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«Poiché anche la fisica è una scienza che si occupa di un certo genere dell’essere (essa, infatti, ha per suo oggetto
quel genere di sostanza che ha in se stessa il principio del movimento e della quiete), essa non è, ovviamente, né una
scienza pratica né una scienza produttiva (infatti, per quel che concerne le cose prodotte, il principio risiede nel
producente, tanto se questo sia un intelletto quanto se sia un’arte o una qualche capacità, mentre, per quel che
concerne le cose pratiche, il principio risiede nell’agente, ed è un atto di libera scelta, giacché l’oggetto dell’azione e
quello della scelta si identificano)»
(Met. E 1 1025b)
PROBLEMI DI NOMENCLATURA…
«È anche giusto denominare la filosofia scienza della verità, perché il fine della scienza teoretica è la verità,
mentre il fine della pratica è l’azione. (Infatti, coloro che hanno per fine l’azione, anche se osservano come stanno
le cose, non tendono alla conoscenza di ciò che è eterno ma solo di ciò che è relativo ad una determinata
circostanza e in un determinato momento)» (Met. ⍺ 1 993b 20-23, tr. it. Reale)
«Allora la sua [scil. del bene] conoscenza non avrà forse un grande peso per le nostre scelte di vita, e, come arcieri
cui è dato un bersaglio, non verremo a cogliere meglio ciò che ci spetta fare? Se è così, ci si deve sforzare di
comprenderlo nelle sue linee principali, cosa mai esso sia, e di quale scienza o capacità sia oggetto. Sembrerebbe
essere oggetto della più autorevole e architettonica, e questa è evidentemente la politica» (EN I 1 1904a, tr. it.
Natali)
QUESTIONI PRELIMINARI
«Ma forse dire che è la felicità il sommo bene è sì manifestamente qualcosa di ammesso da tutti, si richiede tuttavia
che sia detto ancora, in modo più chiaro, che cos’è. Con buona probabilità questo avverrebbe se si cogliesse l’opera
dell’essere umano. Infatti, come per un flautista, per uno scultore, e per ogni esperto, e in generale per coloro di cui vi
è una qualche opera e un’attività, in quest’opera si ritiene comunemente che risieda il <loro> bene, così si potrebbe
ritenere <che sia> anche per l’essere umano, se davvero vi è una qualche opera che gli appartiene. Ma forse, dunque,
di un falegname e di un calzolaio vi sono certe opere e attività, mentre dell’essere umano non ve n’è alcuna, e al
contrario egli è inattivo per natura? Oppure proprio come di un occhio, di una mano e di un piede, e in generale di
ciascuna delle parti <dell’essere umano> appare esservi una qualche opera, allo stesso modo anche dell’essere
umano, al di là di ognuna di queste, si potrebbe porre una qualche opera?
L’ARGOMENTO DELL’ERGON: RICERCA DEL PROPRIO
Quale, dunque, potrebbe mai essere quest’opera? Infatti il vivere appare comune anche alle piante, mentre noi
cerchiamo ciò che è proprio <dell’essere umano>. Bisogna dunque escludere sia la vita nutritiva sia quella
accrescitiva. Seguirebbe una certa vita sensitiva, ma anche questa appare comune al cavallo, al bue, e a ogni animale.
Rimane allora una certa vita pratica di ciò che possiede la ragione. [E di questo, una parte <la possiede> in quanto
obbediente alla ragione, l’altra in quanto avente e quindi pensante.] E poiché anche questa <vita pratica> si dice in
due modi, dobbiamo porre quella secondo l’attività; infatti essa si ritiene che sia detta <pratica> nel senso più proprio.
L’ARGOMENTO DELL’ERGON: NOTE CONCLUSIVE
Se l’opera dell’essere umano è un’attività dell’anima secondo ragione o non senza ragione, e noi diciamo che è
identica quanto al genere l’opera di x e di x bravo, come di un citarista e di un bravo citarista – e questo vale
assolutamente in tutti i casi, una volta aggiunto all’opera quel di più relativo all’eccellenza (<l’opera> del citarista
infatti è suonare la cetra e <quella> del bravo citarista suonarla bene); se è così, [se poniamo che l’opera dell’essere
umano sia una certa vita, e che questa <vita> consista in attività dell’anima e azioni accompagnate dalla ragione, e
che l’opera dell’uomo bravo sia <compiere> bene queste cose, e che ogni cosa è compiuta bene <se è compiuta>
secondo la propria eccellenza; se davvero è così,] il bene umano (anthrópinon agathón) viene a essere attività
dell’anima (psychês enérgeia) secondo eccellenza (kat’ aretén), e se <vi sono> più eccellenze, secondo la migliore e
la più perfetta (teleiotaten). E inoltre in una vita completa (en bio teleio). Infatti una sola rondine non fa primavera, né
un solo giorno; e allo stesso modo non <rendono un essere umano> sommamente felice né un solo giorno né un
tempo breve.
