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IL «COR» NELLA SPIRITUALITA DI SANT’AGOSTINO Vittorino Grossi osa Istituto Patristico « Augustinianum» Premessa I termine «cor», in tutta la sua indefinita gamma di possibi- lita, attraversa l'intera opera di Agostino. Esso costituisce in- fatti e tenta di esprimere la sintesi del suo pensiero antropolo- gico. I noti studi in merito diJ. Stelzenberger, di A. Maxsein, di Eduardo De La Peza e di A. Solignac hanno gia messo in luce il significato pregnante che «cor» ha negli scritti agosti- niani, sia come categoria filosofico-antropologica, sia in ambito pid strettamente teologico-spirituale. L’indagine di «cor» negli scritti di Agostino si presta ad ap- procei ben precisi: quello psicologico (in particolare in chiave junghiana, il «cor» sarebbe sinonimo dell’«inconscio»); quello filosofico-antropologico (l’uomo é il suo «cor» é le categorie epi- stemologiche corrispondenti); quello teologico (i «cor» é la ri- sultanza dell’incontro libero arbitrio - grazia di Dio). Da parte nostra non oseremo sviluppare le tante questioni coinvolte nel termine agostiniano di «cor», tuttavia ci sforzeremo, nella pre- sente ricerca, di enunciarle almeno brevemente in un quadro metodologico d’insieme, unificandole nell’espressione di «ocu- lus cordis». Il nostro approccio & percid teologico-spirituale, vale a dire mira a considerare nel termine agostiniano di «cor quel filo che unifica e filtra il concreto esistere di un credente. Le questioni da tener presenti sono particolarmente tre: 1) I contesto della tradizione latina del termine «cor», in partico- lare quella cristiana africana. 2) L’analisi cronologico-spirituale del vocabolario agostiniano di «cor» e relativa famiglia seman- 125 tica, in particolare del termine «misericordia». 3) L’espressio- ne «oculus cordis» e il suo stretto rapporto — in quanto corre- lazione alla libert del!’uomo, frutto della cooperazione del li- bero arbitrio e della grazia di Dio' — con il desiderio, in rela- zione sia a Dio che al proprio simile, tramite le categorie della misericordia e dell’amicizia. 1. Il termine «cor» nelle tradizione latina I latini, in riferimento all’attenzione o meno del «cor» da- vanti a situazioni di bisogno, indicavano una triplice classe di persone: il «socordes» o il sonnolento, il quale si accorge ¢ non si accorge di dover intervenire; il «vecordes» o 'addormenta- to, la cui coscienza non avverte pit valori superiori; il «corda- tus» o colui che & attento a cid che sta succedendo, pronto ad intervenire. Exa questa ad esempio la dimensione costante del- ja Madre di Gest riguardo al mistero del Figlio, espressa dall’e- vangelista Luca con l’espressione: «Maria conservava tutte queste cose nel suo cuore» (Le 2,51). La tradizione cristiana latina e quella africana preagostinia- na ne faceva diverse applicazioni. Clemente Romano ad esem- pio parlava di «occhi del cuore» per indicare nel: Cristo colui «che ha aperto gli occhi del nostro cuore» (1Corinzi, 36,2, Funk I, 145}, e Cipriano rilevava che la preghiera non Ja esprimono le parole bensi il cuore (De oratione dominica, 4-6, CSEL 3, 268-270), nel significato dell’uomo nella sua totalit’ di orien- tamento. «Cor» era percid nel mondo latino-cristiano espres- sione antropologica di uomo nel suo essere concretamente orientato®. Valga un testo di Agostino a precisarne il concet- to. Egli, sviluppando in un sermone (il 293, 3, PL 1328-1329) il tema del Battista come «vox» e del Cristo come «Verbum» parla del problema della comunicazione tra due esseri. Questa £ Agostino usa per lo pit «libero arbitrio» per la capacitt umana di scegliere, pro- pria di ogni uomo, da lui ritenuta un dato rivelatoci dalle sacre Scritture (wedi ad es. De gratia et libero arbitrio, 1, 158); iM termine Sermo 293, 3: «Vox sine verbo aurem pulsat, cor non sedificat. Verumtamen in