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Paranymphus (da Il paraninfo di Luigi Capuana) Messo in scena il 28 e 29 giugno 1975 dal Gruppo Aziendale Amatori Teatro Turi

Pandolfini della SGS-ATES di Catania presso il Teatro San Luigi

PARANIMPHUS
Da Luigi Capuana: Il Paraninfo

Carlo S. Manfredini

Paranymphus (da Il paraninfo di Luigi Capuana) Messo in scena il 28 e 29 giugno 1975 dal Gruppo Aziendale Amatori Teatro Turi Pandolfini della SGS-ATES di Catania presso il Teatro San Luigi

PARANIMPHUS

Da Luigi Capuana: Il Paraninfo

Un populu mittitilu a catina spugghiatilu attuppatici a vucca: ancora iibiru. Livatici u travagghiu u passaportu a tavula unni mancia u lettu unni dormi: ancora riccu. Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrobanu a lingua addutata di patri: persu pi sempri. Diventa poviru e servu quannu i paroli non figghianu paroli e si mancianu tra diddi. (Versi del poeta Ignazio Buttitta)

Carlo S. Manfredini

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Alcune riflessioni, prima di iniziare... La storia PARANYMPHOS era, nellantichit classica, lamico o parente dello sposo che, dopo il banchetto nuziale in casa della sposa, accompagnava la coppia a casa del marito. Per estensione, il paraninfo divenuto, nel tempo, colui che combina matrimoni e, in senso deteriore, ha assunto il significato di mezzano. Il mestiere di paraninfo, ovvero larte di accoppiare le persone, una delle attivit ormai giunte a livelli di grande funzionalit ed efficienza: esistono oggi agenzie matrimoniali con ricchissimi cataloghi illustrati di aspiranti alle nozze, per non dire delle grandi organizzazioni internazionali i cui archivi, gestiti da elaboratori elettronici, contengono dati su migliaia e migliaia di persone in cerca dellanima gemella. Si esce cos dall'ambito paesano e dalla contingenza del prendere o lasciare per consentire una scelta su scala addirittura mondiale, operata su un vastissimo numero di possibilit e con metodi scientifici. Pu succedere, in tal modo, che un bracciante dellAppennino lucano trovi l'anima gemella in una dattilografa di Tokyo, tanto per fare un esempio. Problemi di lingua e distanza a parte, la cosa risulta molto positiva per chi un tempo doveva solo rassegnarsi alla proposta, avanzata dal solito paraninfo locale, della baffuta contadinotta del villaggio vicino. Certo si perde, con i nuovi metodi, il senso della sofferta creazione, il gusto e la soddisfazione che il paraninfo artigiano duna volta godeva nellesercitare la sua arte. Sentimenti, questi, provati appunto dal personaggio che d titolo alla commedia di Capuana e che, per, nonostante le apparenze, un paraninfo tutto particolare. Egli giura e spergiura che la sua unattivit disinteressata, un'autentica missione sociale, un obbligo morale che lo porta a fare felice chiunque gli capiti sotto tiro, auspicando persino la collaborazione dellAutorit, nonostante le preghiere e le esortazioni della moglie a badare ai fatti propri. In effetti, il bravo e solerte paraninfo bada giusto ai fatti propri e si affanna a togliere il celibato a tutti i maschi che gli capitano attorno non per amore del prossimo bens per tarpare le ali ai farfalloni che potrebbero girare intorno alla diletta consorte. La gelosia dunque la molla segreta ed unica di questa frenesia missionaria di creare matrimoni che, uno dopo laltro, si rivelano fragili architetture, tenute in piedi con i puntelli, pronte a crollare addosso all'infaticabile ed orgoglioso costruttore, che simile ad un ragno maldestro resta sempre pi invischiato nella tela da lui stesso tessuta. E come ogni (apparentemente) disinteressato profeta di bene che si rispetti, il caro Pasquale si compiace vittimisticamente delle maledizioni e delle poco velate minacce che i suoi mal soddisfatti beneficiati non gli lesinano. Da quando poi girano per il paese un aitante militare dorigine continentale ed un maturo professore, il povero paraninfo non riesce pi a dormire: meglio sistemare anche loro. Farebbero al caso due stagionate ma ricche sorelle, tutte casa e chiesa. Ma come vincerne il riserbo, come prospettar loro la possibilit di due pretendenti? Il cervello attivissimo del paraninfo trova la soluzione, ma per un equivoco in cui cadono le ingenue vergini nel fatidico momento dellincontro con i pretendenti, il tutto si risolve in un clamoroso quanto penoso fallimento. Approfittano della cosa due allegri compagnoni, scapoli impenitenti, che infieriscono sul poveretto portandogli nientemeno che il presunto cartello di sfida dellindignato militare.
