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Cara lettrice, caro lettore,

questo libro ti è offerto dalle biblioteche del Comune di Milano nell’ambito di


Milano da Leggere, l’iniziativa di promozione della lettura realizzata in
collaborazione con ATM.

L’edizione 2019 di Milano da leggere è dedicata al racconto per immagini e


conserva la sua “cifra milanese” proponendo fumetti e graphic novel di autori,
editori, personaggi, ambientazioni in stretto legame con la città.
Si ringrazia WOW Spazio Fumetto per l’amichevole collaborazione.

Per conoscere i servizi e altre iniziative delle biblioteche: milano.biblioteche.it

Edizione ridotta di Giacinto Facchetti: il rumore non fa gol


Sceneggiatura di Paolo Maggioni e Davide Barzi; disegni di Davide Castelluccio.
BeccoGiallo 2016.

Capitolo 1 Illustrazione di apertura di Tino Adamo.


Il disegno nell’ultima tavola del capitolo è di Edoardo Stucchi.

Capitolo 2 Illustrazione di apertura di Andrea Bianchi Carnevale.

Capitolo 3 Illustrazione di apertura di Paolo Bacilieri.


La “scena della monetina” è illustrata da Paolo Castaldi.

Si ringraziano gli autori e l’editore per la gentile concessione dell’opera, il cui


utilizzo è strettamente personale e non è consentito riprodurla o diffonderla ad
altri sotto qualsiasi forma.
GIACINTO
FACCHETTI
il rumore non fa gol

Sceneggiatura

Paolo Maggioni e Davide Barzi

Disegni

Davide Castelluccio

BeccoGiallo
Giacinto, la rivoluzione gentile
di Paolo Maggioni

Sono abbonato all’Inter da vent’anni. Da dieci, sempre lo stesso


posto: secondo anello rosso, settore 227, fila 4, posto 3. Sono talmen-
te affezionato a quel seggiolino un po’ scassato da aver confermato la
tessera perfino negli anni in cui, allo stadio, ci sono andato per fare
lo speaker. Mi faceva bene saperlo mio anche se ero a bordo-campo.
Perché a quella seggiola voglio bene. È il mio posto, a domeniche
alterne. E non vorrei essere da nessuna altra parte, più o meno. Am-
metto: ne sono perfino un po’ geloso. Ho un sogno, anche. Cono-
scere il mio omologo rossonero. Il proprietario delle sante natiche
che, quando gioca il Milan, coltiva lo stesso sentimento di affetto per
il mio - anzi, nostro - seggiolino. Ho provato a immaginarlo decine
di volte. Un po’ anziano, milanista fino al midollo, critico di Seedorf
perché correva poco anche da allenatore, e orfano di Pippo Inzaghi:
“Anni grami, col Sinisa!” si lascerà scappare spesso l’omologo, ri-
pensando forse a Gianni Rivera, mito dei suoi vent’anni. “Pippo non
sarà Sacchi ma almeno da giocatore la metteva sempre, diamine!”
Ce ne siamo accorti, noi interisti, in qualche derby, ma tant’è. E se
invece l’omologo fosse un ragazzo un po’ invecchiato, tipo me, con
l’aria leggermente sfatta, da sabatoseraprolungato, la sciarpetta ros-
sonera al collo, la birretta in mano - quella defatigante, da day-after,
fatti servire che ti sistema, altrimenti ti gonfi (mai fidarsi dell’omeo-
patia da pub) - e i vecchi amici intorno, avvolti in una nube di fumo?
E se invece l’omologo fosse una ragazza? Nel dubbio, non ho mai
avuto fidanzate milaniste.

Offro l’idea al Consorzio che gestisce San Siro: grande raduno


dei tifosi che dividono lo stesso posto e non si sono mai conosciuti.
Quante storie belle nascerebbero? Amicizie, rivalità, qualche amo-
re, ma soprattutto la sicurezza di lasciarlo in buone mani, quel seg-
giolino sacro, nelle domeniche sempre un po’ stortine in cui allo
Stadio non si va.

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La partita è un rito. E i tifosi ne sono il centro: l’unico capitale
umano che nessuna diretta televisiva potrà mai sostituire. Allo sta-
dio ci vanno quelli disponibili a prendere un freddo cane e a dare
fiducia perfino ad Alvarez, quelli che la squadra si fischia “perché ho
pagato il biglietto”, quelli che è meglio la balaustra che impedisce lo
sguardo perché “se non vedo, soffro meno”, quelli che “in settimana
li vede il mister, te che cazzo fai in settimana?”, quelli che “in setti-
mana” lavorano e se prendono mazzate anche a San Siro tornano a
casa un po’ più tristi, quelli che in fondo a Gresko gli hanno voluto
bene, quelli che il Chino Recoba andava clonato, perché insultarne
uno solo - alla lunga - non dava più gusto.

