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ARMI SPECIALI PER LA GUERRA PSICOLOGICA; LE

PENNE ESPLOSIVE TRA REALTA’ E PROPAGANDA


Carlo Alfredo Clerici
( www.carloclerici.com )
Articolo pubblicato sulla rivista “Storia e battaglie”, Editoriale Lupo, marzo 2006, 38-45.

Italia, 1943. Nell’immagine di un manifesto di propaganda un aereo statunitense


lancia delle penne esplosive mentre alcuni bambini restano mutilati. La crudeltà del
nemico si accanisce contro i più deboli e indifesi. Fra le immagini rimaste
particolarmente vive nella memoria di chi visse gli anni del secondo conflitto
mondiale è fra quelle che suscitarono probabilmente più sgomento.
Negli anni della guerra e in quelli seguenti la questione del presunto impiego di
penne esplosive in Italia da parte alleata ebbe un’ampia risonanza nella
popolazione.

Le voci sull’impiego di penne esplosive da parte alleata giunte fino ai nostri giorni
nella memoria di molti che vissero il periodo bellico riportavano che dopo i
bombardamenti aerei fosse comune, soprattutto ai bambini, imbattersi in oggetti a
forma di penna, che esplodevano ai primi tentativi di manipolazione. Inquietanti
cartelli, sparsi un pò dovunque, che ammonivano di non toccare questi oggetti, e i
racconti sui giornali, incoraggiavano il diffondersi della “storia delle penne”.

Nonostante la grande diffusione di questi racconti è difficile reperire studi che


abbiano raccolto e approfondito le notizie sull’impiego di ordigni esplosivi
mascherati da oggetti innocui.
Non ci fu però mai un vero approfondimento storico su questa che divenne
probabilmente una delle voci più durature del periodo bellico in Italia. In questo
articolo approfondiremo la storia delle penne esplosive, cercando di distinguere
fatti reali ed aspetti propagandistici.

Già dai tempi antichi esiste la consapevolezza che il nemico può essere sconfitto
non soltanto provocandogli la maggior quantità di danni possibile con i metodi
bellici convenzionali, ma anche minando la sua volontà di combattere, arrecandogli
quindi un "danno morale". Spesso i due metodi sono stati legati: ne sono un
esempio i bombardamenti aerei dell’ultimo conflitto mondiale che esercitarono
anche un effetto psicologico molto rilevante sulle popolazioni colpite.

Le tecniche di bombardamento degli Alleati come noto non erano soltanto un


mezzo per indebolire il sistema produttivo avversario ma anche per minare il
morale della popolazione e il consenso alla prosecuzione del conflitto.
Il clima di terrore creato dai bombardamenti era alimentato anche dalla propaganda
che in Italia e Germania tendeva a descrivere il nemico come il più abietto, crudele
e sleale possibile. L’odio verso il nemico era alimentato ricorrendo a immagini
caricaturali o grottesche, o di forte impatto emotivo, facendo leva su temi di grande
impatto emotivo quali l’odio per gli avversari storici dell’Italia, i progetti degli
Alleati di spartizione del mondo, la religione, la distruzione del patrimonio artistico
e soprattutto le violenze contro le donne e i bambini.

L’angoscia del periodo di guerra è un ambiente fertile per la diffusione di credenze


che in tempi normali non avrebbero credito. Ed in questo clima leggende, credenze
superstiziose, false notizie hanno una circolazione persino più ampia e duratura
rispetto alle notizie ufficiali.
In alcuni casi è proprio attorno ai bambini che si diffondono vere e proprie
leggende. Il fenomeno delle leggende di guerra è stato descritto da molti autori;
ricorderemo qui solo il classico Riflessioni sulle false notizie di guerra, riferito al primo
conflitto mondiale e scritto da Marc Bloch nel 1921. In Italia sulle voci popolari
della seconda guerra mondiale è particolarmente originale e documentato lavoro di
Cesare Bermani del 1996.

CRONOLOGIA DI UNA LEGGENDA


Per ricostruire la storia del mito delle penne esplosive alleate è stata compiuta una
ricerca archivistica presso alcuni archivi italiani e stranieri e sono state esaminate le
raccolte dei principali periodici italiani pubblicati nel periodo bellico.
Una prima traccia in un documento ufficiale è riportato in una circolare riservata
(n° 280) della Divisione Affari Generali della Direzione Generale Servizi
Protezione Antiaerea del Ministero dell’Interno, datata 17 Dicembre 1942, con
Prot. AG 24-4/16196, indirizzata ai Prefetti del Regno e per conoscenza al
Comando Generale dell ’U.N.P.A. a Roma, con oggetto proprio “matite
esplosive”. Così riportava testualmente:
Viene segnalato che tra i vari ordigni offensivi che il nemico lascia cadere sul nostro territorio ve ne
sono anche taluni aventi forma e peso di una comune matita tascabile di metallo i quali contengono
una piccola carica esplosiva, sufficiente per frantumare l'involucro ed imprimere alle schegge una
forza sufficiente per produrre a breve distanza ferite anche di una certa gravità. Pregasi portare.
quanto sopra a conoscenza della popolazione, senza però darvi particolare rilievo, poiché fino ad
ora dall'ordigno in parola è stato fatto uso limitatissimo

