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Andrea Cecchetto

LE CORRISPONDENZE
UNIVERSALI
Nel progetto originario, questo trattato voleva essere una
semplice comparazione fra le antiche metafisiche orientali
e quelle occidentali, alla ricerca del loro comune nucleo
mistico. Nel corso dell’elaborazione, però, ne è scaturita
una originale visione sulla realtà, la quale, pur fondandosi
principalmente - come “struttura portante” - sull’Advaita
Vêdânta e sul Neoplatonismo, bene si concilia con alcune
ipotesi della fisica contemporanea, quali ad esempio la
CCC (Cosmologia Ciclica Conforme) di Roger Penrose.
Dicembre 2022
Andrea Cecchetto
LE CORRISPONDENZE UNIVERSALI

Il fondamento metafisico e mistico


della scienza delle corrispondenze nella
gnosi islamica è chiamato «scienza della
Bilancia» (‘ilm al-Mīzān). È una scienza
che per eccellenza è stata praticata dagli
alchimisti (Henry Corbin; La scienza
della Bilancia e le corrispondenze fra
i mondi nella gnosi islamica, p. 11).

Com’è possibile che la matematica,


essendo fondamentalmente un prodotto
del pensiero umano indipendente
dall’esperienza, spieghi in modo così
ammirevole le cose reali? (Albert
Einstein. Citazione tratta da: Federico
Faggin; Irriducibile, p. 278).
INDICE
Prefazione 9

1 La Legge del Ternario 10


2 I Princìpi dell’Esistenza fisica 13
3 La Condizione della Qualità 16
4 I tre elementi della Triade metafisica 19
5 Le Condizioni dell’Esistenza sono Categorie conoscitive 24
6 Ripartiamo dal Principio: l’Assoluto [0] 27
7 L’Assoluto è semplice ed “è” ogni cosa 29
8 Una Rete di Gioielli [Tutto è in Tutto] 31
9 Dall’Assoluto [0] all’Infinito positivo [A] 33
10 La Shakti-Essere nelle varie Tradizioni 37
11 Dall’Unità alla Dualità alla Molteplicità 41
12 Le Possibilità universali ed i “Nomi divini” 42
13 Il Ciclo triadico della Generazione 45
14 I due “momenti” della Contemplazione Generatrice 48
15 La Generazione dello Spirito [B] 56
16 Il Dio che “crea” con il Pensiero: la dottrina del Logos 61
17 La dialettica trinitaria dello Spirito 65
18 L’Essere e l’Esistenza universale 72
19 Lo specchio di Dioniso 77
20 Gli “Orientamenti auto-Contemplativi” 81
21 L’Assoluto “è” Pura Coscienza 86
22 La non-alterità tra Brahman e Âtmâ 90
23 La Generazione dell’Anima universale [C] 93
24 L’Anima universale genera infiniti Cosmi fisici [D] 98
25 L’Anima del Cosmo ed i “Demoni degli Astri” [D-I] 102
26 Finalmente… la “Materia” fisica 105
27 L’Etere [o Quintessenza] e il Prâna 111
28 La vita di un Cosmo fisico e i Cicli cosmici 120
29 La Luce, la Massa ed altre stranezze 125
30 Le tre Tendenze che governano un Cosmo 131
31 Le Interazioni o Forze fondamentali 133
32 La Dislocazione spazio-temporale 137
33 I “Geni delle Specie” [D-II] e la Vita organica 140
34 I quattro Elementi grossolani e la Natura vivente [E] 147
35 Le caratteristiche della Vita organica 152
36 La comparsa della Mente nell’evoluzione 156
37 I “Destini dei Popoli” [D-III] e la Storia 159
38 La Generazione dello Psichismo 163
39 Il “Daimon individuale” [D-IV] o “Io” 166
40 La Generazione dell’“Io” e la sua insostanzialità 168
41 La struttura del Reale secondo il sistema Sânkhya 173
42 La struttura dell’Uomo naturale 175
43 Le diverse accezioni del termine “Anima” 182
44 Le Corrispondenze fra il Macrocosmo e il Microcosmo 186
45 I quattro Stati di coscienza dell’Uomo naturale 189
46 Il Mondo “visibile” e il Mondo “invisibile” 192
47 La struttura del Reale nelle diverse Tradizioni sapienziali 196
48 Schemi relativi alle Categorie-Condizioni 201
49 Il Sistema geocentrico e le 10 Sfere celesti 212
50 La dottrina indù dei Cicli cosmici 216
51 La “discesa” delle Anime attraverso le Sfere celesti 218
52 Gli Arconti dello Gnosticismo 222
53 L’Uomo sintesi del Cosmo 226
54 Tutta la Natura tende al “Ritorno” 229
55 L’Uomo [edenico] porta tutto in Dio 233
56 In che cosa consiste la “caduta” dell’Uomo? 235
57 Che cosa significa “Salvezza”? 238
58 La doppia “orientazione” della Logica umana 242
59 Il “Ritorno” all’Essenza dell’intera Manifestazione fisica 248
60 Piccoli e Grandi Misteri 251
61 I quattro Stati di coscienza dell’Uomo edenico 257
62 La Presenza mentale 263
63 Il Sogno lucido e la Visualizzazione attiva 266
64 Il Silenzio mentale e lo Yoga del Sonno 269
65 Ancora sul Silenzio mentale e sull’integrazione dei 4 Elementi 272
66 Lo Stato edenico e la “Morte” iniziatica 278
67 L’Uomo edenico ed il Tempo 283
68 L’apparente antitesi tra “Materia” e “Spirito” 287
69 La Liberazione finale 291
70 Schemi generali 295

Postfazione 302
Bibliografia [opere citate] 303
Le Corrispondenze universali

A Valentina
PREFAZIONE
Il modo in cui vengono trattate le tematiche in questo libro può apparire un
freddo e schematico intellettualismo, inutile per una vera ricerca spirituale.
Siamo consapevoli che la speculazione teorica, da sola, non serve proprio a
nulla, come ci ripetono d’altro canto tutte le Tradizioni sapienziali. Coloro che
sono riusciti a trovare la Via ci dicono che serve un “salto”, e che questo “salto”
non è razionale. Ne siamo fermamente convinti. Solo il mistico giunge alla vera
Meta, e non lo fa certo mediante concetti e costruzioni mentali.
Siamo però parimenti convinti che la speculazione filosofica, se condotta con
onestà intellettuale ed estremo rigore, possa se non altro accompagnarci fino al
precipizio dal quale fare il “salto”. Poi deve cedere il passo. Non si può saltare
se si coltivano idee irrazionali. Il mistico non è irrazionale, ma sovra-razionale!
Riteniamo inoltre che l’amore per la chiarezza non escluda necessariamente il
fatto che nella ricerca ci si metta anche il cuore.

Il desiderio di chiarezza non implica in alcun modo un arido intellettualismo o un


ritorno alle separazioni cartesiane che mettono in opposizione le chiare distinzioni e
l’anima. La chiarezza intellettuale può essere di servizio all’anima, invece che di
disturbo [...]. Non c’è nessuna necessaria opposizione tra chiarezza e immagina-
zione (James Hillman; Re-visione della psicologia, p. 411).

La conoscenza teorica, la quale ancora non è se non indiretta e in qualche modo


simbolica, è soltanto una preparazione - però indispensabile - della vera conoscen-
za. Essa è del resto la sola che sia in certo qual modo comunicabile e, ancora, essa
non lo è completamente (René Guénon; La metafisica orientale, p. 21).

Non va […] dimenticato l’aspetto intellettuale dell’ascesi, ovvero il carattere puri-


ficatorio del filosofare, in quanto fare chiarezza nelle proprie immagini, nei propri
pensieri - una purificazione che Platone considera, giustamente, più importante di
tutte quelle esteriori e che imparenta strettamente l’ascesi col distacco (Marco Van-
nini; Lessico mistico. Le parole della saggezza, pp. 28-29).

***

N.B. Nei numerosi passi che citeremo, le frasi riportate fra parentesi quadre e
contrassegnate dalla sigla N.d.A. (= Nota dell’Autore) sono nostre aggiunte.
Nell’immagine di copertina: Occhi di Allah, amuleti della Turchia e del Mar
Egeo. Fonte: https://magazine.aibijoux.com/stile/occhio-di-allah/

9
1. LA LEGGE DEL TERNARIO
I pitagorici e i platonici parlano di una misteriosa triade che sta a fondamento
del mondo manifesto; essa è costituita da tre princìpi: Limite, Illimite e Misto:

1. Il Limite (Peras) è ciò che limita (de-limita), ossia il principio ordinatore.

2. L’Illimite (Àpeiron) è l’Illimitato, l’Indeterminato, l’Indefinito o (impropria-


mente parlando) l’Infinito.

3. Infine, il Misto (noi preferiamo però denominarlo “il Limitato”) è ciò che si
manifesta dall’interazione fra i primi due princìpi. Riportiamo al riguardo tre
passi significativi:

Ogni ordine degli Dei consta dei primi principii, limite ed infinità […]. E invero
tutti gli ordini procedono da entrambi i principii […]. Ma dove nel miscuglio do-
mina il limite; dove invece l’infinito (Proclo; Elementi di teologia, CLIX, p. 125).

[(…) Limite, Illimite e Misto sono sia una triade (la prima triade intelligibile) sia,
anche, una legge generale della realtà (…)] […]. La legge del ternario consiste
dunque nell’essere ogni ente costituito dal limite, dall’illimite e dalla differente me-
scolanza di questi. La legge - si noti bene - non vale solo per ogni vero ente, e, in
generale, per le ipostasi superiori, ma anche per l’anima, per gli enti matematici,
per gli enti fisici, per tutto, insomma […]. Infatti, tranne l’Uno, tutto è sintesi dei
due princìpi (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 680-681).

I Pitagorici dicevano non già unione del limite e dell’illimitato ma, ciò che è molto
più bello, unione di ciò che limita e dell’illimitato […]. Ciò che è illimitato non ha
esistenza se non ricevendo dall’esterno un limite. Tutto ciò che esiste quaggiù è co-
stituito in tal modo, non solo tutte le realtà materiali ma anche tutte le realtà psico-
logiche in noi e negli altri. Di conseguenza non ci sono quaggiù che beni e mali fi-
niti (Simone Weil; La Grecia e le intuizioni precristiane, pp. 111-112).

Di che cosa si sta parlando? Dietro al linguaggio apparentemente esoterico, vi


è in realtà un concetto semplice. La legge del ternario si applica alle Condizioni
dell’esistenza. Parleremo più avanti di questa tematica. Per ora ci basti sapere
che una di tali Condizioni è la Quantità numerica. Facciamo allora un esempio:
prendiamo il numero naturale “1”. Vi sono tre modi di considerarlo:

1. Dapprima in se stesso, come unità semplice, indivisa, intera… “1”!

2. L’“1” è anche una infinità di numeri reali disposti nel continuo, senza alcuna
interruzione; possiamo infatti suddividerlo infinitamente (1/n). Ad esempio,
potremmo dividerlo a metà, poi prendere una metà e dividerla a sua volta a

10
metà, e poi ancora a metà, all’infinito, ottenendo valori via via sempre più
piccoli, che si avvicinano sempre più allo zero, senza però mai raggiungerlo:
0,5 / 0,25 / 0,125 / 0,0625 / 0.03125 / 0,015625 ecc.

3. Infine, possiamo considerare l’“1” anche come un insieme numerabile di suoi


sottomultipli; ad esempio, come la somma di dieci numeri dal valore di 0,1
ciascuno. Abbiamo in tal caso una molteplicità finita e discontinua di numeri
discreti, determinati, nati dalla delimitazione dell’illimitato.

1. Vertice = Limite, Unità


[x], Principio della Quantità

3. Spicchi = Limitato,
Molteplicità
numerica [y-x],
Quantità discreta

2. Base = Illimite, Quantità continua [y]

L’immagine è una rappresentazione geometrica di questi tre princìpi, riferiti


per l’appunto alla Condizione della Quantità: il vertice del triangolo simbolizza
il Limite, quindi l’Unità indivisa. La linea continua della base, costituita da una
infinità di punti adimensionali, simbolizza l’Illimite. Infine, gli spicchi nei quali
il triangolo è suddiviso indicano il Misto, il Limitato, la Molteplicità numerica.
Se riferiamo questi tre princìpi al mondo, alla realtà nella sua totalità, solamente
l’ultimo è da noi percepito direttamente. Gli altri due dobbiamo postularli.
La legge del ternario è molto importante, e la ritroveremo in ogni ambito del
reale. Indicheremo sempre il Limite con x, l’Illimite con y e il Limitato con y-x.
Potremmo anche chiamarli rispettivamente Logos, Chaos e Kosmos:

[…] formula di Platone: «Il numero è mediatore tra l’uno e l’illimitato» (Simone
Weil; La Grecia e le intuizioni precristiane, p. 183).

11
Il concetto [di Limite] ha importanza fondamentale nella filosofia pitagorica dove
funge da principio che, frenando, per così dire, e imbrigliando l’illimite, genera i
numeri (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. V, p, 155).

Un dono degli dèi agli uomini, così mi è apparso, da un punto indefinito del cielo
divino venne scagliato, grazie anche a un certo Prometeo, insieme ad un fuoco lu-
minosissimo. E gli antichi, che erano migliori di noi e abitavano più vicino agli dèi,
tramandarono questa tradizione, per cui le cose che sempre si dice che siano e che
sono costituite dall’uno e dalla molteplicità contengono in sé il seme della finitezza
e dell’infinitezza. Dunque dobbiamo, essendo le cose ordinate sempre in questo
modo, cercare ogni volta di stabilire un’unica idea riguardo a ogni cosa - e infatti
troveremo che essa vi è insita - e quando la si ottenga, dobbiamo considerare la se-
conda dopo la prima, se in qualche modo ve ne sono due, altrimenti tre o un altro
numero, e parimenti ricondurre di nuovo ciascuna di quelle all’unità, finché ci si
renda conto che l’unità originaria non è solo unità, molteplicità e infinitezza, ma
che ha anche una struttura: e non dobbiamo attribuire l’idea di infinitezza alla mol-
titudine prima di aver osservato tutta la sua struttura numerica che sta in mezzo tra
l’infinitezza e l’unità. Allora si può finalmente permettere che ciascuna delle unità
si divida all’infinito (Platone; Filebo 16c-16e).

Come vedremo nel capitolo successivo, la legge del ternario ha ripercussioni


piuttosto interessanti quando passiamo a considerare la realtà fisica.

12
2. I PRINCÌPI DELL’ESISTENZA FISICA
Minkowski ed il suo allievo Einstein ci hanno giustamente insegnato che non
esistono spazio e tempo considerati separatamente. Esiste invece un’unica entità
chiamata spazio-tempo, la quale non ha un’esistenza assoluta (= non esisterebbe
da sola), ma dipende dalla presenza o meno di qualcosa che la riempie. Di fatto,
lo spazio-tempo coincide con la curvatura del campo gravitazionale:

D’ora in poi lo spazio di per sé stesso o il tempo di per sé stesso sono condannati a
svanire in pure ombre, e solo una specie di unione tra i due concetti conserverà una
realtà indipendente (Hermann Minkowski, 1908).

Secondo la meccanica classica e secondo la teoria della relatività ristretta, lo spazio


(spazio-tempo) ha un’esistenza autonoma rispetto alla materia e al campo […]. Se-
condo la teoria della relatività generale, invece, lo spazio non ha un’esistenza sepa-
rata rispetto a “ciò che riempie lo spazio” […]. Non esiste un qualcosa come uno
spazio vuoto, ossia uno spazio senza campo. Lo spazio-tempo non pretende di ave-
re un’esistenza per proprio conto, ma soltanto una qualità strutturale del campo
(Albert Einstein; Relatività; esposizione divulgativa. La relatività e il problema
dello spazio, 1952, pp. 310-311).

Ma c’è anche il campo «gravitazionale»: è l’origine della forza di gravità, ma è an-


che la trama che tesse lo spazio e il tempo di Newton, sulla quale è disegnato il re-
sto del mondo […]. Lo spaziotempo è il campo gravitazionale (o viceversa) […]. Il
suo stirarsi e curvarsi è l’origine della forza di gravità (Carlo Rovelli; L’ordine del
tempo, pp. 68-70).

Eppure, nella nostra percezione tempo e spazio sono cose diverse. Proviamo
a fare un gioco mentale: immaginiamo come sarebbe il cosmo se noi provassimo
a combinare nei seguenti tre diversi modi le due componenti dello spazio-tempo:

1. Nel primo stato vi è totale assenza di spazio, mentre il tempo a disposizione è


al massimo: c’è tutto. In tale condizione, tutto l’esistente sarebbe concentrato
in un unico punto - in quanto tale privo di dimensioni. Non vi sarebbe alcun
movimento (giacché il movimento richiede lo spazio), ed il cosmo resterebbe
come chiuso in se stesso, a livello di pura possibilità, statico, immutato.

2. Nel secondo stato vi sono le caratteristiche opposte: niente tempo, e lo spazio


esteso al massimo. Ogni evento sarebbe - per così dire - infinitamente esteso.
Nemmeno in tal caso vi sarebbe movimento (in quanto esso richiede anche il
tempo), e tutto avverrebbe in un istante totalmente privo di durata, in quella
che potremmo chiamare una simultaneità istantanea. Il fisico John Archibald
Wheeler disse che: «Il tempo è il mezzo di cui la natura dispone per impedire
che le cose avvengano tutte in una volta».

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3. Infine, nella terza situazione spazio e tempo sono indissolubilmente legati nel
tessuto dello spazio-tempo. È questa la condizione che tutti conosciamo, ed è
l’unica a manifestarsi davvero. La chiamiamo divenire. È caratterizzata dal
moto o movimento locale (il quale necessita sia dello spazio che del tempo),
dall’incremento dell’entropia, dall’incessante espansione metrica dello spazio
e da un corrispondente esaurimento graduale del tempo a disposizione.

Non ci viene in mente nulla? La prima condizione non coincide con quella
che i fisici chiamano la singolarità iniziale? (Il termine Big Bang è fuorviante,
poiché dà l’idea di esplosione, e quindi di movimento: cosa che nella singolarità
iniziale non è presente. Si applicherebbe assai meglio all’espansione cosmica).
Applicando la nostra ottica del divenire a tale stato, potremmo forse dire che
il tempo deve ancora cominciare a fluire, che lo spazio deve ancora cominciare
la sua espansione, e che tutti gli eventi sono ancora a livello di pure possibilità.
E la seconda condizione non descrive invece la cosiddetta morte termica del
cosmo? Sempre in una visuale diveniente, non potremmo dire che qui il tempo a
disposizione è finito, e che tutte le cose sono già avvenute?
Ma si tratta di due condizioni puramente logiche: non ci sono mai state e mai
ci saranno; l’esistenza fisica è solo ciò che avviene nello spazio-tempo. Eppure,
quest’ultima è spiegabile come interazione fra immutabilità (singolarità iniziale)
e simultaneità istantanea (morte termica del cosmo).

= Tempo

= Spazio

= Spazio-Tempo

Singolarità iniziale Divenire spazio-temporale Morte termica


[vi è solo il Tempo; [Tempo in esaurimento e [vi è solo lo Spazio;
Spazio assente] Spazio in espansione] Tempo assente]

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Tratteremo altrove la natura propria dell’esistenza fisica; per ora vorremmo
solo far notare una certa corrispondenza. Nel capitolo precedente, discorrendo a
proposito della “Legge del Ternario” applicata alla Condizione della Quantità,
abbiamo visto come la Molteplicità numerica (Misto o Limitato, y-x) peculiare
dell’esistenza concreta sia concepibile come una sorta di delimitazione della
Quantità continua (Illimite, y) operata in funzione dell’Unità (Limite, x).
Ora abbiamo introdotto un’altra Condizione di esistenza: lo Spazio-Tempo
(considerato nel contesto dalla manifestazione integrale del nostro cosmo fisico).
Il Movimento locale (Limitato, y-x) proprio dell’esistenza spazio-temporale e del
divenire si genera - in senso logico - nell’interazione fra l’Immutabilità nel puro
tempo della singolarità iniziale (Limite, x) e la Simultaneità istantanea nel puro
spazio della morte termica (Illimite, y). Vediamo le corrispondenze:

- Nella Condizione della Quantità:


Unità (x) + Quantità continua (y) = Molteplicità numerica (y-x).

- Nella Condizione dello Spazio-Tempo:


Immutabilità (x) + Simultaneità istantanea (y) = Movimento locale (y-x).

1. Vertice = Limite, Immutabilità


[x], Principio dello Spazio-Tempo

3. Spicchi = Limitato,
Movimento
locale [y-x]

2. Base = Illimite, Simultaneità istantanea [y]

15
3. LA CONDIZIONE DELLA QUALITÀ
Fino ad ora abbiamo incontrato due Condizioni dell’esistenza: la Quantità e
lo Spazio-Tempo. Ora ne prediamo in considerazione una terza: la Qualità.
Essa indica essenzialmente la forma, intesa non semplicemente come figura o
aspetto, ma bensì come l’insieme delle caratteristiche descrivibili, quelle che noi
percepiamo normalmente con i sensi corporei (vista, udito, olfatto, ecc.). Quindi:
immagini, colori, suoni, odori, sapori, impressioni tattili. La forma non inerisce
però solo alle percezioni degli oggetti sensibili, ma anche alla concezione degli
oggetti dell’immaginazione. Non fa alcuna differenza, ai fini del nostro discorso.
Anche un paesaggio immaginato è formalmente descrivibile, ed esiste, anche se
solo nella nostra fantasia. Gli indù chiamano bhûta gli oggetti esterni (percepiti)
e tanmâtra quelli interni (concepiti). Il discorso è in verità un po’ più complesso,
ma per ora ci basti dire così.
E perché la forma dovrebbe essere una Condizione d’esistenza? Perché essa è
ciò che fa di una cosa “quella che è”. Ogni cosa è se stessa perché si differenzia
dalle altre cose non solo numericamente (io sono una cosa, tu sei un’altra cosa,
ecc.) e per collocazione spazio-temporale (io sono qui ora, tu eri lì prima, ecc.),
ma anche appunto in quanto possiede una peculiare identità formale che la rende
in sé diversa dalle altre cose. Ecco, abbiamo accennato di passaggio a come si
applica la legge del ternario a questa Condizione di esistenza: l’Identità coincide
con il Limite (x) e la Diversità con il Limitato (y-x). E l’Illimite? Quest’ultimo si
presenta come Indifferenziabilità, indistinzione, amorfismo caotico, esaurimento
totale delle possibilità di diversificazione, e dunque di identificazione - proprio
come la morte termica del cosmo esaurisce le possibilità del movimento.

***

Ricapitoliamo quindi nel giusto ordine gli elementi dei ternari inerenti alle tre
Condizioni di cui abbiamo finora parlato:

- Nella Condizione della Quantità:


Unità (x) + Quantità continua (y) = Molteplicità numerica (y-x).

- Nella Condizione della Qualità:


Identità (x) + Indifferenziabilità (y) = Diversità formale (y-x).

- Nella Condizione dello Spazio-Tempo:


Immutabilità (x) + Simultaneità istantanea (y) = Movimento locale (y-x).

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1. Vertice = Limite, Identità
[x], Principio della Qualità

3. Spicchi = Limitato,
Diversità
formale [y-x]

2. Base = Illimite, Indifferenziabilità [y]

Abbiamo così una prima rudimentale descrizione di come noi categorizziamo


la realtà. Nell’immagine riportata nella pagina seguente (un po’ semplicistica, a
dire il vero, ma che comunque dà l’idea) vediamo come si aggiungono, una alla
volta, le tre Condizioni trattate: considerata dal punto di vista sostanziale, ossia
della manifestazione (y-x), la realtà è fatta di tante cose (molteplicità) differenti
fra loro (diversità) e in movimento.
(Giunti a questo punto, non ci resta che mettere le cose in reciproca relazione;
è questa, infatti, la quarta Condizione di esistenza: la Relazione. Ma al riguardo
si rende necessario fornire delle spiegazioni molto più approfondite; quindi, per
il momento, accontentiamoci di questo breve accenno).
Considerata invece dal punto di vista essenziale, del Limite (x), la realtà è in
sé una (unità), uniforme e onniforme - in quanto contiene indistintamente tutte le
forme (identità totale), ed è immune dal divenire (immutabile).
Se questo ultima punto è difficile da concettualizzare, si mediti sul fatto che -
se consideriamo la realtà nella sua totalità - è il divenire ad essere immanente in
essa, non viceversa. Quindi essa non è soggetta al divenire, bensì lo assoggetta.

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Condizione d’esistenza: Quantità

Unità indivisa (x)

Divisione tramite la
Molteplicità numerica (y-x)

Condizione d’esistenza: Qualità

Identità uniforme (x)

Distinzione tramite la
Diversità formale (y-x)

Condizione d’esistenza: Spazio-Tempo

Immutabilità nel puro Tempo (x)

Dislocazione tramite il
Movimento locale (y-x)

Condizione d’esistenza: Relazione

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4. I TRE ELEMENTI DELLA TRIADE METAFISICA
A qualsiasi livello la si consideri, la manifestazione si genera - da un punto di
vista logico - nell’interazione fra limite ed illimite. Questi due elementi dialettici
ed il loro prodotto vengono chiamati anche con altri nomi, e sono legati a molte
triadi presenti nelle diverse tradizioni mitologiche e sapienziali. A volte vengono
personificati rispettivamente con Padre, Madre e Figlio divini.
Guénon, rifacendosi alla tradizione indù, chiama essenza il limite e sostanza
l’illimite. Il termine sostanza, dal latino substantia (stare sotto), indica ciò che fa
da supporto o substrato a qualcos’altro (è quindi da intendersi qui letteralmente,
e da non confondersi con la concezione aristotelico-tomistica di sostanza).
Essenza (dal latino essentia, espresso in greco con tò tì ên eînai) indica invece
ciò per cui le cose “sono quello che sono”; però è anche “ciò che le fa essere”.
L’essenza è allora il principio unitario che, de-limitando la sostanza, determina,
pone in essere le cose. Corrisponde quindi al Logos greco, al Verbo evangelico,
al Purusha o Âtmâ indù, al principio Yang o al “Cielo” (Tien) dei Taoisti, alla
Monade dei Neopitagorici, all’atto puro aristotelico, ecc.
La sostanza, al contrario, è ciò che, venendo delimitata, “accoglie e sostiene”
le cose, dando loro una esistenza separata. È il sostrato o ricettacolo plastico nel
quale vengono generati - in una sorta di condensazione-solidificazione graduale
che consiste in un sempre maggiore livello di condizionamento - tutti gli enti
dell’esistenza. È la Madre universale, il polo femminile e passivo che accoglie il
seme fecondante del Padre, la Matrice primordiale indifferenziata, il Chaos, la
potenza pura aristotelica, la Prakriti indù, la Diade dei Pitagorici, il principio
Yin e la “Terra” (Ti) taoista, ecc.
La correlazione fra l’essenza-Padre e la sostanza-Madre può essere descritta
simbolicamente come un’unione sessuale che genera il Figlio unigenito, il quale
rappresenta allora il terzo elemento della Triade, la manifestazione, il Kosmos.
Il Logos delimita e dà razionalità al Chaos, generando il Kosmos (= ordine).
Il Chaos viene spesso descritto nelle antiche teogonie come un mostro marino
(la dea Tiâmat babilonese, o il biblico Raab), sconfitto dal dio (Logos), che crea
gli elementi del mondo (Kosmos) con i residui frammentati del suo corpo.
Pensiamo all’esempio del capitolo n°1: la quantità continua (“∞”, sostanza)
viene delimitata del principio unitario (“1”, essenza), generando così i numeri
discreti (“n”, manifestazione), tutti nati dalla moltiplicazione dell’“1”.
In una descrizione logica che consideri il dispiegamento del reale, essenza e
sostanza costituiscono quella che potremmo chiamare “la Prima Dualità”:

Il mondo […] rappresenta un livello di manifestazione all’interno dell’assoluto, che


nel processo della propria emanazione deve, a un certo punto, contrapporre radi-
calmente un aspetto della propria natura con un altro, onde apparire come la dualità
e la molteplicità della manifestazione (Mark S. G. Dyczkowski; La dottrina della
vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, pp. 61-62).

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Essi non sono quindi princìpi primi e assoluti, ma nostre concettualizzazioni,
le quali ci sono utili per renderci in parte intelligibile il reale, e scaturiscono da
un comune principio che - per ora - chiamiamo genericamente Essere:

[…] il fatto di riconoscere l’esistenza di una dualità e di situarla al posto che real-
mente le compete non costituisce in alcun modo un «dualismo», dato che i due ter-
mini di questa dualità procedono da un unico principio, appartenente in quanto tale
a un ordine superiore di realtà; così è, innanzitutto, per quanto riguarda la prima di
tutte le dualità, quella dell’Essenza e della Sostanza universale, generate da una po-
larizzazione dell’Essere o dell’Unità principiale e fra le quali si produce ogni mani-
festazione (René Guénon; La Grande Triade, p. 25).

Essenza e sostanza non fanno parte dell’esistenza, essendone gli estremi non
manifestati; essi dunque, letteralmente parlando, non esistono, in quanto sono
appunto i presupposti dell’esistenza. In un certo senso, l’essenza è “al di sopra”
dell’esistenza, mentre la sostanza ne è “al di sotto”.
Riportiamo di seguito una lunga serie di passi tratti da varie opere:

La polarità maschile/femminile è il modello base per tutte le altre polarità […]. Es-
sa assume una connotazione cosmologica quando la creazione è concepita come la
differenziazione della coppia primordiale in padre (cielo) e madre (terra), una sepa-
razione che è il necessario preludio alla loro unione. L’unione dei due princìpi co-
smici di maschile e femminile - un tema universale - è dunque visto come l’origine
del processo cosmogonico e quindi dell’universo (Arturo Schwarz; Cabbalà e Al-
chimia. Saggio sugli archetipi comuni, p. 46).

I princìpi complementari, il Cielo e la Terra, il Sole e la Luna, l’uomo e la donna,


formavano all’origine un’unità. Ontologicamente il loro ricongiungersi […] è un’o-
perazione vitale, produttrice di un terzo principio a immagine del primo e avente la
natura del secondo (Ananda K. Coomaraswamy; Induismo e Buddismo, pp. 25-26).

[…] Purusha, affinché la manifestazione si produca, deve entrare in correlazione


con un altro principio […]. Il correlativo di Purusha è allora Prakriti, la sostanza
primordiale indifferenziata, il principio passivo, rappresentato come femminile,
mentre Purusha, chiamato anche Pums, è il principio attivo, rappresentato come
maschile; e, pur rimanendo immanifesti in se stessi, sono tuttavia i due poli della
manifestazione. L’unione di questi due princìpi complementari produce lo sviluppo
integrale […] [di] tutti gli stati manifestati dell’essere […]. […] Purusha e Prakriti
ci appaiono risultare in qualche modo da una polarizzazione dell’essere principiale
[…] fino al limite della totalità degli stati manifestati, in molteplicità indefinita
[…]. […] ogni manifestazione, di qualunque grado la si consideri, presuppone ne-
cessariamente questi due termini correlativi e complementari, Purusha e Prakriti,
l’«essenza» e la «sostanza» (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il
Vêdânta, pp. 43 e 59).

20
[…] ciò che viene chiamato «atto» e «potenza», in senso aristotelico, parimenti cor-
risponde all’essenza e alla sostanza; tali termini sono d’altronde suscettibili di
un’applicazione più estesa che non quelli di «forma» e «materia»; ma, in fondo, di-
re che in ogni essere vi è una mescolanza di atto e di potenza è pur sempre la stessa
cosa, perché, in lui [= in un determinato essere particolare], l’atto è ciò per cui egli
partecipa dell’essenza, e la potenza ciò per cui partecipa della sostanza; l’atto puro
e la potenza pura non possono trovarsi in alcun modo nella manifestazione, in
quanto essi, in definitiva, sono gli equivalenti dell’essenza e della sostanza univer-
sali (René Guénon; Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, p. 20).

[…] in quanto principio universale [la Sostanza], è la potenza pura in cui niente è
distinto o «attualizzato», e che costituisce il «supporto» passivo di ogni manifesta-
zione; in questo senso è quindi proprio Prakriti (René Guénon; Il Regno della
Quantità e i Segni dei Tempi, p. 23).

Ove la realtà è regolata dal confine il vero infinito non può […] manifestarsi se non
contratto nella forma finita […]. Il numero […], sinonimo di misura e armonia,
[…] è come una pausa, o un punto di mediazione tra il limite e l’illimitato; è il do-
no prometeico (Paolo Zellini; Breve storia dell’infinito, p. 19 e 25).

Il divenire appare […], in ogni istante, una sintesi del limite (peras) e dell’illimitato
(àpeiron): il limite è ciò che fa esistere concretamente ogni oggetto, conferendogli
in ogni istante una sua propria forma e individualità; ed è anche ciò che determina
l’ordine logico degli eventi, sottraendoli, per quanto è possibile, alla pura casualità.
D’altronde non esisterebbe storia né evoluzione di alcun tipo se non esistesse, ac-
canto al limite, un principio di natura opposta che ostacoli la tendenza di ogni og-
getto a permanere rigidamente fissato nei contorni della sua esistenza impostagli
dal principio del limite. Tale principio è appunto l’illimitato. Esso appare come
principio negativo e dissolvente, perché ostacolare l’ordine imposto dal limite si-
gnifica evidentemente ricondurre la realtà a uno stato informe e disorganizzato, ove
ogni cosa perde la sua riconoscibilità come ente concreto e gli eventi appaiono sle-
gati, imprevedibili e suscettibili di un’evoluzione priva di logica. Tale stato è tutta-
via la necessaria premessa per l’intervento successivo del limite, che in ogni mo-
mento corregge la situazione di indefinita potenzialità implicita nell’illimitato e
impone agli eventi uno sviluppo razionale (Paolo Zellini; Breve storia dell’infinito,
pp. 14-15).

Il concetto di Diade di grande-piccolo è di ispirazione pitagorica ed indica il princi-


pio della divisibilità e della molteplicità. La Diade costituisce, nelle «dottrine non
scritte» di Platone, l’elemento materiale (intelligibile) delle Idee: una sorta di mate-
ria intelligibile su cui agisce, in funzione limitante, il principio dell’Uno. Corri-
sponde, in un certo senso, al concetto di «Apeiron», che è introdotto con funzione
analoga nel Filebo (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. V, p. 71).

Yang, la luce, principio attivo maschile, e Yin, le tenebre, passivo e femminile, con
la loro azione collegata costituiscono l’intero mondo delle forme («le diecimila co-

21
se»). Essi provengono e rendono manifesto il Tao: la fonte e legge dell’essere […].
Tao abita in ogni cosa creata (Joseph Campbell; L’eroe dai mille volti, p. 185).

«Il Cielo copre, la Terra sostiene»: è la formula tradizionale che determina, con
estrema concisione, i ruoli di questi due principi complementari e definisce simbo-
licamente le loro posizioni, rispettivamente superiore e inferiore, rispetto ai «dieci-
mila esseri», cioè a tutto l’insieme della manifestazione universale (René Guénon;
La Grande Triade, p. 32).

[…] il «caos» è simbolicamente identificato con le «tenebre»: si tratta della poten-


zialità a partire dalla quale si «attualizzerà» la manifestazione, cioè, in definitiva, il
lato sostanziale del mondo descritto anche come il polo tenebroso dell’esistenza,
mentre l’essenza ne è il polo luminoso, poiché è la sua influenza ad illuminare ef-
fettivamente questo «caos» per ricavarne il «cosmo» (René Guénon; Il Regno della
Quantità e i Segni dei Tempi, pp. 32-33).

Il Caos e la Notte, come pure la Tiâmat babilonese o la Mṛtyu indù, sono […] miti-
ci sinonimi dell’àpeiron inteso come estremo principio sostanziale. Tiâmat, resasi
colpevole di connivenza col Male, viene confinata dal dio Marduk al ruolo di
estremo residuo cosmico […]. Ma dai confini del Mondo, il Nulla e l’Indefinito,
così arginati, continuano a svolgere un ruolo ineliminabile di avvolgimento […] e
sostentamento di tutte le cose (Paolo Zellini; Breve storia dell’infinito, pp. 17-18).

Alcune tracce dell’antico scenario del combattimento e della vittoria della divinità
sul mostro marino, incarnazione del caos, si lasciano decifrare anche nel cerimonia-
le israelitico dell’anno nuovo […], in cui si commemorava il trionfo di Jahvè, capo
delle forze della luce, sulle forze delle tenebre (il caos marino, il mostro primordia-
le Rahab). Questo trionfo era seguito dall’intronizzazione di Jahvè come re e dalla
ripetizione dell’atto cosmogonico. L’uccisione del mostro Rahab e la vittoria sulle
Acque (simboleggiante l’organizzazione del mondo) equivalevano alla creazione
del cosmo (Mircea Eliade; Il mito dell’eterno ritorno. archetipi e ripetizione, pp.
64-65).

Davanti a lui nudo è il regno dei morti e senza velo è l’abisso […]. Ha tracciato un
cerchio sulle acque, sino al confine tra la luce e le tenebre […]. Con forza agita il
mare e con astuzia abbatte Raab. Al suo soffio si rasserenano i cieli, la sua mano
trafigge il serpente tortuoso (Libro di Giobbe, 26, 6-13. Lode alla potenza di Dio).

[…] il primo [lo Zolfo] è sempre considerato come un principio attivo o maschile, e
il secondo [il Mercurio o Argento vivo] come un principio passivo o femminile; in
quanto al Sale, esso è in certo modo neutro, come si addice al prodotto dei due
complementari, prodotto in cui si trovano in equilibrio le tendenze inverse inerenti
alle loro rispettive nature (René Guénon; La Grande Triade, p. 100).

[…] il cubo rappresenta la terra in tutte le accezioni tradizionali della parola, vale a
dire non solamente la terra in quanto elemento corporeo […], ma anche come un
principio d’ordine ben più universale, quello che la tradizione estremo-orientale de-
22
signa come la Terra (Ti) in correlazione con il Cielo (Tien): le forme sferiche o cir-
colari sono ricondotte al Cielo, e le forme cubiche o quadrate alla Terra; poiché
questi due termini complementari sono gli equivalenti di Purusha e di Prakriti nel-
la dottrina indù, vale a dire che essi sono soltanto un’altra espressione dell’essenza
e della sostanza intese in senso universale (René Guénon; Il Regno della Quantità e
i Segni dei Tempi, p. 137).

I TRE ELEMENTI DELLA TRIADE METAFISICA

1 3 2
[x] [ y-x ] [y]

ESSENZA UNIVERSALE ESISTENZA UNIVERSALE SOSTANZA UNIVERSALE


PURUSHA MANIFESTAZIONE PRAKRITI
LIMITE [PERAS] MISTO O LIMITATO ILLIMITE [ÀPEIRON]
UNO INDIVISO DISCRETO, NUMERABILE CONTINUO
ATTUALITÀ PURA DALLA POTENZA ALL’ATTO POTENZIALITÀ PURA
MONADE O NUMERO DEFINITO NELLA DIADE INDEFINITA
ENADE SUPREMA MOLTEPLICITÀ DEGLI ENTI DI GRANDE E PICCOLO

DETERMINANTE DETERMINATO [VALORE] INDETERMINATO


LOGOS [RAZIONALITÀ] KOSMOS [ORDINE] CHAOS [POSSIBILITÀ]
«SOPRA» L’ESISTENZA ESISTENZA «SOTTO» L’ESISTENZA
PRINCIPIO ATTIVO, NEUTRO, EQUILIBRIO PRINCIPIO PASSIVO,
POLO POSITIVO [+] FRA ATTIVO E PASSIVO POLO NEGATIVO [–]
PADRE, MASCHIO FIGLIO ANDROGINO VERGINE-MADRE
ADAMO, UOMO «UMANITÀ» [ESSERI] EVA, FEMMINA
SATTWA, COESIONE RAJAS, SVILUPPO TAMAS, DISSOLUZIONE
CIELO [TIEN] «UOMO» [JEN] TERRA [TI]
YANG [«LUCE»] YIN-YANG YIN [«OMBRA»]
ZOLFO / COAGULA SALE ALCHEMICO MERCURIO / SOLVE

23
5. LE CONDIZIONI DELL’ESISTENZA
SONO CATEGORIE CONOSCITIVE

Nei capitoli precedenti si è parlato delle Condizioni dell’esistenza. Le quattro


che abbiamo enumerato rappresentano le Condizioni primarie, e sono: Quantità
numerica, Qualità formale, Spazio-Tempo e Relazione (ve ne sono altrettante,
che incontreremo più avanti, descrivendo la Natura vivente). Non abbiamo dato
però alcuna definizione. È opportuno chiarire meglio a che cosa ci riferiamo.
Una condizione è un presupposto necessario dal quale dipende l’attuarsi di un
determinato evento o situazione. Essa può essere una circostanza, una proprietà,
un requisito, ecc. L’espressione latina conditio sine qua non significa condizione
senza la quale non si può realizzare un’azione o un proposito.
Le nostre 4 Condizioni primarie, allora, sono una sorta di principio logico-
ontologico che permette ad una certa cosa di esistere di per sé, ossia considerata
“separatamente” dal resto del reale, e di essere ciò che è, come è, dove è, ecc.
Le Condizioni non sono realtà fisiche. Considerate in se stesse non esistono
concretamente, ed hanno senso solo come presupposti logici di ciò che in esse si
manifesta (possono invece certo esistere come astrazioni matematiche o di fisica
teorica; ma questo è un altro discorso). Facciamo degli esempi.
Noi non abbiamo mai esperienza del numero 7 in sé; al massimo percepiamo
o concepiamo sette cose. Senza gli oggetti da enumerare, la Quantità numerica
esiste soltanto in quanto strumento mentale. Eppure, se non avessimo il numero
sarebbe per noi piuttosto problematico muoverci nel mondo che ci circonda:

[…] la pluralità degli enti non può essere senza il numero. Tolto il numero, scom-
paiono, infatti, la distinzione delle cose, l’ordine, la proporzione, l’armonia e la plu-
ralità stessa degli enti (Nicola Cusano; La dotta ignoranza, I, 5, p. 67).

Si può dire la stessa cosa riguardo lo Spazio-Tempo. “Il tempo non esiste»”,
scrive Rovelli nel passo che segue (il discorso, però, è valido pure per lo spazio).
Ma egli non nega affatto il movimento in sé, bensì lo spazio ed il tempo assoluti,
i quali erano concepiti da Isaac Newton come una sorta di contenitore statico ed
inerte degli eventi, esistente indipendentemente da essi:

Ma cosa significa che il tempo non esiste? Anzitutto, l’assenza della variabile tem-
po nelle equazioni fondamentali non significa che tutto sia immobile e non esista
cambiamento. Al contrario, significa che il cambiamento è ubiquo. Ma i processi
elementari non possono essere ordinati in una comune successione di istanti […].
Lo scorrere del tempo è interno al mondo, nasce dal mondo stesso, dalle relazioni
fra eventi quantistici che sono il mondo e generano essi stessi il proprio tempo
(Carlo Rovelli; La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose,
p. 155).

24
Se per qualche ragione non vi fossero più eventi (il che è esattamente quanto
accadrebbe con l’ipotetica morte termica del cosmo), ovvero trasformazioni e
scambi energetici - o, in altri termini, se l’entropia miracolosamente smettesse di
aumentare - non avrebbe più senso parlare di Spazio-Tempo:

È quindi manifesto che non c’è tempo senza movimento (Aristotele; Fisica,
IV, 11, A, p. 385)1.

Le Condizioni primarie sono innanzitutto delle Categorie conoscitive, ovvero


gnoseologiche, che ci sono necessarie per “sapere”, per avere informazioni sul
mondo nel quale esistiamo. Dicendo “conoscitive”, però, non intendiamo mere
creazioni mentali arbitrarie. Stiamo quindi tutt’altro che sminuendo.
L’apparato conoscitivo dell’uomo si fonda principalmente su due facoltà:

1. La mente razionale.
2. I sensi corporei (vista, udito, tatto, ecc.).2

Apparato conoscitivo

Mente Sensi
Oggetti interni, Oggetti esterni,
Concezioni psico-mentali Percezioni sensibili
[Forme sottili, inestese] [Forme grossolane, estese]

Ora, se il numero è indubbiamente una creazione mentale, non così possiamo


dire per le forme, ovvero per le determinazioni della Condizione della Qualità. È
infatti più problematico valutare quest’ultima come una Categoria gnoseologica.
Quando guardiamo un albero, l’albero c’è, è reale, esiste, non è una nostra mera
fantasia. Ne percepiamo la figura, i colori, la consistenza, il profumo, ecc.
I sensi si sono sviluppati nel corso dell’evoluzione molto prima della mente e
della ragione concettuale, e sono quindi qualcosa di assai più arcaico e profondo.
Eppure, anche le forme sensibili che noi percepiamo sono delle interpretazioni o
delle traduzioni del nostro apparato conoscitivo:

1
Si riveda anche la citazione di Einstein riportata a p. 13.
2
A queste si potrebbero aggiungere l’emozione ed il sentimento. Come dice Carl Jung:
«Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza: lo conosciamo,
nella stessa misura, attraverso il sentimento. Quindi, il giudizio dell’intelligenza è, nel
migliore dei casi, soltanto metà della verità».
25
Le nostre sensazioni ci dicono che il mondo esiste, almeno così come lo sentiamo.
Ma le nostre sensazioni ci ingannano completamente. Ci dicono che la luce esiste,
che i suoni esistono, ecc. «Vediamo» luce, quando non esistono che onde elettro-
magnetiche astratte. «Udiamo» suoni, quando la realtà è fatta di onde, che il nostro
cervello traduce in suoni […]. La sensazione non ci dà mai la realtà del mondo ma
una traduzione fatta dal nostro cervello. Viviamo così in un universo di illusioni
[…]. Tutti gli oggetti sono neutri, ma la nostra sensazione li «carica» di un signifi-
cato o dell’altro […]. Nulla corrisponde mai a ciò che sentiamo, crediamo, vediamo
o udiamo […]. Così, il mondo esiste soltanto secondo il modo in cui lo sentiamo. È
vero per ogni cosa. Tutto ciò che esiste diventa lo specchio della nostra propria sen-
sazione. L’altro non esiste se non nel modo in cui lo sentiamo: se no, non esiste per
noi. È difficile da comprendere e soprattutto da sentire. Ogni cosa parte da noi stes-
si per tornare a noi stessi […]. Niente è mai separabile: niente è mai separato. Non
si può mai separare l’osservatore dalla cosa osservata (Pierre Daco; La nuova psi-
cologia, pp. 121 e 125-127).

Se vogliamo, è questa la più grande intuizione di Kant, come ci spiega anche


il suo ammiratore Schopenhauer:
Il più grande merito di Kant è la distinzione del fenomeno dalla cosa in sé, sulla ba-
se della dimostrazione che fra le cose e noi vi è pur sempre l’intelletto, per cui esse
non possono essere conosciute per quello che possono essere in se stesse (Arthur
Schopenhauer; Il mondo come volontà e rappresentazione, p. 451).

Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma del nostro
modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa deve esser possibile a priori
(Immanuel Kant; Critica della ragion pura, p. 48).

«Il mondo è la mia rappresentazione»: è questa una verità che vale nei confronti di
ogni essere vivente e conoscente; benché l’uomo soltanto possa condurla nella co-
scienza riflessa ed astratta. E se egli fa realmente questo, in tal modo si è insediata
in lui la riflessione filosofica. Gli apparirà allora chiaro e certo che egli non cono-
sce il sole e la terra, ma solamente un occhio che vede un sole, una mano che sente
una terra; e che il mondo che lo circonda esiste soltanto come rappresentazione, va-
le a dire, esclusivamente in relazione ad altro, il rappresentante, che è lui stesso.
[…] ogni cosa presente alla conoscenza, quindi tutto questo mondo, è soltanto og-
getto in rapporto al soggetto, intuizione dell’intuente, in una parola: rappresenta-
zione (Arthur Schopenhauer; Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 1, p.
23).

26
6. RIPARTIAMO DAL PRINCIPIO: L’ASSOLUTO [0]
Tutto il discorso sulle Condizioni dell’esistenza ci ha portato ad un punto che
può rassicurare qualcuno e angosciare qualcun altro: abbiamo visto infatti che ci
è impossibile conoscere il reale prescindendo dalle nostre Categorie conoscitive.
Tale scoperta ci toglie ogni velleità di ottenere una conoscenza che sia assoluta.
Come possiamo infatti pensare a qualcosa che non abbia una forma descrivibile,
cioè caratteristiche qualitative? E soprattutto, come possiamo pensarla se non
come una, e quindi all’interno della Categoria della Quantità? E se una cosa non
è una (ed il linguaggio qui incontra i suoi limiti), non possiamo nemmeno dire
che è. Senza contare che pensando questa cosa noi interagiamo necessariamente
con essa (ed anche la Relazione, ricordiamolo, è una Categoria conoscitiva).
Laddove vi è una dualità, una pluralità, una relazione, una mediazione, una
dipendenza, ecc. significa che c’è già stata un’interpretazione, una descrizione,
una concettualizzazione; non siamo già più nella “spontaneità”, ma nella doxa
(opinione), nella mâyâ (apparenza), nel preconcetto.
Ed allora, a meno che non siamo così arroganti ed antropocentrici da pensare
che la realtà vera sia quella che conosciamo con le nostre Categorie, dobbiamo
almeno postulare che essa sia scevra da condizionamenti e concettualizzazioni,
cioè che sia assoluta (ab-solutum = sciolto da tutto, incondizionato, indipendente
e libero da ogni cosa, totalmente irrelato) e che siano invece i suoi singoli aspetti
che, essendo finiti, relativi, condizionati, non possono conoscere del reale se non
altri aspetti a loro volta finiti, e mai l’intero, che è indiviso. Il relativo, infatti, si
relaziona sempre e solo con altro relativo. Nessun ente limitato conosce il Tutto.
Ed allora postuliamolo, l’Assoluto (lo scriviamo in maiuscolo non perché lo
stiamo personificando, sia chiaro! Faremo la medesima cosa con tutti i termini
tecnici… perfino con “Materia”). Non si tratta di credere nell’Assoluto come si
crede in un Dio-persona, ma semplicemente di prendere atto che, poiché tutta la
nostra conoscenza si fonda su Categorie sovrastrutturate, probabilmente la realtà
vera è nascosta “al di sotto” o “oltre” queste strutture. Non, quindi, credere, ma
semplicemente togliere le sovrastrutture. L’Assoluto “è” dunque la Realtà in sé,
scevra da tutte le categorizzazioni e da tutti i condizionamenti.
E quali caratteristiche dovrebbe avere questo Assoluto? Ovviamente nessuna:
abbiamo detto che esso è libero da ogni forma. Non possiamo dire ciò che esso è
o ha, ma solo ciò che esso non è o non ha. È la cosiddetta teologia negativa o
apofatica, la via dei mistici. Proviamo quindi a rimuovere tutto; l’Assoluto:

1. Non è né molti né uno, non ha né forma, né luogo, né tempo.


2. Non si relaziona con nulla, e non contiene in sé nulla.
3. Non crea nulla, non è né causa né fondamento di nulla.
4. Non vi è nient’altro (e qui il verbo essere è utilizzato solo in senso simbolico)
oltre all’Assoluto giacché, se vi fosse qualcos’altro, vi entrerebbe in relazione
e lo limiterebbe, ed esso non sarebbe già più ab-solutum.
27
5. Non è né un oggetto né un soggetto, non è una persona, non è un ente, non è
una sostanza, non è proprio nulla di ciò che possiamo percepire, immaginare
o pensare. È oltre ogni dualità e relazione:

Benché nella sua forma manifesta il divino sia necessariamente molteplice, nella
sua essenza non può essere né uno né molti. In altre parole, non è possibile definir-
lo. Il divino è ciò che resta quando si spoglia la realtà di tutto ciò che può essere
percepito o concepito. È neti neti, ‘né questo, né quello’, nulla che lo spirito sia in
grado di afferrare o le parole riescano a esprimere. Non possiamo dire che egli sia
uno; tuttavia possiamo affermare che non è uno, non è due, non è molti. L’espres-
sione preferita dai vedantisti è ‘non due’ (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I
mille volti del pantheon induista, p. 23).

Il Tao che si può nominare non è il Tao eterno (Lao-Tze; Tao-tê-ching. Il libro del
principio e della sua azione, 1, p. 41).

Dio non si può nominare che con il silenzio, non si può adorare che con il silenzio,
Dio non viene né affermato né compreso (Corpus Hermeticum, I, 31. Citazione
tratta da: Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 41).

Ci appare ben chiaro che l’Assoluto è per noi un abisso, una cosa ineffabile,
inconoscibile, inconcepibile. Negli schemi che seguiranno, dovendolo per forza
raffigurare, lo indicheremo con una sfera grigia del tutto isolata (vedi immagine)
e priva di ogni collegamento o relazione con qualcos’altro. Nell’enumerazione
dei Livelli gnoseologico-ontologici del reale lo indicheremo con il simbolo zero
[0], mentre per i successivi Livelli - della generazione - dei quali ci occuperemo
nei capitoli che seguiranno - utilizzeremo le lettere [A, B, C, D, E], proprio per
sottolineare la sua alterità rispetto ad ogni successiva concettualizzazione.

Assoluto
irrelato [0]

Terminiamo con un quesito: se l’Assoluto “è” l’unica ed indivisa realtà, che


cosa siamo noi?

28
7. L’ASSOLUTO È SEMPLICE ED “È” OGNI COSA
Ricapitolando: il termine assoluto significa - letteralmente - sciolto da tutto,
libero da ogni cosa, non condizionato, non-limitato, non-relativo.
È invece rela-tivo ciò che entra in rela-zione con qualcos’altro, e che quindi
ne è in qualche modo limitato e perturbato.
Questo significa che l’Assoluto non entra in relazione con nulla: è irrelato.
E qual è l’unica “cosa” che non entra in relazione con nulla?
È la Realtà totale, in quanto coincide con “il Tutto” (da intendersi nel senso
di ciò che non ammette nient’altro, ossia che nega realtà ad ogni altra cosa).
Qualsiasi cosa presunta reale è necessariamente immanente alla Realtà totale,
in essa compresa, e di conseguenza non può in alcun modo entrarvi in relazione.
Se vogliamo parlare di “qualcos’altro”, non possiamo che considerarlo come
un’apparente delimitazione di essa. Diciamo apparente perché, appunto, limitare
l’Assoluto o pensare che vi sia qualcosa oltre alla Realtà totale è un’assurdità.

***

Se l’Assoluto è la realtà totale, ed esclude quindi tutte le altre, allora ciascuna


di quelle che noi chiamiamo cose “è” l’Assoluto tutto intero in un suo aspetto.
Non può essere altrimenti; come potrebbe, infatti, essere qualcos’altro? Non
vi è nient’altro oltre a esso. Ma dobbiamo essere più chiari: è ovvio che nessuna
cosa finita e condizionata, considerata in sé, è l’Assoluto. Però questo ultimo, in
quanto unica realtà, è ogni cosa, senza eccezione. L’Assoluto, potremmo dire, è
come contratto in ogni forma finita. Ovviamente la molteplicità degli aspetti è in
noi, nella nostra categorizzazione, non certo nell’Assoluto, il quale, essendo del
tutto svincolato da tutte le Condizioni (Quantità compresa), è indiviso.
Gli Indù esprimono questa cosa dicendo che vi è piena identità fra l’Assoluto
in sé, il Brahman (che loro chiamano proprio “il Sé”, identificandolo con la Pura
Coscienza - e noi siamo d’accordo) e l’Assoluto contratto “in noi”, l’Âtman:

[…] la coscienza assoluta è chiamata Sé, il se stesso di ciascun essere individuale


(Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del pantheon induista, p. 36).

Il Sé è ciò che risiede nel più intimo di ogni creatura vivente, il Sé non è l’io, ma il
fondamento di ogni io […]. È l’infinitamente piccolo nel cuore degli esseri, divini e
umani, è l’infinitamente grande insito in ogni cosa. Esseri e mondi […]. Il rapporto
tra l’essenza dell’uomo e l’essenza del mondo, tra l’Âtman e il Brahman è la cosa
più misteriosa e più difficile da capire, anzi viene definita «l’incomprensibile». Il
passaggio dal particolare all’universale va cercato nella parte più profonda del cuo-
re […]. Non c’è un Âtman personale e un Brahman impersonale: il personale non
ha sostanza, è solo un tunnel verso quello che le Upaniṣad chiamano il Grande Sé
(Luciana Meazza e Gabriele Burrini; La filosofia indiana, pp. 21-22).

29
Quindi, ogni cosa è un aspetto dell’Assoluto. Attenzione: non è una parte, ma
un aspetto. Solo simbolicamente possiamo dire “parte”.

DIO È TUTTO INTERO IN QUALUNQUE PARTE DI SÉ. Questa definizione è data consi-
derando l’essenza divina nella sua semplicità. Poiché niente esiste che le si oppon-
ga, ed è insieme tutta intera ovunque, e anche sopra e oltre ogni dove, non subisce
divisione per difetto in sé di una potenza incompiuta, né rimane circoscritta da una
potenza esterna che la domini (Il libro dei ventiquattro filosofi, III, p. 59).

Massimo dico ciò di cui non ci può essere niente di più grande […]. Il massimo as-
soluto, così, è l’uno che è il tutto, in cui tutte le cose sono, perché è il massimo. E
poiché nulla gli si oppone, con lui coincide il minimo, perciò anche questo è in tutte
le cose. E poiché è assoluto, esso è in atto ogni essere possibile (Nicola Cusano; La
dotta ignoranza, pp. 62-63).

Che differenza c’è fra parte ed aspetto? Facciamo un esempio. Chiediamoci:


è possibile vedere una scatola cubica? Vi sono nello spazio indefiniti punti dai
quali è possibile osservare il cubo; da ciascuno di questi punti, ciò che appare
all’osservatore non è una parte del cubo, bensì il cubo tutto intero in un suo
aspetto particolare, cioè osservato da una determinata visuale, la quale esclude
tutte le altre (vedi immagine). Il cubo è solo uno, ma le forme prospettiche che
noi osserviamo se ci giriamo attorno [= i modi di contemplarlo] sono molteplici.
Abbiamo quindi una unità reale ed una moltitudine apparente. La molteplicità è
inerente ai soli aspetti. Ma il cubo è uno e indiviso:

Non c’è alcun punto di vista da cui la scatola abbia l’apparenza di un cubo; non si
vede mai altro che qualche faccia, gli angoli non sembrano retti, i lati non sembra-
no eguali. Nessuno ha mai visto, nessuno vedrà mai un cubo […]. Se si fa il giro
della scatola, si genera una varietà indefinita di forme apparenti. Nessuna di esse è
la forma cubica; che è altro da ciascuna di esse, esteriore a tutte, trascendente il loro
dominio. Allo stesso tempo, essa costituisce la loro unità. Costituisce anche la loro
verità (Simone Weil; La Grecia e le intuizioni precristiane, p. 211).

30
8. UNA RETE DI GIOIELLI [TUTTO È IN TUTTO]
«Il mondo è un gioco prospettico di specchi che esistono solo nel riflesso di
uno nell’altro», scrive Rovelli nel suo libro Helgoland (la citazione completa è
riportata nel capitolo n°18), dopo aver spiegato che, a livello fondamentale, gli
oggetti non esistono in se stessi, ma soltanto nelle loro reciproche interazioni.
È questo il nucleo della dottrina buddhista dell’anâtman (non-sé). La scienza
contemporanea si sta a poco a poco avvicinando alla concezione mistica: ogni
singola cosa è la Realtà tutta intera in un suo aspetto. Quindi, ogni cosa contiene
in qualche modo il Tutto, nel quale è anche contenuta:

Un’attenta analisi del processo di osservazione in fisica atomica ha mostrato che le


particelle subatomiche non hanno significato come entità isolate […]. La meccani-
ca quantistica rivela quindi una fondamentale unità dell’universo: mostra che non
possiamo scomporre il mondo in unità minime dotate di esistenza indipendente
[…]. La meccanica quantistica ci costringe a vedere l’universo non come una colle-
zione di oggetti fisici separati, bensì come una complicata rete di relazioni tra le va-
rie parti di un tutto unificato (Fritjof Capra; Il Tao della fisica, pp. 81 e 157).

«Tutto è in tutto», […] «in ogni cosa c’è parte di ogni cosa» (Anassagora, Cfr.
Diels-Kranz; I presocratici, 59 B. Citazioni tratte da: Giovanni Reale; Storia della
filosofia antica, Vol. I, p. 165).

Tutto è in tutto, ma compatibilmente all’essenza di ciascuna cosa (Porfirio; Senten-


ze, XXIV, p. 35).

Tutto è in tutto; ma è in ciascuno, secondo una maniera appropriata (Proclo; Ele-


menti di teologia, CIII, p. 89).

Una sola cosa è la sapienza: conoscere l’intendimento che governa tutte le cose at-
traverso tutte le cose […]. Conoscenza dell’immediato è unione per tutte le cose
(Eraclito; Dell’Origine, frammenti 35 e 75, pp. 86 e 137).

Siamo la manifestazione di una sola grande entità. È la dottrina conosciuta come la


vasta e grande «ghirlanda di diamante», o avataṃsaka. Nel sūtra buddhista così in-
titolato l’intero universo è descritto come un grande insieme di gemme. In ciascuno
dei suoi punti di giunzione una gemma riflette la luce di tutte le altre e si riflette a
sua volta in esse; l’enfasi è posta su ciò che viene riflesso non sulla gemma in sé
(Joseph Campbell; Miti di luce. Metafore dell’Eterno in Oriente, p. 52).

Probabilmente il più grande esponente di questa organica visione fu il buddhista


Fa-tsang (643-712 d.C.) della scuola mahayanica Hua-yen, la cui immagine del-
l’universo era una pluridimensionale rete di gioielli, ognuno dei quali conteneva il
riflesso degli altri, all’infinito. Ogni gioiello era uno shih o «cosa-evento» ed il suo
principio di shih shih wu ai («tra un cosa-evento ed un altro non vi è ostruzione»)

31
interpretava la reciproca interpenetrazione ed interdipendenza di ogni cosa che ac-
cade nell’universo. Prendi un filo d’erba e tutti i mondi verranno con esso. In altre
parole, l’intero cosmo è implicito in ogni suo membro, ed ogni punto in esso deve
esserne considerato il centro. È questo il semplice e fondamentale principio della
visione organica (Alan W. Watts; Il Tao. La via dell’acqua che scorre, pp. 52-53).

Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico, tenere


l’infinito nel palmo della mano e l’eternità in un’ora (William Blake; Auguries of
Innocence).

[…] ogni sostanza esprime esattamente tutte le altre mediante i rapporti che ha con
esse (Gottfried W. Leibniz; Monadologia, 59).

Il mondo della Natura consiste in forme [varie che si riflettono] in un unico spec-
chio, o meglio è una sola forma [che si riflette] in specchi diversi (Muhyi-d-dîn Ibn
‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, p. 49).

[…] le esistenze si possono paragonare a specchi raffrontati ciascuno dei quali ri-
flette l’insieme degli altri. Or bene, considerando che in ognuno di essi si trova
quanto è in uno qualsiasi degli altri, e che ciascheduno contiene quindi in particola-
re unicamente quello che esso stesso riflette, ovverosia che lascia fuori di sé tutti i
molteplici riflessi riverberati dagli altri specchi - esaminando ciò, dicevamo, è esat-
to affermare che ogni singolo essere racchiude solo quanto conviensi alla propria
essenza e null’altro; ma se si considera, invece, che la totalità degli specchi è com-
presa in ciascuno di essi, si può dire legittimamente che ogni singolo essere ha in sé
la totalità delle esistenze (Titus Burckhardt; L’Uomo universale. Antologia dall’o-
pera al-insân al-kâmil di ’Abd al-Karîm al-Jîlî, p. 58).

L’universo, in quanto è perfettissimo, ha preceduto tutte le cose per un certo ordine


di natura, affinché qualsiasi cosa possa essere in qualsiasi cosa. In una creatura qua-
lunque, questa stessa creatura è l’universo stesso, così ogni cosa le accoglie tutte,
affinché tutte siano, in modo contratto, in questa stessa, la medesima creatura (Ni-
cola Cusano; La dotta ignoranza II, 5, pp. 123-124).