Allo stadio ho incontrato amici veri. Tutta gente diversissima da


me, di cui a malapena conosco i nomi - certe facce, invece, sono
indimenticabili - ma che per quei novanta minuti è diventata quasi
una famiglia. Perché alla fine, anche senza volerlo, si diventa tutti
una specie di popolo. Avessi potuto intervistare Javier Zanetti in oc-
casione del suo quarantesimo compleanno, gli avrei fatto solo una
domanda: se, rincorrendo i suoi sogni a forma di palla, si fosse mai
accorto di tutti noi, rannicchiati sui nostri seggiolini, invecchiati con
lui domenica dopo domenica. Perché sugli spalti quella percezione
c’è. Dal campo, chissà.

La scena finale del fumetto racconta - e non è un caso - l’unica


espulsione della carriera di Giacinto Facchetti. Eppure quel cartel-
lino rosso, ingiusto e così tanto umano in una carriera marziana,
non è la vera notizia. Colpisce piuttosto la reazione del pubblico:
unanime, compatto, in piedi ad applaudire il proprio capitano, diso-
rientato in una situazione insolita eppure così orgoglioso nella corsa
verso il tunnel, fuori dal campo.

In quell’applauso c’è stata un’adesione, più che tifo: l’asse por-


tante su cui si forma il concetto di popolo. Che, quasi naturalmente,
non può fare a meno di scegliere un suo leader cui affidare sogni e
speranze. Una figura di cui essere orgogliosi, in cui riconoscersi: la
qualità dei capitani, spesso, è lo specchio di quella di un popolo.
Nel calcio, come nella vita, ne esistono di molti tipi diversi: le ban-
diere, fedeli alla maglia per una vita. I campioni, troppo forti per

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non essere rappresentativi. I silenziosi, cui basta l’esempio per farsi
rispettare. I predestinati, perché onestà, carisma e competenza non
passano inosservati. In Facchetti hanno convissuto tutte queste ani-
me, tradotte in quella fascia che quasi gli spettava di diritto: mai
sbandierata, sempre leale e costruttiva, disponibile, onesta al limite
di una confusione - molto cara ai furbi - con l’ingenuità. E allora è
lecito, per un popolo, commuoversi di fronte a quella corsa verso
il tunnel. Alzarsi in piedi e applaudire: dietro al Capitano, ci siamo
tutti noi.

Spesso i miti del calcio affascinano gli scrittori. Giacinto è stato


amatissimo da alcune grandi penne italiane: da giocatore, la classe
e l’aspetto scultoreo hanno risvegliato reminiscenze classiche. Per
Gianni Brera è diventato “Giacinto Magno”. Luciano Bianciardi lo
elesse a emblema di un secondo rinascimento italiano, una specie
di Garibaldi in maglia azzurra. Per Giovanni Arpino è stato quasi
un figlio, uno dei pochissimi a salvarsi, con dignità, dalla figuraccia
azzurra a Germania 1974. Di Facchetti resta anche questa profonda
eredità culturale, impensabile per le figure, molto più terrene, di
chi ha provato - dopo la morte - ad attribuirgli colpe e nefandezze
identiche alle proprie.

Ho intervistato Giacinto Facchetti due volte.

La prima, verso i dodici anni. L’Inter era in ritiro nell’hotel di


fronte alla spiaggia dove passavo le estati, in Liguria. Nei weekend
di fine maggio si faceva già il bagno, e se il calendario della Serie A ci
regalava questa fortuna, potevamo intrufolarci nella hall e chiedere
gli autografi ai giocatori, prima della loro partenza per lo stadio di
Genova. Per conto mio ero già a posto. L’anno prima avevo strap-
pato un autografo dal mio idolo, Walter Zenga. La foto no, perché
si era inceppata la rotellina della macchinetta di carta che andava
tanto di moda: da quel momento, per scelta, mai più macchinette di
carta. All’ingresso siamo la solita banda di quattro o cinque ragaz-
zini, magliettina e ciabatte da mare, per nulla intimoriti da quella
specie di security che dovrebbe proteggere i giocatori e che invece,
puntualmente, ci lascia passare. “Ragazzi, solo due minuti”, ci di-
cono. Come ogni volta, abbiamo gli autografi di tutti: un vero gio-

