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LA TEOLOGIA NEGATIVA E LA CROCE Ysabel de Andia CNRS, Parigé Lutero dice nel De captivitate Babylonica’ che lo Pseudo- Dionigi é «pid platonico che cristiano» perché non ha parlato del Cristo crocifisso. Teologia negativa e croce sono allora da contrapporte? Inversamente, Viadimir Lossky non cessa di ripetere nel suo libro sulla Teologia mistica della Chiesa d'Oriente? che la misti- ca orientale una mistica apofatica la quale ha trovato le sua espressione dottrinale nella Teologia mistica di Dionigi, e una mistica della croce, come ogni mistica cristiana. La teologia negativa é interiore alla teologia mistica e la cro- ce é il segno del mistero, Tuttavia l’una é pit: teologica, l’altra pitt cristologica, I’una accentua la trascendenza di Dio, l’altra la sua rivelazione sulla croce: ma entrambe manifestano il mi- steto insondabile di Dio. Vorrei mostrare che P’apofasi 2 nell’ordine della conoscenza dei nomi e dei misteri divini cid che la Renosi & nella via asceti- ca e mistica. La prima parte di questa esposizione concernera dunque maggiormente la teologia negativa, la seconda la cristo- logia, la terza la via ascetica e mistica. 1 Lutero, De captivitate Babylonica, Weirear Ausgabe, Bd VI, 562, 3ss: «Atque mihi in totum displicet, tantum tribui, quisquis fuerit Dionysio ili... Etiam pernitiosissi- mus est, plus platonisans quam christianisans, ita ut nollem fidelem animum his libris operam: "dare vel minimam. Christum ibiadeo non disces, ut, si etiam scias, amitas. Expertus Joguor. Paulum potius audiamus, ut Iesum Christum, et... 2 Losshy V., Théologie npstigue da PEgise dt ‘Orient, Parigi 1944, pp. 75, 238-245. 104 1. La teologia negativa a, La conoscenza e linconoscenza La teologia negativa @ una purificazione della nostra idea di Dio e una «liberazione» della sua trascendenza — nel senso plotiniano? dello scultore che «libera» la statua dal blocco di marmo — attuata all’interno stesso dei suoi nomi. Dio é al di Ja del sensibile e dell’intelligibile, dell’essere e del non-essere, dell’affermazione e della negazione, e tuttavia la sua Sapienza si manifesta attraverso tutte le sue opere. Nel capitolo VII dei Nomi divini su «la Sapienza, I’Tntelletto ela Ragione», Dionigi s’interroga sulla nostra maniera di cono- scere Dio e distingue due modi di conoscere Dio: «Inoltre bisogna ricercare in che modo noi conosciamo Dio, che non é né intelligibile né sensibile né assolutamente alcuno degli esseri. Non sarebbe forse vero dire che non conosciamo Dio secondo la sua natura — poiché & inconoscibile e supera ogni ragione e (ogni) intelletto —, ma che, a partire dall’ordine di tutti gli esseri, in quanto questo & uscito da lui e possiede immagini e similitudini dei suoi paradigmi divini, ci eleveremo, secondo le nostre forze, per tappe ¢ gradini, fino a Cid che & al di 1a di tutto, nella negazione e sovreminenza di tutto e nella causa di tutto. Percid Dio & conosciuto al tempo stesso in tutto e fuori di tutto‘. Cosi noi non conosciamo Dio secondo la sua natura (ouk ek 265 autod physeds), ma a partire dall’ordine di tutti gli esseri (@- Pek tés pdnton tén énton diatdxeds), e secondo quest’ ordine (dia- ddxis) ci innalzeremo, per tappe e gradi (bodéi kai téxei), fino a Cid che & al di Ia di tutto (eis #6 epékeina pdnton), nella nega- zione e sovreminenza (en #éi Panton apbairései kat hyperochéi) e nella causa di tutto (4a? en Hi pdnton aittai). Le tre vie sono qui indicate, ma «in disordine». Dionigi cita in primo Inogo_ la negazione (aphatresis) ¢ la so- vreminenza (byperoché}, cioé i due aspetti del «superamento» di tutto, che 2 al tempo stesso rigetto, soppressione o astrazio- > Plotino, Enneade I, 6, 9. 4 DN (= De divinis sonrinibas) VI, 3, 869 C 11-872 A 4. 105 ne di tutto e sovreminenza o superamento di tutto’, Gli attri- buti in ¢-privative sono inseparabili dal loro superamento in modo superlativo (aggettivi o avverbi in Ayper). Ma il movimento di elevazione (dsimen-anagogé) verso Cid che é al di la di tutto (eis to epékeina pdnton) mediante la nega- zione e la sovreminenza, si completa con una risalita dagli ef- fetti alla Causa di tutto. E la via gerarchica delle partecipazioni. La via della téxis o della didtaxis. Donde la conclusione: «Percid Dio ¢ conosciuto al tempo stes- so in tutto (en pdsin) e al di fuori di tutto (choris péniin)» — cio& nei suoi effetti e al di 1a di tutto —, e l’affermazione di una duplice modalita di conoscenza: «Dio @ conosciuto grazie alla conoscenza ¢ all’inconoscenza (kai dia gndseds ho Theds ghino- sketai kai dia agnostas). Vi & di lui intellezione, verbo, scienza, contatto, sensazione, opinione, immaginazione ¢ nome € tutto il resto — prosegue Dionigi —; e tuttavia non pud essere né afferrato dall’intelligenza, né detto, né nominato. Egli non é alcuno degli esseri e non @ conosciuto in alcuno degli esseri. E tutto in tutto e non é nulla in nulla, ed & conosciuto da tutti a partire da tutto e non é conosciuto da nessuno a partire da nulla»é, «Infatti noi diciamo queste cose riguardo a Dio € lo si cele- bra, a partire da tutti gli esseri, proporzionatamente a cid di cui egli & causa (kai ek tin dnton apdnton bymnetai kata tén en pénton analoghian hén estiv attios)»™. L’innologia divina che @ oggetto dei nomi divini avviene dun- que a partire (ek) da tutti gli esseri e secondo (kata) la loro pro- porzione, la loro analogia e la misura della loro partecipazione a Dio che & causa (¢ftios). Tl contrasto del «tutto» e del «nulla» — «Eglié tutto in tut- to enon é nulla in nulla» — corrisponde ai due modi di cono- scenza: «tramite la conoscenza (did gndseds) e V'inconoscenza (kai did agndsias) », e alle due ipotesi del Panmenide: la prima ipotesi «se l’'Uno é Uno», che conduce all’ineffabile puro, ¢ la seconda ipotesi «se !’Uno é>, che apre tutto il campo semantico delle predicazioni dell’essere. Ora, Dionigi privilegia la prima ipote- si del Parmenide, quella dell’ ineffabile e dell’inconoscenza: 5 O anche ceccellenza» o eccesso (excessue). 