A dire il vero, tutti gli esseri del mondo sono uno solo […]. Per questo è stato det-
to: “C’è nell’universo intero un unico e solo soffio, quindi il Santo venera l’unità”
[…]; le forme materiali nascono dall’essenza e tutti gli esseri sono generati, reci-
procamente, dalle forme […]. Dietro i fenomeni disordinati, c’è qualcosa che non
cambia. Rimane insostituibile e inalterabile da sempre [Zhuang-zi (Chuang-tzu),
XXII e XXIV, pp. 197-198, 200 e 234].

Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la
totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi
siamo e dove stiamo (Tiziano Terzani; Lettere contro la guerra).

32
9. DALL’ASSOLUTO [0] ALL’INFINITO POSITIVO [A]
Abbiamo visto come l’Assoluto [0] ci sia totalmente oscuro ed inintelligibile,
in quanto ogni conoscenza, fondandosi necessariamente sulla dualità conoscente
/conosciuto, è vincolata alle nostre Categorie conoscitive, ed è dunque relativa e
contingente. Esso è per noi come un abisso, un Infinito-Nulla, che ci è del tutto
sconosciuto. È l’En Sof della Kabbalah, il Brahman dell’Advaita Vêdânta, l’Uno
assoluto del Neoplatonismo, il Deus Absconditus [= Dio Nascosto] della mistica
cristiana, la Talità del Buddhismo, il Tao cinese (almeno così com’era inteso nel
suo significato originario), ecc. Lo chiamiamo con molti nomi, ma in ogni caso
non ci è possibile coglierlo mediante la conoscenza duale propria dell’intelletto.
Eppure, noi percepiamo, pensiamo, esperiamo. Ciò significa che ovviamente
certi aspetti del reale ci sono accessibili (anche se, come noi, essi sono relativi).
Come possiamo, partendo da questo “Nulla abissale”, spiegarci come si viene
a generare la molteplicità dell’esistenza con le sue infinite forme in divenire?
Non abbiamo scelta: dobbiamo introdurre, una alla volta e nel giusto ordine,
le nostre Categorie conoscitive, cioè le Condizioni dell’esistenza, ottenendo così
descrizioni del reale via via sempre più condizionate (le chiameremo “Livelli di
Realtà”), fino a giungere al mondo sensibile e corporeo che noi tutti esperiamo
nella quotidianità, fatto di relazioni, molteplicità, diversità e movimento. Questi
“Livelli” non hanno un’esistenza propria; non sono mondi ectoplasmatici che si
trovano da qualche parte nel cielo. Si tratta di una struttura logica: la Realtà non
è separata; siamo noi che la strutturiamo per spiegarcela come possiamo. Ma se
la struttura che stiamo descrivendo è solo una concettualizzazione - potremmo
chiederci - che senso ha perdere del tempo per studiarla? Ebbene, per progettare
l’evasione dal carcere (Mâyâ) è necessario conoscere la mappa dell’edificio:

Ogni individuo sperimenta se stesso, i propri pensieri e sentimenti, come qualcosa


che è separato dal resto: una specie di illusione ottica della coscienza. Questa di-
storsione diventa per noi come una prigione […]. Il nostro compito deve essere
quello di evadere da questa prigione (Albert Einstein; Lettera di condoglianze indi-
rizzata a R. S. Marcus, direttore politico del World Jewish Congress).

Ora che, passati gli anni, ho smesso d’arrovellarmi sulla catena d’infamie e di fata-
lità che ha provocato la mia detenzione, una cosa ho compreso: che l’unico modo di
sfuggire alla condizione di prigioniero è capire come è fatta la prigione (Italo Cal-
vino; Ti con zero. Il conte di Montecristo, 2).

***

Introduciamo dunque la prima delle categorie/condizioni, che è la Relazione.


Sia ben chiaro però che, così facendo, siamo già nell’opinione, nel fenomeno
[da phainómenon = ciò che appare, apparenza]. Tutto ciò che non è Brahman è
33
Mâyâ. D’altro canto, ben lo sappiamo, non vi è niente altro oltre al Brahman e,
di conseguenza, anche la Mâyâ è il Brahman in un suo aspetto.
Procediamo, quindi. Noi dobbiamo per forza considerare arbitrariamente una
relatività all’“interno” dell’Assoluto. In pratica, facciamo una prima distinzione,
pur senza scindere quantitativamente il reale. Può apparire un po’ strano che la
Relazione preceda la Quantità. La cosa però è ben chiara alla fenomenologia:

La fenomenologia è un pensiero che parte dalla relazione: non abbiamo un soggetto


e un oggetto separati, ma un legame tra loro che poi si articola in lato oggettivo e
lato soggettivo. Non ci sono due elementi che entrano in un legame, ma la realtà è
fatta di legami che poi noi comprendiamo come composti di elementi separabili.
Sembra un piccolo rovesciamento, in realtà è una grande rivoluzione (Massimo
Bracci; Una facile guida alla lettura di Essere e tempo di Heidegger, p. 50).

Quella che consideriamo è una relazione tutta interna all’unica Realtà, che si
relaziona, per così dire, con un aspetto contingente ed immanente di sé.

- Circoscriviamo, quindi, questa relatività, nella quale includiamo tutto ciò che
ci è possibile comprendere, esperire, immaginare, percepire, conoscere, ecc.
La chiamiamo “Essere possibile” o “Alterità intelligibile” (laddove l’essere
“altro” rispetto all’Assoluto è puramente simbolico) o ancora Shakti [divina],
termine sanscrito che significa energia o potenza manifestativa. Ed è proprio
all’Essere in tal modo desunto che applicheremo tutte le successive Categorie
[innanzitutto l’Unità, aspetto Limite (x) della Quantità]. Ed in esso vedremo
generarsi - per delimitazioni successive - tutto ciò che esiste.

- Ciò che invece non rientra nell’Essere (cioè nella Realtà concepita in quanto
una), e che non è quindi numerabile e che “eredita” in qualche modo la non-
intelligibilità dell’Assoluto, lo chiamiamo “Sovra-Essere”. Esso interagisce
con l’Essere. Ma di che tipo di relazione si tratta? Di inclusione, certamente,
poiché l’Essere è contenuto nel Sovra-Essere. Di dipendenza, anche, poiché
l’Essere dipende totalmente dal Sovra-Essere, che ne è il fondamento logico.
In un unico concetto, possiamo dire che il Sovra-Essere è causa dell’Essere.
Non si tratta, sia chiaro, di causalità di tipo temporale, secondo un prima ed
un dopo, bensì di una causalità puramente logica (la condizione dello Spazio-
Tempo, infatti, nel nostro schema non c’è ancora; ed anzi, sarà l’ultima delle
Condizioni primarie ad essere introdotta. Fino ad allora, ogni processo che
descriveremo sarà da intendersi in senso metafisico, cioè atemporale, logico).
La chiamiamo “Causalità non-agente” (wu-wei), perché non è reale, ma solo
una nostra concettualizzazione (la Realtà è indivisa e irrelata, ricordiamolo):

La differenza importante fra il Tao e l’abituale idea di Dio è che, mentre Dio mani-
festa il mondo col farlo (wei), il Tao lo manifesta «senza farlo» (wu-wei) (Alan W.
Watts; La via dello zen, p. 33).

34
L’Essere stesso vi si trova incluso [nel Sovra-Essere, che l’autore qui citato chiama
però Non-Essere. N.d.A.]3, poiché, non potendo appartenere alla manifestazione, in
quanto ne è il principio, è esso stesso non-manifestato […]. Aggiungiamo inoltre
che il Non-Essere, nel senso indicato, è più che l’Essere o, se si vuole, è superiore
all’Essere, se con ciò si intende che quanto esso comprende è al di là dell’esten-
sione dell’Essere, e contiene in principio l’Essere stesso (René Guénon; Gli stati
molteplici dell’Essere, pp. 38-39).

[…] in sé, la Shakti non può essere che un aspetto del Principio e, se la si distingue
per considerarla «separativamente», non è più che la «Grande Illusione», vale a di-
re Mâyâ (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 76).

L’Uno [l’Assoluto]* è tutte le cose e non è nessuna di esse […]. Egli infatti è per-
fetto perché nulla cerca e nulla possiede e di nulla ha bisogno; e perciò, diciamo
così, trabocca e la sua sovrabbondanza genera un’altra cosa. Ma l’Essere così gene-
rato si volge a Lui e tosto ne è riempito (Plotino; Enneadi, V, 2, 1). *N.d.A.

L’insieme indiviso di Sovra-Essere [A0] e Essere possibile [A1], che non è già
più l’Assoluto incondizionato (in quanto vi abbiamo applicato una Condizione, e
quindi una relatività), lo chiamiamo “Infinito positivo” [A], ed è il primo Livello
della Realtà condizionata. L’aggettivo positivo sta ad indicare che esso permette
in sé l’Essere e l’Esistenza, mentre l’Assoluto (che potremmo chiamare “Infinito
negativo”) nega ogni altra realtà, in quanto lo limiterebbe e lo relativizzerebbe.
Il primo è il “Nulla-Tutto”, mentre il secondo è il “Nulla” - da intendersi però
non come niente, assenza di realtà, ma bensì in quanto “Nulla-di-determinato”.
Se vogliamo, mentre l’Assoluto è il Dio inconoscibile della mistica, l’Infinito
positivo è il Dio del pan-enteismo [infatti in questa concezione Dio è immanente
all’Essere, ma pure lo trascende nel Sovra-Essere). L’Essere coincide invece con
il Dio della religione (quando non viene declassato a mero ente).
Cosa abbiamo fatto con tutta questa operazione? Non abbiamo aggiunto nulla
all’Assoluto, alla Realtà in sé, però almeno ora abbiamo circoscritto in essa un
suo aspetto (la Shakti-Essere) che ci è intelligibile, e su cui possiamo lavorare.
La relazione fra l’Infinito positivo e l’Essere può simbolicamente esprimersi
matematicamente con quella tra l’∞ e l’1:

∞+1=∞

3
Ricordiamo che le frasi riportate fra parentesi quadre all’interno delle citazioni altrui
e contrassegnate dalla sigla N.d.A. (Nota dell’Autore) sono nostre aggiunte al testo.
35
L’1 non aggiunge nulla all’∞, in quanto vi è necessariamente già compreso e,
in quanto finito, è ontologicamente nullo rispetto ad esso. Ma non è altro da lui,
in quanto l’Infinito non ha parti. Questo “1” simbolizza per noi l’intero Essere,
ossia la realtà considerata oggettivamente, e che possiamo finalmente analizzare
con i nostri strumenti di indagine. Esso rappresenta l’insieme delle Possibilità di
manifestazione; alcune di esse si manifestano, altre restano inespresse.
Chi è il soggetto che ha fatto questa prima distinzione nel reale? Ovviamente
noi (l’uomo) con la nostra ragione. L’uomo è l’ultimo arrivato nella generazione
del reale. Ma non potevamo che partire da noi. Era inevitabile. Incontreremo di
nuovo questo passaggio, quando tratteremo appunto l’essere umano.

Assoluto Sovra-Essere CONDIZIONE


irrelato [0] [A0] AGGIUNTA:
Relazione
Infinito
positivo
[A]
Realtà non intelligibile, non
M
numerabile, non manifestabile
P R
Realtà oggettiva, numerabile,
intelligibile, manifestabile:
Shakti divina, Possibilità universale totale
Essere possibile
o «Alterità»
intelligibile [A1]

Lato oscuro della Lato chiaro della


Shakti: Possibilità Shakti: Possibilità
che non si mani- che si manifesta
festa [Virtualità] [Potenzialità]

Processione passiva = Traboccamento P


Ritorno passivo = Estinzione Logos R
Manenza della Fonte M

36
10. LA SHAKTI-ESSERE NELLE VARIE TRADIZIONI
La Shakti divina, o Essere possibile, rappresenta dell’Infinito - all’interno del
quale l’abbiamo circoscritta - l’aspetto unitario (quindi quantificabile), positivo
(giacché segna il passaggio dallo “0∞” all’“1”), oggettivo (laddove i suoi oggetti
sono le infinite Possibilità universali, le quali si realizzeranno nell’Esistenza) e
dinamico (in quanto è in essa che si produrrà la manifestazione); è, per così dire,
l’aspetto femminile e materno di Dio, ossia dell’Infinito.
Nello Shivaismo tantrico, Shiva e sua moglie Shakti sono rispettivamente il
Sovra-Essere e la sua Energia o Potenza manifestativa, il suo aspetto femminile
e generativo. Insieme, essi sono l’Infinito. Ma non vi è alcuna alterità fra i due.
Siamo stati noi che - per rendercela in parte intelligibile - abbiamo desunto una
relazione dialettica all’interno dell’unica indivisa Realtà:

La corrente vîraśaiva sostiene un «non-dualismo qualificato»: Śiva e Śakti sono


un’unica realtà, la mâyâ […] stende il suo velo di ignoranza sulle anime umane
(Luciana Meazza e Gabriele Burrini; La filosofia indiana, p. 87).

Nella Bibbia, la Shakti è identificata con la Sapienza o con la Parola divina,


facoltà con la quale Dio genera il mondo da sé:

Ho conosciuto tutte le cose nascoste e quelle manifeste, perché mi ha istruito la sa-


pienza, artefice di tutte le cose. In lei c’è uno spirito intelligente, santo, unico, mol-
teplice, sottile […]. La sapienza è […] effluvio della potenza di Dio, emanazione
genuina della gloria dell’Onnipotente […]. È riflesso della luce perenne, uno spec-
chio senza macchia dell’attività di Dio e immagine della sua bontà. Sebbene unica,
può tutto; pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova […]. Ella manifesta la sua nobi-
le origine vivendo in comunione con Dio, poiché il Signore dell’universo l’ha ama-
ta; infatti è iniziata alla scienza di Dio e discerne le sue opere (Libro della Sapien-
za, 7, 21-27 e 8, 3-4).

Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera,
all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata […]. Quando egli fissava i cieli, io
[…] ero con lui come artefice (Libro dei Proverbi, 8, 22-30).

Ora, confrontiamo il passo appena citato con i seguenti (tratti da antichi testi
indù), nei quali si parla di Vāc, la Dea della parola, della voce e del discorso, che
rappresenta «Suono-Parola» originario mediante il quale Dio genera l’Universo:

Questo [in principio] era il solo Signore dell’universo. La sua Parola era con lui.
Questa Parola era il suo secondo. Egli contemplò. Egli disse: «Libererò questa Pa-
rola, così che ella produrrà e creerà tutto questo mondo» (Tāṇḍya-mahā-brāhmaṇa
XX, 14, 2. Citazione tratta da: Raimon Panikkar; I Veda. Mantramañjarī, p. 145).

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La Parola è infinita, immensa, al di là di tutto questo... Tutti gli Dei, gli spiriti cele-
sti, uomini e animali, vivono nella Parola. Nella Parola tutti i mondi trovano il pro-
prio sostegno (Taittirīya-brāhmaṇa II, 8, 8,4. Citazione tratta da: Raimon Panikkar;
I Veda. Mantramañjarī, p. 145).

Dio crea… o meglio, la Sapienza divina genera l’intero universo pensando


(mediante il Logos), o parlando (con il “Suono”, la “Vibrazione”, il “Verbo”, la
“Parola” creatrice), oppure scrivendo nel “Libro della Rivelazione divina”. Si
tratta di simbologie molto simili. Ne riparleremo.
La Shakti divina è anche la Sophia gnostica, la Shekinah della Kabbalah
ebraica, la Spenta armaiti del Mazdeismo, la Perfezione passiva del Taoismo, la
Nube o Colonna di fumo che, nella Bibbia e nella mistica medievale, proprio
come il Velo di Mâyâ, da un lato manifesta il mondo, dall’altro si frappone fra
noi ed il Principio assoluto, celandocelo. Riportiamo alcuni passi:

Ritroviamo nella gnosi il culto della Donna divina, della Madre, dell’eterno femmi-
nino: è la “via” fra Dio e il mondo; ella può cadere nel mondo, ma può anche sal-
varlo […]: è Dio-Madre, Sophia, Nostra Signora dello Spirito Santo […]. Presso
molte sette, la dottrina e il culto si incentrano su un’entità metafisica chiamata Bar-
belo […]. Barbelo rappresenta la prima esteriorizzazione, la forza, l’immagine, la
luce del Padre […]. Ritroviamo sempre il mito del “Pensiero” divino, della Madre,
che cade nella materia (il caos, l’abisso, le tenebre, l’“acqua”) da cui deve in segui-
to essere salvata (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, pp. 46-47).

Secondo gli insegnamenti della Kabbalah, la Shekhinah è la Presenza femminile di


Dio che si manifesta in tutto il mondo naturale […]. Come culmine della Parola di-
vina e della Emanazione divina, la Shekhinah si manifesta compiutamente sotto
l’aspetto della Sefirah finale, MALKHUT (regno), che riceve ed esprime l’energia di
tutte le Sefirot che la precedono nell’Albero della vita. […] Shekhinah è in esilio
dall’unità dello ‘EN SOF (Gabriella Samuel; Kabbalah. Tutti i segreti del misticismo
ebraico, p. 346).

Tra le concezioni tipiche della cabbalà, quella della potenza femminile all’interno
del mondo divino, più nota come Shekinà (“residenza”, “abitazione” di Dio), è tra
le più emblematiche (Joseph Dan; La cabbalà. Breve introduzione, p. 45).

Se mai raggiungi questa nube di non conoscenza che si trova sopra di te, fra te e il
tuo Dio, e vi dimori e vi operi come ti dico, dovrai anche collocare una nube di
oblio sotto di te, fra te e ogni altro essere creato. Ti sembrerà forse di essere ben
lontano da Dio perché fra te e lui c’è la nube della non conoscenza; ma certo sarà
giusto pensare che sei lontano da lui quando non c’è una nube di oblio fra te e ogni
altro essere creato (La nube della non conoscenza, V, p. 33).

Il Respiro divino […] dà origine all’intera massa “sottile”, esistenziazione primor-


diale designata col nome di Nube. Da qui il senso del hadîth: “Domandarono al
Profeta: Dov’era il tuo Signore prima che creasse la sua creazione [visibile]? - Era
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avvolto in una Nube; non vi era ancora spazio né al di sopra né al di sotto”. Questa
Nube, esalata dall’Essere Divino, e nella quale l’Essere Divino è primordialmente,
riceve tutte le forme e al contempo dà agli esseri la loro forma; essa è […] concepi-
ta come Immaginazione attiva creatrice, Immaginazione teofanica. Nube primor-
diale, Immaginazione assoluta o teofanica, Compassione esistenziatrice, sono no-
zioni equivalenti, espressione di una stessa realtà originale: l’Essere Divino da cui è
creata ogni cosa […]. In questa Nube sono dunque manifestate tutte le forme del-
l’essere, dall'ordine degli Arcangeli più elevati, gli “Spiriti estasiati d’amore”, fino
ai minerali e alla natura inorganica; tutto ciò che si differenzia dalla pura essenza
dell’Essere Divino in sé, generi, specie, individui, tutto è creato in questa Nube.
“Creato”, ma non prodotto ex nihilo, poiché il solo non-essere concepibile è lo stato
latente degli esseri; anche nel loro stato di potenza pura, occultati nel perimetro
dell’Essenza non rivelata, gli esseri hanno già preeternalmente uno statuto positivo
(Henry Corbin; L'immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, pp. 162-163).

[…] il Nirvâna è l’estinzione rispetto al Cosmo, e il Parinirvâna quella rispetto


all’Essere; il Nirvâna è dunque identico all’Essere, secondo un concetto più inizia-
tico che propriamente metafisico, dato che un «principio» è rappresentato come
uno «stato», e il Parinirvâna al Sovra Essere, cioè alla Quiddità divina che, nella
teologia greca, «avvolge» l’Essere, o che, nel Sufismo, «fa cadere tutti i predicati»
(Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, pp. 48-49).

L’iconografia mentale attribuisce alla persona di Spenta Armaiti tratti che la rendo-
no strettamente affine alla Sophia quale capomastro della Creazione di Yahveh. Es-
sa è la figlia del «Signore Sapienza», la sua «padrona di casa» e la «madre delle
creature», essa è la Dimora […]. Tale Dimora […] è Sophia stessa come Tempio e
come Dimora. Anche nella Cabbala ebraica come nei Cabbalisti cristiani (ad esem-
pio F.C. Oetinger) la Sophia, la Shekhinah, è la Dimora divina, il luogo della Pre-
senza divina, e come tale lo «spazio divino» (Henry Corbin; Corpo spirituale e
Terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, pp. 63-64).

Si enumerano due perfezioni […]: la perfezione attiva e la perfezione passiva [Qian


e Kun (...)]. Ma non c’è, in realtà, che una sola perfezione […], che una sola idea di
Dio, che una sola «Causa iniziale di tutte le cose». Questa perfezione, detta «atti-
va», è generatrice e riserva potenziale di ogni attività, ma non agisce affatto. Essa è
e dimora in sé, senza manifestazione possibile; è dunque inintelligibile all’uomo,
nello stato presente del composto umano. Dopo che questa perfezione si è manife-
stata, essa ha subito, senza cessare di essere se stessa, la modificazione che la rende
intelligibile allo spirito umano; poco importa che questa manifestazione sia un
semplice atto di volontà o un’azione vera e propria; per il solo fatto di aver agito, la
perfezione è adatta a entrare nella concettualità; e viene denominata - allora - perfe-
zione passiva (Kun). La Perfezione è una e inintelligibile all’uomo; perché se ne
possa parlare, bisogna che essa divenga intelligibile, o perlomeno che si supponga
che lo possa divenire. E così la si rappresenta con due differenti diagrammi. Ciò
nonostante, non esiste che una sola e unica perfezione e una sola Causa iniziale.
Teniamo bene presente che la nostra mente comprende solo il numero, che non è

39
atto a cogliere l’Unità, e ancora meno lo zero, che è l’Unità prima di ogni manife-
stazione. Ricordiamo anche che non si può dire che ci sia dualismo, se non là dove
ci sono due princìpi contrari o differenti; e che due o cento aspetti di un solo prin-
cipio non potrebbero costituire né dualismo né molteplicità. Qui, come ovunque,
del resto, il Grande Principio è uno; ed è per situare la sua unità non manifestata al
di sopra di tutti i tentativi possibili dell’intelligenza umana, che il sapiente propone
alla nostra contemplazione e al nostro studio non il principio in sé, che non potreb-
be essere nominato, senza essere deformato, bensì l’aspetto del Grande Principio
manifestato e riflesso nella coscienza umana […]. Bisogna rassegnarsi: non sapre-
mo mai, in quanto uomini, la verità [...]. È dunque con precauzione infinita che la
Tradizione include un aspetto della verità - o di Dio - in grado di essere compreso
dalla nostra intelligenza […]. In altri termini, la Perfezione passiva è la Perfezione
attiva colta dal nostro intelletto imperfetto; eppure rimane Perfezione, ed è in que-
sto che brilla la sua misteriosa realtà astratta. Se trasponiamo la verità numerale sul
piano divino (o metafisico trascendentale) possiamo dire che la Perfezione passiva
sta alla Perfezione attiva come l’uno sta allo zero, i quali, pur essendo cifre diffe-
renti, non sono che un solo numero, il primo dei numeri e il solo numero (Matgioi;
La Via metafisica, pp. 34-36).

L’importante è tener presente che Sovra-Essere/Shakti-Essere non è ancora la


Prima Dualità (che, come abbiamo visto e come chiariremo meglio in seguito, è
quella rappresentata da Essenza/Sostanza o Limite/Illimite), poiché non abbiamo
ancora introdotto la categoria della Quantità (di conseguenza il “due” ancora
non esiste), ma solo quella della Relazione, ed è una relazione tutta interna alla
Realtà indivisa.

Sovra-Essere [Shiva]
Infinito
positivo

Shakti-Essere
[«Alterità» intelligibile]

40
11. DALL’UNITÀ ALLA DUALITÀ ALLA MOLTEPLICITÀ
Giunti a questo punto della nostra ricerca, dopo aver lasciato da parte ciò che
del reale non possiamo comprendere (il Sovra-Essere), ci ritroviamo con una
realtà concreta ed oggettiva, la Shakti divina (o Essere), sulla quale finalmente
possiamo cominciare a ragionare, applicandovi le altre Categorie conoscitive.
Ora il quesito è il seguente: come si giustifica il passaggio dall’Unità intera e
indivisa dell’Essere alla Molteplicità dell’Esistenza manifesta che conosciamo?
Con chi si relazionerà questa Shakti, sola ed unica realtà “che è”, totalmente
circondata da un abisso di infinito non-essere da cui essa, incomprensibilmente,
è emersa? Non potrà che relazionarsi con se stessa. E in cosa consisterà questa
relazione? In un processo cognitivo (il termine “processo” è da intendersi come
sempre in senso logico, non temporale): essa dovrà prima di tutto conoscere se
stessa, sapere che cosa essa è. Dovrà pensarsi. Ecco, la modalità di generazione
del reale condizionato è simbolicamente descrivibile come una sorta di processo
auto-conoscitivo, che chiamiamo “Auto-Contemplazione generatrice”.
Questa modalità è alquanto complessa (come potrebbe non esserlo?). Il fatto
positivo è che una volta compresa la applichiamo a tutti i Livelli poiché, pur con
qualche differenza determinata dal contesto ontologico, essa si ripete uguale. Ed
è proprio tale regolarità che ci permette di individuare delle corrispondenze fra i
diversi Piani della realtà condizionata… Le Corrispondenze universali.
Cercheremo di affrontare il problema girandoci un po’ intorno, esaminandolo
dapprima da punti di vista parziali e nelle sue rappresentazioni più semplici.
Ad esempio, secondo un simbolismo che abbiamo già incontrato, il principio
unitario (Shakti-Essere) si polarizza nella Prima Dualità x e y (Maschio-Essenza-
Limite-Logos e Femmina-Sostanza-Illimite-Chaos), e dall’amplesso fra questi
due si genera il Figlio-Esistenza-Limitato-Kosmos (y-x), ossia la Manifestazione
universale con la sua molteplicità (vedi immagine). Questo mitologema sessuale
è certo evocativo, e ci è anche utile per definire i rapporti fra i vari protagonisti,
ma è evidente che esso non spiega il come la generazione avvenga.
Dobbiamo approfondire altre questioni. Soltanto dopo aver ben delineato una
visione d’insieme e chiarito tutti i termini in gioco procederemo ad analizzare la
modalità dell’Auto-Contemplazione.

Unità Shakti-Essere

Dualità Essenza Sostanza

Molteplicità Manifestazione

41
12. LE POSSIBILITÀ UNIVERSALI ED I “NOMI DIVINI”
La Shakti, abbiamo detto, si identifica con la Possibilità universale, giacché è
appunto l’insieme di tutte le possibilità - sia di quelle che non si realizzeranno
che di quelle che invece si realizzeranno. Quest’ultime sono veicolate dai “Nomi
divini”. Anche i Nomi divini sono possibilità, però aggregate in un soggetto. In
altri termini: la Shakti contiene in sé, in modo indiviso, gli Archetipi di tutte le
cose. Qualsiasi cosa esista - intendendo tale termine non in funzione del tempo,
e quindi includendo tutto ciò che è esistito, che esista e che esisterà - è compresa
eternamente nell’Essere, che è propriamente l’unità indivisa dell’Esistenza, ossia
di tutto ciò che è. Qualsiasi cosa esista, è l’Essere tutto intero in un suo aspetto.
Le possibilità sono sostanzialmente le determinazioni oggettive fondamentali,
cioè prefigurazioni di quelle che, nei successivi Livelli del reale, diventeranno
gli enti (esistenti). Se uno di tali enti è un soggetto, allora l’insieme personificato
delle sue possibilità consiste in un Nome divino.
Dal punto di vista essoterico, i Nomi divini sono caratterizzazioni qualitative
di un Dio-persona (Il Compassionevole, Il Misericordioso, Il Creatore, ecc.), ma
per l’esoterismo e per la mistica essi assumono un significato ben più profondo:
Ma i sufi parlano di «Nomi divini» indicando in tal modo tutte le possibilità o es-
senze universali contenute nell’Essenza divina immanente al mondo; e questa ter-
minologia è solo un prolungamento del simbolismo coranico: nel Corano, Dio si ri-
vela per mezzo dei Suoi nomi, così come si manifesta nell’universo attraverso le
Sue qualità perfette (Titus Burckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche del-
l’Islam, p. 53).

La ragione fondamentale di ogni ciclo di manifestazione è lo sviluppo delle possi-


bilità principiali di manifestazione simbolizzate dalla serie dei Nomi divini (Titus
Burckhardt; La chiave spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn
Ibn ’Arabî, p. 45).

I Nomi divini, dunque, hanno senso o realtà piena soltanto mediante e per quegli
esseri che ne sono le forme epifaniche (mazâhir), cioè le forme in cui essi vengono
manifestati. Dall’eternità, ancora, queste Forme, sostegno dei Nomi divini, sono
esistite nell’Essenza divina; sono le nostre esistenze latenti, le nostre individualità
esistenti allo stato di condizioni eterne ed archetipiche nell’Essenza divina (A‘yân
thâbita). Dall’eternità, queste individualità latenti aspirano all’essere concreto in at-
to (Henry Corbin; L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, p. 101).

Dio volle vedere le essenze dei suoi nomi perfettissimi, che il numero non può
esaurire - e se vuoi, puoi anche dire: Dio volle vedere la propria essenza in un og-
getto totale che, essendo dotato dell’esistenza, riassuma l’intero ordine divino, per
manifestare così il suo mistero a Se stesso (Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza
dei Profeti, p. 15).

42
Facciamo un esempio. Nel nostro Piano della Realtà, che è la Manifestazione
fisica, Socrate (il filosofo greco vissuto nel V secolo a.C. - ma avrei potuto dire
me, te o qualunque altro essere individualizzato) è la manifestazione di un certo
Nome divino; tutte le cose che invece costituiscono “il suo mondo”, ovverosia
tutte le esperienze comprese fra la sua nascita e la sua morte (oggetti percepiti,
fantasie o pensieri concepiti, situazioni vissute, relazioni intrattenute, emozioni
provate, il suo stesso corpo fisico, ecc.) sono le sue possibilità, la sostanza della
sua vita, della sua esistenza, del suo stesso essere. Forse il concetto di possibilità
coincide almeno in parte con la nozione buddhista di dharma, anche tenendo
conto dell’insostanzialità (anâtman, non-sé) dei Nomi divini qualora considerati
in se stessi, in quanto entità indipendenti, e non invece in quanto semplici aspetti
relativi dell’Infinito, il quale è l’unica indivisa realtà:

[…] con il termine dharma sono indicati i costituenti minimi del mondo fenomeni-
co, i punti istanti costitutivi di ogni evento e rappresentazione, dunque il substrato
essenziale della fenomenicità, ed anche, più in generale, le ‘cose’, gli ‘elementi’, le
‘realtà’ (Emanuela Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 26).

[…] tutti i dharma sono privi di un sé (Dhammapada. La via del Buddha, 279).

Ogni essere-persona è un Nome con il quale Dio chiama se stesso, tramite cui
si conosce, una forma contingente nella quale egli si manifesta a se stesso.
Indipendente dal fatto di essere nato e morto da secoli, Socrate, è un insieme
di possibilità e quindi un Nome divino eternamente presente nell’Essere (Essere
dal quale mai nulla esce):

[…] siete con me fin dal principio (Vangelo secondo Giovanni, 15, 27).

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo (San Paolo; Lettera agli Efesini,
1, 4).

E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima
che il mondo fosse (Vangelo secondo Giovanni, 17, 5).

Ma questa parte deteriore, anche una volta scaricata, non potrà finire nel nulla […].
Infatti, nulla può venire eliminato dall’essere (Plotino; Enneadi IV; 7, 14).

Tutte le possibilità che si manifestano passano inevitabilmente dalla potenza


all’atto. Per questo le chiamiamo Potenzialità.
Vi sono pure possibilità che non si manifestano [Virtualità], che permangono
eternamente inespresse e celate nella Shakti divina. Per fare un esempio: io avrei
avuto la possibilità di lavorare nel campo della musica; ma questa possibilità,
pur virtualmente reale, non si è mai realizzata. Se ne è realizzata la fantasia, che
è un’altra cosa, ma non il fatto concreto. Ma non è solo questo.

43
Pensiamo all’integrale sui cammini elaborato dal fisico Richard Feynman: un
elettrone per andare dal punto A al punto B ha a sua disposizione infiniti tragitti,
descrivibili come onde di probabilità; solo uno di questi tragitti però, alla fine,
verrà percorso (collasserà). Tutti gli altri resteranno allora inespressi, inesistenti.
È evidente che le Virtualità sono infinitamente maggiori delle Possibilità che si
manifestano.

Infinito positivo

Realtà non manifestabile Realtà manifestabile,


[Sovra-Essere] Possibilità universale totale
[Shakti divina, Essere]

Possibilità che Possibilità che si mani-


non si manifestano festeranno nell’Esistenza
[Virtualità] universale [Potenzialità]

44
13. IL CICLO TRIADICO DELLA GENERAZIONE
Anche se la scienza moderna - in conformità con il suo metodo - si fonda su
una relazione duale fra soggetto osservatore e oggetto osservato (e quindi indaga
la realtà in quanto oggettiva, tralasciando volutamente il motto delfico «Conosci
te stesso e conoscerai l’universo e gli dèi»), gli scienziati più accorti ammettono
che si tratta di una categorizzazione arbitraria, e che la realtà è indivisa:

Ben lungi dall’aver raggiunto la dimensione del «pensare puro», la Dottrina della
scienza rimane affetta dal dualismo di io e non-io: in essa, il pensiero non annienta
il proprio «correlatum» […], anzi se lo vede rispuntare da capo a ogni momento
nelle varie maschere del non-io (Gianluca Garelli; Sogni di spiriti immondi. Storia
e critica della ragione onirica, p. 374).

Non c’è nulla di misterioso in questo: il mondo non è diviso in entità a sé stanti.
Siamo noi che lo separiamo in oggetti per nostra convenienza (Carlo Rovelli; Hel-
goland, p. 147).

Che la realtà sia in sé indivisa lo abbiamo ripetuto più volte. Eppure, anche
noi parliamo di successivi Piani o Livelli che si generano a partire ciascuno da
quello che lo precede direttamente. Ad esempio, abbiamo visto come il Sovra-
Essere sia la causa dell’Essere universale (vedremo poi come l’Essere sia a sua
volta la causa di altre realtà, che chiameremo Monadi particolari). Sembra vi sia
una certa contraddizione: la Realtà, insomma, è indivisibile, oppure è strutturata
in una pluralità di differenti Livelli di auto-manifestazione?
Per superare questa apparente aporia dobbiamo analizzare come avvenga la
generazione di una realtà da un’altra. Sviluppando una tematica già presente in
Plotino, il neoplatonico Proclo elabora a tal riguardo una regola generale. Ce ne
parla Giovanni Reale:

[…] è da segnalare la perfetta determinazione raggiunta da Proclo della legge gene-


rale che governa la generazione di tutte le cose intesa come un processo circolare
costituito da tre momenti: 1) la «manenza», ossia il rimanere o permanere in sé del
principio; 2) la «processione» o l’uscire dal principio; 3) il «ritorno» o la «conver-
sione», ossia il ricongiungersi al principio […]. La legge vale non solo in generale,
ma anche in particolare: essa, infatti, esprime il ritmo stesso della realtà nella sua
totalità così come in tutti i suoi momenti singoli […]. Il processo triadico, pertanto,
va pensato a guisa di circolo; non, però, nel senso di una successione di momenti,
quasi che fra manenza, processione e ritorno vi sia una distinzione di prima e di
poi, ma nel senso della coesistenza dei momenti, ossia nel senso che ogni processo
è perenne permanere, perenne procedere, perenne ritornare. Inoltre, […] anche il
prodotto, in un certo senso, permane nella causa nello stesso momento in cui pro-
cede, per il motivo che il procedere non è un «separarsi», ossia un diventare total-
mente altro (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 676-677).

45
Cerchiamo di comprendere: ciascun Piano del reale genera quello successivo.
Il prodotto (causato) è sempre maggiormente condizionato rispetto al produttore
(causa o fonte), quindi è ontologicamente inferiore ad esso. Ne consegue che,
nell’ordine delle produzioni, vi è una graduale diminuzione di realtà, ovvero un
progressivo allontanamento dalla indivisione originaria attraverso il procedere di
realtà via via sempre più condizionate e - all’apparenza - indipendenti:

Tutto ciò che produce [Causa] un altro è migliore, per natura, della cosa prodotta
[Causato] (Proclo; Elementi di teologia, 7, p. 25).

La processione è un apparente affrancamento del causato dalla propria causa,


un’uscita da essa (processione), seguita da un rientro (ritorno).
Pensiamo ancora alla relazione che intercorre fra il Sovra-Essere e l’Essere:
dal primo si genera il secondo. Però, abbiamo visto, non vi è alcuna alterità fra i
due; non sono due realtà quantitativamente diverse, ma aspetti di un’unica realtà
che è l’Infinito positivo. Quest’ultimo, allora, a ben vedere è rimasto in se stesso
(manenza). La processione ed il ritorno altro non sono che concettualizzazioni
logiche che ci sono state utili per desumere l’Essere (il quale ci è intelligibile)
dall’ineffabile Sovra-Essere (che abbiamo denominato “Causa non-agente”, in
quanto, in verità, non vi è stata alcuna causazione). Il causato è eminentemente
sempre contenuto nella propria causa, e l’alterità fra i due è solo apparente.
Processione e ritorno sono solo modi per considerare in senso distintivo due
aspetti che in verità sono indistinguibili. Nulla esce mai dalla propria causa.
Insomma: la Realtà è indivisa, però noi la consideriamo come un insieme di
cose interconnesse. Ci raccontiamo allora che esse: 2) “escono” dall’indiviso per
avere un’esistenza propria; quindi: 3) vi “rientrano”. In verità sappiamo che esse
non sono mai “uscite”. Con la generazione la causa non diminuisce la sua realtà,
proprio come la fonte luminosa non si impoverisce irradiando da sé la propria
luce. Le molteplici realtà universali sono teofanie, ovvero manifestazioni delle
inesauribili possibilità dell’Infinito, sue “effusioni”. Se ogni realtà permane nella
precedente, tutto è da ricondursi alla causa prima. Nulla esce mai dall’Infinito:

[…] tra le concezioni inaccessibili all’exoterismo, la più importante è forse, per lo


meno in certi aspetti, quella della gradazione della Realtà universale: la Realtà s’af-
ferma per gradi, ma senza smettere di essere una, i gradi inferiori di questa affer-
mazione essendo assorbiti, per integrazione o sintesi metafisica, in quelli superiori;
è la dottrina dell’illusione cosmica: il mondo non è soltanto più o meno imperfetto
ed effimero, ma non è perfino in nessun modo rispetto alla Realtà assoluta (Frithjof
Schuon; Unità trascendente delle religioni, p. 55).

Che la parola fluisca all’esterno e tuttavia permanga all’interno, è davvero straordi-


nario. Che tutte le creature fluiscano all’esterno e permangano tuttavia all’interno, è
davvero straordinario (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Praedica vorbum, p. 98).
[…] io sono rimasto nel Padre. Nel Padre sono le immagini originarie di tutte le
creature (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Ave, gratia plèna, p. 44).
46
[…] non si può essenzialmente uscire dall’Infinito metafisico […]. Ciò che ci di-
stingue da Dio non è affatto l’essenza, poiché siamo di essenza divina […]; ciò che
ci distingue sono la natura e la qualità [ovvero le Condizioni di esistenza. N.d.A.]
(Matgioi; La Via metafisica, pp. 73-75).

In lui [Dio] infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (Atti degli Apostoli, 17, 28).

Ogni cosa, che è prodotta da un’altra immediatamente, e [1] rimane nel produttore
e [2] da esso procede […]. In quanto, dunque, ha una certa medesimezza [identità]*
col produttore, il prodotto rimane in esso; ma, in quanto è diverso, ne procede. Ma,
essendo simile, è in certa maniera, insieme, un medesimo e un diverso: dunque ri-
mane e procede insieme: e non è nessuna delle due cose, diviso dall’altro. Ogni co-
sa, che procede essenzialmente da alcunché, ritorna a quello, da cui procede. Infatti,
[…] ogni cosa appetisce [desidera]* il Bene, e ciascuna lo raggiunge mediante la
sua causa prossima. Dunque ancora le singole cose aspirano alle proprie cause […].
E l’aspirazione si dirige primamente a ciò, da cui deriva il Bene: e si ritorna a quel-
lo, che prima si appetisce. Ogni ritorno si effettua per la similitudine tra le cose che
ritornano e ciò a cui si ritorna […]. Ma la somiglianza [essenza]* unisce tutte le co-
se, a quel modo che la dissomiglianza [sostanza]* le separa e disgiunge […]. Tutto
ciò che procede da qualche cosa e vi ritorna, ha un’attività circolare. Infatti, se ri-
torna alla cosa da cui procede, congiunge il fine col principio, e il movimento è uno
e continuo […]. Onde tutte le cose procedono circolarmente dalle cause alle cause.
I circoli sono maggiori e minori, poiché i ritorni si compiono, alcuni verso cose
immediatamente superiori, altri verso cose ancora più elevate, e sino al principio
del tutto. Poiché da esso tutte le cose derivano e ad esso ritornano […]. Ogni causa-
to e [1] rimane nella sua causa e [2] procede da essa e [3] ritorna ad essa. Infatti, se
rimane soltanto, non differirà punto dalla causa, essendo indistinto; poiché il pro-
gresso [la processione]* va insieme con la distinzione; ma, se procedesse soltanto,
sarebbe disgiunto da essa e privo di simpatia, non avendo alcuna comunicazione
con la causa (Proclo; Elementi di teologia, XXX-XXXV, pp. 45-48). *N.d.A.

Causa M Manenza
P Processione
P R R Ritorno

Causato

47
14. I DUE “MOMENTI” DELLA
CONTEMPLAZIONE GENERATRICE

Assoluto Sovra-Essere, «Causa»


irrelato [0] non-agente, Fonte [A0]

⇵ = Contem- Infinito
plazione pas- P R
positivo [A]
siva [x] della
propria Fonte
da parte della
Shakti divina

Shakti divina [A1], ↺ = Auto-Contemplazione


«Alterità» intelligibile, attiva [y-x]: la Shakti prende
Essere possibile, Realtà atto delle proprie Possibilità,
«oggettiva», la quale e si determina come Spirito
contempla se stessa o Nous [B], secondo Livello
della Realtà condizionata
y-x

Per la filosofia delle Corrispondenze universali - come per Plotino e per quasi
tutte le dottrine mistiche - la Contemplazione è la modalità con cui si genera il
reale condizionato. La cosiddetta creazione (termine improprio, poiché la Realtà
è in sé indivisa, quindi nessuno crea nulla… che sarebbe dualità) consiste in un
processo auto-cognitivo. Come può, infatti, la Realtà unitaria manifestarsi a se
stessa se non pensandosi oggettivamente come molteplice? Scrive Reale (ricor-
dando che Plotino chiama “Uno” quello che noi chiamiamo “Assoluto”):

La theoria, la «contemplazione creatrice», su cui solo di recente gli studiosi hanno


richiamato l’attenzione, diventa uno degli assi portanti della metafisica plotiniana,
se non, addirittura, la cifra di questa metafisica. Infatti […], Plotino pone una pre-
cisa equazione fra «contemplazione» e «creazione». Il creare è contemplare o, se si
preferisce, effetto del contemplare. La contemplazione creatrice è la caratteristica

48
che accomuna tutte le ipostasi, la chiave che dischiude il segreto della «processio-
ne» dall’Uno e dello stesso «ritorno» all’Uno, dato che […] la stessa estasi è «con-
templazione» (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 612).

La Contemplazione si fonda su due momenti (da intendersi in senso logico: il


Tempo, infatti, non ha ancora fatto la sua comparsa nella nostra enumerazione
delle generazioni universali), o meglio, due sguardi in direzioni diametralmente
opposte (ovviamente, nemmeno lo Spazio vi è ancora, e quindi anche il concetto
geometrico di direzione è del tutto simbolico). Questi due momenti - nei quali il
soggetto protagonista è un causato - sono nell’ordine:

1. La Contemplazione passiva della propria Causa non-agente.


2. La Contemplazione attiva di se stesso (Auto-Contemplazione).

Analizziamo il momento n°1, indicato nella prima immagine dal simbolo ⇵.


Consideriamo ad esempio la Shakti divina: abbiamo visto come essa si generi
(Processione) dal Sovra-Essere, e come ad esso poi si ricongiunga (Ritorno), a
significare la non-alterità essenziale fra i due (Manenza). Proprio in ciò consiste
la Contemplazione passiva: il causato (che in questo caso è la Shakti-Essere, ma
la modalità è identica in tutte le successive generazioni) semplicemente permane
nella propria Fonte causale (che qui è il Sovra-Essere). Non agendo attivamente,
rimanendo inerte, il causato non si separa e non si affranca dalla propria Causa,
non è altro da essa. Questa identità essenziale viene descritta appunto come pura
Contemplazione passiva. La Shakti, volgendosi a guardare il Sovra-Essere da cui
deriva, e non facendo niente altro, si determina nella propria essenza unitaria (x)
come puro essere, essendo ciò che realmente è. Essa è l’Essere, cioè si afferma
come Essere universale, che rappresenta l’Unità indivisa, il Limite nell’ambito
della Categoria-Condizione della Quantità. Non deve fare assolutamente nulla;
le è sufficiente la semplice presenza consapevole rivolta verso la propria Fonte
(relazione di totale dipendenza, che viene spesso descritta dai mistici come puro
amore). Niente pensiero duale, quindi, ma bensì spontaneità assoluta.
È presto per affrontare tale questione, ma possiamo accennare al fatto che lo
scopo della ricerca spirituale è - per il mistico - proprio l’annullamento passivo
del proprio ego e l’identificazione piena con l’Assoluto indiviso:

Tutte le nostre azioni devono tendere, in ultima analisi, a renderci passivi in rappor-
to all’attività e all’essere della divina Realtà […]. La grazia spirituale ha origine nel
divino Fondamento di tutto l’essere e viene concessa allo scopo di aiutare l’uomo a
raggiungere la propria meta finale, cioè il ritorno a quel Fondamento, fuori dal
tempo e dalla personalità (Aldous Huxley; La Filosofia Perenne, pp. 228 e 232).

Passiamo ora ad analizzare il momento n°2, l’Auto-Contemplazione attiva,


indicato sempre nella prima immagine con il simbolo ↺.

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In questo passo, Giovanni Reale ci spiega la differenza fra i due momenti:

[…] Plotino distingue […] due tipi differenti di attività […]: a) l’attività dell’ente e
b) l’attività che deriva dall’ente: la prima è immanente all’ente, per così dire, men-
tre la seconda esce dall’ente e si dirige al di fuori. In altri termini, l’attività dell’ente
coincide con la singola realtà, mentre l’attività che deriva dall’ente si dirige ad altro
(Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 525).

L’alterità del causato, ossia il suo affrancamento dalla Causa, si afferma solo
ed esclusivamente nell’atto auto-contemplativo. Per sussistere come “qualcosa”
a sé, il causato deve pensarsi attivamente. Infatti, con la sola Contemplazione
passiva esso non si distingue sostanzialmente dalla Causa:

L’Essere, in realtà, viene ad essere solo quando diventa consapevole di se stesso.


Finché Dio è in se stesso soddisfatto, è inesistente; per essere Dio dev’essere risve-
gliato a qualcosa che non sia lui […]. Non si può affermare che il Pensiero esista
per mezzo dell’Essere e che l’Essere abbia la sua base in se stesso; si deve afferma-
re che l’Essere è Essere a causa del Pensiero (Daisetz Teitaro Suzuki; Vivere Zen,
p. 12).

Il causato si pensa tramite il Logos, il quale coincide con la facoltà pensante e


con il pensiero stesso. Per contemplare se stesso, esso deve:

a. Pensare “uscendo da sé” (Processione), cioè generando contenuti sostanziali,


oggettivi e molteplici.
b. Pensare “rientrando in sé” (Ritorno), ovvero riconducendo tutto alla sintesi
unitaria e soggettiva, identificandosi essenzialmente con i contenuti pensati.

Nella prima operazione, esso si contempla nella Sostanza, nell’Illimite (y), e


si vede molteplice, manifestandosi come Limitato (y-x). Nella seconda, invece,
si contempla nell’Essenza, nel Limite (x), e si vede unitario, ovvero come esso
realmente è (vedi l’immagine).

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Possiamo immaginare l’Illimite ed il Limite come due “specchi”: il primo [y]
è frantumato, e mostra una pluralità di riflessi; il secondo [x] è integro, e riflette
invece la realtà quale essa è. Vediamo allora le caratteristiche dei due “specchi”
e quelle della manifestazione che scaturisce dalla loro interazione:

- Specchio y [tendenza all’Illimite o Sostanza] = oggettivante, moltiplicante,


diversificante, dispiegante, esteriorizzante, centrifugo, analitico, disgregante,
sostanzializzante, dissolvente, alterizzante, estrovertente, catabasi, tamas.
- Specchio x [tendenza al Limite o Essenza] = soggettivante, essenzializzante,
unificante, identificante, centralizzante, interiorizzante, centripeto, sintetico,
preservante, coagulante, introvertente, anabasi, sattwa.
- Determinazione y-x [Limitato, prodotto dell’interazione fra Limite e Illimite]
= relazionante, totalizzante, equilibrante, armonizzante, azionante, rajas4.

Nell’immagine seguente osserviamo una prima rappresentazione semplificata


dell’Auto-Contemplazione attiva [↺], fondata su un duplice processo simultaneo:
1. Processione nella Sostanza.
2. Ritorno all’Essenza.
Il contemplante vede dapprima se stesso come Oggetto molteplice e poi come
Soggetto unitario. Per questo motivo sono necessari due specchi: uno unificante
[x] e uno disperdente [y]:

auto-riflessione
Shakti Soggetto
[Possi- unitario
bilità] Nuovo
Livello
di Realtà
Specchio- Specchio- ⊃ Esseri
Sostanza, Essenza, Periferici
Illimite Limite
[y] [x]

P R

Oggetto molteplice, Misto,


Limitato, Manifestato [x-y]

4
Vedremo più avanti il significato dei termini tamas, sattwa a rajas.
51
Il prodotto dell’Auto-Contemplazione della Shakti-Essere è il secondo Piano
della Realtà condizionata, il Nous plotiniano (seconda ipostasi), chiamato anche
Intelletto o Spirito. Noi preferiamo utilizzare quest’ultimo termine, per questioni
etimologiche. Spirĭtus, infatti, in latino significa soffio, o respiro. Espirazione ed
inspirazione sono simbolicamente adatte per indicare la Processione e il Ritorno,
ossia le due fasi della auto-riflessione attiva. Lo Spirito coincide con l’Esistenza
universale, considerata però allo stato principiale, che si realizzerà nei successivi
Livelli. Riportiamo ora alcune citazioni che riassumono la questione:

Egli [l’Uno (ovvero l’Assoluto). N.d.A.] trabocca, per così esprimerci, e la sua esu-
beranza dà origine a una realtà novella; ma l’essere così generato si rivolge appena
a Lui ed eccolo già riempito; e, nascendo, volge il suo sguardo su di se stesso ed
eccolo Spirito. Precisiamo ancora: il suo fermo orientamento verso l’Uno crea l’Es-
sere; la contemplazione che l’Essere volge a se stesso crea lo Spirito. Ora, poiché lo
Spirito, per contemplarsi, deve pur stare orientato verso se stesso, Egli diviene si-
multaneamente Spirito ed Essere (Plotino; Enneadi V, 2, 1).

[…] per quanto concerne la seconda ipostasi […], è da rilevare che la potenza o at-
tività [del Sovra-Essere]* non genera senz’altro il Nous o Spirito, bensì qualcosa di
«indeterminato» o «informe» [la Shaki]*, e questo si determina e diviene mondo
delle forme rivolgendosi all’Uno, guardando e contemplando l’Uno e di Lui fecon-
dandosi e riempiendosi, appunto mediante tale «contemplazione» (e poi anche, co-
me vedremo, contemplando se medesimo fecondato della contemplazione
dell’Uno). Questo prodotto indeterminato e informe dell’Uno (prima che si rivolga
a contemplare l’Uno) è detto da Plotino «alterità» intelligibile, «materia intelligibi-
le» e anche «primo moto», ossia moto intelligibile […]: questa materia e questo
moto intelligibile non sono altro se non il pensiero indefinito (o, come si potrebbe
anche dire, l’essere indefinito) che si determina appunto rivolgendosi all’Uno
(Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 527-528). *N.d.A.

La generazione dell’esistente, abbiamo detto, viene spiegata simbolicamente


come il prodotto dell’Auto-Contemplazione della Shakti-Essere. Questa ultima,
però, emerge dal Sovra-Essere (quindi dall’Assoluto) inspiegabilmente, senza un
perché, spontaneamente (wu-wei).
Il Logos - ossia la facoltà pensante tramite cui l’Essere pensa se stesso - viene
infatti logicamente solo dopo l’Essere. L’Essere pensa se stesso (delimitando le
proprie Possibilità caotiche) tramite il proprio Logos. Ma “prima” e “al di sopra”
dell’Essere non vi è alcun Logos. Il Logos è nell’Essere, e non viceversa.
Ed infatti, siamo stati noi, con il nostro Logos (la logica umana) a desumere
l’Essere dal Sovra-Essere. Insomma, ce lo abbiamo messo noi il Logos, ove non
c’era. Non avevamo scelta, se volevamo renderci in qualche modo intelligibile il
reale, o almeno un aspetto di esso.
Portiamo alle estreme conseguenze questo ragionamento: è impossibile dare
una giustificazione dell’Essere. Anche le Possibilità universali, infatti (e quindi

52
il possibile), sono immanenti all’Essere, e non viceversa. Eppure l’Essere c’è. Si
tratta di un mistero, di una verità inconcepibile per la ragione. Noi non possiamo
comprendere perché vi è l’Essere e non nulla; è una cosa che ci sfugge!
Affinché vi sia comprensione serve una relazione fra colui che comprende e
la cosa compresa. Deve esserci alterità fra i due termini dialettici. Ma l’Essere è
l’Unità, e non può essere compreso come da fuori. L’Essere non si può cogliere
mediante il pensiero; lo si può soltanto essere, in senso unitivo. Possiamo allora
identificarci con esso, ma estinguendo il pensiero, che è necessariamente duale.
Non possiamo comprendere quel mistero insondabile, perché noi - come ogni
cosa - siamo quel mistero. Non vi alcuna alterità nel reale:

La scienza non può risolvere il mistero ultimo della natura. Ciò si deve, in ultima
analisi, al fatto che noi stessi facciamo […] parte del mistero che stiamo cercando
di risolvere (Max Planck. Citazione tratta da: Gregg Braden; La Matrix Divina, p.
31).

[…] non può esistere un osservatore esterno al Tutto, perché il tutto deve ovvia-
mente includerlo (Federico Faggin; Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e
la nostra natura, p. 218).

Non ci è possibile indagare concettualmente il reale prescindendo dalle nostre


categorie mentali. Infatti, chiedendoci: “Che cos’è la realtà?”, noi distinguiamo
arbitrariamente colui che indaga (noi, il soggetto) dalla cosa indagata (la realtà
oggettiva); poniamo così una dualità, e quindi una relatività. Come posso io, che
sono un “aspetto” integrante del reale, considerare quest’ultimo come fosse altro
da me, un oggetto esterno che mi si pone innanzi e che posso vedere, indagare,
toccare, capire? Poiché quella fra soggetto ed oggetto è una relazione immanente
alla Realtà (considerata nella sua interezza e indivisibilità), quest’ultima non può
essere oggettivizzata… è oltre!5

REALTÀ
VERA Realtà
pensata

Io

5
Purtroppo, la rappresentazione nell’immagine ha i suoi limiti espressivi. È infatti
impossibile delimitare il reale. L’area più grande tratteggiata, quindi, è da immaginarsi
infinita, illimitata, senza bordi, giacché non vi è nulla di “esterno” ed oltre ad essa.

53
La scienza moderna, fondando il proprio metodo sull’osservazione empirica
di un presunto “mondo oggettivo”, restringe necessariamente il proprio campo
d’indagine. Ed è giusto che sia così, per gli scopi che si prefigge. Però purtroppo
essa è spesso inconsapevole della propria relatività (escludendo ovviamente gli
scienziati più illuminati, come il sopracitato Plank):

La scienza non pensa. Non pensa perché - in conseguenza del suo modo di procede-
re e dei suoi strumenti - essa non può pensare. Che la scienza non sia in grado di
pensare non è per nulla un difetto, ma un vantaggio. Solo in virtù di questo la
scienza può dedicarsi alla ricerca sui singoli ambiti di oggetti e stabilirsi in essa
(Martin Heidegger; Che cosa significa pensare?, p. 41).

Con “La scienza non pensa”, Heidegger intende dire che essa non riesce a
cogliere il fatto che l’oggettività del mondo non è una verità di fatto, ma solo un
postulato, come tale indimostrabile. Non poggia quindi su un fondamento logico
rigoroso (questo, sia chiaro, nulla toglie alla sua indubbia utilità pratica).
Non così l’antica saggezza, che si fondava invece sul motto delfico-socratico:
“Conosci te stesso e conoscerai l’universo!”. Dobbiamo accettare il fatto che la
Realtà Vera comprende e al contempo trascende noi e tutte le nostre Categorie
mentali; a meno che non siamo così pretenziosi ed arroganti da credere che essa
vi sottostia. Come dice Alfred Korzybski: “La mappa non è il territorio!”.

***

A questo punto si potrebbe obiettare: perché la Realtà dovrebbe coincidere


con l’Infinito? Non potrebbe, invece, essere essa finita, limitata, de-terminata?
Proviamo ad argomentare, senza pretendere di esaurire l’argomento.
L’Infinito è un concetto massimamente reale e necessario, poiché se poniamo
un limite di qualsiasi natura - affermando per esempio che la Realtà è finita - noi
inevitabilmente circoscriviamo qualcosa all’interno di qualcos’altro più ampio.
Rappresentiamo tale concetto con un simbolismo spaziale, cha va ovviamente
preso come tale, non letteralmente. Per disegnare un cerchio su un foglio bianco
è sufficiente che noi tracciamo la circonferenza, in modo da separare lo spazio
interno (l’area del cerchio) da quello esterno (il resto del foglio):

? Realtà
?
[cosa c’è fuori [cosa c’è fuori
[finita]
dal cerchio?] dal cerchio?]

54
Abbiamo attivamente stabilito un confine interno, una linea di demarcazione
con la quale delimitare una certa porzione del foglio, denominata “cerchio”. Lo
spazio era uno, omogeneo, indivisibile; siamo stati noi che - con una operazione
arbitraria - abbiamo circoscritto il cerchio, chiudendolo e separandolo dal resto.
Se la Realtà è in sé finita, significa che ha dei limiti, proprio come il cerchio
tracciato nel foglio. Ma domandiamoci: tali limiti esistono? L’onere della prova
ricade, di norma, su chi sostiene l’esistenza di una certa cosa. Ma non vogliamo
cavarcela con questo escamotage. Questi limiti, dunque, sono reali, esistono? Vi
sono due possibili risposte: 1] Se sono reali, allora, proprio per definizione, sono
compresi nella Realtà totale e, se vi sono compresi, non la comprendono, quindi
non la possono limitare, ma ne sono altresì limitati; 2] E se sono invece irreali?
Per limitare la Realtà, infatti, tali limiti dovrebbero essere altro da essa; quindi,
sarebbero irreali e, in quanto tali, non limiterebbero proprio nulla6.
Tutte le cose finite, condizionate, relative, contingenti sono appunto qualcosa
perché si limitano reciprocamente, si determinano a vicenda; ciascuna è se stessa
e trova il suo limite nell’esistenza delle altre; nessuna di esse coincide infatti con
la Realtà totale. L’Infinito invece, ciò entro il quale tutte le cose sono contenute,
è necessariamente illimitato, indeterminato. Se dico: “La Realtà è finita!”, allora
devo specificare: finita rispetto a che cosa? Che cosa la limita? Cosa vi è oltre a
essa che le si contrappone limitandola? L’Infinito o Realtà totale, comprendendo
tutto (ma proprio tutto, limiti inclusi), non trova limite in nulla. L’infinitudine
del reale è ovviamente un postulato e, come tale, impossibile da dimostrare:

Il Primo […] «genera» tutte le cose, ma non è nessuna delle cose che genera […].
D’altra parte, mentre è il fondamento di tutte le cose, non ha alcun fondamento di
per sé, in quanto non ha bisogno di nulla, neppure di sé stesso, essendo già assolu-
tamente sé stesso […]. L’Uno è presente dappertutto perché non vi è un ente che
non lo presupponga […] e insieme non è presente in nessun luogo perché nessun
ente lo possiede […]. Insomma, l’Assoluto non è un oggetto e tanto meno un risul-
tato, bensì un postulato del pensare [e dell’essere. N.d.A.] (Aldo Magris; Invito al
pensiero di Plotino, pp. 176-177).

6
Termini come Realtà e Verità - non a caso usati come sinonimi proprio per indicare
l’Assoluto - trascendono la relatività dell’esistenza. Chiedersi: “Esiste la Verità?” non
ha alcun senso: se anche si rispondesse: “No, non esiste!”, questa sarebbe la Verità.
55
15. LA GENERAZIONE DELLO SPIRITO [B]
Finalmente siamo ora in possesso di dati sufficienti per intraprendere l’analisi
del primo ciclo auto-contemplativo divino, che coincide con il Nous o Spirito
universale [B], secondo Livello della realtà condizionata. Ci appoggiamo in toto
all’immagine seguente, della quale conosciamo ormai tutti gli elementi:

Assoluto Sovra- CONDIZIONE


[0] Essere AGGIUNTA:
Quantità

Infinito
positivo
[«Dio»]
Realtà non numerabile
Ragione P R
separativa Realtà numerabile

Essere in atto
[«Uno»]

Shakti divina, Es-


sere possibile, Al- EL 1!
terità intelligibile
Angeli-
A
1 spirito
dualità LIMITE
GL [x], Unità
indivisa
r

AD p

ESSENZA [x]
Âtmâ-logos, SOSTANZA, Molteplicità ideale
Verbo, «Spirito ILLIMITE [y]: Di- [y-x], Intelletto divino,
vivente» visibilità infinita Mondo delle Idee ⊇
nel Continuo Shakti angeliche

56
In alto a sinistra è riportato l’Assoluto [0], il “Dio nascosto” dei mistici, del
tutto incondizionato, irrelato, inaccessibile a ogni concettualizzazione.
Alla sua destra abbiamo l’Infinito positivo [A], il “Dio” del panenteismo (non
panteismo!), e quindi la prima Relazione, nella quale la Shakti divina contempla
passivamente il Sovra-Essere da cui deriva. Questa relazione consiste nell’uscita
o processione [P] del causato e nel suo ritorno [R] nella causa. La Processione
consiste in una sorta di “traboccamento” per eccesso di realtà, ma non aggiunge
nulla alla realtà originaria, proprio come l’1 nulla aggiunge all’∞ [∞ + 1 = ∞].
Possiamo chiamarla anche folgorazione, in quanto la Shakti divina, volgendosi
al Sovra-Essere, si “riempie” di contenuti, i quali consistono nelle Possibilità
universali - sia in quelle che resteranno celate (lato sinistro, oscuro) che in quelle
che si manifesteranno (lato destro, chiaro).
Giunti a questo punto possiamo aggiungere alla Relazione la nostra seconda
categoria gnoseologica, ossia la condizione della Quantità, quindi ragionare con
una pluralità di elementi. La Shakti divina corrisponde all’Unità [1], il principio
della Quantità e quindi dello Spirito. Ma essa ancora non lo sa: è ignara.
Per poter essere concretamente, infatti, la Shakti divina deve necessariamente
conoscere se stessa. Deve idealmente dire: “Sono!”. Tutti i successivi momenti
del processo logico consistono nella sua Auto-Contemplazione attiva. Vediamo
infatti che, alla conclusione del ciclo auto-contemplativo, a destra, essa si riflette
nello “specchio-essenza” dell’Unità [Limite], e soltanto così diventa finalmente
l’Essere in atto (finora la avevamo infatti denominata Essere “possibile”).