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Sono momenti terribili per il maldestro paraninfo, che tocca il fondo della paura o dellangoscia finch tutto viene chiarito risolvendosi in bellezza, al punto che Don Pasqua1e, fiero della sua arte, da considerarsi ormai ineguagliabile, si sente incoraggiato a tentarne lesportazione. Scritta da Luigi Capuana, nel 1914, appositamente per Angelo Musco, Il Paraninfo segn, con la sua prima rappresentazione a Milano lanno successivo, il riconoscimento ufficiale dellattore catanese e della sua compagnia (e primo fra tutti Turi Pandolfini) da parte del mondo del teatro. La versione cinematografica della commedia, per la regia di Amleto Palermi, risale al 1934. La nostra realizzazione A parte lassonanza e la plausibilit che un titolo come Paranymphus pu avere col titolo di una commedia del repertorio classico antico, altri motivi, meno casuali e ben pi profondi, ci hanno convinto ad affrontare il particolare tipo di realizzazione con cui concludiamo il nostro discorso teatrale di questanno. Non intendiamo certo dare una spiegazione, e tanto meno una giustificazione, quanto piuttosto offrire alcuni spunti di riflessione, e perci di discussione, prendendo a pretesto il lavoro di questa sera, in perfetta concordanza con i fini non solo (sterilmente) ricreativi ma anche educativi che stanno alla base del nostro operare. Oportet ut scandala fiant, a volte occorre proprio destare scandalo, sta scritto. Infatti, qualcuno grider senz'altro allo scandalo nellassistere ad una rappresentazione cos estranea ai consueti schemi, ma abbiamo trovato che questo era il modo pi opportuno, che questa era loccasione pi idonea, per dare evidenza ad una certa constatazione e dare risalto a certo sue conseguenze. Il teatro dialettale siciliano si identifica oggi in un limitato repertorio di titoli dati e ridati sulle pi eterogenee scene con una recitazione che si esaurisce nel compiacimento per la battuta pi o meno spiritosa, nella ricerca talvolta esasperata della improvvisazione a soggetto (ma molto lontana dalla validit e dalla rispettabilissima tradizione di questo importante capitolo dellarte teatrale popolare), nel ricreare ambienti di gusto paesanesco o primo novecento (ricopiati, cio, dalla scenografia della prima rappresentazione dellopera data), a base di scialli neri, coppole e cantarani tirati fuori dalla soffitta della nonna. Nulla da eccepire circa la fedelt o la propriet di tali realizzazioni, essenziali in taluni casi alla efficace resa di quanto trattato dallautore. In altre o pi esplicite parole, riteniamo sia andato perduto, per quel che oggi ci dato di constatare, il senso animatore del teatro dialettale siciliano cos come era stato concepito e proposto da Capuana, Martoglio, Pirandello: teatro che, nella miriade di fatti e scene popolari trattate, riconduce ad un unico grande affresco d'insieme, al tema conduttore della sicilianit. Sicilianit e teatro sono due concetti vicendevolmente compenetrantesi ed identificantesi: il gusto della parola e la gestualit, connaturati nella nostra gente, ne sono prova e testimonianza non uniche, ma pure bastano a richiamare allessenzialit originaria dellarte teatrale cos come doveva realizzarsi negli anfiteatri sorti in epoca antica per tutta la Sicilia. La nostra iniziativa non parte da un velleitarismo di novit, ma dal desiderio sentito e motivato, di porre laccento su una lettura che inviti in modo concreto a riconsiderare quei valori e temi, esistenti alla base del nostro teatro vernacolare, o in generale dialettale, che hanno finito con lessere sommersi ed ignorati dal compiacimento puramente esteriore, nella sua meccanica passivit di realizzarsi, di un malinteso ed usato modo di fare teatro. Un invito, dunque, a ritrovare una identit culturale chiara e ben definita, lungi da vacuit estetizzanti ed ambigui soggiacimenti a mode ed influenze esterne; a scoprire con fiera consapevolezza un messaggio reso ancor pi autenticamente vivo, nel suo valore sociale, perch espresso dal confluire di arte