6 DN VIL, 3, 872 A. 7 DN VIL 3, 872 A. 106 «Ma, ancora una volta, la conoscenza pid divina di Dio & quella che & ottenuta grazie all’inconoscenza (bé theiotété Theod gnosis é di’ agndsias), secondo un’ unione al di sopra dell’intelletto (kata t8n hyper notin bénasin)»*®. Questa pid divina conoscenza di Dio & ottenuta mediante (did) Pinconoscenza secondo (katd) un’unione al di sopra dell’intel- letto. Tocchiamo qui il punto pid importante: ¢ nell’ inconoscenza (agndsia) che avviene l'unione (béudsis), precisamente perché P’'u- nione & al di sopra dell’intelletto (Aypér nod): «L'intelletto (nods), essendosi separato (apostds) da tutte le cose che sono e, in seguito, avendo ugualmente lasciato (apheis) se stesso, si unisce (benothdéi) ai ragei pit che luminosi e da essi e in essi é iluminato (katalanepdimenos) dall’insondabile profon- dita della Sapienza»®. Colpisce il parallelo fra: 1. la purificazione o la separazione, 2. Pilluminazione 3. eP'unione del #ads ai taggi pitt che lutninosi della Sapienza e il Mosé della Teologia mistica 1’. che riceve Pordine di purificare innanzi tutto se stesso — e poi di separarsi da coloro che non sono puri, ‘ 2’. che, dopo una completa purificazione, ode le trombe dal- le molteplici voci —e percepisce numerose luci che emanano raggi puri che si diffondone da ogni parte, — che si separa quindi dalla moltitudine e, con i sacerdoti scelti, si affretta verso la cima delle ascensioni divine. 3°, Soltanto dopo esser penetrato nella «tenebra dell’incono- scenza realmente mistica egit é unite, secondo un modo supe- tiore, a Colui che 2 completamente inconoscibile»'°. Cosi il «#o#s-Mosé» si unisce a Dio che & al di la di tutto (epékeina pénia), e questa unione avviene al di sopra dell’intel- letto (hyper sofin). Donde la necessitd di aver lasciato se stessi per esser rapiti fuori da sé. £ quanto Dionigi chiama estasi. & DN VIL, 3, 872 A. ? DN VU, 3, 872 B. 10 MT (= De mystica theologia) 1, 1000 G 12» D4 ¢ 1001 A 10. 107 b. L’estasi Nel primo paragrafo Dionigi precisa: «Se il nostro intelletto umano possiede la facolta d’intellezione che gli permette di ve- dere gli intelligibili, 'unione, attraverso la quale si congiunge alle realt’ che sono situate al di I di esso, supera la natura del- lintelletto stesso (t8n dé héndsin hyperatrousan tén not phyfsin). Secondo questa unione bisogna dunque pensare le cose divine e non secondo noi, ma uscendo noi (existanénous) tutti interi da noi stessi e divenendo tutti interi di Dio (bd/ous Theoit ghi- noménous) — giacché & meglio essere di Dio e non di se stessi —, ed é cosi che le cose divine potranno essere offerte a quanti sono con Dio», Dionigi indica con molta chiatezza, contrariamente a quanto gli & stato rimproverato, i limiti della «facolt’ d’intellezione» (dfnamis eis td noein) per raggiungere |’ unione a Dio che supera la natura (pbysis) deil’intelletto (e di conseguenza i limiti del’a- phatresis che & ancora un’attivita del sods). Vi é un parallelisrme esatto tra la funzione dell’intelletto e la Sunzione dell’ unione: 1. Se il nostro intelletto umano possiede la facolt d’intelle- zione che gli permette di vedere gli intelligibili, 2, l'unione, atiraverso la quale si congiunge alle realta che sono situate al di la di esso, supera la natura dell’intelletto stesso: 1. chy pav Bbvapw eis 16 vari, > BW Fig te vontd Bréret, iy 8b tvacw Smepalpovsav vod pda > BV Fe suvarteton mpd th éxéxerva davtod, 2. Sheov tourdy erotapévous, Shove Ve0d yiwoévovs. Uscita da sé ¢ appartenenza a Dio, Anche qui lo stesso movi- mento é al tempo stesso estasi e divinizzazione: estasi come uscita da sé ¢ disappropriazione di sé. aa) L’estasi é Puscita da sé, condizione dell’unione «nel igno- ranza con Colui che é al di 18 di ogni essenza e di ogni sapere». 11 _DN VOL, I, 865 C-D. 12 MT 997.B. 108 Perché uscendo da tutto e da te stesso, in modo assoluto e perfetto, ti eleverai in una pura estasi fino al raggio tenebroso della divina Sovraessenza, avendo abbandonato tutto ed essen- doti spogliato di tutto”. In questo pduta aphelén si riconosce Vaphéle pdnta delle Enneadi!, Lestasi ¢ anche una anagigé verso il raggio sovraessenziale della Tearchia o, detto con maggior forza ancora, uno «slancio cieco sui raggi delle luce inaccessibile»"*: «Quando la nostra anima tende, in virti delle sue operazioni intellettive, verso le realth intelligibili, vane allora divengono queste sensazioni aggiunte alle realt’ sensibili, ma vane anche le facolta stesse d’intellezione quando !’anima ha rivestito le for- ma divina e, unita ad essa tramite I’inconoscenza, si slancia in un movimento cieco verso i raggi della Luce inaccessibile»'*. bb) L’estasi é anche una disappropriazione di sé, come Dionigi mostra a proposito dell’eros: «Ma 'amore divino ugualmente estatico, non permettendo che gli amanti appartengano a se stes- si, ma a quelli che essi amano... Percid il grande Paolo, posseduto dall’amore divino e aven- do ticevuto partecipazione alla sua forza estatica, dice con pa- rola ispirata: “Non sono pit io che vivo, ma Cristo vive in me”, ¢ cosi dice, da vero amante “‘fuori di sé per Dio”, che vive non pid Je propria vita ma quella dell’amato, come ama- tissima»?. «L’eros divino non tollera che gli amanti appartengano a se stessi, ma a quelli che essi amano». L’esigenza dell’eros divino & dunque la disappropriazione di quelli che ha infiammati del suo amore é la totale appartenenza a Dio in modo da poter dire come il grande Paolo: «Non sono pid io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). cc) Questo carattere estatico dell’'anore non 2 soltanto Tesigen- 13 MT 997 B - 1000 B. 14 Plotino, Enneade V, 3, 17, 38. 