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PROMETEO LIBERO
carceri, giustizia e politica
Che mondo era quello dell’eversione nera del Nord Italia ai tempi della strage di
Piazza Fontana?
Una delle particolarità del suo lavoro è che è stato svolto a distanza di tanti anni
dalla strage di Piazza Fontana, anche per ragioni anagrafiche, visto che lei nel
1969 era un adolescente. Se lei avesse svolto le indagini all’inizio degli anni ’70,
quali ostacoli avrebbe trovato sulla sua strada e cosa di diverso avrebbe fatto
rispetto agli inquirenti di quegli anni?
Poi avrei cercato di capire chi avesse nel proprio bagaglio ideologico il movente di
azioni simili, e in qualche modo lo faceva comprendere anche attraverso le
pubblicazioni che giravano più o meno clandestinamente. Non vi è dubbio che solo
la destra radicale potesse considerare, nei suoi programmi farneticanti, la strage
come strumento per destabilizzare il sistema democratico. Le ricordo un fatto poco
conosciuto che ha riguardato lo scrittore veneto Ferdinando Camon. Camon era
entrato alcune volte in incognito nella libreria padovana di Freda e Ventura. Lì ha
trovato e comprato una loro pubblicazione in cui si faceva esplicito riferimento a
bombe senza nome e senza rivendicazione, fantasmi usciti dal nulla, che avrebbero
provocato la “disintegrazione” delle istituzioni democratiche. Camon ha ben
descritto le caratteristiche del gruppo Freda, anche sul piano psicologico, nella sua
componente razzistico-gerarchica, nel libro Occidente, uscito nel 1975. Se fossi stato
un inquirente dell’epoca, avrei sicuramente dato importanza anche a testimonianze
letterarie per capire da dove venissero le bombe.
Bisogna anche rilevare come il ruolo dei pubblici ministeri di adesso sia molto
diverso da quello dei primi anni ‘70
Con l’attuale Codice di procedura penale le indagini vengono dirette dai Pubblici
Ministeri e la Polizia giudiziaria, cioè polizia e carabinieri seguono le indicazioni
della magistratura. All’epoca era il contrario: la Polizia confezionava i rapporti,
stabiliva su quali punti e su quali piste insistere e alla fine portava tutto il
magistrato, che agiva quasi alla stregua di un semplice esecutore. Una dinamica che
aiuta a capire bene come avvenne l’immediata direzione delle indagini di piazza
Fontana sulla pista anarchica di Valpreda. Oggi non sarebbe possibile.
Una delle cose che risalta agli occhi nello studio della strategia della tensione è
l’impotenza della magistratura, schiacciata tra una politica interessata al
mantenimento della collocazione italiana nella sfera atlantica e la pervasività di
un mondo militare, dei servizi e delle questure che andava ben oltre
l’auspicabile o il lecito. Pensiamo a giudici Stiz e Calogero, i primi che hanno
approfondito la pista nera di Piazza Fontana e che sono stati costretti a tenerla
nascosta per non compromettere le indagini. A distanza di anni si può dire che è
mancato un supporto all’autonomia della magistratura da parte dei presidenti
della Repubblica di quegli anni?
All’epoca la sensibilità della Presidenza della Repubblica era molto diversa rispetto
a quella di oggi, a quella del presidente Mattarella, ad esempio. Prevalevano il
conservatorismo e l’allineamento con il Patto atlantico e con le forze più moderate
del Paese. A prescindere dalle valutazioni politiche, che non sono mio compito, è
un fatto storico che il presidente Saragat sia stato uno degli artefici della scissione
del Partito Socialista per creare una formazione marcatamente filoamericana come
il PSDI, intimorita da qualsiasi innovazione o svolta progressista. E questo avvenne
proprio pochissimi mesi prima del 12 dicembre.
È dunque una forzatura dire che l’atlantismo abbia fatto dimenticare a presidenti
come Segni e Saragat alcune prerogative costituzionali?
È una domanda cui è difficile rispondere. Voglio ricordarle solo una cosa. Nei
lunghi memoriali che l’on. Moro scrisse quando era prigioniero delle Brigate Rosse
indicò chiaramente nell’estrema destra i responsabili della strage di Piazza Fontana.
Ma non solo. Scrisse anche che quella strategia era stata in qualche modo protetta
dai Servizi segreti e ispirata da una certa politica atlantica.