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teatrale e dialetto. Costruita intorno alla figura del personaggio che ad essa d titolo, la commedia di Capuana da noi presentata, pur senza toccare gli estremi dell'esuberanza fantastica di Aristofane o della comicit buffonesca di Plauto, tuttavia, nelle metafore colorito del suo testo, nelle sapide invenzioni lessica1i, nel tendere al grottesco ed al caricaturale che nascondono una ironia allusiva e sottile, presenta tutti i segni di una teatralit schiettamente classica. Non si tratta, per lattore, di interpretare lazione bens di ricrearla: recitare diventa vivere. Il teatro torna ad essere modo di espressione integrale nel confluire di movimenti coreografici, di atteggiamenti plastici, di vibrazioni emotive e sonore pienamente modulate. Ne risulta un paraninfo autenticamente e schiettamente comico e non farsesco, nonostante i molteplici contrastanti ed esasperati sentimenti da cui via via animato. Valga ad esempio la sofferta metamorfosi verso i vertici (o gli abissi) della paura, vissuta sino a creare momenti di alta emotivit resi ancor pi drammatici dal contrastare di una lamentazione muliebre gravida di echi da rappresentazione sacra medievale. Lapparente logica monodica dellazione sintrama in realt in un armonizzarsi di duetti che permettono di definire in modo bastevole tutte le altre figure che intorno al personaggio principale si muovono. Sono state sufficienti poche modifiche al copione originario per meglio evidenziarne la natura appena descritta e caratterizzarne l'ambientazione (su cui pi avanti ci soffermeremo, proseguendo nellesposizione di questi spunti di riflessione e discussione). stato concepito un prologo, in osservanza alle regole della teatralit classica ma anche per dare a chi ci segue tutta una serie di chiarimenti ed informazioni utili ad un inquadramento e ad una miglior comprensione di quanto realizzato. Si riscontrano poi nel testo del Capuana, parcamente distribuite e moderatamente espresse, talune battute caratteristiche di un'allusivit che, nella commedia classica, degenera - almeno secondo il gusto civile moderno - nella grossolana oscenit. Di tale tecnica, non estranea a molte forme di teatralit popolare, abbiamo voluto dare, a mo' di prologo al secondo atto, un esteso esempio, che risulta anche utile ad una migliore definizione dei personaggi coinvolti. Lasciate ma certo non esaurite le nostre considerazioni sulla teatralit de Il paraninfo, entriamo nel merito della caratterizzazione che abbiamo voluto dare a questa nostra messa in scena della commedia di Capuana. Accettato il concetto di universalit dellarte, e del teatro in particolare, insieme allidea di sicilianit che ad esso si pu accompagnare, non ci riesce difficile collocare lo svolgimento della storia di cui ci occupiamo in una qualsiasi condizione temporale che prescinda da quella proposta dallAutore per la sua prima rappresentazione e dalle successive messe in scena di routine cui alludevamo nellaprire queste riflessioni. Abbiamo constatato le caratteristiche di classicit che Il paraninfo presenta: quale migliore collocazione temporale potrebbe avere una tale commedia se non in una citt (Catania?) dellepoca imperiale romana? La storia si reggerebbe bene perch il tema di cui tratta, la gelosia, era ben vivo anche a quei tempi. Le mura di una villa pompeiana ci hanno tramandato una scritta ammonitrice fattavi incidere dal padrone di casa per gli ospiti: risparmia i tuoi sguardi lascivi e le tue amorose occhiate alla moglie del vicino... Ma ben altra la giustificazione del nostro operare: lumanit e lattualit che troviamo in questa rappresentazione sui nostri conterranei di duemila anni fa, vissuta attraverso la magia della finzione scenica, potrebbe far pensare a un'eccessiva forzatura, ad un'esteriore ricostruzione affidata ai costumi e a qualche parola di latino maccheronico.