15 Cf, 1Tm 6,16. 16 DN IV, 11, 708 D- 709 A. 17 Gal 2,20, 18 2Cor 5,13. 19 Clr, 2Cor 5,15. DN IV, 13, 712 A. 109 za dell'amore divino nei confronti dei suoi amanti, ma prima di tutio id carattere proprio dell’amore di Dio. L’ebbrezza esprime «la perfetta ¢ indicibile dismisura della perfezione divina». «Eb- bro di ogni bene possibile, affermiamo semplicemente che Dio & in tal modo fuori di sé (ka? exestekds estin ho Theds)»®. Dionigi non ha timore di dite che Dio @ «fuori di sé» per amore, cosi cote, seguendo 1Cor 1, parlera della «follia» della Sapienza divina al capitolo VII dei Noi divini. Tuttavia, quando poco prima spiega che cosa significhi questa «ebbrezza» o que- sta «sovrabbondante dismisura», la situa o la misura ancora in rapporto all’intelletto: «Se !’'uome ebbro é fuori del suo buon senso, nel]’applicare l’immagine a Dio si deve capire che nella sua trascendenza, che é al di I di ogni intelletto, egli si separa dall’atto intellettivo, situandosi addirittura al di la del piano nel quale si distinguono intellezione ¢ intelligibile, al di 1a stesso di ogni esistenza, Ebbro di ogni bene possibile, affermiamo sem- plicemente che Dio 2 in tal modo fuori di sé, perché & troppo poco attribuirgli la contemporanea pienezza di tutti i beni. Egli supeta ogni dismisura e, nello stesso tempo, la sua dimora & ester- na e trascendente rispetto a tutto cid che esiste»’. L'estasi divina altro non & se non la sua trascendenza che su- pera ogni misura, ogni intellezione ¢ ogni intelletto ¢ l’esisten- za stessa. Come pud l’uomo raggiungerla? E qual é la relazione fra la negazione e l'estasi? c. Negazione ed estasi Il momento della negazione, dell’aphatresis”, 2 al tempo stes- so tinuncia, eliminazione e superamento della totalita del sen- sibile e dell’intelligibile. Si tratta di lasciare tutto — apbéle pénta — per innalzarsi verso Colui che é al di Ia di tutto. Ma il movimento ascensionale dell’anagogé & accompagnato dall’esigenza dell’ eros divino il quale richiede di abbandonare se stessi, cid che pud avvenire soltanto mediante il movimento estatico delP uscire da sé. . I movimenti di aphatesis e di ékstasis si prolungano l’uno con Yaltro, 20 EP (= Epistoiae) 9, 1112 C. 21 EPG, 1112 C. 22 Questo termine ¢ anche tradotto in latino, con ablatio o abstractio. 110 ~~ ma la negazione é un’eliminazione dei pévia, mente l’e- stasi un’uscita da sé, ~~ la prima & opetata dal sods, la seconda invece dal!’ eros che @ attratto datla Bellezza e dalla Bonta divine. La prima é una elevazione (anagagé) verso Colui che é al di la di tutto, la seconda una éensione (ephésis) verso l Amato Bel- lo e Buono. . Dionigi non mostra l’articolazione dell’ una con l’altra, ma Pu- nae ’altra tendono all’ unione con il Dio sconosciuto che @ det- ta «unione al di sopra dell’intelletto ». La béwbsis hyper noiin®} & il termine della teologia negativa, perché essa é per l’appunto al di 14 dell’intelletto (bypéer nodn), ¢ Poggetto della teologia mistica il cui fine é di «unirsi nell’i- gnoranza con Colui che é al di 1a di ogni. essenza e di ogni saperen*4, In questa unione lintelletto é pitt passivo che attivo, cosi co- me leroteo, il maestro di Dionigi, il quale & «non soltanto teo- mata ma ancora teopata», non avendo semplicemente una scienza teorica; ma un’esperienza vissuta, in quanto l’intelletto «pati- sce le cose divine (pathdn 12 theia) »** Il patie & limpronta della trascendenza divina, in negativo. 2. La croce a. L'eros cracifisso ¢ il sintbolo della croce La figura della croce* si presenta nei Nonsi divini, al cap. IV par. 12 su eros ¢ agepe, unicamente attraverso la citazione di Ignazio di Antiochia: «Il mio amore @ stato crocifisso»’. E amore ad essere stato crocifisso ed & l’amore che la croce rivela. Infatti, diversamente dalla negazione che si eleva verso la trascendenza senza coglierla, la croce manifesta questo Dio trascendente nella philanthropia di Gesit. 2 DN I, 4, 592 C; I, 5, 593 B; DN VIL, 1, 865 D; 3, 872 A. 24 MT 997 'B. 23 DN IL, 9, 648 B. 26 Staurds ricorre solo tre volte nel Corpus Dionysiacnm in BH (= De ecclesiastica bierarchia) 484 B, 512 A; EP 7, 1081 A; stauréo una volta in DN 709 B; e staurocidés otto volte in EH 396 C, 484 B, 509 BC, 512 AB, 533 B, 536 A. 27 Ignazio di Antiochia, Ad Rom. VIL. 111 aa) La kenosi di Cristo ¢ allora Pequivalente cristologico della negazione che Dio stesso opera, manifestandosi come il servo umiliato: «Gesii — dice Dionigi nella Gerarchia ecclesiastica® — attra- verso la pit sublime e la pitt divina delle umiliazioni ha consenti- to, per deificarci, a morire egli stesso in croce, strappando gene- rosamente all’antico abisso della morte chiunque, secondo la mi- steriosa espressione della Scrittura, ha ricevuto il battesimo del- la sua motte, facendolo rinascere in Dio per leternita»?. Secondo I’inno di Filippesi 2, vi sono due gradi nell’abbassa- mento del Cristo: 1. la kenosi del v. 7: «Annientd se stesso, prendendo la con- dizione di schiavo e divenendo simile agli uomini», 2. e l'umiliazione def v. 8: «Si umilid ancor pit, fattosi ob- bediente fino alla morte di croce»: Ekénésen... etapetndsen. Cra, @ in primo luogo questo catattere di umiliazione che Dio- nigi ha tenuto presente e che mette in relazione con la nostra deificazione. In un altro passo della Gerarchia ecclesiastica sul significato del segno della croce, Dionigi scrive: «II segno della croce si- gnifica la rinuncia a tutti i desideri catnali, una vita consacrata all’imitazione di Dio, costantemente rivolta verso la vita divi- na di Gest incarnato, di Colui che, tearchicamente impeccabi- Ie, si umiliato fino alla crocifissione e fino alla morte, di Co- lui che segna chiunque lo imita con questo segho della ctoce che simboleggia la sua propria innocenza»*°. Questa volta l’'umiliazione & vista sotto l’aspetto dell’inno- cenza e il segno della croce @ il simbolo dell’innocenza di Ges. bb} La croce, dissomiglianza della Gloria. La croce é un sim- bolo duplice, al tempo stesso segho di scandalo, a causa dell’in- famia della forca, ¢ trofeo di vittoria, come la celebrano molti inni liturgici nella tradizione latina (Vexifla regis) e bizantina {festa dell’Esaltazione della Croce, 14 settembre). 