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CONOSCENZA

GIURIDICA

E CONCEITO

DI DlRITIO

POSITIVO

ria dellascienzagiuridica,in AA.W.,Studi in nzemonadi Giovanni Tarello, Vol. lI. Saggi teorico-giuridici, Giuffr, Milano, pp. 579-615. VILIAV. (1979), Imp/icazioni metateoriche nella teoria dei dirilto di Alr Ross, in "Rivista internazionale di filosofia deI diritto", 2, pp.258288. VILIA (1984), Teorie della scienza gillridica e teorie deUescienze natuV. rali, cit., Giuffr, Milano.

3, LE TRADIZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANALITICA E LA FILO$OFIA DEL DIRITTO DI INDIRIZZO ANALITICO

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Ho rilevato, alia fine deI capitolo precedente. l'opportunit di compiere una breve digressione sulla filosofia analiLica, vista anche l'importanza che questo movimento di pensiero ha progressivamente assunto, negli ultimi decenni, per gli studi filosofico-giuridici. In questo capitolo cerchero, in primo luogo, di proporre un conceito di 'filosofia analtica', e, in secondo luogo. di esporre alcuni tratti fondamentali di due delIe tre tradizioni di ricefca in cui tale orientarnento, perlomeno a mio awiso, si articola (Ia terza sar esaminata in seguito), Si impongono qui due chiarimenti di carattere pregiudiziale. Il primo concerne Ia nozione di 'tradizione di ricerca', Ia quale, peraltro, verr frequentemente impiegata nel prosieguo deUe lezioni. Per 'tradizione di ricerca' intendo, seguendo molto liberamente una definizione proposta daI filosofo deUa scienza Laudan (1979): una seriedi concezoni o di teorie diverse, che possono essere contemporanee o succedersi in sequenze temporaIi differenti, ma che sono tuttavia accomunate daI fatto di cliscendere, per via di interpretazione, da un insieme condiviso di assunzioni (che possono vertere sugli oggetti piu disparati: cose o eventidel mondo spazio-temporale, c:ontenutidi pensiero, modi di intendere o di praticare una certa disciplina, eec.), ehe eoneOITonoa produITeun determinato concetto, Le tradizioni dj ricerca, in sostanza, eostituiscono il vero e proprio tramite che si frap. pone tra concetti molto generali (ne! senso di 'conceito' qui suggerito) e teorie altamente specifiehe, e che determina modi culturalmente standardizzati di interpretazione dei primi da parte delle seconde. Proprio nella stesso senso, tanto per fare un esempio che ci riguarda da vicino,ilrealismogiuridicosCQndinavou essereconsideratocome p e una unadelletradizionidi ricercadeIgiuspositvismo, perI'esattezza deI tradizioneche opera una determinata interpretazione coneetto di 'diritto' presupposto 'daI giuspositivismo neIsuo complesso,e che pai

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cl vita, a sua volta, ad una serie di specifiche teorie giuridiche(ad


esempio, Ia teoria di Ross, quella di Olivecrona, quella di Lundstedt, ecc.).

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LE TRADIZlQNI

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II secondo chiarimento riguarda il perch della trattazione separata della terLa tradizione di ricerca che si diparte dalla filosofia analitica. II fatto che le prime due, peraltro strettamente collegate fra di loro, costituiscono il retroteITa filosofico della versione piu recente della tesi non cognitivistica sulla filosofia deI diritto. Entrambe le tradizioni, dunque, verranno esaminate contestualmente, sulla base dei loro aspetti comuni (penso soprattutto all'elemento costituito daI modello epistemologico descrittivistico), e finiranno per essere coinvolte nella critica radicale che muover alia tesi non cognitivistica. La terza tradizione, invece, tende a distaccarsi piuttosto nettamente dalle prime due, per collocarsi in un orizzonte epistemologico (di tipo costruttivistico) alternativo al precedente e molto piu in sintonia con Ia prospettiva elaborata in questo corso. Pertanto di tale tradizione, e delle sue implicazioni per Ia conoscenza giuridica e per il diritto, parler in segui to, neI capitolo dedicato al costruttivismo. Prima, pero, di affrontare direttamente il tema de1la filosofia analtica e dellesuevarie tradizionidi ricerca,oecorre formulare dueimportantidistinzioni,cheservanoa prevenirealcunipossibiliequivoci sul significato e sulla portata di questo movimento filosofico. Entrambe le distinzioni riguardano quello che puo essere considerato I'oggetto privilegiato di studio da parte della filosofia analitica: illinguaggio. II fatto che illinguaggio, come facilmente comprensibile, non un campo di studio di esclusiva competenza della filosofia analitica; vi sono, ai contrario, molti altri tipi di indagine che ad esso fanno riferimento, sia pure in modi diversi. Vale Ia pena di ricordare, in particolare, due discipline: i) Ia linguistica, in quanto disciplina che studia scientifieamente le specifiehe forme e strutture concrete assunte, di volta in volta, dallinguaggio; li) Ia {osofia dellinguaggio, in quanto importante sotto-disciplina della filosofia che si occupa dello specifico campo di studio costituito dallinguaggio (nello stesso senso in cui Ia filosofia deI diritto si occupa deI "diritto", Ia filosofia della morale della "moral e", Ia filosofia della scienza della "scienza", ecc.), e dunque di un ambito di problemi filosofici (ad esempio, il problema della "verit", quello dei "riferimento", ecc.) che riguardano proprio quell'oggetto, indipendentemente dallipo di orientamento filosofico generale e di concezione specifica (dellinguaggio) espressa. Si profila, dunque, il pericoIo concreto di confondere, sotto il profilo degli oggetti o dei metodi, Ia filosofia analitica con queste due ultime discipline. Mi sembra quindi molto opportuno, a questo punto, distinguereil modo peculiareconcui Ia filosofiaanaliticasi occupa, in qualche senso, deIlinguaggio, dai modi con cui se ne occupano le A) La prima distinzione da tracciarc quella fra linguistica e filo-

sofia analitica. Non mi pare, pero, che 1perkolo di una confusione fra questidue ambiti di indaginepossarealmentesussistere,quanto i menose si ha curadi notare, comefa opportunamentel filosofo analitico Searle (1976), che gli oggetti che di essi fanno parte sono, in realt, diversi. E infatti Ia filosofia analitica ha come suo campo di studio illinguaggio, mentre Ia linguistica ha come suo campo di studio Ia lingua (o meglio le litigue). Ecco alIora chiarito il possibile fraintendimento: esso si fonda, a ben guardare, sulla mancata distinzione fra lingua e linguaggio. Si tratta di una distinzione di carattere cruciale (anche in relazioue alIa sotto-distinzione che da essa puo farsi derivare, queUa fra /inguaggio

giuridico e lingua giuridica),sulla qualela linguisticasi c sempre arroveUata, sin dai suo i padri fondatori (v. Saussure (1972)). In questa carattere definitorio.

sede ci si limiter ad alcune brevi - ma indispensabiJi _ notazioni di

Per 1ingua' bisogna intendere uno specifico sistema di suoni (versione "parlata") o di segni convenzionali (versione "scritta"), considerati nella loro forma sensibile e nella loro finalit di strumento "fsico" di comunicazione (ad esempio Ia lingua italiana, Ia lingua inglese, Ia lingua tedesca, ecc.). Quanto alia nozione di 'Iinguaggio', opportuno distinguere due

diversisensi (latoe stretto) in cui pu essere intesa.In senso lato, per


'linguaggio' si intende Ia classe di tutti i processi di comunicazione, dai punto di vista dei loro contelluti e delle 10rostrulture, e dunque in-

dipendentemente modiconcretiin cui avvengonotaliprocessi, che dai possonoutiJizzare seg,i dellapiu svariatanatura,linguisticae non (ad
esempio, un cartello stradale un segno che comunica qualcosa, anche se in via extra-linguistica). In senso stretto, per 'linguaggio' si intende Ia classe di tutti i processi di comunicazione linguistica, sempre dal punto di vista dei loro contenuti e deUe loro strutture, e dunque dell'insieme deUe reIazioni sintattiche, semantiche e pragmatiche intrattenute dai segni linguistici (appartenenti ad una o piu lingue) che costituiscono il veicolo della comunicazione stessa. DaI momento che il linguaggio (Ia dasse dei linguaggi) che si esprime attraverso il veicolo deUe lingue di gran lunga iI pi importante e il pi significativo daI punto di vista filosofico, si preferisce quasi sempre, in sede di filosofia dellinguaggio, usare Ia definizione ristretta.Anchein questocorso,deIresto, tutte le volteche faro riferiOlento ai hnguaggio, adotter, salvo espressa menzione dei contrario, questo senso piu ristretto. Da queste brevi notazioni si puo capire iI senso della distinzione sopra formulata, e deUa suddivisione di compiti che da essa deriva.
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due discipline sopra menzionate.

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Un esempio potr forse servire a chiarire ulterionnente Ia questione. La nozione di 'significa to' e senza dubbio Ia nozione principale con cui hanno ache fare i linguisti e i filosofi analitici. Orbene, ai filosofo analitico non interessa, in quanto filosofo, il significato de! vocabolo 'tavolo' nella lingua italiana (sono problemi di cui si occupano il glottologo e illessicografo, in quanto studiosi di sotto-discipline della linguistica); ad egli interesser, piuttosto, il modo in cui, a proposito di tali ma anche di altre - nozioni, e usata Ia nozione di 'significato'. ln modo simile, dei resto, funziona il rapporto fra giurisprudenza e teoria de! diritto all'intemo dei nostro ambito di indagine. Cosi come, infatti, Ia filosofia analitica si occupa della dimensione dellinguaggio, e Ia linguistica di quella delle lingue, allo stesso modo Ia teoria de! diritto si occupa della dimensione dei linguaggio giuridico, e Ia giurisprudenza di quella delle singole lingue giuridiche. Alia teoria de! diritto, ad esempio, non interessa direttamente accertare in via interpretativa il contenuto semantico di certi enunciati legislativi esprimenti norme giuridiche, indagine, questa, che spetta alla giurisprudenza; alla prima, invece, interessa esaminare 10statuto logico e teorico delle nozioni di carattere generale ('diritto soggettivo', 'obbligo', ecc.) di cui certe espressioni contenute in quegli stessi enunciati (<<il roprietario p ha il diritto di ..., il debitore ha robbligo di ..., ecc.) costituiscono specifiche istanze d'uso. Oltre a quella di 'significato', vi sono ovviamente tante altre nozioni che si collocano allivello de!linguaggio, e che dunque interessano il filosofo analitico (e, piu in generale, il filosofo de!linguaggio): si possono qui menzionare Ianozione di 'senso', quella di 'riferimento',quella di 'regolalinguistica', quella di 'proposizione', quella di 'enunciato', eec. Di molte di queste nozioni parleremo piu diffusamente in seguito, ne! capitolo dedicato all'interpretazione giuridica.