Probabilmente Dio stesso fu curioso di conoscersi, perciò creò l’uomo [e anche tutti
gli altri esseri. N.d.A.] e sta cercando di soddisfare la sua curiosità attraverso di lui
(Daisetz Teitaro Suzuki; Vivere Zen, p. 11).

[…] ricorderemo quel hadith infaticabilmente meditato da tutti i mistici dell’Islam,


dove la divinità rivela il segreto della sua passione (il suo pathos): «Ero un Tesoro
nascosto, e desideravo essere conosciuto. Allora ho creato le creature allo scopo di
essere conosciuto da loro». Per renderlo più fedele al pensiero di Ibn ‘Arabî, tradur-
remo così: «allo scopo di divenire in loro l’oggetto della mia conoscenza». Questa
passione divina, desiderio di rivelarsi e di conoscere se stesso negli esseri che lo
conoscono, è il movente di tutta una drammaturgia divina, di una cosmogonia eter-
na (Henry Corbin; L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, pp. 100-101).

In qualunque modo si voglia considerarlo, il mondo è in realtà la manifestazione di


Dio a Se stesso, come afferma la sentenza sacra (hadith qudsî) [Sentenza del Profe-
ta d’ispirazione divina] che riconduce l’idea di creazione a quella di Conoscenza:
«Ero un tesoro nascosto; ho voluto essere conosciuto (o: conoscere), e ho creato il
mondo». Nel medesimo significato, i sufi paragonano l’Universo ad un insieme di
specchi nei quali l’Essenza infinita si contempla in molteplici forme, o che rifletto-
no a differenti livelli d’irradiazione dell’Essere unico; gli specchi simboleggiano le
possibilità dell’Essenza di autodeterminarsi [Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti]
(Titus Burckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 56).

57
Dall’Unità della Shakti divina vediamo quindi generarsi - per polarizzazione -
la Prima Dualità, costituita dall’Essenza e dalla Sostanza.
L’Essenza è Âtmâ-Purusha, il Logos o Verbo, lo “Spirito vivente”, la “facoltà
pensante”, il fattore limitante. Esso viene generato [GL] dalla Shakti-Essere, e
rappresenta simbolicamente l’“occhio” con il quale essa vede (pensa) se stessa.
La Sostanza è invece una sorta di “pensiero vuoto”, un “sostrato” nel quale il
pensatore (Logos) proietta la propria unità essenziale nello “specchio-sostanza”
della Quantità continua, ovvero nell’illimitata divisibilità dei numeri reali, auto-
determinandosi [AD] e manifestandosi come molteplicità di elementi limitati e
discreti [in basso a destra], ciascuno dei quali rappresenta un singolo uno. In un
certo senso, potremmo dire che l’Unità moltiplica se stessa nella pluralità.
La Prima Dualità e il loro prodotto (la Manifestazione-Limitato, il “pensato”,
cioè il pensiero oggettivo e determinato) sono la Triade metafisica, ampiamente
trattata nel quarto capitolo. Quindi: Essenza (Logos, facoltà pensante, pensatore,
determinante) + Sostanza (Chaos, pensiero vuoto, indeterminato, indefinito) =
Manifestazione (Kosmos, oggetti pensati, pensiero determinato, definito).
La Manifestazione, considerata unitariamente, è l’Intelletto divino (Mahat), il
quale procede [p] dal Logos e consiste sostanzialmente nell’aspetto oggettivo e
molteplice dello Spirito, l’Iperuranio, il mondo delle Idee. Trattasi infatti di una
molteplicità ideale, non essendovi ancora né distinzione formale né dislocazione
spazio-temporale (le quali si attueranno solo nei due successivi Livelli del reale,
quando introdurremo le categorie della Qualità e dello Spazio-Tempo).
Gli elementi molteplici (determinazioni oggettive fondamentali) dell’Intelletto
divino consistono infatti nelle Idee platoniche, le quali altro non sono che le
Possibilità che si manifesteranno, considerate però allo stato ancora principiale:
Gli argomenti di taluni filosofi contro l’esistenza delle «idee» di Platone cadono nel
nulla quando si comprende che queste «idee» o archetipi non hanno «esistenza»,
come scrive Ibn ‘Arabî, cioè non hanno la natura di sostanze distinte, e che costi-
tuiscono soltanto delle possibilità inerenti all’«Intelletto», e inerenti in senso prin-
cipiale all’Essenza divina. Del resto, tutta la disputa filosofica sugli «universali»
deriva da una confusione tra gli archetipi e i loro riflessi puramente mentali. Le
idee generali, in quanto forme mentali, sono evidentemente soltanto pure astra-
zioni; ma tale costatazione non scalfisce minimamente gli archetipi o «idee» di Pla-
tone, dato che queste sono semplicemente possibilità o disposizioni intellettuali,
possibilità che le «astrazioni» presuppongono e senza le quali non avrebbero alcuna
verità intrinseca. Negare le «essenze immutabili», fonte di ogni conoscenza relati-
va, equivarrebbe a negare lo spazio col pretesto che non vi è forma spaziale. Difatti
gli archetipi non si manifestano mai come tali, né nell’ordine sensibile né
nell’ordine mentale; eppure ad essi si riconduce principialmente tutto ciò che è rac-
chiuso in questi due ordini. Quando si cerca di afferrarli, indietreggiano davanti alla
visione distintiva; si possono conoscere solo intuitivamente, sia muovendo dai loro
simboli, sia per identificazione con l’Essenza divina (Titus Burckhardt; Introduzio-
ne alle dottrine esoteriche dell’Islam, pp. 58-59).

58
Nell’immagine noi vediamo tante piccole sfere (nel disegno ve ne sono solo
16, per ovvi limiti di rappresentazione; ma la loro molteplicità è da considerarsi
illimitata), raffigurate esattamente come una Shakti divina in miniatura. Si tratta
delle shakti angeliche, ovvero di aspetti particolarizzati della Shakti divina.
[Una precisazione importante: nel nostro studio parleremo di figure mediate
dalla tradizione: Angeli, Demoni e addirittura Elementali. Sia chiaro, non stiamo
parlando di misteriose entità disincarnate che aleggiano come ectoplasmi nel
mondo fisico. Si tratta altresì di personificazioni di funzioni logiche, intelligenze
intermedie fra quella divina e quella degli esseri naturali (tra i quali l’uomo) che
ci servono per descrivere la generazione dei Livelli della Realtà condizionata].
Nel passaggio logico dalla Shakti divina all’Intelletto divino, le Idee stanno
alle Possibilità proprio come le shakti angeliche stanno ai Nomi divini. Ed infatti
quest’ultimi erano la Shakti divina stessa considerata nei suoi aspetti particolari.
La relazione di inclusione [⊃] nei due Livelli è quindi la seguente:

- Shakti divina ⊃ Nomi divini ⊃ Possibilità universali


- Intelletto divino ⊃ shakti angeliche ⊃ Idee intellettuali

Insomma, le shakti angeliche veicolano le Idee nell’Intelletto, proprio come i


Nomi divini veicolavano le Possibilità nella Shakti divina.
Nell’ulteriore passaggio, il Logos riconduce la Molteplicità all’Unità, ossia fa
ritorno [r], attraverso lo specchio del Limite, alla propria Essenza. Il risultato è
l’Essere in atto, ovverosia l’auto-conoscenza della Shakti divina, la realizzazione
finale ed unitaria delle Possibilità che si manifestano.
Tutto il ciclo auto-contemplativo consiste di fatto in una auto-affermazione:
l’Essere non solo è ciò che pensa di essere (identificandosi unitariamente con i
propri contenuti oggettivi pensati), ma propriamente è solo ed esclusivamente in
quanto si pensa. Se non si pensasse, non sarebbe, in quanto indistinguibile dal
Sovra-Essere (totalmente integrato in esso, pura Possibilità non attuata), come
effettivamente lo è la Shakti divina nella pura Contemplazione passiva [x], prima
(sempre in senso logico) di auto-contemplarsi attivamente [y-x] nello Spirito.
L’Essere in atto e l’Intelletto divino sono, insieme, lo Spirito universale, ossia
il Nous. E abbiamo così il secondo Livello della Realtà condizionata, nonché il
terzo Livello della Realtà universale. Elenchiamoli:

[0] = Assoluto incondizionato.


[A] = Infinito positivo, condizionato dalla Relazione.
[B] = Spirito universale, condizionato dalla Relazione e dalla Quantità.

Poiché la Realtà è indivisa, ciascuna singola shakti angelica è l’intero Essere


considerato da un punto di vista particolare (si veda l’esempio del cubo descritto
nel capitolo n°7), che chiamiamo “Angelo-spirito” o Buddhi. Ovviamente questi
argomenti andranno approfonditi meglio in seguito.
59
Nell’ultimo passaggio, vi è l’estinzione del Logos [EL], ovvero l’uscita dalla
dualità del pensiero. L’Essere in atto ritorna allo stato di Possibilità, alla Shakti
divina, e quindi alla sua non-alterità con il Sovra-Essere. Ora, però, dopo essersi
contemplato, ha piena conoscenza di se stesso.

60
16. IL DIO CHE “CREA” CON IL
PENSIERO: LA DOTTRINA DEL LOGOS
Nel capitolo n°10, relativo alla Shakti divina nelle diverse tradizioni, abbiamo
visto come essa coincida nella Bibbia con la Sapienza divina e nei testi indù con
Vāc, la Parola, il “soffio” (in latino: spirĭtus, respiro) generatore di Dio. Essa è la
Potenza o l’Energia con la quale e nella quale Dio “crea” il mondo manifesto
pensandolo o nominandolo. Vediamo ancora qualche passo al riguardo:

Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu (Libro della Genesi, 1, 3).

Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro
schiera. Come in un otre raccoglie le acque del mare, chiude in riserve gli abissi.
Tema il Signore tutta la terra […], perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e
tutto fu compiuto [Libro dei Salmi, 33 (32), 6-9].

La rivelazione vedica ci dice in innumerevoli testi che vāc, la Parola, […] è la pri-
ma manifestazione dell’Assoluto, dal quale scaturì […]. Era al principio […]. Tutto
ciò che è partecipa in vāc, attraverso la quale tutto è venuto in essere […]. Questo
[…] principio femminile, la devī del potere supremo, sarà in seguito conosciuta con
il nome di śakti (Raimon Panikkar; I Veda. Mantramañjarī, pp. 119-121 e 129).

Abbiamo visto poi negli ultimi capitoli come la Shakti divina generi il Logos,
che consiste propriamente nella sua “facoltà pensante e creante”. Questo ultimo
genera poi il mondo-Kosmos dando ordine, misura e determinazione al Chaos,
limitando l’Illimite:

Mettere ordine vuol dire misurare; misurare vuol dire creare; nei tempi arcaici non
troviamo nessun’altra concezione di «creazione» e, se non si tiene presente che
«creare» significa «misurare», non si può comprendere nessuno dei cosiddetti «miti
della creazione» (Hertha von Dechend; Il concetto di simmetria nelle culture arcai-
che. Tratto da: Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend; Sirio).

[…] tu hai disposto ogni cosa con misura, calcolo e peso (Libro della Sapienza, 11,
20).

[…] «creare», secondo il significato dell’espressione araba khalaqa, è sinonimo di


«attribuire ad ogni cosa la propria misura», il che, trasposto nell’ordine metafisico,
corrisponde alla prima determinazione […] delle possibilità nell’Intelletto divino
(Titus Burckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, pp. 54-55).

Ogni cosa creammo in giusta misura, e il Nostro ordine è una sola parola, [istanta-
neo] come un battito di ciglia (Corano, LIV, 49-50).

61
La concezione dell’universo come Pensiero di Dio affonda le proprie radici
nel remoto passato. In Medio Oriente, gli antesignani (diciamo così, attenendoci
ad una logica puramente storicistica) di quella che possiamo definire la “dottrina
del Logos” si possono rintracciare nell’Antico Egitto - e più precisamente nella
città di Menfi - e nell’Iran zoroastrista dell’epoca achemenide:
- In uno dei quattro principali sistemi cosmologici egizi [che noi conosciamo
grazie ad una stele del VIII-VII secolo a.C. (il Trattato di teologia menfita),
conservata presso il British Museum di Londra] la divinità principale è Ptah,
il “Creatore di forme”, il quale, con il cuore (per gli Egizi sede del pensiero)
e con la parola (magica datrice di vita), concepisce idealmente ed attualizza
l’universo partendo da sé. Egli, allora, è l’unico creatore non-creato, laddove
gli altri déi e il mondo sono soltanto sue ideazioni e dirette emanazioni.

- Nella religione di Zarathustra (o Zoroastro, in greco; profeta iranico vissuto


probabilmente intorno al VII-VI secolo a.C.), la divinità suprema è Ahura
Mazda (il “Signore pensante”), mentre suo figlio è Spenta Mainyu (“Spirito
della Verità” o “Spirito Santo”), il quale rappresenta l’Intelletto o il Logos,
ossia l’attributo o principio attivo mediante il quale il Padre crea il mondo
con il - e nel - proprio pensiero:

Chiese, allora, Zarathuštra: «Rivelami quel tuo nome, o Ahura Mazdā, che è il più
grande […]». Così rispose Ahura Mazdā: «Il mio nome è Ahmi [Io sono] […], il
Forte che tutto pervade […], la verità assoluta […], intelletto e divina saggezza
[…], conoscenza […], possessore di divina intelligenza. […] Ahura, il Signore,
creatore della vita. […], l’inconquistabile. […] Mazdā, l’onnisciente, colui che crea
con il pensiero (Avestā, Khordah Avestā, Yašt ad Ahura Mazdā, 1, 5-8, pp. 282-
283).

In filosofia il concetto di Logos è molto ampio, e indica ciò che è espressione


di razionalità, e che può manifestarsi con la parola, il pensiero e la proporzione
numerica. Il primo a parlarne è stato Eraclito, il quale lo identifica con la “legge
universale”, il “fuoco” che regola tutte le cose secondo la ragione e la necessità:

Sapiente il fuoco (Eraclito; Dell’Origine, frammento 7).

[Forse il concetto è presente in nuce già in Anassimandro, nell’azione di rie-


quilibrazione degli scompensi provocati dal dualismo conflittuale e di ripristino
dell’originaria armonia indifferenziata dell’Àpeiron, la sostanza primordiale].
Secondo Anassagora, la realtà è retta da un principio mentale che egli chiama
intelletto (Nous); è una sorta di “intelligenza cosmica” immanente al mondo, che
ha dato un ordine razionale al caos originario.

62
Per primo [Anassagora] pose l’Intelligenza al di sopra della materia. L’inizio del
suo scritto - che è composto in stile piacevole e solenne - è il seguente: «Tutte le
cose erano insieme; poi venne l’Intelligenza, le distinse e le pose in ordine». Perciò
fu anche chiamato Intelligenza (Diogene Laerzio; Vite e dottrine dei più celebri fi-
losofi, II, 6, p. 151).

Per lo ionico Diogene di Apollonia, l’Archè, ovvero il principio primo di tutta


la realtà fisica (che egli identifica con l’Aria intesa non semplicemente in senso
“materiale”, bensì in quanto “soffio vitale”, pneuma) è dotato di intelligenza e
razionalità, quindi è Nous.
Con lo Stoicismo, l’Archè o il Logos è il Fuoco, inteso come principio attivo
immanente che produce e governa tutte le cose ed infonde la vita nella materia
inanimata, garantendo in tal modo l’unità razionale del cosmo. Questo implica
un comune sentire di tutta la natura (simpatia universale).
Con l’ebreo Filone di Alessandria, il concetto di Logos si carica anche di una
accezione teologica e religiosa, identificandosi con la biblica “Parola di Dio”, la
Potenza mediante la quale Dio crea, il suo “Figlio primogenito”, il suo Intelletto
(Nuos), la sua attività pensante-creante, la Sapienza divina.
Ispirandosi al Timeo di Platone, Filone pone il Logos quale intermediario fra
Dio trascendente e il mondo. Dal Logos derivano poi tutte le altre Potenze divine
e le Idee, manifestazioni dell’attività di Dio, archetipi delle realtà sensibili.
Nelle dottrine dei Medioplatonici, le Idee diventano i “Pensieri di Dio” (nel
loro aspetto trascendente) e forme delle cose sensibili (in quello immanente).

[…] il primo Intelletto […] pensa se stesso, e i pensieri di se stesso e questa sua at-
tività è appunto l’Idea (Albino; Didascalico, x, 3. Citazione tratta da: Giovanni
Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 339, Il medioplatonismo).

L’interpretazione filoniana del Logos divino influenzerà il Neoplatonismo ed


il Cristianesimo. Nel famoso prologo del Vangelo di Giovanni, il Logos diventa
il “Figlio di Dio”, ovvero il Verbo incarnato, Gesù Cristo:

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in
principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato
fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce
splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta (Vangelo secondo Giovanni, 1,
1-4).

Dio [...] ha parlato a noi per mezzo del Figlio, […] mediante il quale ha fatto anche
il mondo (San Paolo; Lettera di agli Ebrei, 1, 1-2).

La generazione è un atto auto-cognitivo, e “pensare” equivale a “creare”; gli


esseri particolari sono i contenuti del Pensiero divino. Tutto ciò che esiste, ossia
che partecipa dell’Essere, è Pensiero-pensato (ed anche, fino ad un certo livello
nel dispiegamento della Realtà condizionata, Pensiero-pensato-pensante).
63
[…] tutti gli esseri nascono dal pensiero, mediante il pensiero gli esseri vivono, una
volta che sono nati, nel pensiero ritornano allorché trapassano (Taittirīya-upaniṣad,
III, 4. Upaniṣad antiche e medie, p. 265).

La parola, il verbo può benissimo essere considerato l’origine di tutte le apparenze.


Il cosmo è l’espressione, la formulazione di un’idea, una parola materializzata. Il
Creatore è il Verbo originario, l’Immensità della parola (Alain Daniélou; Miti e dèi
dell’India. I mille volti del pantheon induista, p. 57).

Considera dunque Dio in questo modo, come contenente in sé tutte le cose in quanto
pensieri (Corpus Hermeticum, XI, 20, p. 209).

64
17. LA DIALETTICA TRINITARIA DELLO SPIRITO
Lo Spirito universale o Nous coincide con la Trinità (da non confondersi con
la Triade metafisica trattata in precedenza), concetto presente non soltanto nella
tradizione cristiana ma - con nomi diversi - anche in quelle neoplatonica e indù.
Essa consiste nei tre momenti dialettici dell’Auto-Contemplazione dello Spirito.
Si osservi l’immagine:

[3]
SPIRITO SANTO
[1]
[VITA, ÂNANDA]
PADRE
[ESSERE, SAT]
Essere Essere
possibile È? EL È1!
! in atto
[Shakti]
x
[2]
GL FIGLIO
[PENSIERO,
CHIT] y r

AD p

Logos, facoltà Sostrato


pensante/«creante» del Pensiero Intelletto divino

1. Il Padre coincide con l’Essere nei suoi due aspetti (Shakti divina o Essere
possibile + Essere in atto); è quindi il fondamento ontologico dello Spirito, il
suo aspetto Intelligibile. 2. Il Figlio coincide invece con il Pensiero in tutti i suoi
tre elementi (facoltà pensante + sostrato del pensiero + pensiero determinato: di
fatto, coincide con l’intera Triade metafisica); incarna quindi l’aspetto cognitivo,
conoscitivo del Nous, l’Intelligenza attiva. 3. Lo Spirito santo, infine, riunisce
l’Intelletto divino (il pensiero determinato) + l’Essere in atto; esso rappresenta
quindi l’Intelletto-Intellezione, la non-alterità tra Padre e Figlio, tra Essere e
Pensiero, il quali si affermano soltanto insieme, ossia acquisiscono realtà solo ed
esclusivamente nella loro relazione dialettica. La loro unità essenziale è la stessa
Vita (in senso metafisico) dello Spirito, la sua attività. Esso si pensa in quanto è
ed è in quanto si pensa, e in questo consiste la sua vitalità:

65
Infatti lo stesso è pensare ed essere (Parmenide; Sulla Natura, frammento 3).

[…] conoscere è essere, ed essere è conoscere (Frithjof Schuon; Logica e trascen-


denza, p. 222).

[…] è quindi necessario che Dio sia il suo stesso pensare (Tommaso d’Aquino;
Compendio di teologia, I, 31, 61).

Ma che cosa pensa Dio? Dio pensa la cosa più eccellente. Ma la cosa più eccellente
è Dio stesso. Dio, dunque, pensa se stesso: è attività contemplativa di se medesimo:
è pensiero di pensiero [Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. II, p. 444.
Natura del Motore Immobile (sulla metafisica di Aristotele)].

[…] è da rilevare che lo Spirito plotiniano […] è inscindibile unione di Essere e di


Pensiero, di Intelligibile e di Intelligenza […], è il Pensiero di pensiero di cui par-
lava Aristotele […]. Questa identificazione di Essere e Pensare comporta una radi-
calizzazione della tesi […] secondo cui le Idee sono pensieri di Dio. Naturalmente,
lo Spirito è anche Vita, è «il Vivente perfetto», «il Vivente in sé», è «Vita infinita»
(Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 531-533).

[…] l’essere è nella sua pienezza quando accoglie la forma del pensare e del vivere.
Perciò nell’essere esistono insieme il pensare, il vivere e l’essere. Dunque, se è Es-
sere è anche Intelligenza; se è Intelligenza è anche Essere; e il Pensiero è insepara-
bile dall’Essere (Plotino; Enneadi, V, 6, 6).

[…] tutte le cose sono conseguenza di contemplazione. Dunque se la vita più vera è
vita secondo il pensiero, se questo pensiero non è che il pensiero più vero, il pensie-
ro più vero è vivente, e la contemplazione e l’oggetto di contemplazione vivono e
sono vita e fanno uno pur essendo due (Plotino; Enneadi, III, 8, 8).

[…] solo Dio può conoscere se stesso. È l’idea fondamentale della Trinità. Se si
vuole conoscere il Padre, si deve diventare Dio. Nel cristianesimo questo è il ruolo
assegnato al Figlio. Fra colui che conosce e il conosciuto esiste un rapporto di rela-
zione rappresentato dallo Spirito Santo (Joseph Campbell; Miti di luce. Metafore
dell’Eterno in Oriente, p. 39).

Tu solo, Spirito Supremo, conosci te stesso attraverso te stesso (Bhagavadgītā X,


15, p. 111).

Noi siamo minuscoli tasselli dell’universo che osserva se stesso - e che si sta co-
struendo (John Wheeler. Citazione tratta da: Gregg Braden; La Matrix Divina, p.
103).

[…] l’essere, mettendosi per così dire di fronte a se stesso per conoscersi, si sdop-
pia in soggetto e oggetto; ma […] questi due non sono in realtà che una cosa sola.
Ciò può essere esteso a ogni conoscenza vera, la quale implica essenzialmente

66
un’identificazione del soggetto con l’oggetto, cosa che si può esprimere dicendo
che, in quanto e nella misura in cui vi è conoscenza, l’essere conoscente è l’essere
conosciuto; […] si può dire che l’oggetto conosciuto sia un attributo (cioè una mo-
dalità) del soggetto conoscente (René Guénon; Il simbolismo della croce, pp. 107-
108).

[…] poiché l’Essere-soggetto è il Conoscente, e l’Essere-attributo (o oggetto) è il


Conosciuto, questo rapporto è la Conoscenza stessa; allo stesso tempo, però, è il
rapporto di identità; la Conoscenza assoluta è dunque l’identità stessa, e ogni cono-
scenza vera, essendone una partecipazione, nella misura in cui è affettiva implica
ugualmente un’identità. Aggiungiamo ancora che, poiché la relazione non ha realtà
se non grazie ai due termini che collega, e questi sono una cosa sola, i tre elementi
(il Conoscente, il Conosciuto e la Conoscenza) non sono in verità che una sola co-
sa; ciò si può esprimere dicendo che «l’Essere conosce Se stesso per mezzo di Se
stesso» [Nell’esoterismo islamico si incontrano anche formule come le seguenti:
«Allah ha creato il mondo da Se stesso per mezzo di Se stesso in Se stesso», oppu-
re: «Egli ha inviato il Suo messaggero da Se stesso a Se stesso per mezzo di Se
stesso» (…)] (René Guénon; Il simbolismo della croce, p. 108).

Per l’intervento della sua triforme essenza sul nulla, Dio secondo le sue forme con-
duce all’essere le cose che sono, così che dal generante [Padre]* abbiano il princi-
pio della loro esistenza, si stabiliscano nell’essere attraverso il generato [Figlio]*,
permangano nel vivificatore [Spirito santo]* (Il libro dei ventiquattro filosofi,
XXII). *N.d.A.

DIO È MENTE CHE GENERA LA PAROLA E PERMANE NELL’UNIONE. Questa definizio-


ne esprime nei suoi diversi rapporti la vita propria dell’essenza divina. Il genitore
[Padre, “Mente”]* infatti si moltiplica generando; la sua progenie [Figlio, “Parola”,
Logos]* si pone come verbo, poiché è generata; e nel vincolo d’unione si costitui-
sce in uguaglianza colui che procede nel soffio [Spirito santo, “Unione”]* (Il libro
dei ventiquattro filosofi, IV). *N.d.A.

Poiché da lui [dal Padre]*, per mezzo di lui [del Figlio]* e per lui [per e nello Spi-
rito santo]* sono tutte le cose (San Paolo; Lettera ai Romani, 11, 36). *N.d.A.

Il movimento dialettico è «il cammino che produce se stesso, si proietta in avanti e


ritorna entro sé […]. La dialettica è essenzialmente triadica - i suoi momenti sono
l’In-sé, il Per-sé, e l’In-sé-e-per-sé -, e deriva questa triadicità dal paradigma fon-
damentale dell’uni-trinità di Dio (Vincenzo Cicero; Glossario del volume edito da
Bompiani: G.W.F. Hegel; Fenomenologia dello Spirito, p. 1097).

Nell’Induismo la Trinità prende il nome di Sat-Chit-Ânanda:

1. Sat indica l’Essere puro, il fondamento dello Spirito, l’Intelligibile.


2. Chit o Cit è l’aspetto conoscente, il Pensiero, l’Intelligenza.

67
3. Ânanda significa Beatitudine, ed è il godimento auto-contemplativo, la non-
alterità essenziale tra Sat e Chit, l’Intelletto-Intellezione.

Lo spirito è sat o ‘pura esistenza’, pura nella consapevolezza di sé (cit) e pura nella
gioia di sé (ânanda). Lo spirito può quindi essere considerato come la base una e
trina di tutta l’esistenza cosciente. Esistono tre termini, ma in realtà sono uno solo
(Sri Aurobindo; Commento a: Îsâ Upanisad, p. 176).

I TRE ASPETTI DELLA DIALETTICA TRINITARIA


ASPETTO → 1. FONDAMENTO 2. PRINCIPIO 3. NON-ALTE-
«FUNZIONALE» ONTOLOGICO CONOSCITIVO RITÀ FRA 1 E 2

TRINITÀ Dio- Dio- Spirito


CRISTIANA Padre Figlio santo
NOUS Vita
Essere Pensiero
PLOTINIANO metafisica
SAT-CHIT- Sat Chit Ânanda
ÂNANDA INDÙ [Essenza] [Conoscenza] [Beatitudine]

Quella tra Padre/Sat e Figlio/Chit viene simbolicamente descritta anche come


una relazione d’amore, di compiacimento, di attrazione: conoscendosi attraverso
il Pensiero, uscendo come fuori da sé (Processione) per poi rientrarvi (Ritorno),
l’Essere si realizza, si pone in atto, si “esistenzializza”; non è più una semplice
possibilità, ma diviene Spirito santo/Ânanda, pura Beatitudine, Estasi, gioiosa
acquisizione di auto-consapevolezza, sapere di essere e di che cosa essere:

Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli
vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco
una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato; in lui ho posto il
mio compiacimento» (Vangelo secondo Matteo, 3, 16-17).

DIO È UNA MONADE CHE GENERA UNA MONADE E IN SÉ RIFLETTE UN SOLO FUOCO
D’AMORE (Il libro dei ventiquattro filosofi, I).

La perfetta beatitudine è naturale soltanto per Dio, per il quale essere ed essere bea-
to sono la stessa cosa (Tommaso d’Aquino; Somma teologica, 1, q. 62, a. 4).

Ma quando lo spirito si conosce e si ama, in quelle tre realtà [...] resta una trinità; e
non c’è né mescolanza né confusione, sebbene ciascuna sia in sé, e tutte si trovino
scambievolmente in tutte, ciascuna nelle altre due, e le altre due in ciascuna. Di
conseguenza tutte in tutte. Infatti lo spirito è certamente in sé, perché si dice spirito
in relazione a se medesimo, sebbene, come conoscente, conosciuto e conoscibile,

68
esso sia relativo alla conoscenza con cui si conosce; ed anche in quanto amante,
amato o amabile dica relazione all’amore con cui si ama (Agostino d’Ippona; La
Trinità, Libro IX, 5, 8).

***

Due precisazioni importanti:

1. La Trinità non è la realtà ultima: consiste infatti in un movimento (metafisico)


immanente alla Shakti divina. Nella gerarchia logica del reale è posta al di sotto
dell’Assoluto (Brahman o Âtmâ). Già il fatto che sia costituita da tre elementi, ci
dice che essa è soggetta alle categorie della Quantità e della Relazione, alle quali
l’Assoluto è invece totalmente sottratto, essendo incondizionato:

Il Vedânta insegna che l’Assoluto, Âtmâ, comporta la Trinità Sat-Chit-Ânanda,


“Essere-Intelligenza-Beatitudine”; non afferma che quel ternario costituisca in ma-
niera assoluta Âtmâ e che questo non abbia affatto realtà eccetto tale ternario
(Frithjof Schuon; Logica e trascendenza, p. 94).

Il Supremo Sé, poiché possiede la natura della Beatitudine Estrema, non ammette la
distinzione tra il conoscitore, la conoscenza e l’oggetto di conoscenza. Solo Esso
brilla (Sankaracharya; Atmabodha. La Conoscenza del Sé, 41, p. 132).

Nella contemplazione cristiana, l’Unità divina si dispiega nelle Tre Ipostasi della
Trinità. La differenza con la contemplazione sufica sta nel fatto che, per il contem-
plativo cristiano, le Tre Ipostasi sono considerate subito come Realtà ultime (Titus
Burckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 49).

2. La cosiddetta “creazione” non è una cosa diversa ed indipendente dall’Auto-


Contemplazione divina. Non è che da una parte Dio, solitariamente, pensa se
stesso, e dall’altra crea il mondo… No! La creazione consiste propriamente nel
prodotto dell’Auto-Conoscenza divina. Le creature non sono “fuori” da Dio, ma
bensì in lui immanenti; sono gli aspetti stessi di Dio:

[…] Plotino pone una precisa equazione fra «contemplazione» e «creazione». Il


creare è contemplare o, se si preferisce, effetto del contemplare (Giovanni Reale;
Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 612).

Secondo la dottrina dei Padri greci, il mondo è creato «per mezzo del Figlio nello
Spirito Santo». L’Ordine divino corrisponde al Verbo, dunque al Figlio (Titus Bur-
ckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 63).

In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (Atti degli Apostoli, 17, 28).

69
Io sono il Signore e non c’è alcun altro, […], perché sappiano dall’oriente e
dall’occidente che non c’è nulla fuori di me (Libro del profeta Isaia, 45, 5-6).

A dire il vero, oltre a questa che abbiamo illustrato vi è un’altra concezione


della dialettica trinitaria, ben chiarificata da Meister Eckhart.
Anzitutto, specifichiamo che il termine “Padre” indica qui non l’Essere, ma
l’Assoluto. La cosa può apparire strana. Ma ricordiamo che la Shakti-Essere non
è quantitativamente altro dall’Assoluto. Detto questo, procediamo.
Io sono ben consapevole di essere finito, relativo… una creatura fra le tante.
Una volta che però ho posto l’Assoluto (Padre) quale unica Realtà, semplice,
senza parti, indivisa, mi rendo subito conto che - giacché sono evidentemente
reale, ci sono, esisto - io stesso sono l’Assoluto (non potrebbe essere altrimenti:
non vi è nient’altro oltre ad esso); è questo il vero significato di “Figlio di Dio”:

L’espressione ‘Figlio di’ significa ‘della natura di’ […]. Così, ‘Figlio di Dio’ vuol
dire ‘persona divina’, un essere umano che ha la natura di Dio e ne è consapevole
[…]. Come è scritto nel Vangelo di Giovanni, Gesù aveva detto ad alcuni discepoli
scelti: […] «Io e il Padre siamo Uno». «Chi ha visto me, ha visto il Padre». Questo
linguaggio non può essere frainteso (Alan Watts; L’esperienza della spiritualità.
Mito e religione, pp. 53-57).

Io ho detto: «Voi siete dèi, siete tutti figli dell’Altissimo» [Libro dei Salmi, salmo
82 (81)].

Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? (Vangelo di Gio-
vanni; 10, 34).

Quindi, in quanto Figlio (di Dio), io sono Dio.


Se ci si fermasse qui, si rischierebbe di cadere nella concezione solipsistica
(io sono Tutto, l’unica Realtà, quindi il mondo è una mia personale proiezione)7.

7
Il solipsismo sarebbe giusto come principio solo se fosse riferito a tutti gli esseri, cioè
se dicesse: “Vi è un’unica Realtà, quindi anch’io - come ogni cosa - sono in qualche
modo tale Realtà”. È però in errore, in quanto sostiene invece: “Vi è un’unica Realtà e,
giacché io ‘sono’, la Realtà sono io!”. Lo sbaglio è non considerare il fatto che, certo,
la Realtà è una ed indivisa, però si manifesta a se stessa come pluralità. Ciascuno dei
molteplici esseri, quindi, è l’intera Realtà in un suo aspetto. Il solipsismo è la peggior
forma di egotismo e di appropriazione in quanto, anziché annichilire l’io sostanziale di
fronte all’unica e assoluta Realtà (“Io sono nulla, Dio è Tutto”), lo gonfia a dismisura,
fino ad identificarlo con unica Realtà (“Io sono Tutto, io sono Dio”). Ed invece, l’io è
sempre di troppo, e va tolto di mezzo. Proprio nella rimozione e nel trascendimento
dell’io individuale a favore dell’Assoluto consiste il sacrificio di Gesù Cristo, il quale
richiede lo stesso a chi vuol seguirlo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Vangelo secondo Matteo, 16, 24).
70
È necessario integrare queste due verità nella dialettica unitiva dello Spirito:
quindi io, proprio come tutte le altre creature, sono: a) sia un essere finito; b) sia
l’Assoluto. Deve scomparire l’alterità, e quindi l’ego, l’Io separato:

[…] voi dite: «Tu bestemmi», perché ho detto: «Sono Figlio di Dio»? Se non com-
pio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a
me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel
Padre (Vangelo di Giovanni; 10, 36-38).

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizio-
ne di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assu-
mendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini (San Paolo; Lettera
ai Filippesi, 2, 5-7).

Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne va-
do, non verrà a voi il Paràclito (Vangelo secondo Giovanni, 16, 7).

Entrambe le opzioni sono vere, quindi devo considerarle in senso dialettico.


Non vi è alcuna alterità tra Infinito e finito, tra Assoluto e relativo, tra Nirvâna e
Samsâra, tra Brahman e Âtmâ (che poi è il Brahman “imprigionato” nella Mâyâ,
l’Assoluto in noi), tra Padre e Figlio, tra Dio e creatura. Il Figlio ha due nature:
divina e umana. Lo Spirito ex Patre Filioque procedit (procede dal Padre e dal
Figlio): devono essere coinvolte entrambe le “nature”:

La generazione del Verbo, l’esperienza dello spirito, passa di necessità per tre mo-
menti, assolutamente complementari. Il primo è il pensiero dell’Assoluto come […]
indipendente da me e da ogni soggettività […]. Perciò c’è subito il secondo mo-
mento, quello della soggettività, in quanto la consapevolezza di avere in sé, di esse-
re in sé l’assolutezza tende necessariamente a riassumerla del tutto nel soggetto
[…]. Entrambi i momenti, presi isolatamente e senza dialettica, non riescono a sus-
sistere […]. È chiaro allora che […] valore irrinunciabile è lo spirito: «supremo di-
stacco», sguardo che usa entrambi gli occhi dell’anima, e che procede infatti ex pa-
tre filioque […]. Esso è la sintesi e il superamento di entrambi (che non possono
sussistere da soli, ove sono l’uno con l’altro in opposizione e si distruggono a vi-
cenda) e ne costituisce l’intima verità (Marco Vannini; Storia della mistica occi-
dentale. Dall’Iliade a Simone Weil, pp. 198-199).

***

Le due concezioni qui illustrate sembrano incompatibili l’una con l’altra, ma


a ben vedere non lo sono: qualsiasi essere individuale, per il solo fatto di esistere
(ossia di essersi - apparentemente - affrancato dall’Assoluto), è necessariamente
passato attraverso la generazione del Logos e l’“imprigionamento” nella Mâyâ.

71
18. L’ESSERE E L’ESISTENZA UNIVERSALE
Facciamo un attimo il punto riguardo le realtà che abbiamo finora esaminato.
Esse, abbiamo visto, sono rigorosamente determinate dalle Condizioni limitanti
alle quali sottostanno. L’Assoluto [0] è totalmente incondizionato ed irrelato.
L’Infinito positivo [A], invece, è soggetto solo alla Condizione della Relazione.
Possiamo affermare infatti che esso, pur essendo semplice ed indiviso (ovvero
senza parti), comprende in sé tutte le cose finite (relazione di inclusione):

[…] la parola «infinito» […] esprime la negazione di ogni limite, sicché equivale
all’affermazione totale e assoluta, che comprende o racchiude tutte le affermazioni
particolari (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 102).

Non potevamo dire lo stesso dell’Assoluto, poiché quest’ultimo non ammette


nessun’altra realtà e nessuna relazione, quindi non comprende proprio nulla.
Abbiamo poi aggiunto la seconda condizione, la Quantità, determinante dello
Spirito universale [B], che consiste nella relazione dialettica tra l’Unità indivisa
(Essere) e la Molteplicità numerica (Intelletto divino).
Le espressioni per denominarlo sono: “Uno-molti”, “Unità del molteplice”,
“molteplicità nell’Unità”, ecc. Ma molteplicità di che cosa? Di Idee - veicolate
da Angeli-spirito (ma questo lo vedremo meglio in seguito):

La nascita della seconda ipostasi è nascita di un molteplice, o, se si vuole, di un


Uno-molti, […] è molteplicità, sia pure unificata [è (…) cosmo intelligibile, mondo
delle Idee) (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 529).

Le Idee sono le Possibilità che si manifesteranno, ma considerate ancora allo


stato principiale. Che cosa significa questo? Vuol dire che esse non sono “cose”
che esistono realmente da qualche parte. Non hanno realtà, intese separatamente.
Ricordiamolo: quella che stiamo qui descrivendo è una struttura logica del reale:

Ovviamente le idee universali, malgrado la loro intelligibilità, non hanno in sé esi-


stenza [propria], ma posseggono soltanto un’esistenza principiale (Muhyi-d-dîn Ibn
’Arabî; La Sapienza dei Profeti, p. 22).

Nell’Intelletto divino non vi è ancora la distinzione formale, e men che meno


la dislocazione spazio-temporale. Vi è molteplicità puramente ideale… appunto.
Non essendo limitata da Qualità e Spazio-Tempo (due Condizioni non ancora
introdotte nella nostra analisi), ciascuna Idea ha potenzialmente tutte le forme,
pur non avendo alcuna forma; si trova ovunque e al contempo in nessun luogo, e
copre tutto il tempo, pur non avendo durata. Semplicemente, non è essa soggetta
a tali Categorie, bensì viceversa. Tutti gli enti dello Spirito sono inestesi, eterni
(ossia atemporali) e sovra-formali, proprio come l’Infinito positivo. Li possiamo

72
solo enumerare, ma non descrivere qualitativamente o collocare fisicamente.
È solo nella Materia fisica che vedremo “decantarsi” e concretizzarsi tutte le
nostre astrazioni. Esse, infatti, sono ipostasi (termine che significa “stare sotto”),
e rappresentano dunque l’“ordine nascosto”, il fondamento “interiore e occulto”
del mondo. Sono proprio come la matematica che formalizza le leggi fisiche.
Ma ritorniamo al tema principale: l’Unità (Limite, x) guarda se stessa nello
“specchio frantumato” della Quantità continua (Illimite, y) e si vede molteplice
(Limitato, y-x), e questo molteplice altro non è se non la stessa manifestazione
principiale - ossia archetipale - di tutti gli esseri che entreranno nell’Esistenza:

La Verità è uno specchio caduto dalle mani di Dio e andato in frantumi. Ognuno ne
raccoglie un frammento e sostiene che lì è racchiusa tutta la Verità (Jalāl-ud-Dīn
Rūmī).

L’Uno si manifesta nei molti senza smettere di essere indivisibilmente Uno.


La divisione avviene solo nella Sostanza (ovvero nelle limitazioni imposte dalle
Condizioni), non certo nell’Essenza. Nulla esce mai dalla propria fonte causale:

[…] infatti la molteplicità [Esistenza]* non esce dall’unità [Essere]* più di quanto
l’unità esca dallo Zero metafisico [Sovra-Essere]*, o più di quanto una qualsiasi
cosa esca dal Tutto universale, o una qualsiasi possibilità possa trovarsi al di fuori
dell’Infinito o della Possibilità universale. La molteplicità è compresa nell’unità
primordiale, e non cessa di esservi compresa con il suo sviluppo in modo manife-
stato […]. Perciò il principio della manifestazione universale, pur essendo uno, an-
zi, l’unità in se stessa, contiene necessariamente la molteplicità […]. La molteplici-
tà dunque esiste nell’unità stessa e, se non altera l’unità, è perché rispetto a questa
ha soltanto un’esistenza del tutto contingente […]; e l’unità stessa, a sua volta, non
è un principio assoluto e autosufficiente, ma trae la propria realtà dallo Zero meta-
fisico (René Guénon; Gli stati molteplici dell’essere, pp. 56-58). *N.d.A.

La totale dipendenza dell’Esistenza molteplice dall’Essere unitario - che ne è


il Principio - è insita nella stessa etimologia del termine:

Esistenza (existentia). […] termine derivante da ex-sistere (cioè, stare nell’essere


derivando da altro) (Giovanni Reale; Storia della filosofia greca, Vol. V, p. 103).

[…] la parola «esistere» […] indica l’essere dipendente da un principio diverso da


se stesso, o, in altri termini, colui che non ha in sé la propria ragion sufficiente, cioè
l’essere contingente, che non è altro che l’essere manifestato […]; infatti,
l’Esistenza universale non è nient’altro che la manifestazione integrale dell’Essere
o, per parlare più esattamente, la realizzazione, in modo manifestato, di tutte le pos-
sibilità che l’Essere comporta e contiene, in modo principiale, nella sua stessa unità
(René Guénon; Il simbolismo della croce, p. 21).

73
Non solo l’etimologia, ma anche la scienza contemporanea ci svela la totale
dipendenza dell’Esistenza molteplice dall’Essere unitario (ovviamente essa lo fa
all’interno del suo ristretto campo d’indagine, il quale si limita al nostro Cosmo
fisico; ma il concetto è valido per l’intero Essere universale); vediamo come.
Uno dei 3 princìpi fondamentali della fisica quantistica è la relazione (gli altri
sono la granularità e l’indeterminazione): tutto ciò che esiste è interconnesso:
[…] le proprietà degli oggetti esistono solo nel momento delle interazioni e posso-
no essere reali rispetto a un oggetto ma non rispetto a un altro […]. Le variabili fisi-
che non descrivono le cose: descrivono il modo in cui le cose si manifestano le une
alle altre. Non ha senso attribuire loro un valore, se non nel corso di un’interazione
[…]. Il mondo è la rete di queste interazioni […]. È un mondo di prospettive, di
manifestazioni, non di entità con proprietà definite o fatti univoci. Le proprietà non
vivono sugli oggetti, sono ponti fra oggetti. Gli oggetti sono tali solo in un conte-
sto, cioè solo rispetto ad altri oggetti, sono nodi dove si allacciano ponti. Il mondo è
un gioco prospettico di specchi che esistono solo nel riflesso di uno nell’altro (Car-
lo Rovelli; Helgoland, pp. 90-95).

Gli elettroni non esistono sempre. Esistono solo quando interagiscono8. Si materia-
lizzano in un luogo quando sbattono contro qualcosa d’altro. I “salti quantici” da
un’orbita all’altra sono il loro solo modo di essere reali: un elettrone è un insieme
di salti da un’interazione all’altra. Quando nessuno lo disturba, un elettrone non è
in alcun luogo (Carlo Rovelli; La realtà non è come ci appare. La struttura elemen-
tare delle cose, p. 105).

Se ci pensiamo bene, questo è ovvio. L’espressione “molteplicità nell’Unità”


non indica un semplice insieme di cose: l’Essere non è la somma matematica di
tutte le cose che esistono (quella è solo l’Esistenza); è la loro Unità indivisa.
“Unità del molteplice” significa che ogni cosa è il Tutto, considerato però da
una certa prospettiva, da un determinato punto di vista che esclude tutti gli altri.
Pensiamo ancora all’esempio del cubo, trattato nel 7° capitolo (che l’esempio si
fondi su un simbolismo del “vedere”, fra l’altro, ci suggerisce che la generazione
del reale condizionato è proprio un processo auto-cognitivo). Come asserisce la
famosa massima della Gestalt: «Il tutto è più della somma delle singole parti».
Le visioni non vanno sommate, ma moltiplicate. Ossia, sommandole otteniamo
l’Esistenza; ma per avere l’Essere dobbiamo moltiplicarle [1×1×1, ecc.], perché
esse non si riferiscono a parti, ma ad aspetti, ciascuno dei quali è l’intero.

[…] per la Mengenlehre, [l’Aleph] è il simbolo dei numeri transfiniti, nei quali il
tutto non è maggiore di alcuno dei componenti (Jorge Luis Borges; L’Aleph, p.
169).

8
L’elettrone esiste nell’interazione, dice. Ed infatti, l’Essere in atto unifica soltanto le
Possibilità che si manifestano.
74
Tutto ciò è in linea anche con le dottrine buddhiste dell’anattâ (o anâtman =
“non sé”) e della co-produzione condizionata, le quali sostengono che tutti gli
enti sono insostanziali, ossia non sono dotati di realtà indipendente, ma esistono
solo ed esclusivamente insieme, nella loro interconnessione e reciprocità. Essi si
esistenziano a vicenda. Considerati in se stessi, come sostanze o cose a sé, sono
pura apparenza, vacuità, Mâyâ:

[…] Nagarjuna dimostra che le cose, essendo reciprocamente condizionate, non


hanno natura propria. Nessuna cosa è in sé esistente; è, in quanto correlata ad altre.
Il suo essere è in rapporto ad un altro: è soltanto concettuale. La sua individualità e
singolarità sono una supposizione erronea; esse non sono nulla fuori dell’identità
assoluta: la quale identità è «il vuoto», l’inesprimibile, il non concettuale siccome
oltre ogni designazione (Giuseppe Tucci; Storia della filosofia indiana, pp. 58-59).

Quella che si può definire «teoria dell’anattā» fonda e giustifica una visione della
realtà rappresentabile - in tutte le sue parti e a tutti i suoi livelli - non come sistema
di sostanze ma come rete di relazioni (Giangiorgio Pasqualotto; Buddhismo, p. 24).

Tutto quello che c’è, c’è in quanto dipendente da altro, in una concatenazione im-
permanente di mutue relazioni: “La vacuità è dunque l’interdipendenza, la relatività
di tutte le cose e, in questo senso, è apertamente identificata da Nāgārjuna colla co-
produzione condizionata del buddhismo antico, la quale dichiara la non esistenza in
sé, e quindi, secondo Nāgārjuna, la vacuità di tutto il mondo fenomenico [Raniero
Gnoli; Nāgārjuna. Le stanze del Cammino di mezzo (Madhyamaka Kārikā), 1979,
p. 23] (Emanuela Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 87).

[Secondo l’insegnamento del Buddha] […] le cose sono co-prodotte, condizionate,


relative le une alle altre, dipendenti. “Essendoci questo c’è quello, non essendoci
questo non c’è quello, apparendo questo appare quello, cessando questo cessa quel-
lo”. Così pensano i buddhisti. Essere è nient’altro che inter-essere (Emanuela Ma-
gno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 14).

Attenzione! Nāgārjuna e gli altri buddhisti non dicono affatto che le cose non
esistono, ma che esistono solo nella loro unità indivisa:

[…] Nāgārjuna mette ripetutamente in guardia i suoi interlocutori dal trattare la va-
cuità alla stregua di una negazione, vale a dire il vuoto alla stregua del nulla, tanto
grande è il rischio di incorrere nell’errore nichilista […]. Ciò che Nāgārjuna nega
non è l’esistenza delle cose, le cose infatti hanno un’esistenza relativa e dipendente,
ma è la consistenza ontologica ascritta alle cose che le parole nominano (Emanuela
Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 75).

«Il mondo è la rete di queste interazioni», dice Rovelli. E anche Pasqualotto


parla di «rete di relazioni». I singoli enti, dicono, considerati singolarmente sono
insostanziali. Ma questa “rete”, considerata integralmente, nella sua totalità ed

75
interezza, è reale: nessuno lo nega, né la scienza né il Buddhismo… Ed è una!
Pensiamoci bene: a quali Condizioni limitanti è soggetta questa “rete”? Soltanto
a due: 1) la Relazione; 2) l’Unità, aspetto x essenziale/limitante della Quantità.
E non sono queste due propriamente le Condizioni determinanti dell’Essere
universale? Solo aggiungendoci anche la Molteplicità, ovvero l’aspetto y-x della
Quantità, otteniamo l’Esistenza universale.
L’Esistenza è sempre Co-esistenza, giacché si esiste solo nella molteplicità e
nella relazione. È anche sinonimo di Manifestazione: si esiste se ci si manifesta,
se si appare a qualcun altro. L’Essere universale - essendo l’Uno - propriamente
parlando non esiste (semmai sovra-esiste), giacché non può apparire a nessuno:

Esistenza è sinonimo di molteplicità (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille


volti del pantheon induista, p. 24).

Insomma, noi percepiamo la molteplicità dei fenomeni (da phainómenon, ciò


che appare, apparenza), ma la molteplicità è la manifestazione di una realtà assai
più profonda, organica ed unitaria, che è l’Essere universale:

Vi è, monaci, il non-nato, il non-divenuto, il non-fatto, il non-composto (Buddha;


Udāna VIII, 3. Citazione tratta da: Giangiorgio Pasqualotto; Illuminismo e illumi-
nazione. La ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, p. 61).

Due piani di realtà esistono, o Ānanda, quello coeffettuato e quello non-coeffettu-


ato. Questa è la cosa più alta, la cosa più eccellente, cioè a dire la pacificazione di
tutti i coefficienti, la liberazione da ogni forma di esistenza, la distruzione, la sop-
pressione, la cessazione della brama, il nirvana (Citazione tratta da: Raniero Gnoli;
La rivelazione del Buddha, 1, p. 32, riportata da: Vito Mancuso; I Quattro Maestri).

Poiché tutte le cose provengono dalla stessa fonte, che contiene la sostanza primor-
diale del tutto, esse sono intimamente collegate l’una all’altra e sono essenzialmen-
te e fondamentalmente una unità. Qualsiasi differenza che esiste fra due cose diver-
se nasce solo da una differenza nelle forme in cui l’essenza primordiale manifesta
la sua attività (Franz Hartmann; Il mondo magico di Paracelso, p. 69).

76
19. LO SPECCHIO DI DIONISO
La (apparente) particolarizzazione dell’Essere universale unitario ed indiviso
nella molteplicità dell’Intelletto divino - e quindi dell’Esistenza - viene a volte
descritta nelle dottrine tradizionali come uno “smembramento” del dio.
Spesso si interpretano i miti in chiave evemeristica, cioè considerando gli dèi
e gli eroi dei racconti come persone importanti realmente esistite, le quali, dopo
la loro morte, sarebbero state divinizzate, e le loro leggendarie gesta, dapprima
trasmesse oralmente, immortalate nei testi sacri. In molti casi la cosa può avere
anche un fondo di verità, sia chiaro. Però pensare che i miti si riducano sempre e
solo a questo è molto fuorviante. Significa ragionare con le nostre categorie.
Gli antichi utilizzavano molto più di noi il linguaggio simbolico. Ce lo dice lo
stesso Plutarco (I-II secolo d.C.), uno dei più grandi intellettuali dell’epoca:

Perciò quando ascolterai le storie che gli Egiziani raccontano sugli dèi - peregrina-
zioni, smembramenti e altre avventure del genere - dovrai ricordarti di quello che
abbiamo detto, e non credere che quanto essi affermano corrisponda a fatti real-
mente avvenuti […]. Anche tu, Clea, dovrai dunque ascoltare e accettare le storie
sugli dèi nello spirito di una interpretazione religiosa e filosofica (Plutarco; Iside e
Osiride, 11, pp. 69-70).

Plutarco si riferisce qui al mito del dio egiziano Osiride, assassinato e fatto a
pezzi dal fratello Seth/Tifone e - dopo una lunga ricerca - ritrovato e ricomposto
dalla sorella e moglie Iside:

Iside proseguì il suo viaggio per raggiungere il figlio Horos, che veniva allevato a
Buto, dopo aver deposto la bara in un luogo fuori mano. Ma Tifone, mentre andava
a caccia di notte, la scoprì per caso, illuminata dalla luna; riconosciuto il corpo di
Osiride, lo fece in quattordici pezzi e lo disperse (Plutarco; Iside e Osiride, 18).

Ma il mitologema in questione è molto simile in quasi tutte le tradizioni.


Nell’antica mitologia ṛg-vedica, Purusha è il macroantropo (mahâpurusha),
l’Uomo Primordiale dalle mille teste e dai mille occhi, tanto esteso da coprire lo
spazio e il tempo, raffigurazione antropomorfizzata del Macrocosmo. Egli è la
vittima sacrificale degli déi (dêva) ma anche - giacché è l’intero e unico Essere -
il fruitore stesso dell’oblazione:

L’Uomo [«cosmico», ossia il Purusha], invero, è questo Tutto, ciò che è stato e ciò
che sarà […]. Gli Dei, così come gli esseri celesti e i veggenti, con lui compirono il
sacrificio […]. Da qui vennero le creature dell’aria, gli animali della foresta e quelli
del villaggio […]. Quando smembrarono l’Uomo, in quante parti lo divisero? […].
Dal suo ombelico sgorgò l’Aria; dalla sua testa si dispiegò il Cielo, la Terra dai
suoi piedi, dalle sue orecchie le quattro direzioni. Così sono stati organizzati i mon-
di […]. Con il sacrificio gli Dei sacrificarono al sacrificio (Rg-veda X, 90. Citazio-
ne tratta da: Raimon Panikkar; I Veda. Mantramañjarī, pp. 100-102).
77
[…] il compito dei Maestri consiste nel «diffondere la luce e riunire ciò che è spar-
so». Di fatto, […] «ciò che è sparso» sono le membra del Purusha primordiale che
fu diviso nel primo sacrificio compiuto dai Dêva all’inizio dei tempi, e da cui nac-
quero, grazie a tale divisione, tutti gli esseri manifestati. È evidente che si tratta di
una descrizione simbolica del passaggio dall’unità alla molteplicità, senza di cui
non potrebbe effettivamente esserci alcuna manifestazione; e ci si può già rendere
conto così che la ‘riunione di ciò che è sparso’, o la ricostituzione del Purusha qua-
le esso era ‘prima dell’inizio’, se è consentito esprimersi così, cioè nello stato non-
manifestato, non è altro che il ritorno all’unità principiale. Purusha è identico a
Prajâpati, il «Signore degli esseri prodotti», essendo questi ultimi tutti derivati da
lui e di conseguenza considerati quasi come la sua ‘progenie’; è anche Vishwakar-
ma, cioè il «Grande Architetto dell’Universo», e, in quanto Vishwakarma, è lui a
compiere il sacrificio pur essendone nello stesso tempo la vittima; e, se si dice che
è sacrificato dai Dêva, ciò non comporta in realtà alcuna differenza, poiché i Dêva
non sono in definitiva nient’altro che le ‘potenze’ che egli porta in se stesso (René
Guénon; Simboli della Scienza sacra, p. 259).

Tuttavia si riconosce che il sacrificio e lo smembramento della vittima sono atti di


crudeltà e persino di perfidia. È questo il peccato originale […] degli déi, al quale
tutti gli uomini partecipano per il fatto stesso della loro esistenza distintiva e del lo-
ro modo di conoscere in termini di soggetto e di oggetto, di bene e di male, e a cau-
sa del quale l’Uomo Esteriore viene escluso da una partecipazione diretta a «ciò
che i brahmani chiamano Soma». Le varie forme della nostra «conoscenza» o piut-
tosto della nostra «ignoranza» (avidya) o della nostra «arte» (maya) smembrano la
divinità ogni giorno. Una spiegazione di questa ignorantia divisiva è fornita dal Sa-
crificio, per il quale, mediante la rinuncia a se stesso di colui che offre e la ricosti-
tuzione della divinità smembrata nella sua integrità originaria, la moltitudine degli
«io» è ridotta al suo Principio unico. Vi è così una incessante moltiplicazione
dell’Uno inestinguibile e un’incessante unificazione di una indefinita molteplicità.
Tale è l’origine e il fine dei mondi e degli individui: prodotti da un punto senza di-
mensioni situato in nessun luogo e da un presente senza origine né durata, essi
compiono il loro destino e, quando giunge la loro ora, ritornano a casa loro, nel
Mare o nel Vento ove ebbero origine, liberati da tutte le limitazioni inerenti alla lo-
ro individualità temporale. Il Sacrificio di cui abbiamo parlato è una ripetizione
mimata e rituale di quanto fecero gli déi all’inizio: è nel contempo un peccato e una
espiazione (Ananda K. Coomaraswamy; Induismo e buddismo, pp. 20-22).

Donde le cose traggono la loro nascita, ivi si compie la loro dissoluzione secondo
necessità; infatti reciprocamente pagano il fio e la colpa dell’ingiustizia, secondo
l’ordine del tempo (Anassimandro. Frammento riportato da Simplicio e tratto da:
Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. I, p. 63).

Nella mitologia nordica, il gigante Ymir è il progenitore degli esseri umani.


Dopo averlo assassinato, Odino e i suoi due fratelli ne smembrano la carcassa,
con la quale vanno a dare forma al cielo, alla terra e ai mari:

78
I figli di Borr [Odino, Vili e Vé] uccisero il gigante Ymir […]. Dalla carne di Ymir
fu fatta la terra, e dal sangue il mare, le montagne dalle ossa, gli alberi dalla chio-
ma, e dal cranio il cielo […] e dal suo cervello furono tutte le minacciose nubi crea-
te (Snorri Sturluson; Edda, 7-8, pp. 10, 12).

Riguardo l’Adam Qadmon della Kabbalah ebraica, Guénon scrive (Simboli


della Scienza sacra, p. 260) che: «per quanto non si parli più propriamente né di
sacrificio né di assassinio, ma piuttosto di una specie di ‘disintegrazione’ le cui
conseguenze sono del resto le stesse, è dalla frammentazione del corpo
dell’Adam Qadmon che si è formato l’Universo con tutti gli esseri che contiene,
di modo che questi ultimi sono quasi particelle di tale corpo, e la loro ‘reintegra-
zione’ nell’unità appare come la ricostituzione stessa dell’Adam Qadmon».
Anche nello Gnosticismo e nel Manicheismo troviamo il mito:

[…] dell’Uomo Primordiale, l’Arkhanthropos o semplicemente Anthropos, preesi-


stente al mondo e caduto nella materia (le idee di caduta, di incarnazione, di soffe-
renza, di sacrificio sono strettamente legate). Non si tratta del primo uomo, di
Adamo, ma di un’identità metafisica o mitologica insieme: il “Grande Uomo” che
alcuni gnostici chiamano Adamas. Nel manicheismo, quest’Uomo Primordiale è
come l’“io” di Dio, “emanazione” o “proiezione” della sostanza divina: ciascuna
delle anime umane rappresenta una particella dell’Anima universale, dell’Uomo
Primordiale; è a questo titolo che essa rappresenta un raggio emanato dalla luce di-
vina (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, pp. 52-53).

Nei “racconti sacri” (hieròs lógos) dei Misteri dionisiaci ed orfici, il piccolo
Dioniso Zagreo viene smembrato e divorato dai Titani - corrispettivi greci degli
Asura indù (avendone preservato il cuore, Atena e Zeus riusciranno a ricostituire
e far rinascere poi un nuovo Dioniso). Fra i vari doni che i Titani avevano fatto
al dio per catturarlo vi era anche uno specchio. Da qui nasce la simbologia dello
“specchio di Dioniso”. Contemplandosi nello specchio (quello che noi abbiamo
chiamato y, Illimite, Sostanza, ecc.), Dioniso viene frantumato; lo specchio è lo
strumento tramite il quale l’unità indivisa della realtà (rappresentata da Dioniso)
appare come molteplice, a causa del principio separativo (titanico):

Nell’antichità lo specchio anche dai teologi è stato tramandato come simbolo della
adeguatezza alla pienezza noetica del Tutto. Per questo dicono anche che Efesto
fabbricò uno specchio per Dioniso e che il dio guardando dentro di esso e contem-
plando la propria immagine si slanciò alla fabbricazione di tutta la pluralità (Proclo;
Commento al Timeo di Platone, 33 b. Citazione tratta da: Eleusis e Orfismo. I Mi-
steri e la tradizione iniziatica greca, p. 447).

[…] con spada orrenda i Titani violarono Dioniso che guardava fissamente l’imma-
gine mendace nello specchio straniante (Nonno; Dionisiache, 6, 172-173. Citazione
tratta da: Giorgio Colli; La sapienza greca, I, p. 251).

79
Le anime degli uomini […], avendo visto le loro stesse immagini, per così dire, nel-
lo specchio di Dioniso, balzarono laggiù dalle regioni superiori (Plotino; Enneadi,
IV, 3, 12).

Dioniso - dopo essersi guardato nello specchio - rappresenta dunque la realtà


frammentata, costituita da cose separate, laddove invece Apollo, essendone il
principio opposto, riconduce il tutto all’unità:

Dioniso infatti, quando ebbe posto l’immagine nello specchio, a quella tenne dietro,
e così fu frantumato nel tutto. Ma Apollo lo raccoglie assieme e lo riconduce alla
vita, essendo dio purificatore e veramente salvatore di Dioniso (Olimpiodoro;
Commento al Fedone di Platone, 67 c. Citazione tratta da: Giorgio Colli; La sa-
pienza greca, I, p. 251).

[…] È forse possibile che Platone adesso non alluda a quei racconti orfici secondo i
quali Dioniso viene sbranato dai Titani e riunificato da Apollo? Per questo dice:
“essere radunato e riunito”, vale a dire (passare) dalla vita titanica a quella unificata
(Olimpiodoro; Commento al Fedone di Platone, 67 c. Citazione tratta da: Eleusis e
Orfismo. I Misteri e la tradizione iniziatica greca, p. 413).

Un’ultima riflessione. Il termine “diavolo” deriva dal greco dia-bollein, che


significa “separatore”. Satana, l’Oppositore, è la personificazione di un principio
metafisico, quello della divisione (cioè sempre lo specchio y), della separazione,
e quindi dell’egotismo, del volersi appartenere, del considerarsi entità a se stanti,
divise e distinte dal Tutto. In tal senso, Satana si contrappone al Divino, il quale
rappresenta invece l’Unità indivisa del reale. Tale opposizione è solo apparente
(la Mâyâ indù), poiché la molteplicità si riconduce all’Unità, e Satana è solo una
creatura di Dio, la quale rientra perfettamente nel suo disegno.