ipso corde nostro aedificando advertamus ordinem zerum. Si cogito quid dicam, iam ‘yerbum est in corde meo: sed logui ad te volens, quaero quemadmodum sit etiam in corde tuo, quod iam est in meo. Hoc quaerens quomode ad te perveniat, et in corde two insideat verbum quod iam est in corde meo, assumo vocem, et assumpta voce lo- nor tibi: sonus vocis ducit ad te intellectum verbi, sonus quidem ipse pertransit; ver- Sum autem quod ad te sonus perduxi, fam est in corde tuo, nec recessit a meow; ir Jo. ev, 9, 13: «Quid enim prodest strepitus orés, muto corde? s. + Gli seudi pid significativi sul «cor» in Agostino sono, in otdine eronclogico: J. Stelzenberger, Conscientia bei Angustinus, Paderborn 1959; E. De La Peza, E? signi- cado de «cor» en san Agustin, Paigi 1962; A. Maxeein, Philesophia Cordis. Das Wesen der Personalitit bei Angustinus, Salisburgo 1966; A. Solignac, Homme intérieur in DSAM ‘VID/t (1969) 655-658; G. R.A. Meershoek, Le latin biblique d’aprés saint Jérémse. Aspects Enguistiques de la renconive entre la Bible et le monde classique (LCP 20), Nimege-Utrecht 1966 (Gi hanno indicazioni del mondo classico sul termine «cor»). 127 ta come liberazione dai vizi (il cuore pud essere «mondo e¢ im- mondo») e non come possibilita di capriccio (la fase etica della concezione della liberta agostiniana); 3) la comprensione della liberta relazionata alla grazia (liberth-grazia, il binomio agosti- niano della polemica pelagiana). Lo scritto De Libero arbitrio con- templa le prime due fasi, vale a dite il libero arbitrio considera- to in sé nella sua possibilita di autonomia; la terza fase, quella della comprensione della liberta non come capacita (il libero ar- bitrio, un dato non soggetto a discussione) ma come problema antropologico, cioé quale equivalente del mistero uomo, essere dialogico, uomo-Dio anche nell’ agire. Cid costitui la riflessione matura di Agostino dal sorgere della polemica pelagiana (anno 411) sino alla fine della sua vita (anno 430). 3. L’espressione , di colui cioé che & capace di una chiave di lettura (spirituale) di tutta la realid. L’«oculus cordis» 2 da lui considerato un vero senso nell’ordine della co- noscenza:e dell’ attrazione amorosa, descritto in qualche modo sul modello dei sensi corporei. Agostino parla cosi di una «vo- luptas cordis» (sulla scia della volutt® propria ai sensi del cor- po) applicandola alla percezione della fede, dell’amore di Dio 3 Per questo paragrafo rimandiamo al nostro contributo, La spiritualit2 agostiniana inLe i seuole della spiritualita cristiana (a cura di E. Ancilli), Roma 1984, pp. 159-206, in particolare pp. 189-194. 128 e delle realt& invisibili®, L’« Per idue significati diamo qualche testo di Agostino dal suo Commento a Giovan- nit: In To, ev., 90, 2: «Non possumus hominum indagare conscientiam... Quid enim tam humanom quam non posse inspicere cor humanum... quia homines sumus... donee veniat Dominus... et manifestet cogitationes cordis»; In Io. ev., 3, 21: «Quid pulchrius, siocu- loscotdis intetroyes? »; In Io, ev.,18, 10 (stil «tedite ad cor); fal0. e0., 44,15: «Tacredis in Filium Dei? Modo lavat faciem cordis... Denique iam facie lota cordis et mundatacon- scientias; I To, ep., 6, 3: Agostino, appoggiandosi su 1Gv 3,19 («Coram ipso persuade- mus cordi nostro») e Mt 6,3 (a Nesciat sinistra tua quid faciat dextera ua»), commenta: «Nisi quia dextera, pura conscientia est... Ante Deumes, interroga cor tuum: vide quod fecisti, et quid ibi appetisti salutem tuam, an laudem hominum ventosam. Intus vide»; vedi anche fri 6, 4-5; Jo. ev., 32, 1 (sul cambiamento del cuore}: « Qui amat migrat. Et aliud est migrarecorpore, aliud corde: migrat corporequi motu corporis mutat locum; mi- grat corde, qui motucordis mutaé affectum, Sialiud amas, aliud amabas, non ibies ubieras», 129 dell’). 