(EN I 6, 1097b22-1098a20, tr. it. Capuccino)
LA DEFINIZIONE DI FELICITÀ
«τί οὖν κωλύει λέγειν εὐδαίμονα τὸν κατ’ ἀρετὴν τελείαν ἐνεργοῦντα καὶ τοῖς ἐκτὸς ἀγαθοῖς ἱκανῶς κεχορηγημένον
μὴ τὸν τυχόντα χρόνον ἀλλὰ τέλειον βίον;»
«Cosa ci impedisce, dunque, di dire felice (eudaímona) colui che agisce (energounta) secondo virtù perfetta (kat’
aretèn teleian) ed è provvisto a sufficienza (hikanôs) di beni esterni, non in un periodo di tempo qualsiasi, ma in una
vita completa (téleion bion)?»
(EN I 11, 1101a14-16)
REPETITA IUVANT: LE CLAUSOLE DELLA FELICITÀ
La felicità è…
a) Un’attività
b) Dell’anima razionale
c) Secondo virtù (se più di una, la più perfetta)
d) Beni esterni q.b.
e) In una vita completa
f) Perfezionata dal piacere
DUE TIPI DI VIRTÙ
«Voglio dire che l’intermedio relativo alla cosa è ciò che dista in modo uguale da ciascuno degli estremi, il quale è
uno solo e lo stesso per tutti, mentre l’intermedio rispetto a noi è ciò che non eccede né fa difetto, e questo non è uno
solo, né è lo stesso per tutti. Ad esempio, se dieci sono molti e due sono pochi, sei viene preso come giusto mezzo
rispetto alla cosa, infatti supera ed è superato dalla stessa misura: questo è il giusto mezzo sulla base della
proporzione matematica. Ma quello relativo a noi non deve essere colto in questo modo; infatti non è vero che, se
mangiare dieci mine è molto, e due è poco, l’allenatore prescriverà di mangiare sei mine, infatti anche ciò, forse, è
molto o poco per chi lo deve ingerire: per un Milone è poco, per colui che inizia a fare atletica è molto, e lo stesso
vale per corsa e lotta. Così, allora, ogni esperto rifugge dall’eccesso e dal difetto, ma cerca il giusto mezzo e lo
sceglie, non quello relativo alla cosa, ma quello relativo a noi»
(EN II 5 1106a-b)
DEFINIZIONE DELLA VIRTÙ ETICA
«Quindi la virtù è uno stato abituale che produce scelte, consistente in una medietà rispetto a noi, determinato
razionalmente, e come verrebbe a determinarlo l’uomo saggio, medietà tra due mali, l’uno secondo l’eccesso e l’altro
secondo il difetto. E inoltre, per il fatto che alcuni stati abituali, sia nelle passioni che nelle azioni, sono inferiori a ciò
che si deve, e altri sono superiori, la virtù individua il giusto mezzo e lo sceglie»
(EN II 6 1107a)
EN III-IV: elenco delle virtù, applicazione della definizione ai casi particolari
Le virtù etiche sono coraggio, temperanza, generosità, magnificenza, fierezza, mitezza, veridicità, arguzia,
amichevolezza, pudicizia, giusto sdegno
L’AZIONE: VOLONTARIA E INVOLONTARIA
Involontaria = per costrizione o per ignoranza (delle circostanze, non del fine)
Volontaria = la causa è interna (anche il desiderio!)
Gli esseri razionali hanno la deliberazione
LA TEORIA DELL’AZIONE RAZIONALE
«CREONTE: Per nulla il mio volere è dispotico e per rispettare gli altri spesso mi sono rovinato. Anche ora, o
donna, mi accorgo di commettere un errore (ὁρῶ μὲν ἐξαμαρτάνων), pur tuttavia otterrai quel che desideri» (Eur.
Med. 348-351, tr. it. Cerbo)
Akrasia (weakness of will): il desiderio di piacere si intromette
L’acratico sa, il vizioso non sa
La premessa minore è sostituita
La premessa maggiore dice no, ma il desiderio dice sì
Condizione mainstream del cittadino
ALTRE QUESTIONI: IL PIACERE
Carlo Natali, Aristotele, Roma: Carocci, 2014, cap. 5: la filosofia pratica (pp. 255-308)
Carlotta Capuccino, Aristotele e l’etica della felicità: Etica Nicomachea I, «Philosophia», XII-XIII (2015) 1-2, pp. 23-75.
Christopher Shields (a cura di), The Oxford Handbook of Aristotle, Oxford: Oxford University Press, 2012.
Jonathan Barnes, Aristotle: A Very Short Introduction, Oxford: Oxford University Press, 2000 (tr. it. di C. Nizzo, Aristotele, Torino: Einaudi, 2002).