80
20. GLI “ORIENTAMENTI AUTO-CONTEMPLATIVI”
q

Shakti
angeliche
/ Monadi
Shakti
divina /
Essere

O AC OAC = «Orientamenti
Auto-Contemplativi»,
«Piani di Riflessione»,
«Visuali prospettiche»

----------------------------------------------------------------------------------------------------- ----------------------------------

Spirito Essere
[B] in atto

Angelo-
spirito
[Buddhi]

P R

Shakti angelica
[Monade possibile]

81
Nella sua Auto-Contemplazione attiva (↺), la Shakti divina o Essere possibile
guarda - ovvero pensa - se stessa nello Specchio-Illimite y, e si vede molteplice.
Possiamo immaginarla (simbolicamente) come il centro di una sfera da cui si
dipartono infiniti raggi, i quali rappresentano altrettante “Visuali prospettiche”,
“Piani di riflessione” o “Orientamenti auto-Contemplativi” (OAC), ossia punti di
vista dai quali essa osserva se stessa (vedi la figura sopra). Essa si identifica poi
con i contenuti oggettivi del proprio pensiero, riportandoli all’unità soggettiva e
dicendo idealmente: “Sono (Essere in atto)! I molteplici oggetti che vedo-penso
sono miei aspetti, mie potenze!”. È la dialettica Processione/Ritorno.
A loro volta, gli infiniti punti posti nella superficie della sfera simbolizzano
le particolarizzazioni della Shakti divina; le chiameremo shakti angeliche. Esse
sono i Nomi divini così come si presentano nello Spirito universale (ossia divisi
numericamente), e veicolano le Idee, cioè le Possibilità che si manifesteranno.
Tramite la Contemplazione passiva (⇵), ciascuna shakti angelica vede ed è
l’intero Essere, ma considerato da un determinato punto di vista (vedi la figura
sotto). La relazione Essere/shakti angelica corrisponde a un Angelo-spirito, o più
precisamente a un Serafino. Quello dei Serafini, infatti, è il primo degli ordini
angelici, incessantemente assorto nella contemplazione di Dio [come vedremo in
seguito gli Angeli del secondo ordine (Cherubini) si volgono invece anche verso
se stessi, nella Auto-Contemplazione attiva (↺), generando così le infinite Anime
particolari le quali, nel loro insieme, andranno a costituire il terzo Livello della
realtà condizionata: l’Anima universale o Psiché]. Dice la Bibbia:

[…] vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato […]. Sopra di lui stavano dei
serafini […]. Proclamavano l’uno all’altro dicendo: «Santo, santo, santo il Signore
[…]!» (Libro del profeta Isaia, 6, 1-3).

Nel sistema Sânkhya, uno dei sei darshana dell’ortodossia indù (tradotti con
“scuole”, ma sarebbe preferibile chiamarli piuttosto “visuali” o “punti di vista”),
l’Angelo-spirito corrisponde alla Buddhi, che è il principio sovra-formale quindi
sovra-individuale. Le Buddhi altro non sono che “il Grande Mahat” (lo Spirito),
considerato però in senso “distributivo”, ovvero particolarizzato.
Gli Angeli-spirito sono “Intelletti puri”, nel senso che trascendono la Qualità,
e quindi ogni caratterizzazione formale. Aristotele ed il suo seguace Alessandro
di Afrodisia parlano di ’“Intelletto che viene da fuori”, proprio perché esso non
è una facoltà dell’individuo, ma semmai il contrario.
La shakti angelica che, nella Contemplazione passiva, vede la propria Fonte
(l’Essere), è propriamente la visione stessa, coincide essenzialmente con ciò che
contempla; e così diventa l’Angelo. Ponendosi idealmente nell’ottica dell’Essere
e poi in quella della shakti angelica, vi sono dunque i seguenti due momenti:
1. L’Essere, vedendo la shakti angelica, dice: “Questo è un mio aspetto!”: e vi è
il ritorno a sé, nel contesto del ciclo auto-contemplativo dello Spirito o Nous.

82
2. La shakti angelica vedendo l’Essere dice: “Io sono Lui!”: e vi è il ritorno alla
propria Fonte, nel conteso della contemplazione passiva dell’Angelo-spirito.

Ebbene, questi due momenti dialettici sono un solo e unico momento: non vi
è alcuna alterità tra essi, giacché coincidono perfettamente nell’Angelo-spirito.
Si sarà compreso che le relazioni che stiamo trattando sono in qualche modo
(anche) “dentro” di noi, e coincidono con stati più elevati di consapevolezza.
Ecco, l’Angelo-spirito incarna il passaggio dall’intima unità della Coscienza
alla sua dispersione nel molteplice - e viceversa. Ecco alcuni passi al riguardo:

[…] la coscienza che l’uomo ha di se stesso è quella che Dio ha nei suoi confronti
(Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, p. 97).

L’occhio con cui guardo Dio è lo stesso occhio con cui Dio mi guarda. Il mio oc-
chio e quello di Dio sono un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un
medesimo amore (Meister Eckhart; I sermoni. Sermone Qui audit me. Citazione
tratta da: Marco Vannini; Storia della mistica occidentale. Dall’Iliade a Simone
Weil, p. 233).

Ovunque vi volgiate, ivi è il Volto di Allah (Corano, II, 115).

In qualunque modo si voglia considerarlo, il mondo è in realtà la manifestazione di


Dio a Se stesso […]. Nel medesimo significato, i sufi paragonano l’Universo ad un
insieme di specchi nei quali l’Essenza infinita si contempla in molteplici forme, o
che riflettono a differenti livelli d’irradiazione dell’Essere unico; gli specchi simbo-
leggiano le possibilità dell’Essenza di autodeterminarsi, possibilità che Essa com-
porta in modo supremo in virtù della sua infinità (Titus Burckhardt; Introduzione
alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 56).

[…] l’Intelletto [ovvero lo Spirito]* non è altra «cosa» rispetto al Primo [all’Uno-
assoluto]* e neppure una «parte» di lui, bensì la sua immagine infinita in quanto lo
interpreta da infiniti punti di vista (le idee) (Aldo Magris; Invito al pensiero di Plo-
tino, p. 160). *N.d.A.

Né esiste alcuna creatura, se non in quanto tu la conosci (Sant’Agostino; Le confes-


sioni, VII, 4, p. 187).

[…] tu sei una cosa sola con ciò che in atto pensi e mediti, conosci e comprendi: sei
trasformato nella sua stessa immagine, «faccia a faccia», sei ispirato dal suo amore
(Meister Eckhart; Commento al Vangelo di Giovanni, X, p. 653).

«Il conoscente deve diventare il conosciuto». A questo distico [tratto da: Il Pelle-
grino cherubico. N.d.A.] Silesius aveva apposto la seguente nota: «Così dice anche
il divino Ruusbroch: quello che contempliamo, siamo, e quello che siamo, contem-
pliamo» (Marco Vannini; Lessico mistico. Le parole della saggezza, p. 177).

83
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a vi-
so scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo tra-
sformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore (San Paolo; Seconda lettera ai Corinzi, 3, 17-18).

Dio volle vedere la propria essenza […] per manifestare così il suo mistero a Se
stesso. Difatti la visione che l’essere ha di sé […] è uguale a quella offertagli da
[…] uno specchio: esso vi si manifesta a se stesso nella forma derivante dal «luo-
go» della visione; questa non esisterebbe senza tale «piano di riflessione» e il rag-
gio che vi si riflette (Muhyi-d-dîn Ibn ’Arabî; La Sapienza dei Profeti, pp. 15-16).

[Ibn ’Arabî: «Dio volle vedere la propria essenza (…) in un oggetto totale (…) do-
tato (…)»] dell’Essere […]. Qualche manoscritto reca la variante: «…essendo
provvisto di volti…», ossia di molteplici «piani di riflessione» che differenziano
l’irradiamento divino (Titus Burckhardt; nota a: Muhyi-d-dîn Ibn ’Arabî; La Sa-
pienza dei Profeti, p. 15).

Abbiamo detto che ciascun Angelo-spirito è l’intero Essere. Poiché, infatti, lo


Spirito è sovra-formale - e quindi i suoi esseri sono solo quantitativamente divisi
ma non qualitativamente distinti - ciascuno di essi contiene in sé la totalità delle
Possibilità formali, le quali si manifesteranno soltanto nel successivo Livello o
Piano del reale, l’Anima universale:

Invece, gli dèi che stanno nel cielo superiore [gli Angeli-spirito. N.d.A.] vedono
ogni cosa […], e guardano se stessi compresi nelle altre realtà, perché qui tutto è
trasparente, né vi è ombra di ostacolo, ma ogni essere si rivela totalmente all’altro
nella sua interiorità, come la luce è manifesta alla luce. Ognuno ha tutte le cose
dentro di sé, e vede tutte le cose riflesse nell’altro, al punto che tutto è dovunque,
tutto è tutto, e ciascuno è tutto in un incommensurabile folgore (Plotino; Enneadi
V, 8, 3-4).

Pur contenendo potenzialmente tutto ciò che esiste, ciascun Angelo-spirito


manifesterà Possibilità diverse. Non esistono infatti due Possibilità uguali:

[…] nell’Universo non possono esserci due possibilità identiche: ciò implicherebbe
infatti una limitazione della Possibilità totale, limitazione impossibile in quanto,
dovendo comprendere la Possibilità, non potrebbe essere in essa compresa. Pertan-
to ogni limitazione della Possibilità universali è un’impossibilità nel senso vero e
proprio della parola (René Guénon; Il simbolismo della croce, p. 99).

[…] la Possibilità universale è necessariamente illimitata […]. Dato che l’Infinito è


veramente «senza parti», a rigore non si può nemmeno parlare di una molteplicità
di aspetti in esso realmente e «distintivamente» esistenti; siamo noi, in realtà, a
concepire l’Infinito sotto diversi aspetti, perché non ci è dato fare altrimenti (René
Guénon; Gli stati molteplici dell’essere, pp. 25-26).

84
[...] tutte [le anime] possiedono tutte le potenze, ma [...] ciascuna si differenzia se-
condo la potenza che è in essa operante [...] e ciascuna è diversa perché contempla
qualcosa di diverso ed è e diventa ciò che contempla (Plotino; Enneadi, IV, 3, 8).

A motivo della sua infinità non vi è nella Presenza divina assolutamente nulla che
si ripeta: questa è una verità fondamentale (Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza
dei Profeti, p. 36).

Terminiamo il capitolo con una anticipazione.


Gli “Orientamenti auto-Contemplativi” diventeranno molto importanti nelle
successive enumerazioni delle realtà condizionate, in quanto sono la causa della
separazione ontologica fra i Cosmi fisici (il nostro, infatti, non è l’unico, ma solo
uno tra gli infiniti Cosmi). Per giustificare questa nostra asserzione ricorreremo
all’ipotesi dell’universo olografico teorizzata del fisico David Bohm.
L’Infinito metafisico - secondo la filosofia delle Corrispondenze universali -
è davvero in-finito: inesauribile “attività” generatrice.

DIO È PRINCIPIO SENZA PRINCIPIO, PROCESSO SENZA MUTAMENTO, FINE SENZA FINE
(Il libro dei ventiquattro filosofi, VII, p. 67).

85
21. L’ASSOLUTO “È” PURA COSCIENZA
La Shakti divina, abbiamo visto, conosce se stessa guardandosi come dentro
in uno “specchio”. Essa pensa (Processione), e si identifica con il contenuto del
proprio pensiero (Ritorno); per farlo, essa deve sdoppiarsi in soggetto pensante e
oggetto pensato; prende consapevolezza di sé riconoscendosi nel proprio riflesso
(che coincide con l’Essere in atto), identificandosi con esso. Da qui si genera lo
Spirito o Dio-persona, e quindi tutto l’Esistente con i suoi Livelli gerarchici.
Ma allora, viene da domandarsi: l’Assoluto, “prima” (sempre in senso logico)
di pensarsi mediante la Shakti, era inconscio? Come poteva, infatti, conoscere se
stesso se non pensava? Le dottrine tradizionali ci dicono: “No!”. L’Assoluto non
solo non è incosciente, ma anzi, è la Coscienza stessa; non ha bisogno di “uscire
da sé” e di identificarsi con l’oggetto pensato. Egli resta in se stesso e ha tutto.
Chiedersi se l’Assoluto è conscio o inconscio non ha alcun senso, poiché egli
propriamente è la Coscienza. Quella della Shakti divina, la quale pensandosi,
contemplando se stessa, diventa Spirito, è già una forma condizionata e inferiore
di auto-cognizione:

Dio volle vedere Se stesso, con la restrizione che la sua «visione» non si riferisce
alla sua Essenza assoluta, che trascende ogni determinazione perfino principiale,
bensì alla sua determinazione immediata, al suo «aspetto personale» (Titus Burc-
khardt; nota a: Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, p. 16).

[…] il vero […] è nella coscienza pura senza pensiero e quando quella coscienza
comincia a pensare, è già sotto l’influsso dell’errore, diventa altra da sé, pensiero
concreto […], illusione (Giuseppe Tucci; Storia della filosofia indiana, p. 19).

Ovviamente, il termine “Coscienza” non indica in tal caso la mente umana o


la coscienza individuale, ma bensì il fondamento incondizionato e non-duale di
ogni rappresentazione, il postulato del pensiero e dell’essere, il vero eterno “Sé”,
il Brahman, l’Âtmâ (naturalmente anche la nostra piccola coscienza è “Quello”,
ma in uno stato limitato da una moltitudine di condizionamenti sostanziali).
È impossibile spiegare la Coscienza tramite concetti più semplici, perché essa
è la semplicità assoluta a fondamento di tutto. Qualsiasi pensiero o immagine vi
si aggiunga emerge da essa, ed è una complessificazione. Non di aggiungere si
tratta, dunque, ma bensì di togliere, di rimuovere ogni contenuto determinato.
Il “Sé” è quindi la Coscienza Pura, intendendo questo aggettivo nel senso di
“impersonale”, “incondizionata”, “assoluta”, scevra da ogni dualità e relazione.
Franz Brentano (1838-1917), seguito poi da Edmund Husserl (fondatore della
Fenomenologia), dice che la coscienza è sempre coscienza-di qualcosa, cioè che
essa deve necessariamente avere un oggetto intenzionale. Sbaglia! È il pensiero,
non la Coscienza, che è sempre pensiero-di qualcosa. Il pensiero è sempre duale,
nel senso che richiede un soggetto pensante e un oggetto pensato. Non possiamo

86
pensare senza che vi sia un oggetto del pensiero. Niente oggetto, niente pensiero
(idem per la percezione). Ma la Coscienza rimane, anche se non si pensa a nulla.
Essa non è un oggetto e non è un soggetto, ma la fonte trascendente di entrambi.
Proviamo a pensare al soggetto originario del nostro pensare: non possiamo!
In qualsiasi modo noi lo pensiamo, esso diventa un mero oggetto pensato, quindi
un ente, e non è più il soggetto pensante. Questo ultimo ci sfugge. È impossibile
da cogliere. Infatti, esso non esiste separatamente dall’oggetto pensato, giacché
sorge solo assieme ad esso: Io (soggetto) penso a questa tal cosa (oggetto):

I due termini del binomio soggetto-oggetto acquisiscono la loro realtà apparente so-
stenendosi vicendevolmente. Nessuno dei due può, quindi, essere la fonte della
realtà: una volta abolito l’oggetto, si è tolto il terreno anche al soggetto, perché è
proprio da questa dualità che ha origine tutta l’illusione in cui viviamo (Luciana
Meazza e Gabriele Burrini; La filosofia indiana, pp. 50-51).

Secondo Sri Ramana, ogni attività conscia della mente o del corpo gira attorno alla
tacita supposizione che ci sia un “io” che sta facendo qualcosa […]. Quando sorgo-
no i pensieri, il pensiero “io” ne reclama la paternità - “io penso”, “io credo”, “io”
voglio, “io” agisco - ma non c’è un pensiero “io” separato che esista indipendente-
mente dagli oggetti con cui si sta identificando. Sembra esistere come una reale e
continua entità soltanto a causa dell’incessante flusso di identificazioni che avven-
gono continuamente […]. Sri Ramana affermò che questa tendenza verso identifi-
cazioni autolimitanti può essere controllata cercando di separare il soggetto “io”
dagli oggetti del pensiero con cui si identifica. Poiché il pensiero “io” individuale
non può esistere senza un oggetto, se l’attenzione è focalizzata sul sentimento sog-
gettivo di “io” o “io sono” con tale intensità che i pensieri “io sono questo”, “io so-
no quello” non sorgano, allora l’“io” individuale sarà incapace di connettersi agli
oggetti. Se questa consapevolezza dell’“io” viene sostenuta, l’“io” individuale (il
pensiero “io”) scomparirà e in sua vece ci sarà una diretta esperienza del Sé (David
Godman; Sii ciò che sei. Ramana Maharshi e il suo insegnamento, pp. 58-60).

Cerca la sorgente del pensiero “io”. Questo è tutto ciò che si deve fare […]. Il falso
“io” finirà soltanto quando verrà cercata la sua sorgente (Ramana Maharshi; Sii ciò
che sei, p. 79).

[La] coscienza è la sola realtà. […] è lo schermo su cui tutte le immagini vanno e
vengono. Lo schermo è reale, le immagini sono semplici ombre su di esso (Ramana
Maharshi; Sii ciò che sei, p. 24).

Io considero la coscienza come fondamentale, e la materia un derivato della co-


scienza. Non possiamo andare oltre la coscienza. Tutto ciò di cui discorriamo, tutto
ciò che noi consideriamo come esistente, richiede una coscienza (Max Planck).

La coscienza è il teatro, e precisamente l’unico teatro su cui si rappresenta tutto


quanto avviene nell’Universo, il recipiente che contiene tutto, assolutamente tutto,
e al di fuori del quale non esiste nulla. La sola possibilità è di accettare l’esperienza
87
immediata che la coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale; che esiste
una sola cosa, e ciò che sembra una pluralità non è altro che una serie di aspetti dif-
ferenti della stessa cosa, prodotta da un’illusione (il maya indiano) (Erwin Schrö-
dinger. Citazione tratta da: Fabrizio Coppola, Ipotesi sulla realtà, p. 250).

Ciò che con la mente non si può pensare ma, come dicono, mediante il quale la
mente viene pensata, questo è il brahman (Kena-upaniṣad, I, 5. Upaniṣad antiche e
medie, p. 430).

Là dove sussiste dualità, ivi [...] l’uno pensa qualcosa di altro «da sé», l’uno cono-
sce l’altro; ma, allorché tutto è diventato il Sé [ātman] di ognuno, [...] a chi e me-
diante che cosa si potrà pensare? […]. Per mezzo di che cosa si potrebbe conoscere
il conoscitore? (Bṛhad-āraṇyaka-upaniṣad, IV, 5, 15. Upaniṣad antiche e medie, p.
101).

Il Brahman […] Non può mai essere un oggetto di conoscenza, poiché «chi può
conoscere il conoscitore? [Bṛhadāraṇyakopaniṣad 2, 4, 14]» (Mark S. G. Dyczko-
wski; La dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, p. 58).

La coscienza invero è superiore al pensiero. Quando si è coscienti, si concepisce un


pensiero, si pensa, si articola la voce, si pronunciano nomi […]. Tutte queste cose
sgorgano dalla coscienza […]. Questa è la ragione per cui […] la coscienza è per
gli uomini il vero cammino, la coscienza è l’ātman, la coscienza è il fondamento di
ogni cosa (Chāndogya-upaniṣad, VII, 5, 1-2. Upaniṣad antiche e medie, p. 217).

[…] Egli [l’Uno] non pensa sdoppiandosi in pensante e in pensato, giacché tale
sdoppiamento implica […] rottura dell’unità, e quindi il Suo pensiero trascende la
nostra possibilità di determinarlo e di comprenderlo. Del resto, se Plotino nega re-
cisamente che l’Uno si pensi e abbia coscienza di sé, allo stesso modo in cui […] lo
Spirito pensa e ha coscienza di sé, nega, tuttavia, recisamente altresì che l’Uno sia
inconscio (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 513-514).

Ora, io dico imperfetto il pensante [lo Spirito]* in quanto lo confronto con Quello
[l’Uno, l’Assoluto]*, che non è, per così dire, incosciente, ma tutto ciò che ha se lo
tiene in sé e con sé, e ha perfetta cognizione di sé […]. Lui stesso è autocoscienza,
che esiste per una specie di coscienza in uno stato di perpetua stabilità, e in un tipo
di Intelligenza che è diverso dalla comprensione di tipo intellettivo (Plotino; En-
neadi V; 4, 2). *N.d.A.

Ma chi sarà disposto ad accettare una natura [l’Uno] che non rientra né nell’ambito
della percezione né in quello dell’autoconoscenza? A che si riduce il suo conosce-
re? All’«io sono»? Ma se non è! […]. Come si pensa allora? Null’altro gli è presen-
te se non un’apprensione immediata di sé (Plotino; Enneadi VI; 7, 38-39).

Il sé è coscienza [Vasagupta; Gli aforismi di Śiva (Śivasūtravimarśinī), I, 1, p. 83].

88
Come una lampada illuminata non ha bisogno di un’altra lampada per manifestare
la sua luce, così l’Atman, essendo la Coscienza stessa, non necessita di alcun altro
strumento della coscienza per illuminare Se Stesso (Sankaracharya; Atmabodha. La
Conoscenza del Sé, 28, p. 125).

Il grande merito del Buddhismo è quello di averci aperto la via alla visione della
«talità» delle cose, ovvero all’intuizione dell’«originariamente puro nell’essenza e
nella forma che è l’oceano della conoscenza trascendentale Prajna» […]. I Buddhi-
sti adottano il termine «puro» nel senso di assoluto […]. L’«originariamente puro»
indica ciò che è incondizionato, indifferenziato e privo di ogni determinazione; è
una specie di superconsapevolezza nella quale non vi è opposizione tra soggetto e
oggetto, e tuttavia vi è una piena coscienza delle cose […]. In un certo senso
l’«originariamente puro» è il vuoto, ma un vuoto carico di vitalità. La talità è, per-
ciò, i due concetti contradditori di vuoto e non vuoto in stato di autoidentità (Dai-
setz Teitaro Suzuki; Vivere Zen, p. 63).

L’esistenza del Sé, o Coscienza, non può esser messa in dubbio perché proprio chi
dubita è il Sé […]. È Pura Coscienza, che è Atman nell’uomo e Brahman nell’uni-
verso (Swami Nikhilananda, Introduzione a: Sankaracharya; Atmabodha. La Co-
noscenza del Sé, pp. 49-50).

Apparirà allora evidente che la Realtà tutta non è una cosa inerte, inanimata,
priva di vita, intelligenza, consapevolezza, libertà e spontaneità, ma, al contrario,
che i Livelli del reale sono stati più o meno condizionati di Coscienza:

Non ci sono gradi di realtà. Ci sono gradi di esperienza per l’individuo, ma non di
realtà. Qualunque possa essere l’esperienza, lo sperimentatore è sempre lo stesso
(Ramana Maharshi; Sii ciò che sei, p. 183).

L’interiorità è il tema dominante sia della metafisica che della pratica dello śivai-
smo del Kashmir: è una «dottrina che afferma che tutto è interno». Tutto, secondo
questa visione, risiede all’interno di una coscienza assoluta […]. Gli eventi che co-
stituiscono l’universo sono sempre eventi interiori che accadono nella coscienza,
poiché la loro natura essenziale è la coscienza stessa (Mark S. G. Dyczkowski; La
dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, pp. 72-73).

La realtà è un tutto strutturato che consiste di una gerarchia graduata di princìpi


metafisici corrispondenti ai piani di esistenza […]. Perché questa suddivisione in
fasi o gerarchia non fraziona l’assoluto? […]. Lo śivaismo equipara completamente
l’assoluto con la coscienza. La realtà è solo pura coscienza […]. Quindi la coscien-
za […] è assolutamente inattiva, un puro plenum noetico: è conoscenza in sé, senza
un oggetto di conoscenza […]. È la realtà suprema, e tutte le cose sono manifesta-
zioni di questa coscienza (Mark S. G. Dyczkowski; La dottrina della vibrazione
nello śivaismo tantrico del Kashmir, pp. 67-69).

89
22. LA NON-ALTERITÀ TRA BRAHMAN E ÂTMÂ
Nelle dottrine indù, l’Âtmâ (“spirito vivente”) o Purusha rappresenta l’enade
coscienziale, l’Assoluto (Brahman) che risiede nell’interiorità di ciascun essere,
la nostra più profonda realtà ed essenza, il nostro vero ‘Sé’, solo apparentemente
gravato dai condizionamenti dell’esistenza. In tal senso, egli è più intimo a noi
persino di noi stessi. Meister Eckhart lo chiama il “fondo dell’anima”:

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (San Paolo;
Prima Lettera ai Corinzi, 3, 16).

Ti cercavo, Dio mio […]. Ma tu eri a me più interno della mia più intima profondi-
tà (Agostino d’Ippona; Le confessioni, III, 6, p. 75).

In verità siamo stati Noi ad aver creato l’uomo e conosciamo ciò che gli sussurra
l’animo suo. Noi siamo a lui più vicini della sua vena giugulare (Corano, L, 16).

V’è nell’anima qualcosa in cui Dio è nella sua nudità, ed i maestri dicono che è
senza nome alcuno (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Sant Paulus sprichet: in-
tuot iu inniget iu Kristum. p. 59).

È il tuo proprio ātman che si trova in ogni cosa […]. Questo tuo ātman che respira
nel prāna, è lui che è in ogni cosa […]. Questo tuo ātman è invero interiorità uni-
versale (Bṛhad-āraṇyaka-upaniṣad, III, 4, 1. Upaniṣad antiche e medie, p. 67).

Ogni singola cosa “è” l’Assoluto tutto intero (in quanto unica indivisa Realtà
in un suo aspetto) ma, allo stesso tempo (qualora considerata in se stessa) non lo
è. Ed anzi, valutata in sé, indipendentemente dall’Assoluto, ogni cosa è niente:

[…] egli adesso è certamente me, ma io non sono lui [Tōzan Ryōkai (Tung-shan
Liang-chieh)].

[…] lo spirito contemplativo […] riconosce innumerevoli livelli di realtà la cui ge-
rarchia è irreversibile, di modo che si può affermare che il relativo è essenzialmente
tutt’uno con il suo principio […]. Tutti gli esseri sono perciò Dio, se si considera la
loro realtà essenziale, ma Dio non è gli esseri, non nel senso che la Sua realtà li
escluda, ma perché la loro realtà è nulla di fronte alla Sua infinità (Titus Burc-
khardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, pp. 27-28).

Io sono sotteso a tutto questo mondo [vivente] nel mio stato non manifestato; tutti
gli esseri stanno in me e io non sono contenuto in loro. Ma, a dire il vero, gli esseri
non stanno in me (Bhagavadgītā, IX, 4-5, pp. 101-102).

90
Siamo ontologicamente separati fra di noi e dall’Assoluto solo nella Sostanza
(ovvero nella divisione numerica, nella distinzione formale, nella dislocazione
spazio-temporale e negli altri condizionamenti limitanti), non certo nell’Essenza,
la quale è appunto l’Âtmâ, l’Assoluto in noi (e in tutte le cose). Ciascuno di noi
sperimenta il reale prima persona, e lo scopre in sé, soggettivamente. Ma esso è
universale, intersoggettivo, condiviso, il medesimo per tutti.
La dialettica trinitaria, lo abbiamo visto, si fonda sulla non-alterità essenziale
tra Assoluto e relativo, fra Dio e creatura. Coloro che sono consapevoli di questa
non-alterità sono chiamati “Figli di Dio”, e sono già nel “Regno dei Cieli”:

Il «regno dei cieli» è una condizione del cuore - non qualcosa che giunge «oltre la
terra» o «dopo la morte» (Friedrich Nietzsche; L’Anticristo. Maledizione del cri-
stianesimo, 34, pp. 45-46).

Ma il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi. Quando conoscerete voi stessi, sarete
conosciuti e saprete che siete figli del Padre Vivente (Vangelo di Tommaso, 3. I
Vangeli apocrifi, p. 485).

Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio […].
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se sia-
mo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo (San Paolo; Lettera ai
Romani, 8, 14-17).

Io e il Padre siamo una cosa sola (Vangelo secondo Giovanni, 10, 30).

Possiamo dire che Âtmâ è il principio tramite il quale il Brahman conosce se


stesso attraverso il Pensiero, cioè nella dialettica dello Spirito universale (Nous),
e che non è altro da lui. In pratica, Âtmâ coincide con il Logos o Verbo:

In verità il brahman era in origine tutto questo universo: questi conobbe se stesso
[ātman]: «Io sono il brahman», disse, ed esso era il Tutto (Bṛhad-āraṇyaka-upani-
ṣad, I, 4, 10. Upaniṣad antiche e medie, p. 37.

Allo stesso modo che dal fuoco bene avvampante a migliaia si dipartono scintille
della sua stessa natura, ugualmente […] molteplici esseri nascono dall’Indefettibile
e in lui fanno ritorno. Il puruṣa è invero celeste, informale [amūrta = incorporeo]
[…]. Egli è il Sé interiore di tutte le creature (Muṇḍaka-upaniṣad, II, 1-3. Upaniṣad
antiche e medie, pp. 458-459).

Questo Dio unico, che è celato in tutte le creature, che è onnipervadente, che è il Sé
intimo a ogni essere, sovraintendente a ogni azione, è casa per ogni essere, è testi-
mone ed è pensatore, è assoluto e privo di attributi (Śvetāśvatara-upaniṣad, VI, 11.
Upaniṣad antiche e medie, p. 333).

91
Signore unico è l’ātman intimo a tutti gli esseri, che molteplice rende la «sua» uni-
ca forma […]. Esso è il costante fra gli incostanti, la coscienza pensante fra gli es-
seri pensanti (Kaṭha-upaniṣad, II, 5, 12-13, Upaniṣad antiche e medie, p. 355).

Io sono il principio di tutte le cose; è da me che tutto procede […]. Io sono il Sé che
risiede nel cuore di tutti gli esseri; io sono l’inizio, la metà e la fine degli esseri
[…]. E quale che sia la forma di qualunque essere, lui io sono […]. Non vi è essere,
mobile o immobile, che esista al di fuori di me (Bhagavadgītā, X, 8-20-39, pp.
110-114).

[…] ogni essere consapevole nell’universo, umano, animale o alieno potrebbe esse-
re in realtà la stessa coscienza, attivata però in differenti contesti in tempi diversi
(Paul Davies; I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, p. 36).

Âtmâ-Purusha è l’impulso attivo originario della Manifestazione universale,


la “Luce” della Consapevolezza divina che tutto genera e illumina. La cosiddetta
“Creazione”, infatti, è il prodotto dell’Auto-Contemplazione divina:
Purusha è rappresentato con una luce, perché la luce simboleggia la Conoscenza,
ed esso è la fonte di ogni altra luce, che in fondo è soltanto il suo riflesso (René
Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 40).

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in
principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato
fatto di tutto ciò che esiste (Vangelo secondo Giovanni, 1, 1-3).

L’espressione Tat Tvam Asi (o Tattvamsi) significa “Quello sei tu”. Si tratta
di una delle quattro più importanti espressioni vediche (le altre sono: “Io sono il
Brahman”, “Questo sé è il Brahman” e “Il Brahman è la coscienza”)9:

[…] nell’interpretare l’espressione “Quello sei tu”, l’uomo saggio abbandona gli
elementi contradditori associati al Quello e al tu, ossia le nozioni di Creatore e crea-
tura, e comprende la loro identità dal punto di vista del Brahman, la Pura Coscien-
za, che è l’essenza di entrambi (Swami Nikhilananda, introduzione a: Sankaracha-
rya; Atmabodha. La Conoscenza del Sé, p. 84).

9
Potremmo forse chiederci: “Ma come possiamo noi provare che la realtà è Coscienza,
e che è quindi intelligente?”. Ebbene, lo prova questa stessa domanda! La Realtà è in
sé indivisa, ed è quindi lei che, tramite noi, si pone la domanda.
92
23. LA GENERAZIONE DELL’ANIMA UNIVERSALE [C]

Spirito CONDIZIONE
[B] Essere AGGIUNTA:
Qualità

Angelo-
spirito
[Buddhi]
Realtà sovra-formale
P R
Realtà formale
Monade
particolare,
Ahamkâra

Shakti angelica o 1!
EL
Monade possibile
Demoni-
anima
LIMITE
GL [x], Identità
uniforme
r

AD p

ESSENZA [x]
Jîvâtmâ-logos, SOSTANZA, Diversità formale
«Anima ILLIMITE [y]: [y-x]: Psiche angelica,
vivente» Indifferenzia- Mondo immaginale ⊇
bilità amorfa Shakti demoniche

Il ciclo auto-contemplativo dell’Anima è quasi identico a quello dello Spirito.


Naturalmente, come vedremo, cambiano le realtà coinvolte. Si aggiunge anche
una ulteriore condizione limitante: la Qualità formale. La Triade metafisica si
arricchisce dunque di nuovi elementi categoriali:

93
- Lo “Specchio-Illimite” (y), ossia l’elemento indeterminato e “oggettificante”,
non è più solo Divisibilità infinita nel continuo, ma anche Indifferenziabilità
(nel senso di sostanza informe, confusione indistinta, amorfa, caotica).
- Lo “Specchio-Limite” (x), l’elemento determinante e “soggettificante”, non è
più solamente Unità indivisa, ma anche Identità uniforme (essenza formale,
principio di “individuazione”, confine ontologico della “personalità”).
- Infine il Limitato, l’elemento determinato e manifestato (y-x), non è più solo
Molteplicità (divisione numerica), ma anche Diversità (distinzione formale)
e, ovviamente, Relazione.

Altra cosa importante di cui tener conto è che l’Anima si genera all’interno
dell’Intelletto divino e quindi in un contesto nel quale vi è Molteplicità numerica
(infatti, vi sono qui infiniti Angeli-spirito, uno per ogni diverso “Orientamento
auto-Contemplativo” dell’Essere). Cosa significa questo?
Significa che ciascun Angelo-spirito, contemplando se stesso, si manifesta in
un’Anima particolare. L’immagine (vedi) è infatti riferita ad una singola Anima.
Se lo Spirito universale era uno (e solo uno!), le Anime particolari sono infinite,
e costituiscono, nel loro insieme, l’Anima universale o suprema (Psiché), che è
il terzo Livello [C] della Realtà condizionata. V’è dunque nell’Anima universale
una sorta di “distribuzione” delle qualità fra le Anime. Le Forme erano presenti,
a livello di pure Possibilità, già nello Spirito, però esso non ne era condizionato,
in quanto le trascendeva e le conteneva tutte nella sua indistinzione:
Quest’ultimo [il sopraformale - vale a dire lo Spirito Puro] non è privo di forma,
ma la possiede in modo supremo, senza essere da lei limitato (Titus Burckhardt;
Alchimia. Significato e visione del mondo, p. 122).

Ciascun Angelo-spirito era tutto lo Spirito e conteneva tutte le forme in modo


indistinto, giacché la separazione era soltanto numerica. Ma ora ciascun Angelo,
contemplandosi attivamente e diventando Anima, si percepisce con una forma
distintiva, quindi assume un’Identità particolare ed è solo se stesso, nessun altro
(assieme alla Condizione della Qualità entra dunque in gioco anche il principio
aristotelico di non contraddizione). Ma attenzione: non c’è ancora la Condizione
dello Spazio-Tempo (e quindi la dislocazione spazio-temporale), di conseguenza
ogni Anima è sempre e in ogni luogo. Però è in sé diversa dalle altre Anime.
Un chiarimento: non si pensi alle Anime particolari come sinonimi di anime
individuali umane; si tratta altresì di princìpi cosmogonici universali, dai quali
scaturirà l’intera Manifestazione fisica. Ci rendiamo conto che il termine anima
è piuttosto ambiguo, giacché viene utilizzato con molte accezioni diverse. Noi
stessi saremo costretti, per non inventare troppi neologismi, ad applicarlo anche
ad altre realtà. Ma cercheremo di legarlo ad aggettivi che chiariscano di volta in
volta a che cosa ci stiamo riferendo. Ad esempio, abbiamo visto come Meister
Eckhart (e a volte anche Plotino) chiami “anima” l’Âtmâ, ovvero l’“Assoluto in

94
noi”. Ecco, noi in questi casi, per chiarezza, utilizzeremo sempre l’espressione
“fondo dell’anima”. Ma andiamo avanti con la nostra trattazione.
Seguiamo l’immagine. La shakti angelica contempla passivamente l’Essere, e
si determina essenzialmente come Angelo-spirito. In questa operazione l’Angelo
è un Serafino, appartiene cioè ordine angelico che incessantemente contempla la
propria fonte (Dio). “Riempita” dei contenuti (Idee intellettuali) di tale visione,
essa si volge poi a contemplare attivamente se stessa, diciamo così per volersi
appartenere. In tale operazione di auto-conoscenza essa è invece un Cherubino.
Nella teologia, la Contemplazione passiva e l’Auto-Contemplazione attiva sono
chiamate rispettivamente “conoscenza mattutina” e “conoscenza vespertina”:

[…] come Dionigi insegna, l’ordine dei Cherubini è inferiore a quello dei Serafini
[…]. Cherubino significa pienezza della scienza: e Serafino invece ardente o in-
fiammante. È chiaro perciò che il nome di Cherubino sta a indicare la scienza, la
quale può stare insieme al peccato mortale; Serafino invece indica l’ardore della ca-
rità, la quale non è compatibile col peccato mortale. Per questo il primo angelo ri-
belle non fu denominato Serafino ma Cherubino (Tommaso d’Aquino; Somma teo-
logica, 1, 63, 7).

I dottori dicono che la beatitudine dell’anima consiste prima di tutto in questo:


quando essa contempla Dio nudamente, prende tutto il suo essere e la sua vita, e at-
tinge tutto ciò che è, per quanto è beata, dal fondo di questo Nulla, e non sa niente
di conoscenza, a parlare da questo punto di vista, né d’amore, né assolutamente di
niente. Essa riposa tutta e unicamente nel Nulla, e non sa niente tranne l’essere che
è Dio o questo Nulla. Ma quando sa e riconosce di sapere, contemplare e conoscere
il Nulla, ciò è un’uscita e un ritorno in sé da ciò che aveva prima, secondo l’ordine
naturale […]: quando si conoscono le creature in se stesse, ciò si chiama ed è una
conoscenza vespertina, perché allora si vedono le creature in immagini distinte in
qualche modo; ma, quando si conoscono le creature in Dio, ciò si chiama una cono-
scenza mattutina, e così si contemplano le creature senza alcuna distinzione, spo-
glie di ogni immagine e prive di ogni somiglianza, nell’Uno che è Dio stesso in se
stesso (Enrico Suso; Il libretto della verità e i Sermoni, 5, p. 41).

Ma per quale causa le anime, pur essendo parti del mondo superiore e appartenenti
completamente ad esso, si sono dimenticate di Dio loro Padre e ignorano se stesse e
Lui? Per loro il principio del male fu la temerarietà e il nascere e l’alterità origina-
ria e il desiderio di appartenere a se stesse (Plotino; Enneadi, V, 1, 1).

Nella rappresentazione geocentrica del Cosmo, sopravvissuta fino ai tempi di


Copernico (si veda ad esempio in Dante Alighieri) i Serafini sono associati alla
Nona Sfera celeste, il Cielo senza stelle (realtà sovra-formale) o Primo Mobile.
I Cherubini attengono invece all’Ottava Sfera, il Firmamento, il Cielo delle
stelle fisse (realtà formale), delle Costellazioni e dello Zodiaco. Ne riparleremo.

95
Continuiamo con l’analisi della figura. La shakti angelica, al fine di potersi
pensare, genera il proprio Logos, che in tal frangente prende il nome di Jîvâtmâ
(“Anima vivente”). Si tratta sempre di Âtmâ (principio universale pensante-e-
creante), gravato però dalla condizione della Molteplicità, ossia “frammentato”
in molteplici nuclei di coscienza, uno per ciascun Angelo-Anima.
L’Assoluto conosce se stesso senza necessità di pensare; lo Spirito si conosce
pensandosi unitariamente; l’Anima deve pensarsi “distribuita” nel molteplice.
Jîvâtmâ guarda se stessa nello “Specchio-Illimite” e vede una molteplicità di
Forme psichiche immaginali, cioè di Possibilità formali. Si tratta di Forme pure,
incorporee, inestese e atemporali, non soggette ai condizionamenti della realtà
fisica. Potremmo dire che esse sono le Idee dell’Intelletto divino “ricoperte” da
una caratterizzazione qualitativa.
Considerato unitariamente, l’oggetto pensato lo chiamiamo “Psiche angelica”
(essendo il corrispettivo analogico, in una Anima particolare, di quello che nello
Spirito è l’“Intelletto divino”) e, nel contesto universale, “Mondo immaginale”.

Per costoro [gli Spirituali] esiste, “oggettivamente” e realmente, un triplice mondo:


tra l’universo che può essere colto dalla pura percezione intellettuale (l’universo
delle intelligenze cherubiniche) e l’universo percepibile mediante i sensi, esiste un
mondo intermedio, quello delle Idee-Immagini, delle Figure-archetipi, dei corpi
sottili, della “materia immateriale” […]; universo intermedio “in cui lo spirituale
prende corpo e il corpo diviene spirituale” (Henry Corbin; L’immaginazione crea-
trice. Le radici del sufismo, p. 6).

E perciò dicevano i Platonici che le vere forme, per natura, sono nell’anima del
mondo prima che nelle cose, per una priorità di natura, non di tempo (Nicola Cusa-
no; La dotta ignoranza, II, IX, p. 136).

E come nello Spirito le Idee intellettuali erano veicolate da shakti angeliche,


qui nell’Anima le Forme immaginali sono veicolate da shakti demoniche [non si
pensi ai diavoli; i daimon (Demoni-anima) sono figure tradizionali, intermediari
tra il mondo divino ed angelico e quello della natura e dell’uomo, ed indicano
sempre degli archetipi o “modelli logici” per spiegare la generazione del reale].
Vi è quindi il Ritorno, attraverso lo “Specchio-Limite” dell’Identità: la shakti
angelica si vede finalmente in atto, prende consapevolezza di sé come soggetto:

Ciò che l’anima mostra […] a se stessa è […] la sua propria immagine (Henry Cor-
bin; Corpo spirituale e Terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, p. 95).

Il soggetto in questo caso è la Monade, un essere particolare, quella che nella


tradizione indù viene conosciuta come Ahamkâra (“ciò che fa l’Io”). Questa
Ahamkâra è chiamata anche “coscienza individuale”; però noi non utilizzeremo
tale termine, perché, se da un lato è vero che il nostro “Io” scaturisce senz’altro
da una Monade, dall’altro non tutte le Monadi si manifestano nel nostro Cosmo

96
fisico sotto forma di coscienze individuali. Come abbiamo detto sopra, si tratta
di potenze cosmogoniche. Valutare le Monadi solo per il loro apporto ontologico
all’essere umano è un approccio alquanto riduzionista ed antropocentrico. A che
cosa ci stiamo riferendo si capirà meglio in seguito.
Nel sistema Sânkhya, Ahamkâra (la Monade) produce le Forme immaginali,
che qui sono chiamate tanmâtra o “elementi essenziali sottili”:

Dopo la coscienza individuale (ahankâra), l’enumerazione dei tattwa del Sânkhya


comprende, nello stesso gruppo delle «produzioni produttive», i cinque tanmâtra,
determinazioni elementari sottili, dunque incorporee e non percettibili esteriormen-
te; i tanmâtra sono i princìpi rispettivi da cui derivano direttamente i cinque bhûta
o elementi corporei e sensibili […]. La parola tanmâtra indica letteralmente
un’«assegnazione» (mâtra, «misura, determinazione») che delimita l’ambito pro-
prio di una data qualità nell’Esistenza universale […]. Diremo soltanto che i cinque
tanmâtra sono chiamati di solito con i nomi delle qualità sensibili: auditiva o sono-
ra, tangibile, visibile (rûpa, nel duplice significato di «forma» e di «colore»), sapi-
da, olfattiva (René Guénon; L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 63).

La Monade, essendo uni-forme, è già una realtà formale. Però lo è nel senso
principiale. L’Identità è infatti il principio della Diversità, proprio come l’Unità
lo era della Molteplicità e come, nella Manifestazione fisica, l’Immutabilità lo è
del Movimento. Ecco il nostro schema aggiornato dei Livelli del Reale:
[0] Assoluto, incondizionato;
[A] Infinito positivo, condizionato solo dalla Relazione;
[B] Spirito universale, condizionato da Relazione e Quantità;
[C] Anima universale, condizionata da Relazione, Quantità e Qualità.

97
24. L’ANIMA UNIVERSALE GENERA
INFINITI COSMI FISICI [D]

OAC = «Orientamenti
auto-Contemplativi» o B] Spirito
«Piani di riflessione» universale

C] Anima
universale
Anime particolari

stesso stesso
O Ac O Ac

Cosmo n – 1 Cosmo n Cosmo n + 1

D] Manifestazione fisica (insieme degli infiniti Cosmi)

Prima di approfondire la modalità di generazione di un singolo Cosmo fisico,


analizziamo la relazione intercorrente fra l’Anima universale (terzo Livello della
Realtà condizionata) e la Manifestazione fisica considerata nella sua totalità.
Iniziamo con qualche definizione. Denominiamo “Cosmo fisico” quello che
normalmente viene chiamato “Universo”, ovverosia l’insieme delle galassie e di
tutti i corpi celesti nati - secondo alcune teorie scientifiche - da un Big Bang.
Nella filosofia delle Corrispondenze universali, il nostro è soltanto uno degli
infiniti Cosmi. L’insieme di tutti Cosmi costituisce la Manifestazione fisica [D],
quarto Piano della Realtà condizionata, determinato dall’aggiunta di un’ulteriore
Condizione limitante: lo Spazio-Tempo. A volte si parla di infiniti “Mondi”; ma
non si intendono, quindi, i vari pianeti o i sistemi stellari del nostro Universo,
ma bensì proprio infiniti Universi esistenti oltre al nostro.
L’Essere-Spirito universale contempla se medesimo da un’infinita pluralità di
“Orientamenti auto-Contemplativi”, OAC (Angeli-spirito), ciascuno dei quali si
afferma come Monade-Anima particolare. A sua volta, ciascuna Monade-Anima

98
proietta se stessa in infiniti OAC (Demoni-anima). Qui, però, la cosa si complica,
poiché le Monadi sono infinite. Abbiamo quindi infinite Monadi che producono
infiniti Demoni. Ebbene, i Demoni nati dal medesimo OAC di tutte le Monadi
generano, insieme, uno stesso Cosmo fisico. Vi è un Cosmo per ogni diverso
OAC. Ciascun Cosmo, quindi, viene generato da tutte le infinite Monadi-Anime,
ciascuna delle quali contribuisce con una singola proiezione. Parimenti ciascuna
Anima sarà presente con una propria proiezione in tutti i singoli Cosmi. Si veda
l’immagine (nella quale ovviamente le Anime e i Cosmi sono da considerarsi
entrambi in quantità infinita):

«[…] Mondi inimmaginabili che sono oltre la sfera dell’uomo […]. Io sto parlando
di mondi come quello in cui viviamo: mondi totali, con infiniti regni». «Dove si
trovano quei mondi, don Juan? Nelle posizioni diverse del punto di unione?».
«Esatto […]» (Carlos Castaneda; L’arte di sognare, p. 91).

La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi (Corano I, 2).

L’universo è soltanto visione o conoscenza, in qualunque modo si attui, e la sua


realtà è Dio: i mondi sono dei tessuti di visioni (Frithjof Schuon; L’Occhio del
Cuore, p. 15).

Che cosa differenzia i Cosmi fisici? Essendo stati generati da differenti OAC,
ossia da Demoni-anima formalmente diversi, i vari Cosmi sono incompatibili fra
loro, in quanto formati ciascuno da un insieme dei compossibili, ossia di possibili
fra loro compatibili:

Se […] si considera ciò che potremmo chiamare un mondo […], ossia l’intero am-
bito costituito da un dato insieme di compossibili che si realizzano nella manifesta-
zione, tali compossibili dovranno essere tutti i possibili che soddisfano determinate
condizioni, le quali caratterizzeranno e definiranno con precisione il mondo in que-
stione […]. Gli altri possibili, che non sono determinati dalle medesime condizioni
e pertanto non possono far parte dello stesso mondo, evidentemente non sono per
questo meno realizzabili, anche se, beninteso, ciascuno secondo il modo che con-
viene alla sua natura (René Guénon; Gli stati molteplici dell’essere, pp. 30-31).

Ogni Cosmo è indipendente, non comunica con altri Cosmi. […]. Ma ciò non vuol
dire che il Cosmo sia isolato dall’Assoluto; è nell’Assoluto e l’Assoluto è nel Co-
smo (Cerchio Firenze 77; Dai mondi invisibili. Incontri e colloqui, p. 230).

Quando parliamo di infiniti Cosmi, lo si sarà compreso, non ci riferiamo alla


teoria del Multiverso del fisico statunitense Hugh Everett, il quale ipotizza che
ogni evento in ogni istante si dirami, per così dire, in tutte le possibili direzioni,
moltiplicando ogni volta l’universo in infiniti universi paralleli fra loro simili.
La nostra concezione è piuttosto simile all’ipotesi olografica. Vediamola.

99
L’ologramma è molto semplicemente una tecnica fotografica che, basandosi
su particolari interferenze dei raggi laser, permette poi di riprodurre sotto forma
di immagini tridimensionali ciò che è stato impresso nella pellicola. Tale tecnica
presenta alcune caratteristiche molto interessanti:

1. Se la pellicola viene spezzettata, ogni suo singolo pezzetto riproduce l’intera


immagine di partenza (anche se ovviamente di qualità più scadente).

2. Una unica pellicola può accogliere molteplici informazioni. Infatti, variando


l’angolo del raggio laser è possibile imprimere sulla superficie già utilizzata
un’altra immagine e un’altra ancora; una per ogni nuova angolazione. Poi per
recuperare le successive immagini che vi sono state impresse sarà sufficiente
illuminare la pellicola dall’angolazione corrispondente.

David Bohm, uno dei più grandi fisici del ‘900, avanzò una teoria secondo la
quale il cosmo sarebbe una sorta di “ologramma” in cui vi è un ordine implicito,
profondo, nascosto (corrispettivo della pellicola olografica), il quale si manifesta
esteriormente nell’ordine esplicito, ossia apparente (l’immagine tridimensionale
olografica). Nonostante i suoi indiscussi meriti nel campo della fisica quantistica
in tal caso la comunità scientifica non lo prese molto sul serio, anche perché non
riuscì a dare una formulazione matematica alla sua teoria. Ma giacché non si può
spiegare tutto con la matematica, la sua ipotesi potrebbe avere un senso. Ecco, le
Anime (ordine implicito) guardano o pensano se stesse da diverse “angolazioni”,
ed ogni angolazione corrisponde a un singolo Cosmo fisico (ordine esplicito). La
Manifestazione fisica è prodotta e dipende totalmente dall’Anima, proprio come
l’immagine olografica dipende dalla pellicola impressa:

L’illustre fisico David Bohm propose un modello che raffigura l’universo come un
vasto movimento olografico; il mondo noto e apparentemente stabile appare come
una specie di illusione, al pari di un’immagine olografica. Bohm chiamò questa
realtà manifesta ordine sviluppato o esplicato. L’ordine manifesto e all’apparenza
consistente cela e dà vita a un altro principio più profondo, l’ordine implicato o in-
viluppato, dove ogni cosa è ripiegata, racchiusa in ogni cosa. La totalità dell’uni-
verso è il risultato dell’infinito sviluppo e inviluppo di questi ordini e ricorda le fasi
di espirazione e inspirazione (Malcolm Godwin; Il sognatore lucido, p. 190).

La conclusione alla quale giustamente Bohm giunge è che nell’Universo non


vi sono parti separate, poiché ogni cosa è in ogni cosa, Tutto è Uno e Tutto è in
Tutto; la Realtà fisica è una totalità indivisa che egli chiama “olomovimento”, e
non è un insieme di cose separate, ma di subtotalità relativamente indipendenti:

Quasi tutte le tradizioni mistiche insistono sulla natura illusoria del mondo quoti-
diano, sull’unità e la totalità di tutte le cose e sull’ininterrotto eterno presente di tut-
to e di ogni cosa. I sufi islamici sono a lungo ricorsi allo schema mistico della croce

100
per esprimere certi concetti. L’asse orizzontale denota il mondo del tempo e dello
spazio, della posizione e della sostanza apparente esistenti su una linea tra passato e
futuro. Il tutto può essere visto come l’ordine esplicato dell’universo. La parte ver-
ticale della croce che taglia in due il piano lineare in questo momento rappresenta
l’ordine implicato perenne e senza tempo. Rimanendo sulla soglia dei due ordini, ci
si trova nell’eterno momento presente, e si assiste all’infinita processione dell’ordi-
ne esplicato che dal passato entra nel futuro. A questo punto la pura coscienza os-
serva il mondo virtuale delle illusioni senza identificarsi con esso (Malcolm God-
win; Il sognatore lucido, pp. 190-191).

101
25. L’ANIMA DEL COSMO ED
I “DEMONI DEGLI ASTRI” [D-I]

I Demoni-anima possono essere chiamati anche Geni, Destini, Numi o Anime


(ma noi eviteremo quest’ultima denominazione, per evitare confusioni). Si tratta
in pratica di intelligenze formali che rappresentano gli archetipi delle Possibilità
spazio-temporali - cioè delle Possibilità che si manifesteranno nella realtà fisica.
Abbiamo visto che i Demoni-anima generati da un medesimo “Orientamento
auto-Contemplativo” (OAC) di tutte le Monadi particolari producono un singolo
Cosmo fisico. Nel loro insieme, questi Demoni costituiscono l’Anima di quel tal
Cosmo. Dunque, ciascun Cosmo è da considerarsi come un organismo unitario
dotato di una propria Anima, la quale ne rappresenta la Causa e il Fondamento.
Ecco un altro significato del termine “Anima”: si tratta dell’Anima mundi di cui
parlavano gli Antichi (che non va confusa con la più elevata Anima universale,
l’ipostasi, che è invece l’insieme di tutte le Anime particolari). Non vi è una sola
Anima mundi, ma bensì una per ogni singolo Cosmo. Il Cosmo fisico è quindi un
essere vivo, animato, consapevole; “Tutto è pieno di dèi”, dice Talete da Mileto.

Così dunque, secondo un ragionamento verosimile dobbiamo dire che questo mon-
do è un essere vivente dotato di anima, di intelligenza (Platone; Timeo 30b).

Anzitutto si deve ammettere che questo universo è un vivente unitario che contiene
tutti gli esseri viventi che sono in esso, e possiede un’anima unica che si diffonde in
tutte le sue parti (Plotino; Enneadi, IV, 4, 32).

Un’anima ricolma di intelletto e di Dio riempie interamente e circonda interamente


questo corpo in cui sono contenuti tutti i corpi. E vivifica tutto: all’esterno, il mon-
do, questo grande e perfetto essere vivente; all’interno, tutti gli esseri viventi (Cor-
pus Hermeticum, XI, 4, pp. 195-197).

[…] in un qualsiasi […] luogo dell’Universo, un mondo interiore sottende inevita-


bilmente, punto per punto, l’esterno delle cose (Pierre Teilhard de Chardin; Il Fe-
nomeno umano, p. 67).

[Georges Ivanovič Gurdjieff]: Dovete ricordare che non vi è niente di inanimato o


di morto nella natura. Ogni cosa è vivente, intelligente e cosciente a modo suo; sol-
tanto, codesta coscienza e codesta intelligenza si esprimono secondo differenti mo-
dalità, sui diversi piani dell’essere (Piotr Demianovich Ouspensky; Frammenti di
un insegnamento sconosciuto, p. 351).

Ciascun Cosmo sarà quindi generato e contenuto nella propria Anima mundi.
Nulla possiamo conoscere riguardo gli altri mondi giacché, come abbiamo detto,
manifestano le Possibilità formali diverse ed incompatibili con quelle del nostro.
Ricollegandoci al simbolismo dell’ologramma, diciamo che essi scaturiscono da

102
una angolazione contemplativa differente da quella in cui siamo noi. Sappiamo
solo che anch’essi esistono in un loro peculiare Spazio-Tempo.

***

I molteplici Angeli-spirito, ormai lo sappiamo, non sono qualitativamente ma


solo quantitativamente separati, quindi - pur manifestando Possibilità diverse ed
essendo distinguibili nei loro effetti - sono di fatto “la stessa cosa”. Ciascuno di
essi, infatti, è anche il Tutto.
Non possiamo dire lo stesso dei Demoni-anima, i quali sono invece soggetti
alla condizione della Qualità, e possiedono quindi una propria forma distintiva.
Anche i Demoni generati da un medesimo OAC sono comunque fra loro diversi.
Li possiamo distinguere, in base alla loro natura e funzione, in quattro ordini;
qui ci occuperemo però soltanto del primo ordine, il quale è anche il più potente.
Si tratta dei Demoni degli Astri (o “astrali”), che indicheremo con la sigla D-I.
Se osserviamo una qualsiasi fotografia dello spazio astronomico non vediamo
certo esseri umani, ma satelliti, pianeti, stelle, buchi neri, galassie, ammassi di
galassie, nebulose ecc. Ecco, con il termine “Astri” non indichiamo solo le stelle
e i pianeti, ma genericamente tutti i corpi celesti. Sono loro gli “esseri primari”, i
“protagonisti” del Cosmo fisico… noi veniamo dopo:

Nell’ordine della creazione l’esistenza dei pianeti deve precedere quella degli esseri
viventi che vivono su di essi […]. Sono i primi stadi del mondo percettibile, ancora
vicini alla divinità da cui sono scaturiti e si presentano, nell’ottica umana, come le
forme stesse del divino […]. «I pianeti possiedono una coscienza, hanno un potere
d’azione. Essi hanno spiriti che li guidano e ai quali obbediscono […]» [Karapātri
Shrī Vishnu tattva] (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del pantheon
induista, p. 194).

Tutti gli Astri sono ovviamente costituiti di Materia fisica, ma la Materia è il


pensiero oggettivo (in tal caso inconsapevole, come vedremo in seguito) dei D-I.
Anche questi ultimi tentano di auto-contemplarsi, e ciò che da essi procede è la
massa, ossia la Materia. Questo significa che essi sono il loro stesso pensiero.
Cerchiamo di spiegarci meglio: gli Astri sono soggetti alla Condizione dello
Spazio-Tempo, ma non, come noi esseri organici, alla Corporeità. Noi abbiamo
un corpo, ma non lo abbiamo creato noi, e ne abbiamo solo in piccolissima parte
il controllo. Gli Astri, invece, sono propriamente il loro corpo, che da loro stessi
hanno generato per manifestarsi nella Realtà fisica. Si pensi che gli Antichi non
facevano differenza fra il Demone astrale e la sua manifestazione, ossia l’Astro
visibile; infatti, chiamavano gli Astri anche “Dèi visibili”:

Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome (Libro dei Salmi. Sal-
mo 147, 4).

103
[…] gli europei […] hanno l’abitudine di separare mentalmente le forme sensibili
dai loro archetipi «sovrannaturali» […]. [Invece]* La cosmologia tradizionale non
fa differenza esplicita tra i cieli planetari nella loro realtà corporale e visibile e ciò
che loro corrisponde nell’ordine sottile, poiché il simbolo s’identifica essenzial-
mente con l’oggetto simbolizzato (Titus Burckhardt; La chiave spirituale dell’a-
strologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ’Arabî, pp. 19 e 18). *N.d.A.

[…] riguardo al mondo sensibile, i pianeti sino alla luna sono dei [Demoni degli
Astri]*, dei visibili [Astri]* di secondo grado che vengono dopo gli dei intelligibili
[Angeli-spirito]*, sono conformi ad essi e da essi dipendono come lo splendore che
circonda ogni stella (Plotino; Enneadi, III, 5, 6). *N.d.A.

Ebbene, ogni anima viene dal Padre intelligibile. E le anime [i Demoni-anima]*


degli astri sono intelligenti, buone, e più delle nostre a stretto contatto con gli Intel-
ligibili [gli Angeli-spirito]*. Come potrebbe esistere il nostro mondo se lo si ta-
gliasse fuori dal mondo intelligibile? (Plotino; Enneadi, II, 9, 16). *N.d.A.

È irragionevole, dice Agrippa [De occulta philosophia, II, 56], supporre che le stel-
le […] debbano essere prive di vita e di animazione; anche la terra è viva […].
Spingendosi ben più oltre dei ragionamenti «puramente matematici» attraverso i
quali Copernico aveva formulato l’ipotesi del movimento terrestre, [Giordano] Bru-
no si è reso conto che tale visione convalida le concezioni di Ermete Trismegisto e
di Cornelio Agrippa o, in altre parole, la filosofia magica dell’animazione universa-
le (Frances A. Yates; Giordano Bruno e la tradizione ermetica, pp. 268-269).

Da parte di antichi pensatori, vissuti in remotissime età, è stato tramandato ai poste-


ri sotto forme mitiche che questi corpi celesti sono dèi e che la divinità contiene in
sé l’intera natura [Aristotele; Metafisica, XII (Ʌ), 8,1074 b].

[…] mi pare che i primi uomini che abitavano in Grecia considerassero dèi soltanto
quelli che ora anche molti barbari stimano tali, e cioè il sole, la luna, la terra, gli
astri e il cielo (Platone; Cratilo, 397 c-d).

104
26. FINALMENTE… LA “MATERIA” FISICA
Occupiamoci ora della modalità di generazione di un singolo Cosmo fisico.
Lo schema qui descritto è valido per un qualsiasi Cosmo, e quindi per l’intera
Manifestazione fisica - la quale altro non è che l’insieme degli indefiniti Cosmi
[l’unico essere dello Spirito è lo Spirito stesso; gli esseri dell’Anima universale
sono le Anime particolari; gli esseri della Manifestazione fisica sono i Cosmi]:

Anima Monadi CONDIZIONE


[C] particolari AGGIUNTA:
Spazio-
Tempo
Demoni degli
Astri [D-I] nati dal
medesimo OAC
Realtà sovra-fisica
P R
Realtà fisica,
spazio-temporale

Shakti dei D-I


[Etere possibile,
Immutabilità,
Tempo puro]

GL

AD p

ESSENZA [x]
Prâna-logos SOSTANZA, Movimento locale
«produttore» ILLIMITE [y]: [y-x]: Materia fisica
Istantaneità, [Terra], Mondo
Spazio puro dei fenomeni

105
Seguiamo l’immagine. In alto a sinistra, quale “fondamento ontologico” vi è
l’Anima universale e - alla sua destra - tutte le Monadi particolari (o Ahamkâra),
oggetti della Contemplazione passiva (x) delle shakti dei Demoni astrali (D-I),
ma solo di quelle generate da un medesimo “Orientamento auto-Contemplativo”
(OAC) delle Monadi, uno tra gli infiniti possibili. I D-I qui raffigurati fanno parte
quindi dell’Anima mundi del particolare Cosmo preso in esame nello schema. La
Condizione limitante che si aggiunge alle altre tre (Relazione, Quantità, Qualità)
nel nuovo Livello ontologico del reale è lo Spazio-Tempo.
Anche le shakti dei D-I, come già - nei Livelli superiori - la Shakti divina e le
shakti angeliche, vogliono conoscere se stesse, quindi generano il Logos, ossia la
facoltà pensante tramite la quale far procedere un Oggetto con cui identificarsi.
In tal caso però, il Logos non è più intero e unitario com’era l’Âtmâ nello Spirito
universale o il Jîvâtmâ in una singola Anima particolare, ma bensì frammentato,
in quanto proveniente da molteplici Demoni. Lo chiamiamo “Prâna”. È questo
il principio limitante (x), l’Immutabilità nel puro Tempo in assenza di Spazio,
cioè la Singolarità iniziale, che agisce sullo specchio-illimite (y), che al contrario
è Simultaneità istantanea, cioè puro Spazio in assenza di Tempo, corrispondente
alla Morte termica del Cosmo (ne abbiamo accennato nel capitolo n°2).
Il risultato della loro interazione, cioè l’oggetto pensato, il Limitato (y-x), è la
Materia fisica, soggetta al Movimento locale nello Spazio-Tempo. Lo Spazio (y)
permette al Tempo (x) di scorrere mediante il Movimento (y-x), e a ciascun ente
di esistere in un “Tempo proprio” - esattamente come la Quantità continua (y)
permetteva all’Unità indivisa universale (x) di riprodursi in una pluralità di unità
particolari nella Molteplicità numerica (y-x). Vi è infatti…

Un tempo diverso per ogni punto dello spazio […]. Ogni fenomeno che accade ha il
suo tempo proprio […]. Non descriviamo come il mondo evolve nel tempo: descri-
viamo le cose evolvere in tempi locali e i tempi locali evolvere uno rispetto
all’altro (Carlo Rovelli; L’ordine del tempo, p. 24-25).