30 Joi, 1, 26, 27 © 28, 29. Un'opera sintesi di tale impo: stazione etico-antropologica, basata sul ricupero del valore positive del corpo anche a livello di natura, fir certamen- te il De bono matrintonii dell’anno 401. In essa Agostino considera infatti come un bene sia !amore coniugale nel suo insieme (per legge naturale eutei godono il bene pro- prio dei coniugi, la «fides, ¢ quello dei figli, «bonum prolis») sia il bene proprio dei ctistiani dato loro dal sacramento («bonum sacramenti»). Oltre al De bono matrimonii, vedi sui tre beni def matrimonio De Genesi ad litenant, 9, 7, 12: fides-proles-sacramentusn; De nuptiis et concupiscentia, 1. L'Ep. 6, 5e7 (Divjak’ BA 46b, 130. 142} istituisce un 135 Il ricupero antropologico dell’uomo unit corpo-anima portd Agostino a precisare la conoscenza «per oculum cordis» ¢ a svi- luppare, dagli inizi della polemica pelagiana in poi (411-420), la sua concezione dell’«uomo spirituale», la cui conoscenza coin- cide con quella sapienza che si fa carico delle fatiche della Chiesa diffusa su tutta la terra, ¢ ciod «cattolica». Prima di tale perio- do P«oculus cordis» viene detto «]’occhio dell’uomo interiore» all’interno della categoria antropologica «homo interior - homo exterior». Scriveva ad esempio nel Contra ep. Fundanzenti (2-3) dell’anno 396 (inizio del suo episcopato): «Con quanta diffi- colta si sana l’occhio dell’uomo interiore perché possa vedere la sua luce». 2) La misericordia - Agostino, dall’anno 396 in poi, indicd nelle categorie epistemologiche della « misericordia» e dell’ «ami- cizia» — che pose sotto il principio etico del retto uso dell’«uti» e del «frui» — la strada del possibile incontro tra Puomo e il suo simile. Egli intu che la misericordia, come @ una delle me- diazioni possibili dell’incontro Dio-uomo, cos) lo é anche degli uomint tra di loro. La parola «misericotdia» traduce, negli scritti agostiniani, in primo luogo l’esperienza che l’uomo ha di Dio quando egti si converte a Jui, e anche l’esperienza che l'uomo ha del suo simile nei momenti di bisogni primari. L’Ipponate indicd tale esperienza come una mediazione necessaria per I’e- sistenza umana perché, senza di essa, I’uomo vivrebbe nella mi- sera condizione di un essere errabondo, non potendo sperare di potersi rivolgere a Dio né al suo simile, né sperare che essi si rivolgano a lui. La condizione di «miseria» é infatti congeni- ta ad ogni figlio di Adamo. Se nelle Confessioni Agostino, scrivendo la sua biografia, ele- yo un canto alla misericordia di Dio che lo aveva avvicinato nel suo errare, nel Commento ai salvai parld siroultaneamente della misericordia di Dio e di quella dell’uomo che soccorre il pro- confronto tra la «concupiscentia bona coniugum» e quella propriamente della carne, non usata dai continentie dalle vergini: «Contra cuius impetum repugnantem legi mentis omnis castitas pugnat et coniugatorum, ut ea bene utantur, et continentium vitginam- que sanctarum, ut ea melius et gloriosius non utantur» (6, 5): «Quidquid prolis ex eis per illam catnis concupiscentiam nascitur, quam non bona ipsi per bonam nuptiarum concupiscentiam bene utuntur» (6, 7). L’accento posto in questa lettera, degli anni 416-420, sutla bont& della concupiscenza degli sposi che comprende la castit’ coniuga- le (la «fides»), la «profes» e la vita in comune (Ep. 6, 5), & nella linea del De bono matrimonii del 401. 