2. Una

volta sgombrato

il campo da tali questioni pregiudiziali,

corre adesso dire qualcosa di piu sulla filosofia analitica e sulle sue tradizioni d~ricerca. CQmeper tutte Je ooziooi essentiallycontested, c'e moita incertezza, in sede metafilosofica, su quali siano (o debbano essere) le principali caratteristiche di questo movimento. Si passa da definizionieccessivamentedebo/i,che dilatanoa dismisural'ambitodi estensionedella nozione,a defioizionieccessivamenle for/i, cheinvece

10restringonotroppo.Personalmente sono dell'avviso, ome cerchero c


adesso di mostrare, he Ia strada da seguire si collochi "nel mezzo", alIa giusta distanza fra i due estremi opposti, e che il modello di deEinizione da adottare sia, anhe qui, quelIo della definizione "per casi paradigmatici e concetti". Ma, prima di avanzare questa tesi, e meglio esaminarele definizioni chesi collocanoagli estremiopposti. A) Secando coloro che adottano una definizione eccessivamente debole, raspetto camune della filosofia analitica sarebbe costituito da e!ementi di carattere metodologico, che attengono cioe aI suo modo di conduITe illavoro filosofico. Tali eIementi sono di fatto variamente caratterizzati: i) taluni, piu minimalmente, pongono raccento sul fatto che Ia filosofia analitica privilegia Ia analisi, piuttosto che Ia sintesi, come metodo di indagine filosofica. Con cio si vuole dire che Ia filosofia analtica muove sempre da una scomposizione e da una disarti~ colazione degli oggetti sottoposti ad indagine, per poi tentarne una ricomposizione unitaria, anzich partire da una visione di insieme degli oggetti stessi, visti come un "tutto", per poi provare a dividerli in piu parti. ln questo senso, ;1 metodo de! filosofo analitico puo essere paragonatO ai modo di lavorare dell"'orologiaio", che, per riparare - o pervederecomefunziona- uo orologio, 10 smonta e ne esaminai singoli pezzi, per pai rimetterlidi nuovo insieme ed esaminarnei1 funzionamento complessivo; ii) altri, meno genericamente, sostengono che j] metodo della filosofia analitica e caratterizzato dalI'adozione di un certo stile di analisi, uno stile particolarmente austero improntato ai rigore argomentativo, alla chiarezza nella formulazione dei problemi, alla precisione nelle definizioni, alIa cura nelle distinzioni, alla rinuncia ai discorsi (metafisici) che travalicano l'esperienza, ecc.; iii) altri ancora, molto piu specificamente, affermano che il metodo della filosofia analitica e caratterizzato dall'analisi dellinguaggio finalizzata aI/a chiarificazione dei problemi pi squisitamerae filosofici. Questa terza posiziooe merita uo esame un poco phl particolareggiato, perch j] suo tentativo di cogliere j] nocciolo di significato comUne della filosofia analitica si awicina di piu degli altri a quella che, a mioavviso, eIa definizione piu adeguata. Nello svolgerequesto breve

B) La seconda distinzione da tracciare e quella fra filosofia analitica e filosofia dellinguaggio. Qui, per Ia verit, Ia strada e gi slata spianata da quanto ho detto a proposito della distinzione precedente. :E sufficiente rilevare, infatti, che per 'filosofia de! linguaggio' si intende quella sotto-disciplina della filosofia che ha come suo specifico campo di studio i problemi connessi alla natura de!linguaggio, ai suoi elementi costitutivi, ai rapporto fra linguaggio e suoi utenti, ecc. lntesa in questo modo, Ia nozione in questione nan indica, come invece fa Ia nazione di 'filosofia analitica', un modo specifico di impostare e di risolvere questi problemi (e quindi anche un determinatO "metodo filosofico");essa si limita ad indicare uno specifico settore di indagine della filosofia.

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esame, teIT conto in modo parti colare delle tesi espresse da Scarpelli, e eioe di un filosofo dei diritto che si occupa della definizione di 'filosofia analitica' con I'occhio sempre rivolto alie sue possibili applicazioni ai mondo dei diritto (e dunque allinguaggio giuridico). Secondo Scarpelli Ia filosofia analitica (che egli preferisce denominare 'filosofia linguistica') accosta e cerca di risolvere i problemi filosofiei attraverso un'analisi dellinguaggio, una indagine ed una riflessione sopra i significati, le strutture logiche, le funzioni o gli usi dellinguaggio. 1982), p. 49). ln questo senso Ia filosofia analitica sarebbe caratterizzata, sempre con le parole di Scarpelli, da una viva preoccupazione per illinguaggio, il modo di usarlo, i significati dei segni linguistiei e le loro relazioni logiche. 1962),p. 9). E tale preoccupazione nasce daI fatto che i problemi filosofiei nascono prevalentemente daI linguaggio, e si risolvono lavorando sul linguaggio. Da questo punto di vista dunque, come rileva anche un altro esponente della Scuola analitica, Guastini (1990), Ia filosofia analitica svolgerebbe un lavoro di aggiustamento elo di miglioramento dei linguaggio, lavara che si risolverebbe nell'impiego sistematicc degli slrumenti dell'analisi (logica) dellinguaggio. Questo tipo di definizione debole non riesce a cogliere COITettamente quello che e, a mio awiso, iI "nocciolo di significato comune" della filosofia analitica. Non ei riescono in modo piu macroscopico le prime due versioni della definizione, che, a causa della loro eccessiva genericit, non sono in grado di fornire elementi suffieienti per individuare un autonomo orientamento "analitico" nel panorama filosofico contemporaneo. Non basta, come nota opportunamente iI filosofo analitico Lecaldano (1988), il riferimento ai rigore argomentativo, alIa precisione nel1e definizioni, eec., per conseguire tale scopo. Colgono invece maggiormente nel segno le posizioni che sstengono che Ia filosofia analitica si risolve neU'analisi dellinguaggio, analisi che si volge alia chiarificazione dei problemi filosofiei. Non c'e dubbio, infatti, che iI metodo deUa filosofia analitica abbia, per 10 meno in parte, questo tipo di connotazione, e che, dunque, il suo impiego valga, ad esempio, a trasformare le tradizionali questioni filosofiche (ad esempio, queUe suUa nozione di 'esistenza') in questioni sul senso di certi enunciati (ad esempio, in questioni su che cosa vuol dire l'enunciato qualcosa esiste.), mostrando che le perplessit filosofiche nascono, iI piu delle volte, da un uso improprio deUe parole. Lo stesso Wittgenstein sottolinea piu volte questo punto, ad esempio quando dice che Ia filosofia mira a dare una rappresentazione perspicua deU'uso delle nostre parole 1967), par. 122). Nell'esaminare criticamente questa tesi si pilOper il momento pre. scindere dalle questioni delicate che essa solleva (si veda, ad esempio,

Ia questione .se Ia filosofia analitica possa risolversi tutta nell'analisi dei linguaggio., owero quella .sul tipo di linguaggio che costituisce l'oggetto privilegiato delle sue analisi, owero ancora quella .di quali debbano essere gli scopi ele modalit di tale analisi, ecc.); quanto ho da dire, infatti, e indipendente daI tipo di soluzioni che si decida di adottare per tali questioni. lnfatti, anche qualora, daI punto di vista metodologico, queste caratterizzazioni della filosofia analitica fossero da ritenersi pienamente adeguate, rimarrebbe pur sempre una obiezione di fondo: quella, per l'esattezza, che fa leva sulla tesi secondo cui Ia dimensione deI .metado e pur sempre una dimensione derivara, che dipende da dimensioni ulteriori, all'interno delle quali si collocano quelIe assunoni di carattere sostanziale che si preoccupano di offrire delle giustificazioni di carattere epistemologico e metafisico per !'impiego dei metodo dell'analisi linguistica. Qucsta tesi non ha, si badi bene, una valenza meramente settoriale; essa, aI contrario, costituisce una delle possibili implicazioni di una tesi meta-metodologica di carattere generale, quelJa secando cul le concezioni rnctodologiche si fondano sempre 5Uconcezioni epistemologiche (su di una "teoria della conoscenza") e queste ultime, a loro volta, 5U concezioni meta/isiche (su di una "visione dei mondo"). Se, dunque, si vuole fornire una caratterizzazione adeguata della filosofia anaJitica, bisogna decidersi ad andare aI di l della dimensione puramente metodologica, per spingersi ad esaminare i contenuti di alcune fondamentali tesi filosofiche sstenute da ques~o movimento di pensiero. B) Coloro che scelgono di usare una definizione eccessivamente forte di 'filosofia analitica' sono perfettamente consapevoli deU'esigenza di andare aI di l della dimensione metodologica, anche se poi finiscono con iI cadere nell'eITore opposto a queUo commesso daUa posizione precedente. Qui l'eITore consiste nel caricare Ia definizione di riferimenti troppo impegnativi e vincolanti ad aIcune specifiche tesi sostenute daUa - o meglio da certe tradizioni di ricerca deUa filosofia analitica in un determinato momento deUa sua storia culturale. Una posizione di questo genere e queIJa di chi, come Jo.; (1989), sostiene che Ia filosofia analitica trova Ia sua caratterizzazione uni taria per iI fatto di riconoscersi in - o comunque neI considerare importante e degna di essere affrontata una costeUazione di "postulati filosofici" sullinguaggio (Ia grande divisione fra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo, Ia dicotomia ana/itico/sintetico, Iadistinzi'one fra metalinguaggio e.li~g"aggio-oggello, Ia distinzione fra contesto di giustificazione e contesto di scoperta). Non e il caso qui di entrare nel merito deUe tesi sopra citate; 10far in seguito, ma soItanto per alcune di esse. OueUo che invece importa

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LE TRADlZIONI DI RICERCA DELLA flLOSOflA

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qui rilevare, in sede critica, e che questa definizione riduce troppo 10 spettrodi estensione della nozione di 'filosofia analitica', e, scambiando Ia parteper il tutto, finsceper realizzareuna indebitaidentificazione fra "Ia filosofia analitica nel suo complesso" e "una delle sue possibili tradizioni di ricerca". Portando questa definizione alle sue estrcme conseguenze, si finircbbe per escludere dai campo di riferimento della nozione alcuni orientamenti filosofici contemporanei che invece, a mio awiso, fanno parte integrante di questo movimento di pensiero.

fine dei secolo scorso - sino alia fine degli anni '60), si e effettivamente riconosciuta in uo concetto unitario, conceito che ha costituito il ca-

mune puntodi partenza- quantomeno- perJeprimedue del1eIre tradizioni di ricerca che discendono, secando 10schema di classificazione da me proposto, dai "tronco conceltuale" della filosofia analitica. Per quello che riguarda, invece, Ia terza tradizione di ri cerca (Ia filosofia post-analitica), i suoi legami eon Ia filosofia analitica sono, come vedremo in seguito, molto pi deboli di quelli che coinvolgono le prime due, e non presuppongono necessariamente Ia condivisione del-concelto. n concetto di 'filosofia analitica' puo essere opportunamente espresso, usando le parole dei filosofo inglese Dummetl (1986), dall'affennazione secando cui fa parte dell'essenza deI pensiero essere comunicabile senza residui attraverso illinguaggio,j. Con ci voglio dire che Ie tradizioni di ricerca della filosofia analitica possono essere caratterjzzate unitariamente, perlomeno per larga parte, eon riferimento a questa camune assunzione concettuale, che verte sui rapporti fra pensiero e linguaggio: secando questa assunzione illinguaggio non e concepito soltanto come un fondamentale strumento di comunicazione, ma innanzitutto come il veicoIo necessario deI pensiero. In questo senso sembra quasi che si produca, perlomeno nelIe concezioni piu "estremistiche",una sorta di identifical.ione (ra pensiero e linguaggio, come esito delIa tesi secondo cui dei primo non puo essere forDita alcuna configurazione o analisi se non nei termini dei secando. A tale proposito, neU'opera (i! Tractatus logico-philosophiclls (1964), 4) che esprime forse in modo piu rigoroso e radicale questa tesi, Wittgenstein dice che il pensiero e Ia proposizione munita di senso. E soltanto sulla base di questa presupposizione concettuale che si puo poi giustificare Ia sce/ta metotlologica di carattere linguistico che Ia filosofia analitica compie; ed e queUa scelta per Ia quale, appunto, I'analisi dei pensicro passa necessariamente per I'analisi dellinguaggio. Cio vuol dire che per comprendere le leggi di funzionamento dei nostro pensiero bisagna individuare ed esaminare i principi che regalano - o devono regolare - I'uso dei nostro linguaggio (o, meglio, dei nostri linguaggi). La filosofia amilitica, secondo questa interpretazione "conceuuale", assume dunque come nado tematico fondamentale il rapporto necessario fra pensiero e linguaggio, proponendosi con ci come alternativa radicale a tutti quegli altri orienta menti per i quali l'analisi de] pensiero e deUa mente (i! "problema dei problemi" della filosofia moderna) tende ad assumere connotati di carattere psicologico, ovvero di carattere metafisico. E si tratta, si badi bene, di un presupposto concettuale condiviso (perlomeno fino ad alcuni decenni fa) da tuUi gli

3. l due tipi di definizione esaminati nel paragrafo precedente producono, come abbiamo visto, risultati assolutamente insoddisfacenti, e per opposte ragioni. Prima, pero, di sposare Ia tesi scettica, e cioe di negare Ia possibilit di una definizione unitaria di filosofia analitica (e quindi di limitarsi a parlare di filosofie analitiche), resta da vedere se. con l'impiego della definizione "percasi paradigmatici e concetti", si possano raggiungere risultati meno deludenti. Cercherb adesso di mostrare come, attraverso I'applicazione di questo modello di definizione, sia possibile trovare una opportuna "via di mezzo", in grado di evitare gli errori, specularrnente contrapposti, delIe due definizioni sopra menzionate. L'adozione di questo modeIlo, insomma, consente di attribuire alIa nozione in questione un significato n troppo debole: non ci si limita, infaUi, ai profilo metodologico; n troppo forte: si guarda, e vero, ai profilo dei contenuti, ma non nel senso di specifiche tesi che sono state - o sono - sostenute, in modo affaUo contingente, dall'uno o dall'altro degli orientamenti che fanno parte delIa filosofia analitica, bens! nel senso di quelIe assllnzioni concettuali che fanno da sfondo comune per tutte le tradizioni di ricerca
"analitiche" .