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Invece, ci che viene ad assumere evidenza proprio il carattere di sicilianit, e taluni suoi aspetti peculiari, su cui influenze storiche successive hanno operato solo minimamente, arricchendolo anzi nel suo costante manifestarsi e mantenersi nel tempo. Ci confortano documenti chiari ed autorevoli. Cicerone scrive dei Siciliani definendoli genus acutum sed suspiciosum, razza intelligente seppur diffidente, e dei Catanesi locupletissimorum hominum amicissimorumque, gente assai benestante e molto cordiale verso i Romani. Espressioni come latinu senza ruppa e veru romanu, ancor oggi in uso per definire rettitudine ed integrit di una persona, testimoniano tali atteggiamento di stima. Moses Finley, nella sua Storia della Sicilia antica, ben sintetizza queste ed altre testimonianze: Roma e lItalia erano paesi stranieri per i Siciliani. La lingua ne era la prova evidente... Gli amministratori romani si servivano di interpreti. Cos nella nostra commedia lambientazione esteriore e la collocazione temporale coincidono pienamente con la caratterizzazione mentale del siciliano di allora come di ora. Certo i Siciliani di duemila anni fa non parlavano il dialetto doggi, come i Romani dallora non parlavano il romanesco. Lidea che sta dietro lapparente paradosso resta pur sempre verificata, uscendone anzi rafforzata. E il romano avrebbe potuto benissimo essere sostituito da un francese o da uno spagnolo, da un piemontese, o da un milanese dei nostri giorni. Tutto si riconduce al discorso attorno ad un tipico atteggiamento dei Siciliani nei confronti del forestiero, smitizzato delle vesti di conquistatore e visto come uno sprovveduto cui illustrare con benevola superiorit larte di sbucciare i fichidindia, con lorgoglio consapevole dl unidentit culturale che trova nella lingua parlata la sua pi concreta affermazione. Atteggiamento non disgiunto dalla preoccupazione di cercare di farsi capire dall'ospite e, mettendolo a suo agio, con tentativi di parlarne la lingua: essere affabili, tolleranti e aperti, ma non disposti a subire torti e prevaricazioni. sintomatico, al riguardo, il caso di Alcibiade, il quale, come ci narra Diodoro, incit gli Ateniesi ad invadere la Sicilia perch le sue citt brulicavano duomini dogni razza che liberamente vi si recavano o ne uscivano e perci, mancando il senso della patria, nessuno circolava armato per la difesa. Gli Ateniesi, commenta il Finley con cruda espressivit, seguirono il consiglio, invasero la Sicilia e furono massacrati dai Siracusani. Potremmo poi citare l'esempio della Guerra del Vespro e tanti altri casi di moti ed insurrezioni, ma trascenderemmo quello che lo scopo di queste righe. Nella revisione, attenta ma discretissima, del testo, abbiamo voluto dimostrare quanto accennato prima a proposito dellarricchimento subito cultura siciliana a contatto di altre culture apparentemente dominanti. La lingua siciliana dei giorni nostri, quella parlata dai nostri personaggi, deriva dal latino medievale e, oltre ai resti del greco antico e delle lingue degli altri preistorici abitatori dell'Isola e del bacino mediterraneo in generale, presenta le influenze ovvero i contributi dei vari popoli dominatori succeduti ai Romani. Volutamente abbiamo lasciato o addirittura introdotto, nel contesto dei dialoghi, termini o espressioni indicative di questa realt: gebbia parola di origine araba, attruppicari o pileri sono di derivazione castigliana, sceccu viene dal francese antico, nixi corruzione dal tedesco. Tutti sintomi di una continuit sempre identificabile come espressione di una cultura e segno di passionalit ineguagliabili, quali si rivelano appunto nella realt di un linguaggio che meglio dogni altro si presta, come scrive Martoglio, alla rappresentazione viva ed immediata delle convulsioni dellanima e della coscienza. E qui interrompiamo lo nostre riflessioni, anche se altre, molte altre, ne restano da fare e tante altre ancora verranno in mente a chi ci seguir.
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Naturalmente, ci aspettiamo anche critiche sul merito del nostro lavoro e sullimpressione di apologetica parzialit che qualcuno creder di rilevare in queste considerazioni sul tema della sicilianit, forse solo perch ci siamo guardati dal ricorrere a quel tono di compiaciuto vittimismo o di masochistica autodiffamazione che, in fondo, rientrano fra le note caratteristiche della mentalit siciliana. Abbiamo solo e soprattutto voluto affermare e dimostrare, sulla scena, il valore profondo del patrimonio teatrale dialettale, che non si esaurisce nel puro esercizio desibizione o come espressione esclusivamente esteriore di una cultura ma invece di questa costituisce testimonianza viva e gravida di significati ed emozioni profonde. Catania, luglio 1975 Carlo S. Manfredini