136 prio simile. In modo poi abbastanza continuativo e insistente parld del bisogno di misericordia per chi cerca Ja verité «costretto - — come disse di se stesso — a farsi strada attraverso sentieri intricati ed oscuri» (De Trinitate, 1, 3, 6). «(Io ero) febbricitan- te, tormentato dall’arsura della verit’ e tu, Dio mio, te lo con- fesso, avesti misericordia di me quando ancora non ti conosce- vo» (Conf, 3, 6, 11). L’Ipponate esplicitd la categoria «miseticordia» approfonden- done l’etimologia: un termine composto dalle parole «miseria» e «cuore». Con «cor», dalla radice latina «urere», bruciare, Ago- stino indicd la capacit’ di eliminare il negativo morale presente in un’altra persona — che anzi lo brucia — ma soprattutto l'uo- mo stesgo nel suo concreto esistenziale, git a scelte avvenute del suo libero arbitrio. In quest’ottica, propria del periodo pe- Jagiano, I’uomo é detto da Agostino «cor», 2 costituito ciot dal suo «amore» (il tema sviluppato nella Citta di Dio, scritta negli anni 413-426). Porsi pertanto il problema del cuore umano & porsi, in terminologia agostiniana, il problema stesso dell’uo- mo; e indagare nel suo cuore é voler guardare nelle profondita del mistero dell’uomo, indicato dalle Scritture con Pespressio- ne «il cuore @ un abisso»!, Ivi mai nessuno é disceso né vi pud giungere del tutto. Agostino avverti tuttavia che, nonostante cid, ’'uomo vuole guatdare dentro se stesso e ne cerca la strada. Egli la indicd in Dio perché questi, penetrando ogni recesso del creato, pud giungere anche-nelle profondita del cuore umano. L’ Agostino credente intravide che Dio porta in sé il segreto del mistero dell’uomo, e che anzi proprio ne! suo «cor» ha Ja sua dimora. Dio infatti con la sua presenza risana il cuore contrito, accoglie come offerta gradita il cuore umile ¢ l’uomo «ritrova quel Dio dal quale allontanarsi & cadere, al quale rivolgersi & risorgere, nel quale rimanere @ stare saldi, al quale ritornare & tinascere, nel quale abitare & vivere» (Solilogui, 1, 1, 3). In tale ottica egli lesse anche i riti prebattesimali degli scru- tinii in uso al suo tempo per i catecumeni, quali riti di media- zione di misericordia (convergenza della «scrutatio legis divi- nae» da parte dell’uomo con la «scrutatio cordis hominis» da parte di Dio). 11 Y testi della Scrittura sull’insondabilits del cuore umano sono Sir 1,2; 7,5; 42,18; Sal 43,22; 63,75 Sap 1,6; Pro 25,3; Ger 9,3 ¢ 17,10, ed hanno una sintesi in Agostino nel espressione delle Confession (4, 14): «Grande profundum est ipse homo». 32-V. Grossi, La Utrrgia battesimale in $. Agostino, Roma 1980, pp. 453s. Ripor- 137 L'altro termine, abbinato a «cor», & quello di «miseria»: l’in- digenza (fisica, morale, spirituale) che minaccia la sussistenza stes- sa di una creatura. Chi é in miseria infatti, poiché & perseguita- to da tale indigenza, vive ai margini della vita dei propri simili. Ma essa, avvicinata dal cuore («urere»), come investita da un incendio viene ad essere distrutta, La misericordia indica per- cid il «cor» (’uomo) pronto ad intervenire 18 dove l’indigenza {la miseria) sta provocando la morte di una vita. L’uomo, ogni uomo, rileva Agostino, perché figlio di Adamo, nasce nell’«hu- mus» della miseria, gravido di un’indigenza che lo espone al mo- rire come condizione permanente. Nella sete di vivere di ogni esistenza umana c’é percid sete di misericordia, Questa, consen- tendo al cuore umano di uscire dalla sua indigenza, lo avvicina a Dio, agli altri, a se stesso. La misericordia diventa cos) una delle strade obbligate per Dio e per gli uomini per potersi incontrare nelle loro radici pid profonde. In Cristo le due vie, quella di Dio e quella dell’uomo, s’inconteano, percid lui @ la via, la verita, la vita dell’uomo. Agostino chiama pertanto Dio e Cristo col no- me di «misericordia». Nella scia di Ambrogio, che aveva visto nella misericordia una delle radici di consanguineita tra gli uo- mini («Ci fa prossimi P’uno dell’altro non la parentela bensi la misericordia», Commento a Luca 7,84), Agostino la teorizza ad. unica strada possibile di Dio, di Cristo e degli uomini per poter- siavvicinare ¢ comunicarsi vita. Egli scrisse lapidariamente: «Ce- cidit homo miserabiliter, descendit Deus misericorditer» (Sermo 128, 1). E, commentando Pincontro di Gesit con la donna adul- tera (Gv 8,10), si espresse con linguaggio statuario: «IIlis ergo discedentibus, remansit