Alcuni rapporti di poco successivi così segnalavano, in modo per la verità un po’
sgrammaticato:
“Matita esplosiva. Il nemico ha lanciato in alcune località della Francia degli ordigni a forma di
matite e penne stilografiche che servono per innescare (con funzionamento a tempo) esplosivi. Essa é
costituita da due corpi cilindrici cavi uno in rame e l'altro in lega di alluminio e da una porta
cassula di ottone. Il cilindro di rame porta nel suo interno una fialetta di vetro contenente acido
solforico. L'altro corpo cilindrico contiene internamente la molla spirale del percussore, ed il
percussore, al cui estremo è legato un filo di acciaio che lo tiene in ritenuta. La porta cassula
contiene la cassula di fulminato di mercurio ed un tubetto per ricevere la miccia detonante. La
deflagrazione della cassula avviene in tempi diversi variabili da 15 minuti primi ad un'ora. Tali
ordigni sono molto pericolosi e la loro presenza va senz'altro segnalata”.

Subito dopo si precisava però la natura di tali ordigni:


“Si tratta in realtà di congegni di ritardo, comunemente impiegati per azioni di sabotaggio ma
inutili e inadatti per azioni di bombardamento”.
Erano in dotazione infatti alle truppe alleate congegni a ritardo, a forma di penna,
impiegati per far detonare cariche esplosive da demolizione impiegate per i
sabotaggi. Questi congegni però avevano solo una generica somiglianza con una
penna e non erano impiegati come trappole.

La questione poteva essere chiusa, tuttavia le voci continuarono a diffondersi. A


partire dal 1943 la stampa iniziò a pubblicare anche immagini delle penne
esplosive. Nel maggio 1943 l’Illustrazione Italiana e la Domenica del Corriere
pubblicarono alcune immagini di penne esplosive di cui una rinvenuta ad Afragola
(Napoli) e di un bambino ferito. L’effetto fu di diffondere il panico fra la
popolazione, nonostante vari tentativi delle autorità di limitare la circolazione delle
notizie.
Una circolare della Regia Prefettura di Vercelli avvertiva così la stampa locale:
… Date le ripercussioni sugli agricoltori, sui mietitori, ecc. non occuparsi ulteriormente dei
mitragliamenti in aperta campagna. controllare in tal senso le corrispondenze e gli eventuali
commenti.
Si ricorda la disposizione categorica di non interessarsi ulteriormente in alcun modo sino a nuovo
avviso di penne stilografiche esplosive e di altri oggetti insidiosi lanciati da aerei nemici su territorio
italiano. Corrispondenze dalle città bombardate: evitare in modo assoluto tono pietistico. Rilevare
gli atti di eroismo, di abnegazione, di generosità.. Sensibilizzare quanto possa illustrare lo spirito
di resistenza delle popolazioni, denunciare la barbarie nemica.. Tenere soprattutto presente lo scopo
di tale corrispondenza che è quello di alimentare l'odio contro il nemico… Vercelli, 4 giugno
1943-XXI

Rispetto alle penne esplosive ci furono ulteriori tentativi di precisare le false notizie
circolanti. particolarmente interessante un documento successivo, del luglio 1943,
inoltrata dalle Regie Questure ai commissariati di P.S e ai comandi dei Carabinieri
Reali che sembra smentire l’intera storia.