28 EH IW, II, 10, 484 B. ? Chr. Rm 6,3. 30 BH V, Ul, 4, 512 AB. 112 Nella croce si manifestano la gloria ¢ la potenza di Dio, ma essa vela al tempo stesso questa gloria agli occhi degli uomini a causa del suo carattere infamante o scandaloso. Ora, proprio tale aspetto sembrerebbe colpire il pensiero di Dionigi per il quale il dissimile & pit atto a simboleggiare Ia realta divina che non il simile. «La rivelazione del sacro avviene secondo due modi — dice in un passo della Gerarchia celeste?) —. Tl primo procede na- turalmente mediante sante immagini adeguate al loro oggetto. Il secondo, al contrario, spinge fino all’estrema inverosimi- ganze, fino all’assurdo, l’inadeguatezza delle figure che mo- ella». Le sante immagini figurano Dio a partire da qualia o da at- tributi divini, mentre le altre non significano «cid che egli é & ma piuttosto cid che non >». E Dionigi prosegue: «A mio parere, questo secondo mado di celebrarlo é pitt con- veniente a lui perché, seguendo la tradizione segreta e sacra, abbiamo ragione di dire che egli (Dio) non @ nulla di cid che sono gli esseri e ignoriamo questa indefinibile Sowraessenza che non pud essere pensata né detta. In tal modo, poiché le negazioni sono vete per quanto con- cerne i misteri divini, mentre ogni affermazione rimane inade- guata, é pid conveniente al carattere segreto di Colui che rima- ne in sé indicibile di non rivelare l’invisibile se non attraverso immagini senza somiglianza»’?, La dissomiglianza é sul piano del simbolo cid che Ia negazio- ne é su quello del concetto. Dionigi non ignora dunque la croce e ha compreso bene che, se la via apofatica apre la trascendenza divina, solo la kenosi di Cristo ce la rivela, ¢ la croce @ il segno adeguato della sua gloria nella sua stessa dissomiglianza. b. Teologia negativa e cristologia Sara perd uno dei suoi discepoli, Massimo il Confessore, che pianterd la croce al cuore di questo universe gerarchico dal quale sembrava assente, ricollegandosi con la «grande tradizione che 33 CH (= De coelesti bierarchia) Tl, 3, 140 C. 3% CHIL, 3, 140D-141 A. 113 da Giustino ¢ Ireneo a Teodoro Studita vede la croce’, albe- ro cosmico o X del Timeo di Platone, come invisibilmente pre- sente hella creazione sin dalle origini». aa) La morie e la tomba. Dice Massimo nelle Centurie sulla teologia e l'economia nella carne del Figlio di Dio*: «Chi conosce il mistero della Croce e della Tomba, conosce le ragioni (/6goi) di queste creature. E chi 2 iniziato alla poten- za indicibile della Risurrezione conosce Pintenzione (sképon) in vista della quale Dio primitivamente ha dato l’ipostasi (bypesté- sato) a tutte le cose (66). Tutte le cose visibili hanno bisogno di una croce, cio di un modo di agire che freni |’attivita di cid che, in esse, 2 relative alla sensibilita. Tutte le cose intelligibili necessitano di una tom- ba, ossia dell’immobilizzazione totale delle attivita dell’intel- letto in esse (67)»*. Non si pud capire la creazione senza la croce e la risurrezio- ne di Cristo. La Croce da la conoscenza dei /égoi delle creature é la Risuttezione, Pintenzione, skopds, o Ja finalita della loro ipostasi nell’essere. La potenza divina della Risurrezione che fa sorgere dalla morte & messa in relazione con la potenza divina che ha fatto sorgere, attraverso la creazione, l’essere dal non- essete. Nella centuria seguente Massimo mostra la necessita della cro- ce e della tomba per frenare l’endrgbeia della sensibilita e im- mobilizzare Penérgbeia del nods. Ritroviamo Pingiunzione dionigiana della Teologia mistica di una purificazione della sensibilita ¢ di una cessazione totale del- lattivita del zo#s. Quando «penetra nelle tenebre dell’ incono- 9 Testi patristici sulla croce come asse di salyezza: Giustino, Prima Apologia, capp. 55 ¢ 60 (eft, Hamman A., La Philosophie passe au Christ, Patigi 1958, pp. 83, 86-87); Ireneo di Lione, Dimostrazione apostolica, capp. 34 e 56 (SCb 62, pp. 87, 119-120), Adversus Haereses V, 17, 4 ¢ V, 18, 3 (SCh 153, pp. 233-235, 245); Pseudo-Ippolito, Sulla Pasqua, 1, 511-2, 8-10 (SCA 27, pp. 177-179); Gregorio di Nissa, Grande Cate- chesi 32/6: PG 45; 80 D - 81 A, . 34 Massimo il Confessore, Cento capitoli sulla teologia e economia nella carne del Figlio di Dio (PG 90; 1083 A - 1124 D) ttadotti da Riou A., Le Monde et Bglise selon Moxime le Coufesseur, Parigi 1973, pp. 240ss. Una traduzione pit recente si ttova nel Fascicule 6 della Philocatie des Peres neptiques: Maxime le Confesseur, Centuries sur U'a- mour, Centuries sur la théologie ef économie de l'incaration du Fils de Diew. Bréve ins terprétation de ta priéve du «Notre Pére>, introduzione e traduzione di Touraille J., Ab baye de Bellefontaine 1985. 35 Riou A., op. cit, p. 253. 