peccatrix et Salvator: remansit aegrota et medicus: remansit misera et miseticordia» (Sermo 13, 5). La misericordia del «doctor» (il teologa) - Una delle principali applicazioni sulla «misexicordia» venne fatta da Agostino a pro- posito del ministero nella Chiesa del «dottote» o dell’«uomo spirituale» o del «teologo», diremmo noi, o dell’intellettuale in genere. A lui compete per ’Ipponate quell’ufficio di vigilanza tiamo qualche testo: «Fides cogitet: fides in mente est, in fandamento cordis est fi- des» (Sermo Guelf 20, 2: MAg I, 505.506); «(In corde} sedet Christus... (cor) possidet diabolus » (Ev. in ps. 148, 2); «Cor diffidentis non videnms; ...{Christus) qui et verba audivit et cor inspexit» (Ix Io. ev., 16, 3). 33 Pey una esposizione pid) ampia vedi V. Grossi, Valenza antropologica della mise- sicordia in S. Agostino in Dives in misericordia (Stadia Urbaniana 13), Roma 1981, 189-195. 138 che non consente alle sottigliezze della ragione di nascondere ipropri veleni talvolta anche all’interno delle verita pit assoda- te, come il Simbolo di fede per i cristiani (De fide et synzbolo, 1, 1). Tale lavoro qualitica gli addetti quali docti et spirituales viri (De fide et synabolo, 1, 1; 9, 18) petché capaci di comunica- re ad altri la propria fede*4. Due condizioni previe costituisco- no la tonalit’ del vigilare del «doctor», che & un lavoro di «mi- sericordia». La prima é la non animosita verso l’uomo di cultu- ta, ben sapendo quanto costi nella vita guadagnarsi un briciolo di veritt?*; la seconda é di «preferire imparate piuttosto che in- seghate», «informarsi prima di dire qualcosa», per non cadere nella parzialitd della ricerca e quindi nell’errore**. A cid Ago- stino aggiungeva la coscienza che un intellettuale ha di potersi sbagliare — un’ autocoscienza di enorme responsabilita parlan- do egli anche alle generazioni future?” — e quindi la necessita di sottoporre a continua verifica i propri risultati®’. Il teologo tuttavia, put nei limiti del suo lavoro, 2 «Puomo spitituale» che consente ai cristiani di riannodare i fili sparsi del loro esistere, soggetto a dissolversi nella frammentarieta del tempo”. Per 34 De fide et spmbolo, 1, 1: «Sub ipsis ergo paucis verbis in Symbolo constitutis, plerique haeretici venena sua occultare conati sunt: quibus restitit et resistit divina mi- sericordia per spirituales vires, qui catholicam fidem, non tantum in illis verbis accipe- re et credere, sed etiam Domino revelante intelligere atque cognoscere meruerunt »; 9, 18: ¢Et de Pate quidem ac Filio multis libris disseruerunt docti et spirituales viri ». 3 Bi rimasto giustamente famoso-quanto Agostino affermd in merito net Contra ep. manichaet quam vocant Fundamenti, 2-3: «Infieriscano conto di voi (maniched) co- loro che non sanno con quanta fatica si trovi la verit’, e quanto sia difficile non cadere nell’errore. Infieriscano contro di voi quanti non sanno quanto sia arduo ¢ rato supera- re con la serenit’ di nna mente pia i fentasmi della carne. Infietiscano contro di voi quanti non sanno con quanta difficolt’ si sani l'occhio dell’uomo inceriore perché ess0 possa vedere la sua luce... Infieriscano contro di yoi quanti non conoscone i gemiti ¢ i sospiri che da ogni parte implorano di poter “‘intelligere” Dio. Infieriscano infine contro di voi quanti non sono stati ingannati dall’errore che vedono in voi. Io invece che tanto a lungo giacqui prostrato e finalmente ho potuto intravedere quella sincerita della mente che si percepisce senza il racconto di una inutile favola ... assolutamente non posso infierire contto di voi». 38 De fide et symbolo, 9, 18: «.. Impias haereticorum mentes privs volentes doce- re quam nossen; Ep. 193, 13: «Prius discere quam docere». In Cipriano, Ep. 72 € 74, 16 c’a il medesimo pensiero. 