Ha inciso molto, basti pensare al golpe Borghese, dove l’ex comandante della X
MAS ha ottenuto l’appoggio di alti ufficiali dell’Esercito. A prescindere dalla
realizzabilità concreta del progetto di Borghese, l’adesione del mondo militare e dei
Servizi segreti è stata più rilevante di quanto si pensasse. Parlo di quel mondo
militare cui il gruppo di Freda e Ventura, anni prima, nel 1966, aveva mandato
attraverso il volantino firmato Nuclei a Difesa dello Stato, l’appello a entrare in
azione e diventare la guida del paese ritenendolo l’unica diga contro il dilagare
della “sovversione rossa” favorita, secondo loro, dall’acquiescente sistema
democratico. Un altro esempio di infedeltà è la fuga di Marco Pozzan organizzata
dal SID. Pozzan era un uomo del gruppo di Freda che avrebbe potuto cedere di
fronte a un interrogatorio e che fu stato fatto espatriare con falsi documenti nella
Spagna di Franco, al tempo un rifugio sicuro.
L’ho interrogato solo una volta, ha ammesso poche cose, tra questa una che non
aveva mai detto prima. Un uomo freddo, che avrebbe retto a qualunque pressione,
impensabile che una spia di altissimo livello come lui potesse fare rivelazioni
importanti. Mi ha dato l’impressione di un uomo che sapesse tutto ma che non
potesse in alcun modo rivelare le proprie conoscenze.
Confessò che, una volta in difficoltà, per giungere a Roma e incontrare uomini del
SID che l’avrebbero fatto espatriare era stato accompagnato Massimiliano Fachini,
uno dei fedelissimi di Freda che è stato coinvolto in tutta l’attività della cellula
padovana. I rapporti tra quest’ultima e il SID quindi erano strettissimi. In quel
momento erano presenti i due lati dello stesso scenario: Servizi segreti e neonazisti,
due mondi “cobelligeranti” contro quello che si veniva definito il pericolo
comunista.
Lei nella sua lunga carriera da magistrato ha interrogato tanti terroristi rossi e
tante persone legate all’eversione nera. Quali sono le differenze umane e di
appartenenza ideologica che lei ha riscontrato, per esempio, tra un ordinovista e
un militante di Prima Linea?
Completamente differenti e tutti diversi tra loro. Ogni personaggio di quel mondo
ha la sua storia, la sua singolarità. C’è il filonazista, il fanatico del mondo militare, il
cattolico conservatore, l’adepto del paganesimo, il seguace dell’esoterismo, c’era chi
apprezzava Israele come avamposto dell’Occidente e chi da filo-musulmano voleva
distruggere gli ebrei. Un coacervo di idee bizzarre e di posizioni del tutto
antistoriche, fuori dal tempo. Io credo che ad unirli ci fosse l’azione a prescindere
da un progetto organico, un vitalismo guerriero fuori da ogni schema razionale che
li rende figure davvero particolari. Tra tutti, come intelligenza, autocontrollo e
carisma prevaleva Franco Freda, un uomo in grado di imporsi sugli altri.
Freda aveva un effetto magnetico sugli altri esponenti del suo gruppo?
Si, un tratto magnetico rafforzato da una cultura molto forte. Tra l’altro Freda
tuttora dirige una casa editrice nemmeno disprezzabile, prescindendo ovviamente
dalle idee che essa esprime. Un altro elemento interessante è il legame cameratesco,
quasi fisico, una specie di patto di sangue tra i componenti di questi piccoli gruppi
neonazisti formati da non più di 10-15 persone. Un rapporto umano diretto e molto
stretto che ha reso molto più difficile la dissociazione o la collaborazione con la
giustizia rispetto ai gruppi di estrema sinistra, perché collaborare voleva dire
tradire nella forma più intensa della parola
Quando fai lunghe indagini e interagisci con tante persone, parli con loro, è
normale che si crei un rapporto umano. Lei consideri che in tutta la mia indagine
non ci sono stati mandati di cattura, era un rapporto alla pari in cui io interrogavo
per ricostruire il passato e convincere i mei interlocutori a far tornare alla luce
alcuni fatti. Vincenzo Vinciguerra è ancora un ergastolano e lo è solo per sua
volontà. Ha spontaneamente rivendicato la sua responsabilità perl’attentato di
Peteano, non ha fatto appello contro l’ergastolo e tutto sommato è rimasto un
rivoluzionario coerente con le proprie idee, che continua a opporsi allo Stato
dall’interno del carcere. Vinciguerra, in questo, l’ho percepito come una persona
rispettabile, consapevole delle proprie responsabilità che non chiede premi o sconti.
E per questo quanto racconta diventa anche più credibile.
Postilla
Ecco una lista di libri che aiutano a capire il contesto storico, le premesse e le verità
ancora da scoprire sulla strage di Piazza Fontana
Mirco Dondi – L’eco del boato. Storia della strategia della tensione, 1965-1974,
Laterza 2015
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