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co da ragazzi. Ricordo un buffetto e il sorriso di Nicola Berti, uno
con il nerazzurro tatuato dentro, per nulla stupito di fronte a tanti
bambini. Quel suo motto “meglio sconfitto che milanista” avrebbe
riabilitato - ma l’avrei capito solo più tardi, crescendo - la mia in-
fanzia calcisticamente grama: il miglior Milan di sempre sul tetto
del mondo e un Inter comunque bella, dietro, a rincorrere con le
altre. Finita la caccia agli autografi, vidi entrare nella hall un signore
elegante, altissimo. Ero stato l’unico bimbo a riconoscerlo: mio pa-
dre mi aveva parlato tanto di lui mentre crescevo a Pane&Gazzetta,
anche grazie a un formidabile giornalista della Rosea, Giorgio Gia-
vazzi, che aveva l’ombrellone affianco al nostro. Allungai la biro per
chiedere un autografo. Per i miei dodici anni, Giacinto Facchetti
aveva l’aria un po’ severa. Ripensata oggi, un antidoto alla timidezza.
Sull’Almanacco Panini, la nostra Bibbia, il suo nome svettava tra
quelli dei Capitani azzurri. “Signor Facchetti, quante volte ha gio-
cato in nazionale?” gli chiesi. “Novantaquattro”, rispose, anche se
per una vita son stato convinto fossero novanta. “E quante volte da
Capitano?” incalzai. “Settanta”, fece lui rapidissimo, con quello che
mi sembrò anche un pizzico di orgoglio. Chissà cosa deve aver pen-
sato, Facchetti. Una domanda del genere, quasi un’interrogazione,
da un nano dodicenne a caccia di autografi. Intanto, avevo portato
a casa la mia prima intervista: rapidissima, e per una volta di puro
fact-checking.

Vidi una seconda volta Facchetti nel 2005. Collaboravo da tre


anni con Radio Popolare. Provavo a raccontare il lato umano, quan-
do non narrativo, del nostro calcio. Spesso capitava che anche il GR
mi chiedesse un contributo, come in quel caso. L’Inter aveva appena
perso – maluccio - un derby di Coppa Campioni: il portiere Dida era
stato colpito da un petardo lanciato dalla curva Nord e Facchetti,
presidente da un anno, aveva convocato i giornalisti per scusarsi.
“Perdere e arrabbiarsi ci sta, ma non doveva succedere niente di
simile”, ci disse, annunciando che non ci sarebbe stato alcun ricor-
so contro la sicura squalifica del campo. Lessi un grande sconfor-
to. “No, Moratti non è stanco e non cede l’Inter ai russi”, rispose
alla mia domanda, suggerita dai rumors di quelle settimane. Potessi
tornare indietro, chiederei dell’altro. Ma anche quel giorno capii la
differenza tra cronaca e narrazione.

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L’estate del 2006 è stata la più intensa del calcio italiano: Calcio-
poli, i mondiali tedeschi, le sentenze che hanno stravolto politica e
geografia pallonara, la morte di Facchetti. Uno strano scherzo del
destino, andarsene proprio alla vigilia di quel grande cambiamento
tanto auspicato. Oggi, dieci anni dopo, resta un calcio riformato ma
in crisi d’identità. Ancora diviso. Più povero, con una dirigenza non
sempre all’altezza. Rileggere gli appunti di Facchetti, oggi, potrebbe
offrire diversi spunti. In quella calligrafia minuta e precisa, un mon-
do semplice e onesto, come i pensieri di quel ragazzo cresciuto in
provincia e diventato uomo viaggiando, guardando lontano.

Il filo rosso del fumetto è in fondo il disegno che Pietro, bam-


bino, regala a suo padre Mario. Sopra c’è Facchetti che segna il gol
decisivo al Liverpool: quel foglio, ingiallito dal tempo, tiene insieme
padre e figlio, l’Inter antica e quella moderna, due Milano comple-
tamente diverse, due epoche del pallone - e della sua narrazione -
distanti sideralmente tra loro. È il passaporto di un sentimento. Ha
ragione l’archistar Peter Eisenmann, gran patito di pallone, a dire
che bisogna aprirsi al nuovo, anche costruendo stadi a misura di tv,
perché “ogni generazione ha diritto a costruirsi una propria idea
di nostalgia”. Nella nostra, nonostante la differenza d’età, Facchetti
non può davvero mancare. È una figurina preziosa. Da tenere al
riparo da tutti gli attacchi. È il manifesto di un certo modo di inten-
dere il calcio. E in fondo, anche la vita.