37 Per Agostino, vedi ad es. Conf, 2, 3, 5: «Davanti a te io racconto cid al genere umano... ¢ perché? Perché io e il mio eventuale lettore consideriamo con quale profon- dita bisogna gridare verso di te»; vedi anche ¢ soprattutto #i, 12, 31, 42. 38 De dono perseverantiae, 21, 55 dove affronta Pintera problematica, sina a dire: «Quandoquidem arrogantius loquor quam verius, si nunc dico me et perfectionem sine ullo etrore scribendi iam in ista aetate venisse». 39 L’espressione tecnica di Agostino, molto difficile a tradursi, & dissilad i tentpo- ra. Su tempo ¢ libert&, un tema tanto vivo anche nel dibattito culturale attuale, riman- 139 mezzo di tale lavoro la misericordia divina fa si che i fedeli non solo ascoltino e credano ma anche conoscano e comprendano Ja fede cattolica*®, come loro stessi hanno meritato di conoscer- la e di comprenderla, Il teologe indica almeno le difficolta delle questioni se proprio non riesce ad eliminarle*! e, per tale lavo- ro, é da stimarsi «un uomo di bene». La radice di tale stima T'Ipponate la fonda nella natura della parola «teologica», che non 2 da considerarsi un mero frutto intellettuale con finalita asé stante. Nascendo infatti dalla carit di Cristo, mira a giun- gere all’interlocutore come parola rivolta a lui «salutariter> e «in modo adeguato e utile». Sctisse a proposito di una sua ti- sposta ai monaci provenzali, nell’anno 428: «(Dio) possa porta- re loro il nostro affetto e il ministero della parola. Chissa che Dio non dia loro l’illuminazione richiesta (per mezzo della pre- ghieta) per la disponiibilita di servizio che ci fa servitori nella libera carita di Cristo? »?. L’essenza della parola ctistiana é nell’essere setnpte salutart- ter per colui cui viene indirizzata. A proposito della predestina- zione, egli notd ad esempio il male che si potrebbe produrte nel- Vuditore con una non accorta spiegazione («non sarebbe salute per l’infermit’ umana»), anche se non si dice il falso#. Nel proporre Ja verita va seguito sempre il principio che l’uditore sia «quadam suavitate coaptandus»”. Nella risposta a Giulia- diamo alla rivista Centauro, n. 16 (I moderno e la libert’), nn. 1718 (Tempo ed eter- nit), anno 1986 (Guida edirori, Napoli). ® De fide et symbolo, 1, 1: «Ai veleni degli eretici. .. si oppone la divina misericor- dia attraverso i teologi (per spirituales viros), i quali hanno meritato non solo di ascoltare edicredere alla fede cattolica, ma anche “Domino revelante” di capirlae di conoscerla». 41 De Aaer., prol. 10-12: «Ut per ministerium linguae meae tanta huius rei diffi- cultas aut ostendatur tantummodo aut, ipso etiam plenius adinvante, tollatur». Su tale fede Agostine si accinse @ scrivere, nell’ultimo anno della sua vita, il De baeresibus, Hmasto incompiuto (la parte riguardante «da che cosa nasce l'eretico», cortis, II libro}. 42 De utilitate credendi, 4, 11 (dell’anno 391, data della sua ordinazione a presbi- tero): «Un vomo preoccupato di rendersi utile al genere umano e alla posterita @ un uomo di bene». ® De pmedestinatione sanctornm, 1, 2. Ripartiamo V’intero testo latino: «Ipse (Deus) hoc quoque revelabit; tamen etiam nos impendamus eis dilectionis affectum ministe- siumque sermonis, sicut donat ille quem rogavimus, ut in his litreris ea quae illis essent apta et utilia diceremus. Unde enim scimus ne forte Deus noster id per hanc nostram velit efficere servitutem, qua eis in Christi libera charitate servimus? ». 44 Parlando della predestinazione in seconda persona invece che in terza persona, per Puditore sarebbe citmprobissimum, importunissimum, fncongruentissimam; non falso eloquio, sed non salubsiter valetudini humanae infirmiratis apposito... Nonne et ve- rius eadem res et congruentins dicitur? » (De dono perseverantiae, 22, 61). 