In altri termini, il puro Spazio è una sorta di grembo materno che accoglie in
sé le Possibilità comprese nel puro Tempo (o “Etere possibile”), e ne permette la
manifestazione:

William Blake identificava il principio maschile con il tempo e quello femminile


con lo spazio: dalla loro compenetrazione scaturisce una complessa serie di eventi
particolari (Alexander Roob; Alchimia e mistica, p. 25).

A dire il vero, più che di “Materia” (termine che, inteso come lo concepiamo
noi contemporanei, dà l’idea di entità sostanziale) sarebbe preferibile parlare di
processi, eventi, fenomeni in divenire. Nella realtà fisica non vi sono enti statici,
ma solo forme soggette al mutamento in relazione fra loro. È questo il simbolico
mondo sub-lunare di cui parla Aristotele, soggetto a generazione e corruzione:

106
Il mondo sublunare è caratterizzato da tutte quante le forme di mutamento, fra le
quali predominano la generazione e la corruzione (Giovanni Reale; Storia della fi-
losofia antica, Vol. II, p. 463).

[…] il mondo [fisico]* non è fatto di entità, è fatto di accadimenti che si combinano
[…]. Siamo processi, accadimenti, compositi e limitati nello spazio e nel tempo
(Carlo Rovelli; L’ordine del tempo, pp. 147-149). *N.d.A.

La teoria dei quanti ha […] distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che
si muovono lungo traiettorie definite, senza chiarire come dobbiamo invece pensare
il mondo. La sua matematica non descrive la realtà, non ci dice «cosa c’è». Oggetti
lontani sembrano connessi fra loro magicamente. La materia è rimpiazzata da fan-
tomatiche onde di probabilità […]. Se la stranezza della teoria ci confonde, ci apre
anche prospettive nuove per capire la realtà. Una realtà più sottile di quella del ma-
terialismo semplicistico delle particelle nello spazio. Una realtà fatta di relazioni,
prima che di oggetti (Carlo Rovelli; Helgoland, pp. 12-13).

Quella che chiamiamo genericamente Materia, dunque, consiste nel pensiero


oggettivo (il pensato) dei Demoni degli Astri:
Questo ci porterà a considerare il vero mistero […] delle entità microscopiche, il
cui comportamento sembra essere molto più simile a quello dei concetti astratti
umani che agli oggetti concreti della nostra realtà quotidiana (Massimiliano Sassoli
de Bianchi; Effetto Osservatore. Il mistero quantistico demistificato, p. 12).

Ma questo riguarda non soltanto la Materia sensibile, soggetta all’interazione


elettromagnetica, ma tutte le entità dotate di massa; vi è compresa quindi anche
la Materia oscura, nel Cosmo circa 5 volte più abbondante di quella sensibile.

***

Nel simbolismo geocentrico delle Sfere celesti, i D-I ineriscono al Cielo di


Saturno (il più distante dei 7 pianeti), la Settima Sfera, e, nell’enumerazione dei
Cori angelici, all’ordine dei Troni (per noi, infatti, soltanto Serafini e Cherubini
sono Angeli-spirito, mentre gli altri 7 ordini, essendo sottomessi alla Condizione
della Qualità formale, sono Demoni-anima). La Materia (cioè il mondo minerale
ed inorganico), prodotta da Saturno, è invece simbolizzata da uno dei 4 elementi
naturali… la Terra:

[…] Saturno […] è il più elevato, nobile e degno di tutti i pianeti […], perché è nel-
la sua natura portare a compimento l’esistenza materiale (Yochanan ben Yitzchaq
Alemanno. Citazione tratta da: Moshe Idel; Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e
sabbatianesimo, p. 40).

107
In vari testi si tratta di un aspetto della corrispondenza di Saturno all’elemento terra
(Moshe Idel; Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e sabbatianesimo, p. 180).

C’è un’altra corrispondenza di cui tener conto: nella mitologia greca, Saturno
corrisponde al dio Crono, il Tempo (ossia, nel nostro linguaggio, l’Immutabilità
nel puro Tempo o l’Etere), mentre suo padre, Urano, è il Cielo stellato (l’Ottava
Sfera, quella delle Stelle fisse, il Firmamento, il Mondo immaginale delle Forme
animiche). Infine, Giove/Zeus, figlio di Crono, incarna il principio razionale che
regge e governa la Manifestazione fisica sviluppata e compiuta:

Ed infatti il grandissimo Crono dall’alto […] sovrintende all’attività demiurgica


universale. Ecco perché, in Orfeo, Zeus lo chiama “demone”: «sii guida alla pro-
sperità della nostra stirpe, glorioso demone» (Proclo; Commento al Cratilo di Pla-
tone, LXIII, pp. 329-331).

Saturno è il nome romano di Crono […]. Questo grande e lento pianeta, tanto temu-
to e terrifico nella tradizione astrologica e popolare, costituisce il legame tra il
Principio mortale, la sostanza-materia e il Principio immortale, cioè lo Spirito.
Questi due princìpi sono fusi nell’ideogramma di Saturno: vi è la croce (tempo e
materia) che condiziona tutte le manifestazioni, e l’iperbole simbolo di tensione
verso la ricettività illimitata (Roberto Sicuteri; Astrologia e mito. Simboli e miti del-
lo Zodiaco nella Psicologia del Profondo, p. 171).

Nell’ordinamento astronomico Urano è il cielo delle stelle fisse, la zona estrema


dello spazio stellare; segue Saturno, il settimo pianeta, il più remoto dalla Terra,
quindi Giove. Tale serie planetaria riproduce lo schema della successione dei so-
vrani celesti, narrata nelle cosmogonie […]. Crono-Saturno ha mantenuto il suo
ruolo di preminenza tra i pianeti: essendo il più lontano dalla terra è il più prossimo
al cielo delle stelle fisse e alla residenza del divino. Soprattutto, Crono-Saturno è
dio fecondante, è il dio dotato di forza generativa […]. Kronos/Chronos/Saturno è
l’auctor temporum, fondatore del mondo […]: prima della castrazione di Urano
non esisteva il tempo, perché esso è una misura fissa derivata dalla rivoluzione del
cielo (Laura Simonini; Commento a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, pp. 164-165).

Affinché sia possibile il passaggio da un Livello del reale a quello successivo


ciascun figlio deve “detronizzare” il proprio padre, ovvero fare in modo che le
Possibilità in esso celate possano manifestarsi. Crono evira e sconfigge Urano,
che impediva ai propri figli di venire alla luce trattenendoli all’interno del ventre
di Gea (nel Mondo immaginale), opponendosi al loro affrancamento ed alla loro
esistenziazione. A sua volta, Zeus sconfigge Crono - che aveva divorato i propri
figli alla nascita - e libera i fratelli (le Possibilità spazio-temporali), dando così
inizio alla “rivoluzione del cielo”, ovverosia permettendo lo scorrere del Tempo
(prima fermo e immutabile in Crono), quindi il Movimento locale, il mutamento,
il divenire, la Realtà fisica.

108
Ma torniamo all’immagine: abbiamo visto come, nei cicli auto-contemplativi
dello Spirito universale e dell’Anima particolare, alla Processione dell’oggetto
segua sempre il Ritorno al soggetto, ovverosia la presa di consapevolezza della
propria essenza. Ebbene, in tal caso non vi è il Ritorno. Il processo si ferma qui.
La Materia è incapace, da sola, di contemplare passivamente la propria Fonte ed
Essenza. I troppi condizionamenti ai quali è soggetta la rendono inconsapevole:

Se l’essenza della mente e della materia è il kunzhi [= fondamento indeterminato e


consapevole di tutto ciò che esiste; corrisponde grosso modo a quello che per noi è
l’Assoluto, cioè la Pura Coscienza. N.d.A.], allora perché la materia manca di co-
scienza? […]. Gli manca […] la capacità di riflettere che è propria della coscienza
innata (Tenzin Wangyal Rinpoche; Lo yoga tibetano del sogno e del sonno, p. 187).

Quindi, la Materia ed i fenomeni sensibili sono il pensiero dei Demoni astrali.


Si tratta però di un pensiero inconsapevole, una sorta di sogno:

La materia sensibile deriva dalla sua causa come possibilità ultima, ossia come
estrema tappa di quel processo in cui l’impulso a creare e la forza di produrre si in-
deboliscono fino ad esaurirsi completamente (Giovanni Reale; Storia della filosofia
antica, Vol. IV, p. 561).

È questo il termine della Processione universale. Dall’Assoluto, passando per


lo Spirito e per l’Anima, siamo giunti infine alla realtà materiale, con la quale
sembra esaurirsi la spinta dell’Auto-Contemplazione generatrice. Ma è proprio
così? Certo che no! Abbiamo forse dimenticato che nell’Anima del Cosmo vi
sono, oltre ai Demoni degli Astri, altri tre ordini demonici? [Ne parleremo].
Ecco, sarà proprio grazie all’intervento di questi Demoni che dalla Materia
scaturirà la Natura vivente [E], cioè il mondo degli esseri organici e dell’uomo,
ultimo Livello della Realtà condizionata, che è immanente alla Manifestazione
fisica [D], la quale è immanente all’Anima universale [C], la quale è immanente
allo Spirito [B], il quale è immanente all’Infinito positivo [A]:

Plotino cerca di determinare le ragioni di questa mancanza di ogni spessore ontolo-


gico proprio della materia. Essa è prodotta dall’Anima, non dall’Anima suprema,
che è interamente affisa nella contemplazione, ma dal lembo estremo dell’Anima
dell’universo [dai Demoni astrali dell’Anima del Cosmo]*, in cui la contemplazio-
ne si affievolisce […]. L’Anima superiore [universale]* contempla, e da questa
contemplazione scaturisce la forza creatrice dell’Anima cosmica. Orbene, questa
forza creatrice, in realtà, non è che contemplazione illanguidita […]. E così la ma-
teria, prodotto di quest’attività che è languida contemplazione, non ha più la forza
di volgersi verso chi l’ha generata e di contemplare a sua volta, tanto che tocca alla
stessa Anima sorreggerla, per così dire, e quindi ordinarla, informarla, tenerla, in
qualche modo, appesa all’essere (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol.
IV, pp. 563-564). *N.d.A.

109
Non dimentichiamo inoltre che la Realtà è indivisa (siamo stati noi ad averla
distinta in entità e Livelli molteplici per potercela rendere intelligibile), quindi in
un certo senso nella Materia sensibile c’è tutto (l’Infinito, lo Spirito e l’Anima),
ed è quindi tutt’altro che inerte, giacché è proprio da essa che si sviluppa la Vita.
Spieghiamoci meglio: la Materia, ultimo prodotto della processione, incapace
di generare il Logos da sola, è ontologicamente infima solo se considerata in se
stessa, indipendentemente da tutto il resto. Però, in quanto aspetto dell’Assoluto
indiviso, essa è l’Assoluto. La Mâyâ non è altro dal Brahman:

Shankara fu criticato per le sue opinioni su maya senza essere compreso. Egli disse
che: 1) Brahman è reale, 2) l’universo è irreale, 3) l’universo è Brahman. Non si
fermò al secondo, perché il terzo spiega gli altri due. Ciò significa che l’universo è
reale se è percepito come il Sé, ed è irreale se viene percepito come separato dal Sé.
Perciò maya e la realtà sono la stessa cosa (David Godman; Sii ciò che sei. Ramana
Maharshi e il suo insegnamento, p. 221).

Nell’universo c’è un’indescrivibile e meravigliosa varietà di potenze; ed è così an-


che nelle stelle che vanno errando nei cieli. Il mondo non dovette trasformarsi in
cosmo allo stesso modo di una casa inanimata, la quale, per quanto sia grandiosa e
vasta, è pur sempre formata di materiali che si possono enumerare per specie, come
pietre e legnami […]. No, esso è desto in se stesso in ogni sua parte e vive in mol-
teplici forme e non può esserci cosa che esso non possieda. E […] siamo noi che
neghiamo la vita a ciò che non si muove coscientemente per se stesso: ogni cosa
vive una sua vita segreta ed anche ciò che vive coscientemente è formato di parti
che non vivono coscientemente e tuttavia apportano meravigliose potenze di vita a
un organismo così strutturato […]. Anche l’universo crea senza bisogno di una de-
cisione, poiché esso è anteriore ad ogni decisione (Plotino; Enneadi, IV, 4, 36).

110
27. L’ETERE [O QUINTESSENZA] E IL PRÂNA
I “veri esseri”, gli “organismi” della Manifestazione fisica sono i Cosmi; ed è
della loro vita considerata nel suo ciclo completo che dovremo occuparci, più
che non di quella dei singoli Astri che, a ben vedere, ne sono solo le “membra”.
Utilizzando dei termini tradizionali, abbiamo denominato “Etere” la shakti
demonica dalla quale si produce un Cosmo fisico, e “Prâna” il Logos pensante e
creante da essa generato. Dobbiamo giustificare queste scelte terminologiche.
Nel 1887 i fisici statunitensi Michelson e Morley condussero un esperimento
per verificare l’esistenza o meno di un mezzo di propagazione della luce. Come
le onde marine si propagano nell’acqua e quelle acustiche nell’aria, pensavano,
così anche le onde elettromagnetiche dovrebbero propagarsi in un mezzo che,
riesumando un termine usato dagli Antichi, era stato chiamato “etere lumifero”.
Non lo trovarono… quindi arrivarono alla conclusione che l’etere non esiste!
L’Etere degli Antichi, però, è tutt’altra cosa, e non può essere rilevato con
metodi empirici, giacché trascende il mondo esperibile, ossia gli altri 4 elementi,
che da esso procedono. Non è una sostanza materiale, essendo simile piuttosto a
una “Mente” che pervade tutto lo Spazio-Tempo, ed il cui pensiero si manifesta
esteriormente come Materia e Vita. Pensiamo a come Aristotele simbolicamente
distingue il mondo sub-lunare (la Terra, ossia la realtà naturale) dalle Sette Sfere
planetarie, che considera composte da Etere e chiama, non a caso, “intelligenze”
motrici. Ne parla Corbin riguardo la cosmologia di Avicenna:

[…] vi è il «clima» della Materia terrestre sublunare, quello della nostra Terra ma-
teriale, soggetto alla generazione e alla dissoluzione; e vi è il «clima» della Materia
celeste, quello delle Sfere costituite d’una sostanza eterica, diafana e incorruttibile,
ma che tuttavia rientra ancora nella fisica (Henry Corbin; Corpo spirituale e Terra
celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, p. 94).

Pur senza arrivare a tanto, lo stesso Einstein ammise che l’Etere non poteva
essere una realtà materiale:

[…] nel 1905 ero del parere che non fosse più possibile parlare di etere in fisica.
[…] questa opinione era troppo radicale […]. Tuttavia non è permesso attribuire a
questo mezzo uno stato di movimento in ogni punto in analogia con la materia
ponderabile. Questo etere non può essere concepito come consistente di particelle
che possono essere seguite individualmente nel tempo (Albert Einstein, 1920. Cita-
zione tratta da: Ludwik Kostro; Einstein e l’etere. Relatività e teoria del campo
unificato, p. 110).

111
L’Etere è - in un Cosmo fisico - il principio ontologico dello Spazio-Tempo,
proprio come il Sovra-Essere è nell’Infinito positivo il principio della Relazione,
e come l’Essere nello Spirito è l’Unità (ovvero il principio intero e indiviso della
Quantità numerica), e come le Monadi nelle Anime particolari sono l’Identità
(ossia il principio indistinto, onniforme ed uniforme della Qualità formale).
L’Etere “eredita” tutte le componenti x (Limite-Essenza-Logos) della Triade
metafisica, quindi le sue caratteristiche sono la Causalità non-agente (è infatti la
Causa e il Fondamento del Cosmo fisico), l’Unità indivisa, l’Identità indistinta e
l’Immutabilità nel puro Tempo; quest’ultima espressione significa totale assenza
di dimensioni spaziali. La shakti-Etere è quindi puntiforme, però contiene in sé
tutte le Possibilità fisiche che si manifesteranno nella vita del Cosmo che da esso
scaturirà. È evidente che esso coincide con la teorizzata Singolarità iniziale, il
punto da cui si sarebbe originato il “Big Bang” e quindi l’espansione metrica del
Cosmo. Il puro Spazio ben descrive al contrario la Morte termica o entropica del
Cosmo. Esso “eredita” tutte le componenti dello Specchio y (Illimite-Sostanza-
Chaos), ovvero la Contingenza o Relatività, la Divisibilità infinita nel continuo,
l’Indifferenziabilità amorfa e l’Istantaneità simultanea, e consiste nel “Pensiero
vuoto”, cioè nel sostrato indeterminato che accoglie le determinazioni essenziali,
permettendo la manifestazione fisica delle Possibilità contenute nel puro Tempo,
ovverosia nell’Etere cosmico. Ricordiamo che il simbolo x sta per unificazione e
concentrazione, mentre y sta per dispersione e disgregazione. Avvicinandosi alla
Morte, il volume dello Spazio tenderà all’infinito e l’entropia aumenterà sempre
più, fino a che non vi saranno più scambi energetici, e il Tempo a disposizione
per il nostro Cosmo andrà verso l’esaurimento:

Siamo abituati a pensare all’universo come a un posto pieno di stelle, ma non è


sempre stato così e non lo sarà per sempre. Veniamo, come sappiamo, da una fase
primordiale semplice e indifferenziata [la Singolarità iniziale. N.d.A.], in cui non
esistevano strutture complesse. Il futuro a lungo termine sarà altrettanto semplice
[…] se l’espansione dello spazio dovesse continuare per sempre […]. Lo spazio di-
venterà via via più vuoto e buio, avviandosi verso un’eternità di gelo e stasi, in cui
non accadrebbe letteralmente più nulla (Amedeo Balbi; L’ultimo orizzonte. Cosa
sappiamo dell’Universo, pp. 136-137).

Questi due termini sono limiti esterni all’esistenza fisica o spazio-temporale


[y-x], la quale è determinata dall’Oggettività, dalla Molteplicità numerica, dalla
Diversità formale e - quel che qui ci interessa - dal Movimento locale. Non può
esservi alcun Movimento se manca lo Spazio, e nemmeno se non vi è il Tempo
(la velocità è data infatti dallo spazio percorso fratto il tempo impiegato: v = s/t).
Sul termine Tempo è facile fare confusione. Distinguiamo il puro Tempo, che
è l’Immutabilità, ossia il Tempo privo di Spazio (e Movimento), dallo scorrere
del tempo (nel Movimento), il quale necessita dello Spazio (ed è quindi il tempo
relativo, il tempo dello Spazio-Tempo) e che chiamiamo divenire. Vi sono…

112
[…] due diversi tipi di Tempo: quello assoluto è di un’altra natura rispetto al tempo
relativo che noi percepiamo. Si tratta del Tempo Trascendente (Mahā-kāla) che è
un’eternità sempre presente, indivisibile, senza misura […]. Le sequenze del tempo
relativo che appartengono alla nostra esperienza sono soltanto divisioni apparenti
del Tempo continuo, provocate dai movimenti degli astri. […]. La manifestazione
percettibile è possibile esclusivamente nel complesso spazio-tempo (Alain Danié-
lou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del pantheon induista, p. 233).

L’Etere non è nello Spazio! Anzi… è esattamente il contrario. Esso è ciò che
contiene in sé tutte le Possibilità spazio-temporali. Questo significa che tutto il
nostro Cosmo, per tutto il corso della sua vita, è tuttora immanente all’Etere:

Non dobbiamo […] pensare che il Big Bang abbia avuto luogo in una particolare
regione dello spazio: la visione adottata dai cosmologi, in accordo con la prospetti-
va della relatività generale di Einstein, è infatti che, al momento del suo verificarsi,
il Big Bang abbracciava l’intera estensione spaziale dell’universo, includendo non
solo tutti il contenuto materiale del cosmo, ma anche la totalità stessa dello spazio
fisico (Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma
all’universo, p. 83).

Il Big Bang non è stata un’esplosione nell’universo, è stata un’esplosione dell’uni-


verso. E non è avvenuta in un singolo punto, ma in tutti i punti (Katie Mack; La fi-
ne di tutto. I cinque modi in cui l’universo può finire, pp. 23-24).

Ecco perché gli Antichi dicevano che l’Etere pervade la totalità dello Spazio:
non perché esso sia soggetto alla Condizione spaziale, ma, al contrario, proprio
perché, contenendo in sé lo Spazio, è ovunque, pur non essendo in nessun luogo.
Rispetto a noi, l’Etere è in qualche modo l’intermediario tra la realtà sensibile, o
meglio, esperibile, e la realtà metafisica (cioè puramente logica):

Il vuoto non esiste nello spazio, lo spazio infatti è plenitudine poiché l’etere è ovun-
que; […] contiene e penetra gli altri elementi, esattamente come lo Spirito contiene
penetra gli arcangeli. […] non è immediatamente sensibile e […] per altro è onni-
presente (Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, pp. 24, 39, 153).

Il mondo è un tessuto i cui fili sono costituiti dall’etere; noi vi siamo tessuti con tut-
te le altre creature. Ogni cosa sensibile proviene dall’etere, che contiene tutto; ogni
cosa è etere cristallizzato (Frithjof Schuon; Comprendere l’Islam, p. 58).

[…] la realtà spirituale non è “nel dove”. È il dove che è in essa. O meglio, essa è
precisamente il “dove” di tutte le cose […] perché il suo ubi in rapporto a ciò che è
nello spazio sensibile è un ubique (ovunque) […]. Non si può dire dove è situato il
luogo spirituale; esso non è situato, esso è piuttosto ciò che situa, è situativo. Il suo
ubi è un ubique (Henry Corbin; Face de Dieu, Face de l’Homme. Herméneutique et
Soufisme, pp. 12-13 e 21. Citazione tratta da: Glauco Giuliano; L’immagine del
tempo in Henry Corbin. Verso un’idiochronia angelomorfica, p. 111).
113
[...] l’etere contiene in sé le stelle nella loro purezza (Ildegarda di Bingen; Cause et
cure).

Ma essa, la terra in sé, sta adagiata, pura, nel cielo puro, che chiamano etere (Plato-
ne; Fedone, 109b).

L’etere è l’origine e la fine del «nome e della forma», cioè dell’esistenza [fisica.
N.d.A.]; gli altri quattro elementi sono originati da esso e in esso saranno riassorbiti
(Ananda K. Coomaraswamy; Induismo e Buddismo, p. 30).

La Singolarità iniziale non è un evento che si è verificato nel passato, ma il


principio logico che sottende all’unità profonda del Cosmo; esso è al di fuori del
divenire e lo comprende. Lo stesso dicasi della Morte termica: essa non avverrà
mai; non è un evento futuro, perché non è nello Spazio-Tempo. Certo, il nostro
Cosmo si avvicinerà sempre più ad essa, senza però mai raggiungerla.
Piuttosto possiamo dire che nell’esistenza spazio-temporale sono presenti due
contrapposte tendenze ciascuna delle quali agisce per conto e a favore di uno dei
due estremi (ma di questo parleremo nei prossimi capitoli).
Insomma, l’Etere è il “Punto originario ed originante” nel quale tuttora siamo
contenuti. Riprendendo una famosa definizione che i Medievali attribuivano a
Dio, l’Etere è “centro ovunque, nessuna circonferenza”:

Il detto famoso secondo cui Dio è «una sfera che ha il centro ovunque e la circonfe-
renza in nessun luogo» […] fu trasferito dal Cusano all’universo (Frances A. Yates;
Giordano Bruno e la tradizione ermetica, pp. 273-274).

Il termine sanscrito bindu (letteralmente = “punto”) indica…

[…] l’insieme delle possibilità della manifestazione abbracciate in una unità […]: è
il punto senza dimensioni che comprende in modo trascendente la pluralità [= Pa-
rabindu, cioè il punto supremo] (Julius Evola; Lo Yoga della potenza, p. 58).

Il quinto elemento, l’etere, è immobile […]. Il punto matematico, senza estensione,


è presente dappertutto, esprime la natura dell’etere (Alain Daniélou; Miti e dèi
dell’India. I mille volti del pantheon induista, pp. 343 nota, 397).

Per manifestarsi, il Punto unitario originario si sta apparentemente dislocando


in infiniti punti (ecco spiegati il Movimento e l’espansione dello Spazio). Esso è
per lo Spazio-Tempo ciò che l’Unità è per la Quantità. Lo Spazio, invece, è ciò
che permette la moltiplicazione (in se stesso) del Punto centrale originario.
Ciascun punto può considerarsi legittimamente l’immobile centro del Cosmo,
ma in realtà ogni cosa manifestata si muove, e si muove alla medesima velocità:

[…] tutto si muove nello spaziotempo alla stessa velocità […]. Dobbiamo stare at-
tenti, però, a non confondere la velocità nello spaziotempo con la velocità nello
114
spazio ordinario […]. Significa che pur seduti a leggere il libro, stiamo sfrecciando
nello spaziotempo alla stessa velocità di ogni cosa nell’universo. Visto così, il moto
nello spazio è solo un’ombra di un moto più universale, attraverso lo spaziotempo
[…]. In questa concezione dello spaziotempo, un orologio in moto ha una velocità
fissa nello spaziotempo, ne usa un po’ di più per muoversi nello spazio lasciandone
un po’ meno per il movimento nel tempo […]. La luce […] sviluppa tutta la propria
velocità nella parte spazio, viaggiando al limite cosmico [Brian Cox e Jeff For-
shaw; PERCHÉ E = mc2? (e perché dovrebbe interessarci?), pp. 80-82 e 89].

Dislocando indefinitamente i molteplici Centri, si compiono tutti i movimenti


possibili, esaurendoli. Questa, che è una condizione irraggiungibile, rappresenta
appunto la Morte termica del Cosmo.

[…] ciò che è al di sopra del cielo [x = Essenza-Limite-Logos]* e ciò è al di sotto


della terra [y = Sostanza-Illimite-Chaos]*, ciò che è fra questo cielo e questa terra
[y-x = Manifestazione-Limitato-Kosmos]*, ciò che si chiama passato, presente e fu-
turo, tutto ciò è tessuto e tramato sullo spazio etereo [ākāśa] (Bṛhad-āraṇyaka-
upaniṣad, III, 8, 4. Upaniṣad antiche e medie, p. 73). *N.d.A.

Nel racconto più recente gli Orfici mettono all’inizio delle cose Chronos, il «tem-
po» […] che non invecchiava mai e che da sé aveva prodotto l’Etere privo di vento
e il Caos, lo spazio vuoto, senza una solida base e pieno di oscurità (Károly Keré-
nyi; Gli Dei e gli Eroi della Grecia, 1, p. 108).

[…] gorgogliando zampilla abbondante il fiotto dell’anima primordiale, intimamen-


te animando luce fuoco etere mondi (Oracoli Caldaici, frammento 51, p. 77).

Essa [la dea Kālī] rappresenta la potenza trascendente del Tempo […], definita an-
che Potere-dell’Etere (Pārvatī) (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti
del pantheon induista, pp 310, 314).

Âkâsha, l’Etere, che è considerato l’elemento più sottile e quello da cui procedono
tutti gli altri […], occupa l’intero spazio fisico (René Guénon; Il Demiurgo e altri
saggi, p. 157).

Lo spazio è una qualità dell’Etere (ākāsha). Dove esiste l’Etere, esistono lo spazio
e la possibilità di una localizzazione fisica. Perciò l’Etere-spazio è la prima condi-
zione affinché possa avvenire la manifestazione. Soltanto nell’Etere le cose posso-
no essere chiamate vere (satya) (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti
del pantheon induista, p. 69).

Nelle teogonie orfiche la prima divinità è il Tempo (Chrónos) da cui nasce l’Uovo
Cosmico che dà vita al Cielo [Limite, x]* e alla Terra [Illimite, y]* e fa apparire
Phánes: ciò che si mostra, ciò che si manifesta [Limitato, y-x]*. L’apparire delle
cose e il loro sparire, la successione dei fenomeni e il loro divenire, il tempo che ne
scandisce la comparsa e la scomparsa sono dunque sotto il governo di Phánes (da

115
cui phaínesthai = apparire, phainómenon = fenomeno). Ma Phánes è figlio di
Chrónos che dunque non è il tempo che diviene, ma quel tempo immortale e impe-
rituro […]: «Si chiamava Tempo senza vecchiaia […]» [Damascio, Sui princìpi
(…)] […]. Il Tempo, che la teogonia orfica pone come prima divinità, dice quel-
l’unità ed eternità del tutto che su un altro piano ribadirà Parmenide con la sua im-
magine dell’essere sferico che lascia nell’inconsistenza ogni molteplicità e divenire
(Umberto Galimberti; Gli equivoci dell’anima, pp. 37-38). *N.d.A.

[…] il grande Tempo costruì per Etere divino un uovo d’argento […]. L’essere di
Platone e l’uovo orfico sono la stessa cosa […]. La forma che abbiamo dato alla sfe-
ra, gli Orfici affermano che è all’incirca quella delle uova; lo stesso modo di essere
che ha il guscio nell’uovo, l’ha il cielo nell’universo: come l’etere è attaccato al
cielo all’intorno, così la membrana lo è al guscio (Orfici. Testimonianze e fram-
menti nell’edizione di Otto Kern, frammento 70, pp. 331-333).

Là è la porta dei sentieri della Notte e del Giorno, con ai due estremi un architrave
e una soglia di pietra; e la porta, eretta nell’etere, è rinchiusa da grandi battenti
(Parmenide; Sulla Natura. Proemio del Poema, Fr. 1, p. 41).
È la porta per la quale passano i sentieri del giorno e della notte, attraversata dal so-
le all’aurora e al tramonto, la porta dell’essere aitheria perché si apre nell’etere, il
confine tra il mondo dello spazio e del tempo e il mondo dell’aspazialità e atempo-
ralità (Laura Simonini; Commento a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, pp. 196-197).

***

Passiamo ad occuparci del Prâna, termine traducibile con “Soffio vitale”. Di


solito, esso viene associato alla vita organica, al respiro, ecc. In effetti, negli altri
tre ordini demonici e nella Natura vivente sarà proprio così. Però tutti i Demoni
generano il Prâna-Logos. Anzi, è proprio tramite esso che i Demoni degli Astri
producono la Materia fisica. Chiameremo “Prâna produttore” il Logos (Verbo)
dei D-I. Esso sta alla shakti-Etere come, nello Spirito, il Figlio sta al Padre.
Il Prâna è dunque l’Essenza [x] dell’Etere, ciò che esso è, e ne condivide le
caratteristiche (Unità, Immutabilità, ecc.), laddove la Sostanza è invece soltanto
lo “specchio di Dioniso” [y] che l’Etere genera per potersi pensare molteplice e
“altro” da sé. Il Prâna è spesso descritto anche come un “vento” che feconda il
Chaos, Spazio oscuro e vuoto, ossia l’insieme indifferenziato delle Possibilità:

Nelle Scritture indù si trovano riferimenti […] al prana, ossia alla «forza creatrice
[…] intrinsecamente intelligente (Paramhansa Yogananda; Autobiografia di uno
yogi, nota p. 402).

Se nella dottrina indù l’etere, âkâsha, viene considerato come il substrato di ogni
fenomeno, questo etere (che non ha nulla a che fare con quello della fisica moder-
na) mentre da un lato viene concepito come vivente («fatto di vita», di prâna),

116
dall’altro vien detto che per sostanza ha appunto il «suono», la «parola» (Julius
Evola; Lo Yoga della Potenza. Saggio sui Tantra, p. 131).

Quello è pieno, questo è pieno, dal pieno si attinge il pieno; attinto il pieno dal pie-
no, il pieno rimane pieno. «Oṃ. Il brahman è spazio etereo [kha], spazio etereo
primordiale, spazio etereo percorso dal vento» (Bṛhad-āraṇyaka-upaniṣad, V, 1, 1.
Upaniṣad antiche e medie, p. 104).

Vi fu un principio […]. La sostanza eterea discese dal cielo, quella della terra si in-
nalzò, lo Yin e lo Yang si mescolarono, si unirono e agirono complementari l’uno
all’altro […]. Allora, nell’essere privo di forma, nello spazio misterioso e occulto,
nell’immensità dell’etere privo di esistenze particolari, il soffio vitale, il ch’ì [il
Prâna]*, nelle sue componenti simili e opposte si mise in movimento e avanzò nel-
lo spazio oscuro e così tutti gli esseri visibili cominciarono a venire alla luce […].
Tutti ebbero il proprio nome e la propria misura. Quanto al Principio privo di for-
ma, esso resta invisibile, inascoltabile, impalpabile (Il libro di Huai-nan Tzu, in Il
Tao del dolce e del duro. Antichi testi taoisti […]. Citazione tratta da: In principio.
Racconti sull’origine del mondo, pp. 108-109). *N.d.A.

***

Riportiamo qui la tabella - provvisoria - delle Categorie-Condizioni primarie


(lo schema completo lo vedremo più avanti, nel capitolo n°48):

0] Assoluto [incondizionato]
LIVELLO
DI REALTÀ A] Infinito B] Spirito C] Anima D] Cosmo
positivo universale particolare fisico
CONDIZIONE Relazione Quantità Qualità Spazio-Tempo
Non-Alterità Unità Identità Immutabi-
LIMITE,
con [0], Causa- indivisa indistinta lità nel puro
ESSENZA,
lità non-agente [Essere [Monade Tempo [Etere
«CIELI» [x]
[Sovra-Essere] universale] particolare] cosmico]
LIMITATO, Oggettività Molteplicità Diversità Movimento
MANIFESTA- [«Alterità» numerica formale locale
ZIONE, «TER- intelligibile o [Intelletto [Psiche [Fenomeni
RA» [y-x] Shakti divina] divino] angelica] sensibili]
ILLIMITE, Relati- Divisibilità Indifferen- Istantaneità
SOSTANZA, vità, Con- infinita nel ziabilità, simultanea nel
«INFERI» [y] tingenza Continuo amorfismo puro Spazio

117
Singolarità
iniziale
[Big Bang]

Espansione metrica
dello Spazio cosmico
[allontanamento reci-
proco delle galassie
a velocità crescente,
aumento di entropia
e di energia oscura]

Morte termica
[esaurimento di
tutti i processi]

ALLA MORTE TERMICA

118
x: Immutabilità
nel puro Tempo
[Etere cosmico]

Aumento
graduale dello
Spazio interno x-y:
al Cosmo e Movimento
concomitante locale, Materia
diminuzione fisica, realtà
del Tempo a spazio-temporale
disposizione e
delle Masse

y: Istantaneità
simultanea nel
puro Spazio

Cambiamento di OAC delle Monadi

119
28. LA VITA DI UN COSMO FISICO E I CICLI COSMICI
Si vedano le immagini riportate nelle due pagine precedenti.
Normalmente pensiamo il Big Bang e l’espansione cosmica come raffigurato
nell’immagine a sinistra: all’inizio vi era un punto, o comunque un nucleo molto
piccolo, il quale conteneva in sé tutta la materia/energia disponibile. Ad un tratto
quest’ultima ha iniziato ad espandersi; non nello Spazio, bensì assieme ad esso,
in quanto prima lo spazio-tempo non c’era (essendo nato assieme al Big Bang).
Ad essere sinceri, troviamo questo racconto contraddittorio. Se questo nucleo
originario non era nello spazio-tempo, e quindi il tempo non scorreva (l’orologio
era fermo), com’è potuto scattare il momento del Bang? Normalmente la scienza
cerca di sviare da questa difficoltà, come ammette Tonelli nel seguente passo:

[La] più difficile delle domande: cosa c’era prima del Big Bang. A rigore […], lo
spazio-tempo entra in scena assieme alla massa-energia, quindi non c’è un prima,
non esiste un orologio che ticchetta al di fuori dell’universo che deve ancora nasce-
re. E tuttavia, sul piano del racconto, possiamo ignorare questa difficoltà logica e
andare alla sostanza. Accettiamo il paradosso di chiederci cosa c’era prima che na-
scesse il tempo, immaginiamo di essere nel non-luogo da cui sarebbe scaturito tutto
lo spazio (Guido Tonelli; Genesi. Il grande racconto delle origini, p. 31).

Se l’origine - la singolarità iniziale, o il vuoto quantistico (come dice Tonelli)


o qualunque cosa fosse quella da cui si è generato il nostro Cosmo - non era nel
tempo, non lo è neppure adesso: non si trova in un momento passato. Ed è allora
evidente che si tratta di una causalità di tipo logico-metafisico, e non temporale.
L’intera esistenza fisica è tuttora essenzialmente contenuta nel proprio principio
causale, il quale non si trova nello Spazio-Tempo, e non ne è condizionato.

***

Vi è anche un altro problema. Se il cosmo è tutto lo spazio, dove si starebbe


espandendo? Non vi è dell’altro spazio in cui crescere. Galileo Galilei ci insegna
che il movimento è sempre relativo; ci si muove sempre rispetto a qualcos’altro.
Se vi fosse nel Cosmo un unico oggetto sferico, non avrebbe alcun senso parlare
di “movimento”. Ora, anche l’accrescimento è un movimento. Se il Cosmo si sta
espandendo, in relazione a che cosa lo farebbe? E rispetto a che cosa lo spazio
sarebbe finito, se non vi è altro spazio che lo limita? Insomma, anche lo spazio
(e quindi la sua espansione) ci sembra più una Categoria cognitiva che non una
realtà concreta. Non è affatto detto che il Cosmo fosse un tempo più piccolo:

La curvatura dello spazio su grande scala è nulla. Insomma, l’universo è piatto.


Questa cosa la sappiamo dall’osservazione delle fluttuazioni della radiazione co-
smica di fondo […]. Ne approfitto per chiarire una cosa: il fatto che l’universo si

120
espande non significa che esso fosse più piccolo in passato. La cosa può creare
qualche giramento di testa, ma, secondo la relatività generale, un universo con cur-
vatura nulla o negativa è sempre infinito, fin dall’inizio. Ciò che cresce col passare
del tempo è la distanza tra due punti qualunque, ma non il volume complessivo di
spazio esistente. Cresce però la regione osservabile dell’universo, perché la luce fa
sempre più strada e il bordo dell’orizzonte si sposta più in là (Amedeo Balbi;
L’ultimo orizzonte. Cosa sappiamo dell’Universo, pp. 99 e 123).

In principio era la singolarità. Beh, può darsi. Una singolarità è quello a cui la
maggior parte delle persone pensa quando immagina il Big Bang: un punto infini-
tamente denso da cui tutto è esploso verso l’esterno. Solo che una singolarità non
deve per forza essere un punto - potrebbe anche essere uno stato infinitamente den-
so di un universo infinitamente grande. E […] non c’è stata esplosione di per sé,
poiché un’esplosione implica un’espansione in qualcosa, piuttosto che un’esplosio-
ne di qualcosa (Katie Mack; La fine di tutto. I cinque modi in cui l’universo può fi-
nire, pp. 32-33).

Il Cosmo si accresce solo rispetto ai suoi oggetti interni; ed infatti, la densità


della materia (stelle, galassie, ecc.) diminuisce sempre più, mentre la radiazione
cosmica di fondo perde gradualmente energia proporzionalmente con il crescere
della lunghezza d’onda dei fotoni. Stando alla logica, potremmo anche affermare
che sono gli oggetti in esso contenuti a rimpicciolire, e non il Cosmo-contenitore
a crescere. Questo metterebbe in crisi il principio di conservazione dell’energia,
che è uno dei pilastri su cui si fonda la fisica classica.

***

Come se ne esce? Cambiamo impostazione. Osserviamo l’immagine a destra:


la sfera, nella sua evoluzione verticale, mantiene le proprie dimensioni. Ma in tal
caso il suo volume non simbolizza lo spazio, bensì l’energia totale presente nel
Cosmo, la quale è in quantità finita. Essa rappresenta la shakti dei Demoni degli
Astri che generano il Cosmo fisico in questione (ricordiamo che il termine shakti
significa proprio “energia” o “potenza di manifestazione”).
Il colore bianco della sfera posta in alto simbolizza l’energia nel puro Tempo
[x], quindi l’Immutabilità dell’Etere, il principio essenziale-limitante del Cosmo.
Il nero della sfera in basso è invece l’energia nel puro Spazio [y], ovverosia
l’Istantaneità simultanea, cioè il principio sostanziale-illimitante, lo specchio o
sostrato indeterminato che accoglie in sé la manifestazione fisica [y-x] con le sue
determinazioni, consistenti nell’energia soggetta al Movimento locale (i processi
in divenire). A mano a mano che il tempo a disposizione diminuisce (andando il
Cosmo inesorabilmente verso la Morte termica o entropica), lo spazio aumenta
di conseguenza in maniera inversamente proporzionale, di modo che lo Spazio-
Tempo totale rimane perfettamente costante (infatti, esso è un’entità unitaria).

121
Secondo la filosofia delle Corrispondenze universali, la generazione del reale
condizionato consiste in un processo auto-cognitivo; la vita di un Cosmo fisico è
il pensiero di tutti i Demoni-anima generati da un determinato “Orientamento
auto-Contemplativo” [OAC] di tutte le Monadi particolari dell’Anima universale.
Sia chiaro però che la shakti dei Demoni esiste nell’Immutabilità dell’Eterno
Presente; ciò significa che la loro visione non viene mai meno. Esse “vedono” se
stesse come in una onnipresente visione d’insieme, che riconduce tutto all’Unità.
Il tempo, infatti (il “vedere” in un prima e un dopo), scorre solo per gli esseri
“imprigionati” nella Materia sensibile e corporea, la quale è il pensiero oggettivo
dei Demoni astrali. Noi stessi - essendo non enti sostanziali, ma processi - non
possiamo che percepire la realtà come diveniente; ma è perché siamo soggetti al
condizionamento insito nel nostro apparato conoscitivo (sensi e mente):

Se osservo lo stato microscopico delle cose, la differenza fra passato e futuro


scompare […]. Diciamo spesso che le cause precedono gli effetti, ma nella gram-
matica elementare delle cose non c’è distinzione fra «causa» e «effetto» […]. Que-
sta è la conclusione sconcertante che emerge dal lavoro di [Ludwig] Boltzmann: la
differenza fra passato e futuro si riferisce alla nostra visione sfocata del mondo
(Carlo Rovelli; L’ordine del tempo, p. 36).

Dobbiamo imparare a pensare il mondo non come qualcosa che cambia nel tempo,
ma in qualche altro modo. Le cose cambiano solo in relazione l’una all’altra. A li-
vello fondamentale […] non c’è […] più lo spazio che “contiene” il mondo e non
c’è più il tempo “lungo il quale” avvengono gli eventi […]. L’illusione dello spazio
e del tempo continui intorno a noi è la visione sfocata di questo fitto pullulare di
processi elementari (Carlo Rovelli; La realtà non è come ci appare. La struttura
elementare delle cose, p. 159).

***

Terminiamo con un breve accenno all’ipotesi della CCC (cosmologia ciclica


conforme), proposta dal fisico e matematico Roger Penrose.
Secondo la CCC, la morte termica di un Cosmo coincide - nel contesto di un
modello ciclico - con la singolarità iniziale del Cosmo successivo:

Quella che sto suggerendo […] è […] che ci sia una regione fisicamente reale dello
spazio-tempo precedente a B– [al nostro big bang]* che coincide con il remoto futu-
ro di una fase anteriore dell’universo, e che ci sia anche una fase fisicamente reale
dell’universo che si estende oltre il nostro f+ [stato di morte termica del cosmo]*
per diventare il big bang di una sua nuova fase […]; quello che sto suggerendo, in-
somma, è che il nostro universo, nel suo complesso, va visto come una varietà con-
forme estesa composta da una successione (forse infinita) di eoni, ognuno dei quali
si mostra come la storia di un intero universo in espansione (Roger Penrose; Dal
Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, pp. 191-192).
*N.d.A. Abbiamo sostituito i simboli utilizzati dall’autore con il loro significato.

122
Condizione necessaria perché ciò avvenga è il decadimento di tutta la massa
a riposo delle particelle (cosa che probabilmente accadrà a causa dell’aumento
esponenziale delle distanze, comprese quelle subatomiche). Come vedremo più
avanti, è infatti proprio la massa la “misura” del tempo (nelle vicinanze di una
grande massa lo scorrere del tempo rallenta, per un osservatore esterno).
Si osservi ora la figura a destra, in basso: secondo noi, il fatto che la Morte
termica di un Cosmo si muti nella Singolarità iniziale del successivo non implica
necessariamente una relazione causale fra i due Cosmi (i quali sono sistemi in sé
isolati, esistenti ciascuno in un proprio Spazio-Tempo), ma consiste piuttosto nel
cambiamento della prospettiva auto-contemplativa delle Monadi:

Nuovo OAC delle Monadi = Nuovi Demoni = Nuovo Cosmo.

Ma sia chiaro: la ciclicità è puramente simbolica. I Cosmi vengono generati e


esistono tutti insieme nell’Eterno Presente. Siamo noi che, essendo per così dire
imprigionati nello Spazio-Tempo, ce li immaginiamo in successione temporale.

***

A volte la Manifestazione fisica [D] viene descritta come una spirale ciclica
ascendente imperniata su di un Asse cosmico. Ogni spira rappresenta lo sviluppo
completo di un singolo Cosmo, la cui Morte termica coincide con la Singolarità
iniziale del successivo. Ovviamente ciò va inteso simbolicamente, giacché:

1] Per il loro comune principio (l’Anima universale), tutti i Cosmi fisici esistono
simultaneamente - o meglio, eternamente, cioè nell’atemporalità;

2] Non v’è alcuna relazione causale fra i molteplici Cosmi, essendo essi generati
da differenti OAC, e essendo quindi formati da compossibili incompatibili; vi
sono però delle corrispondenze analogiche, dovute alla comune origine;

3] La direzione ascendente del movimento delle spire serve solo a dare l’idea di
evoluzione, cosa che nel contesto atemporale non ha evidentemente senso;
ogni Cosmo consiste in una “visuale auto-contemplativa” in sé completa.

4] La Singolarità iniziale e la Morte termica sono dei limiti logici, in quanto tali
esterni alla Manifestazione. Un Cosmo non giunge mai ad una Morte termica
completa, e quindi allo zero assoluto (pur avvicinandosene sempre più).

123
[…] l’ordine consequenziale nei diversi cicli dello sviluppo dell’essere è puramente
logico, o meglio, logico e ontologico insieme, poiché, metafisicamente, cioè dal
punto di vista principiale, tutti i cicli sono essenzialmente simultanei (René
Guénon; Gli stati molteplici dell’essere, pp. 95-96).

Il procedere del mondo mi appare come il volgersi di una ruota mostruosa, appunto
come il presupposto dell’eterno ritorno. Ma tuttavia non con la stessa conseguenza,
che realmente, in qualche istante, si ripeta l’identico. La ruota, infatti, ha un raggio
infinitamente grande. Solo quando è trascorso un tempo infinito, cioè mai, l’identi-
co può tornare nell’identico luogo. Tuttavia, si tratta di una ruota che gira e che, se-
condo la sua idea, va verso l’esaurimento della molteplicità qualitativa, senza mai
esaurirla in realtà (Georg Simmel; Metafisica della morte e altri scritti, p. 58).

C
o
s
m
i
OAC
C
i
c
l
i
c
i
Anime
particolari Asse cosmico o Manifesta-
Albero del Mondo zione fisica

-------------------------------------------------------------------------------------------------
= Morte termica di un Cosmo e Singolarità iniziale del “successivo”

124
29. LA LUCE, LA MASSA ED ALTRE STRANEZZE
La luce, ci dicono, si muove ad una velocità enorme, pari a 300.000 km/s, ma
comunque finita. Però le cose non stanno proprio così. Nelle seguenti citazioni
di fisici autorevoli si evince che la luce (e tutte le altre onde elettromagnetiche, il
quanto delle quali è rappresentato dal fotone) è invece istantanea:

Uno dei risultati della relatività speciale di Einstein è che il tempo cessa di esistere
per gli oggetti che viaggiano alla velocità della luce. Cioè, se un modesto fotone
potesse mettersi al polso un orologio e poi partisse dalla Terra in un lampo di luce
diretto verso una remota galassia, osserverebbe di essere arrivato a destinazione
istantaneamente (Leon M. Lederman e Christopher T. Hill; Oltre la particella di
Dio. La fisica del XXI secolo, p. 113).

La massima velocità spaziale possibile si ha quando tutta la velocità dello spazio-


tempo è usata nella componente spaziale, cioè quando tutta la velocità nel tempo è
convertita in velocità nello spazio. Un simile oggetto usa tutta la sua velocità spa-
ziotemporale (che è pari a quella della luce); di conseguenza questo è un limite in-
valicabile […]. Quindi, la luce non ha età, perché non ha velocità temporale. Un fo-
tone uscito dal big bang non è invecchiato di un sol giorno da allora. Alla velocità
della luce, il tempo non passa (Brian Greene; L’universo elegante. Superstringhe,
dimensioni nascoste e la ricerca della teoria ultima, p. 44).

Dal punto di vista del raggio di luce il tempo non scorre affatto, mentre, nel nostro
sistema di riferimento, il raggio sfreccia attraverso il sistema solare. Ora è qua, ora
è là, all'istante! (Paul Davies; I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, p. 208).

I fotoni sono luce e per loro il tempo non passa mai (Roberto Vacca; Anche tu fisi-
co. La fisica spiegata in modo comprensibile a chi non la sa, p. 198).

Insomma, nel nostro sistema di riferimento spazio-temporale, noi percepiamo


la luce come dotata di velocità finita, ma nel “suo” non è affatto così.
Potremmo dire che la luce ha una velocità infinita, però non sarebbe del tutto
esatto: la velocità indica infatti lo spazio percorso in un determinato intervallo di
tempo (v = s/t); però il tempo, per la luce, non c’è. Quindi, niente velocità.
Mentre per noi, che esistiamo nello spazio-tempo, gli oggetti del Cosmo sono
soggetti al Movimento locale, ossia si spostano ciascuno in relazione ad altri, per
la luce non vi è alcun Movimento, giacché manca per lei la variabile tempo.
È come se i fotoni non fossero effettivamente fra loro separati, e ciascuno di
essi coincidesse - in qualche strano modo - con l’intero campo elettromagnetico,
il quale riempie l’intero spazio, ed è quindi sempre ovunque:

L’elettrone è una manifestazione - uno stato visibile - del campo quantistico […] da
cui emerge senza staccarsene […] è una parte-tutto. Una parte-tutto è un concetto
che non esiste nella fisica classica, in cui le particelle sono “oggetti” limitati che si

125
scontrano sullo sfondo inanimato e quindi possono agire solo localmente sulla real-
tà. Il riduzionismo crea confini che non esistono in natura. Il comportamento “on-
dulatorio” delle particelle e l’esistenza dell’entanglement nella fisica quantistica ci
dicono che una particella non è un oggetto (Federico Faggin; Irriducibile. La co-
scienza, la vita, i computer e la nostra natura, pp. 120-121).

Il tempo - e quindi il Movimento locale - è strutturalmente legato alla massa,


e non riguarda i fotoni. Affinché vi sia un “orologio” (ossia la misura del tempo)
deve necessariamente esserci una massa:

Il punto è che, per una particella priva di massa, è come se lo scorrere del tempo
non ci fosse: una particella del genere può persino raggiungere l’eternità […] pri-
ma ancora che il suo orologio interno batta il suo primo «colpo» […]. In altri ter-
mini, sembrerebbe che la massa a riposo sia un elemento necessario per la costru-
zione di un orologio (Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali
che danno forma all’universo, p. 190).

Di fatto, questa misura temporale è centrale per la fisica, dato che c’è un chiaro
senso in cui ogni singola particella (stabile) massiva riveste il ruolo di un orologio
virtualmente perfetto: se m è la massa della particella […] l’energia a riposo di que-
sta particella definisce una particolare frequenza di oscillazione quantistica ν per la
particella stessa […]. In altre parole, ogni particella stabile dotata di massa si com-
porta come un orologio quantistico estremamente preciso, che «batte il tempo» con
la specifica frequenza ν = m (c^2/h), che è esattamente proporzionale alla sua massa
(Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma
all’universo, pp. 124-125).

126
Penrose parla di “oscillazione quantistica”; a che cosa si riferisce? Nel passo
seguente Lederman e Hill ci spiegano il diverso comportamento di una particella
massiva (in tal caso un muone) rispetto ad una priva di massa, la quale non può
starsene ferma essendo obbligata a sfrecciare istantaneamente per l’infinità dello
spazio. Purtroppo, i termini utilizzati (spin, chiralità, ecc.) sono un po’ tecnici,
però l’immagine (vedi) dovrebbe chiarire la questione. In parole semplici, in una
qualsiasi particella massiva vi è una continua e frenetica trasformazione della
particella stessa nella sua “immagine speculare” e viceversa, e questo fenomeno
la tiene in qualche modo “imprigionata” in un tempo proprio, laddove invece in
una particella non-massiva come il fotone tale oscillazione non ha luogo:

La massa permette a una particella, come il nostro muone, di muoversi a qualsiasi


velocità inferiore a c, o di starsene fermo a riposo […]. La massa fa sì che una par-
ticella S-chirale oscilli, trasformandosi in una particella D-chirale e viceversa, sen-
za cambiare la direzione dello spin: si ricordi che lo spin si conserva - è la conser-
vazione del momento angolare […]. La chiralità non è conservata, cioè, non è
sempre la stessa per le particelle che hanno massa. S e D si fondono in una particel-
la che marcia arrancando attraverso lo spazio e il tempo, oscillando tra le sue per-
sonalità schizofreniche di chiralità sinistra e destra […]. Abbiamo un nome per
questa rapida oscillazione del muone tra le sue due chiralità: […] Zitterbewegung
che vorrebbe dire «tremolio» o «moto agitato» (Leon M. Lederman e Christopher
T. Hill; Oltre la particella di Dio. La fisica del XXI secolo, pp. 138-140).

Se ci pensiamo bene, secondo la teoria einsteiniana della relatività generale la


presenza di una grande massa rallenta il tempo (per un osservatore posto in un
altro sistema di riferimento):

La Terra è una grande massa, e rallenta il tempo vicino a sé […]. Se le cose cado-
no, è a causa di questo rallentamento del tempo. Dove il tempo scorre uniforme,
nello spazio interplanetario, le cose non cadono, fluttuano senza cadere. Qui sulla
superficie del nostro pianeta, invece, il movimento delle cose si dirige naturalmente
là dove il tempo passa più lento […]. Le cose cadono verso il basso perché in basso
il tempo è rallentato dalla Terra (Carlo Rovelli; L’ordine del tempo, pp. 21-22).

***

Ritorniamo ad occuparci delle particelle non massive le quali, abbiamo detto,


non esistono nel tempo. Potremmo dire che esse si trovano solo nello spazio.
Infatti, i fotoni non possiedono né carica elettrica né massa e quindi non sono
soggetti alle oscillazioni Dx/Sx sopra descritte. Possiedono però elicità, ovvero
un segno di spin o, detto in parole più semplici, un senso di rotazione (momento
angolare), e quindi una orientazione spaziale. Dunque, essi sono nello spazio.
Ma solo finché vi è lo Spazio-Tempo… Spieghiamoci meglio. Abbiamo visto
che, non esistendo nel tempo, tali particelle sono istantanee. Questo significa che
127
ad esempio un fotone percorre infinite volte l’intera estensione del Cosmo in un
istante privo di durata. È evidente che, per il fotone, lo Spazio cosmico si riduce
ad un punto senza dimensioni (si pensi al fatto che a velocità relativistiche anche
le distanze si contraggono). Per il fotone, l’intero Cosmo ha un’estensione nulla.
Se non vi fossero masse, e quindi sistemi di riferimento soggetti allo scorrere del
tempo, e vi fossero invece solo fotoni, nemmeno lo spazio esisterebbe (sarebbe
infatti ridotto ad un punto adimensionale), e l’intera esistenza del Cosmo fisico
verrebbe meno. Vediamo ora cosa probabilmente accadrà con la Morte termica.

***

Secondo la teoria della Cosmologia ciclica conforme (CCC) di Penrose, in un


periodo molto avanzato nella storia del nostro Cosmo (Morte termica o Big Rip)
l’esponenziale espansione metrica dello spazio sfalderà dall’interno le particelle
massive, e resteranno solo fotoni e - se esistono - gravitoni:

Un’altra tesi meno convenzionale conseguente alla CCC è che, nel corso
dell’eternità, le masse a riposo di tutte le particelle dovrebbero svanire […], così
che, al limite asintotico, tutte le particelle rimaste, incluse quelle cariche, dovrebbe-
ro diventare prive di massa (Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli tem-
porali che danno forma all’universo, p. 275).

[…] se alla fine rimarrà ben poco che abbia una massa a riposo, la possibilità di mi-
surare lo scorrere del tempo andrà perduta (e, con essa, quella di misurare le distan-
ze, dato che anche le distanze dipendono dalle misurazioni del tempo) (Roger Pen-
rose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, p.
190).

Sia i fotoni sia i gravitoni sono particelle prive di massa; pertanto, non sembra irra-
gionevole adottare una filosofia secondo cui, dato che in un tardissimo stadio della
storia dell’universo sarebbe in linea di principio impossibile costruire un orologio
servendosi di tali elementi, in quel futuro molto lontano il cosmo stesso «perdereb-
be traccia della scala del tempo» (Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli
temporali che danno forma all’universo, p. 194).

Perfino i buchi neri si consumeranno, seppur molto lentamente, a causa della


cosiddetta radiazione di Hawking.
Secondo Penrose, dunque, alla Morte termica vi saranno solo particelle prive
di massa. Ma la stessa condizione si verifica anche appena dopo un Big Bang:

L’universo incandescente, appena uscito dalla fase inflazionaria, contiene già tutta
la materia e l’energia di cui ha bisogno ma, se potessimo guardare al suo interno,
non riconosceremmo nulla di familiare. Vedremmo una specie di gas informe di
minuscole particelle, fra loro indistinguibili: tutte prive di massa, che volano alla

128
velocità della luce. L’insieme si presenta come un oggetto perfetto, omogeneo e
isotropo, uguale a se stesso in ogni punto e sotto tutte le angolature (Guido Tonelli;
Genesi. Il grande racconto delle origini, p. 75).

Dal punto di vista fisico, come doveva essere l’universo materiale nel più remoto
passato, poco dopo il Big Bang? Una cosa è certa: doveva essere caldo, estrema-
mente caldo. A quell’epoca, l’energia cinetica dei moti delle particelle doveva esse-
re così gigantesca da surclassare nel modo più completo le loro rispettive energie a
riposo, che al confronto erano minuscole […]. Pertanto, la massa a riposo delle par-
ticelle doveva essere di fatto ininfluente: in pratica, per quanto concerne i processi
dinamici rilevanti, era come se fosse pari a zero. Nei suoi primissimi momenti di
vita, l’universo era quindi pieno di particelle che risultavano effettivamente prive di
massa (Roger Penrose; Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno for-
ma all’universo, p. 181).

Non è un caso: la tesi di Penrose, ormai lo sappiamo, è che la Morte termica


di un Cosmo coincide con la Singolarità iniziale del Cosmo (o Eone) successivo.
Il termine entropia viene di solito tradotto con “disordine”; essa consiste però
nella tendenza di tutti i processi verso una condizione più probabile e quindi più
stabile. L’aumento dell’entropia con gli scambi energetici è l’unico indice dello
scorrere del tempo. Il fatto che l’entropia è in continua crescita significa che al
“momento” del Big Bang essa era bassissima o nulla. Questo è dovuto al fatto
che i gradi di libertà gravitazionali erano inattivi o, detto più semplicisticamente,
non vi era lo spazio affinché vi fossero scambi energetici:

[…] questo basso valore di entropia ha la propria radice nel fatto che […] i gradi di
libertà gravitazionali non erano attivi al momento del Big Bang (Roger Penrose;
Dal Big Bang all’eternità. I cicli temporali che danno forma all’universo, pp. 162,
174).

Alla Morte termica del Cosmo (assieme alla disgregazione delle ultime masse
e la conseguente scomparsa di ogni riferimento spazio-temporale), dallo stato di
massima entropia possibile si passerà istantaneamente al suo totale azzeramento;
si ripristineranno quindi le condizioni della Singolarità iniziale e di conseguenza
la possibilità di un nuovo Big Bang e di un nuovo Cosmo fisico.
Il terzo principio della termodinamica ci dice che alla temperatura dello zero
assoluto (-273,15 °C) l’entropia è pari a 0. Il nostro Cosmo, espandendosi, si sta
sempre più raffreddando. La radiazione cosmica di fondo (ossia i fotoni prodotti
dal Big Bang) ha attualmente una temperatura inferiore ai 3 K. Quando essa sarà
vicina allo zero assoluto vi sarà probabilmente quel passaggio istantaneo sopra
descritto. Ma non si tratterà di un passaggio nello Spazio-Tempo, bensì di una
uscita da esso e la proiezione - da parte di tutte le Monadi particolari - di nuove
realtà fisiche in un nuovo Spazio-Tempo. Utilizzando un linguaggio matematico
Guénon parla a tal riguardo di un “passaggio al limite”:

129
Si potrebbe dire che il «passaggio al limite» corrisponde qui alla fissazione defini-
tiva dei risultati della manifestazione nell’ordine principiale; solo così, infatti,
l’essere sfugge finalmente al cambiamento o al «divenire», inerente di necessità a
ogni manifestazione in quanto tale; si vede allora come questa fissazione non costi-
tuisca in alcun modo un «ultimo termine» dello sviluppo della manifestazione, ma
si situi essenzialmente al di fuori e al di là di tale sviluppo, poiché appartiene a un
altro ordine di realtà, trascendente rispetto alla manifestazione e al «divenire» […];
parimenti, essendo l’ordine principiale immutabile, per pervenirvi non si tratta di
«effettuare» qualcosa che non esisterebbe ancora, bensì di prendere effettivamente
coscienza di ciò che è, in modo permanente e assoluto […]. Il limite non appartiene
dunque alla serie dei valori successivi della variabile; esso è al di fuori di tale serie,
e per questo abbiamo affermato che il «passaggio al limite» implica essenzialmente
una discontinuità. Se fosse altrimenti saremmo in presenza di un’indefinitezza
esauribile analiticamente, il che non si dà (René Guénon; I princìpi del calcolo in-
finitesimale, p. 186-187, 198).

***

Le tre Tendenze che governano un Cosmo


[vedi capitolo successivo]

VISHNU
[Preservatore]
sattva
[coesione]

rajas
[attività]

SHIVA
BRAHMÂ
[Distruttore e
[Creatore]
Trasformatore]
tamas
[dispersione]

130
30. LE TRE TENDENZE CHE GOVERNANO UN COSMO
La vita di un Cosmo è regolata da tre tendenze (Guna), ciascuna delle quali è
attribuita ad una delle tre divinità della Trimûrti indù: Vishnu, Shiva e Brahmâ
(quest’ultimo non va assolutamente confuso con il Brahman impersonale, ossia
con l’Assoluto). Esse agiscono nello Spazio-Tempo, e sono rispettivamente:

1. Sattva, potenza del dio preservatore Vishnu, che protende all’Immutabilità


[x], in quanto vorrebbe mantenere indefinitamente gli esseri nell’esistenza.
2. Tamas, potenza del dio distruttore e trasformatore Shiva, che protende verso
l’Istantaneità simultanea [y], in quanto vorrebbe dissolvere la manifestazione
intera, e ricondurla inconsciamente al suo principio indiviso e indifferenziato.
3. Rajas, attività del dio creatore Brahmâ, il quale media fra queste due opposte
tendenze, ponendo gli esseri nel Movimento locale [y-x], quindi nel divenire:

Il rajas non causa direttamente la produzione di alcunché; ma la sua presenza è ri-


chiesta per ambo le produzioni; chè il sattva ed il tamas sono per sé inattivi e non
produrrebbero nulla se il rajas con la sua attività non li mettesse in movimento ecci-
tandoli alla produzione (Piero Martinetti; Il Sistema Sankhya: Studio Sulla Filoso-
fia Indiana, p. 52).

