoppiare se
calpestate, torce elettriche, orologi, portasigarette, accendisigari, libri e anche
bottiglie di alcolici contenenti miscele incendiarie.
I giapponesi produssero un modello di pipa esplosiva mentre i tedeschi ebbero in
dotazione numerose trappole esplosive camuffate da bottiglie, penne stilografiche,
torce elettriche e persino barrette di cioccolato.
L’impiego di armi insidiose da parte tedesca è stato descritto da varie fonti. Non
parliamo dell’utilizzo frequentissimo dei congegni antirimozione applicati alle mine
nei campi minati perché si tratta dell'impiego di ordigni pur sempre convenzionali.
Erano senz’altro più caratteristiche le cosiddette bombe a farfalla (dette anche "a
uovo") aviolanciate.
Si trattava delle bombe aviolanciate SD2A e SD 2B, del peso di circa 2 Kg erano
predisposte per scoppiare a urto in seguito all’impatto con il terreno o per
calpestamento, trasformandosi in insidiose mine antiuomo. Sono state spesso
descritte come giocattoli bomba anche perché potevano stimolare una tragica
curiosità per la loro forma soprattutto se ritrovate da parte di bambini.
E’ stato riportato come truppe tedesche in ritirata lungo la Penisola abbiano fatto
uso più volte di ordigni esplosivi mascherati da oggetti comuni. A Roma i gruppi di
sabotatori che avrebbero dovuto operare nella città liberata dagli Alleati,
disponevano di speciali blocchi di carbone esplosivo. Quando gli Alleati giunsero a
Livorno, alle porte della Linea Gotica constatarono, come il generale Mark Clark
annotava nel suo diario, che il nemico si dedicava sempre più all’invenzione di
nuovi tranelli (Clark, 1952). A Livorno i tedeschi in ritirata avrebbero lasciato in
città tavolette di cioccolata, saponette, pacchetti di garza, portafogli e matite, tutti
contenenti congegni esplosivi che, toccati o maneggiati, esplodevano uccidendo
chiunque si fosse trovto vicino. Secondo Clark furono ritrovati in città 25.000
ordigni di questo tipo. Non ci è stato però finora possibile reperire altra
documentazione, anche fotografica, di quanto descritto da Clark.
La storia delle penne esplosive non termina con il 1945. In occasione di vari
conflitti si è continuato nel dopoguerra a sentir parlare di armi insidiose, simili a
queste.
Un notissimo esempio è stato offerto dalla guerra sovietica in Afghanistan durante
la quale la stampa internazionale aveva riportato con evidenza l’impiego di mine a
farfalla, di giocattoli-bomba e di altri mezzi sleali.
Le mine, e con particolare rilievo sui media quelle a farfalla modello PFM-1, hanno
provocato un problema sanitario, causando un gran numero di mutilati soprattutto
bambini.
Ordigni camuffati da oggetti innocui di uso comune e lettere-bomba sono stati
utilizzati in anni anche in Italia recenti a scopo intimidatorio, da organizzazioni
terroristiche o da soggetti rimasti anonimi.
Bibliografia
- A.A.V.V., Field Manual FM 5-31, Booby Traps, Department of the Army,
Washington 1965.
- Bermani C., Spegni la luce che passa Pippo. Voci, leggende e miti della storia
contemporanea. Odradek, Roma 1996.
- Bloch M., La guerra e le false notizie. Donzelli Editore, Roma 1994.
- Clark M., Quinta Armata Americana, Garzanti, Milano 1952.
- Clerici C.A., Capelletto F.. Le armi della guerra psicologica. Uniformi ed armi,
febbraio 1994, 28 - 32.
- Minnery J., Fingertip firepower, pen guns, knives and bombs, Paladin Press,
Boulder 1990.
Ringraziamenti
Un particolare ringraziamento va agli amici Francesco Capelletto, per l’aiuto fornito
alle ricerche bibliografiche, e Silvio Tasselli per il prezioso contributo alle ricerche
di documenti e alla revisione del testo.
Nota
L’articolo originale, pubblicato sulla rivista Storia e Battaglie, contiene maggiori
illustrazioni.