OGGETTO.- Ordigni esplosivi o presunti tali


Il Ministero dell’Interno - Direzione Generale Polizia comunica: “Per opportuna conoscenza, e
norma e con preghiera di attenersi alla istruzioni in essa contenute, si comunica la seguente
circolare diramata dallo S.M.R.E. in merito al rinvenimento di ordigni esplosivi (o presunti tali
lanciati dagli aerei nemici).
1) Pervengono da varie enti e comandi segnalazioni di rinvenimento di matite, penne stilografiche
altri svariati minuscoli oggetti esplosivi o velenosi che dagli accertamenti fatti eseguire risultano
invece completamente innocui.
2) Non potendosi escludere a priori che il nemico possa lanciare ordigni esplosivi del genere e nella
considerazione che necessita alle autorità centrali procedere nel più breve tempo alla raccolta delle
notizie inerenti alla costituzione e funzionamento degli ordigni medesimi: fermo restando quanto
stabilito in via di massima, per i proietti, bombe di aereo o spezzoni inesplosi, si prescrive quanto
appresso:
- nelle normali segnalazioni relative agli ordigni del genere suaccennato sia assolutamente evitato di
dichiarare esplosivi quelli per i quali tale natura non sia stata rigorosamente accertata
- qualora si nutrano dubbi sulla natura degli ordigni stessi questi siano fatti sempre esplicitamente
presenti;
in ogni caso sia che si tratti di ordigni dei tipi surricordati, sicuramente riconosciuti esplosivi, sia
che trattisi di ordigni analoghi presunti esplosivi, dovrà esserne data diretta urgente comunicazione
telefonica anche alla Direzione Generale Artiglieria (U.C.S.A.) […] e per conoscenza a questo
S.M.R.E. – Ufficio Protezione impianti e difesa antiparacadutisti […] inviando in pari tempo a
mezzo corriere, con le dovute cautele, esemplari degli ordigni stessi alla predetta direzione Generale
Artiglieria per l’esame di competenza.
3) allo scopo di non ingenerare poi dubbi derivanti da inesatta terminologia si prega di tener
presente che il dispositivo chimico meccanico per l'accensione a tempo denominato "matita" è quello
ampiamente descritto ed illustrato nel fascicolo edito da questo S.M. "Istruzioni impartite (e
materiali adoperati) dagli inglesi per eseguire sabotaggi” […].
4) all'infuori della segnalazioni sopra indicate è fatto assoluto divieto a tutti gli enti militari o
periferici di divulgare comunque rinvenimento di ordigni, esplosivi o presunti tali, anche per non
ingenerare ingiustificati timori nella popolazione con la possibile diffusione di notizie inesatte.”

La diffusione della voce delle penne esplosive non poteva però essere frenata da
comunicati ufficiali e circolari. La stampa continuò a parlarne e la questione delle
penne rimase ben viva nell’immaginario collettivo fino anche ai nostri giorni.
Ma vediamo che aspetto dovevano avere le famigerate penne esplosive.
Un esemplare esposto fino ad anni recenti e catalogato come “penna esplosiva”, al
Museo di Storia Contemporanea di Milano.

Un altro era conservato al Museo delle armi Pietro Comito di Bologna.

E’ interessante notare come tutte queste presunte armi, di cui abbiamo reperito
documentazione fotografica, non si assomiglino né esista alcuna loro descrizione in
nessuno dei manuali militari per la bonifica degli ordigni esplosivi che abbiamo
consultato. Tutti gli esemplari di cui abbiamo reperito immagini mostrano una
struttura probabilmente inadatta al lancio da aerei da bombardamento, a differenza
di quanto riportavano le voci sul loro impiego..
Secondo il compianto John Minnery, studioso statunitense di armi speciali ed
autore di uno specifico volume sulle armi mascherate da penne (Minnery, 1990), da
interpellato nei primi anni novanta rispetto alla “penna esplosiva” esposta a Milano,
si sarebbe trattato in realtà di uno dei primi modelli di penna a sfera, impiegata
probabilmente dagli equipaggi dei bombardieri alleati, perché più adatta per
scrivere, ad alte quote, rispetto alle comuni penne stilografiche. Se quest’ipotesi
fosse vera il modello è ancora da identificare e sicuramente la questione
meriterebbe un approfondimento presso studiosi e collezionisti di strumenti di
scrittura.
Le ipotesi che si possono formulare sono dunque solo preliminari ma significative.
Manca qualsiasi documentazione sull’esistenza reale di penne esplosive lanciate
dagli aerei Alleati. Le fotografie d’epoca e i pochi reperti superstiti non sembrano
invece attendibili. Ulteriori studi dovrebbero approfondire se negli archivi della
Direzione Generale d’Artiglieria sono conservate descrizioni e immagini di tali
presunti ordigni.
Le notizie riportate dalla propaganda poterbbero in ogni caso essere riconducibili
ad incidenti avvenuti con ordigni esplosivi convenzionali
Le vittime degli ordigni inesplosi furono numerosissime, in particolare i bambini,
tanto da costituire un grave problema sociale e assistenziale a cui cercarono di porre
rimedio iniziative sanitarie e caritative, come quella di Don Gnocchi la cui storia è
raccontata in un altro articolo di questa rivista.
Tutte queste considerazioni in realtà non smentiscono l’impiego di ordigni esplosivi
camuffati da oggetti d’uso comune durante il secondo conflitto mondiale.
E’ ormai accertato che durante la guerra il S.O.E. britannico, impegnato nelle
oscure operazioni della guerra clandestina, poteva disporre di penne esplosive per
impieghi mirati. Questi oggetti però non si prestavano assolutamente né all'impiego
in massa, per gli eccessivi costi di fabbricazione, né al lancio da parte di aerei, per la
loro fragilità. Si tratta di armi con una rilevante funzione psicologica; anche se una
trappola esplosiva è scoperta prima di aver potuto fare dei danni, ha senz’altro
raggiunto il suo scopo di creare il panico e di rallentare i movimenti del nemico,
costringendolo a lente e complesse operazioni di sorveglianza e di bonifica.
E’ descritto come i sovietici utilizzarono largamente durante la Seconda Guerra
Mondiale trappole esplosive con l’aspetto di oggetti innocui. Secondo alcune fonti
gli aerei sovietici lanciavano a bassa quota congegni esplosivi camuffati da oggetti
innocui fra cui scatole di munizioni, pacchetti da medicazione, palle di gomma,
scatolette metalliche, borracce esplosive, finte rane in grado di scoppiare se
calpestate, torce elettriche, orologi, portasigarette, accendisigari, libri e anche
bottiglie di alcolici contenenti miscele incendiarie.
I giapponesi produssero un modello di pipa esplosiva mentre i tedeschi ebbero in
dotazione numerose trappole esplosive camuffate da bottiglie, penne stilografiche,
torce elettriche e persino barrette di cioccolato.
L’impiego di armi insidiose da parte tedesca è stato descritto da varie fonti. Non
parliamo dell’utilizzo frequentissimo dei congegni antirimozione applicati alle mine
nei campi minati perché si tratta dell'impiego di ordigni pur sempre convenzionali.
Erano senz’altro più caratteristiche le cosiddette bombe a farfalla (dette anche "a
uovo") aviolanciate.