Nella cosmologia le tre tendenze [Le tre forze di base (…), denominate le tre quali-
tà fondamentali (guna)] si mostrano come un’attrazione centripeta, una forza cen-
trifuga e il loro equilibrio, da cui proviene il movimento delle sfere. L’azione cen-
tripeta, che crea la coesione, è chiamata sattva (esistenza), perché l’esistenza è una
concentrazione di energia, un’unione, una forza di agglomerazione […]. Tale ten-
denza, che lega insieme gli elementi costitutivi del mondo, è l’energia preservatrice
raffigurata da Vishnu, l’Immanente, il Preservatore dell’Universo, la personifica-
zione di sattva. L’azione centrifuga, denominata tamas, parola che significa oscuri-
tà o inerzia, è la forza che cerca di impedire la concentrazione […]. Tamas, la ten-
denza centrifuga, la tendenza alla dispersione, alla dissoluzione, all’annichilimento
di ogni esistenza individuale e coesiva, può essere presa come simbolo della disin-
tegrazione finale di tutto nel non-essere, nell’Immensità sopracausale e non manife-
stata. Rappresenta quindi la liberazione da tutto ciò che lega, che è individuale e
limitato. Questa tendenza che cerca sempre di dissociare, disperdere l’universo è
personificata da Rudra, il Signore delle lacrime, il distruttore dei mondi, chiamato
anche Shiva, il Signore del sonno che incarna l’oscurità dell’abisso nel quale ogni
attività si dissolve alla fine dei tempi. «Questo Grande Dio è la natura fondamenta-
le di tutte le cose» (Linga Purāna I, 17,12) […]. L’equilibrio di sattva e tamas, di
centripeto e centrifugo, di coesione e dispersione, luce e oscurità, fa nascere la terza
tendenza, quella di orbitazione, rajas, che è l’origine dell’attività, della molteplici-
tà. Tale risultante è la sorgente delle forme dell’universo manifesto, che variano
all’infinito […]. Essa è personificata nel Creatore, l’Essere immenso (Brahmā) che
costruisce il cosmo (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del pantheon
induista, pp. 41-42).

131
[…] l’emanazione di Kronos (Saturno) tende a frenare, mentre quella di Ares (Mar-
te) a spingere verso il moto (Giamblico; I Misteri dell’Egitto, I, 18, p. 26).

Riferendosi ad Isaac Newton ed alla sua legge della gravitazione universale,


scrive Roob (utilizzando i medesimi concetti pur con una terminologia diversa):

Questa gli fu ispirata dalle prime tre qualità naturali secondo il sistema di Jacob
Böhme: la forza centripeta newtoniana corrisponde al primo spirito-fonte di
Böhme, l’«asprezza unificante», che esercita una forza d’attrazione; la forza centri-
fuga o repulsiva corrisponde all’«amarezza espansiva»; mentre la rotazione, che
trova la sua origine nel conflitto tra attrazione e repulsione, è la «paura» o «ruota
generatrice della natura» (Alexander Roob; Alchimia e mistica, p. 552).

Può apparire paradossale che proprio Shiva, il dio supremo della Trimûrti, sia
associato all’annichilazione. Va però tenuto conto che egli distrugge l’illusione,
la Mâyâ, rimuovendo costantemente i contenuti relativi, determinati (che Vishnu
vorrebbe invece “imbalsamare”) per ricondurli all’Assoluto. È quindi soprattutto
il trasformatore che favorisce la manifestazione di sempre nuove forme:

[Shiva] è tutto concentrato nella pratica yogica che abbandona il mondo. Simbo-
leggia l’atteggiamento del distruttore che vuole sbarazzarsi dell’illusione di māyā
[…]. In verità, Shiva è anche creatore, perché è colui che ci riunisce con la fonte
originaria del creato. D’altra parte, anche Brahma [Brahmâ] e Vishnu hanno
l’aspetto del distruttore, nel momento in cui ci intrappolano nel mondo di māyā
(Joseph Campbell; Miti di luce. Metafore dell’Eterno in Oriente, pp. 110 e 113).

Come in Eckhart Dio stesso è indicato quale «assoluto nulla, né questo né quello»,
così in Hegel […] il nulla è fondamento (Grund) che, in rapporto dialettico con
l’essere, produce il divenire […]. Egli [Dio] è suprema conservazione - assicura il
mantenimento assoluto, del mondo, di noi stessi, di ciò che ci è caro -, eppure su-
premo distacco, come scrive Eckhart; di fronte a lui tutto il naturale viene annichi-
lito, distrutto o trasformato, giacché niente può sussistere in quanto tale di fronte
all’Altissimo (Marco Vannini; Dialettica della fede, pp. 75-76 e 134).

Potremmo dire allora che:


1. Sattva-Vishnu agisce mediante l’attrazione gravitazionale, giacché vorrebbe
concentrare tutta la massa in un unico punto adimensionale, e fermare così lo
scorrere del tempo nell’Immutabilità;
2. Tamas-Shiva agisce tramite l’energia oscura (pressione negativa responsabile
a quanto sembra dell’espansione accelerata del Cosmo), o qualunque cosa sia
quella che fa aumentare incessantemente l’entropia e consumare il tempo a
disposizione, spingendo il Cosmo verso la propria Morte termica;
3. Queste due contrapposte tendenze interagiscono fra loro e si equilibrano nella
Manifestazione fisica (spazio-temporale), dominio di Rajas-Brahmâ.

132
31. LE INTERAZIONI O FORZE FONDAMENTALI
Nel Modello Standard (teoria elaborata dai fisici per descrivere in maniera il
più possibile semplice e coerente l’universo e le sue leggi) vi sono 4 interazioni
fondamentali: nucleare forte, nucleare debole, elettromagnetica e gravitazionale.
L’interazione forte ha lo scopo di tenere incollati i quark all’interno dei protoni e
dei neutroni; agisce quindi per la coesione interna della materia. Quando vi sono
trasformazioni della materia/energia (ad esempio particelle che si tramutano in
altre particelle), significa che è invece intervenuta l’interazione nucleare debole.
La struttura dell’atomo e delle molecole - e quindi i processi fisici o chimici che
coinvolgono particelle dotate di carica elettrica diversa da 0 - sono da attribuirsi
all’interazione elettromagnetica, nella quale la particella mediatrice è il fotone.
Infine, l’interazione gravitazionale è quella che fa sì che i corpi dotati di massa
si attirino fra di loro. I fisici sono alla ricerca di un modello unitario che spieghi
l’intera realtà: una sorta di Teoria del Tutto. Per ottenere questo risultato, però,
essi devono unificare le 4 interazioni. Si teorizza che, nei caldissimi primi istanti
appena dopo il Big Bang, esse fossero una forza unica, e che solo con il graduale
raffreddamento del Cosmo si siano separate fra di loro. In effetti, l’interazione
debole e l’elettromagnetica sono state già unificate nell’interazione elettrodebole
(la quale include anche il meccanismo di Higgs). L’interazione forte è anch’essa
integrabile (manca soltanto la conferma empirica, a causa dei limiti degli attuali
acceleratori di particelle); ed in tal caso si parla allora di “Teoria della Grande
Unificazione” (GUT). Il Modello Standard, però, si ferma qui: non si riesce ad
inquadrare la gravità in tale schema. Sembra che, per trovarla unita alle altre tre,
sia necessario risalire alla Singolarità iniziale. Einstein era ben consapevole di
questa difficoltà:

Nella sua ricerca di una teoria unitaria dei campi, Einstein si proponeva di unificare
soltanto la gravità e l’elettromagnetismo. Il grande fisico sembrava scarsamente in-
teressato alla forza debole che si manifesta nella radioattività e alle forze nucleari
forti. Si potrebbe affermare che il suo programma di unificazione metteva in gioco
solo la metà dei pezzi del rompicapo […]. [Credeva]* che alla fine la forza debole
e quella forte si sarebbero rivelate semplicemente aspetti della forza elettromagne-
tica. Fu […] in qualche modo preveggente poiché oggi consideriamo la forza elet-
tromagnetica e quella debole unificate nell’ormai consolidata teoria di Weinberg-
Salam, mentre esistono - ma sono in attesa di verifiche sperimentali decisive - teo-
rie che descrivono in modo unitario anche la forza forte (John D. Barrow; I numeri
dell’universo. Le costanti di natura e la Teoria del Tutto, pp. 290-291). *N.d.A.

Questa difficoltà è dovuta al fatto che il campo gravitazionale e il campo che


riunisce le altre tre forze (GUT o “campo dell’energia/materia”) rappresentano
due tendenze contrapposte.
Secondo un’ipotesi scientifica, il Cosmo nasce da una fluttuazione quantistica
dal vuoto. Se solleviamo un oggetto da terra, esso acquista un’energia potenziale
133
dovuta all’attrazione esercitata su di esso dal pianeta. Lo stesso avviene con tutte
le masse presenti nel Cosmo; essendosi allontanate dopo il Big Bang, esse hanno
acquisito energia potenziale gravitazionale, la quale è negativa. Serve infatti una
certa forza per mantenerle separate. Ora, dai calcoli empirici sembrerebbe che
tale energia sia quantitativamente identica all’energia positiva apportata da tutta
la massa presente nel Cosmo (secondo la formula di Einstein: E = mc2), solo che
di segno opposto. Questo significa che sommandole esse si annullano. L’energia
totale del Cosmo sarebbe quindi pari a zero. Ce ne parlano Tonelli e Hawking:

[…] un universo piatto come il nostro è un sistema a energia totale nulla. In altre
parole, l’energia positiva dovuta a massa ed energia presenti nell’universo e quella
negativa dovuta al campo gravitazionale si annullano (Guido Tonelli; Genesi. Il
grande racconto delle origini, p. 44).

La materia dell’universo è costituita da energia positiva. Tuttavia, occorre tenere


presente che tutta la materia continua ad attrarsi per mezzo della forza di gravità
[…]. Quindi, in un certo senso, il campo gravitazionale ha un’energia negativa. Se
prendiamo poi l’intero universo, è possibile dimostrare che l’ammontare di questa
energia gravitazionale negativa è esattamente tale da cancellare l’energia positiva
della materia; così che l’energia totale dell’universo è pari a zero (Stephen W. Ha-
wking; La teoria del tutto. Origine e destino dell’universo, p. 88).

Applicata alle attuali teorie cosmologiche, questa ipotesi presenta però una
falla: con l’espansione cosmica il potenziale gravitazionale aumenta, laddove la
quantità di massa permane stabile. Infatti, Hawking poco dopo ammette:

Ora, il doppio di zero è sempre uguale a zero. Pertanto, l’universo potrebbe rad-
doppiare la quantità di energia positiva della materia e, nel contempo, raddoppiare
l’energia negativa del campo gravitazionale, senza con ciò violare il principio di
conservazione dell’energia. Ciò non accade nella normale espansione dell’universo,
durante la quale la densità della materia-energia diminuisce man mano che
l’universo aumenta di volume (Stephen W. Hawking; La teoria del tutto. Origine e
destino dell’universo, p. 88).

Nella nostra impostazione, si è visto, teniamo stabile lo Spazio-Tempo totale,


in quanto con il calare del Tempo a disposizione vi è un proporzionale aumento
dello Spazio (quella che chiamano “espansione cosmica”, appunto).
Nell’immagine osserviamo la rappresentazione di 3 degli infiniti Cosmi posti
in sequenza, che abbiamo denominato “n – 1”, “n” e “n + 1”. Nel Big Bang del
Cosmo “n” il Tempo a disposizione (linea continua) è nel suo valore massimo,
mentre lo Spazio (linea tratteggiata) è assente. Quindi, spostandoci verso destra,
il primo scende gradualmente fino a 0, mentre il secondo aumenta inversamente
fino al massimo: è questa la Morte termica del Cosmo n.

134
MT Cosmo n – 1 MT Cosmo n
BB Cosmo n BB Cosmo n + 1

Cosmo Cosmo Cosmo


n–1 n n+1

MT Cosmo n – 1 MT Cosmo n
BB Cosmo n BB Cosmo n + 1

= Spazio, Energia oscura, Energia potenziale del campo gravitazionale;


= Tempo, Energia del campo unificato GUT (energia/massa);
= Quantità totale di Spazio-Tempo, Energia totale.
BB = Big Bang [Singolarità iniziale]
MT = Morte termica o entropica del Cosmo

Assieme allo Spazio aumentano: a) La percentuale dell’energia oscura (che è


una proprietà dello Spazio); b) L’energia potenziale del campo gravitazionale.
L’energia legata alla massa (campo unificato o GUT) non può che calare con
il Tempo, fino ad azzerarsi del tutto alla Morte termica, proprio come una corda
che ha smesso di vibrare; leggi anche: la frequenza delle onde elettromagnetiche
(fotoni) giunge a valore zero, mentre la loro lunghezza d’onda diventa infinita.
Mettendo insieme le due cose otteniamo un pari, ossia: lo Spazio-Tempo e la
quantità totale di energia - che non è pari a zero - restano stabili (linea doppia).
Il campo gravitazionale e il campo GUT (l’elettromagnetico e gli altri) sono
inconciliabili nello Spazio-Tempo, poiché incarnano tendenze opposte:

Se consideriamo il campo gravitazionale e il campo elettromagnetico dal punto di


vista dell’ipotesi dell’etere, troviamo una differenza notevole tra i due. Non vi può
essere spazio né parte dello spazio senza potenziali gravitazionali; infatti questi
conferiscono allo spazio le sue qualità metriche, senza le quali non può neanche es-
sere immaginato. L’esistenza del campo gravitazionale è inseparabilmente legata

135
all’esistenza dello spazio. D’altro canto, si può ben immaginare una parte di spa-
zio senza un campo elettromagnetico (Albert Einstein. Citazione tratta da: Frank
Wilczek; La leggerezza dell’essere. La massa, l’etere e l’unificazione delle forze, p.
87).

Nell’immagine osserviamo che la Morte termica di un Cosmo coincide con la


Singolarità iniziale (impropriamente chiamata “Big Bang”) di quello successivo.
Infatti, come abbiamo visto, questi due stati sono molto simili, essendo entrambi
al di fuori dello Spazio-Tempo:

Al suo limite estremo, la contrazione del tempo dovrà avere come conseguenza fi-
nale la riduzione di esso ad un unico istante, e la durata avrà allora veramente ces-
sato d’esistere, essendo evidente che nell’istante non può più sussistere alcuna suc-
cessione. Così è che «il tempo divoratore finisce col divorare se stesso», talché alla
«fine del mondo», vale a dire al limite stesso della manifestazione ciclica, «il tempo
non c’è più» […]. Arrestatasi la successione, o, in termini simbolici, «cessato che
abbia la ruota di girare», ogni cosa esistente non può essere che in perfetta simulta-
neità; la successione si trova perciò in qualche modo trasmutata in simultaneità, il
che può essere espresso dicendo che «il tempo si è mutato in spazio». (René
Guénon; Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, pp. 155-156).

Nel momento in cui lo Spazio giunge alla sua massima espansione (o meglio:
quando nello Spazio-Tempo scompare la massa e quindi la componente Tempo),
si azzera, diventa istantaneamente puntiforme, perché restano soltanto particelle
senza massa, le quali sono appunto istantanee.
Il Tempo, dal canto suo, si ricostituisce nella sua totale integrità nell’istante
esatto in cui lo Spazio scompare (assieme all’entropia), e con esso si ripristinano
le condizioni per un ulteriore Big Bang, e quindi un nuovo Cosmo. È come se lo
Spazio si tramutasse in Tempo e viceversa. Ed è questo il “passaggio al limite”,
ossia lo scarto metafisico nel quale un “Orientamento auto-Contemplativo” delle
Monadi (OAC) lascia il posto ad un altro, e quindi a nuovi Demoni-anima.
Le trasmutazioni fra lo Spazio e il Tempo potrebbero apparire delle stranezze
metafisiche. Ma si pensi che (anche se si tratta di teorie diverse) nel 1983:

[…] Stephen Hawking e il fisico nordamericano James Hartle proposero che nella
cosmologia quantistica il nostro ordinario concetto di tempo venisse superato e il
tempo diventasse un’altra dimensione dello spazio. La cosa non è tanto mistica co-
me sembra, perché i fisici hanno spesso usato questo espediente di trasformare il
tempo in spazio per risolvere alcuni problemi dell’ordinaria meccanica quantistica
(John D. Barrow; Le origini dell’universo. Una breve storia dell’inizio, p.136).

Terminiamo ripetendo una precisazione importante: la concatenazione fra gli


infiniti Cosmi è una nostra concettualizzazione temporale di realtà eterne: quindi
è puramente simbolica.

136
32. LA DISLOCAZIONE SPAZIO-TEMPORALE
Per potersi manifestare a se stessa, l’Unità universale (ovvero l’Essere) deve
suddividersi apparentemente nella Quantità continua, generando in tal modo una
Molteplicità numerica di elementi discreti, ciascuno dei quali è in sé una unità
particolare, un piccolo uno fra tanti.
Nel medesimo modo, l’Immutabilità nel puro Tempo unitario (ovvero l’Etere
cosmico) deve apparentemente dislocarsi - mediante il Movimento locale nello
Spazio - in una molteplicità di eventi o processi, ciascuno dei quali diviene in un
Tempo proprio (ben sappiamo che nella realtà fenomenica non esiste il Tempo
assoluto ipotizzato da Newton; esistono solo tempi relativi).
È questo il Tempo soggettivo (la “durata” di Henry Bergson), nel quale ogni
osservatore può legittimamente considerarsi, dalla sua particolare prospettiva, o
meglio, nel proprio sistema di riferimento, al centro del Cosmo. Ciascun punto è
quello dal quale si è originato il “Big Bang”, in quanto l’intero Spazio è nato con
esso. Dunque, anche se il vero Centro (l’Etere) è trascendente, ogni punto dello
Spazio riflette a suo modo quell’unico Centro unitario:

[…] affinché vi sia estensione o condizione spaziale, occorre che vi siano già alme-
no due punti, mentre l’estensione (a una dimensione) realizzata dalla loro presenza
simultanea, cioè […] la loro distanza, costituisce un terzo elemento che esprime la
relazione tra i due punti, al tempo stesso unendoli e separandoli […]; in realtà è
quindi la distanza a essere il vero elemento spaziale […]. Tuttavia, l’elemento pri-
mordiale, l’unico a esistere di per se stesso, è il punto, poiché è il presupposto della
distanza che in sé non è che una relazione; l’estensione, in quanto tale, presuppone
dunque il punto. Si può dire che esso contiene in sé una virtualità d’estensione, che
può sviluppare soltanto se prima si sdoppia, per porsi in certo modo di fronte a se
stesso, e poi moltiplicandosi (o meglio sottomoltiplicandosi) indefinitamente, sic-
ché l’estensione manifestata deriva per intero […] dal punto stesso nel suo diffe-
renziarsi. La differenziazione, del resto, non è reale se non dal punto di vista della
manifestazione spaziale; essa è invece illusoria rispetto al punto principiale, che
non cessa per ciò di essere in sé tale e quale era, e la cui unità essenziale non ne
può essere in alcun modo toccata [Se la manifestazione spaziale scompare, tutti i
punti situati nello spazio si riassorbono nell’unico punto principiale, poiché fra di
essi non c’è più distanza]. Il punto, considerato in se stesso, non è affatto sottomes-
so alla condizione spaziale, poiché, al contrario, ne è il principio: è il punto che rea-
lizza lo spazio, che produce l’estensione mediante quell’atto che, nella condizione
temporale (ma in questa soltanto), si manifesta come movimento (René Guénon; Il
simbolismo della croce, pp. 101-103).

È noto che la definizione delle regioni o parti della grande sfera del cielo senza stel-
le, al punto medio di riferimento che offrono le stelle fisse, coincide in astronomia
con la definizione delle divisioni del tempo. Ora, la sfera-limite del cielo non è mi-
surabile se non in ragione delle direzioni dello spazio; quando si parla delle parti
celesti, non si fa che definire delle direzioni […]. L’espansione estrema e indefinita

137
di queste direzioni è la volta del cielo non stellato, e il loro centro è ogni essere vi-
vente che si trovi sulla terra, senza che la «prospettiva» delle direzioni si differenzi
da un individuo all’altro […] [(…). Essa si esprime nell’esperienza comune secon-
do cui ogni spettatore che guarda il sorgere o il tramonto del sole al di là di una su-
perficie d’acqua vede la «strada» dei raggi riflessi nell’acqua venirgli direttamente
incontro; spostandosi lo spettatore, questa strada luminosa lo segue. (…) si può ve-
dere in questo come una proiezione «orizzontale» del «raggio solare», che, secondo
il simbolismo indù, rappresenta il legame attraverso cui ogni essere particolare si
riallaccia direttamente al suo principio (…). Come la «Strada Divina», la direzione
che va da un essere terrestre a un punto determinato della volta celeste è insieme
unica per ciascuno e una per tutti] (Titus Burckhardt; La chiave spirituale
dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ’Arabî, pp. 21-22).

Le galassie si stanno allontanando fra di loro a velocità crescente. Andando a


ritroso con i calcoli, sappiamo che 13,8 miliardi di anni fa esse erano unite in un
punto, o comunque in uno spazio piccolissimo. Quindi, il nostro universo ha una
età di 13,8 miliardi di anni. Il suo raggio sarebbe di 13,8 miliardi di anni luce
(distanza percorsa dalla luce dal Big Bang ad oggi), se non vi fosse l’espansione
cosmica; ma poiché, appunto, lo Spazio stesso si espande, il raggio è invece di
46,5 miliardi di anni luce. Ma attenzione: questa stima è riferita al solo universo
osservabile. Più in là potrebbero esserci altre galassie, la luce delle quali non ci
raggiungerebbe mai. Per quanto ne sappiamo, lo Spazio cosmico potrebbe anche
essere aperto ed infinito. Anzi, le teorie più recenti sembrano andare proprio in
questa direzione. Ma anche ipotizzando che esso sia chiuso e finito, resta valido
il principio per il quale ogni osservatore è al centro.
Tutto intorno a noi vediamo una sfera con 46,5 Mld di anni luce di raggio.
Un ipotetico alieno che vive in un pianeta posto a tale distanza da noi, e quindi
in quello che per noi è il bordo dell’universo, non vedrebbe il nulla dall’altra
parte, ma si vedrebbe a sua volta al centro, e vedrebbe noi nel bordo. “Centro
ovunque, nessuna circonferenza”, dicevano i medievali. Un tale universo viene
chiamato “Tre-Sfera”. Scrive Rovelli:

Nel Paradiso, Dante ci offre la sua grandiosa visione del mondo medioevale, rical-
cata sul mondo di Aristotele, con la Terra sferica al centro, circondata dalle sfere
celesti […]. Dante risale queste sfere, insieme a Beatrice, nel suo fantastico viaggio
visionario, fino alla sfera esterna. Quando vi arriva, contempla l’Universo sotto di
lui, con i cieli che roteano e giù, in fondo, nel centro, la Terra. Ma poi guarda anco-
ra più in alto, e cosa vede? Vede un punto di luce circondato da immense sfere di
angeli, cioè un’altra immensa palla che, parole sue, “circonda e insieme è circonda-
ta” dalla sfera del nostro Universo! Ecco i versi di Dante nel XXVII Canto del Para-
diso: “[…] parendo inchiuso da quel ch’elli’nchiude”. Il punto di luce e le sfere di
angeli circondano l’Universo e insieme sono circondati dall’Universo! È esatta-
mente la descrizione di una tre-sfera. Le […] due palle “circondano e sono circon-
date” l’una all’altra (Carlo Rovelli; La realtà non è come ci appare. La struttura
elementare delle cose, pp. 86-87).

138
La teoria della relatività speciale ci insegna che ogni cosa nell’Universo si
muove alla stessa velocità nello Spazio-Tempo. Non vi è nulla di fermo. Questo
significa che se una cosa si muove a grande velocità nello Spazio, il suo Tempo
rallenta, per mantenere stabile la velocità nello Spazio-Tempo:

Tutti i corpi materiali, quindi, viaggiano sia nello spazio sia nel tempo. Tutti i corpi
fermi (rispetto a un sistema di riferimento) viaggiano solo nel tempo, non nello
spazio e si muovono sull’asse del tempo alla velocità della luce. Quando si muovo-
no anche nello spazio, una parte di quella velocità viene trasferita dal tempo allo
spazio ed è per questo che […] il tempo trascorre più lento (Roberto Vacca; Anche
tu fisico. La fisica spiegata in modo comprensibile a chi non la sa, p. 199).

Rallenta, però, solo per gli osservatori esterni, non per lui. Il Tempo proprio,
soggettivo, scorre sempre uguale. Se in un minuto del mio orologio io riesco a
fare certe quattro cose, questo sarà valido anche se mi trovassi in una ipotetica
astronave che viaggia a 260.000 km/s, anche se un osservatore fermo rispetto a
me vedrà il mio orologio rallentato del 50%. Insomma, non riuscirò a fare solo
due cose, perché per me un minuto avrà sempre la durata di un minuto.
Quindi, per esistere ciascuna in un Tempo proprio soggettivo, le entità fisiche
si dislocano nello Spazio. Facciamo un esempio un po’ banale, ma forse utile.
Se io ho a disposizione solo 70 m2 di superficie terrestre, e devo costruire la
casa per 10 famiglie, non potrò certo stiparle tutte in quell’angusto spazio. Sarò
costretto a costruire un grattacielo di 10 piani. Tutte le famiglie saranno in quei
70 m2, ma ad una diversa altezza. In pratica, ho sviluppato il mio progetto in una
ulteriore dimensione: l’altezza, appunto. Ecco, nel nostro caso, affinché tutti gli
enti fisici possano esistere in un Tempo proprio (riflesso del Tempo puro) e al
contempo manifestarsi nella molteplicità devo necessariamente aggiungere delle
dimensioni: in tal caso lo Spazio.

139
33. I “GENI DELLE SPECIE”
[D-II] E LA VITA ORGANICA
La Shakti divina fa Ritorno a se stessa (prende consapevolezza di sé) tramite i
molteplici Angeli-spirito, che sono suoi aspetti. A loro volta, le shakti angeliche
fanno Ritorno tramite i molteplici Demoni-anima. Le shakti demoniche (Etere),
per fare anch’esse Ritorno, dovrebbero generare direttamente esseri consapevoli,
capaci di volgersi alla contemplazione passiva delle shakti stesse:

Ogni cosa che ha la capacità di conoscere se stessa, è capace di ritornare interamen-


te a se stessa (Proclo; Elementi di teologia, LXXXIII, pp. 77-78).

Nel capitolo n°26 abbiamo visto che le shakti dei Demoni degli Astri [D-I],
pensando, generano la Materia fisica, la quale, però, è inconsapevole, incapace
di prendere coscienza della sua essenza.
È questo il punto d’arrivo di quella che potremmo chiamare “prima fase della
Creazione”, che dall’Infinito ci ha portato giù giù fino alla Materia cosiddetta
“inanimata”. La Realtà ivi compresa è una struttura logica, metafisica, perfetta,
quella che gli gnostici chiamano Plèroma.
L’Anima di un Cosmo, però, non è costituita dai soli Demoni astrali; come
abbiamo detto, gli ordini demonici sono quattro. Saranno gli altri tre ordini a dar
vita alla “seconda fase della creazione”, il Kénoma, la realtà imperfetta, che non
ha più l’Infinito quale fondamento, ma bensì la mera Materia. Qui ci occupiamo
dei Demoni-anima del secondo ordine, chiamati “Geni delle Specie” [D-II].
La Materia ha bisogno di essere “attivata”, “vivificata”, “animata”; l’azione
dei D-II consiste proprio nell’infondere nella Materia bruta la Vita organica, che
altro non è che un primo oscuro “recupero alla coscienza” della Materia:

L’evoluzione della vita […] avviene come se nella materia fosse penetrata un’am-
pia corrente di coscienza, carica, come ogni coscienza, di una molteplicità enorme
di virtualità che si compenetrano […]. La vita, cioè la coscienza lanciata attraverso
la materia (Henry Bergson; L’evoluzione creatrice, p. 177).

I Marut e i Rudra sono le divinità del mondo sottile, della sfera intermedia […].
Rappresentano il respiro vitale del cosmo (vāyu-prāna). Penetrano nei […] centri
vitali di tutti i corpi viventi, dove si manifestano come energie di vita […]. I Rudra
sono dunque i princìpi della vita, intermediari tra gli elementi fisici inconsci e l’in-
telletto, tra la sfera terrestre e quella solare. Imparentati con le divinità che regnano
sulla sfera dello spazio, essi appartengono alla seconda fase dell’evoluzione cosmi-
ca, al secondo stadio della creazione in cui il principio della vita si manifestò nella
materia che fino a quel momento era inanimata (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’In-
dia. I mille volti del pantheon induista, p. 124).

140
Si osservi l’immagine: la shakti dei D-II genera il Logos (che in questo caso
chiamiamo Prâna “vivificatore”) tramite il quale potersi pensare. Ma il D-II non
è potente come il D-I, e non è in grado di generare anche una Sostanza-Illimite
[y] nella quale rispecchiarsi. E allora cosa fa? Egli “vede” una parte del pensiero
oggettivo dei D-I (Materia sensibile e corporea), e la utilizza come “Specchio”.
Pensa se stesso nella Materia, generando così molteplici forme viventi. La sua
“memoria”, impressa nella Materia, si fissa e si trasmette tramite i geni, il DNA:

Anima Monadi CONDIZIONE


[C] particolari AGGIUNTA:
Materia
sensibile
Geni delle
Specie [D-II]

Realtà sovra-fisica
P R
Realtà fisica

Shakti
dei D-II

D-I
GL
P
r
Funzioni ve-
getative: Luna
VV
Facoltà senso-
ESSENZA [x] motorie: Sole
Prâna-logos SOSTANZA [y-x]: Corpi
«vivificatore» [y]: Materia organici della
sensibile Specie vivente
[Terra] [Acqua]

141
Non che la Materia organica così generata riesca a fare già Ritorno... La Vita,
infatti, è tutt’altro che un processo chiaro e cosciente: essa deve vincere l’inerzia
della Materia inorganica, che è molto più forte di lei. Deve procedere a tentoni
fra vicoli ciechi, errori evolutivi ed estinzioni. È pensiero, certo, ma pensiero
molto oscuro, torbido; è torpore. Si tratta soltanto una prima “attivazione”, alla
quale dovranno necessariamente seguire quelle degli altri due ordini demonici:

Le nostre speculazioni hanno suggerito che questo Eros operi fin dall’inizio della
vita e intervenga come “pulsione di vita”, in contrasto con la “pulsione di morte”
sorta con il passaggio alla vita della sostanza inorganica (Sigmund Freud; Al di là
del principio di piacere, p. 97).

In un certo momento le proprietà della vita furono suscitate nella materia inanimata
dall’azione di una forza che ci è ancora completamente ignota. Forse si è trattato di
un processo di tipo analogo a quello che in seguito ha determinato lo sviluppo della
coscienza in un certo strato della materia vivente. La tensione che sorse allora in
quella che era stata fino a quel momento una sostanza inanimata fece uno sforzo
per autoannullarsi; nacque così la prima pulsione, la pulsione a ritornare allo stato
inanimato (Sigmund Freud; Al di là del principio di piacere, p. 63).

Tutte le nostre analisi, infatti, ci mostrano nella vita uno sforzo per risalire la china
che la materia discende. In tal modo esse ci lasciano intravedere la possibilità, la
necessità stessa, di un processo inverso alla materialità […]. Certo, la vita che
evolve alla superficie del nostro pianeta è legata a della materia. Se fosse pura co-
scienza, e a maggio ragione supercoscienza, essa sarebbe pura attività creatrice. Di
fatto, è inchiodata a un organismo che la sottomette alle leggi generali della materia
inerte (Henry Bergson; L’evoluzione creatrice, pp. 235-236).

***

Sappiamo che la Realtà è indivisibile, e che quindi i Geni delle Specie [D-II]
sono soltanto personificazioni di funzioni logiche immanenti al reale. Ciascun
D-II apporta all’evoluzione della Vita determinate Modalità biologiche (funzioni
e facoltà) che caratterizzano una certa Specie distinguendola dalle altre. Trattasi
dunque di una sorta di “anima di gruppo”; l’individuo non è in tal caso il singolo
organismo, ma bensì l’intera Specie intesa unitariamente:

[…] la Terra, come forma fisica, sempre in movimento e perpetuamente mutevole,


è dotata di coscienza […]. L’impulso che ne guida e governa i movimenti attraver-
so lo spazio, facendola girare e ruotare attorno alla nostra stella fissa, il Sole, è
compito degli spiriti della volontà, o troni […]. A staccarsi dalla Seconda Gerarchia
sono le anime collettive, o deva, che animano e penetrano di sé gli esseri del regno
naturale: piante e animali. Ogni specie […] possiede un ego, o anima, collettivo:
“Un essere reale più saggio dell’uomo”, che risiede nel piano astrale, donde dirige

142
ciascun singolo animale sulla Terra attraverso l’istinto (Peter Tompkins; La vita se-
greta della natura, pp. 148-149).

Sono gli Angeli, «signori delle specie» (le Fravarti del mazdeismo), con i differenti
gradi di intensità della loro luminosità, che causano le differenze fra le specie. Non
può esservi corpo naturale che sappia render conto di tali differenze. Ciò che il pe-
ripatetismo considera come il concetto di una specie, cioè un universale logico, al-
tro non sono che le spoglie di un Angelo (Henry Corbin; L’immaginazione creatri-
ce. Le radici del sufismo, p. 21).

L’unità della specie è in un certo senso più vera ed essenziale di quella dell’indivi-
duo [Questa affermazione può sembrare a prima vista paradossale, ma è sufficien-
temente giustificata se si considera il caso dei vegetali e quello di certi animali detti
inferiori, come i polipi e i vermi, per i quali è quasi impossibile riconoscere se si è
in presenza di uno o più individui e determinare in quale misura tali individui sono
veramente distinti gli uni dagli altri, mentre al contrario i confini tra le varie specie
appaiono sempre in modo piuttosto netto] (René Guénon; Gli stati molteplici del-
l’essere, p. 74).

Riguardo il problema legato al migliore criterio da adottare al fine di fornire


una definizione soddisfacente ed universalmente condivisa di “Specie”, scrivono
Borghini e Casetta:

[…] due filosofi della biologia, Michael Ghiselin e […] David Hull, intorno alla
metà degli anni Settanta del secolo scorso hanno proposto una “soluzione radicale”:
le specie non sarebbero insiemi bensì individui (d’ora in poi SCI, Specie Come In-
dividui). Ghiselin scrive […]: «Tradizionalmente, le specie (come gli altri taxa) so-
no state trattate come classi (universali). Invece esse possono essere considerate in-
dividui (cose particolari) […] Se le specie sono individui, allora […] gli organismi
che le costituiscono sono loro parti, non loro membri». Effettivamente, a ben pen-
sarci, le specie - proprio come gli individui concreti, e diversamente dagli oggetti
astratti - […] hanno una sorta di organizzazione interna e di coesione, sono caratte-
rizzate dall’unicità e possono subire molti cambiamenti pur rimanendo le stesse
[…]. La SCI presenta indiscutibili vantaggi. Innanzitutto, se le specie sono indivi-
dui, allora sono oggetti concreti, che hanno una storia e sono compatibili con
l’evoluzione (Andrea Borghini - Elena Casetta; Filosofia della biologia, p. 143).

***

Questa “vivificazione” della Materia inorganica da parte dei D-II non è da


prendersi alla lettera. Solo nel primissimo organismo vivente - presumibilmente
un batterio (denominato “LUCA”: Last Universal Common Ancestor) dal quale,
molto probabilmente, tutti deriviamo - il Genio preposto ha agito direttamente
sulla Materia inorganica.

143
Da allora in poi, nella speciazione le forme viventi si sovrappongono le une
alle altre. Spieghiamoci meglio con un esempio; un ipotetico “Genio-Gatto” non
ha generato il primo gatto apparso sulla Terra agendo direttamente sulla Materia
inorganica, bensì “pensando” sulla Materia organica di una Specie già esistente,
modificandone il corredo genetico e riorganizzandone le Modalità vitali in modo
tale che si potesse parlare di una nuova Specie. Potremmo dire che il D-II non
“vede” che la Materia che utilizza come “specchio” è già utilizzata; anzi, egli la
trova già attivata al punto giusto per poterle dare il proprio apporto evolutivo. La
Vita vive di e su se stessa:

La sopravvivenza di quasi tutti gli esseri viventi presuppone l’esistenza di altri vi-
venti; ogni forma di vita esige che vi sia già della vita nel mondo […]. Vivere è es-
senzialmente vivere della vita altrui: vivere nella e attraverso la vita che altri hanno
saputo costruire o inventare. C’è una sorta di parassitismo, di cannibalismo univer-
sale proprio del dominio del vivente: si nutre di se stesso, contempla solo sé, e ne
ha bisogno per avere altre forme e altri modi d’esistenza. Come se la vita, nelle sue
forme più complesse e articolate, non fosse altro che un’immensa tautologia cosmi-
ca che presuppone se stessa e non produce altro da sé […]. In questo senso, la vita
animale sembra non avere rapporti immediati con il mondo senza vita (Emanuele
Coccia; La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, p. 17).

Altra precisazione: noi chiamiamo i D-II “Geni delle Specie”; in realtà, con
“Specie” intendiamo genericamente anche le altre categorie tassonomiche come
i philia, gli ordini, ecc.

***

Torniamo ad osservare l’immagine; il Prâna-Logos dei D-II cerca di pensarsi


nella Materia generata dai D-I, e “vede” Forme viventi. Si tratta delle cosiddette
funzioni vegetative (respirazione, fotosintesi, nutrizione, metabolismo, crescita,
riproduzione, ecc.), cioè le Modalità primarie che stanno alla base della Vita.
Ed ecco che la Materia così attivata (organica) si volge poi verso lo Specchio
stesso (l’ambiente materiale), ne prende consapevolezza con i sensi e si muove
in esso. E sono queste le facoltà senso-motorie (percezioni sensoriali e motilità),
che tutte le forme viventi, a diversi gradi, posseggono. Vi sono dubbi sul fatto
che le piante sentano e - pur lentissimamente - si muovano? Si vedano gli studi
del professor Mancuso (ad esempio su youtube il video “Esperimento fagiolo”).
Potremmo chiamare queste due opposte orientazioni rispettivamente “y-x” ed
“x”, solo per analogia associandoli agli orientamenti contemplativi. Riguardo le
associazioni simboliche nel contesto cosmologico geocentrico, come ai Demoni
astrali è associato il Cielo di Saturno-Crono, così - nella la nostra concezione - i
Geni delle Specie sono associati sia alla Luna (y-x = funzioni vitali) che al Sole
(x = facoltà senso-motorie e facoltà mentale):

144
[…] la luna, la cui luce ha in sé un potere fecondante e umidificante, favorisce la
riproduzione degli esseri animati e la germinazione delle piante (Plutarco; Iside e
Osiride, 40, pp. 104-105).

Il Perse [“protettore delle messi”; si tratta del quinto dei sette gradi della gerarchia
iniziatica nei misteri di Mitra. N.d.A.] era posto sotto la tutela planetaria della Lu-
na, fonte della vita vegetativa (Laura Simonini; Commento a: Porfirio; L’antro del-
le Ninfe, p. 159).

Il sole è colui che conserva in vita e nutre ogni specie vivente (Corpus Hermeticum,
XVI, 12, p. 271).

I D-II vengono solitamente associati ai Vegetali (nell’Animale si aggiunge il


terzo ordine demonico, e nell’Uomo anche il quarto. Ne riparleremo).
Una precisazione: noi ci concentriamo ovviamente sull’ambito terrestre, ma
quanto diciamo è valido anche per ipotetici scenari alieni. In qualsiasi pianeta
nasca la Vita - se pur avrà forme diverse da quelle del nostro - essa consisterà
comunque in una attivazione di facoltà e funzioni nella Materia inconsapevole.
Il discorso non si chiude qui. Per ora, terminiamo con alcuni approfondimenti
e citazioni riguardo questi enigmatici “Geni delle Specie”.

***

Riguardo la modalità secondo cui si attua l’evoluzione della specie, due sono
le principali teorie: quella - sostenuta anche da Darwin - che prevede variazioni
lievi, impercettibili, e quella che parla invece di variazioni brusche e improvvise.
In ogni caso è indispensabile un intervento del Logos (un Genio che si manifesta
sotto forma di modalità organiche: funzioni vitali e facoltà). Ne parla Bergson:

[…] se le variazioni accidentali che determinano l’evoluzione sono delle variazioni


insensibili, bisognerà fare appello a un buon genio - il genio della specie futura -
che si incarichi di conservare e addizionare queste variazioni, giacché non sarà la
selezione ad occuparsene. Se d’altra parte le variazioni accidentali sono brusche, la
vecchia funzione non continuerà a esercitarsi, né verrà sostituita da una funzione
nuova, a meno che tutti i cambiamenti sopraggiunti insieme non si completino in
vista del compimento di uno stesso atto: bisognerà ancora ricorrere al buon genio,
questa volta per ottenere la convergenza dei cambiamenti simultanei, come prima
era necessario per assicurare la continuità di direzione delle variazioni successive.
In nessuno dei due casi lo sviluppo parallelo di strutture complesse identiche su li-
nee di evoluzione indipendenti potrà dipendere da una semplice accumulazione di
variazioni accidentali (Henry Bergson; L’evoluzione creatrice, pp. 73-74).

***

145
Nell’atteggiamento di due giovani innamorati che si studiano reciprocamente,
«negli sguardi indagatori e penetranti che si scambiano», Schopenhauer scorge
la «meditazione del genio della specie», induttore occulto dell’amore passionale,
nume sopraindividuale cui soggiace ed inconsapevolmente si adegua la volontà
del singolo individuo (che si crede libero). Chiarisce infatti dopo poche pagine:

[…] la specie, nella quale si trova la radice del nostro essere, ha su di noi un diritto
più profondo e anteriore di quello che ha l’individuo; è per questo che le faccende
che lo riguardano hanno la precedenza. Gli antichi, avvertendo tutto questo, perso-
nificarono il genio della specie in Cupido, un dio crudele, malgrado il suo aspetto
infantile, e quindi malfamato, un demone capriccioso e dispotico, ciò nondimeno
signore degli dèi e degli uomini [«Tu, tiranno degli uomini e degli dèi, Amore!»
(EURIPIDE, Andromeda)] (Arthur Schopenhauer; Supplementi a «Il mondo come vo-
lontà e rappresentazione», Libro IV, Capitolo 44, Metafisica dell’amore sessuale,
p. 711).

***

Infine, Schuon ci parla del rapporto dei popoli di cacciatori-raccoglitori con i


Geni delle Specie nel contesto del sacrificio rituale:

[…] i popoli che vivono di caccia non uccidono al modo dei profani del mondo
moderno: l’atto di uccidere la selvaggina esige sempre compensazioni rituali […]
per riconciliarsi con quello che si potrebbe chiamare il «genio della specie»; vi so-
no riti del tutto analoghi nei più diversi popoli cacciatori, e talvolta vengono estesi
perfino alle piante (Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, p. 159).

146
34. I QUATTRO ELEMENTI GROSSOLANI
E LA NATURA VIVENTE [E]

Secondo le dottrine tradizionali, l’Etere o Quintessenza (Âkâsha per gli indù)


è immutabile e trascendente. Esso genera e comprende gli altri quattro Elementi,
i quali sono invece esperibili e soggetti al divenire: Terra, Acqua, Aria e Fuoco.

[…] la parte del cosmo soggetta al divenire e alla corruzione è circoscritta dalla sfe-
ra lunare, e tutto in lei si muove e muta attraverso l’azione dei quattro elementi,
fuoco, terra, acqua e aria (Plutarco; Iside e Osiride, 63, p. 130).

Ma in che cosa consistono tali Elementi?


Secondo alcune interpretazioni moderne, fondate su un approccio scientifico,
i cinque Elementi degli antichi rappresenterebbero rispettivamente:

1. Terra = materia allo stato solido;


2. Acqua = materia allo stato liquido;
3. Aria = materia allo stato aeriforme (gas, vapore);
4. Fuoco = energia in tutte le sue forme (luce, calore, ecc.);
5. Etere = campi quantistici, spazio-tempo.

Ora, i simbolismi non sono dogmi, e possono tranquillamente sovrapporsi fra


loro; quindi, anche questa interpretazione può avere un suo senso.
Ma non è affatto l’unica - anzi, è una concezione tutta moderna, appunto. Noi
seguiremo un’altra strada.
Innanzitutto, l’ordine giusto è secondo noi non quello greco, ma quello indù,
che vede invertiti Aria e Fuoco; dunque: Terra, Acqua, Fuoco, Aria ed Etere.

***

Nel seguente passo, Lorenz ci parla della filosofia dei “4 strati” di Hartmann
(solo una precisazione: con il termine “spirituale” qui si intende “razionale”):

Nel mondo reale in cui viviamo, dice Nicolai Hartmann, incontriamo […] quattro
grandi strati in cui si divide l’essere reale - cioè l’organico, l’inorganico, lo psichico
e lo spirituale […]. I princìpi dell’essere e le leggi naturali valide per il mondo
inorganico si mantengono invariate anche negli strati superiori […]. Si può dire ad
esempio che tutti i processi vitali sono fatti chimici e fisici, che tutti i processi sog-
gettivi della nostra esperienza sono processi organici, fisiologici, e con ciò anche
chimici e fisici, e infine si può anche dire che tutta la vita spirituale dell’uomo è un
processo che si svolge all’interno di tutti gli strati su cui essa si fonda […]. B non è
mai non A, ma sempre A+B, C è A+B+C ecc. (Konrad Lorenz; L’altra faccia dello
specchio, pp. 76, 82-83).

147
Semplificando (saremo più precisi più avanti), questi 4 “strati” corrispondono
alle tappe dell’evoluzione che, dal Minerale hanno portato, attraverso il Vegetale
e l’Animale, all’Uomo (e qui, con “anima” si intende lo psichismo mentale):

La successione degli strati nelle grandi categorie hartmanniane dell’essere corri-


sponde nel modo più evidente all’ordine filogenetico in cui esse hanno fatto la loro
comparsa sulla terra. Gli elementi inorganici erano presenti nel nostro pianeta già
molto tempo prima di quelli organici, e nel corso della filogenesi solo in un secon-
do tempo si svilupparono i centri nervosi cui può essere ascritta un’esperienza sog-
gettiva, un’‘anima’. L’elemento spirituale infine è comparso soltanto durante la fa-
se più recente della creazione (Konrad Lorenz; L’altra faccia dello specchio, p. 78).

ETERE

LOGICA RAZIONALE = ARIA


[UOMO NATURALE]

PSICHISMO MENTALE = FUOCO


[ANIMALE]

VITA ORGANICA = ACQUA


[VEGETALE]

MATERIA INORGANICA = TERRA


[MINERALE]

I 4 Elementi naturali sono innanzitutto la Materia, e poi le tre realtà che, nel
passaggio da uno “strato” all’altro, via via si aggiungono. Vediamo nel dettaglio.

***

I. La Terra corrisponde alla Materia sensibile e corporea, dunque al regno


minerale, soggetto all’esistenza spazio-temporale e alle leggi fisiche e chimiche:

148
Gli antichi consacravano davvero opportunamente antri e caverne al cosmo, consi-
derato nella sua totalità o nelle sue parti, poiché facevano della terra il simbolo del-
la materia di cui il cosmo è costituito (per questo motivo alcuni identificavano terra
e materia) (Porfirio; L’antro delle Ninfe, 5, p. 43).

Per i popoli antichi la materia era quasi un aspetto di Dio. Nelle civiltà comune-
mente chiamate arcaiche, tale visione era immediata e legata all’esperienza sensibi-
le perché, per essa, la materia era la terra nel suo aspetto di perennità, in quanto
principio passivo di tutte le cose visibili (Titus Burckhardt; Alchimia. Significato e
visione del mondo, pp. 48-49).

L’ultima casa prima del solstizio d’inverno è attribuita all’elemento terra; il punto
stesso del solstizio simbolizza quindi il centro di gravità, il punto più basso che sa-
rebbe il grado della materia passiva del mondo umano […]. Partendo da questo
punto, il senso dell’ordine gerarchico cambia e diventa ascendente, procedendo
dall’elementare alla sintesi. Vengono anzitutto i tre regni dei minerali […], delle
piante e degli animali, e in seguito […] dell’uomo (Titus Burckhardt; La chiave
spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ’Arabî, p. 52).

Come abbiamo visto, la Materia (ossia i processi fisici, giacché ogni singola
particella materiale è in realtà un processo, una realtà in movimento) consiste
nel pensato oggettivo dei Demoni degli Astri [D-I], ma qui, nella Natura vivente
(quinto ed ultimo Livello ontologico della Realtà condizionata), essa funge da
Sostanza-Illimite, sostrato e fondamento ontologico della Vita organica.

***

II. L’Acqua è da sempre il simbolo della Vita. Quando piove, essa “feconda”
la Terra, e questa produce una rigogliosa vegetazione. Questo fenomeno naturale
ha fatto sì che l’Acqua venisse presa a simbolo di ciò che “vivifica” la Materia,
la rende da inorganica ad organica, la “anima”. Nel regno vegetale, all’esistenza
fisico-chimica del minerale, della Terra, si aggiungono - come già sappiamo - le
Modalità vitali (funzioni vegetative e facoltà senso-motorie), ossia l’Acqua:

Il regno minerale è la terra, il vegetale l’acqua (Elémire Zolla; Le meraviglie della


natura. Introduzione all’alchimia, p. 31).

Le Ninfe Naiadi sono in particolare le divinità di acque dolci, fonti e sorgenti […].
Pur essendovi varie classificazioni delle ninfe sostanzialmente esse […] sono da
sempre collegate all’acqua che dona e risveglia la vita […]. L’usanza della sposa di
andare al fiume locale, cospargersi d’acqua e rivolgere la preghiera di generare fi-
gli, si fonda sulla credenza nelle potenze generative e datrici di vita dell’acqua;
l’acqua rappresenta o conferisce il seme (Laura Simonini; Commento a: Porfirio;
L’antro delle Ninfe, pp. 112-114).

149
L’attrazione all’umido rientra nel campo più vasto del simbolismo dell’acqua, se-
gno di fecondità e generazione: l’acqua, femminile, plasma della terra da cui nasce
la vita, è elemento cosmogonico, anche come pioggia celeste (= seme) che feconda
la terra (Laura Simonini; Commento a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, p. 127).

***

III. Il Fuoco corrisponde allo Psichismo mentale. Nell’animale si aggiungono


infatti le facoltà psichiche (ovvero memoria, immaginazione, volontà, emozioni,
sentimenti e consapevolezza). Si pensi ad esempio alle api, le quali si orientano
mediante delle vere a proprie mappe mentali cognitive. Le caratteristiche fisiche
del Fuoco, luce e calore, simbolizzano rispettivamente la “luce interiore” (ossia
le rappresentazioni nello “spazio mentale”, l’immaginazione, la memoria, ecc.) e
il lato istintivo, emotivo e passionale. Lo Psichismo corrisponde sostanzialmente
alla “manifestazione sottile”, relativa agli oggetti interni e alla vita mentale:

La seconda condizione è Taijasa (il “Luminoso”, nome derivato da Têjas, che è la


designazione dell’elemento igneo), la cui sede è nello stato di sogno […], e ha per
dominio il mondo della manifestazione sottile (René Guénon; L’uomo e il suo di-
venire secondo il Vêdânta, p. 89).

***
IV. L’Aria corrisponde a ciò che si aggiunge nell’uomo naturale, ovvero la
logica razionale, l’astrazione, le capacità matematiche, il pensiero concettuale e
discorsivo, il linguaggio verbale, il senso interno e l’auto-consapevolezza:

[…] l’aria è il più nobile dei quattro elementi (Paracelso. Citazione tratta da: Franz
Hartmann; Il mondo magico di Paracelso, p. 155).

Questa presunta superiorità è reale solo dal punto di vista dell’uomo; infatti, i
condizionamenti si aggiungono e, mentre la pietra è soggetta soltanto alle leggi
fisiche e chimiche, l’uomo è soggetto a tutte le condizioni. Ma, come vedremo,
la sua auto-consapevolezza può renderlo lo strumento del Cosmo per conoscersi,
cioè per fare Ritorno a se stesso. Infatti, l’Aria è anche respiro, espirazione ed
inspirazione, Processione e Ritorno. Ne riparleremo.

***

V. L’Etere - e quindi la Singolarità iniziale, il punto principiale dello Spazio-


Tempo - è il fondamento degli altri quattro Elementi (che sono le radici o i semi
potenziali, le possibilità di manifestazione), in quanto li contiene tutti in sé.

150
***
Nell’uomo, che è formato da tutti e quattro gli Elementi, essi rappresentano il
Corpo [I] organico [II] e la Mente [III] razionale [IV]. Egli, infatti, compendia in
qualche modo l’intera realtà naturale. Ovviamente i “confini” qui delineati fra i
regni non sono così rigidi. Non ragioniamo infatti in termini tassonomici, bensì
in termini indicativi di “modalità di esistenza”. I virus, ad esempio, sono a metà
strada fra gli esseri inorganici e gli esseri viventi. La sezione “vegetali” include
qui simbolicamente - anche se impropriamente - i batteri, i protisti, i cromisti, i
funghi e finanche gli animali più semplici, privi di cervello oppure dotati di un
cervello rudimentale, incapace di generare rappresentazioni interne (si intendono
insomma gli esseri viventi dotati di sensi ma privi di mente). Negli animali più
evoluti (grandi scimmie antropomorfe, suini, delfini, ecc.) è presente un accenno
significativo di capacità logiche e di autoconsapevolezza.
Insomma, questi quattro “strati” non vanno intesi come stacchi ontologici, ma
come uno sviluppo nel continuum. La Vita è unitaria.
Nel seguente passo, Damasio descrive i tre successivi apporti alla Materia,
mettendone in risalto la profonda integrazione nell’organismo:

In una prospettiva evoluzionistica, il più antico dispositivo di decisione attiene alla


regolazione biologica di base [II. Acqua]*; quello successivo al regno personale e
sociale [III. Fuoco]*; il più recente, a un insieme di operazioni astratte e simboliche
tra le quali si possono trovare il ragionamento scientifico, quello artistico, quello
utilitaristico-ingegneristico, gli sviluppi del linguaggio e della matematica [IV.
Aria]*. Ma anche se ere di evoluzione e di sistemi neurali dedicati possono conferi-
re una certa indipendenza a ognuno di questi «moduli» di ragionamento/decisione,
io credo che essi siano tutti interdipendenti. Quando vediamo segni di creatività ne-
gli esseri umani di oggi, stiamo probabilmente assistendo all’operare integrato di
svariate combinazioni di tali dispositivi (Antonio Damasio; L’errore di Cartesio.
Emozione, ragione e cervello umano, p. 267). *N.d.A.

È la Ragione - l’ultima arrivata - che categorizza. E, non a caso, sono proprio


queste (Materia sensibile, Vita organica, Psichismo mentale, Ragione) le quattro
categorie o condizioni secondarie (le primarie, ricordiamolo, erano: Relazione,
Quantità, Qualità, Spazio-Tempo). A prescindere dalle nostre categorie, non vi è
separazione alcuna nel reale:

Abbiamo iniziato come minerali.


Siamo poi emersi alla vita della pianta
e in seguito allo stato animale.
Infine siamo divenuti esseri umani
e sempre abbiamo dimenticato
le forme precedenti…
(Gialâl ad-Dîn Rûmî).

151
35. LE CARATTERISTICHE DELLA VITA ORGANICA
Che differenza c’è tra natura vivente e natura non vivente o “inanimata”?
Se le osserviamo da vicino, notiamo che la prima possiede più informazione
rispetto alla seconda:

G.B. - Davanti a me, sul davanzale della finestra, c’è una farfalla che si è posata vi-
cino a un sassolino. Quella è vivente, questo no, ma quale è, precisamente, la diffe-
renza tra i due? Se consideriamo la cosa a livello nucleare ovvero sulla stessa scala
delle particelle elementari, sasso e farfalla sono rigorosamente identici. Al livello
appena più alto, quello atomico, vengono alla luce alcune differenze che riguardano
però solo la natura degli atomi e restano quindi poco significative. Passiamo al pia-
no successivo; eccoci nel reame delle molecole. Questa volta le differenze sono
molto più importanti e riguardano gli scarti di materia tra il mondo minerale e quel-
lo organico. Ma il salto decisivo avviene solo a livello delle macromolecole. È a
questo stadio che la farfalla appare infinitamente più strutturata, più ordinata del
sasso. Questo piccolo esempio ci ha permesso di cogliere la sola differenza fonda-
mentale tra l’inerte e il vivente; quest’ultimo è semplicemente più ricco di informa-
zione dell’altro. J.G. - Sia pure. Ma se la vita non è altro che materia meglio infor-
mata, da dove viene questa informazione? (Jean Guitton, Grichka Bogdanov e Igor
Bogdanov; Dio e la scienza. Verso il metarealismo, pp. 35-36).

“Da dove viene questa informazione?”, chiede Guitton. Nella Bibbia, questa
azione informante e vivificante è espressa nella seguente frase:

Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici
un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Libro della Genesi, 2, 7).

***

Gli esseri viventi, al contrario dei non-viventi:

1. Sono auto-replicanti, si riproducono (e lo fanno con sostanziale invarianza).


2. Scambiano costantemente energia con l’ambiente circostante, trasformandola
(metabolismo), e hanno la capacità di scambiarsi informazioni fra loro.
3. Sono complessi (contengono molta più informazione dei minerali inorganici).
4. A temperature alte bruciano (le molecole organiche si fondano sul carbonio).
5. Sono teleonomici (le loro azioni sono finalizzate ad un obiettivo).
6. Possiedono modalità interne d’autoregolazione (processi biochimici, enzimi).
7. I geni (portatori dei caratteri ereditari) hanno una caratteristica particolare ed
unica nel mondo naturale: sono cristalli aperiodici. È la teoria di Schrödinger.

152
Semplificando, però, potremmo limitarci a dire che la caratteristica peculiare
degli esseri viventi è l’organizzazione cellulare:

L’elemento fondamentale nella costituzione degli esseri viventi è la membrana cel-


lulare […]. Le cellule viventi oltre a separare il sé dal non sé sono in grado di
estrarre energia dall’ambiente (metabolismo), sono in grado di autoripararsi, di ri-
prodursi e di agire sull’ambiente (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza
religiosa, p. 68).

Il fenomeno vita è unico, raro o ampiamente rappresentato in questo universo ed


eventualmente negli ipotetici universi paralleli? […]. A tutta la discussione si do-
vrebbe premettere una definizione di vita, ma la cosa ci porterebbe troppo lontano;
perciò conviene limitarsi a precisare semplicemente che per vita si intende quel
complesso di fenomeni che presuppongono un’organizzazione cellulare: empirica-
mente la vita può essere assimilata a tutti gli effetti alle cellule (Martino Rizzotti;
Molti universi, una sola vita? Citazione tratta da: Immagini del cosmo. Cosmolo-
gia, filosofia, arte, p. 151).

***

Molto probabilmente, i primi organismi pluricellulari sono nati dall’unione


simbiotica di singoli organismi unicellulari che hanno - per così dire - rinunciato
all’indipendenza perché hanno in qualche modo “compreso” che conveniva loro
cooperare piuttosto che competere.
Nel corso dell’evoluzione questi aggregati si sono complessificati: le singole
cellule si sono via via moltiplicate, differenziate e specializzate in proprietà e
funzioni diverse, dando forma così ai vari tessuti e organi (cervello compreso), e
quindi alle ricchissime e multiformi forme viventi del nostro pianeta.
All’interno delle nostre cellule vi sono addirittura dei corpuscoli (mitocondri)
che possiedono un codice genetico diverso dal resto dei nostri tessuti; si pensa si
tratti di batteri i quali sono stati integrati nel nostro organismo in qualche stadio
avanzato dell’evoluzione. Questo significa che il corpo di un essere umano è una
combinazione altamente differenziata di miliardi di organismi che vivono solo
ed esclusivamente nella loro reciproca relazione e interdipendenza. Tutta la vita
del pianeta è strettamente interconnessa. Di più, unitaria:

Considerata nella sua totalità, la sostanza vivente diffusa sulla Terra traccia, sin
dalle prime fasi della sua evoluzione, i lineamenti di un solo e gigantesco organi-
smo […]. Per cogliere la Vita bisogna non perdere mai di vista l’unità della Biosfe-
ra, che sovrasta la pluralità e le sostanziali rivalità delle singole esistenze […]. Nel
suo più intimo recesso, il mondo vivente è costituito da una coscienza rivestita di
carne ed ossa. Dalla Biosfera alla Specie, vi è quindi un’immensa ramificazione di
psichismo che cerca se stesso attraverso svariate forme (Pierre Teilhard de Chardin;
Il Fenomeno umano, pp. 105-142).

153
***

La Vita è, secondo Lorenz, un processo al contempo energetico e cognitivo.


A ogni nuova acquisizione evolutiva vi è una riconfigurazione gestaltica di tutto
il sistema:

energia sapere

VITA
ORGANICA

sapere energia

[…] la vita è, per una parte costitutiva della sua essenza, un processo conoscitivo
(Konrad Lorenz; L’altra faccia dello specchio, p. 286).

Tutti i sistemi viventi sono costituiti in modo tale da essere in grado di attirare a sé
e di accumulare energia […]. È evidente che quanto più energia hanno inghiottito i
sistemi viventi, tanto più sono in grado di inghiottirne ancora […]. I sistemi organi-
ci si differenziano da quelli inorganici […] in un punto fondamentale: essi debbono
la loro capacità di procurarsi energia a particolari, e spesso complicatissime struttu-
re fisiologiche. Queste strutture sono state elaborate dagli esseri viventi nel corso
della loro evoluzione o filogenesi, attraverso un processo che li rende particolar-
mente idonei a procurarsi e ad accumulare energia (Konrad Lorenz; L’altra faccia
dello specchio, pp. 47-48).

Tanto l’apparato mediante il quale il genoma acquisisce conoscenze, quanto quello


con cui l’uomo indaga scientificamente vengono modificati da ogni nuova acquisi-
zione di sapere […]. In entrambi ogni nuova acquisizione di sapere aumenta le
chances di procurarsi energia e, con ciò, anche la probabilità di un ulteriore apporto
di sapere. […] la vita persegue in modo estremamente attivo un’impresa il cui fine
è contemporaneamente l’acquisizione di un ‘capitale’ di energia e di un accumulo
di sapere, in un rapporto reciproco per cui il possesso dell’uno provoca l’ottenimen-
to dell’altro (Konrad Lorenz; L’altra faccia dello specchio, pp. 56 e 60).

154
[…] attraverso l’unificazione di sottosistemi preesistenti, si determina una nuova
unità organica dotata di caratteristiche e di prestazioni nuove (Konrad Lorenz;
L’altra faccia dello specchio, p. 281).

La pressione selettiva che spinge a incrementare il patrimonio di informazioni rile-


vanti per la conservazione della specie è tanto onnipresente da poter essere ben suf-
ficiente a giustificare la direzione generale degli eventi evolutivi, dagli stati ‘infe-
riori’ a quelli ‘superiori’ (Konrad Lorenz; L’altra faccia dello specchio, p. 62).

Da dove viene - dunque - questa informazione?


Perché la Natura cerca di accumulare sapere?
Abbiamo visto come, secondo la filosofia delle Corrispondenze universali, la
trasformazione della Materia “inanimata” in Materia organica informata derivi
dall’azione dei “Geni delle Specie”, i quali simbolizzano il Logos vivificante nel
contesto del processo dell’Auto-Contemplazione del Reale:

Se noi siamo fatti di atomi, uno scienziato che studia degli atomi è in realtà un
gruppo di atomi che studia se stesso. L’uomo non è altro che uno strumento del co-
smo per conoscere se stesso (Carl Sagan).

Noi siamo l’incarnazione locale di un Universo cresciuto fino all’autocoscienza.


Abbiamo incominciato a comprendere la nostra origine: siamo materia stellare che
medita sulle stelle (Carl Sagan).

La natura non cerca forse, in fondo, di conoscere se stessa? (Johann Wolfgang von
Goethe. Citazione tratta da: Arthur Schopenhauer; Il mondo come volontà e rap-
presentazione, p. 2).