114 scenza tealmente mistica», Mosé «fa tacere tutte le percezio- ni conoscitive (eponefet pdsas tas gndstikas antilépseis) e si tro- va in cid che é totalmente impalpabile e invisibile, unito a Colui che & completamente inconoscibile, mediante la sospen- sione di ogni conoscenza (ééi pdsés guiseds anerghésiai) e, per il fatto di non conoscete tiulla, conoscendo al di la dell’in- telletto»**, Vi é in entrambi i casi la stessa affermazione di una necessi- ta della sospensione (anerghésia) dell’attivita della conoscenza attraverso i sensi o l’intelletto; ma Ja «legatura dei sensi», co- me diranno i mistici, o la cessazione dell’attivira del nosis & messa in relazione da Massimo col mistero della croce e della tomba. Non si tratta soltanto di un esercizio spirituale, ma di quella «iniziazione» battesimale che @ l’immersione nella morte- risurrezione di Cristo. bb) Le kenosi. C’& un secondo punto nel quale Massimo e Dionigi convergono e al tempo stesso differiscono: la ke- nosi. Come Dionigi, san Massimo, nel suo Cornenenio al Padre no- sivo, afferma che lo scopo della kenosi é la divinizzazione della nostra natura: «Il Consiglio del Signore, dice Davide, dura di eta in eta, ipensieri del suo cuore di generazione in generazione » (Sal 32,11). Certamente, chiama da una parte «Consiglio» di Dio Padre Pin- dicibile kenosi del Figlio unigenito in vista della divinizzazione della nostra natura, kenosi nella quale egli tiene racchiuso il fi- ne di tutte le et4?’. La kenosi del Figlio unigenito appare come il frutto di una concertazione o di un «Consiglio» fra le tre Persone della Tri- nit. Cid che Massimo contempla nella kenosi del Figlio unige- nito, é la Filantropia divina, l’amote trinitatio per ’'uomo, che é all’origine della decisione della kenosi, cioé dell’Incarnazione e della Passione del Figlio.di Dio. Similmente, al centro della sua meditazione del mistero di Cristo é la liberta umana mediante Ja quale egli ha detto al Pa- 36 MT'I, 3, 1001 A 5-11. 37 Pater: PG 90, 873 GD. Traduzione di Riou A., op. cit., p. 119. 115 dre, nel Getsemani**; «Non cid che voglio io, ma cid che vuci tu»’?, La kenosi del Figlio & la rivelazione della liberta divina del- Yamore di Dio per ’'uomo, come l’agonia del Getsemani é il fiat delia libertd umana di Cristo. Dionigi ha aperto la dimensione della trascendenza divina me- diante la teologia negativa, Massimo quella della liberta divina mediante la contemplazione dell’agonia e della croce di Cristo e la confessione delle due volont’ in Cristo. La croce getta una luce sulla Sapienza insondabile nel suo stes- so annientamento. La negazione @ un segno della trascendenza che parte dalla negazione del creato, ma la distanza dall’Increa- to al creato é rivelata dalla kenosi del Figlio di Dio. Non si trat- ta pit: di negazione, bensi di annientamento nella morte. Ora, proprio questa via della kenosi e della croce Cristo ha aperto ai suoi discepoli. Quello che intendo mostrare che Ja teologia negativa é nel- Yordine speculative cis che l'umilta 2 nell’ordine pratico o ascetico. . Non basta purificare il discorso dai suoi idoli#®, occorre an- cora purificare lo spirito o Vintelletto (nods) stesso. La purificazione del zod#s mediante la croce e P'umilta é Po- pera monastica per eccellenza, come dimostrano Isaia di Sceti e Isacco il Siro nel solco di Antonio“. 38 Nell’ Opuscole 6, sulla preghiera di Gest nel Getsemani, scritto verso il 643, Massimo commenta cos] questo versetto del Vangelo di Luca 22,42: « Se prendi la fra- se “non cid che voglio io, ma trionfi la tua volonta’’ come proveniente non da un uome come noi, ma da quell’ uomo che consideriamo nel Salvatore, Jesto stesso fatto hai confessato i] supremo assenso della sua volonta umana aila volonta divina che é al contempo Ja sua e quella del Padre, e cosi hai stabilito che in colui che ha due nature visono due volont’ e due opesazioni che esistono conformemente ad ogni natura, Queste due volonti e operazioni app: ono a coluui che non ha contratieta in nessuna delle due, benché conservi in tutto la di delle nature a partire dalle quali, nelle quali ¢ le quali egli stesso & per natura». Coal la negazione inclusa nella frase «Non cid che voglio io, ma cid che vuoi tu» implica la differenza delle due volonta in Cristo che cortisponde alle sue due nature umana ¢ diving, ma non implica una contnaet? tra loro. Vid invece un accordo (syryphyta) tra la volonth divina di Cristo che egli ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo ela sua volont& umana che gli? propria, Cfr. Lethel F. M., Théologie de Vagonie du Christ. La liberté bumaine du Fils de Dieu et sot importance sotériologique mises ent ba- side par saint Maxime le Confesseur, coll. « Théologie historique», Parigi 1979. Le 22,42. 40 Come mostra Jean-Luc Marion nel suo libro: L'Idole et la distance, Paxigi 1977. 41 Antonio aveva mostrato ai filosofi ellenici che erano venuti a trovarlo la supe- tiotita dello spirito sulle lettere: «per chi # sano di spitito (nods byghiaines), le letrere non sono indispensabili» (Vita di Antonio, cap. 73). 116 Isaia di Sceti? sviluppa il tema della crocifissione del nods, ma & con Isacco il Sito che voglio terminare, perché egli appar- tiene a quella tradizione siriaca dionigiana che Robert Beulay ha cosi ben analizzato nel suo libro La dumiére sans forme. 3. La crocifissione, Pumilta ¢ la contemplazione. La crocifissione dell’intelletto nelle «Omelie ascetiche» dt Isacco il Siro“ a. L’azione e la contemplazione aa) Nel XXX discorso ascetico™, Isacco scrive: «La croce ha su di noi due effetti, cost come duplice é la no- stra natura. In primo luogo ci potta a sopportare le afflizioni della carne che ci vengono dall’ardore dell’anima, E quanto si chiama azione. Quindi ci porta all’opera delicata dell intellet- to, alla relazione divina, alla permanenza della preghiera e, suc- cessivamente, a cid che porta a compimento in noi il desiderio dell’anima e che si chiama contemplazione». La contemplazione purifica l’energia dell’amore che é il desi- 42. Abbé Isaie (saia di Sceti), Recueil ascetique, coll. Spiritualisé orientale, n. 7 bis, Abbaye de Bellefontaine 1985°. Vedere I"Annesso: «Entre Scété et Gaza, un mona chisme en devenir: Pabbé Isaie» di P, Guertic Couilleau. Isaia distingue nella vita di Gesh due teppe che satanno i] tipo delle due tappe della vite spirituales prima, la guarigione delle de e, poi, Ja salira sulla croce: «Se N.S.G.C. non avesse prima guarito tutte le passioni dell’uomo per il quale egli 2 venuto, non sarebbe salito sulla croce. Infatti, prima che il Signore venisse nella carne, I'uomo era messo a morte da tutto cid che era contro natura. Quando egli venne tra noi, risuscitd Tuome nuovo libero da ogni infermita. Fu allora che sali sulla croce» (Logos 8, 55). 