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ln questa sede non mi e possibile, per ragioni di spazio, proporre integralmente, per Ia nozione di 'filosofia analitica', il modelIo di definizione "per casi paradigmatici e concetti"; mi limitero, invece. ad estrapolame Ia dimensione concettuale. Considerer dunque come di gi effe!tuata Ia fase relativa all'individuazione dei casi paradigmatici, e dunque delle idee o degli atteggiamenti metodologici Ia cui qualificazione come esempi concreti di un modo "analiticamente orienta to" di fare filosofia non e messa in alcun modo in discussione; e passero direttamente aIla fase ulteriore, relativa aIla costmzione deI concetto di 'filosofia analitica'. QueUa che proporro qui. quindi, sar, in un senso piu Iistretto, una de{inione cOl1cettualedi 'filosofia analtica'. Sono convinto che Ia filosofia analitica, per buona parte deUa sua
staria culturale (e"'cio, approssimativamente, dai suoi inizi
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orientamenti analitici, e dunque, ad esempio, sia da quelli che guardano allinguaggio naturale come oggetto privilegiato di indagine, che da queHiche propongono di costruire strumenti Jinguistici meno di~ fettosi dellinguaggio naturale. L'origine di questa "svolta linguistica" delIa filosofia puo essere fatta risalire alIa fine dei secolo scorso, e in modo particolare ad alcuni fondamentali lavori deI grande logico e matematico Frege. Sembra che proprio Frege, infatti, sia stato iI primo ad accettare, sia pure implicitamente, questo presupposto concettuale nel remire una n'sposta contestualistica aI problema dei significato delIe singole parole, e, per quelIo che alui piu interessava, dei singoli termini numerici; Ia risposta di Frege (1965), appunto, e quelIa secondo cui solo all'interno degli enunciati di appartenenza i termini numerici hanno significata. Si ha qui, pertanto, forse iI primo esempio di quello che e, per Ia filosofia analitica, iI modo di trattare i problemi filosofici: quello che consiste nel trasformarli da problemi ontologico-metafisici a problemi sul significato degli enunciati che valgono ad esprimerIi. A conclusione di questo paragrafo e opportuno rilevare, anche se solo di passaggio, che Ia "svolta linguistica" non sarebbe stata possibile se non si fosse precedentemente prodotta, sempre in ambito filosafica, una svolta ancora piu fondamentale, che contrassegna uno degli esiti piu significativi delIa filosofia moderna: quelIo che puo essere sommariamente deseritto eon riferimento al1e conseguenze di quel processo che porta l'analisi deI pensiero umano, e quindi deUe sue forme, delIe sue categorie e dei suoi postula ti, a diventare iI centro nevralgico di tutta Ia riflessione filosofica. Nan e certo questa Ia sedeper affrontare,nemmeno per sommiQui capi, un tema cosi complesso. vogliosoltanto menzionarequella che mi sembra Ia pre-condizione fondamentale della svolta linguistica: quella che concerne il progressivo affermarsi, nella filosofia occidentale (approssimativamente da Descartes in poi), della convinzione secondo cui soltanto attraverso l'indagine sul pensiero e possibile ricostruire, da un lato, le nozioni di 'esistenza' e di 'identit' dei soggetti pensanti, e, dall'altro, le nozioni che riguardano i modi e le forme (Ia nozione di 'causalit', ad esempio) attraverso cui i soggetti stessi entrano in rapporto con Yesperienza,organizzando e strutturando i dati da essa provenienti.
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portante di questa profonda trasformazione dei modo di fare filosofia e costituito daI "trattamento analitico" cui e sottoposta (ad esempio dai filosofo neopositivista Schlick (1974 Ia nozione di 'causalit'. Intesa alia maniera fiIosofica tradizionaIe, questa nozione configurata come una categoria dell'intel/etto: per diria in termini kantiani, si tratta di una categoria a priori (e cioe non derivata dall'esperienza), necessaria e universale con cui l'intelletto umano pensa invariabiImente i fenomeni empiriei come collegati da reIazioni di causa ed effetto. L'intervento della filosofia analitica prowede a trasformare I'oggetto stesso su cui verte l'indagine fiIosofica: esso, infatti, non e pil costituito da categorie metafisiche (i principi a priori dell'intelletto), ma, aI contrario,da alcuni tipi di enunciati.che sonocaratteristici ella cod

noscenza scientificae che esprimonouo rapportocondizionale l1eces~ sario fra certi eventi (ad esempio.l'enunciato seun metallo viene ri~
scaldato si dilata, che, in termini formalmente piu corretti, diventa 'per ogni x, se x e A, allora x e B). E cosi un quesito di sapore prettamente metafisico (.che cos' Ia causalit in quanto categoria dei pensiero?) diventa un quesito trattabile su basi Iogico-linguistiche, e doe un quesito sul significato di certi tipi di asserti. Una volta che si scelga questo tipo di approcciodi carattereanalltico.alIoraIa questione centrale diventa quella di come fare a sapere quali enunciati, fra quelli espressi in forma di condizionali universali, stahiliscono una connessione namica (doe avente fonna di Iegge) fraantecedente e conseguente e quali. invece,stabilisconounacannessionemeramenteaccidentale. Ecco che da questo esempio cominciaadintravedersi nodegli esiti u piu importanti della svolta linguistica in filosofia: quello, cioe, di suscitare,su questionifiIosoficheprima consegnatealIoscontroinsanabile fra concezionimetafisiche alternative, una discussione ubblica. p dagli esiti che sono non solo intersoggettivamente controllabili, ma anche capaci di produrre, in qualche senso, un progresso nella comprensione delle questioni stesse. I! discorso sul principio. di causalit richiama subito alia mente un altro possibile esempio, che ci riguarda molto piu da vicino. Si tratta dell'esempio concemente il "trattamento analitico" cui e sottoposto il principio di imputazione, principio che, secondo alcuni filosofi dei diritto (e segnatamente KeJsen), svolge nella conoscenza giuridica un ruolo assolutamente analogo a quello che il principio di causalit svoJge

neIlaconoscenzadei fenomeninaturali.
Mi sembra oltremodo opportuno, aI fine di iIlustrare convenientemente I'esempio, fare un breve riferimento alie tesi di Kelsen (1972) su imputazionee causalit.Tali tesi,peraltro, hannouna importanza che va ben al di l deI contingente scopo euristico per il quale sono

4. Come ho detto aI paragrafo precedente, Ia svolta linguistica consiste, per l'appunto, nel trasfonnare le categorie, le forme, i postulatL ecc., deI pensiero in categorie e strlltture linguistiche. Un esempio im.

qui richiamate;esse rappresentano.infatti, uno dei tentativi piu si-

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gnificativi e rilevanti di risolvere una dene questioni centrali che ogni riflessione filosofica sul diritto deve comunque affrontare (questione suna quale torneremo ne! prosieguo dene lezioni): Ia questione del senso de/la normativit dei diritto. Secondo Ke!sen Ia scienza giuridica, nel descrivere iI diritto come un ordinamento nonnativo della condotta, adotta un criterio ordinatore diverso daI principio di causalit. criterio da lui denominata 'principio di imputazione'. E infatti, ad avviso di Kelsen, anche le proposizioni giuridiche (che sono le proposizioni dena scienza giuridica che descrivono le norme positive), COSI ome le leggi natural i causal i, stac biliscono una connessione di tipo condizionale fra due elementi: si tratta di quena connessione che pu essere espressa daUa formula se e A deve essere B, dove A rappresenta ]'i/lecito e B Ia sanzione. Orbene, tale schema sembra presentare una struttura che, apparentemente, e dei tutto simile a queUa sopra ilIustrata in riferimento aI principio di causalit. Dn esame pi" attento mostra pero, che il significato dei keIseniano principio di imputazione e profondamente diverso da queIlo deI principio di causalit. Manca qui 10 spazio per esaminare dettagliatamente le principali differenze che 10 stesso Kelsen individua fra i due principio Qui basti dire che per Kelsen iI principio di causalit riguarda il mondo del!'essere (<<se A, alIora e B), Ia sfera degli accadimenti naturali che non e sono creati daU'uomo; il principio di imputazione riguarda il mondo dei dover essere (<<se A, aUora deve essere B), e cioe Ia sfera dene e norme, le quali ultime costituiscono iI senso oggettivo di atti di volont umani, e dunque esistono soltanto in quanto sono poste da qualche essere umano. IIprincipio di imputazione rappresenta proprio quest'uIlima forma di collegamento, quelIa per cui a certe condizioni giuridiche devono essere imputate certe conseguenze giuridiche. E difficile negare che, indipendentemente dalle varie formuJazioni con cui viene espreSSQ,l kelseniano principio di imputazione ha chiare i ascendenze filosofiche neokantiane e presenta dunque forti connotazioni di carattere metafisico. Anche nel caso di Kelsen, pertanto, tale principio assume le sembianze di una categoriadei pensiero che serve ad isolare una certa sfera della realt (il mondo dei dover essere come contrapposto al mondo del/'essere)e a descriverne i principi costitutivi. Tale pncipio quindi, COSIcome iI principio di causalit nella sua tradizionale versione metafisica, si presta particolarmente bene a subire 10 stesso Utrattamentoanalitico" cui e stato sottoposto quest'ultimo. E infaui, anche nella filosofia dei diritto di orientamento analitico, cosi come nella filosofia deUe scienze naturali di orientamento analitico, si e provveduto, soprattutto da partedegli indirizzi di matrice giuspositivistica, ad una "rilettura analitica" di questa - come di altre tesi di Kelsen.

ch1aramente descrittiva.\

Non e qui possibile menzionare, nemmeno per sommicapi, gli esiti principali di questa rilettura, che ha visto impegnata in prima linea una parte consistente deUa nostra Scuola analitica. Rilevo soltanto che questa inte'1Jfetazione an'llitica (per opera, ad esempio, di Scarpelli (1953 ha comportato Ia trasformazione delle principali categorie e nozioni giuridiche kelseniane ('norma', 'imputazione', 'obbligo', 'interpretazione', ecc.) da categorie glloseologico-ontologiche a categorie linguistiche. La trasformazione f'lndamentale e senza dubbio quella in base aUa quale il diritto diventa im oggetto di indagine (prevalentemente?) linguistico (/'insieme degli enunciati giuridici). Nell'ambito di questo tipo di approcdo ai fenomeni giuridici, e chiaro come iI senso stesso della distinzione Eraimputazione e causalit muti radicalmente di segno: non siamo pi1in presenza, infatti, di una distinzione di tipo gnoseologico, owero ontologico, ma, aI contrario, di una distinzione di carattere linguistico. Tale distinzione riguarda, insomma, significari elo funzioni dellinguaggio, e, pi" in particolare. si ricollega alia dicotomia fondamentale che una parte consistente della filosofia giuridica di indinzzo analtico (e segnatamente Ia Scuola analtica) istituisce Eralinguaggio con significa to elo funz;one descrittiva e linguaggio con significato elo funone prescrittiva (rimaneaperta Ia questione Ia distinse zione riguardi il significato e Ia funzione, oppure soltanto Ia funzione). Su tale distinzionenon mi soffermo,perchIa esaminerpiu attentamente in seguito. Qui dico soltanto che e all'interno di questa vi~ sione sostanzialmente dicotomica dellinguaggio che Ia questione della distinzione era causalit e imputazione viene affrontata dalla ScuoIa analitica. Da questo punto di vista, allora, Ia causalit diventa, come ormai sappiamo, una caratteristica di certi enunciati deI linguaggio descrittivo (delIa scienza), enunciati che asseriscono cerle comzessioni l10rniche fra i fenomeni; l'imputazione diventa una caratteristica semantica elo funz;onale dellinguaggio-oggetto (illinguaggio in cui sono espresse Ie norme giuridiche) della scienza giuridica, caratteristica che esprimeil significatoelo Ia funzionechiaramenleprescrittivadi que. sto tipo di linguaggio. E si tratta di una carattcristica che e compito dei metalinguaggio d~l/a scienza giuridica (che studia, appunto, iIlinguaggio-oggetto costituito daUe norme giuridiche) di descrivere; e qui ,I metalinguaggio, a differenza dellinguaggio-oggetto, ha una funzione