Si trattava delle bombe aviolanciate SD2A e SD 2B, del peso di circa 2 Kg erano
predisposte per scoppiare a urto in seguito all’impatto con il terreno o per
calpestamento, trasformandosi in insidiose mine antiuomo. Sono state spesso
descritte come giocattoli bomba anche perché potevano stimolare una tragica
curiosità per la loro forma soprattutto se ritrovate da parte di bambini.
E’ stato riportato come truppe tedesche in ritirata lungo la Penisola abbiano fatto
uso più volte di ordigni esplosivi mascherati da oggetti comuni. A Roma i gruppi di
sabotatori che avrebbero dovuto operare nella città liberata dagli Alleati,
disponevano di speciali blocchi di carbone esplosivo. Quando gli Alleati giunsero a
Livorno, alle porte della Linea Gotica constatarono, come il generale Mark Clark
annotava nel suo diario, che il nemico si dedicava sempre più all’invenzione di
nuovi tranelli (Clark, 1952). A Livorno i tedeschi in ritirata avrebbero lasciato in
città tavolette di cioccolata, saponette, pacchetti di garza, portafogli e matite, tutti
contenenti congegni esplosivi che, toccati o maneggiati, esplodevano uccidendo
chiunque si fosse trovto vicino. Secondo Clark furono ritrovati in città 25.000
ordigni di questo tipo. Non ci è stato però finora possibile reperire altra
documentazione, anche fotografica, di quanto descritto da Clark.
La storia delle penne esplosive non termina con il 1945. In occasione di vari
conflitti si è continuato nel dopoguerra a sentir parlare di armi insidiose, simili a
queste.
Un notissimo esempio è stato offerto dalla guerra sovietica in Afghanistan durante
la quale la stampa internazionale aveva riportato con evidenza l’impiego di mine a
farfalla, di giocattoli-bomba e di altri mezzi sleali.
Le mine, e con particolare rilievo sui media quelle a farfalla modello PFM-1, hanno
provocato un problema sanitario, causando un gran numero di mutilati soprattutto
bambini.
Ordigni camuffati da oggetti innocui di uso comune e lettere-bomba sono stati
utilizzati in anni anche in Italia recenti a scopo intimidatorio, da organizzazioni
terroristiche o da soggetti rimasti anonimi.
Bibliografia
- A.A.V.V., Field Manual FM 5-31, Booby Traps, Department of the Army,
Washington 1965.
- Bermani C., Spegni la luce che passa Pippo. Voci, leggende e miti della storia
contemporanea. Odradek, Roma 1996.
- Bloch M., La guerra e le false notizie. Donzelli Editore, Roma 1994.
- Clark M., Quinta Armata Americana, Garzanti, Milano 1952.
- Clerici C.A., Capelletto F.. Le armi della guerra psicologica. Uniformi ed armi,
febbraio 1994, 28 - 32.
- Minnery J., Fingertip firepower, pen guns, knives and bombs, Paladin Press,
Boulder 1990.

Ringraziamenti
Un particolare ringraziamento va agli amici Francesco Capelletto, per l’aiuto fornito
alle ricerche bibliografiche, e Silvio Tasselli per il prezioso contributo alle ricerche
di documenti e alla revisione del testo.

Nota
L’articolo originale, pubblicato sulla rivista Storia e Battaglie, contiene maggiori
illustrazioni.

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