Giacinto voleva essere un esempio, non un simbolo. I simboli di-


vidono. Gli esempi, no: si possono seguire, accettare, comprendere
o rifiutare, ma non possono dividere. Dagli esempi possono nascere
solo modelli positivi. Sui simboli, invece, si possono costruire stec-
cati, muri, si vincono e si perdono le guerre. Da calciatore prima,
da dirigente poi, Facchetti ha inseguito un solo obiettivo: fare del
calcio un posto migliore di quello che aveva trovato. Il suo metodo,
lo stesso di una vita: lavoro, applicazione, gioco di squadra, rifiuto
delle scorciatoie. Anche a costo di sembrare ingenuo. E di consen-
tire che una buona educazione e una certa rettitudine, le doti di un
vero hombre vertical, venissero scambiate per mollezza. Facchetti
è stato l’esempio perfetto di quello Slow Foot - un calcio buono,
pulito e giusto - che in tanti sogniamo di poter tornare a raccontare.

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Un calcio che non sfugga dall’umanità. Un calcio che forse non cam-
bierà il mondo, ma che almeno saprà tornare a regalare emozioni, e
in qualche caso anche speranza.

C’è una foto di Marco Ravezzani che racconta Facchetti meglio


di tutti. Uno scatto perfino futurista, con Giacinto che corre sulla
fascia, il busto perfettamente a fuoco, le gambe invece sfocate, sfu-
mate nella corsa, nel gesto, imprendibili.

In quella foto, Giacinto vola. Sfuggente, lontano da una certa


miseria. Eterno: da sempre, per sempre, sulla strada giusta.

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GIACINTO
FACCHETTI
il rumore non fa gol
11
inter!
peeeeee inter!
pietro!
pietro!

12
milano, giovedì 13
maggio 1965, ore 8.07.
pietro!
pietro!

pietro, c’è qualcuno


in casa? è l’ora della
pietro! colazione, non di
disegno.

e sei in ritardo
per la scuola! se
fai così, la pros- liverpool,
sima volta non ti mamma.
mando più la sera liverpool.
con il papà a
vedere inter-
whirlpool!

13
papà, ma San il bambino ha
Siro è gran- sa leggere? nove anni
dissimo.
ed è figlio
di un giorna-
lista, direi
di sì!

dovete
il
essere o
ic e s im
dod
uomo!
H.H.

14
gañeremos ma in terza aaaaah! ancora
todo y contra elementare vi lo stadio! e intanto
todos! insegnano già il latte si raf-
lo spagnolo? no, lì fredda!
no, ma allo
stadio sì!

se non metti giù


quei pennarelli e non
mangi e ti vesti in tre
minuti, chiamo tuo
uh?
padre!

ma io lavoro
per un quotidiano
almeno in
che esce al pomeriggio,
questo non sei
non faccio la terza
esattamente un
elementare.
modello da
seguire… e comunque
lo capisco: ieri
sera…

15
16
ho capito, ma se lo
termini oggi pomeriggio
saltando la merenda eh
anziché la colazione no, se non “ti scappa”?!
non è uguale? lo fermo su-
bito poi mi
scappa!

eh sì. non è
un disegno facile. …ma anche
deve essere velocissimo.
graaande…

insomma, non
stai disegnando
né te stesso né
tuo padre!

no. mamma, sai è giacinto


chi è questo? facchetti e gioca
nell’internazionale
no, amore, di milano, la squadra
io me li confondo campione d’europa
un po’ tutti. e del mondo.

dovrebbero
metterci i cognomi,
assieme ai numeri,
sulla schiena!

17
aspetta, pietro: ce
ne servono un altro
paio. ti ricordo che
goooool! all’andata abbiamo
corso! uno perso tre a
a zero! uno!

si esulta
solo alla fine,
se ce n’è
motivo.

18
goooool!
Peirò! Due
a zero!

“solo alla
fine, se ce n’è
motivo”, vero
papà?
sei
ufficialmente fì, ho la
in ritardo. quafi colazione?
finito.
no, il
difegno di
Facchetti.

sh
fru sh
f u
r

ma poi questo
dai, pietro, facchetti non è mica
ora rischi di far un difensore? Non
uscire in ritardo me li fa neanche
e anche il corriere i gol!
d’informazione!