45 Rety., I, 13, 1: «Quanta misericordia eius pet temporalem dispensationem con- 140 no di Eclano che non si preoccupava di tutto cid, Agostino sin- tetizzd ’insieme del suo pensiero: «(Giuliano) piace a se stes- so, ma dispiace ai lettori»**. Tl lavoro intellettuale (teologico) dell’«uomo spirituale » si di- stingue infine nettamente, nella valutazione del vescovo d’Ip- pona, da quello dell’intellettuale eretico, sia per il metodo sia per i frutti che produce. L’uomo spirituale prima conosce e poi insegna; |’eretico invece, volendo insegnare prima di conosce- re, fa un lavoro il cui fratto @ indurre gli altri nell’errore*’, L’antico adagio classico «melius est discere quam docere», che connotava la dimensione del maestro di fronte alla veritd di ri- tenersi anche lui sempre un discepolo, si ha in Agostino quale eredita spirituale della Chiesa africana. L’applicazione al mini- steto dell’ epéscopus (e del papa Stefano in particclare) I’aveva gia fatta Cipriano*’. L’Ipponate dal canto suo la ribadiva qua- le suo atteggiamento personale al presbitero romano Sisto nel- Vanno 419”, L’uomo spirituale, concludendo, @ colui che media la verita cristiana a livello di misericordia, di amorevolezza, di medicina che sana. Agostino ne fece I’applicazione esplicita al modo di attuare, al suo tempo, Ja penitenza publica. Questa, da medi- cina salutare, potrebbe diventare mezzo di uccidere perché non sopportabile dal paziente™, e. L’amicizia Se la misericordia é l'atto iniziale necessario per il rapportar- si di Dio con gli uomini ¢ degli uomini tra di loro, l’amicizia ne @ il frutto, la conseguenza possibile e inoltre necessaria per vivere la vira umana corrispondente al sue vero livello (la co- mnunicazione interpetsonale). Prescindendo dall’amicizia, i rap- porti umani verrebbero mediati non dalla realta delle persone cessa sit hominibus christiana religio, quae vera religio est, et ad eundem cultum Dei quemadmodum sit homo quadam suavitate coaptandus». 48 Opus imp. c. Hulianurt, 5, 37, 16. 47 Jol, 9, 18: «...Tmpias haereticorum mentes prius volentes docere quam nose, in etrorem miserint», 48 Cipriano, Ep. 74, 10: «Oportet enim episcopos non tantum docere, sed et di- scere, quia et ille melius docet qui cotidie creseit et proficit discendo meliora». Vedi anche Ep. 72, 49 Bp. 193, 13. 30 Vedi S, Agostino, La riconciliazione eristiana, Citth Nuovd, Roma 1983. 141 quali esse sono, bens) dalla idea che reciprocamente esse si fan- no le une delle altre, cio a livello di fantasmi, come si esprime Agostino. L’amicizia, favorendo il reciproco manifestarsi, me- dia l’incontro delle persone a livello della loro realta. Essa fa si che i cuori s’inconttino. Conchusione H «cor» nella spiritualita agostiniana giunge al cuore del dram- ma stesso di essere : vomini, alle scelte della sua libertad. Questa, d’altra parte, non é mai sicura né di cid che possa produrre, né del luogo dove sia collocata quanto a destinazione finale. «Cor, misericordia, amicizia» appartengono pertanto ad una farniglia semantica i cui termini hanno una modulazione antropologico- spirituale che ci porta in un ambito sapienziale denso di miste- to, dove la verbalizzazione pud avvenire pit per sentenze che per enucleazione logica. E questo forse il significato di molte sentenze agostiniane in proposito, ad esempio: «Nelle cose ter- rene nessuna cosa é cara all’uomo se questi non ha per amico un uomo» (Ep., 130, 4); «Non si conosce nessuno se non me- diante lamicizia» (83 q. 71, 5) (perché) «ogni cuore é chiuso ad un altro cuore» (Ex. i ps. 55, 9). «Cor» designa Puomo «mi- sericordioso», «amico», che si rapporta al livello etico del frui (il godere comunicando) e non dell’wzi (l’usare), riferito alle co- se di cui ci si serve e satebbe delitto applicarlo alle persone, li- beratosi dai fantasmi umani creati dalla capacit’ di astrazione dell’essere razionale. «Cor» & l’uomo che vive il fi della vita, perché capace della comunicazione con le persone, comincian- do da Dio. 142 r i | | 4 i |

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