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r Q~esto e, in estrema sintesj, il modo di pndicare Ia "riconversione .ngUlstica" delle categorie giuridiche tradizionali che oggi raccoglie i rnaggiori consensi all'interno della filosofia analitica dei diritto. Ma, 3Ucnzione, quello di cui stiamo parIando noo e affatto 1'unico modo, o, su di un piano pi" general e, di intendere Ia filosofia analitica, n

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CONOSCENZAGIURIDICA CONCEITO DI DlRITID POSITIVO E

LE TRADlZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANALITlCA

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tampoco, su di un piano piu particolare;di applicare le sue concezioni e i suoi metodi neU'ambito di esperienza giuridico: e, deI resto, nemmeno l'orizzonte kelseniano puo considerarsi l'unico spazio possibile per Ia costruzione di una teoria giurirlica giuspositivistica. In realt, man mano che si andr avanti CDO 005tro corsa di lezioni, ci si renil der sempre meglio conto che, in primo luogo, questo tipo di approccio (che coniuga una filosofia analitica di impronta prescrittivistica eoo una teoria giuridica di ispirazione kelseniana) merita deUe critiche piuttosto consistenti, e che, io secando luogo, vi sono altri possibili approcci, sia in sede di filosofia analitica che in sede di teoria deI diritto, che sono senz'altro piu soddisfacenti.

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sentenze precedenti vertenti sulla stessa materia o su materie simili) e finisce per produrre nuovi dati linguistici (il prillcipio-gl/ida della decisione, estratto dalle decisioni precedenti, che viene normalmente formulato linguisticamente e inseri to nel documento linguistico costituito dalla nuova sentenza). Non si puo dunque dire che i due tipi di esperienza giuridica siano per davvero diversi qunto alia loro "comprornissionelinguistica". DeI resto, non e difficile notare come tutta quanta I'attivit giudiziale (di interpretazione e di applicazione deI diritto). e, piu in generale, I'intero svolgimento deI processo (di qualunque tipo di giurisdizione si traui) si svolga prevalentemente, in entrambi i modelli di esperienza giuridica, aII'interno di una dimensione /inguistica. Una parte consistente dell'attivit interpretativa giudiziale (ma anche dottrinale), ad esempio, si rivolge ad enunciati (ed e dunque analisi dellinguaggio nel senso proprio deI termine), e si risolve in una attivit che attribuisce ad essi un possibile significato; e tale attivit puo essere caratterizzata come una riformulazione linguistica degli enunciati stessi (ma di questo paderemo piu diffusamente nel capitolo dedicato all'interpretazione giuridica). Tanto per fare un altro esempio, le parti che parteeipano aI processo giudiziario, pubbliche o private che siano, stendono nonnalmente le loro pretese e richieste in documenti linguistici; e di carattere linguistico e anche il documento finale (Ia sentenza) che chiude il processo stesso. Come si vede, insomma, vi sono - perlomeno alcune importanti componenti dei campo di esperienza giuridico (componenti che fanno dunque parte dell'oggetto stesso su cui Ia filosofia e Ia teoria dei diritto devono indagare) che hanno un carattere linguistico. Questo, per ineiso, e un aspetto che rende le discipline giuridiche malta piu simili a quelIe che si Occupano ex professo di lingue e di Jinguaggi ("linguistica", "Ietteratura", ecc.) rispetto a queIJe (le scienze naturali, ad esempio) che non si occupano, perlomeno in prima approssimazione, di oggetti direttamente linguistici. Questa peculiare c~ratteristica dei campo di esperienza giuridico ha delIe importanti implicazioni per quanto concerne gJi esiti delIa appJicazione dei metodo deIJa filosofia analitica alI'interno dei nostro ambito disciplinare. Qui, infatti, J'indicazione metodologica programmatica delIa filosofia analitica, che suggerisce, fra le altre cose, di trasformare in categorie Jinguistiche le categorie ontologico-gnoseologi_ che con eui tradizionalmente ci si accosta, alI'interno dei vari ambiti disdplinari, agli oggetti di indagine. si incontra con una situazione in cui gJi oggettistessi (perlomeno alcuni) hanno natura linguistica. Abblamo cosi un ulteriore livelIo di Jinguaggio (quelIo cui appartiene quelIo che potremmo chiamare il "Iinguaggio-oggetto base"), che si ag-

5. C'e

un aspetto

deIJe considerazioni

sopra richiamate

che vale Ia

pena di sottolineare, sia pure incidentalmente, soprattutto ai fine di mettere in maggiore evidenza il perch Ia filosofia analitica trovi nel campo di esperienza giuridico un terreno di coltura cosi fertile. 11fatto e che Ia dimensione dellinguaggio e presente aIl'interno deIJ'ambito di esperienza giuridico 10 modo moIta piu consistente di quanto non accada con altri ambiti di esperienza; e tale peculiarit deI nostro campodi indagine finiscepai per ritrasmettersia /ive/Ioconcettuale, e cioe nella sede della determinazione dei concetto di 'diritto'. Con ci voglio dire che vi sono alcune assunzioni, facenti parte deI concetto di senso comune di 'diritto' (e dunque condivise da una ipotetica co. munit di "utenti deI diritto"), che fanno riferimento aI fatto che questo campo di esperienza ha una importante (e per alcuni esclusiva) dimensione linguistica. Bastano, credo, pochi cenni per mostrare Ia plausibilit di questa affermazione. Non c'e dubbio, infaui, che una parte consistente dei diriuo codificato moderno (e qui mi riferisco a quelle esperienze giuridiche dei paesi dell'Europa continentale che hanno conosciuto, a partire dagli inizi dei secolo scorso, corposi processi di codificazione) e costituito da oggetti linguistici, e piu precisamente da insiemi di enunciali di produzione statale (ad esempio le cd. disposizioni legislative, dei tipo di quella contenuta nell'art. 584 dei nostro Codice Penale: uChiunque cagiona Ia morte di un uomo, e punitO con Ia redu. sione da ...). Tuttavia, anche nei sistemi di common law, dove vige il sistema deI precedente gil/diziale, Ia componente Jinguistica dell'esperienza giuridica e presente in modo altrettanto assorbente. Infatti, Ia creazione giudiziale deI diriuo, che e tipica di queste esperienze gi~ridiche (nelle materie in cui, naturalmente, non e intervenuta Ia leg1. slazione), e un processo che muove pur sempre da dati linguistici (le
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CQNOSCENZA GIURIDICA E CONCEITO DI DIRIITO POSITIVO

LE TRADIZIONI Df RICERCA DElU

FILOSOFIA ANALITICA

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giunge a tutti gl{ altri livelli di linguaggio che si vogliano comunque introduITeper esigenze di carattere analitico. Si traUa di un punto di grande importanza, sul quale e opportuno fornirechiarimenti ulteriori. Nelle situazioni piu com uni (quando, doe,
come nel caso deIle scienze naturali, l'oggetto della conoscenza non

tivistica in senso forte"), suggeriro un ahro tipo di cqnfigurazione della natura e dei compiti di questa disciplina, confjgurazione che discende anch'essa daJla filosofia analitica, ma che, peri>, presuppone un modo diverso di intendere Ia teoria dei liveJli di linguaggio (e di intendere Ia filosofia analitica in generale).

costituito da fenomeni linguistici) si usa distinguere, da parte della filosofia analitica, due (ondamentali livelli di linguaggio: i) iJ /ivelIo dei linguaggio-oggetto, quello che, ad esempio, si costituisce, di volta in volta, a seguito di quei processi di "riconversione lidguistica" delle calegorie gnoseologiche cui prima si e accennato; li) iJ /ivelIo dei metalinguaggio, queIJo dellinguaggio usato dalla filosofia per parlare dei vari linguaggi-oggetto. Si possono naturalmente aggiungere nuovi gradini (meta-metalinguaggi, meta-meta-metalinguaggi, ecc.) alIa scala gerarchica dei livelli di linguaggio, nella misura in cui si ritenga opportuno. ad esempio, considerare un certo metalinguaggio come linguaggio-oggeUo da parte di un meta-metalinguaggio, e COSI ia. v Nell'ambito di esperienza giuridico, invece. I'adozione deI "metodo analtico" interviene in una situazione in eui esiste di gi (e cio non come "costruzione filosofica artificiale") un linguaggio-oggetto base, che va dunque ad aggiungersi agli alui. Qui, pertanto, i livelli IllguisUei (ondamentali sono tre: i) illivelIo del/inguaggio-oggetto costituito dalla dimensione linguistica dell'esperienza giuridica cui sopra ho fatto riferimento (iJ linguaggio degli enunciati legislativi. ma anche quello in eui si esprimono tutte queIle pratiche - interpreta tive, applicative, argomentative, ecc. - che contribuiscono, come vedremo, alla continua produzione e riproduzione dei diritto); ii) illivelIo del/inguaggio della conoscenza giuridica (in tuue le sue forme), che si oUiene a seguito della gi menzionata "riconversione analitica" delle tradizionali categorie giuridiche. Illinguaggio della conoscenza giuridica si caratterizza, rispetto allinguaggio-oggettO base, come un metalinguaggio; iii) illivello dellinguaggio della filosofia dei diritto, in quanto lvello di cui fa parte illinguaggio usato per esaminare in chiave linguistica le categorie deI e Ie nozioni prodoue daI pensiero giuridico. Si traUa, si badi bene, di un meta-metalinguaggio rispetto aI metalnguaggio precedente che costituisce il suo linguaggio-oggeuo. Ci possano naturalmente essere vari modi di intendere questa distinzione, che ia considero tuttara di importanza fondamentale, fra i vari liveIlidi linguaggio, cosi come ci possano essere vari madi di concepire gli eventuali rapporti (e le eventuali interazioni) fra questi vari livelli. Alia fine di questo capitolo esploreri> uno di questi possibili modi, con riferimento alie tesi che Ia Scuola analtica sostiene a proposito deJla natura e dei compiti della filosofia deI diritto. Ancora piu avanti, invece (dopo aver esaminato e criticato Ia cd. "risposta cogni-