43 Beulay R., La larsiére sans forme, Introduction a l'étude de la mystique chrétienne jyro-Orientale, coll. L'Esprit et te Few, Chévetogne 1987. 44 Cito Ja traduzione francese di Isacco il Siro, Isaac le Syrien, Oenures spiritueHes (= OS), traduzione e note di Jacques Touraille, Parigi 1981, correggencio semplices mente la traduzione di xods: al posto di «intelligenza» traduco aintelletto». Tuttavia dard ogni volta una duplice numerazione delle Omelie d’Isaceo: in primo luogo quella traduzione francese di J. Touraille a partire dal testo greco stampato (Theotokis) e, in secondo logo, Ja numerazione della traduzione americana delle Omelie (The Ascetical Homilies of Saint Isaac the Syrian = AH), teadotta datlo Holy Transfiguration Mona- stery, Boston, Massachusetts 1984, che segue press’a poco la numerazione dell’antico testo greco e del testo sitiaco occidentale, La tavola di corrispondenza tra le differenti edizioni siriache (2), greche (2), russa ¢ inglese 2 data in questo libro alle pagine CXIILCXY. 45 Taaac le Syrien, 30° Discours, OS, p. 191; Homily woo, AH, p. 13. 117 detio naturale come pure la parte dell’anima dotata d’intellet- to. Isacco distingue due parti nell’anima: «la parte sensibile del- Lanima» e «Danima dotata d’intelletto»; e mette in relazione da una parte la crocifissione della parte sensibile e dall’altra la crocifissione dell’intelletto e la contemplazione. 4L’azione purifica la parte sensibile dell’anima sotto la po- tenza del fervore». L’anima si tiveste della «fiamma del fervo- re», si corregge mediante «un combattimento ardente». Cosi & il fervore sensibile a purificare il sensibile. Non Pazione ma Ja contemplazione purifica I’ energia dell’ e- ros, secondo Isacco, cosi come essa purifica «la parte dell’ ani- ma dotata d’intelletto». La contemplazione purifica insieme I’e- ros e il nods. Ma questa purificazione finale non pud essere ottenuta se la purificazione della sensibilita non & gid compiuta: «Colui che prima di essere perfettamente esercitato nella prima parte passa alla seconda per amore del piacere che questa di- spensa, per non dite per inerzia, vede venire su di sé la collera, perché non ha prima guarito la malattia dei pensieri accettando nella pazienza l’oltraggio della croce. E quanto hanno detto in passato i santi: se /'intelletta vuole salire sulla croce prima di aver pacificato i sensi e averli guariti dalla malattia, attira su di sé la collera di Dio», Questo tema @ preso direttamente da Isaia di Sceti che scri- ve nella serie di Apoftegri del Légos 8: «Se lo spirito vuol salive sulla croce prima che i sensi abbiano cessato di essere malati, la collera di Dio viene su di lui, perché ha intrapreso un’ opera superiore alla sua misura, senza aver guarito i propri sensi»*”. La ptima purificazione, attraverso l’azione, comporta dunque: 1. la pacificazione dei sensi 2. ela guarigione della malattia dei pensieri «accettando nel- Ja pazienza Yoltraggio della croce». Prima di tutto la pacificazione: «Pacifica te stesso, e il cielo ¢ la terra ti colmeranno di pace. Sforzati di entrare nel tesoro del tuo cuore, e vedrai il tesoro del cielo. Perché i’uno ¢ altro sono il medesimo, Entrando in uno, contempli entrambi. La scala 46 Isacco il Sito, op. cit, 30° Discouss, OS, p. 191; Homily nwo, AH, p. 13. 47 ibid, 30° Discours, OS, p. 189; Homily two, ‘AH, p. 1h 118 di quel Regno in te, nascosta nella tua anima. Immergiti in te stesso per scoprire il peccato. La troverai i gradini mediante i quali potrai elevarti»®, La scoperta della «scala del Regno» e quella del peccato sono la stessa cosa, perché bisogna conoscere il proprio peccato per elevarsi sui «gradini» della santa scala. Percid occorre in primo luogo «immergersi» in se stessi per conoscere il proprio pecca- to, prima di «elevarsi» sui gradini della santa scala. Similmente, la guarigione presuppone la conescenza della ma- lattia, cioé il discernimento, e la confessione del male: «Colui che 8 malatoe che conosce la sua malattia ha il dovere di doman- dare la guarigione; colui che riconosce la propria sofferenza é vi- cino alla guarigione e la trover’ facilmente», ha scritto prima”. Pericolo di volersi elevare alla contemplazione senza aver rag- giunto la purezza> mediante l’azione. Per illustrare questo pericolo, Isacco prende due esempi: il mito platonico dell’occhio che fissa il sole — «Se la pupilla del- TYocchio della tua anima non é pura, non avere |’audacia di guar- dare il disco del sole per non perdere finanche la poca luce che & in tes*? — e la parola evangelica dell’invitato a nozze** che é stato respinto all’inferno per aver avuto «l’impudenza di an- dare alle nozze con abiti lordati»’. «La purezza dei pensieri — dice Isacco — ha la sua sorgente nelle pene e nella vigilanza. Dalla purezza dei pensieri nasce la luce del cuore», Soltanto dopo essersi purificato da tutte le malattie dei pen- sieri, ciod le passioni, il nos pud voler «salire sulla croce», E il momento della contemplazione che riguarda l’opera pitt delicata dell’intelletto nella sua relazione a Dio, la sua perma- nenza o la sua fissazione nella preghiera — in questo consiste Ja fissazione sulla croce — ¢ il compimento del desiderio dell’a- nima nella «tenerezza del raccoglimento» e «la gioia». bb} Vi & un altro testo sulla crocifissione del nods nel XVI 48 Ibid., 30° Discouss, OS, p. 169; Homily too, AH, p. 10. ® bid., 30° Discours, OS, p. 192; Homily too, AH, p. 50 Isaaco il Sito, @ eure au Saint Pave Spméon, OS, b. ‘as; Epistle to Abba Si- meon, AH, p. 439. 