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Programma di sala

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Atto II Scena 9 Le sorelle Matameis (Franca D'Amato e Antonella Giuliano), il centurione Rubirius (Piero Sanfilippo), Paranymphus (Salvo Trombetta), Magister Barresius (Peppino Cardillo)

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Atto III Scena 7 (finale) Rosa Minnula (Maria D'Acquino) e Paranymphus (Salvo Trombetta), il centurione Rubirius (Piero Sanfilippo) e Rica Matameis (Franca D'Amato), Magister Barresius (Peppino Cardillo) e Venira Matameis (Antonella Giuliano)

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Il cast In piedi: Piero Sanfilippo (Centurio Rubirius); Franca Micalizzi (Paula Vaiana); Fortunato Crimi (Angelus Vaianus); Francesco Nicotra (Responsabile Dopolavoro Aziendale SGS-ATES), Maria D'Acquino (Rosa Minnula); Salvo Trombetta (Paschalis Minnula-Paranymphus; Rega); Edy Serao (Trucco); Franca D'Amato (Rica Matameis); Rosa Balsamo (Realizzazione costumi); Rosa Farina (Serva Matameis); Angelo Monserrato (Allestimento scene). In basso: Michela Nasello (Antonia); Nino Scandurra (Calenna; Allestimento scene); Ninni Inserra (Presidente Gruppo Teatrale); Annamaria Topazio (Carmina); Carlo Trombetta (Alexius); Tino Cucinotta (Antonius); Peppino Cardillo (Magister Barresius); Carlo Manfredini (Adattamento del testo, disegno scene e costumi, supervisione alla produzione); Salvatore Coco (Cutugnus); Franco Cittadino (Rammentatore); Antonella Giuliano (Venira Matameis).

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Il cast Fortunato Crimi (Angelus Vaianus); Carlo Manfredini ( Adattamento del testo, disegno scene e costumi, supervisione alla produzione); Salvo Trombetta (Paschalis Minnula-Paranymphus e Rega); Rosa Balsamo (Realizzazione costumi); Franco Cittadino (Rammentatore); Ninni Inserra (Presidente Gruppo Teatrale).

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Gli interpreti Carlo Trombetta (Calenna); Rosa Farina (Serva Matameis); Michela Nasello (Antonia); Tino Cucinotta (Antonius); Peppino Cardillo (Magister Barresius); Antonella Giuliano (Venira Matameis).

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Gli interpreti Fortunato Crimi (Angelus Vaianus); Maria D'Acquino(Rosa Minnula); Salvo Trombetta (Paschalis Minnula-Paranymphus e Regista).

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Gli interpreti Piero Sanfilippo (Centurio Rubirius); Franca D'Amato (Rica Matameis); Nino Scandurra (Calenna); Annamaria Topazio (Carmina); Franca Micalizzi (Paula Vaiana); Salvatore Coco (Cutugnus)

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Foto: Gruppo Aziendale Amatori Teatro Turi Pandolfini

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