6. Non potro naturalmente, neJlo spazio di queste lezioni, dar conto, nemmeno per sommicapi, degli sviluppi storici deJla filosofia analtica; roi limitero a tracciarne un possibile schema di dassificazione, che vaIga ad isoIarne tre tradizioni di ricerca, viste anche ncHe loro 1'amificazioni all'interno deJla filosofia deI diritto. Nel fare ci privileger in modo particolare Ia tematica, per noi di importanza cruciale, dei

rapportifrafilosofia e conoscenza. Le differenze fra questetradizionidi ricercasono principalmente


dovute aI modo diverso eon cui esse interpretano le assunzioni coocettuali di base che costituiscono illoro punto di partenza condi viso. Ma e in particolare Ia nozione di 'significato' a determinare le differenze piu rilevanti. Si potrebbe anzi dire, deI tuuo legiltjmamente, che Ia differenza principale fra Ie tre tradizioni di riceoca risiede neJla teoria dei significato. Loschema dassificazione di dameproposto prevede,come ho detta sopra, Ia distinzione fra tre tradizioni di ricerca (aU'interno deUe quali si insiedianopai, comevedremo,svariateconcezioni):a) Iatradizione di ricercadell'empirismoristretto;b) Ia tradizionedi ricercadeH'empirismo liberalizzato; c) Ia tradizione di ricerca deUa - o meg1io Ia costel1azione orientamentiche puo esserequalificatacome--filosofia di post-analitica. Di queste tradizioni esaminero, in primo luago, le diverseconcezionidellinguaggio,e doe le differentiinterpretazioni ui c e sottopostal'assunzione c~ricttuale comUne a quasi _ tuUa Ia filosofia analtica, quel1a che pane I'identit {rapensiero e linguaggio,' e, in secondo luogo, le diverse cOllcezioni l7letodologiche (vertenti, segnatamente, sul metodo del1a filosofia), che dipendono, come gi sappiamo, dal1e concezioni deI 1inguaggio. ln questo capitolo ci occuperemo deUe prime terza. due tradizioni di ricerca, per poi esaminare, nel capitolo 7, Ia
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A) La tradizione di ricerca dell'empirismo ristretto. Tutte le concezioni che si riconoscono in questa tradizione di ricerca ritengono, sia pure in inodi diversi, chc il significato degli enunciati (e dunque deJle unit linguistiche-base deJla comunicazioneJ esprimenti asserti conosdtivi sia necessariamente connesso aUa Ioro

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CONOSCENZA GlURlDICAE CONCEnO DI DIRITIO POSITIVO LE TRADIZlONI DI RICERCA DELLA FILOSOfIA ANAUTICA

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conlrollabilitempirica, e cioe alia possibilit di una loro traduzione


(tramite definizioni, ad esempio) in asserti (asserli osseIValivi, ad esempio) che esprimono un rapporto diretto e non ambiguo con l'esperienza. Proprio in questa direzione si muove Iaconcezione verificaz;onistica dei significalo sostenuta dai neoposilivismo, l'orientamento pi diffuso e storicamentepiu influentedella primatradizionedi ricerca,orientamento che muove i suoi primi passi in Austria (eon il "Circolo di Vienna") negli anni '20, e poi si sviluppa rigogliosamente nei paesi anglosassoni fra gli anni '20 e gli anni '40. Questa concezione stabilisce una connessione necessaria {ra significara e verificazione, secando Ia quale gli enunciali sinlelici (quelli, cioe, che, a differenza di quelli analilici, stabiliscono un rapporto con l'esperienza) sono dotati di significato conoscitivosoltantose, o esprimonodirettamenteasserti verificabili, e dunque proposizioni che descrivono il contenuto di osservazioni o di espedmenti; ovvero esprimono proposizioni (teoriche) che sono coUegate, suUa base di derivazioni di carattere logico, a proposizioni direttamente verificabili. Di quest'ultima categoria farebbero parte tutte le proposizioni della scienza che contengono termini che connotano grandezze naturali come 'massa', 'velocit', ecc. Che concezione di linguaggio viene fuori dall'orientamento verificazionistico? Una eoncezione che vede illinguaggio come una sorta di complesso calcolo logico che poggia su di una base composta di asserti empirici; un linguaggio all'interno dei quale e poscibile scorrere, sia verso /'alto (e cioe verso i livelli linguistici cui appartengono le proposizioni dotate di un alto grado di generalit) che verso il basso (e do verso i livelli cui appartengono le proposizioni meno generali, che si avvicinano di piu all'esperienza), tramite l'inteIVento di operazioni di carattere logico-matematico: e queste operazioni sono guidate, da una parte, dalle regole che presiedono ai procedimenli indul/ivi, o comunque a quei procedimenti che consentono Ia composizione delle proposizioni composte (molecolari) a partire dalle proposizioni semplici (a/Omiche); dall'altra parte, dalle regole che presiedono ai procedimenti dedul/ivi, owero a quei procedimenti che determinano, tramite definizioni, Ia sostituzione di proposizioni eontenent termini generali eon proposizioni contenenti termini singolari. In concezioni del genere noo c'c spazio aIcuno per Ia metafisica, meno che mai per una conoscenza "di tipo metafisico" della realt. E dunque le tradizionali questioni filosofiche (dei tipo che cos'e il tempo?, qual'c Ia natura dell'essere?, ecc.) sono destinate a rimanere senza risposta, perch non possono essere tradotte in proposizioni suscettibili di verificazione. La verit e che, secondo i neopositivisti (e in parti colare secondo Carnap (1969)), i tradizionali enun-

ciati metafisici (deI tipo una sostanza non pu essere prodotta da un'altra sostanza (Spinoza), ovvero ed'essere C essere percepiti(Berkeley). ovvero ancora .,d'''io penso" deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni (Cartesio), ecc.), pur essendo formulati in modo grammaticalmente corretto, violano le regoledeIlasinlassi 10gicQ.perchi terminiextra-Iogicin essi contenuti:i) o non hanno un i significato determinato (e cioe suscettibile di essere ricondotto ad una base empirica); ii) ovvero sono usati in contesti linguistici diversi da quelli in cui posseggono un significato. Questi enunciati, pertanto. finiscono per essere dei tutio simili a quelli che iI senso comune ritiene totalmente destituiti di significato (ad esempio, gli enunciati dei tipo gli aggettivi amano l'arialisi, owero Cesare e un numero primo). Un esempio che i neopositivisti faono spesso. a proposito di una utilizzazione metafisica assolutamente impropria di tennini che, a livella di senso camune, sono invece assolutamente innocui. e quello relativo ali' uso delle parole che servono a connotare le nozioni di 'esistenza' e di 'realt'. Si tratta di parole che, nellinguaggio filosofico tradizionale, sono eITOneamenteinterpretate come se connotassero una propriet degli oggetti (<<Xe reale, X e esistente), proprio nelIo stesso senso in cui, nellinguaggio comune, si attribujsconoaltre caratteristiche agli oggetti (<<X duro.); con iI risultato di attribuire agli e oggetti stessi deUe propriet di carattere metafisico ('esistenza', 'realt', ecc.), che non sono in alcun modo verificabiIi. Se, adesso, passiamo ad esaminare ]a concezione dei metado della filosofia che scaturisce daUa tradizione di ricerca deU'empirismo ristretto, ci accorgiamo subito che anch'essa mantiene sostanzialmente delle caratteristiche unitarie. La tesi metafilosofica centrale e, infatti, sostanzialmente comune a tutti gJiorientamenti empiristici; si tratta della tesi esposta con Ia massima chiarezza nel "Tractatus" di Wittgenstein: Ia filosofia non esprime sistemi di proposizioni, non elabora teorie (e dunque non produce conoscenza), ma, ai contrado, pane ir.. essere una al/ivil di chiarificazione dellinguaggio, e soprattutto dei linguaggioin cui si esprimeIaconoscenza scientifica. Questaattivitdi chiarificazionedellinguaggio presenta, Come rid leva Carnap, ue diversiprofili,unopositivo ed uno negativo:i) in positivo. essa consiste neU'analisi logica del senso degli enunciati scientifici, e dunque, in base a quanto ho detto sopra, nell'analisi di tutte le condizioni logiche che permettono Ia loro verifica empirica; ii) in negativo,essaseIVea -smascherare mancanzadi significatodegli Ia enunciati che non rispettano le regole della sintassi logica, enunciati che talvolta, e in forma molto insidiosa, assumono le sembianze di enunciati conoscitivi "genuini". Aquesto punto bisognerebbe preoccuparsi di esaminare le tendenze

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CDNOSCENZA GlURIDICA E CONCEITO

DI DIRITTO POSITIVO

tE TRADlZIONI DI RI CERCA DELLA FILOSOFIA ANALlTlCA

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di filosofia dei diritto che si iscrivono aIJ'interno deIJa tradizione deIJ'empirismo ristretto. Vi sono, pero, due motivi cite mi spingono ad essere estremamente sintetico sul punto in questione. n primo motivo e cite ci siamo gi soffermati a sufficienza, nel capitolo precedente, sul pensiero di Ross, autare che va considerata come uno degli esponenti piu rappresentativi deIJ'indirizzo empiristico nella filosofia dei diritto. II secondo motivo e cite le concezioni filosofico-giuridiclte cite prendono le mosse da questa prima tradizione di ricerca si presentano 50vente come strettamente intrecciate eon quelle che si richiamano alIa seconda tradizione; e cio accade in misura molto rilevante aIJ'interno deIJa nostra cultura giuridica, dove questi indirizzi sono considerari come espressione di un unico orientamento: Ia Scuo/a analitica. E su quest'ultima, appunto, mi soffermero fra poco, dopo aver delineato le caratteristiche principali deIJa seconda tradizione di ricerca. In questa sede roi limito ad osservare che Ia concezione filosoficogiuridica cite cerca di applicare in modo piu rigoroso e coerente, aIJ'interno deU'ambito di esperienza giuridico, le premesse epistemologiche e metodologiclte deIJa filosofia analitica empiristica e certamente il realismo giuridico scandinavo. Anclte per i realisti, infalti, l'unico linguaggio (giuridico) avente carattere conoscitivo e illinguaggio deIJa scienza (giuridica), cite puo essere considerato come un linguaggio verificabile solo in quanto: i) o, direttamente, descriva il diritto in termini di fatti empirici (di carattere psico-sociale); ii) owero, indirettamente, sia traducibile in un linguaggio cite parli direttamente di quei fatti. In questo quadro, aIJa filosofia deI diritto spetta il compito precipuo deIJa cltiarificazione logica dei vari linguaggi giuridici, e cio sotto i due profili prima richiamati: i) in positivo, e cosi abbiamo Ia filosofia deI diritto come analisi logica dei discorsi deUa scienza giuridica; ii) in negativo, e cosi abbiamo Ia filosofia deI diritto come analisi demistificatoria dei discorsi giuridici non conoscitivi, e cioe di quelli che sono prodotti, a vario titolo, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e che spesso tendono insidiosamente a presentarsi sotto Ie vesti di discorsi scientifici.

7. B) I..atradizione di ricerca deZZ'empirismolibera/izzato. Con Ia denominazione 'empirismo liberalizzato' si vogliono qui ricomprendere [utte queIJe tendenze deIJa filosofia analitica che, sia pure in forme molto diverse, rifiutano Ia teoria deI signiflcato elaborata daIJa tradizione di ricerca deIJ'empirismo, senza pero mettere in discussione l'impalcatura filosoflco-epistemologica aIJ'interno deIJa quale si colJoca quest'ultima. La critica a qlleIJa teoria dei signiflcato

(con tutto quello che essacomporta) e, insomrua,iIvero e proprio "collante" ehe tiene insieme eoneezioni fHosofiche ehe, per il resto, hanno idee e interessi di rieerca differenti. Le eritiehe alla eoneezione verifieazionislica dei signifieato eomin. dano a svilllpparsi intorno alia met degli anni '30, e costituiscono iI segnale piiJevidente di una generale insoddisfazione ehe in quegli anoi andava montando, all'interno deIJa filosofia analitica, ne; confronti deI modo eon eui j verificazionisti intendevano Hrapporto fra linguaggio e realt. AJcuni fra i principali punti di discussionc erano: i) Ia teoria integralmente riduzionistica dellinguaggio scientifico, in base alla quale tutti gli enunciati eontenenti termini teoriei dovevano essere riducibili (pena Ia loro mancanza di significa to) ad enunciati contenenti soltanto (oltre ai termini logici) termini osservativi o fattuali; ii) Ia teoria deZZa identit fra linguaggio scientifico e linguaggio sigl1ificante, che determinava Ia totale maneanza di signifieato non solo dei diseorsi n1ctafisici, ma anehe, eon esiti decisamente contro.intuitivi, di tutti quei discorsi, di carattere prescrittivo e valutativo, che vengono prodotti alI'interno degli ambiti di esperienza dei dirilto e della morale, e che costituiscano l'oggetto privilegiata della nostra atlcnzione in queste lezian. Si tratta, tra 1'al1ro, i discorsi iI cui generale suecesso nello svald gere le loro precipue funzioni (ad esempio, quella di orientare il comportamento sociale) ben difficilmente pua essere spiegato senza riconascere Ia 10rocapacit di produrre comunicazioni linguistiche e giudizi dotati di significato,conoscitivo (e non soltanto emotivo). Ma il centro nevralgico su eui si appuntano tutte le critiche non puo non essere Ia concezione verificazionistica deI significa to: questo . , infatti, il com une presupposto su cui si fondano le varie specifiche teorie che vengono messe in questione. Non potro tuttavia, in questa sede, render conto, nemmeno per sommicapi, di questa complessa discussione critica. Mi limitero a metterne in evidenza i principali esiti. L'esito piu importante della discussione mi sembra essere quello di una diffusa consapevolezza che viene a raggiungersi, neU'area della filosofia analitica, circa l'impossibilit di ridurre integralmente illinguaggio teorico della scienza ad un linguaggio empirico-base. Stando cosi le cose, anche illinguaggio teorico della scienza dovrebbe essere alIora considerata, seguendo i canoni dell'empirismo ristretto, come un Jinguaggio privo di significato! L'evidente assurdit di tale conclusione spinge i filnsofl analitici a cercare altre soluzioni. Tale ricerca si svolge In un arco di tempo che va dai primi anni '40 ai primi anni '50 e produce, come uno dei suoi principali risultati, un rilevante mutamento in sede di teoria deI significato. Si passa infatti, perlomeno per quanto concerne il Jinguaggio scientifico, da una teoria verificazionistica, che identifica significato

