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La pesca del tonno, una trappola lunga

chilometri

La pesca del tonno avveniva grazie alla tonnara, una rete lunga chilometri.
Leggi un estratto dalla Guida ai punti di interesse di Favignana. L’ebook
completo è disponibile per Kindle e Kobo.

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The Guide of Favignana is also available in English language.


Il capitolo che segue è un estratto del libro ebook “Favignana Guida ai
punti di interesse”, disponibile su Amazon e su Kobostore. Il testo,
nell’ebook e nel libro cartaceo è arricchito con note contenti informazioni e
dati aggiuntivi.

La mattanza ha una storia millenaria, con una bibliografia enorme e


Favignana è sicuramente la tonnara di derivazione araba più raccontata
d’Italia.

Provando a ridurre ai minimi termini il meccanismo inventato dagli arabi e


applicato in tutto il mediterraneo, si può dire che la tonnara è una trappola
fissa, fatta con delle reti disposte nel mare per alcuni chilometri, il cui
scopo è intercettare il passaggio dei branchi di tonni. Quella di Favignana,
in particolare, andava a catturare i tonni che ogni anno dall’Oceano
entravano nel Mediterraneo in primavera, per riprodursi e tornare poi
nell’Atlantico.

Praticamente si catturavano i tonni mentre pensavano d’andare a fare


l’amore, pensa che fregatura, poveri pesci!

Illustrazione originale da “Egadi mare e vita” di Gin Racheli, Mursia, 1976.

f f
Le reti venivano ancorate al fondo del mare e formavano quasi un imbuto
che guidava i tonni in alcune stanze, fatte di reti, da cui gli animali non
riuscivano ad uscire. Le reti restavano calate per alcuni mesi e venivano
controllate periodicamente per vedere quanti tonni erano entrati, quando
ce ne erano abbastanza si procedeva alla pesca.

La pesca iniziava manovrando le reti per far passare i tonni da una stanza
all’altra fino a condurli all’ultima, chiamata camera della morte. Questa
stanza aveva il fondo sollevabile, i tonnaroti portavano le barche della
mattanza sui lati della camera della morte e sollevavano il fondo della rete,
facendo venire i tonni in superficie dove venivano arpionati e tirati fuori
dall’acqua a braccia dai pescatori.

Così la storiella è raccontata in modo freddo, ma nella realtà, nei racconti


di chi l’ha fatta, ma anche di chi l’ha solo vista, la faccenda aveva molto
più sapore e suggestione, c’era la religione e il mistero, c’era la lotta tra
uomo e natura e c’era l’orrore della morte.

Nei giorni di mattanza il rais , in base alla sua esperienza e alla sua
conoscenza del mare, dei venti e delle correnti, all’alba doveva stabilire se
la giornata andasse bene per pescare i tonni, in particolare se il mare si
fosse mantenuto calmo, perché la mattanza durava diverse ore e andare in
mare col rischio del cattivo tempo era pericoloso. I tonnaroti pregavano
prima di salpare, cantavano antiche canzoni mentre issavano le reti,
seguivano la guida del rais e poi sferravano le mazzate ai tonni al suo
comando. La morte dei tonni colorava di rosso il mare, nel parapiglia della
lotta per la sopravvivenza le bestie spesso si ferivano tra di loro.
Sbattevano le code sui fianchi delle barche e se solo avessero potuto urlare
sarebbe stato un vero inferno degno di Dante.

Spesso servivano due o tre tonnaroti per tirare sulla barca un grosso
tonno, e i movimenti dei pescatori dovevano essere allenati e attenti
perché il tonno, quando veniva tirato su, si dimenava e con la coda poteva
colpire i pescatori, causando anche grosse ferite.

Alla fine della lotta il tonno più grande spettava di premio ai tonnaroti.

Negli anni il numero di tonni è diminuito a causa della pesca intensiva


dentro e fuori del Mediterraneo: i tonni che ormai arrivano in queste acque
sono pochi e piccoli e il costo per tenere in piedi tutta l’attività non è più
sostenibile. Pian piano l’attività industriale è così svanita ed è rimasto
principalmente l’aspetto folkloristico e turistico, mantenuto in maniera
artificiosa anche con le sovvenzioni statali nonché con i soldi degli ultimi
pittoreschi tonnaroti Gioacchino Cataldo e Clemente Ventrone che hanno
cercato di tenere in piedi la tonnara investendo i propri risparmi. Li potete
ancora incrociare a Favignana, possenti uomini del mare più simili a pirati
che a pescatori.

Per farsi un’idea dei numeri: nel 1845 furono pescati 14.020 tonni, il record,
negli anni ‘60 la media era sui 3.500 tonni a stagione. Nel 2007 non si è
arrivati a pescare neanche 100 tonni. Dal 2008 le reti non sono state più
calate.

Periodicamente si parla ancora di riaprire la mattanza, ma è difficile


stimare il numero di tonni catturabili e quindi la fattibilità e la sensatezza
economica della proposta, ma è anche vero che è difficile rinunciare ad un
pezzo di storia di quest’isola.

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