Afpetta
ancora un
attimo!

eh?
ho detto
qualcosa di
sbagliato?

20
goooool!!!

Siamo in
finale!

22
non che
non mi interessi
il tuo disegno,
piccolo, ma siamo
davvero molto
in ritardo!
ma almeno
guardalo un
secondo.

23
24
…le conviene
partire o la finale
di coppa dei campioni non
riuscirà a raccontarla
ai nostri lettori
dall’inizio!

bresciani,
con tutta l’acqua
che viene e la gente
che troverà in
strada… sì, sì, finisco
una cosa ancora
e parto!

mah, è l’unico interista ciao, direi che non


che oggi non ha fretta di possiamo più aspettare
andare allo stadio! oltre…

rr
vrr

25
sì, sto
verificando
proprio
adesso…

no, ho
proprio idea che
dovrai fare a meno del
tuo apprendista
giornalista.

mamma, ma io sono forte facchetti alla


come facchetti! voglio anda- tua età non era
re lo stesso a vedere ancora un omone
inter-benfica! di un metro e
novanta!

26
mi piacerebbe
poter dire a cuor
leggero che è la
seconda finale in
due anni…

…e che quindi Pietro ne …ma se poi la prossima coppa


potrà vedere un’altra campioni la vincessimo tra
a breve… quarantacinque anni?

Vr r
r oo o
oo m
m

cavolo, non si
vede niente con
quest’acqua…

…e mi sa che ho anche
sbagliato strada, e infatti
quello lì sembra
proprio…

27
…il grattacielo pirelli! …facchetti,
scompagina i
ruoli abituali…

…il pirellone va addirittura


contro le leggi comunali che
vietano edifici più alti della
madonnina del duomo…

inaugurato a pochi mesi …il grattacielo più alto


dall’esordio di facchetti, dell’unione europea e il
è un’innovazione proprio primo terzino d’attacco
come lui… della storia del calcio.

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l’altezza, quella caratteri-
stica corporea che rende
i giocatori più lenti.

con la differenza che il


pirelli è costruito su una
falda freatica ma comunque
ben piantato a terra…

facchetti, il giocatore che …mentre facchetti


aggira le leggi della fisica. è un grattacielo
alcuni lo chiamano “il che può volare.
grattacielo di treviglio”.
29
Screeeeek

Screeee
ek

ehi, ma chi ti
credi di essere con
questi scatti …facchetti?
improvvisi…

30
ho detto
di no. e lo
sai che quando
dico di no
è no…

lo so,
lo so…

…e sai anche
che pietro ha preso
la cocciutaggine
dalla mamma!

papà,
andiamo a
San Siro?

31
Finale
bagnata finale
fortunata?
Sperém...

s ci aff

noi siamo veloci, loro no. se il terreno


è pesante, noi non saremo più veloci e
spielen loro conserveranno il loro passo.
dir mal!*

non bisogna Tradotto:


mettersi sul Giacinto, tàca
*si gioca!
loro piano… la bala!

32
papà, ma quella …ma i grattacieli nel fango
cosa che mi dicevi che non rischiano di cadere?
facchetti è come un
grattacielo… sì?

è un’immagine “intanto non dire a tua madre


efficacissima. che sei stato allo stadio senza
se diventerai cappello o il mio posto di lavoro
un giornalista si libererà prima del previsto!”
mi ruberai il
mestiere!

33
papà, ma è da più di a te piacciono
mezz’ora che attac- i fumetti, “lo chiamano
chiamo, perché non vero? quello anche mandrake.”
segniamo? lì è mario
corso…

aspetta,
guarda!
a dir la
verità sembra
più paperino!

34
papà,
ma cadono
tutti! ripeto:
aspetta,
guarda!

jair!
gol!

35
papà, perché siamo nell’atto di nascita di
una squadra italiana, questa squadra c’è scritto
con un capitano italia- “si chiamerà internazionale,
no, e ha segnato perché noi siamo fra-
un brasiliano? telli del mondo”.

ma un
giorno magari
avremo anche
un capitano
straniero?

“perché no? magari con


facchetti presidente!”
37
stadio san paolo, napoli,
mercoledì 5 giugno 1968.
semifinale di coppa
europa. italia-russia.

…forse sono stato troppo

ii iii i
ottimista nel promettere a pietro

fi ii iii i i i che sarei tornato in tempo per


accompagnarlo a scuola
domani mattina.