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CONOSCENZA GlURIDICA E CONCEITO DI DIRlTIO POSITIVO tE TRADIZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANALlTICA

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e - possibilit logica di - verifica, ad una teoria che tende progressivamente a distinguere, e in maniera sempre piu pronunciata. le due dimensioni dei significato e della controllabi/it empirica. Ci si potrebbe a questo puntO domandare verso quali direzioni, in positivo, l'empirismo lberalzzato spinga Ia teoria dei significatO. Mi sembra che due, diverse ma non contrastanti, siano le direzioni di ricerca piu importanti: i) quella di un approccio referenzia/istico ai significatO, all'interno dei quale il significato tende ad essere configuratO (perlomeno per una sua parte) come riferimento; da questo punto di vista, i singoli termini, e gli enunciati che li contengono, hanno significatO (si badi bene, indipendentemente dalla loro controllabi/it) nella misura in eui sono in grado di rapportarsi, in qualche modo. alla realt, denominando singoli oggetti o elassi di oggetti (nel caso dei termini) o descri vendo stati di cose (nel casi degl enuncia ti); ii) Ia direzione, forse piu promettente, di-un approccio di tipo convenzionalistico-o/istico ai significa to, secondo il quale non sono piu i singoli termini o enunciati ad avere significato. ma insiemi di enuncia/i, che concorraDOa formare strutture teoriche o schemi concettuali suscettibili di interpretazione empirica. AlJ'interno di queste strutture le attribuzioni di significato (e dunque l'introduzione di nuovi termini teorici) pua anche dipendere, una volta che sia fatlo salvo il significato empirico complessivo della rete teorica, da stipulazioni convenzionali guidate da chteri diversi ("semplicit", "potere esplicativo", ecc.) da quello dei collegamento con illinguaggio empirico-base. Ho detto prima che questa seconda tradizione di rieerca non si distanzia troppo nettamente dalla precedente. E importante adesso spiegare perch. 11fatto e che entrambe le tradizioni continuano a condividere. nonostante tutto, alcuni presupposti epistemologici "disfondo", che riguardano piu Ia teoria generale dena conoscenza che Ia teoria della conoscenza scientifica. Questi presuppo~ti contribuiscono a delineare il modello descrittivislico di conoscenza, che , come vedremo meglio n seguto (capitoIo 6, par. 1), Ia versione piu recente e sofisticata della tradizionale concezione fondazionalistica della conoscenza. In questa fase, tuttavia, mi interessa soltanto menzionare alcuni aspetti dei modeno descrittvistico.

goli punti della rete teorica) ritiene che Ia conoscenza debba produrre, in ultima analisi, una descrizione neulrale e passiva delta reall, e che, ai di l dena fissazione di questi punti di conta tio con Ia realt. non vi sia spazio, nella conoscenza stessa, se n011per operazioni di carattere logico e per stipulazioni di carattere convenzionale. Quello che in fondo differenzia l'empirismo liberalizzato dai verificazionismo e, da una parte, uo progressivo indebolimento dei rapporti [ra linguaggio teorico e linguaggio osservativo, e. dall'altra, una forte accentuazione degli elementi convenzionalistici della conoscenza. Da questa tesi di carattere molto generale discendono poi alcuni corollari, che fanno anch'essi parte dei "retraterra epistemologico" di entrambe le tradizioni, e che saranno opportunamente esaminati in sede di revisione critica deI modello descrittivistico di COl1oscenza. ssi E sono: a) Ia tesi della netta separazione fra linguaggio teorico e linguaggio osservativo; b) Ia concezione radicalmente avalutativa della COl1oscel1za; c) il rifiuto integraIedelIa metafisica (comunque essa si presenti), rifiuto che rempirismo liberalizzato tende a concepire piu come lisultato dena scelta di costruire un linguaggio fondato sull'esperienza, che come esito mposto dana natura dei rapporti fra linguaggio e realt.

E soprattutto

Ia concezione

dei rapporti

fra linguaggo

e realt (o,

meglio, dei rapporti fra linguaggio conoscitivo e fatti o stati di cose) che l'empirismo liberalizzato continua fondamentalmente a condvidere con l'empirismo ristretto. Si tratta di qu.ellaconcezione secondo cui illinguaggio della conoscenza (scientfica) costituisce, quantomeno nelle sue "propaggini osseIVative",un rispecchiamenlo dei fal/i, una meradescrizione di oggelti o slali di cose. Insomma, anche l'empirismo liberalizzato, sia pure limitatamente ad alcuni enunciati (ad alcuni sin-

8. 11rifiuto della teoria verificazionistica del significato, e dunque della connessione necessaria fra significato e verificazione, costituisce un punto di svolta molto rilevante per Ia filosofia analitica; tale rifiuto costituisce, a ben guardare, iI punto di innesco di tuUa una serie di orientamenti che non solo intendono in modo diverso il metodo dell'analisi linguistica, ma soprattutto porta no alia ribalta nuovi oggetti di ana/isi (e cioe linguaggi diversi dallinguaggio scientifico). Dopo l'abbandono dei rigido requisito della verificabilit integrale, infatti, l'ambito di estensione della nozione di 'linguaggio significante' si allarga notevolmente, e comincia a toccare anche altri linguaggi, che sono per molti versi meritevoli di ogni "attenzione analtica", ma che hanno un rapporto molto piu debole con l'esperienza di quanto non accada per illinguaggio scientifico. Ma questo comune p\.!.nto riferimento, costruito prevalentemente di in negativo, lascia poi alie varie concezioni filosofiche ricomprese in questa tradizione ampi margini di manovra per elaborare, inpositivo, le proprie strategie di :--icerca. E sono strategie che, come vedremo, vanno n direzion molto differenti tra di lora.

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CONOSCENZA GIURlDICA E CONCEITO DI DIRITTO POSITIVO LE IRADlZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANAUTICA

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e
Di queste concezioni deUa filosofia analitica I: giunto adesso il momento di pari are. Lo schema che propongo cerca di mettere ordine nel1Jampiopanorama offerto da questi orientamenti piuttosto eterogenei, selezionando tre concezioni principali: Ia filosofia analitica dei linguaggio ideale, Ia filosofia analitica dei linguaggio ordinario, e il prescrittivismo. Esu quest'ultima concezione, tuttavia, che concentrero in modo particolare Ia mia attenzione, perch si tratta di quella che I: stata utilizzata (ed I: tuttora utilizzata) piu ampiamente, e con maggiore successo, dalla filosofia analitica dei diritto. Prima, pero, dirb brevemente qualcosa suUe prime due concezioni. A) La filosofia analitica dellinguaggio ideale. Con questa denominazione si vogliono ricomprendere tutti quegli indirizzi che ritengono che il compito deUa filosofia analitica debba rimanere pur sempre queUo deU'analisi logica dei linguaggio deUa scienza, e proprio perch tale linguaggio rimane pur sempre il modello per antonomasia di linguaggio sgnificante e genuinamente conoscitivo. Soltanto che tale compito non PUQpiu essere perseguito alia maniera deI verificazionismo. e do mantenendo illinguaggio effettivo deUe scienze naturali come base di partenza deU'analisi. I termini (teorici e osservativi) di questo linguaggio, infatti, Sono talmente vicini ai
corrispondenti

- o analoghi

- termini

usati nei linguaggi

naturali,

da

mantenere per larga parte queUe caratteristiche di ambiguit (situazione in cui certi segmenti dellinguaggio hanno piu di un significato) e di vaghezza (situazione in cui certi segmenti dellinguaggio hanno un significato eccessivamente indeterminato) che I: propria di molti termini dei linguaggi naturali stessi. Stando coslle cose, queUo che questi indirizzi propongono I: di passare da un metado di analisi a carattere tendenzialmente descrittivoesplicativo (si descrive, riformulandolo e modificandolo quanto basta, il linguaggio deUa scienza), a un metodo di analisi a carattere decisamente costruttivo-stipulativo (si costruiscono linguaggi scientifid artificiali). L'idea di fondo I: che soltanto attraverso Ia coSiruzione di linguaggi ideali sia possibile risolvere una serie di gravi problemi, di carattere logico ed empirico, che si pongono a livello di analisi dellinguaggio scientifico. Sol tanto in linguaggi costruiti artificialmente, infatti, e possibile, da una parte, assegnare ai predicati osservativi un significato preciso e determinato, e, dall'altra, definire in modo logicamente rigoroso i termini teorici. B) La filosofia analitica dellil1guaggio ordinario. Questa denominazione ricomprende, io realt, indirizzi fiIosofici moita disamagenei tra di loro, che solo in parte possono essere fatti

rientrare alI'internodelIa seconda tradizjone di ricerca. AJcunidi-essi, infatti, (e segnatamente quelJi piu legati aU'nsegnamento dei "secondo Wittgenstein")possono essere piu convenientemente inseri ti, come vedremo in s,guito, nel novero di quelJi che appartengono alia terza tradizione di ricerca (Ia filosofia post-analitica). Qui. pertanto, si fa riferimento soltanto a quegli orientamenti che non interpretano 10 "slogan filosofico" dei movimento, quello che proclama il ritomo allinguaggio ordinario, in chiave di contestaziane dei presupposti epistemalogici dell'empirismo liberalizzato. Le caratteristiche prindpali di questi indirizzi passano forse essere meglio messe in evidenza se le si guarda in contrapposizione a quelIe che sono proprie deUa filosofia analitica dei linguaggio ideale. Fra quest'ultima e Ia filosofia analitica dellinguaggio ordinario, infatti, vi e una netta opposizione, su tutta Ia linea. La prima guarda coo sospetto allinguaggio ordinario, 10 considera uno strumento difettoso, e suggerisce di conseguenza J'invenzione di uno strumento migliore (i linguaggi ideali), e dunque di modi simbolici di espressione depurati dai difetti in cui incorre il linguaggio ordinario; Ia seconda, invece, non vede di buon occhio i linguaggi che si allontanano dalla "casa madre". convinta com'e che i problemi filosofici noo nascono perch i termini dellinguaggio ordinario sono vaghi e ambigui, ma perch i filosofi non usano illinguaggio ordinario, o comurique usano vacaboli dellinguaggio ordinario in un senso diverso da quello usato nei contesti linguistici della vita quotidiana.