51’ Isacco it Siro, 30 Discosrs, OS, p. 192; Homily two, AH, p. 14. 52 Mt 22,11, 3 Isacco il Siro, 30° Discours, OS, p. 192; Homily two, AH, p. 14, 119 Discorso™4, B una preghiera che domanda a Dio la contempla- zione puta tramite la soppressione delle sensazioni, delle imma- ginazioni, dell’attivitd dei pensieri, e tramite I’amore e l’umilta: «Rendimi degno, Signore, di conoscerti ¢ di amarti, ma non con quella conoscenza che si acquisisce studiando e disperden- do Vintelletio. Rendimi degno di quella conoscenza mediante la quale ixtelletto guardandoti glorifica la tua natura nella con- templazione che toglie dai pensieri la sensazione del mondo. Ren- dimi degno di elevarmi senza pit considerare la volonta che ge- neta le immaginazioni, e di vederti, in forza del legame della croce, nel secondo tempo della crocifissione dell’intelletto che ri- posa in piena iberta lontano dall attivita dei pensieri, contenplan- doti continuamente al di sopra della natura. Aumenta in me la tua carita, affinché fuori da questo mondo io segua il tuo amo- re. Donami di comprendere Ia tua umiltd. Ricordandomi di te senza posa € senza mai dimenticare, possa io assumere con pia- cere l’umilta della mia natura». Vi sono due maniere di salire sulla croce. Una é la crocifissione del corpo, Valira ct eleva mediante la contemplazione. La prima viene dalla liberazione dalle passioni, la seconda ci data attra- verso lenergia delle opere dello Spitito. Infatti Pixtelletto da parte sua non si sottomette se il corpo non gli & sottomesso. Tl tegno dell’iztelletto & la crocifissione del corpo. L’ ivtelletio non si sottomette alla ragione. Vid qui, come in 1Cor 15, una relazione di subordinazione del corpo all’intelletto ¢ dell’ intelletto a Dio. Il corpo & sotto- messo all’intelletto quando le passioni sono sottomesse alla ra- gione: & la crocifissione del corpo. L’intelletto regna allora sul corpo che é il suo «regno». D’altra parte Pintelletto & sotto- messo a Dio quando la libertd & sottomessa alla ragione. Que- sta sottomissione dell’ intelletto a Dio @ al tempo stesso una sot- tomissione dell’universo all’intelletto: «Colui che & sottomesso a Dio non & lontano dal sottomet- tersi l’universo. A colui che conosce se stesso ¢ data la cono- scenza di tutto. Poiché conoscere se stessi @ il compimento del- Ia conoscenza dell’ universo. Attraverso la sottomissione della tua anima, tutto si sottomette a te. Dal momento in cui l’umil- t& regna nella tua condotta, la tua anima ti & sottomessa, e con lei tutto ti sar sottomesso. Poiché Dio fa nascere nel tuo cuore 94 Tbid., 16° Discours, OS, p. 118; Homily thirty-six, AH, pp. 161-162. 120 Ja pace. Al contrario, se vivi fuori dell’ umilta, sarai sempre pet- seguitato non solo dalle passioni, ma dagli avvenimenti. In ve- rita, Signore, se non umiliamo noi stessi, sei tu che non ces- serai di condurci all’umilta. La vera umilt& genera la cono- scenza»*, Osserviamo la concatenazione dei pensieri: la crocifissione dell’intelletto la sottomissione della libert’ alla ragione o del- Vintelletto a Dio. Ora, questa sottomissione non pud avvenire senza una conoscenza di sé — ecco la riutilizzazione cristiana del «conosci te stesso» — che, da parte sua, suppone !’umilta. b. L’asmilta L’umilta 2 Pornamento della divinita. Facendosi uomo il Verbo se ne & rivestito. Per mezzo di essa vissuto con noi nel nostro corpo. E chiunque se ne é avvolto si é fatto simile in verit’ a Colui che & disceso dalla sua altezza e ha ammantato, con I’u- milta, la sua grandezza e la sua gloria affinché, alla vista di lui, la creazione non fosse consumata™, L’umilta é il proprio della nostra condizione umana, fatta di un po’ di terra, humus, ma non diventa una virtd divina se non quando il Verbo riveste la nostra umanita. Movimento, ad un tempo, di kenosi del Cristo e di velamento della gloria di Dio, il quale rimane nascosto nella sua stessa rivelazione «affinché Ja creazione non sia consumata». Ora, proprio perché P'umilta @ in primo luogo una virti cri- stica, essa @ la virth cristiana per eccellenza, la virti: dei disce- poli di Cristo. Colui che si @ rivestito di umilta «si & rivestito dello stesso Cristo: poiché ha desiderato portare nel suo uomo interiore la stessa umiltd con la quale Cristo si @ rivelato alla sua creazione ed é vissuto in essa, cosi come si rivela ora ai suoi servitori. E invece della veste dell’onore e della gloria esteriori, si é ornato di questa umilta, Reco perché la creazione nella ra- gione e nel silenzio del Maestro, quando vede un uomo rivesti- to della somiglianza, eli porta riverenza e onore come al suo Mae- stro che ha visto vivere in lei rivestito di umilta»*’, L’umile porta nella sua umiltd la somiglianza di Cristo; in tal 3 Ibid., 16 Discours, OS, p. 118; Homily thirty-six, AH, pp. 162-163. 56 Ibid., 20° Discours, OS, p. 137; Homily seventy-seven, AH, p. 381, 57 Ibid., 20° Discours, OS, p. 138; Homily seventy-seven, Ad, p. 382. 121 modo «é stato dato alla creazione di ricevere nella mediazione di un tale uomo la visione del suo Creatore»*, Ma che cos’é l'umilta? E il sale di ogni virtt’?, la conoscenza e la compunzione® o lafflizione per tutte le colpe commesse. E tuttavia dice Isacco: «Noi non chiamiamo umile, sebbene la cosa sia degna di lode, colui che si umilia nella memoria delle sue colpe e dei suoi erro- tie se ne ricorda finché il suo cuore non sia spezzato... Il perfetto umile 2 colui che won ba bisogno di far ntilla nel suo cuore per essere umile. Ma perfettamente e naturalmente possiede in tutto l’umilta senza industriarsi pet averla. L’ha ri- cevuta in sé come una grande grazia che supera tutta la cteazio- he ¢ tutta le natura. Ai suoi stessi occhi egli appare come un peccatore, un uomo da nulla e disprezzabile. E entrato nel mi- steto di tutte le creature spitituali, porta in sé la sapienza di tutta la