155
36. LA COMPARSA DELLA MENTE NELL’EVOLUZIONE
L’intelligenza e la coscienza non sono necessariamente legate a un cervello:

Talvolta sentiamo dire: “In noi la coscienza è legata a un cervello; dunque, bisogna
attribuire la coscienza agli esseri viventi che hanno un cervello, e negarla agli altri”.
Ma vi accorgerete subito del vizio di quest’argomentazione. Ragionando nello stes-
so modo, potremmo anche dire: “In noi la digestione è legata a uno stomaco; dun-
que, gli esseri viventi che hanno uno stomaco digeriscono, e gli altri non digerisco-
no”. In questo caso ci sbaglieremmo di grosso perché, per digerire, non è necessa-
rio possedere uno stomaco, e neppure possedere degli organi: un’ameba digerisce,
nonostante non sia altro che una massa protoplasmatica appena differenziata (Hen-
ry Bergson; L’energia spirituale, p. 7).

L’intelligenza è una proprietà della vita, qualcosa che deve essere posseduta anche
dal più umile organismo unicellulare. Ogni essere vivente è chiamato di continuo a
risolvere questioni che nella loro essenza non sono così diverse da quelle che af-
frontiamo noi. Provate a pensarci: cibo, acqua, dimora, compagnia, difesa, riprodu-
zione […]. Se definiamo l’intelligenza come la capacità di rispondere ai problemi,
allora non è possibile in alcuna maniera tracciare una soglia artificiale al di sopra
della quale l’intelligenza appare e al di sotto della quale ci sono invece gli automi
(ossia esseri che rispondono agli stimoli ambientali in modo automatico) (Stefano
Mancuso e Alessandra Viola; Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo
vegetale, p. 112).

Nella vita di noi esseri umani, ovviamente, senza il cervello non vi sarebbe
nemmeno intelligenza. Ma noi non siamo gli unici esseri sulla faccia della Terra.
A rigore, non siamo nemmeno la specie dominante (anche se siamo certo quella
che modifica maggiormente l’ambiente, e quindi la più dannosa):

In biologia si definisce dominante la specie che si ricava maggiore spazio vitale a


discapito delle altre, dando prova in questa competizione di una migliore adattabili-
tà all’ambiente e di una superiore capacità di risolvere i problemi che naturalmente
si presentano a ogni essere vivente nella lotta per la sopravvivenza. L’assunto è
piuttosto chiaro: più una specie è diffusa, maggiore peso specifico essa possiede
all’interno dell’ecosistema […]. Ebbene le piante sono gli esseri dominanti, mentre
la presenza animale è registrabile soltanto a tracce. La spiegazione non può che es-
sere una: le piante sono organismi molto più raffinati, adattabili e intelligenti di
quanto siamo soliti pensare (Stefano Mancuso e Alessandra Viola; Verde brillante.
Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 107).

[…] non esistono organismi più o meno evoluti: da un punto di vista darwiniano,
tutti gli esseri viventi che oggi popolano la Terra sono all’apice del loro ramo evo-
lutivo, altrimenti si sarebbero estinti (Stefano Mancuso e Alessandra Viola; Verde
brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, p. 19).

156
A un certo punto, nel corso dell’evoluzione, alcune cellule si specializzarono
nelle funzioni nervose, e si venne a formare così il primo rudimentale cervello:

[…] man mano che il corpo vivente si complica e si perfeziona, il lavoro si divide;
alle diverse funzioni sono assegnati organi differenti; […] nell’uomo la coscienza è
incontestabilmente legata al cervello; ma non ne consegue che un cervello sia indi-
spensabile alla coscienza. Più si scende nella gerarchia animale, più i centri nervosi
si semplificano e si separano gli uni dagli altri; alla fine gli elementi nervosi scom-
paiono, confusi nella massa di un organismo meno differenziato: non dovremmo
supporre forse che, se in cima alla gerarchia degli esseri viventi la coscienza si fissa
in centri nervosi molto complicati, essa accompagni il sistema nervoso lungo tutta
la discesa, e che quando la sostanza nervosa si fonde infine con una materia vivente
indifferenziata, la stessa coscienza vi si disperda, diffusa e confusa, ridotta a ben
poco, ma non annullata? Dunque, a rigore, tutto ciò che è vivente potrebbe essere
cosciente (Henry Bergson; L’energia spirituale, pp. 7-8).

I cervelli più semplici (ad esempio quello di certi vermi, costituito da soli 200
neuroni circa) sono integralmente assorbiti nella regolazione e nel controllo delle
funzioni vitali e corporee. In organismi più complessi, muniti di cervelli mag-
giormente sviluppati, accade però che alcuni neuroni cerebrali comunicano non
più soltanto con il sistema nervoso periferico, ma anche internamente fra di loro.
Il cervello comincia per così dire a “parlare” a se stesso, pensa, riflette, ricorda
esperienze passate (si ripristinano connessioni già precedentemente attivate fra
le sinapsi) e a presagire eventi futuri (si creano nuovi circuiti neuronali, e quindi
la capacità di astrazione). Questa utilissima acquisizione evolutiva coincide con
la nascita delle rappresentazioni interne, cioè della Mente:

Si consideri che il cervello riceve segnali non solo dal corpo, ma - in alcuni suoi
settori - da proprie parti che ricevono segnali dal corpo! […]. Ma organismi com-
plessi quali i nostri non si limitano a interagire, a generare le risposte esterne -
spontanee o reattive - complessivamente designate come comportamento. Essi ge-
nerano anche risposte interne, alcune delle quali costituiscono immagini (visive,
uditive, somatosensoriali, ecc.), che io suppongo essere la base della mente […]. A
mio giudizio, allora, avere una mente significa questo: un organismo forma rappre-
sentazioni neurali che possono divenire immagini, essere manipolate in un processo
chiamato pensiero e alla fine influenzare il comportamento aiutando a prevedere il
futuro, a pianificare di conseguenza e a scegliere la prossima azione (Antonio Da-
masio; L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, pp. 139-141).

In breve, la mente cosciente emerge nella storia della regolazione della vita - un
processo dinamico sinteticamente indicato con il termine di omeostasi -, la quale ha
inizio in creature unicellulari come i batteri o le semplici amebe, che pur non aven-
do un cervello sono capaci di comportamenti adattativi. Prosegue poi in individui il
cui comportamento è controllato da un cervello semplice (per esempio i vermi) e
continua la sua marcia negli individui il cui cervello genera sia il comportamento,

157
sia i processi della mente (gli insetti e i pesci sono un esempio di questo livello)
(Antonio Damasio; Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, pp.
40-41).

Nelle api, ad esempio, la presenza di una forma di comunicazione simbolica


basata su determinati movimenti del corpo (il linguaggio della danza), messa in
atto per indicare la direzione e persino la distanza di una fonte di cibo, ci rivela
che esse possiedono mappe mentali, memoria, facoltà immaginativa, e quindi
una modalità - seppur basilare - di pensiero.
Abbiamo visto in precedenza come per Hartmann e Lorenz vi siano in Natura
quattro “strati”: 1) Materia inorganica; 2) Vita organica; 3) Psichismo mentale;
4) Pensiero razionale (grosso modo corrispondenti ai regni Minerale, Vegetale,
Animale ed Umano). Fra ciascuno di questi strati ed il successivo vi è un “salto”
ontologico, consistente in un’acquisizione di maggior consapevolezza.
Ebbene, quello fra la Vita organica e lo Psichismo mentale è decisamente il
salto più grande. La Materia organica, infatti, è pur sempre Materia, e il Pensiero
razionale è pur sempre Psichismo; ma come il Pensiero scaturisca dalla Materia
è qualcosa di più notevole, giacché vi è in esso l’affrancamento dalle percezioni
sensibili e la nascita di una nuova sostanza astratta e sottile (che chiameremo
Materia psichica) consistente in uno spazio interiore in cui viene rappresentata
una sorta di “copia mentale” della realtà sensibile - certo meno reale di questa
ultima, ma comunque non irreale - e soprattutto molto più facilmente plasmabile
e modificabile a piacere con la volontà soggettiva:

[…] la spaccatura tra fisico e psichico è, in linea di principio, di natura diversa dalle
altre due grandi cesure che dividono la struttura a strati del mondo reale: la cesura,
cioè, che separa la materia inorganica dalla vita e quella che separa l’uomo
dall’animale. Entrambe queste cesure […] sono […] superabili attraverso un conti-
nuum pensabile di forme intermedie […]. Lo iato esistente tra corpo e anima è in-
vece insuperabile; anche se, forse, come ha detto Nicolai Hartmann, lo è «soltanto
per noi», cioè solo per l’apparato conoscitivo di cui siamo provvisti […]. Le leggi
proprie dell’esperienza soggettiva non possono essere spiegate nel loro fondamento
sulla base di leggi chimico-fisiche, e nemmeno sulla base della struttura, per quanto
complessa, dell’organizzazione neurofisiologica. Le altre due grandi cesure sono
superabili, almeno in linea di principio, cioè i processi evolutivi che dalla materia
inorganica portano a quella organica e dall’animale all’uomo sono ugualmente ac-
cessibili alla problematica e alla metodologia delle scienze naturali, anzi, essi sono,
in un qualche misterioso modo, simili tra loro. I parallelismi - quasi vorrei dire: le
analogie - che sussistono tra queste due folgorazioni, le più importanti che si siano
mai verificate nella storia del nostro pianeta, inducono a riflessioni profonde (Kon-
rad Lorenz; L’altra faccia dello specchio, pp. 285-286).

In ciascuno dei tre “salti” ontologici di cui abbiamo parlato vi è un intervento


metafisico da parte di un determinato ordine demonico. Lo Psichismo mentale
consiste, come vedremo, nell’apporto dei Demoni del terzo ordine [D-III].
158
37. I “DESTINI DEI POPOLI”
[D-III] E LA STORIA
Secondo il filosofo, sociologo e psicologo George Herbert Mead, i processi
sociali determinano - e dunque precedono - i processi mentali. In altri termini, i
contenuti oggettivi del nostro pensiero individuale sono in ampia misura indotti
dall’ambiente sociale, in quanto sono il risultato del linguaggio, della cultura e
dell’educazione; quindi, noi non concepiamo affatto la realtà, ma bensì una sua
rappresentazione elaborata nel e dal contesto sociale in cui siamo integrati.
Possiamo quasi dire che non siamo noi a pensare, ma che siamo pensati dalla
società. Non, ovviamente, nel senso che essa esercita la facoltà pensante al posto
nostro, ma piuttosto che ciò che siamo (la nostra mentalità, il modo di pensare,
la visione del mondo, le opinioni che ci facciamo sulle cose) ci viene in qualche
modo inculcato automaticamente dal contesto socio-culturale in cui siamo nati e
nel quale siamo stati plasmati. Il senso di appartenenza è fortissimo. È difficile
affrancarsi dal proprio contesto sociale e integrarsi in una cultura diversa.

[…] non pensare che la tua mente non stia tentando […] trucchi. È molto intelligen-
te, e poiché tu pensi che si tratti della tua mente, non la metti mai in dubbio: non è
tua, è solo un prodotto sociale. Non è tua! Ti è stata data, ti è stata forzata addosso.
Ti è stato insegnato e sei stato condizionato in un certo modo. Fin dalla prima in-
fanzia la tua mente è stata creata da altri: dai genitori, dalla società, dagli insegnan-
ti. È il passato a crearla, a influenzarla […]. Ma tu sei talmente intimo con la tua
mente, la distanza è così minima, che ti identifichi con essa. Dici: “Sono un hindu”.
Pensaci su; riconsidera la cosa. Tu non sei un hindu: ti è solo stata data una mente
hindu […]. Ricorda, la tua mente non è tua, il tuo corpo non è tuo: viene dai tuoi
genitori […]. Chi sei tu? O ci si identifica con il corpo, oppure con la mente. Tu
pensi di essere giovane, pensi di essere vecchio, pensi di essere hindu, pensi di es-
sere giainista, pensi di essere parsi. Non lo sei! Tu sei nato come pura consapevo-
lezza. Tutte queste non sono che prigioni (Osho; Il libro dei segreti, pp. 108-109).

La forma mentis ci condiziona molto, e ogni condizionamento è di fatto una


limitazione. Come ci spiega Simone Weil, Platone chiama la società “il grosso
animale”, e la considera un ostacolo alla realizzazione spirituale:

Ciò che impedisce all’anima di assimilarsi a Dio mediante la giustizia, è prima di


tutto la carne. Platone dice, seguendo il pensiero degli orfici e dei pitagorici: «Il
corpo è la tomba dell’anima» […]. Ma un ostacolo più grande della carne è la so-
cietà […]. La moltitudine si impone sotto diversi nomi, in tutte le società senza ec-
cezione […]. Regola: non sottomettersi alla società fuori dell’ambito delle cose ne-
cessarie. È difficile afferrare la portata di questa concezione di Platone, perché non
si sa fino a che punto si è schiavi delle influenze sociali. Per la sua stessa natura
questa schiavitù è quasi sempre inconscia […]. Di fatto, tutto ciò che contribuisce
alla nostra educazione consiste esclusivamente in cose che in un’epoca o nell’altra

159
sono state approvate dal grosso animale […]. La storia; gli uomini il cui nome è
giunto fino a noi furono resi celebri dal grosso animale (Simone Weil; La Grecia e
le intuizioni precristiane, pp. 45-49).

L’associazione con un “animale” trova giustificazione nel fatto che la società


è sempre mossa da uno psichismo irrazionale: emotività, volontà cieca, passioni
incontrollate (basti pensare alle masse, organismi stupidi e inconsapevoli).
Solo i singoli individui possono possedere - non sempre - la ragione e l’etica.
Se un popolo dà prova di buon senso è perché, casualmente, si ritrova ad avere
delle guide particolarmente illuminate. Ecco spiegata l’assenza di lungimiranza
e di ragionevolezza nei rapporti fra gli stati: prevalgono sempre ragioni istintive,
di pancia, come si dice, agite da una qualche istanza dell’inconscio collettivo.

***

Abbiamo visto che i Geni delle Specie [D-II = Demoni del 2° ordine] sono
una sorta di cumulativa “anima di gruppo”, la quale soprastà alle modalità vitali
(facoltà e funzioni) delle categorie tassonomiche (philia, classi, ordini, ecc.), da
noi raccolte - pur impropriamente - sotto la comune denominazione di “Specie”.
Come entità intermedia fra la Specie (più universale) ed il singolo Individuo,
vi è il Gruppo sociale, ossia una collettività organizzata di individui della stessa
specie vivente (conspecifici) posti in correlazione comunitaria fra loro.
Solo gli animali dotati di una mente (e quindi di Psichismo) si raggruppano in
comunità. Gli animali sociali, soprattutto, ma non solo. Anche animali solitari
come i gatti interagiscono all’interno di nuclei relazionali; il fatto di leccarsi fra
loro, ad esempio, è un segno di appartenenza al medesimo “contesto famigliare”.
Nelle piante e negli animali più semplici (privi di mente), invece, non si può
assolutamente parlare di relazioni sociali, ma soltanto di simbiosi biologica.
Come la Specie vivente, anche il Gruppo sociale è da considerarsi un vero e
proprio individuo dotato di soggettività e volontà propria. Pensiamo all’alveare:

Quando vediamo […] le api di un alveare formare un sistema così strettamente or-
ganizzato che nessuno degli individui può vivere isolato per più di un certo tempo,
anche se gli si forniscono alloggio e nutrimento, come non riconoscere che
l’alveare è realmente, e non metaforicamente, un organismo unico, di cui ogni ape
è una cellula unita alle altre da legami invisibili? (Henry Bergson; L’evoluzione
creatrice, p. 163).

Passando a considerare le società umane, alcuni filosofi romantici parlano del


Volksgeist (“spirito del popolo”); tale termine è stato introdotto da Hegel, ma il
concetto è già presente in Johann Gottfried Herder nell’ambito del movimento
culturale Sturm und Drang (metà XVIII secolo), precursore del Romanticismo:

160
Secondo Herder l’essere umano è inserito in quanto individuo nella comunità, che è
a sua volta un’individualità, anche se di maggiori dimensioni. Herder vede centri
concentrici - la famiglia, le tribù, i popoli, le nazioni fino alla comunità delle nazio-
ni - che costituiscono a mano a mano, ognuno al suo livello, una sintesi spirituale.
A proposito dei popoli, Herder parla di spirito dei popoli […]. Come i singoli indi-
vidui fra di loro, anche le unità maggiori costituiscono una pluralità: quella degli
spiriti dei popoli. Per arrivare sulle tracce di questi spiriti dei popoli, […] Herder
progettò di raccogliere canti popolari e altre testimonianze culturali (Rüdiger Sa-
franski; Il Romanticismo, p. 22).

La pratica della dialettica ha permesso ad Hegel di giustificare intellettualmente


una delle sue intuizioni più tenaci: ogni periodo storico presenta un carattere speci-
fico, e l’estrema diversità dei fenomeni che vi si scoprono offre una colorazione
comune. L’ammasso dei fatti oggettivi, in ogni epoca, è retto da un «determinante
assoluto» che li provvede di un’unità subordinandoseli: lo Spirito. Un periodo sto-
rico si distingue attraverso la supremazia di un popolo, la sua leadership […]. Ora,
ciò che è all’origine di tutte le opere e di tutte le imprese di questo popolo, è il suo
spirito, lo spirito di un popolo, lo spirito nazionale (Volksgeist). […] è lo spirito na-
zionale, come realtà essenziale che, secondo Hegel, genera, in ultima istanza, tutte
le istituzioni ed ispira tutte le azioni che illustreranno quell’epoca […]. Dunque, ad
ogni epoca il suo principio di base! I princìpi successivi differiscono gli uni dagli
altri e s’oppongono tra di loro. Hegel cerca di rendere conto, nella situazione cultu-
rale in cui vive, dell’eterogeneità delle sequenze storiche. La sostituzione di un
principio superato, incarnato da un popolo, conclude una lotta ardente tra i due po-
poli […]. Gli spiriti nazionali (sia i popoli sia le culture) si succedono senza somi-
gliarsi ed anche contraddicendosi bruscamente l’un l’altro, in modo tale che cia-
scuno di essi si sente come straniero rispetto agli altri. Così l’individuo che vive
sotto l’egida dello spirito di un’epoca caratterizzata da un Volksgeist specifico,
comprende difficilmente gli uomini degli altri secoli o delle altre nazioni […]. C’è,
dunque, una discontinuità delle figure successive della storia, degli stacchi qualita-
tivi tra di esse. Questa discontinuità scoppia concretamente nelle guerre e nelle ri-
voluzioni. Quando un nuovo spirito prende «lo scettro del mondo» tutto cambia:
costumi, arte, religione, industria, diritto, filosofia. O piuttosto, esso è il cambia-
mento stesso di tutto ciò, poiché non opera come un soggetto esterno su di un corso
del mondo che sarebbe allora il suo oggetto, ma esso è l’anima immanente a tutti i
momenti ed alla totalità di questo processo, e dà la sua colorazione specifica a cia-
scuna tappa […]. Gli spiriti nazionali si contraddicono e si combattono, ma come i
momenti di un processo unitario e dinamico che ingloba la loro diversità: il proces-
so dello Spirito mondiale. Ogni Spirito nazionale, dopo essersi sviluppato e com-
piuto, conosce il destino di ogni individualità: perisce. La totalità delle sue produ-
zioni e delle sue forme oggettive diventa allora «la materia prima» di una nuova
creazione dello Spirito mondiale che si era esso stesso formato nell’esperienza di
questa individualità nazionale. Questa elaborazione non consiste in una semplice
rassegna delle immagini che lo Spirito mondiale si darebbe da se stesso. È un’ope-
razione effettiva, un’opera: lo Spirito mette di nuovo in opera ognuna delle sue
produzioni anteriori, si dà la pena di «elaborarla». In una tale prospettiva, gli aspetti

161
della storia, per quanto differenti gli uni dagli altri possano apparire, per quanto op-
posti siano gli uni agli altri realmente, restano tuttavia in connessione: tutto è colle-
gato. Ogni fenomeno storico si costituisce in entità relativamente indipendente, do-
tata di un’efficacia propria, sottomessa ad un destino specifico: la sua differenza la
individualizza. Ma, da una parte, ogni sfera della vita differenziata è inglobata in
una sfera superiore, e d’altra parte, questa sfera superiore non è altro che la totalità
delle sfere subordinate. La storia non ha un soggetto esterno a se stessa, ma essa si
esplicita in una struttura dialettica (Jacques D’Hondt; Hegel, pp. 107-110).

Noi chiamiamo “Destini dei Popoli” [D-III] tali Demoni del 3° ordine, senza
distinguere fra entità che soprastanno a comunità animali o umane. Anzi, anche
qui con il termine Popoli indichiamo - sempre impropriamente - tutte le possibili
cellule comunitarie (alveari, colonie, stormi, branchi, famiglie, clan, tribù, caste,
nazioni, popoli, gruppi etnici, linguistici, politici, economici, religiosi, ecc.).
I Destini dei Popoli pensano e plasmano la storia umana proprio come i Geni
delle Specie pensano e plasmano l’evoluzione biologica. I secondi determinano
la natura vivente mediante i geni (i cromosomi), mentre i primi determinano la
cultura tramite i memi (gli elementi culturali: idee, simboli, norme, tradizioni,
schemi comportamentali, usi, costumi, miti, riti, arte, folclore, e in generale tutte
le espressioni del sapere simbolico trasmesso attraverso forme mentali).
Terminiamo con un passo di Zolla che cita Artaud:

[…] in greco daimon significa insieme genio e destino. Per un uomo moderno evi-
denze del genere sono quasi irricuperabili, come scrisse Artaud […]: «un Europeo
non accetterebbe mai di pensare che quanto ha sentito e percepito nel proprio cor-
po, l’emozione da cui è stato scosso, la strana idea che ha appena avuto e che lo ha
entusiasmato per la sua bellezza, non sia sua, e che un altro abbia sentito e vissuto
tutto questo proprio nel suo corpo, o allora penserebbe di essere pazzo... ma la dif-
ferenza fra lui e un alienato è che la sua coscienza personale si è accresciuta in
quest’opera di separazione e di distruzione interna […]» (Elémire Zolla; Le potenze
dell’anima. Anatomia dell’uomo spirituale, pp. 92-93).

162
38. LA GENERAZIONE DELLO PSICHISMO
Lo schema è sempre il medesimo. In questo caso, i Destini dei Popoli [D-III]
generano il Prâna «socializzatore», ed utilizzano come sostrato o Sostanza-
Illimite la Vita organica (simbolizzata dall’elemento Acqua), e più precisamente
il sistema nervoso centrale - il cervello - di un insieme di organismi conspecifici,
infondendovi lo Psichismo mentale di Gruppo (animale o umano), simbolizzato
dall’elemento Fuoco:

Anima Monadi CONDIZIONE


[C] particolari AGGIUNTA:
Vita
organica
Destini dei
Popoli [D-III]

Realtà sovra-fisica
P R
Realtà fisica

Shakti
dei D-III

D-II
GL
P
r
Immagina-
zione: Venere
SC
Emozione, Vo-
ESSENZA [x] lizione: Marte
Prâna-logos SOSTANZA [y-x]:
«socializzatore» [y]: Corpo, Materia
Vita organica psichica
[Acqua] [Fuoco]

163
[Una precisazione: la facoltà mentale, ovvero la capacità di pensare, è opera,
come d’altronde tutte le funzioni fisiologiche, dei Geni delle Specie (D-II). Sono
altresì i costrutti mentali, i pensieri ad essere prodotti dai Destini dei Popoli].
Nasce così un nuovo Livello della Realtà: la Materia psico-mentale con i suoi
contenuti oggettivi, i quali si sottraggono al condizionamento dello Spazio fisico
(ovvero sono inestesi), ma non a quello del Tempo. Anche qui, però, come nel
caso nei D-II, il tentativo auto-contemplativo non va a buon fine (ovvero non vi
è Ritorno alla Fonte: nemmeno i D-III infatti, da soli, sono in grado di prendere
consapevolezza di sé e della loro essenza originaria); possiamo però considerare
anche qui una doppia orientazione fra il prodotto oggettivo e la sua sostanza:
- y-x) dall’attività cerebrale si genera la realtà mentale, i contenuti della quale
sono gli oggetti formali dell’immaginazione (memoria, fantasia, sogno, ecc.),
costituiti da rappresentazioni mentali (immagini, suoni, odori, ecc.), “copie”
astratte delle percezioni sensibili, presenti in tutti gli animali dotati di mente.

- x) dal “volgersi indietro” alla propria sostanza, ovvero, dalla relazione fra la
mente e il corpo organico (dal quale essa scaturisce) si producono tutte quelle
esperienze che coinvolgono l’intero aggregato psico-fisico e le sue relazioni
con i consimili e con l’ambiente, consistenti nella percezione, nel controllo e
nelle istanze più o meno consapevoli del corpo: passioni, volizioni, emozioni,
sentimenti... tutte qualità (diciamolo per coloro che sono rimasti legati alle
concezioni meccanicistiche cartesiane) presenti anche negli animali, almeno
in quelli più evoluti: uccelli e mammiferi.
Gli antichi chiamavano questi due aspetti dello Psichismo rispettivamente:
“anima immaginativa” e “anima emotiva-volitiva”. I pianeti ed i cori angelici ad
essi associati sono Venere/Principati [y-x] e Marte/Virtù [x]:

Il cielo di […] Marte corrisponde al Nome divino Al-Qâhir, «Il Vincitore» o «Colui
che doma»; […] regge dunque la facoltà […] volitiva […]. Venere è attribuita al
Nome divino Al-Muçawwir, «Colui che forma», termine che designa sia il pittore
che lo scultore, e il cui femminile indica la facoltà immaginativa (Titus Burckhardt;
La chiave spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ’Arabî, pp.
51-52).

I D-III sono dunque gli artefici del pensiero animale, ovverosia immaginativo
ed irrazionale. Nell’uomo però - come vedremo meglio occupandoci del quarto
ordine demonico [D-IV] - il pensiero concettuale e discorsivo o logico-razionale
si sovrappone allo Psichismo animale, senza tuttavia annullarlo. Vi sono quindi
nell’uomo due diverse modalità di pensiero che si intrecciano e si compenetrano,
simbolicamente associate al “sogno” e alla “veglia”:

164
Alla fantasia del sogno manca il linguaggio concettuale; ciò che essa vuole espri-
mere lo deve rappresentare visualmente, e poiché in questo caso il concetto non in-
terviene a indebolire, essa dipinge con tutta la pienezza, la forza e la grandezza
dell’espressione pittorica (Sigmund Freud; L’interpretazione dei sogni, p. 97).

Il pensare per immagini è […] un modo assai incompleto di divenire cosciente. Un


tale pensare è inoltre in certo modo più vicino ai processi inconsci di quanto lo sia
il pensiero in parole, e risale indubbiamente, sia sotto l’aspetto ontogenetico [dello
sviluppo individuale]* che filogenetico [dell’evoluzione della specie]*, a un’epoca
più antica rispetto a quest’ultimo (Sigmund Freud; L’Io e l’Es, p. 32). *N.d.A.

[Il pensiero spontaneo o fantasticheria]* allontana presto dalla realtà verso fantasie
del passato e del futuro. Qui cessa il pensare in forma verbale; le immagini si sus-
seguono impetuosamente alle immagini, i sentimenti ai sentimenti […]. Chi si os-
servi attentamente, troverà [che]* quasi ogni giorno possiamo provare come le no-
stre fantasie s’intreccino nei sogni, così che la differenza fra i sogni diurni e nottur-
ni non è molto grande. Abbiamo quindi due forme di pensare: il pensare regolato e
il sognare o fantasticare. Il primo lavora per la comunicazione, con elementi lin-
guistici, ed è faticoso e spossante. Il secondo invece lavora senza sforzo - per così
dire, spontaneamente - con le reminiscenze. Il primo crea nuove acquisizioni, adat-
tamenti, imita la realtà e cerca di agire su di essa. Il secondo si allontana invece dal-
la realtà, libera i desideri soggettivi, ed è del tutto improduttivo per quanto riguarda
l’adattamento (Carl Gustav Jung; La libido, simboli e trasformazioni, pp. 41-42).
*N.d.A.

Questa doppia natura del pensiero umano si ritrova addirittura rappresentata


nelle diverse funzioni dei due emisferi cerebrali:

Numerosi studi di neuropsicologia hanno evidenziato che la comunicazione lingui-


stica viene elaborata dall’emisfero sinistro, mentre la comunicazione non verbale
viene elaborata dall’emisfero destro (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’espe-
rienza religiosa, p. 63).

Sembra chiaro che l’emisfero subordinato [si intende l’emisfero cerebrale destro]*
svolge molte delle funzioni mentali che di solito sono considerate coscienti, ma è
privo della capacità di riferirle verbalmente. Come dice Eccles [John Carew, neuro-
fisiologo e filosofo australiano; 1974]*, “l’emisfero minore somiglia a un cervello
animale”. Queste scoperte accrescono le prove a favore della continuità fisiologica
fra l’uomo e gli animali nella funzione cerebrale, e indicano una analoga continuità
nelle esperienze mentali (Donald R. Griffin; L’animale consapevole, p. 62). *N.d.A.

165
39. IL “DAIMON INDIVIDUALE” [D-IV] O “IO”
In quanto esseri umani, noi sottostiamo a condizionamenti naturali di diversi
tipi. Fino ad ora ne abbiamo presi in esame tre, ciascuno dei quali si aggiunge ai
precedenti, circoscrivendoci in categorie sempre più ristrette di esseri:
1. La materia che forma il nostro corpo è soggetta allo Spazio-Tempo, nonché a
tutte le leggi della fisica e della chimica;
2. La nostra vita biologica è determinata dalle facoltà e funzioni fisiologiche
proprie dalla specie di appartenenza, codificate nel corredo genetico;
3. La nostra mentalità - il modo di pensare - ci viene in qualche modo inculcata
dalla società e dall’ambiente culturale nella quale siamo nati e cresciuti.
Abbiamo visto pure come tali condizionamenti siano attribuibili all’azione di
tre diversi ordini logici di Demoni-anima: Demoni degli Astri [D-I], Geni delle
Specie [D-II] e Destini dei Popoli [D-III]. Il primo è proprio di tutti gli enti della
Natura, il secondo degli esseri viventi, il terzo solo degli animali più evoluti.
È tutto qui, o vi è forse dell’altro? - si chiedono Wright e Hillman:

Naturalmente, alla tesi secondo la quale noi […] non siamo altro che geni e am-
biente si possono muovere obiezioni. Si può ripetere che no, c’è qualcos’altro. Ma
se si prova a visualizzare la forma di questo altro o a definirlo con precisione, si
scopre che è un’impresa impossibile, perché qualsiasi forza che non stia nei geni o
nell’ambiente è al di fuori della realtà fisica quale è da noi percepita. Esula dal di-
scorso scientifico […] Ma questo non significa che non esista (Robert Wright; The
Moral Animal. Citazione tratta da: James Hillman; Il codice dell’anima, pp. 10-11).

[…] dobbiamo studiare come la psicologia concepisce l’individualità. Come pos-


siamo sostenere che ciascuno di noi è, appunto, un «ciascuno»? Non siamo invece
profondamente uniformi, a causa dell’ereditarietà genetica e dell’ambiente iniziale?
Gli studi sui gemelli, che concentrano l’attenzione precisamente sul problema
dell’individualità, riscontrano differenze anche tra le biografie di gemelli genetica-
mente identici e cresciuti nella medesima famiglia. Oltre alla natura e alla cultura,
sembrerebbe esserci qualcos’altro […]. La psicologia scientifica taglia il regno del-
le cause in due parti soltanto, natura e cultura. Ed elimina per definizione la possi-
bilità di un qualcos’altro. Dal momento che le scienze comportamentali, compresa
la biologia molecolare e la psichiatria farmacologica, situano tutte le ragioni del no-
stro carattere in quelle due categorie, e dal momento che noi ci stiamo immaginan-
do una terza forza nella nostra vita, questo tertium non può che manifestarsi nasco-
sto dentro gli altri due (James Hillman; Il codice dell’anima, pp. 167-168).

C’è dell’altro quindi! Si tratta dell’ultima determinazione, quella che ci rende


(ci fa credere) esseri individuali: è il senso dell’“Io”, il carattere o temperamento
innato; lo chiameremo “Dáimōn individuale” [D-IV] o Demone socratico.

166
Quest’ultimo è, come tutti i Demoni, essenzialmente sovra-temporale, e viene
chiamato anche “ghianda”, “pigna”, “seme” o pinda:

Ogni essere umano viene procreato con una gamma di potenzialità uniche che bra-
mano essere soddisfatte come la ghianda desidera diventare la quercia che è in lei
(frase attribuita ad Aristotele).

[…] in sanscrito la parola pinda designa esattamente questo prototipo sottile […];
questo prototipo, d’altronde, preesiste alla nascita dell’individuo, poiché è contenu-
to in Hiranyagarbha [nell’Anima universale]* fin dall’origine della manifestazione
ciclica [ossia si trova eternamente fra le Possibilità relative al particolare “Orienta-
mento auto-Contemplativo” delle Anime particolari dal quale scaturisce un deter-
minato Cosmo fisico]* (René Guénon; L'uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta,
p. 124). *N.d.A.

Demone all’uomo l’indole (Eraclito; Dell’Origine, frammento 55).

Socrate: […] io ho in me una sorta di spirito divino e demoniaco (Platone; Apolo-


gia di Socrate, 31c).

Se l’Anima sceglie il suo dèmone, cioè il tipo di vita, quando è lassù, che altro ci
resta da fare dopo? In verità, la cosiddetta «scelta di lassù» sta a indicare null’altro
che la scelta di fondo, ossia una complessiva e generale propensione (Plotino; En-
neadi III, 4, 5).

La teoria della ghianda dice […] che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mon-
do con un’immagine che ci definisce. L’individualità risiede in una causa formale,
per usare il vecchio linguaggio filosofico risalente ad Aristotele. Ovvero, nel lin-
guaggio di Platone e di Plotino, ciascuno di noi incarna l’idea di se stesso. E questa
forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria,
inoltre, attribuisce all’immagine innata un’intenzionalità angelica, o daimonica,
come se fosse una scintilla di coscienza; non solo, afferma che l’immagine ha a
cuore il nostro interesse perché ci ha scelti per il proprio (James Hillman; Il codice
dell’anima, p. 27).

Il D-IV, contrariamente a D-III e D-II (i quali sottendono ad una collettività),


come ci dice il nome stesso regge e governa un unico organismo. Il suo apporto
ontologico consiste nella Ragione, presente in ambito terrestre solo nell’uomo e
simbolizzata dall’Elemento Aria:

La ragione è in generale l’Io in quanto Categoria, cioè in quanto unità dell’Io stesso
e della realtà (Vincenzo Cicero; Glossario a: G.W.F. Hegel; Fenomenologia dello
Spirito, p. 1106).

167
40. LA GENERAZIONE DELL’“IO”
E LA SUA INSOSTANZIALITÀ

Anima Monade CONDIZIONE


[C] particolare AGGIUNTA:
Psichismo
mentale
Demone indi-
viduale [D-IV]

Realtà sovra-fisica
P R
Realtà fisica

Shakti
del D-IV

D-III
GL
P
r
Ragione:
Mercurio
RG
Senso in-
ESSENZA [x] terno: Giove
Prâna-logos SOSTANZA [y-x]: Mente
«reggitore», [y]: Materia razionale,
Logica umana psichica Uomo natu-
[Fuoco] rale [Aria]

Nel capitolo n°12 abbiamo parlato dei “Nomi divini”, ovvero degli archetipi
di tutti gli esseri eternamente presenti come possibilità nell’Infinito. Nell’ultimo
abbiamo visto invece come gli “Io” siano la manifestazione di una particolare
forma di tali archetipi (il Daimon individuale o D-IV) nella realtà fisica. E come
per ogni Specie vivente vi è un D-II, per ogni Gruppo sociale vi è un D-III, così
168
per ogni singolo Individuo umano (o comunque dotato di Ragione) vi è un D-IV.
Ciascuna Monade “trasmigrante” particolare proietta in un determinato Cosmo
fisico un solo Demone, il appartiene ad uno dei quattro ordini.
Nell’immagine osserviamo il solito schema. L’Essenza-Logos, che coincide
in tal caso con la Logica umana, la chiamiamo Prâna “reggitore”, in ragione del
fatto che governa (o crede di governare) l’organismo, del quale è l’unico aspetto
conscio. La Sostanza-Chaos è invece la Materia psichica, produzione dei D-III:

La modalità mentale complementare della ragione è l’immaginazione (al-khiyâl).


Rispetto al polo intellettuale del mentale, l’immaginazione rappresenta, in un certo
senso, la sua materia plastica; per questo corrisponde analogicamente alla materia
prima (Titus Burckhardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 87).

La Ragione vivifica la Materia psico-mentale proprio come la Vita organica


vivifica la Materia sensibile e corporea. Dall’infusione della Logica razionale
nello Psichismo animale nasce la Mente razionale, che è caratteristica peculiare
dell’“Uomo naturale”. Con quest’ultima espressione indichiamo l’uomo comune
e decaduto, il quale è incapace di fare Ritorno alla propria Essenza, al contrario
dell’“Uomo edenico” (riguardo il quale per ora ci accontentiamo di questo breve
accenno, poiché è prematuro parlarne). La reciprocità fra Sostanza e Prodotto
oggettivo (simbolizzati rispettivamente dagli Elementi naturali Fuoco ed Aria) si
presenta come segue:

- y-x) L’oggetto pensato è il prodotto della Logica separativa, gli aspetti della
quale sono: capacità matematiche, pensiero concettuale, linguaggio verbale e
discorsivo. Il pianeta che simbolicamente incarna queste facoltà è Mercurio.

- x) Volgendosi indietro alla Mente e al Corpo, la Ragione concepisce il Senso


interno (Manas), quindi l’auto-consapevolezza unitaria (“questo sono Io!”) e
la facoltà intellettuale auto-cosciente, simbolizzata dal pianeta Giove.

Il cielo di Giove è il complemento del Nome divino Al-Alîm, «Il Sapiente» o «Colui
che conosce» […]; Giove regge dunque la facoltà intellettuale […]. Quanto a Mer-
curio, esso corrisponde al Nome divino Al-Muhçî, «Colui che conta», il cui signifi-
cato si riferisce al numero e alla conoscenza distintiva (Titus Burckhardt; La chiave
spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mohyiddîn Ibn ’Arabî, pp. 51-52).

***

169
Ma allora, noi siamo il nostro D-IV? È quella la nostra essenza più profonda
e vera? No! L’“Io” è un nostro costrutto mentale:

Anime effimere, ecco l’inizio di un altro ciclo di vita mortale, preludio di nuova
morte. Non sarà un demone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliere il vostro de-
mone […]. La responsabilità è di chi ha fatto la scelta; la divinità è incolpevole
(Platone; Repubblica, X, 617d-e).

E non siamo nemmeno la Monade che ha generato il Demone. Non siamo


un’Anima particolare, e neanche lo Spirito universale. Si tratta, ricordiamolo, di
categorizzazioni metafisiche, puramente logiche. Solo l’Assoluto incondizionato
ed irrelato (il Brahman) è reale, ed è inconcepibile al pensiero. e noi, come tutto,
d’altronde, quello “siamo”! Ciò che è concepibile è inconsistente, insostanziale,
una semplice astrazione mentale.
Senza le categorie conoscitive della Quantità (che ci fa vedere il reale come
se fosse costituito da una molteplicità numerica di enti sostanziali separati), della
Qualità (che “distribuisce” le caratteristiche formali tra i molteplici enti), dello
Spazio-Tempo (che li colloca fisicamente) e della Relazione (che li fa interagire)
non avrebbe alcun senso parlare di “Io” individuale.
L’“Io” individuale (quindi l’essere umano), come vedremo meglio più avanti,
è inoltre un composto eterogeneo, un aggregato di Elementi di diversa natura e
provenienza (Materia, Vita, Psichismo e Ragione). Citiamo varie fonti:

L’essere umano non è un’entità; è un aggregato e, a dir la verità, un aggregato di


elementi tendenzialmente assai poco coerenti fra loro […]. La nascita umana è
dunque la formula della composizione di un aggregato (Matgioi; La Via metafisica,
pp. 116-117).

L’io o individualità è soltanto un nodo temporaneo, un punto particolare della co-


scienza dove sono legate insieme diverse facoltà universali (Alain Daniélou; Miti e
dèi dell’India. I mille volti del pantheon induista, p. 38).

Il concetto di «io», come qualsiasi altro concetto, è, tanto per Nietzsche che per il
buddhismo zen, assolutamente contingente, relativo e convenzionale: normalmente,
invece, ogni concetto o idea viene trasformato in qualcosa di stabile, di fisso, viene,
per così dire, cristallizzato, per poi venire usato in questa sua forma bloccata e tra-
smesso nei suoi valori costanti. Il concetto è solo un nome, e il nome è solo una pa-
rola (Giangiorgio Pasqualotto; Il Tao della filosofia, p. 115).

L’io non è la posizione di un essere rispetto a più esseri (istinti, pensieri e così via);
bensì l’ego è una pluralità di forze di tipo personale delle quali ora l’una ora l’altra
vengono alla ribalta come ego e guardano alle altre come un soggetto guarda a un
mondo esterno ricco di influssi e determinazioni; il soggetto è ora in un punto ora
in un altro (Friedrich Nietzsche; Frammenti postumi (1879-1881), frammento 6.70,
p. 439. Citazione tratta da: Giangiorgio Pasqualotto; Il Tao della filosofia, p. 113).

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Ciò che mi divide nel modo più profondo dai metafisici è questo: non concedo loro
che l’«io» sia ciò che pensa; al contrario considero l’io stesso una costruzione del
pensiero, dello stesso valore di «materia», «cosa», «sostanza», «individuo», «sco-
po», «numero»; quindi solo una finzione regolativa, col cui aiuto si introduce, si in-
venta, in un mondo del divenire, una specie di stabilità e quindi di «conoscibilità»
(Friedrich Nietzsche; Frammenti postumi (1879-1881), frammento 35.35, p. 203.
Citazione tratta da: Giangiorgio Pasqualotto; Il Tao della filosofia, p. 114).

Non solo non esiste un Io-sostanza dietro la nostra vita psichica, ma non vi è un
«Io» nemmeno nel mondo fisico, con ciò volendosi dire che non si può realmente
separare l’azione dall’agente, la forza dalla massa, la vita dalle sue manifestazioni
(Daisetz Teitaro Suzuki; Saggi sul buddhismo zen, vol. I, p. 59. Citazione tratta da:
Giangiorgio Pasqualotto; Il Tao della filosofia, p. 116).

Poiché l’idea è tanto più comprensibile della realtà, il simbolo tanto più stabile del
fatto, noi impariamo a identificarci con la nostra idea di noi stessi. Di qui la sogget-
tiva sensazione di un “sé” che “ha” una mente, di un soggetto intimamente isolato
cui le esperienze capitano involontariamente. Con il suo tipico amore per il concre-
to, lo zen pone in rilievo che il nostro prezioso “io” è solo un’idea, abbastanza utile
e legittima se vista per quello che è, ma disastrosa se identificata con la nostra vera
natura […]. L’identificazione dell’uomo con la sua idea di se stesso gli comunica
uno specioso e precario senso di permanenza […]. Il buddhismo ha frequentemente
paragonato il corso del tempo al moto apparente di un’onda, in cui soltanto l’acqua
si muove su e giù, creando l’illusione di un “pezzo” di acqua in movimento sulla
superficie. È analoga illusione che vi sia un “io” costante che si muove attraverso
esperienze successive, costituendo un nesso fra di loro in modo tale che il giovane
diviene l’uomo che diviene l’anziano che diviene il cadavere. […] nulla esiste se
non il presente (Alan W. Watts; La via dello zen. pp. 136 e 138-140).

La funzione primaria del sottosistema del Senso d’Identità è di applicare una cate-
goria “questo sono io” ad alcuni aspetti dell’esperienza, ad alcune informazioni nel-
la coscienza e di creare quindi il senso di un Io […]. Qualsiasi elemento di infor-
mazione al quale è applicata la categoria “questo sono io” acquista una considere-
vole potenza in più e può così suscitare forti emozioni e altrimenti controllare
l’energia di attenzione/consapevolezza (Charles T. Tart; Stati di coscienza, p. 141).

Vi sono dei filosofi i quali immaginano che noi siamo in ogni momento intimamen-
te coscienti di quello che chiamiamo il nostro io, che noi sentiamo la sua esistenza
e la sua continuazione nell’esistenza; e sono certi, con maggiore evidenza di quella
che deriva dalla dimostrazione, della sua perfetta semplicità. Disgraziatamente tutte
queste affermazioni sono contrarie a quella stessa esperienza che essi invocano; noi
non abbiamo alcuna idea dell’io […]. Noi non siamo altro che fasci o collezioni di
differenti percezioni che si susseguono con una inconcepibile rapidità, in un perpe-
tuo flusso e movimento (David Hume; Trattato sulla natura umana, I, IV, 6 in Id,
Opere filosofiche, I, p. 264).

171
Quando confutiamo la teoria dell’anima, dell’atman, confutiamo la teoria di una
persona sostanziale, indipendente. Non esiste nessun io che esista sostanzialmente,
per proprio conto. L’io, la persona, esiste dipendentemente dagli skandha [i cinque
aggregati psicofisici. N.d.A.]. Questo vale per tutti gli esseri (Dalai Lama; La natu-
ra del Buddha. Morte e immortalità dell’anima nel buddhismo, pp. 40-41).

[…] Cartesio dice che può dubitare di tutto tranne del fatto di dubitare, fondando
così la sua prima certezza nel soggetto riflettente (penso dunque sono) […]; quanto
alla dimostrazione effettiva e oggettiva di qualcosa di esterno e reale, manca di
qualsiasi validità [L’argomentazione cartesiana non è convincente nemmeno nello
stretto ambito delle idee: Lichtenberg fu il primo a dimostrare che il fatto di dubita-
re e di pensare prova soltanto l’esistenza di un pensiero, un’attività o un processo
del pensare, non necessariamente un soggetto (“io”) del pensiero] (Joan Solé; Kant.
La rivoluzione copernicana nella filosofia, pp. 14-15).

La tara peggiore nella struttura dell’energia è l’ego, quel falso senso di sé che è la
maschera sociale di ogni entità individuale. Il personaggio illusorio, che identifi-
chiamo come il nostro sé autentico, rappresenta la più grande dispersione di ener-
gia, perché la sua presunzione e i drammi da lui creati richiedono un’attenzione in-
stancabile. Gran parte dell’energia disponibile viene risucchiata dall’ego per raffor-
zare il suo senso d’importanza, la sua infinita sete di rispetto, amore e riconosci-
mento. Senza questa continua dispersione disporremmo dell’energia sufficiente a
evadere l’abituale prigione percettiva che ci circonda e che soprattutto crea il mo-
struoso sé illusorio (Malcolm Godwin; Il sognatore lucido. Una guida per impara-
re a controllare e indirizzare i propri sogni, pp. 109-110).

Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso (San
Paolo; Lettera ai Gàlati, 6, 3).

Tu devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei davvero distaccato


(Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Ego elegi vos de mundo, p. 87).

In uno dei suoi più bei versi il poeta augusteo Manilio aveva scritto: «L’uomo va
tolto di mezzo, affinché Dio possa essere in lui» (Elémire Zolla; Le potenze dell’a-
nima. Anatomia dell’uomo spirituale, p. 209).

Abbandonare se stesso è più difficile e più importante che abbandonare l’intero


mondo, ma è nel distacco da se stesso - dall’io come centro di volizioni, di rappre-
sentazioni, di «immagini» - che allo strepito del molteplice subentra la pace della
simplicitas, della unitas spiritus. Possiamo dire allora, con una metafora abituale,
che «Dio discende nell’anima»: proprio come, per legge di natura, il vuoto trova
subito ciò che lo riempie, perché la natura ha, aristotelicamente, horror vacui, così
Dio non può fare a meno di scendere e prendere dimora nell’anima silenziosa, che
ha fatto il vuoto in se stessa. All’uomo compete un’unica opera, che è il distacco: il
continuo e sempre rinnovato riconoscimento del determinismo cui siamo sottomes-
si (Marco Vannini; Storia della mistica occidentale. Dall’Iliade a Simone Weil, pp.
195-196).
172
41. LA STRUTTURA DEL REALE
SECONDO IL SISTEMA SÂNKHYA

Il Sânkhya è uno dei sei darshana (visuali ortodosse) indù. La parola sânkhya
significa enumerazione, calcolo, ragionamento, discriminazione; lo schema con
cui tale scuola spiega tutto il reale, infatti, consiste in un elenco di 25 princìpi o
elementi fondamentali, i tattwa, che costituiscono i diversi gradi gerarchici della
manifestazione individuale o microcosmo, e, per analogia, di quella universale o
macrocosmo. Riportiamo un passo di Guénon nel quale, citando e commentando
il Sânkhya-Kârikâ, egli enumera brevemente i 25 tattwa:

«Prakriti, radice di tutto, non è una produzione. Sette principi, il grande (Mahat,
che è il principio intellettuale o Buddhi) e gli altri (ahankâra o la coscienza indivi-
duale, che genera la nozione dell’“io”, e i cinque tanmâtra o determinazioni essen-
ziali delle cose), sono insieme produzioni (di Prakriti) e produttivi (rispetto ai se-
guenti). Sedici (gli undici indriya o facoltà di sensazione e di azione, ivi compreso
il manas o “mentale”, e i cinque bhûta o elementi sostanziali e sensibili) sono pro-
duzioni (improduttive). Purusha non è né produzione, né produttivo (in se stesso)»
[Sânkhya-Kârikâ, shloka 3]», quantunque sia la sua azione, o meglio la sua attività
«non-agente», secondo un’espressione che prendiamo in prestito dalla tradizione
estremo-orientale, a determinare essenzialmente tutto ciò che è produzione sostan-
ziale in Prakriti (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, pp.
46-47).

***

Moltissime sono le divergenze tra le nostre concezioni e quelle del Sânkhya.


Elenchiamo qui di seguito le più significative:

- Il Sânkhya pone una Dualità (Purusha-Prakriti) a fondamento del reale; per


noi, invece, nemmeno l’Unità universale alla quale riconduciamo tale Dualità
(la Shakti-Essere) coincide con la Realtà assoluta.
- Nella nostra concezione, Purusha rappresenta l’aspetto attivo della Shakti, la
sua “Facoltà pensante”, laddove Prakriti è invece passiva, essendo soltanto il
“Sostrato del Pensiero”, il “Pensiero vuoto” che accoglie le determinazioni.
- Nel Sânkhya l’enumerazione è incompleta; mancano tantissimi elementi.

Nonostante ciò, ci sarà utile conoscerne lo schema. Primo, perché l’obiettivo


che ne sta alla base è lo stesso del nostro: enumerare una gerarchia logica nella
generazione dei vari elementi che costituiscono la Realtà condizionata. Secondo,
perché introduce nella nostra trattazione alcuni concetti basilari (altri invece già
li conosciamo), in modo particolare per quanto riguarda la struttura dell’Uomo.

173
NON-MANIFESTATO

1. Prakriti = Sostanza 25. Purusha = Essenza


[produttrice non prodotta] [né prodotto, né produttore]

SOVRA-FORMALE

2. Mahat o Buddhi = Intel- 3. Ahamkâra = Senso dell’«Io»


letto [produzione produttiva] [produzione produttiva]

FORMALE SOTTILE

rajas
x sattwa x-y

Indriya = 11 Facoltà individuali


[produzioni non-produttive] …
y
tamas 9. Manas = Senso interno, Mente

Tanmâtra = Elementi sottili FACOLTÀ DI FACOLTÀ


[produzioni produttive] SENSAZIONE DI AZIONE
4. Suoni Q 10. Udito 15. Voce, Parola
U
5. Tangibilità A 11. Tatto 16. Prensione
6. Figure e Colori L 12. Vista 17. Locomozione
I
7. Sapori T 13. Gusto 18. Escrezione
8. Odori À 14. Olfatto 19. Riproduzione

GROSSOLANO … e corrispettivi Organi corporali

Bhûta = Elementi grossolani ORGANI DI ORGANI E APPA-


[produzioni non-produttive] SENSAZIONE RATI D’AZIONE
20. Etere 10. Orecchi 15. App. fonatorio
21. Aria, Vento 11. Pelle 16. Mani / dita
22. Fuoco 12. Occhi 17. Piedi [arti]
23. Acqua 13. Lingua 18. Org. escretori
24. Terra 14. Naso 19. Org. sessuali

174
42. LA STRUTTURA DELL’UOMO NATURALE
L’Uomo naturale - come abbiamo visto - è un essere composto, un aggregato
di quattro Elementi grossolani, i quali possono considerarsi il Pensiero oggettivo
dei quattro ordini demonici. Una distinzione primaria nella sua struttura è quella
che raggruppa gli Elementi a due a due (a. Terra-Acqua / b. Fuoco-Aria):

a. Corpo organico (prodotto materialmente dai D-I e vivificato dai D-II):


b. Mente razionale (prodotta materialmente dai D-III e vivificata dai D-IV).

Ne parla - pur con un linguaggio suo, più o meno condivisibile - Paracelso:

La Filosofia (Anatomia) tratta la parte visibile e materiale della costituzione umana;


ma vi è una molto maggior parte dell’uomo che è eterea e invisibile. Come il corpo
terrestre dell’uomo è intimamente correlato con il suo ambiente terrestre, egual-
mente il suo corpo astrale è in relazione con tutte le influenze del mondo astrale; e
quella parte della filosofia che tratta tali influenze astrali è detta Astronomia.
L’Astronomia è la parte superiore della filosofia dalla quale l’intero microcosmo
può essere conosciuto. La Filosofia tratta gli elementi della terra e dell’acqua, ap-
partenenti alla costituzione dell’uomo; l’Astronomia tratta la sua aria e il suo fuoco
(la mente). Vi sono nell’uomo un cielo e una terra come vi sono nel macrocosmo
[…]; perché il microcosmo è un’esatta controparte del macrocosmo in ogni rispetto
eccetto la sua forma esterna (Paracelso. Citazione tratta da: Franz Hartmann; Il
mondo magico di Paracelso, p. 174).

È importante ribadire che l’Uomo naturale è sostanzialmente Corpo e Mente;


ciò che trascende queste due componenti trascende anche la Natura.
Le Anime particolari contribuiscono alla generazione dell’Uomo, ma sono al
di sopra dell’Uomo e della Natura. Ad esempio, l’Anima che, nel nostro Cosmo,
genera il nostro Demone individuale [D-IV], e dunque il nostro “Io”, negli altri
Cosmi proietta altri individui singoli [D-IV], certo, ma anche Gruppi sociali o
Popoli [D-III], Specie viventi [D-II], o persino Corpi celesti [D-I] (ovviamente
in contesto di interdipendenza, giacché ciascun Cosmo è un organismo unitario;
la Realtà, ricordiamolo, è in sé essenzialmente indivisibile).
È questo, forse, il significato simbolico di dottrine e concezioni tradizionali
quali la trasmigrazione delle anime, la metamorfosi (trasformazione in piante,
animali, minerali, ecc.) ed il catasterismo (ascesa al cielo con trasformazione in
Astri o costellazioni):

Un destino stellare è […] assicurato dagli dèi alle anime degli uomini illustri dopo
la morte: si tratta della ben nota catasterizzazione: l’apoteosi nel consesso del fir-
mamento. Nell’uso quotidiano è rimasto ancora oggi l’augurio per il defunto di
“diventare una stella” (Andrea Casella; Alle radici dell’albero cosmico. Saggio sul-
la cosmo-teologia arcaica, p. 26).

175
Le dottrine indù parlano di cinque Veicoli o Involucri (Kosha, in sanscrito) di
cui l’Âtmâ si ricopre, come in una struttura a cipolla. In pratica, questi Involucri
sono i successivi (in senso logico, non temporale) condizionamenti ai quali egli -
apparentemente - si sottopone; diciamo apparentemente perché in verità Âtmâ,
identificandosi con il Brahman (l’Assoluto), non è limitabile in alcun modo:

Secondo il Vêdânta, Purusha o Âtmâ, manifestandosi come jivâtmâ nella forma vi-
vente dell’essere individuale, si riveste di una serie di «involucri» (kosha) o «veico-
li» successivi, che rappresentano altrettante fasi della sua manifestazione, e che sa-
rebbe però completamente erroneo assimilare a dei «corpi», perché soltanto
l’ultima fase è di ordine corporeo. Va d’altronde osservato che non si può rigoro-
samente affermare che Âtmâ sia in realtà contenuto in questi involucri, perché, per
la sua stessa natura, non è suscettibile di alcuna limitazione, né è in alcun modo
condizionato da qualsivoglia stato di manifestazione (René Guénon; L’uomo e il
suo divenire secondo il Vêdânta, p. 69).

***

Elenchiamo qui di seguito i cinque Veicoli nell’ordine gerarchico-ontologico,


ma con una enumerazione a ritroso, allo scopo di mantenerli in corrispondenza
numerica con i Demoni-anima:

5. La determinazione principiale è il Veicolo causale o Guaina della Beatitudine


(ânandamaya-kosha), che coincide con lo Spirito universale o Nous;

4. Vi è poi il Veicolo intellettuale (vijnânamaya-kosha), ossia la singola Anima


particolare che - nell’Uomo in questione - ha proiettato il Daimon individuale
[D-IV], ovvero il senso dell’“Io” conscio (detentore della facoltà razionale), il
quale è in relazione diretta ed immediata con la Monade particolare (Ahamkâra),
e la collega con il Veicolo successivo;

3. Il Veicolo mentale (manomaya-kosha) consiste nello Psichismo, ovvero nella


mentalità condivisa e mediata dal Gruppo sociale di appartenenza; è l’apporto
all’Uomo (ma anche agli animali più evoluti) dei Destini dei Popoli [D-III];

2. Il Veicolo vitale o energetico (prânamaya-kosha) rappresenta l’apporto dei


Geni delle Specie [D-II] all’Uomo e a tutti gli esseri viventi; rappresenta la Vita
organica con le facoltà e le funzioni proprie della Specie d’appartenenza;

1. Infine, il Veicolo materiale o del cibo (annamaya-kosha), il quale coincide col


Corpo fisico, materiale, e deriva dai Demoni degli Astri [D-I].

176
Tralasciamo il Veicolo causale [5], che è solo uno, comune origine di tutti gli
esseri. Nella concezione dei Greci, il Veicolo materiale [1] è rappresentato dal
sòma (letteralmente: cadavere). Gli altri tre (chiamati a volte impropriamente
“anime”, ma sarebbe più esatto parlare di “potenze dell’Anima”) sono:

2. L’“anima” concupiscibile (l’Epithymetikon di Platone), che corrisponde al


Veicolo vitale. Aristotele la distingue in: 2a] anima vegetativa, che sottende alle
funzioni vitali - Vâyu in sanscrito (omeostasi, respirazione, nutrizione, crescita,
metabolismo, riproduzione, fotosintesi clorofilliana nelle piante); e 2b] anima
sensitiva, che sottende invece alle facoltà - Indriya in sanscrito - di sensazione
(percettive, passive) e di azione (motorie, attive).

3. L’“anima” emotiva-volitiva (il Thymos, ovvero l’anima irascibile di Platone);


corrispondente al Veicolo psico-mentale (emozioni, passioni, consapevolezza
fenomenica, volontà, morale sociale, ecc.), alla quale però associamo l’anima o
facoltà immaginativa (memoria, fantasia, immaginazione, sogno).

4. L’“anima” razionale, corrispondente al Veicolo intellettuale e quindi al Senso


interno, all’auto-consapevolezza, all’“Io” con cui di norma ci identifichiamo:

[…] chiameremo 4) razionale il principio grazie al quale l’anima ragiona, 2) irra-


zionale e concupiscibile, compagno di soddisfazioni e piaceri, quello per il quale
essa prova amore, fame e sete ed è turbata dagli altri desideri […]. Ma 3)
l’elemento impulsivo, quello per cui proviamo le emozioni, sarà un terzo principio
[…]. 4) La prima parte […] era quella con cui l’uomo apprende, 3) la seconda quel-
la per cui prova gli impulsi; 2) quanto alla terza, […] l’abbiamo chiamata concupi-
scibile (Platone; Repubblica IV, 439d-439e, 580d-580e). L’enumerazione è nostra,
determinata in conformità con il nostro schema.

Aristotele riformula l’idea platonica delle tre anime proponendo l’esistenza di tre
potenze dell’anima. Alla base risiede l’anima nutritiva, responsabile delle funzioni
vegetative (alimentazione, digestione e riproduzione), a questa si aggiunge una se-
conda anima sensitiva, sede dei desideri e delle passioni. Infine l’uomo, che è un
essere razionale, possiede un’anima pensante. Accanto a queste tre dimensioni del-
l’anima, che dipendono dal corpo e sono dunque mortali, Aristotele concepisce una
quarta funzione: l’intelletto, o ‘spirito’, che è “separato, non mescolato, impassivo,
per sua essenza atto. Esso soltanto è quel che realmente è, e questo solo è immorta-
le ed eterno (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, p. 165).

***

L’Antroposofia di Rudolf Steiner parla di sette corpi. Quello che ci interessa,


però, è il fatto che i primi 4 corrispondono - grosso modo - ai nostri Veicoli 1-4
(anche se non condividiamo la denominazione di “corpi” che ad essi viene data):

177
1. corpo fisico: la componente materiale del corpo umano che condividiamo con il
regno minerale […]. 2. corpo eterico: la componente vitale del corpo umano che
condividiamo con il regno vegetale […]. 3. corpo astrale: la componente neurosen-
soriale del corpo umano che condividiamo con gli animali […]. 4. Io: la componen-
te che dà all’uomo creatività spirituale e dimensione morale (Alda Gallerano e Ga-
briele Burrini; L’Antroposofia. Il messaggio di Steiner, p. 46).

***

Troviamo questa ripartizione dell’anima nelle sue 3 potenze addirittura nella


concezione freudiana, sotto forma di aspetti della psiche. Nella seconda topica,
Freud parla infatti di Es, di Super-Io (entrambi inconsci) e di Io (conscio), i quali
garantiscono rispettivamente le istanze della Specie [D-II], della Società [D-III]
e dell’Individuo [D-IV]. Nel mito platonico della biga alata (descritto in Fedro
246 a-d) esse corrispondono rispettivamente al cavallo cattivo, al cavallo buono e
all’auriga. Leggiamo Galimberti (riguardo le concezioni di Schopenhauer):

Nell’inconscio occorre distinguere un inconscio «pulsionale» dove trovano espres-


sione le esigenze della specie, e un inconscio «superegoico» dove si depositano e si
interiorizzano le esigenze della società. Sono esigenze della specie la sessualità,
senza la quale la specie non vedrebbe garantita la sua perpetuazione, e
l’aggressività che serve per la difesa della prole. Queste due pulsioni, proprio per-
ché sono al servizio della specie, l’io le subisce, le patisce, e perciò diventano le
sue «passioni», che la società, per salvaguardare se stessa, chiede di contenere, nel-
la loro espressione, entro certi limiti. Tra le esigenze della specie (Es o inconscio
pulsionale) e le esigenze della società (Super-io o inconscio sociale) c’è il nostro io,
la nostra parte cosciente, che raggiunge il suo equilibrio nel dare adeguata e limita-
ta soddisfazione a queste esigenze contrastanti (Umberto Galimberti; Quel che re-
sta di Freud. Tratto da: la Repubblica.it, Archivio, 3 gennaio 2010).

Nella figura possiamo osservare come dall’unico Veicolo causale (Spirito),


principio comune dell’intera Manifestazione universale, si generino indefiniti
Veicoli intellettuali (Anima particolari). Ogni Anima genera indefiniti Demoni,
ma uno soltanto per ciascuno degli indefiniti Cosmi fisici. Qui abbiamo preso in
esame solo quattro Anime che, dallo stesso “Orientamento auto-contemplativo”
[OAC], proiettano ciascuna un Demone appartenente ad uno dei quattro ordini, al
fine di evidenziare il diverso apporto che essi forniscono alla costituzione di un
particolare essere umano.
Nello schema riportato invece nelle due pagine seguenti vediamo, nella parte
destra, i Veicoli psico-fisici (Corpo e Mente) del composto umano, simbolizzati
dai quattro Elementi naturali; a sinistra vi sono invece i 4 ordini demonici con le
loro produzioni e i loro apporti alla Natura, e quindi all’Uomo, mediati, nel caso
dei primi 3 ordini, dagli Astri, dalle Specie viventi e dai Popoli o Gruppi sociali.