Eopportuno

chiedersi, adesso, che cosa esattamente intendano que.

sti orientamenti per 'linguaggio ordinaria'. Una definizione malta sintetica puo essere Ia seguente: il linguaggio orclinario e costituito dall'insieme dei significati espressi dalle varie lingue naturali nelle circostanze d'uso della "vita di tutti i giomi". Si tratta di un linguaggio che e "in ordine cosI com'e". e doe non ha bisogno di essere modificato o trasformato in direzione di una maggiore chiarezza e precisione (non sempre auspicbile). dei"suoi contenuti semantici; ed e "in perfetto ordine", perch, come rileva I.L. Austin (1976), I: riuscito a superare Ia "provadei secoli". ha do sempre saputo accompagnare con successo le vicende delIa storia naturale e culturale della specie umana, dando voce ai bisogni di comunicazione primari, e strutturando linguisticamente le distinzioni categoriali fondamentali per Ianostra comprensione deUa realt, naturale e sociale. Quale metado di analisi suggerisce questo orientamento per Ia filosofia analitica? Vn metodo che, il1 positivo, si ponga l'obiettivo di eJucidare le regole d'uso, lagrammatica logica dene parole e degli enunciati dellinguaggio ordinario, distinguendo accuratamente (e talvolta un po' troppo pedantemente) le varie situazioni-tipo (queUi che Witt-

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CONOSCENZA GLURlDICA E CDNCETTO DI DIRIITO POSITIVO tE TRADlZIQNI Df RlCERCA DELLA FILOSOFIA ANAUTICA

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genstein cmama "giochi linguistici") in cui illoro USOe richiesto (si pensi agli ambiti di esperienza della morale, deI diritto, della politica, dell'arte, ecc.); e, in negativo, si ponga I'obiettivo di dissolvere i tradizionali problemi filosofici, mostrando come essi siano causati da un uso SCOlTetto dellinguaggio, uso che si dislacca in modo improprio dall'uso ordinario. Qui Ia filosofia svolge una vera e propria funzione terapeutica. in quanto ci aiuta a liberarei dai "crampi linguistici" che ci attanagliano quando ci mettiamo a "fare filosofia" (nel senso tradizionale dei termine) stravolgendo l'uso che i nostri vocaboli hanno nel linguaggio ordinario.

E certamente

da salutare

come un fatto positivo

il ruolo di primo

piano che questi orientamenti assegnano allinguaggio ordinario ed ai concetti di senso com une in essa contenuti. Abbiamo notato piu volte, dei resto, in queste lezioni, l'importanza che Iaconoscenza di senso comune (qualificata come epistemicamente prioritaria) ha nel costituire il {ondamento eoneettuale delle altre forme di conoscenza. li fatto e, pero, che una parte degli orientamenti della filosofia analitica dellinguaggio ordinario (quelli che sono qui considerati come facenti parte della tradizione dell'empirismo liberalizzato) non tira le dovute implicazioni epistemologiche di questa scelta metodologica (in ordine soprattutto alia critica dei modello descrittivistico di conoscenza presupposto), e preferisce rimuovere queste preoccupazioni filosofiche, per dedicarsi all'analisi delle strutture concettuali in cui si articolano i giochi linguistici della nostra vita quotidiana.

prescnttivo, riprende, mesco]andoli insieme, dei motivi che sonO'propri sia della filosofia analitica dellinguaggio ideale. che della filosofia analitica dellinguaggio ordinario. Questa concezione, infatti, mutua dalla prima l'esigenza, di tipo stipulativo-eo>.trullivo, di introdurre artificialmente alcuni vocaboli-chiave Cobbligo', 'dovere', 'diritto', 'frastico', 'neustico', ecc.) che, seppure sono - talvoha - usa ti anche nel linguaggio ordinario, vengono ridefiniti in chiave analiticamente piu rigorosa; e mutua dalla seconda J'esigenza di rimanere vicino ai Iinguaggio ordinario, che resta pur sempre il linguaggio in cui viene espressa Ia maggior parte dei discorsi che attengono ai fenomeni deI diritto e della morale. lIlinguaggio dei diritto. dei resto, si presta benissimo a costituire J'oggettodi un atteggiamento analitico cOSIbivalente; esso, infatti,

e un

tipo di linguaggio

parzialmente

teenieo (per-

9, C) 1/preserittivismo. Le ragioni per cui, distinguendo i vari indirizzi della tradizione di ricerca dell' empirismo liberalizzato, ho deciso di trattare a parte il prescnttivismo, sono molteplici: i) innanzitutto, si tratta di un orientamento che non puo identificarsi con i primi due, anche se ne riprende (ma in una miscela dei tutto peculiare) concezioni e metodologie; ii) in secondo luogo, esso considera come oggetto privilegiato di indagine i linguaggi che piu ci interessano in questa sede, e cioe illinguaggio dei diritto e illinguaggio della morale; iii) in terzo luogo, tale orientamento costituisce l'impalcatura filosofica su cui si appoggia una parte consistente della 00. scuola analitica italiana; e, come sappiamo, quest'ultima e stata prescelta, in questa sede, come un importante esempio pararligmaticodi quella concezione metafilosofica che fomisce una risposta non cognitivistica alia domanda se possa o meno darsi una conoscenza "filosofica"dei diritto. Ho detto prima che il prescrittivismo, neU'esaminare illinguaggio

ch. ad esempio, le definizioni legislative e dottrinali passono introdurre artificialmente nuove locuzioni; ad esempio, queJla di 'negozio giuridico') e parzialmente naturale (perch Ia maggior parte delle 10cuzioni usate nei vari linguaggi giuridici-oggetto, ad esempio nel linguaggio usato dallegisIatore, sono riprese, senza mutamenti di significato, dallinguaggio naturale). Proprio in ql!esto senso, si usa qualificare iJlinguaggio giuridico come un linguaggio lecnicizzato. II prescrittivismo, che comincia a svilupparsi intarno agli anni '50 nella cultura di lingua inglese (e poi, di li a poco. anche all'interno dei nostro contesto culturale), costituisce uno dcgli esiti piu interessanti, nell'area delle discipline umanistiche, della crisi dei verificazionismo. Esso utilizza appieno le possibilit offerte dalle nuove teorie dei si. gnificato. cercando di applicarle ai linguaggi prescrittivi. e in particolare ai discorsi dei diritto e della morale. L'orientamento prescrittivistico si fa portatore di un approccio re{erenzialistico alia teoria dei significato: illinguaggio significante e il linguaggio in cui gli enunciati fanno riferimento. in qualche senso, alia realt, senza che questo comparti necessariamente Iapassibilit di una loro verifica. li contributo peculiare che tale orientamento apporta alIa filosofia analitica e quello della distinzione di due elassi privilegiate di linguaggi significanti: illinguaggio assertivo e illingllaggio prescrittivo. Si tratta di una distinzione che, secando l'indirizzo dominante era i prescrittivisti, si pane come mutuamente escl!~siva:i due linguaggi esauriscono insieme l'area della significanza; aI di fuori di queste due elassi vi possono soltanto essere linguaggi dotati di un tipo diverso, e ben piu debole, di significato (ad esempio, di un significato espressivo). E iI caso di notare che questa caratterizzazione dicotomica dei linguaggi significanti produce degli esiti fortemente contro-intuitivi, 50prattutto perch spinge ad inserire nell'una o nell'altra delle due fondamentali categorie ogni altro tipo di linguaggio significante; si pensi,

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CONDSCENZA GlURIDICA E CONCE"rrO DI DlRmO

POSITIVO

LE TRADIZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANAUTlCA

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ad esempio, ai caso del /ingLlaggiovalLllalivo (i! linguaggio in cui si esprimono i giudizi di vaIare,che conlengono predicati come 'buono', 'bello', 'giusto', ecc.), che viene inserito all'interno della categoria dei linguaggio prescrittivo. Orbene, mi pare che 50ltaoto eOfiuna evidente fon::atura possa dire che i giudizi di vaIare (<<Pietro buono, quesi e

stanormae giusta,questoquadroe belIo,eec.) sono riconducibili.


in qualche senso, a prescrizioni. Questa distinzione mutuamente esclusiva fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo va sotto il nome di 'Iesi divisionislica ' (Ia tesi della grande divisione fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo); collegata a questa distinzione vi e anche un'altra tesi importante, di cui parleremo piu diffusamente in seguita: Ia tesi secando cui non possono darsi passaggi logici fra i due linguaggi (Ia cd.legge di HLlme), e dunque non si possano derivare conclusioni prescrittive da premesse meramente assertive, e viceversa. ln linea con l'approccio referenzialistico, il prescrittivismo sostiene che linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo hanno un importante elemento in comune; enunciati interpretabili come asserzioni ed enunciati interpretabili come prescrizioni, nei limiti in cui sono" enunciati genuini" (e quindi sono espressi in accordo con le regale sintattiche e semantiche che presiedono a questi tipi di discorsi), fanno riferimento a slali di cose reali o possibili (Hare (1968. La differenza fondamentale fra i due linguaggi risiede, invece, in ci che pu per adesso essere caratterizzato, senza ulteriori qualificazioni, come funzione: il linguaggio assertivo ha Ia funzione di {omire informaoni o descrizioni su stati di cose, illinguaggio prescrittivo ha Ia funzione di prescrivere stati di cose (che qui vanno intesi neI senso specifico di modelli di comporlamenlo ). Per far capire meglio questa distinzione, si pu cercare di formulariain termini diversi, che non sono, comunque, necessariamente collegati alI'accettazione di una prospettiva prescrittivistica. ln questa seconda versione, che e ad esempio quella di SearIe (1985), si mette J'accento sul fatto che i singoli segmenti della classe deI linguaggio assertivo devono sempre rapportarsi, in qualche senso, a un mondo che esiste indipendentemente da essi, e con il quale devono confrontarsi (se il confronto e superato positivamente essi passano essere qualificati come "confermati",owero come "verificati",ovvero, ancora, come "veri" (a seconda della prospettiva epistemologica accolta. I singoli segmenti della classe dellinguaggio prescrittivo, invece, non devono confrontarsi con una realt che esiste jndipendentemente da essj, ma devono piuttosto procurare cambiamenti nel mondo, tali che il mondo si confronti poi con il contenuto semantico da essi stessi espresso; e neHamisura in cui tali segmenti riescano o meno a procurare questi

cambiamenti, non li qualifichiamo come "verio falsi", ecc., ma piut~ tosto come "obbediti o disobbediti", "realizzati o non realizzati", ecc. Insomma, come rHeva opportunamente SearIe, Ia classe dellinguaggio assertivo ha una direzione di adattamento da parola-a-mondo, mentre Ia classe dellinguaggio prescrittivo ha una direzione di adattamento da mondo-a-parola. Se una affermazione non e vera, e l'affcrmazione in difetto, non iJ mondo; se l'ordine viene disobbedo non e l'ordine ad essere in difetto ma il mondo, qui rappresentato daI soggetto che disobbedisce ali' ordine. QuelJa che e diversa nei due casi e Ia direzione di adallamenlo. Torniamo, adesso, ai modo in cui il prescrittivismo formula Ia distinzione ira linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo. Prendiamo, in qualit di esempio, il contenuto semantico (o idea di azione), ancora "indifferenziato", caratterizzabile come "il chiudere Ia porta da parte di Pietro; orbene, taJecontenuto pu costituire, acerte condizioni, Ia componente referenziale di un enunciato in funzione assertiva (e puo dunque esprimere l'asserzione: Pietro sta chiudendo Iaporta), avvero, acerte altre condizionj, Iacomponente referenzialedi un enundato in funzone prescrittiva (e puo dunque esprimere Ia prescrizione: "Pietro, devi chiudere Ia porta). I due enunciati, si badi bene, si riferiscano alla stessa idea di azione; soltanto che il primo si preoccupa di descriverla, il secondo di qualificaria nei termini di un modello di comportamento. E una questione molto dibattuta, all'interno dell'orientamento prescrittjvistico, quella di come, e attraverso quali criteIi, caratterizzare questa differenza funzionale fra linguaggio assertivo e lingLlaggioprescrillivo. Ci si pone, in particolare, il problema se tale differenza riguardi anche - o soprattutto - il significa to degli enunciati in questione (e dunque se Ia differenza funzionale tocchi anche Ia dimensione dei significato, e si possa alIora parlare dj significato prescrittivo in aggiunta aI significalo asserlivo), owero tocchi soltanto gli aspetti pragmatici legati ali'uso degli enunciati stessi, e do il contesto alI'interno dei quale viene prodotta e recepita Iacomunicazione linguistica in questione. E, per chi opta in favore del criterio pragmatico, si pone ruIteriore problema di quale elemento deI contesto debba essere privilegiato (quello relativo agli scopi dei parlante, quello relativo aI modo iri cui e recepita Ia comunicazione dai ricevente. owero quello relativo ad altri aspetti "oggettivi" dei processo di comunicazione?). Non e questa Ia sede per scendere nei dettagli di questioni cosI complesse. 5u di esse, peraltro, dovremo necessariamente tornare nei prossimi capitoli, sia quando parleremo della filosofia post-analitica, sia quando ci occuperemo dei problema della inierpretazione giuridica. Qui mi limito a dire che, coerentemente con le premesse generali deI
4. V. VILU- Conoscenza giuridica e concetto di diritto positivo