creazione con ogni esattezza, ¢ tuttavia ritiene di non sapere nulla», Cosi l’umile colui che non fe nulla e non sa nulla. Lumilta 2a un tempo una grazia e uno stato «naturale»: & la perfezio- ne. L’umilta & a un tempo uma conoscenza sapienziale dei mi- steri — perché, secondo la Scrittura, «i misteri sono rivelati agli umili» — mediante la potenza dello «Spirito Consolatore »®, eil non-sapere delle cose di questo mondo e di se stessi. L’umi- le non sa di-essere umile, come colui che prega veramente non sa di pregare®, Vi 2 una nescienza dell’umilta, come vi ¢ una nescienza nella tenebra veramente mistica* di cui patla lo Pseudo-Dionigi. L’u- miltd del cristiano che segue Cristo ritrova l’incoscienza di Mosé che entra nella Tenebra. Ma Mosé rimane avvolto nella Tene- bra, mentre il cristiano riposa sul seno di Cristo. «Se ha sentito in spirito d’aver ricevuto questa grazia (quan- 38 Ibid., 20° Discours, OS, p. 138; Homily seventy-seven, AH, p. 382. » Ibid, 4 Discours, OS, p. 273: “«Quel che il sale & per ogni dbo, Pumiltd & per ogni virth. Essa pud spezzare la forza di numerost peccati. Pet acquistarla, devi ae gerti continuamente nel tuo intelletto, nella discrezione ¢ nella tristezza ; Homily sixty-nine, AH, p. 338. |, 21 Discours, OS, p. 145: «Colui che non conosce Ja propria debolezza manca infatti di umiled. Nessuno pud conguistare 'umilta, se non seguendo le sue vie che spezzano il cuore ¢ annientano Ja presunzione»; Homsily eight, AH, p. 69. 61 bid., 20° Discours, OS, p. 140; Homily seventy-seven, AH, p. 383. & Ibid., 20° Discours, OS, p. 141; Homily seventy-seven, AH, p. 384. ® Cfr. Apaftegma: «Cobui che sa di pregare non prega veramente». MT I, 1001 AC. 122 do lo Spirito rende testimonianza al suo spirito® secondo la pa- rola dell’ Apostolo), in questo consiste la perfezione dell’umil- ta. Beato colui che la possiede. Perché in ogni momento stringe il seno di Gest». Conelusioni La teologia negativa e la croce. Che cosa concludere? 1. La negazione che cerca di dire I'Ineffabile appartiene an- cota all’ ordine del linguaggio, e di un linguaggio teclogico, mentre sulla croce é la Parola crocifissa che dona se stessa. La morte dell’ uomo-Dio é di altro ordine rispetto alla negazione. Come il silenzio del Verbo ha altra pienezza rispetto all’Ineffabile puro. 2. Seguendo Cristo, i suoi discepoli hanno piantato la croce al centro di tutto: essa diviene I’asse dell’antropologia cristiana | in quanto é il luogo del? unione con Dio: — per Dionigi, l’unione con Dio avviene non soitanto fuori del corpo, ma-«oltre Pintelletto» e questo «oltre» rimane im- precisato; — in Isacco, la duplice crocifissione del corpo e dell’ intellet- to (XVI Discozso) 0 Ja triplice purificazione del corpo, dell’ani- ma e dell’intelletto (XVII Discorso) & operata dall’unica croce sulla quale avviene P'unione dell’uomo intero con Dio. 3. L’umilta gunge a compimento, come Vesperienza mistica, nei- Pinconoscenza di tutto e di se stessi. L’ingresso nella Tenebra e T’ingresso nel Regno sono una cosa sola. Lumilta 2 la realizzazione della somiglianza cristica, la cono- scenza dei misteri rivelati agli umili dallo Spirito, il riposo sul seno di Cristo, I’bésychéa. E il segno dell’ abbassamento dell’uo- mo necessario all’elevazione del suo spirito verso Dio nella via apofatica, L’annientamento della kenosi precede la via apofati- ca, come l’esaltazione della croce compie !’elevazione apofatica. La via apofatica apre la dimensione della trascendenza divina, mentre la potenza della croce & la manifestazione della gloria. 65 Rm 8,16. 6 Jsacco il Siro, 20 Discours, OS, p. 141; Honsily seventy-seven, AH, p. 385. 123 4. Questa potenza é presente nell’eras che @ un eros croci e sta forse qui la differenza fondamentale fra la Teologia misti- ca di Dionigi e le Oncelie ascetiche di Isacco il Siro: per Dionigi, che riprende la frase di Ignazio d’Antiochia, ad essere crocifis- so é Heros, per Isacco il Siro, sulla scia di Isaia di Sceti, 6 iZ nods. La croce & dunque posta al cuore della teologia negativa e al centro dell’uomo, come il luogo dell’unione con Dio. Rimane un punto che non ho trattato: gueilo della relazione fra Ia teologia negativa, la tealogia simbolica e la croce. La croce che crocifigge il sensibile e l’intelligibile apre la profusione dei sensi spirituali; «il profumo» del Vivente, l’acqua e il sangue che lava e inebria, ecc. Il corpo purissimo di Cristo crocifisso € risorto é il principio non solo di una spiritualizzazione dei sensi, ma soprattutto di una traduzione sensibile di tutti i movimenti dell’anima, in quanto hanno come oggetto il corpo di Cristo. Similmente, l’immagine e la realta della tomba che racchiude il corpo divengono il simbolo e immagine spirituale dell’espe- tienza della sepoltura delio spirito nella morte, donde risorge grazie all’illuminazione battesimale. Se lV’ aphatresis & la purificazione dei simboli che fa apparire un senso spitituale, inversamente il misteto della ctoce, in quanto mistero del corpo crocifisso del Signore, da all’anima l’esperienza spitituale dei sensi spirituali: essa sente «come in un corpo spi- tituale» ¢ dilata la propria respirazione al soffio dello Spitito, il proprio tatto al corpo dell’Amato, il proprio udito alla Paro- la, i propri occhi al suo valto, Si tratta forse gid di un’esperienza di risurrezione in cui i mo- vimenti dell’anima si traducono in un corpo spiritualizzato? Sul piano simbolico, vi sono dunque due esperienze inverse: 1) quella dell’apofasi che libera lo spirituale dal suc involu- eto materiale, corporale e simbolico in vista di una éhedria in- corporea; 2) quella della croce che, proprio mentre crocifigge il sensi- bile e Dintelligibile, apre attraverso i sensi spirituali una perce- zione nuova del mistero. 124

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