“mmm… 0-0.
si va ai tempi
supplementari…”

tra l’altro ci tocca мы выиграли


un’altra mezz’ora con il в 1960 году и были
collega “mister simpatia финалистами
ecco
sovietica”. che tanto 1964.
appunto. digli
non capisce niente di dice che che per fortuna
quel che dico. hanno vinto le partite non si
nel 1960 e sono vincono con le
stati finalisti statistiche!
nel 1964.

38
fiiiiii dai,
finita! a letto che e comunque
domani c’è la scuola! ora vanno ai tempi precisino e
è l’ultima settima- supplementari, due calciofilo come il
na e poi puoi vedere da un quarto papà: non ho fatto
tutte le partite d’ora! un figlio, ma una
che vuoi! fotocopia!

sì, mamma,
ma la coppa
europa finisce
tra tre
giorni!

i giocatori
si dispongono in
campo per il primo
dei due tempi sup-
plementari!

39
Что
ho un
происходит
déjà-vu.
сейчас .

fi ii ii i
chiede
ora che
succede.

“ed ecco
la fine della
gara. 0-0.
non ci sono
stati né vinti
né vincitori.”

portano via i capitani


delle due squadre, che “chi resta in piedi, porta
si picchiano. la sua squadra in finale.”

“in italia si
usa così.” digli
che scherzo:
si sorteggia
con una
monetina.

40
adesso non sto
шутки : scherzando.
он разыгрывает
десять центов.
ah! ah!
ah! ah!

ma deve solo
ora stai scegliere un lato e
guardando guardare la moneta
giocatori fermi cadere, cosa
in mezzo al può fare?
campo.
mazzola in
un’intervista ha
facchetti detto a papà che
sta giocando il facco è molto
per noi. fortunato.
vedrai.

41
Testa.

42
43
Werfen wir
nochmals.*

* Tiriamo
di nuovo.

44
siamo in
finale!

mi spiace citare un no, questa


milanista, ma il paròn è meglio se vado a
nereo rocco diceva: “il non gliela intervistare
culo, quando è siste- traduci. il facco.
matico, si chiama
classe”.

45
girano le voci più
assurde: che la monetina
avesse lo stesso dise-
gno su entrambe
le facce… anche che
sia rimasta in piedi
senza cadere da un
lato. la seconda
domanda?

cosa ti porterai …e invece no. mi porto


dietro di questa dietro soprattutto
partita? questa scritta.
penserai
alla vittoria,
al risul-
tato…
unione delle
repubbliche
socialiste
sovietiche?

no. sai, noi eravamo e quando sono


sotto pressione arrivati questi
ancora per la brutta cristoni russi, è
sconfitta contro la stata l’unica cosa
corea del nord ai che abbiamo pen-
mondiali di due sato tutti. sono col
anni fa. grandi, sono cavolo
grossi, che
ma… perdiamo!

46
grazie la fede! anche
di tutto. per lei sposato? io
l’intervista ma lo sono da un
soprattutto anno…
per il
resto!

“…anche quella
una vittoria della
determinazione…”

“la prima volta che


uscii con giovanna…”

magari sì…
ci vediamo vediamo…
un’altra
volta, se
vuoi.

47
allora in che mah, sembra
facco, com’è senso? quasi che non si
andata? fidi troppo…

boh, non
so…

e certo,
insomma,
perché sono un
non sei uno che
calciatore!
fa un lavoro
serio!

48
e quello che poi è e per giunta, come
diventato mio cognato mia moglie, è anche
era quello che mi juventino.
prendeva in giro
più di tutti.

figli ne
avete?

il primo, o la prima, chissà, dovrebbe


nascere tra un paio di mesi! e forse
non sarà l’unico. sono ultimo di
io ne
sette fratelli, la famiglia è
ho uno. e se
importante. lei?
lo conosco
bene…

“…in questo momento


sta pensando a noi!”

49
BeccoGiallo
Direzione editoriale: Guido Ostanel e Federico Zaghis
www.beccogiallo.it
info@beccogiallo.it

ISBN 978-88-99016-40-1
© 2016 per i testi Paolo Maggioni e Davide Barzi
© 2016 per i disegni Davide Castelluccio
© 2016 BeccoGiallo S.r.l.

Lettering e grafica: Studio RAM


Cover project: BeccoGiallo
Cover art: Davide Castelluccio

È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro, così come


l’inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qualsiasi forma e con
qualunque mezzo elettronico, meccanico, attraverso fotocopie, registrazione o
altri metodi, senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

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