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CDNOSCENZA

CIURIDrCA

E CONCEITO

DI DIRITrO

POSITIVO LE TRADIZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANALITICA

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nostro discorso, verr privilegiato, per distinguere le varie funzioni dei linguaggio, un criterio di distinzione di carattere pragmatico. enterio, tuttavia. che andr a collocarsi all'interno di una concezione profon~ damente diversa da quella prescrittivistica (soprattutto perch non presuppone una dicotomia mutuamente esclusiva fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo). A partire dalla "grande divisione" fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo, il prescrittivismo assume programmaticamente come oggetto di analisi le strutture, le nozioni, le categorie di tutti quei linguaggi (linguaggio dei diritto, linguaggio della morale, linguaggio della politica, linguaggio dei valori, ecc.) che vengono fatti rientrare nella categoria dellinguaggio prescrittivo. Tuttavia, quello che a noi interessa di piu, in questa sede, e il modo specifico con cui Ia filosofia dei diritto di indirizzo prescrittivistico si occupa dellinguaggio giuridico. Ed e quanto vedremo adesso, in relazione all'esame delle tesi metafilosofiche sostenute dalla scuola analitica di filosofia dei diritto.

scenza filosofica". Non spetta, dunque, alia filosofia dei diritto il\,quanto tale fomire definizioni o ricostruzioni teoriche dell'oggetto 'diritto'. B) Sul versante rnetafilosofico, Ia scuola analitica accetta, come implicazione della tesi precedente, Ia tesi metodologica fondamentaIe della filosofia analitica, quella secondo cui iI metodo delIa filosofia e l'analisi dellinguaggio, e dunque iI metodo della filosofia giuridica e l'analisi dellinguaggio giuridico (rectius, dei linguaggi giuridici). Questa analisi de; linguaggi giuridici pu avere, a sua volta, un aspetto positivo. e artifoIarsi pertanto: i) io una componente semantica, concemente Ia rilevazione o Ia prescrizione dei significati dei vocaboli, delIe nozioni ~ degli enunciat; dei vari linguaggi giuridici che sono di volta in volta oggetto di indagine (si pensi, ad esempio, all'esame dei significato delIa nozione di 'obbligo', cosi Come e Usata nel linguaggio dei giuristi); ii) io una componente sintattica, concemente l'individuazione o Ia prescrizione delIe regole logiche ed extra-Iogiche di fonnazione e di trasfonnazione degH enunciati dei vari linguaggi giurdici (si pensi, ad esempio, alIe indagini concernenti i rapporti di carattere logico fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo); iii) in una componente pragmatica, concernente Ia ricognizione dei contesto di emissione e di fruizione degli enunciati dei vari linguaggi giuridici (si pensi, ad esempio, alie ricerche sulle difTerenzefunzionali fra linguaggio assertivo e linguaggio prescrittivo). I profili "costruttivi" deI metado analitico sono in genere privilegiati da quegli orientamenti della scuola analitica ehe, sul versante filosofico, si riconoscono neHa prospettiva prescrittivistica, e, sul versante teorieo, si muovono nell'orizzonte delgiuspositivismo kelseniano. L'analisi dei linguaggi giuridici pu avere, in secondo luogo, un aspetto negativo, legato soprattutto alio sforzo di liberare tali linguaggi dalle ipoteche della metafisica e della ideologia. In tal senso I'analisi linguistica, invece di proporre contributi di caraUere eostruttivo, si limita a mettere in evidenza tutte le occasioni in cui si fa un uso improprio dei termini dei linguaggi giuridici (ad esempio nei casi in cui si parIa di "norme"e di altri "oggetti normativi" Come se si trattase di entit realmente esistenti), cercando magari di spacciare, in modo mistificatorio, queste costruzioni per operazioni puramente scientifiche. Un esempio di analisi "anti-ideoIogica" dei linguaggi giuridici e costituito da quelle analisi che cercano di svelare Ia valenza politico-valutativa di certi discorsi dei giuristi, che magari si presentano, surrettiziamente, come discorsi puramente descrittivi e neutrali. Questo secondo profilo (di carattere critico e demistificatorio) del metodo analtico e in genere privilegiato (senza che questo implichi necessariamente, per, una completa rinuncia agli aspetti costruttivi)

10. Con Ia denominazione 'scuola analitica di filosofia dei diritto' ei si riferisce a quella costellazione di concezioni metafilosofiche, filosofiche e teoriche che si muovono, a vario titolo, nell'alveo della filosofia analitica contemporanea, e che camindano a svilupparsi nclla nostra cultura giuridica agli inizi degli anni '50, sotto Ia spinta dellavaro pionieristico di Norberto Bobbio. AIdi l di alcune coordina!e filosofiche comuni, che sono costituite da ei che prima chiamavo conceito di 'filosofia analitica', tale scuola presenta ai suo interno alcune differenze di rilievQ, che sono legate alla presenza di motivi ispiratori diversi, scaturenli sia dalla tradizione di ricerca dell'empirismo ristretto, che da quella dell'empirismo liberalizzato. Con il passare deI tempo, per, l'influenza delle concezioni prescrittivistiche e divisionistiche tende a diventare sempre piu predominante (perlomeno sino a pochi anni fa). Nel caratterizzare questa scuola utile distinguere, come si e gi fatto per Ia filosofia analitica in generale, fra due diversiprofili: il profilo episternologico e iI profilo rnetafilosofico. A)Sul versanteepisternologico Ia scuola analitica accetta Ia tesi fondamentale della filosofia analitica, quella, eioe, secondo cui non spetta in alcun modo alia filosofia produrre conoscenze sulla realt, e dunque, nel caso di speeie, sull'oggetto 'diritto'. In questo senso, Ia scuola analitica si riconosce in pieno nella risposta non cognitivislica che le concezioni tradizionali della filosofia analitica danno ai problema della "cono-

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CONOSCENZA GlURlDlCA E CQNCETTO DI DIRlTIQ POSITIVO
LE TRADIZIONI DI RICERCA DELLA FILOSOFIA ANALlTICA

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da quegli orientamenti della scuola analitica che, sul versante filosofico, si riconoscono, a grandi linee, nella tradizione di ricerca dell'empirismo ristretto, e, sul versante teorico, si muovono all'interno dell'orizzonte deI realismo giuridico. Vale forse Ia pena di ritomare brevemente, in conclusione, sulIa concezione della filosofia deI diritto che viene fuori da questa scuola, in modo da tomare, dopo questo lungo excursus, aI tema centrale deI capitolo precedente che e quello concemente Ia risposta non cognitivistica alla questione dei rappot1i fra filosofia e conoscenza. La concezione della filosofia deI diritto che e sostenuta dalla scuola analitica rappresenta una delle versioni piu sofisticate di uno dei due modi tradizionali di intendere il rapporto fra filosofia e conoscenza: per I'esattezza, quello secondo cui vi e un divorzio completo fra filosofia e conascenza. Secondo Ia scuola analitica, insomma, Ia filosofia deI diritto, in quanto analisi dellinguaggio giuridico, assume come suo oggetto di indagine non gi il diritto positivo, ma piuttosto i vari tipi di discorsi che si fanno nel e sul diritto positivo. Tutti quei compiti di carattere conoscitivo che le concezioni tradizionali assegnavano alIa filosofia giuridica (Ia ricerca deI concetto di 'diritto', ad esempio) vengono, pertanto, proiettati ai di fuori deI raggio delle sue competenze, ed assegnati ad altre discipline, di carattere teorico (teoria deI diritto, giurisprudenza, ecc.). La filosofia deI diritto, perlomeno neI suo ambito di indagine piu significativo e importante, si trasforma quindi in metagiurisprudenza, e cioe in analisi deIlinguaggio dei giuristi e degli altri operatori giuridici. Cio che resta ancora alla filosofia deI diritto, dopo questa actio finium regundorum nei confronti della scienza giuridica, e quello che tradizionalmente veniva denominato compito deontologico, e cio Ia ricerca sulla dimensione valutativa dell'esperienza giuridica (sull"'idea di giustizia" ad esempio). L'espletamento di questo ulteriore compito, nella misura in cui essa non pretenda di assumere connotazioni conoscitive, e affare perfettamente legittimo. 11filosofo deI diritto, pertanto, potr deI tutto legittimamenle assumersi I'onere di presentare Ia Sua personale visione deI "dover essere" dei diritto, le sue idee e i suoi atteggiamenti sul problema della giustizia. Operando in questo modo egli, come afferma a chiare lettere Bobbio (1948), dovr limitarsi aprendere posizione sul diritto positivo. Qualora, invece, il nostro filosofo deI diritto volesse limitarsi a ricostruire analiticamente i discorsi aluLlisui valori giuridici e sulla giustizia, alIora questo tipo di indagine rientrerebbe alla perfezione nello spettro di indagini lato sensu conoscitve che sono consentite aI filosofo analitico (e verrebbe quali. ficato come discorso di caraUere metaetico sui valori).

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CONOSCENZA GlURlDICA E CONCETIO m mRITIO

POSITIVO

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4. LA DOMANDA SULLA VALENZA CONOSCITNA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO: lI) LA RISPOSTA "COGNITIVISTICA IN SENSO. FORTE"

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1. Torniamo, adesso, dopo questa opportuna digressione sulla filosofia analitica, ai tema centrale di questa prima parte: quello concernente il ruolo e i compiti de/la filosofia dei dirillo. La "risposta non cognitivistica". come abbiamo visto, esprime un atteggiamento radi~ calmente antimetafisic, negando che ci siano spazi conoscitivi per Ia filosofia dei diritto (e, owiamente, per Ia filosofia in generale). Si tratta, e bene dirlo subito, di una posizione largamente insoddisfacente, che piu avanti sottoporrb ad una sede di critiche, a mio parere completamente distruttive. Riconoscere ci, tuttavia, non equivale affatto ignorare gli aspetti positivi che pure vi sono nel modo in cui tale prospettiva concepisce i compiti della filosofia dei iritto. Da questo punto di vista, un elemento altamente positivo, che rnerita di esscre conservato anche alI'interno di una concezione diversa (che cercherb di suggerire nel prossimo capitolo), e quello relativo ai tipo di "oggetti" di cui, ad awiso della "risposta non cognitivistica", Ia filosofia dei diritto deve occuparsi. Quest concezione metafilosofica, infatti, afferma a chiare lettere che Ia filosofia dei diritto e, e non puo non essere, una filosofia dei di,;lIo positivo: il diritto positivo, insomma, e l'unico oggetto di cui tale disciplina possa seriamente occuparsi. Mi pare opportuno sottolineare l'importanza, da un punto di vista filosofico generale, di questa tesi: secondo Ia "risposta non cognitivistica", dunque, Ia filosofia, se vuole rinunciare sul serio alIe sue pretese metafisiche, deve sempre assumere come proprio oggeUo di riflessione e di analisi un determinato ambito di esperienza; essa, doe, non pu rnai presentarsi senza alcun attiibuto o specificazione, come una sorta di "filosofia prima", che, per il fatto di riferirsi agli aspetti essenziali e universali (Ia "struttura ultima") della realt, costituisca il comune fondamento metafisico delle varie "filosofie particolari". La "risposta non cognitivistica", aI contrario, sottolinea. molto opportunamente, che Ia: filosofia si presenta sempre come una filosofia dei ("dei diritto", "de lia ,"orale", "deJla scienza", "deJla storia", ecc.), nel senso che fa sempre riferimento ad uno specifico ambito di espe-

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