178
I cinque Veicoli [Kosha]

5. Veicolo causale
[ânandamaya-kosha]
o Spirito universale
Insieme delle indefinite Anime
particolari = Anima universale

4. Veicolo 4. Veicolo 4. Veicolo 4. Veicolo


intellettuale intellettuale intellettuale intellettuale
[vijnânamaya- [vijnânamaya- [vijnânamaya- [vijnânamaya-
kosha] = kosha] = kosha] = kosha] =
Anima Anima Anima Anima
particolare particolare particolare particolare

D-I D-II D-III D-IV


[Materia, [Vita, [Psichismo, [Ragione,
Terra] Acqua] Fuoco] Aria]

Astro Specie Popolo

1. Veicolo 2. Veicolo 3. Veicolo [4] Senso


materiale vitale o psico- interno o
[anna- energetico mentale dell’«Io»;
maya- [prâna- [mano- è unito di-
kosha], maya- maya- rettamente
Sòma, kosha], kosha], al proprio
Corpo «Corpo» «Corpo» Veicolo in-
materiale eterico astrale tellettuale

Corpo / organico Mente / razionale

UOMO NATURALE, AGGREGATO DEI 4 ELEMENTI

179
GLI APPORTI DEMONICI ALL’INDIVIDUALITÀ UMANA
[E LE CORRISPONDENTI «POTENZE DELL’ANIMA»]

Etere
Uomo
R
edenico
4 Elementi

Individuazione
D-IV Psichismo Ragione e
mentale Senso interno

Gruppo sociale,
Popolo o Nazione:
Forma mentis
[mentalità, cultura,
memi] condivisa dai
D-III Vita Psichismo membri del Gruppo
organica mentale

Specie viventi:
Modalità vitali
codificate nei geni
e condivise dagli
organismi di una
D-II Materia Vita determinata Specie
sensibile organica

Astri,
Corpi celesti

D-I Spazio Materia


sensibile

180
L’Uomo, integrando i 4 Elementi, fa Ritorno come Uomo edenico
all’Etere, nella pura Durata immutabile [Pianeta Saturno, 7° Cielo]

Uomo naturale = aggregato dei 4 Elementi [Terra, Acqua, Fuoco e Aria]

Senso interno [Manas]. Anima razionale o intellettiva.


Potenze: auto-consapevolezza, È un «aspetto» del Veicolo
intuizione, «libero arbitrio». intellettuale [Vijnânamaya- M
Pianeta Giove, 6° Cielo kosha] o Personalità che ha E
proiettato il D-IV. È associato N
Ragione. Potenze: pen- all’Aria e allo Stato di Veglia T
siero concettuale, astrazione, [Vaishwânara]. Nella psiche è E
logica, linguaggio discorsivo. rappresentato dall’Io. È esclusivo,
Pianeta Mercurio, 2° Cielo in ambito terrestre, dell’Uomo R
A
Z
Anima volitiva / emotiva. Po- Veicolo psico-mentale [Mano- I
tenze: volontà, emozioni, pas- maya-kosha], Anima irascibile O
sioni, consapevolezza, morale [Thymos], «Corpo» astrale. È N
sociale. Pianeta Marte, 5° Cielo associato al Fuoco, agli Animali, A
allo Stato di Sogno [Taijasa]. L
Anima immaginativa. Potenze: Nella psiche è rappresentato dal E
memoria, fantasia, immagina- Super-Io sociale. È assente nelle
zione. Pianeta Venere, 3° Cielo piante e negli animali non evoluti

Anima sensoriale e motrice. Veicolo vitale o energetico C


Potenze: Facoltà [Indriya] di sen- [Prânamaya-kosha], Anima O
sazione [percettive] e di azione concupiscibile [Epithymetikon], R
[motorie]. Pianeta Sole, 4° Cielo «Corpo» eterico. È associato
P
all’Acqua, ai Vegetali, allo
O
stato di Sonno profondo, privo
Anima vegetativa. Potenze: Fun-
di sogni e di immagini mentali O
zioni vitali [Vâyu: respirazione,
[Prâjna]. Nella psiche è rappre- R
nutrizione, metabolismo, crescita,
sentato dall’Es [esso, l’«altro»].
riproduzione, fotosintesi cloro- G
È presente, pur con Modalità
filliana]. Pianeta Luna, 1° Cielo A
diverse, in tutti gli esseri viventi
N
I
Veicolo o Corpo materiale [Annamaya-kosha], Sòma, Stato di C
Cadavere. È associato alla Terra, ai Minerali e al Mondo sub-lunare O

181
43. LE DIVERSE ACCEZIONI DEL TERMINE “ANIMA”
Facciamo innanzitutto il punto della situazione:

- L’Assoluto [0], coincidendo con la Pura Coscienza stessa, conosce se stesso


senza necessità di pensarsi. Se si pensasse, infatti, non sarebbe ab-solutum.
- L’Infinito positivo [A], tramite la propria Shakti (Energia di manifestazione),
si auto-contempla in quanto Spirito universale [B], ossia come Unità (Essere)
del Molteplice (insieme degli Angeli-spirito che veicolano Idee intellettuali).
Conoscendosi - ovvero identificandosi essenzialmente con il proprio oggetto
pensato - egli fa Ritorno a se stesso.
- Ciascuno dei molteplici Angeli, tramite la propria shakti, si auto-contempla
in quanto Anima particolare [C], ovvero come Identità (Monade) del Diverso
(insieme dei Demoni-anima che veicolano Forme immaginali); conoscendosi,
anch’egli fa Ritorno a se stesso. E fin qui siamo nel Plèroma, ovverosia nella
struttura logico-metafisica del reale. Da qui in poi iniziano i problemi, perché
entriamo nel Kènoma, nella realtà fisica, concreta. Infatti:
- Ciascun Demone, da solo [D-I] oppure poggiandosi al - o meglio, pensandosi
nel - prodotto oggettivo dei Demoni dei precedenti ordini [è il caso dei D-II,
dei D-III e dei D-IV], tramite la propria shakti tenta di auto-contemplarsi, ma
produce solo uno dei 4 Elementi, incapace di far Ritorno alla propria Essenza
(Etere cosmico). L’ultimo dei prodotti, l’Uomo naturale, riassume in qualche
modo tutte le produzioni, ossia è dotato di tutti i Veicoli (Kosha). Ed infatti, è
l’unico essere a livello terrestre davvero individualizzato, capace di prendere
coscienza di sé, del proprio “Io”; insomma, egli possiede un “Senso interno”.
Nonostante ciò, non può fare Ritorno da solo (non vi è perciò alcuna salvezza
individuale). Solo l’Uomo edenico, cioè l’Uomo che ha integrato in sé tutti e
quattro gli Elementi - trascinandoli con sé nella “salvezza” - lo potrà fare.

***

Prima di continuare la nostra analisi sulla struttura della Realtà e dell’Uomo,


dobbiamo chiarire una questione che abbiamo in precedenza lasciato in sospeso.
Il termine “anima”, abbiamo detto, è un po’ ambiguo, giacché viene utilizzato
con molteplici sensi diversi. Nella nostra stessa trattazione lo abbiamo applicato
a differenti realtà. Riassumiamole (appoggiandoci allo schema dell’immagine):

- Innanzitutto, abbiamo parlato del “Fondo dell’Anima”; si tratta di Âtmâ, cioè


dell’Assoluto (Brahman) in noi. L’Assoluto è l’unica realtà, che non ammette
nient’altro. Quindi, anche se le cose appaiono molte e diverse, nella loro vera
Essenza, nel loro “centro”, esse “sono” tutte l’Assoluto in un suo aspetto, che
Eckhart e gli altri mistici chiamano “fondo” o “scintilla” dell’Anima:

182
Fondo Scintilla divina [Âtmâ] presente in tutti gli esseri;
dell’ANIMA ogni cosa è l’intera Realtà, ma ciascuna a suo modo

L’insieme delle ANIME particolari è


l’ANIMA universale, la Terza Ipostasi
ANIMA
particolare,
‘Io celeste’
[è formata da D
una Monade e
m
‘trasmigrante’ o
e dagli infiniti n
Demoni da i
essa proiettati n–1 n n+1 n+2
nel Mondo
immaginale,
che è l’insieme ANIME dei Cosmi. Ciascuna Anima Mundi è
delle ANIME costituita dall’insieme dei Demoni proiettati
dei Cosmi] tramite il medesimo OAC di tutte le Monadi.
Ciascuna Monade proietta un solo Demone
[D-I, D-II, D-III o D-IV] per Cosmo fisico

D-IV → ‘ANIMA’
razionale o ‘Io’
U
o
D-III → ‘ANIMA’ m
emotiva-volitiva Veicoli, ‘Potenze’ o
o
e immaginativa ‘Facoltà’ dell’ANIMA
n
a
D-II → ‘ANIMA’ t
senso-motoria u
e vegetativa r
a
l
e

D-I → Materia Veicolo del cibo o


sensibile Corpo materiale [Sōma]

183
Ho parlato a volte di una luce che è nell’anima, increata e increabile […]. Essa co-
glie Dio immediatamente, nella sua nudità, senza niente che lo ricopra, come egli è
in se stesso, e questo è il coglierlo nel compimento della generazione. Perciò posso
dire in verità che questa luce ha più unità con Dio di quanta ne abbia con le potenze
dell’anima, con le quali peraltro sta in unità di essere […]. Perciò io dico: se l’uo-
mo si distoglie da se stesso e da tutte le cose create - tanto tu fai questo, tanto sei
unito e felice nella scintilla dell’anima, che non tocca mai né il tempo né lo spazio.
Questa scintilla rifiuta tutte le creature, e non vuole altro che Dio nella sua nudità,
come è in se stesso […]; essa vuole penetrare nel semplice fondo, nel silenzioso de-
serto, dove mai ha gettato uno sguardo la distinzione, né Padre né Figlio né Spirito
santo (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Alle gleiche Dinge, pp. 124-125).

[…] Giovanni della Croce insegna la possibilità di una completa unione dell’anima
con Dio, fondata sul fatto che Dio stesso è il centro, o la sostanza, dell’anima. Tro-
vare il centro - Meister Eckhart dice prevalentemente il “fondo”, ma è la medesima
cosa - dell’anima è dunque trovare Dio, e trovare Dio è trovare se stessi nella pro-
pria vera realtà sostanziale, al di là delle caratteristiche accidentali e superficiali
[…]. L’unione con Dio è possibile solo attraverso la via del distacco, ovvero la ri-
mozione di tutto ciò che è superficiale e accidentale, operando una completa purifi-
cazione dell’anima. Essa implica una sorta di progressiva spoliazione, una serie di
dolorosi passaggi per mettere a nudo la sostanza dell’anima - quelle, appunto, che il
mistico castigliano chiama “notti” (Marco Vannini; Dialettica della fede, p. 53).

***

- Vi è poi l’Anima universale [C], l’Ipostasi plotiniana, che è 3° Livello della


Realtà condizionata, costituita dall’insieme delle infinite Anime particolari:

[…] Essa ha ispirato negli esseri la vita ed è generatrice di tutti i viventi, quanti ne
alimentano la terra e il mare e quanti si trovano nell’aria e nel cielo, cioè gli astri
divini (Plotino; Enneadi V, 1, 2).

L’Anima una non impedisce l’esistenza delle molte anime, come «l’unico» Essere
non toglie «la pluralità» degli enti (Plotino; Enneadi VI, 4, 4).

***

- Quindi vi sono le molteplici Anime particolari, che nel loro insieme formano
l’Anima universale. Ciascuna di esse consiste in una Monade e nella totalità
dei Demoni dei 4 ordini da essa proiettati negli infiniti Cosmi o Universi:

Allora, anche le anime dovranno essere une e molteplici, nel senso che dall’unica
Anima scaturisce una varietà articolata di anime (Plotino; Enneadi IV, 8, 3).

***

184
- L’insieme dei Demoni dei 4 ordini proiettati da un medesimo “Orientamento
auto-contemplativo” [OAC] di tutte le Anime particolari consiste nell’Anima
di un determinato Cosmo, la sua Anima mundi:

Dalla prima Anima derivano le altre anime, sia quella dell’universo sia le singole
(Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 552).

***

- Infine, vengono chiamate impropriamente “anime” le facoltà vitali, psichiche


e razionali, le quali sono in verità soltanto le potenze manifeste dei Demoni
II, III e IV nella Realtà fisica (“anima” razionale, “anima” emotiva-volitiva e
immaginativa, “anima” senso-motoria e vegetativa).

***

Noi cosa siamo? Qual è la nostra vera essenza, ciò che realmente siamo?
È forse l’“Io”, il nostro Demone individuale [D-IV]? No! L’Uomo possiede
anche altre tre componenti, provenienti da altri Demoni. L’“Io” non è nemmeno
padrone in casa propria, nell’aggregato psico-fisico (Corpo-Mente), schiacciato
com’è fra le istanze della Specie e quelle della Società.
È l’Anima particolare che ha generato il nostro D-IV? Ancora... no! Questa
Anima negli altri Cosmi genera altre realtà (Astri, Specie, Popoli, Individui).
Tutte queste entità altro non rappresentano che dei condizionamenti ai quali
siamo (apparentemente) soggetti. Sono Mâyâ. Persino lo Spirito è Mâyâ.
Ebbene, la nostra vera Essenza - quella di ogni cosa e del Tutto - è il Fondo
dell’Anima, l’Assoluto, il Brahman, unica Realtà.

185
44. LE CORRISPONDENZE FRA IL
MACROCOSMO E IL MICROCOSMO
La Realtà (ossia l’Assoluto) è unica, semplice, indivisa ed irrelata in quanto,
non ammettendo nient’altro, non vi è nulla che possa entrare in relazione con lei.
Le molteplici entità che si manifestano nell’Esistenza universale consistono in
una apparente de-terminazione (cioè limitazione) e frammentazione della Realtà.
Sono il risultato di un’errata percezione: sono apparenza, Mâyâ, Doxa. In verità
ogni cosa “è” l’unica Realtà tutta intera in un suo aspetto:

[…] il mondo [si intende la Manifestazione universale]*, pur non essendo la Realtà
[l’Assoluto]*, ne è tuttavia l’espressione e quindi la limitazione; è dunque la Real-
tà, non in sé, ma in quanto si manifesta secondo determinati limiti […]. Il mondo,
non essendo Dio [l’Assoluto]*, si riduce a rigor di termini al nulla; ma non essendo
il nulla, è essenzialmente Dio [Ogni cosa è Dio, e il sapiente vede il Volto divino in
ogni cosa (…)]. La distinzione, nell’ordine dei princìpi, è una funzione dell’igno-
ranza, giacché solo l’Uno [l’Assoluto]* è reale, e non quanto è distinto […]; non vi
è infatti alcun oggetto di conoscenza, né intorno a noi, né in noi, che non sia essen-
zialmente - non esistenzialmente - la Realtà una, e non vi è conoscente, se non la
Conoscenza immanente, che è infinita (Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, pp.
21-22). *N.d.A.

Nel momento in cui un essere, dimentico che la Realtà è indivisa, si crede un


“Io” (un soggetto individuale), non può che porsi in relazione con un “Non-Io”,
ovvero con il “resto” del reale, che egli percepisce come oggetto di conoscenza,
altro-da-sé. E lo percepisce in conformità con il suo apparato conoscitivo, ossia
come i sensi e la mente glielo traducono. Egli è allora come uno specchio nel
quale il mondo si riflette. I Livelli gerarchici con cui descrive la Realtà “esterna”
sono proiezioni della sua natura. Ecco spiegate le corrispondenze analogiche fra
il Macrocosmo (il mondo) e il Microcosmo (l’individuo):

La visione ermetica delle cose è basata sull’analogia fra l’universo - il macrocosmo


- e l’uomo - il microcosmo […]. L’universo e l’uomo si rispecchiano l’un l’altro:
tutto ciò che si trova nell’uno deve anche trovarsi in qualche modo nell’altro. Si
comprenderà meglio tale corrispondenza se la si riconduce, in certo qual modo
provvisoriamente, alla relazione fra soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto
[…]; si possono distinguere i due poli, ma non li si può separare: non esiste oggetto
senza soggetto, né questo senza quello […]. Questo ci porta a considerare una nuo-
va dimensione di analogie: poiché l’uomo […] si può considerare, in teoria se non
di fatto, come la sintesi o il “compendio” dell’essere macrocosmico […]: in questo
senso, alcuni ermetisti arabi hanno detto: «L’universo è un grande uomo, e l’uomo
è un universo in piccolo» (Titus Burckhardt; Alchimia. Significato e visione del
mondo, pp. 27-29).

186
La struttura a gradini del macrocosmo corrisponde, negli uomini, alle diverse facol-
tà conoscitive, dalla percezione sensoriale all’immaginazione e alla ragione, fino
alla profonda intuizione. L’ultimo piolo rappresenta la comprensione immediata del
verbo divino nella meditazione. La scala non procede oltre, perché Dio in sé è in-
comprensibile (Alexander Roob; Alchimia e mistica, p. 245).

Quando si identifica l’Universo con l’Essere cosmico, evidentemente non si tratta


soltanto dell’universo fisico ma della totalità dei princìpi universali, dell’universo
integrale […]. Esiste una vita interiore, una coscienza nascosta che regge ogni trat-
to dell’esistenza, ogni forma della natura. Divinità diverse, aspetti della Coscienza
cosmica, sovraintendono ai movimenti degli astri come pure alle funzioni del no-
stro corpo. La tecnica dell’introspezione, conosciuta con il nome di yoga, sembra
essere stata uno strumento utile per la scoperta del cosmo […]. Solo il proprio uni-
verso interiore è veramente accessibile all’uomo […]. Il mondo esterno non è che
un riflesso la cui realtà sta nello specchio che lo riflette. Per tale ragione […] sem-
bra che esista, a ciascun livello, un’equivalenza assoluta tra la struttura dell’uomo e
la struttura dell’universo, così come l’uomo lo percepisce o lo concepisce. È quindi
legittimo paragonare l’universo a un uomo immenso con un corpo, facoltà e uno
spirito che lo guida […]. D’altro canto, è anche vero che questo paragone ci per-
mette di descrivere la nostra forma vivente come un minuscolo universo e trovare
in noi il sole, la luna, la terra, gli elementi. Qualunque concezione possiamo avere
dell’uomo e dell’universo è un mutuo riflesso dell’uno sull’altro. L’uomo è chia-
mato universo individuale o microcosmo, mentre l’Essere cosmico è l’universo to-
tale, il macrocosmo o «uovo dell’Immensità» (brahmānda). L’uomo e l’universo
appaiono come due esseri paralleli e simili (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I
mille volti del pantheon induista, pp. 62-63).

***

Nell’immagine, oltre a Macro (colonna a sinistra) e Microcosmo (colonna a


destra in basso), abbiamo riportato il Metacosmo (l’Assoluto, il quale trascende
ogni manifestazione, finanche principiale) ed il Mesocosmo (a destra in alto), da
intendersi come una prefigurazione logico-simbolica dell’Individualità, ovvero
dell’Uomo naturale con il suo aggregato psico-fisico.
Come possiamo osservare, il Microcosmo è un’entità composita, che non ha
in sé la propria causa, essendo un aggregato di Elementi eterogenei e di diversa
origine. È infatti generato, animato e governato dal Prâna dei 4 diversi ordini di
Demoni-anime. Ogni Livello della sua struttura è in diretta concomitanza con un
corrispondente Livello del Macrocosmo, nel quale è anche contenuto. Possiamo
immaginarlo come una sua sezione verticale che ne riproduce analogicamente la
stratificazione ontologica.

187
Assoluto, Dio impersonale
[M E T A C O S M O]

Spirito uni- Angelo [è lo Spi-


versale [Nous], rito considerato in M
Dio-persona senso distributivo] E
S
Anima universale Anima O
[è l’insieme delle particolare o C
Anime particolari] “Io” celeste O
S
Demone M
Anime dei Cosmi, O
individuale
insiemi di indefiniti
[D-IV]
Demoni individuali
[D-IV], Destini
dei Popoli [D-III],
Geni delle Specie
[D-II] e Demoni
Senso
degli Astri [D-I] nati
interno [“Io”]
dal medesimo OAC
e Ragione
I
n
Psichismo Emozioni, d
D i
[Gruppi sociali Volizione ed
III v
o Popoli] Immaginazione
i
d
Facoltà senso- u
D Vita organica a
motorie e Funzioni
II [Specie viventi] l
vegetative i
e t
à
D Realtà materiale Corpo
I inorganica [Astri] materiale

MACROCOSMO MICROCOSMO

188
45. I QUATTRO STATI DI
COSCIENZA DELL’UOMO NATURALE

Fra le varie corrispondenze analogiche relative ai quattro Elementi grossolani


c’è anche quella con gli stati di coscienza nell’Uomo naturale, che rappresentano
i condizionamenti ai quali Âtmâ (la Coscienza) apparentemente si assoggetta per
manifestarsi a se stesso. Vediamoli, elencandoli con una numerazione a ritroso
(sempre in conformità con il nostro schema):

***

4. Lo stato di maggior consapevolezza è la Veglia (simbolizzata dall’Aria),


nella quale è attivata la Ragione, facoltà che vaglia l’esperienza con la logica e
che, almeno a livello terrestre, è prerogativa nella sua pienezza solo dell’uomo.
In esso sono presenti anche gli altri stati, ma la Veglia è quello predominante.
Gli oggetti principali della sua esperienza sono i fenomeni esterni, percepibili
con i sensi, quindi la realtà cosiddetta “oggettiva”, condivisa da tutti.

***

3. Vi è poi lo stato di Sogno (simbolizzato dal Fuoco), da intendersi non solo


come esperienza onirica, ma anche in quanto fantasticheria inconscia diurna, con
creazione incontrollata di immagini e di ricordi. I suoi oggetti sono quelli della
realtà sottile, ovverosia inestesa (i pensieri, infatti, non occupano Spazio fisico,
ma esistono in una sorta di “spazio mentale interno” soggettivo). È la condizione
peculiare dell’animale o, per essere più precisi, degli animali più evoluti, dotati
di Mente (pur irrazionale, mancando la facoltà logica):

Tu sogni continuamente, non solo di notte, non solo mentre sei addormentato: so-
gni tutto il giorno […]: quando sei sveglio stai ancora sognando. Chiudi semplice-
mente gli occhi in qualsiasi momento del giorno, rilassa il corpo e sentirai che il
sognare è lì. Non scompare mai, è solo nascosto dalle nostre attività quotidiane
(Osho; Il libro dei segreti, p. 149-151).

Quando siamo svegli analizziamo le nostre esperienze con più o meno lucida
razionalità. Quando sogniamo, invece, la Ragione è - per così dire - disattivata, e
l’immaginazione è lasciata vagare senza controllo, libera di creare storie assurde
o fantastiche. Possiamo volare o vedere un animale che parla senza stupircene.
Scrive Garelli (citando il Saggio sui sogni di Johann Heinrich Samuel Formey):

189
Nello stato di veglia, la nostra immaginazione potrebbe così essere paragonata a
una «repubblica» in cui «la voce dei magistrati ristabilisce tutto in ordine»; nei so-
gni, invece, l’immaginazione mostra quella medesima repubblica «nello stato
dell’anarchia»: una metafora vagamente platonica in base alla quale le passioni so-
no coerentemente concepite come veri e propri «attacchi all’autorità del legislato-
re» (Gianluca Garelli; Sogni di spiriti immondi. Storia e critica della ragione oniri-
ca, p. 242).

Perché accade questo? Sembra vi siano dei particolari neuroni - i magistrati


dell’analogia di Formey - adibiti al controllo logico-razionale dell’esperienza, i
quali nel Sogno si disattivano:
È risaputo che la maggior parte dei neuroni cerebrali non sembra necessitare di ri-
poso. L’area cerebrale più sensibile alla fatica fu identificata da Hobson e McCar-
ley negli eventi metabolici che sintetizzano e approvigionano i neurotrasmettitori
verso le terminazioni neurali. Pare che i neuroni aminergici del tronco cerebrale
siano i candidati più probabili alla deplezione di neurotrasmettitore, dato che questi
gruppi di cellule riducono enormemente l’attività durante il sonno, precipitando ai
livelli più bassi durante il REM. Pare inoltre che anziché per un periodo di rinnovo,
o di recupero dall’attività del giorno prima, questi neurotrasmettitori, a causa della
loro inattività, vengano conservati per il giorno dopo. Il valore funzionale dei neu-
roni aminergici è specificamente legato ai compiti di critica, attenzione e appren-
dimento. La loro assenza, riposo o inibizione si adatterebbe quindi alla perfezione
al modello riscontrabile nei sogni di una coscienza del tutto acritica che accetta
tranquillamente gli eventi più bizzarri ai quali assiste senza mai chiedersi come
siano possibili […]. Solo quando, per qualche ragione misteriosa o casuale, la fa-
coltà autoreferenziale si risveglia all’improvviso all’interno dell’allucinazione, ci
ritroviamo in un sogno lucido. I neuroni aminergici sono in qualche modo riusciti a
liberarsi dalle loro inibizioni e riprendono d’un tratto l’attività (Malcolm Godwin;
Il sognatore lucido, pp. 66-68).

***

2. Nello stato di Sonno profondo (simbolizzato dall’Acqua) la Mente - cioè le


rappresentazioni psichiche interne - è praticamente inattiva. Ovviamente essa è
presente, nell’uomo e negli animali, giacché è presente un cervello pensante, ma
è in uno stato potenziale, pronta a riemergere solo nel Sogno e/o nella Veglia.
Il Sonno è la condizione che condividiamo con i Vegetali. In essa sono attivi
i sensi (infatti un rumore ci sveglia) e il movimento (che nelle piante è presente,
seppur lentissimo rispetto a quello degli animali), ma non la Mente:

Che cosa è l’uomo quando dorme? È una semplice pianta […]. Ha mai qualcuno ri-
guardato il sonno come quello stato che mette una relazione tra noi e le piante?
(Georg Cristoph Lichtemberg; Osservazioni e massime, K 86, p. 63. citazione tratta
da: Gianluca Garelli; Sogni di spiriti immondi. Storia e critica della ragione oniri-
ca, p. 326).

190
***

1. Infine, vi è lo stato di Cadavere (simbolizzato dalla Terra), ossia il corpo


materiale, il sòma. Con la morte biologica, anche le funzioni e le facoltà vitali
vengono meno, e rimane soltanto l’involucro materiale, che condividiamo con i
Minerali, con la realtà inorganica:

Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché
da essa sei stato tratto (Libro della Genesi, III, 19).

Nel contesto del Livello di Realtà condizionata che abbiamo chiamato Natura
vivente [E], la Materia - pur essendo una realtà determinata, concreta - viene a
rappresentare simbolicamente il sostrato sostanziale, l’Illimite [y]. Nella Materia
inorganica la Coscienza è allo stato puramente potenziale; la consapevolezza
non c’è, ma è virtualmente possibile; infatti, è dalla materia che - casualmente o
no - è nata la Vita, e da questa, tramite l’evoluzione, la consapevolezza mentale.

***

I tre stati in cui la Vita è presente sono descritti nelle Upaniṣad:

La prima condizione è Vaiśvānara [Vaiśvānara = «comune a tutti i singoli uomini»


(…); indica la condizione di veglia, nella quale gli uomini possono vicendevolmen-
te comunicare attraverso la porta dei sensi], la quale ha come sede lo stato di ve-
glia; essa ha conoscenza degli oggetti esteriori […] e fruisce del mondo materiale.
La seconda condizione è Taijasa [Taijasa, da tejas, sostanza di luce, le cui modifi-
cazioni costituiscono il tessuto delle percezioni nello stato di sogno], la cui sede è
lo stato di sogno; essa ha conoscenza degli oggetti interni […] e ha come dominio il
mondo della manifestazione sottile [Pravivikta, letteralmente «separato», in quanto,
allo stato di sogno, l’anima individuale genera, per effetto del proprio desiderio, un
mondo che è soltanto oggetto della propria esperienza personale e, quindi, non
«comune a tutti gli uomini»]. Allorché l’essere dormiente non prova più desideri,
non è più soggetto a sogni, allora si ha condizione di sonno profondo (Māṇḍūkya-
upaniṣad, I, 3-5. Upaniṣad antiche e medie, pp. 371-372)10.

Questa classificazione degli stati di coscienza è molto importante, in quanto,


come vedremo più avanti, ci servirà per comprendere - nel contesto dell’Auto-
Contemplazione generatrice - la modalità del Ritorno dell’intera realtà fisica alla
propria Fonte ed Essenza, che è l’Etere, il quinto Elemento, la Quintessenza, dal
quale gli altri quattro derivano e nel quale essi esistono.

10
Le note fra le parentesi quadre sono del curatore del testo, Pio Filippani-Ronconi.
191
46. MONDO “VISIBILE” E MONDO “INVISIBILE”
Dopo aver analizzato la complessa struttura dell’ultimo Livello della Realtà,
la Natura vivente [E], costituita dai quattro Elementi, siamo ora in possesso delle
nozioni necessarie per trattare in modo più completo la struttura metafisica del
reale e le Categorie-Condizioni che la determinano, tenendo sempre presente
che la nostra strutturazione è Mâyâ, ossia una descrizione, un espediente utile
per dare un ordine logico al reale, e rendercelo almeno in parte intelligibile.
La realtà ultima, il fondamento di ogni cosa, “è” Coscienza pura, la quale non
possiede alcuna struttura essendo assolutamente semplice, senza parti, indivisa,
impersonale, incondizionata, irrelata, non predicabile, non-duale, inintelligibile
(ossia non conoscibile), in quanto viene “prima” del Pensiero, il quale è fondato
inevitabilmente sulla relazione duale soggetto conoscente/oggetto conosciuto.
Se la Realtà è Coscienza, e quindi la manifestazione (la Realtà condizionata)
è un processo auto-cognitivo (essa è ciò che pensa di essere), allora pensare e
conoscersi corrisponde in qualche modo a essere, e i Livelli gerarchici del reale
non sono soltanto logici e gnoseologici, ma anche ontologici:

[…] il mondo è la conseguenza della conoscenza che lo Spirito ha di «quel caleido-


scopico quadro dipinto da lui stesso sull’immensa tela di se stesso». Non è per
mezzo della Totalità che Egli si conosce: è mediante la conoscenza di se stesso che
Egli diventa la Totalità; poterlo conoscere per mezzo di questa Totalità è soltanto
una pretesa del nostro metodo induttivo (Ananda K. Coomaraswamy; Induismo e
buddismo, pp. 31-32).

[…] allorché si parla dell’ordine di sviluppo delle possibilità di manifestazione, o


dell’ordine nel quale devono essere enumerati gli elementi che corrispondono alle
differenti fasi di questo sviluppo, bisogna aver cura di precisare che un tale ordine
implica soltanto una successione puramente logica, che d’altronde traduce un con-
catenamento ontologico reale, e che in nessun modo si può parlare qui di una suc-
cessione temporale (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p.
56).

E dicendo che la Realtà condizionata (ciò che non è l’Assoluto in sé) è Mâyâ,
non intendiamo dire che è irreale, che è un miraggio. Anzi, giacché anche noi
siamo esseri condizionati, essa è per noi realissima. È irreale solo se considerata
in sé, come “altro” ed indipendente dal principio indiviso, il Brahman:

Dal punto di vista del principio creatore, il mondo può essere considerato illusorio,
una specie di ectoplasma energetico che può riassorbirsi nel proprio principio […].
In questo senso l’universo è chiamato Māyā, illusione o apparenza. Tuttavia, “non
[è] così dal punto di vista di ogni coscienza finita, epperò anche dell’uomo comune,
per il quale esso è invece un’indiscutibile realtà da cui in nessun modo può prescin-
dere. L’uomo fa parte della creazione. Egli non esiste sotto alcun aspetto, fisico,

192
mentale, spirituale al di fuori d’essa” [J. Evola, Lo Yoga della potenza, p. 31]. La
Māyā, materia prima dell’universo, è quindi considerata, dal punto di vista umano,
come reale ed eterna. È effimera solo dal punto di vista di Śiva (Alain Daniélou;
Śiva e Dioniso. La religione della natura e dell’eros, pp. 127-128).

La Manifestazione è una sorta di inconsapevolezza, di caduta. Potremmo dire


che Dio (la Coscienza) in alcuni suoi aspetti perde consapevolezza di proposito,
si “distrae” al fine di esistenziare gli esseri, per permettere loro di manifestarsi
(ovviamente in senso metaforico, poiché non vi è alcun “proposito” distinguibile
dalla Coscienza stessa). Quindi l’Esistenza non è pienezza, bensì, al contrario,
mancanza, apparente assenza di assolutezza. Ecco perché per la mistica di tutte
le tradizioni sapienziali persegue la “Liberazione”, ovverosia la fuga dal mondo
condizionato, l’uscita da esso e la riunificazione con l’Assoluto indiviso, il quale
trascende infinitamente ogni sua manifestazione. Ne riparleremo.

0] Assoluto – – Realtà
non intel-
– Sovra-Essere [A0] [Causalità non-agente] M
ligibile o
Infinito n
A]
positivo Shakti divina [A1] ⊃ Nomi divini ⊃ Pos- d
y-x
sibilità universali [Oggettività relazionale] o

x Essere [Unità semplice, indivisa] Realtà i


Spirito intelli- n
B] Intelletto divino ⊃ Angeli-spirito v
universale y-x gibile
⊃ Idee intellettuali [Molteplicità numerica] i
[non s
x Monadi [Identità uniforme, indistinta] esperi- i
bile]: b
Anima i
C] Psiche angelica ⊃ Demoni-anima ⊃ Plèroma
universale y-x l
Forme immaginali [Diversità formale] e
x Etere [Immutabilità nel puro Tempo]

Mani- x Senso interno [“Io”] Realtà


festa- Natura esperibile,
D] E] Materia psichica
zione vivente y-x Mondo
fisica e Corpo organico visibile o
fenomenico:
y-x Materia sensibile [Movimento locale] Kènoma

Prendiamo quindi in esame i Livelli gerarchici del reale. La prima distinzione


è quella tra il “Mondo visibile” e il “Mondo invisibile”. Di norma, con il termine
visibile si intende sensibile (ovvero oggetto dalle percezioni), mentre al mondo
invisibile vengono assegnate le proprietà opposte (sovrasensibile, incorporeo,

193
trascendente). Noi preferiamo però parlare di “mondo esperibile” e “mondo non
esperibile”. Il primo, infatti, comprende anche la Materia psichica, la quale non
è una realtà sensibile, in quanto i suoi oggetti sono mentali, sottili, esperibili dal
solo soggetto che li pensa e da nessun altro (vedi schema dell’immagine).
Il secondo non è invece esperibile semplicemente perché è profondamente
indiviso11; essendo la meta della Liberazione non è possibile entrare in relazione
duale con esso come se fosse un oggetto, ma si può soltanto “esserlo”, nel senso
di identificarcisi pienamente, dopo essersi liberati da tutti i condizionamenti:

L’esperienza della realtà ultima non è affatto un’esperienza, perché colui che espe-
risce è andato perduto […]. Quando non c’è più il soggetto, anche l’oggetto scom-
pare […]. Questo è stato il problema di tutti i mistici: raggiunta la realtà ultima,
non sono in grado di riferirne ai loro seguaci, agli altri che vorrebbero comprender-
la razionalmente. Sono diventati una cosa sola con la realtà ultima (Osho; Tantra.
La comprensione suprema, p. 11).

L’invisibile è la causa e la ragion d’essere del visibile, il quale sussiste solo


grazie ad esso ed in esso:

Il mondo è diviso in due parti, delle quali una è visibile e l’altra invisibile. Il visibi-
le non è che il riflesso dell’invisibile (Zohar, 1, 39. Citazione tratta da: Jorge Luis
Borges; Libro di sogni, p. 256).

Armonia non visibile, di quella manifesta più potente (Eraclito; Dell’Origine, fram-
mento 117, p. 192).

Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dal-
l’invisibile ha preso origine il mondo visibile (San Paolo; Lettera agli Ebrei, 11, 3).

[…] vero è che [i “moderni” - i quali ignorano le Verità metafisiche. N.d.A.] si van-
tano costantemente di «dominare le forze della natura», ma è altrettanto certo che
sono ben lontani dall’immaginare che, dietro tali forze, da essi considerate in senso
esclusivamente corporeo, c’è qualcosa d’altro ordine, di cui esse sono soltanto il
veicolo e come l’apparenza esteriore (René Guénon; Il regno della quantità e i se-
gni dei tempi, p. 153).

Questo essere (realtà), che procede dal bene, non è il mondo materiale, giacché
quest’ultimo non è essere, bensì miscuglio perpetuo di divenire e di annientamento,
è mutamento […]. Questo mondo materiale […] è nel mondo intelligibile, il quale è
infinitamente più vasto. Non si può essere più lontani di Platone dal panteismo, dal
mettere Dio nel mondo (Simone Weil; La Grecia e le intuizioni precristiane, pp. 53
e 57).

11
Noi consideriamo il Mondo invisibile come se avesse una struttura (il che non è),
dalla quale le cose emergono già molteplici, diverse, in moto e in reciproca relazione.
194
In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (Atti degli Apostoli, 17, 28).

A sua volta, il mondo invisibile può essere distinto in mondo non intelligibile
(Assoluto e Sovra-Essere), del tutto inconcepibile, e mondo intelligibile, il quale
non è esperibile con i sensi corporei, ma desumibile soltanto tramite l’intelletto.
Si tratta quindi delle ipostasi (Infinito positivo, Spirito e Anima universale), cioè
della struttura logica del reale. Certo, anche questi sono oggetti mentali. Non ci è
possibile concepire alcunché che non sia un oggetto mentale. Però essi non sono
pensati dallo Psichismo inconsapevole, bensì dalla pura Ragione, dall’intelletto,
al fine di ricondurre concettualmente il reale al suo principio unitario, il quale
trascende la Ragione stessa. Sono princìpi puramente logici, atemporali, come la
matematica che sta alla base delle leggi fisiche. Comprenderemo meglio quando
tratteremo i 2 opposti orientamenti della logica (Logos umano): quella analitica
o separativa e quella sintetica o unitiva.
L’Etere, ultima delle realtà intelligibili e al contempo principio e Limite della
Manifestazione fisica, cela in sé tutti gli aspetti essenziali dei Livelli precedenti
(Causalità metafisica, Unità, Identità ed Immutabilità)12.
La Natura vivente [E], essendo una attivazione della Materia, si frappone fra
il Limite-Essenza della Manifestazione fisica (l’Etere) ed il suo primo prodotto,
la Materia sensibile, generata dai Demoni astrali [D-I] e vivificata dai Geni delle
Specie [D-II], la quale viene a rappresentare il sostrato primario della Natura - al
quale si aggiungerà poi anche la Materia psichica prodotta dai Destini dei Popoli
[D-III) e vivificata dai Daimon individuali [D-IV].

12
La Natura, invece, ne eredita tutti gli aspetti sostanziali [y-x], ovverosia: Oggettività,
Molteplicità, Diversità e Movimento. Essa rappresenta quindi la Manifestazione vera e
propria, ciò che si mostra, che esiste solo nella Relazione, ovvero nella co-produzione
condizionata, e che si contrappone (idealmente) al Non-Manifestato.
195
47. LA STRUTTURA DEL REALE NELLE
DIVERSE TRADIZIONI SAPIENZIALI

Si sarà notato che il nostro schema riguardante la struttura del reale è molto
simile a quello del neoplatonico Plotino, il quale parla di tre ipostasi del mondo
intelligibile - che chiama Uno, Spirito e Anima - e della materia, che consiste nel
punto di esaurimento della spinta creatrice:

La derivazione delle cose dall’Uno è rappresentata come l’irraggiarsi di una luce da


una fonte luminosa in forma di cerchi successivi via via degradanti in luminosità,
mentre la fonte stessa della luce persevera senza impoverirsi pur nel suo espandersi
tutto intorno. Il primo cerchio luminoso dopo la fonte di luce è il Nous o Spirito,
ossia la seconda ipostasi; il successivo cerchio è l’Anima, ossia la terza ipostasi. Il
cerchio che segue ulteriormente segna il momento dello spegnersi della luce e sim-
boleggia la materia, la quale ha bisogno di un irraggiamento estraneo, essendo or-
mai tenebra (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 520).

L’Uno di Plotino corrisponde esattamente a quello che noi abbiamo chiamato


Assoluto. La principale differenza fra la sua visuale e la nostra è che vi abbiamo
aggiunto due Livelli: l’Infinito positivo, posto fra Assoluto e Spirito, e la Natura
vivente, compresa - all’interno della Manifestazione fisica - fra Etere e Materia.
Questi due Livelli non erano sconosciuti a Plotino; è solo che lui ha preferito
considerarli semplici aspetti di altre ipostasi. Riguardo l’Infinito positivo si veda
Enneadi V, 2, 1 (la frase è riportata a p. 52, nel capitolo n°14: “I due ‘momenti’
della Contemplazione generatrice”).
Per ciò che concerne invece la Natura vivente, il discorso di Plotino è un po’
più complesso. Nella frase sopra citata, Giovanni Reale dice che la Materia: “ha
bisogno di un irraggiamento estraneo”. Quell’irraggiamento giunge - secondo
Plotino - dall’Anima, o meglio, dal suo lembo inferiore, dall’“orlo” dell’Anima
del Cosmo volto verso la Materia, “orlo” che egli chiama Physis (Natura):

Abbiamo visto come l’attività dell’Anima si svolga, per così dire, in due opposte
direzioni: da un lato, essa tende alla contemplazione dello Spirito, e, dall’altro, essa
mira a produrre qualcosa di altro da sé e a creare il mondo sensibile. Abbiamo vi-
sto, inoltre, che delle tre anime quella che propriamente produce il mondo sensibile
è l’Anima dell’universo [del Cosmo]*, dato che l’Anima suprema (o l’Anima totale
o universale, che è l’Anima che contiene tutte le anime) rimane perennemente nel
mondo intelligibile accanto allo Spirito, mentre le anime particolari [i Daimon in-
dividuali e le Monadi particolari che li hanno generati]* trovano i corpi già prodotti
dall’Anima dell’universo e si limitano ad animare e a reggere questi corpi. Dunque,
quella duplice attività di cui ragioniamo caratterizza in modo particolare appunto
l’Anima dell’Universo. Ebbene, proprio la parte inferiore, l’«orlo» o «il lembo
estremo» di quest’anima, per usare le immagini di Plotino, ossia l’aspetto per cui
quest’anima produce il mondo fisico, costituisce la physis, ossia la natura. La «natu-

196
ra», per Plotino, rappresenta, dunque, l’estremo lembo del mondo dell’incorporeo e
quanto di intelligibile si riflette nella materia, e, quindi, rappresenta il limite estre-
mo nel quale terminano gli esseri veri (Giovanni Reale; Storia della filosofia anti-
ca, Vol. IV, p. 555). *N.d.A.

Il pensiero [l’attività auto-contemplativa dello Spirito]* è qualcosa di primo, la na-


tura invece è qualcosa di ultimo. La natura infatti è un’immagine del pensiero e, es-
sendo l’ultima frangia dell’anima possiede anche l’ultima parte di ragione che ir-
raggia in essa […]. Perciò la natura non conosce ma crea soltanto [non è in grado,
da sola, di fare Ritorno al Principio]*: cioè essa crea dando tutto ciò che possiede,
involontariamente, a ciò che è dopo di essa, al corporeo, al materiale; così come un
corpo riscaldato trasmette la forma del calore a un oggetto che è in contatto con es-
so e lo rende caldo, anche se in grado minore (Plotino; Enneadi IV, 4, 13). *N.d.A.

In pratica, la Physis plotiniana corrisponde, nel nostro schema, all’insieme


dei Demoni delle Specie, dei Popoli e dei singoli Individui [D-II, III, IV], i quali
vivificano, rendono consapevole e reggono la Materia corporea già prodotta dai
Demoni degli Astri [D-I], il tutto all’interno dell’Anima di un Cosmo.

***

Passiamo ora ad analizzare le altre tradizioni. Innanzitutto, il Cristianesimo,


nel quale, se non è possibile parlare di “Livelli” nell’ambito macrocosmico, lo è
di certo riguardo la struttura triplice del microcosmo umano:

Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e
corpo (San Paolo; Prima Lettera ai Tessalonicesi, 5, 23).

Nelle dottrine indù si parla a proposito del Non-Manifestato e dei tre “mondi”
della Manifestazione universale (corrispondenti a: Spirito, Anima universale e
Manifestazione fisica), simbolizzati dai seguenti elementi:

[…] (la terra, l’atmosfera e il cielo … rappresentano i tre gradi fondamentali fra cui
sono ripartiti tutti i modi della manifestazione) […] (informale, sottile, grossolana),
che la tradizione indù chiama i «tre mondi» (Tribhuvana) (René Guénon; L’uomo e
il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 49).

Essi sono presenti anche nell’esoterismo ebraico, ove sono chiamati Olamot:

Questi tre mondi figurano anche nella Qabbalah ebraica con i nomi di Beriah, Ie-
tsirah, Asiah; al di sopra di tutti sta Atsiluth, lo stato principiale della non-
manifestazione (René Guénon; L’uomo e il suo divenire secondo il Vêdânta, p. 49).

197
LE CORRISPONDENZE KABBALAH SUFISMO
UNIVERSALI [OLAMOT] [HADARÂT]

Allāh,
[0] Assoluto En Sof Dio nascosto
[Hāhūt]

«Divinità»,
Infinito
[A] Atzijlut Mondo divino
positivo
[Lāhūt]

Mondo
Spirito U
[B] Berij’ah A intelligibile
universale o
d [Jabarūt] m
a o
Mondo
Anima m u
[C] Jetzirah immaginale
universale n
[Malakūt] i
Q
a v
Natura e
[E] – d Nāsūt r
vivente
m s
Manife- o a
n l
[D] stazione Asijah Molk e
fisica

Lo Spirito, essendo la Manifestazione principiale, comprende già in sé come


possibilità tutti i Livelli successivi. Nonostante ciò, possiamo anche considerare
la Manifestazione nel suo completo sviluppo, cioè come l’insieme dei tre mondi,
e parlare simbolicamente di Macrocosmo o “Uomo universale”; è questo l’Adam
Qadmon dell’esoterismo ebraico. L’Assoluto in sé, invece, in questa dottrina è
chiamato En Sof , ovvero “Nulla infinito”.
Lo Zohar, nel descrivere la Creazione come l’espressione della Parola divina
(Logos o Verbo: la Vāc indù), elenca chiaramente quattro momenti successivi:

[…] il pensiero abissale, la parola interna, la voce percepibile ed il discorso sono la


stessa cosa. Tutto è uno. Il pensiero è il principio di tutto e non c’è separazione, ma
tutto è uno e il legame è uno (Il libro dello splendore. Zohar, p. 28).

198
VÊDÂNTA NEOPLA-
INDÙ TONISMO

Brahman
1] «Uno», T
«Bene» r
Non-
e
Manifestato
I
Manifesta- p
2] Intelletto
zione informale o
[Nous]
[sovra-formale] T s
r t
Manifesta- 3] Anima a
e
zione formale universale s
sottile [Psiché] i
M
o Natura
– n [Physis]
d
Manifesta- i Mondo
zione formale sensibile e
grossolana corporeo

Che tale frase sia riferita al processo della manifestazione divina con i suoi 4
Livelli lo si intende chiaramente leggendo la seguente frase di Scholem:

Il processo emanativo può venir rappresentato anche come processo linguistico: il


pensiero intimo [la pura Possibilità dell’Infinito positivo]* si trasforma in una voce
ancora nascosta, silenziosa [il Pensiero auto-contemplativo dello Spirito]*, e que-
sta, che è la voce dalla quale nascono tutte le lingue, diventa un suono ancora inar-
ticolato [le Forme sottili dell’Anima universale]*. Solo quando questo suono si di-
spiega ulteriormente [negli oggetti estesi della Manifestazione fisica]* nascono la
parola e il discorso articolato, che rappresentano l’ultimo grado dell’autorivelazio-
ne di Dio (Gershom Scholem; Il Nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguag-
gio, pp. 72-73). *N.d.A.

199
Ma torniamo allo schema dei Mondi poco sopra esposto, per osservare come
esso sia del tutto sovrapponibile a quello del misticismo islamico; cambiano solo
le denominazioni (abbiamo infatti le Hadarât al posto degli Olamot):

Gli stati contemplativi possono essere concepiti come «Presenze» (hadarât) divine,
o come modalità diverse della sola Presenza di Dio. Le Presenze divine sono in
numero indefinito; tuttavia si distinguono generalmente cinque Presenze fondamen-
tali, e ciò secondo diversi schemi di cui ne ricorderemo uno: alla «Presenza della
non manifestazione assoluta» si contrappone - non nella realtà divina ma in un’ot-
tica rigorosamente umana e temporanea - la «Presenza della manifestazione com-
piuta», ossia il mondo «oggettivo». Tra le due si colloca la «Presenza della non
manifestazione relativa» che si suddivide a sua volta in due regioni cosmiche di-
stinte, di cui l’una, quella dell’esistenza sovraformale, è più vicina alla «non mani-
festazione assoluta», mentre l’altra, quella del mondo delle forme sottili, s’accosta
alla «manifestazione compiuta». Le quattro Presenze sono contenute in una quinta,
la «Presenza totale», che s’identifica con l’Uomo universale (al-insân al-kâmil)
(Titus Burckhardt, nota a: Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, p. 37).

Riguardo la geografia immaginale così come è concepita dai mistici dell’Iran


islamico, scrive Corbin:

I nostri autori ripetono instancabilmente che ci sono tre mondi: 1) il mondo intelli-
gibile puro, chiamato teosoficamente Jabarūt o mondo delle pure Intelligenze che-
rubiniche; 2) il mondo immaginale, chiamato teosoficamente anche Malakūt, mon-
do dell’Anima e delle anime; 3) il mondo sensibile che è l’«ambito» (Molk) delle
cose materiali. Correlativamente, le Forme dell’Essere e del Conoscere proprie ri-
spettivamente di ciascuno dei tre mondi sono chiamate tecnicamente: 1) Forme in-
telligibili [Idee; qui il termine forma sta per essenza. N.d.A.]; 2) Forme immaginali;
3) Forme sensibili, quelle che cadono sotto la percezione dei sensi (Henry Corbin;
Corpo spirituale e Terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, pp. 15-16).

[…] Lāhūt, o sfera divina, […] domina il Jabarūt, sfera delle pure intelligenze che-
rubiniche; essa domina il Malakūt, mondo dell’Anima e della percezione immagi-
nativa, che a sua volta domina il Molk, il mondo sensibile che è l’operazione
dell’Anima (Henry Corbin; Nell’Islam iranico, Vol. 4, p. 245).

200
48. SCHEMI RELATIVI ALLE CATEGORIE-CONDIZIONI
Dobbiamo ora terminare un discorso, iniziato nei primi capitoli, relativo alle
Categorie gnoseologiche che nella nostra descrizione determinano i Livelli della
Realtà condizionata. Seguiamo l’immagine. In alto a sinistra - esterno ai bordi
dello schema - vi è l’Assoluto, il quale non sottostà ad alcuna categorizzazione,
essendo incondizionato e inconoscibile. Alla sua destra, nella prima riga in alto
vi sono i cinque Livelli della Realtà condizionata, e nella riga appena sottostante
le Categorie o Condizioni che via via si aggiungono ad ogni successivo Livello,
determinandolo. L’ultimo Livello, la Natura vivente, essendo lo sviluppo ultimo
e totale della Manifestazione universale, ha come determinante non un principio
logico, ma bensì quattro Elementi concreti (Materia, Vita, Psichismo e Ragione)
- che abbiamo chiamato “Condizioni secondarie” - stratificati nei quattro regni
ontologici della Natura (Minerale, Vegetale, Animale e Umano).
Vi sono poi tre fasce orizzontali di colore diverso: una riga più chiara in alto,
con le Essenze-Limiti [x]; l’ultima riga giù in basso, più scura, con le Sostanze-
Illimiti [y]; la fascia intermedia (risultante dalla interazione fra le due precedenti
e costituita da quattro sottofasce) con il Limitato, ossia il manifestato [y-x].
In quanto tale, l’Assoluto non ammette nessun’altra realtà poiché, se vi fosse
qualcos’altro, entrerebbe in relazione con lui, e non sarebbe già più assoluto, ma
appunto relativo. Noi stessi non possiamo porci come dei soggetti che indagano
oggettivamente l’Assoluto, in quanto non possediamo realtà indipendente da lui,
essendo suoi aspetti indivisibili. Insomma, l’Assoluto è irrelato, inintelligibile, e
non può essere oggettivizzato. Per poter concettualizzare il reale siamo allora
costretti a porre arbitrariamente un’Oggettività che ci sia intelligibile, pensabile.

***

Seguiamo quindi nel nostro schema la sezione verticale dell’Infinito positivo


e della Categoria della Relazione. Immaginiamo che l’Assoluto nel suo aspetto
non intelligibile sia la causa generatrice della Realtà intelligibile; chiamiamo
Sovra-Essere il primo aspetto e Shakti divina o “Alterità” intelligibile il secondo
(il quale altro non è che l’Essere possibile, non ancora manifestatosi a se stesso).
La Causalità è quindi l’azione determinante (in tal caso Causalità “non-agente”,
poiché l’abbiamo ipotizzata noi al fine di vedere una relazione laddove non c’è,
non essendovi alcuna alterità). Il principio logico che sottostà a tale operazione è
il Realismo, il quale consiste in tale postulato: la Realtà è oggettiva; essa “c’è”
indipendentemente dal fatto che vi sia o no un osservatore. Sappiamo che questo
non è vero, e che non vi è alcun osservatore che sia “altro” dalla Realtà indivisa.
Ma questo escamotage ci è utile. Questa Realtà intelligibile, però, non è già più
l’Assoluto, ma solo l’Oggetto universale della nostra indagine (la Shakti-Essere,
appunto), il quale ha senso solo all’interno della relazione con noi soggetti.

201
[0] ASSOLUTO [A] INFINITO [B] SPIRITO
INCONDIZIONATO POSITIVO UNIVERSALE

CATEGORIA /
RELAZIONE + QUANTITÀ
CONDIZIONE

[x] ESSENZA Non-Alterità Unità semplice


DETERMINANTE, con l’Assoluto = indivisa, intera =
LIMITE, LOGOS Sovra-Essere Essere universale

AZIONE DE- Causazione Moltipli-


LIMITANTE [non-agente] cazione
M
A [y-x] DETERMI- Oggettività = Molteplicità
N NAZIONE, LIMI- «Alterità» intelligi- numerica =
I TATO, KOSMOS bile, Shakti divina Intelletto divino
F
E PRINCIPIO Realismo: la Separabilità:
S LOGICO / Realtà è oggettiva, la Realtà è fatta
T ONTOLOGICO ossia indipendente di una pluralità
A FONDANTE dall’osservatore di cose discrete
T
O RELAZIONE FRA
Intercon- Co-Esistenza
GLI ELEMENTI
nessione nella Quantità
DEL LIMITATO

[y] SOSTRATO Relatività, Quantità continua


INDETERMINATO / Contingenza, [non numerabile],
ILLIMITE / CHAOS Immanenza Divisibilità infinita

Non ci dilunghiamo a descrivere tutto lo schema, il quale nella sua struttura si


ripete sempre uguale. Un piccolo chiarimento soltanto riguardo l’ultimo Livello,
la Natura vivente. Qui l’azione delimitante consiste nell’“entificazione”, cioè nel
considerare l’“Io” individuale come un ente sostanziale indipendente e durevole
anziché un composto di elementi eterogenei di processi in divenire strettamente
interconnessi con l’ambiente “esterno”.

202
[C] ANIMA [D] COSMO [E] NATURA
PARTICOLARE FISICO VIVENTE

+ SPAZIO- + 4 ELEMENTI
+ QUALITÀ
TEMPO NATURALI

Identità uniforme ed Immutabilità Senso


onniforme = Monade nel puro Tempo interno
particolare, Ahamkâra inesteso = Etere [«Io»]

Distin- Dislo- Entifi-


zione cazione cazione

Diversità Movimento Psichismo


formale = Psiche locale = Realtà + Corpo
angelica materiale organico

Non contrad- Località: non


dizione: vi è al- vi può essere

terità fra le mol- reciproca influ-
teplici identità enza a distanza

Compara- Distanza Interazioni fisiche,


zione nella nello Spazio- chimiche, biolo-
Qualità Tempo giche e sociali

Indifferenziabilità, Istantaneità Materia psichica


Confusione informe, simultanea nel + Materia sensi-
amorfa, caotica puro Spazio bile e corporea

Altra precisazione: la casella relativa al principio logico fondante è vuota, in


quanto in tal caso non siamo in presenza di Categorie gnoseologiche, ma bensì -
trattandosi dell’ultimo Livello gerarchico del reale, quello in cui si decanta tutta
la struttura soprastante - di realtà concrete.

203
[0] Assoluto incondizionato CONDIZIONI ALLE QUALI SONO ..
Categoria / Condizione → Relazione + Quantità
Livelli
della Determinazioni → Non- Og- Molte-
Realtà Unità
Alterità getti- plicità
condi- [1]
Limite [x] Limitato [y-x] con 0 vità [n]
zionata
↓ Azione del Limite Causazione Moltiplica-
[x] sull’Illimite [y] → non-agente zione numerica

Sovra-Essere
[A] o – – –
[non intelligibile]
Infinito
positivo Realtà oggettiva
o o ? ?
[Shakti] / Possibilità

[B] Essere uni-


o o o –
Spirito versale [Sat]
univer- Angeli-spirito /
sale o o o o
Idee intellettuali

[C] Monade «trasmi-


o o o o
Anima grante» [Ahamkâra]
parti- Demoni-anima /
colare o o o o
Forme immaginali
Etere, Âkâsha
o o o o
o Quintessenza
[D]
Cosmo / Terra =
o o o o
fisico Minerale e
d
+ U + Acqua e o o o o
o = Vegetale
[E] n
m
Natura + Fuoco i
o o o o o
vivente = Animale c
o
+ Aria =
o o o o
Uomo naturale
Realtà oggettiva
o o o o
[Shakti] / Possibilità

204
.. SOGGETTI [o] O NON-SOGGETTI [–] I LIVELLI DELLA REALTÀ CONDIZIONATA
+ Qualità + Spazio-Tempo + 4 Elementi naturali

Iden- Di- Immu- Movi- Mate- Vita Psi- Ragione


tità versità tabilità mento ria sen- orga- chi- e Senso
[=] [≠] [⊙] [卍] sibile nica smo interno

Distinzione Dislocazione Entificazione o


formale spaziale Individuazione

– – – – – – – –

? ? ? ? ? ? ? ?

– – – – – – – –

– – – – – – – –

o – – – – – – –

o o – – – – – –

o o o – – – – –

o o o o o – – –

o o o o o o – –

o o o o o o o –

o o o o o o o o

o o o o o o o o

205
L’immagine delle due pagine precedenti rappresenta le Categorie-Condizioni
alle quali i diversi Livelli gerarchici della Realtà universale sottostanno.
In alto a sinistra, posto al di fuori dei bordi dello schema, vi è l’Assoluto, il
quale, essendo incondizionato, trascende tutto il sistema categoriale.
In orizzontale vediamo poi le 5 Categorie-Condizioni (Relazione, Quantità,
Qualità, Spazio-Tempo e 4 Elementi naturali), con il loro aspetto essenziale [x,
Limite], colorato in grigio chiaro, e quello manifesto [y-x, Limitato], più scuro.
In verticale vediamo invece i vari Livelli della Realtà condizionata, che sono
determinati appunto dalle Categorie-Condizioni, le quali si aggiungono a mano a
mano che si scende nella gerarchia.
Il Livello della Shakti è riportato sia in cima che in fondo; nel secondo caso
essa è considerata con tutte le sue manifestazioni, come Esistenza universale.
Questa struttura è una concettualizzazione logica che ci serve per descrivere
il reale; in verità, tutti i Livelli gerarchici sono insieme, indivisi ed indivisibili.
Abbiamo notato che le categorie platoniche coincidono almeno in parte con
le nostre. Plotino (che chiama “Uno” l’Assoluto) afferma infatti che:

[…] l’Uno è l’assolutamente semplice, per Lui non vale alcun sistema categoriale.
L’Uno è Principio transcategoriale. Le categorie […], desunte da Plotino dal Sofista
di Platone […], sono: a) l’essere o ousia, b) la stabilità o stasi, c) il movimento, d)
l’identico, e) il diverso (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p.
542).

Ora, la stasi e il movimento coincidono con i due aspetti della categoria dello
Spazio-Tempo: l’Immutabilità nel puro Tempo [x] ed il Movimento locale [y-x];
l’identico e il diverso, invece, con i due aspetti della Qualità: Identità uniforme
[x] e Diversità formale [y-x]. Quanto all’essere, il discorso è più complesso. Per
noi, l’Essere universale coincide con l’Unità indivisa, aspetto [x] della Quantità
(nella quale l’aspetto [y-x] è invece la Molteplicità numerica). Probabilmente,
qui Platone e Plotino con “essere” intendono in realtà l’esistenza sostanziale, che
per noi è determinata dalla Relazione e dalla Molteplicità.

***

Anche nell’immagine della pagina successiva, che rappresenta la circolarità


delle Categorie-Condizioni, l’Assoluto è riportato in alto, al di fuori del cerchio,
sempre per lo stesso motivo.
È la Ragione dell’Uomo naturale [E] ad applicare ad esso (arbitrariamente) la
Categoria della Relazione, per poterlo concettualizzare. Egli immagina quindi un
Sovra-Essere che è causa non-agente della Shakti-Essere (questa operazione è
esemplificata nell’immagine riportata a pagina 208). Insieme, quest’ultimi due
rappresentano l’Infinito positivo [A], primo Livello della Realtà condizionata.

206
Una alla volta, vengono applicate poi tutte le altre Categorie, le quali vanno a
determinare i Livelli successivi:

- La Quantità determina lo Spirito o Nous [B]: Unità e Molteplicità numerica.


- La Qualità determina l’Anima particolare [C]: Identità e Diversità formale.
L’insieme delle Anime particolari rappresenta l’Anima universale o Psiché.
- Lo Spazio-Tempo determina il Cosmo fisico [D]: Immutabilità e Movimento
locale. L’insieme dei Cosmi rappresenta la Manifestazione fisica.
- Infine, i Quattro Elementi determinano la Natura, compendiata nell’Uomo, il
quale, tramite la propria Ragione, concettualizza come può la Realtà, tramite
appunto l’operazione sopra descritta.

Comune il principio e la fine nel cerchio (Eraclito; Dell’Origine, frammento 73).

0] Assoluto

A] Infinito Relazione E] Uomo


positivo razionale

4 Elementi
Quantità
naturali
Categorie-
Condizioni

B] Spirito D] Cosmo
universale fisico

Spazio-
Qualità
Tempo

C] Anima
particolare

207
Assoluto [0] Non-Alterità,
Sovra-Essere
o «Causa»
non-agente

Infinito
Realtà irrelata, non manifestabile, inintelligibile positivo
P R [A] ⊃
Realtà relativa, manifestabile, intelligibile Nomi
divini

D-III + Shakti mentale


D-IV [l’Uomo si con-
sidera soggetto]

GL

ST CS

Regione
concettuale, SOSTANZA, Shakti divina,
Logica ILLIMITE [y]: «Alterità» intelligibile,
Oggettività Essere possibile,
[entificazione, «Realtà oggettiva»
sostanziazione,
reificazione]

Legenda: ST = Sostanziazione; CS = Conoscenza separativa, analitica

***

L’immagine nella pagina successiva raffigura semplicemente tutta la Realtà


condizionata come un uovo, nel quale i Livelli gerarchici sono disposti in cinque
strati concentrici. L’Infinito [A] contiene lo Spirito [B], che contiene l’Anima
universale [C], che contiene la Manifestazione fisica [D], che contiene la Natura
vivente [E] e quindi l’Uomo.

208
[A] Non- [D]
Infinito Alterità Cosmo
positivo con [0] fisico

Unità

Identità

Immu-
tabilità
Senso
interno
DETERMINAZIONI
ESSENZIALI [x]

[E]
Natura-
vivente
DETERMINAZIONI
SOSTANZIALI [y-x]

Mente e
Corpo

Movimento

Diversità

Molteplicità

Spirito Anima
universale Oggettività particolare
[B] [C]

209
La figura della pagina successiva riprende invece il simbolismo del triangolo
utilizzato nel capitolo n°1, applicandolo a ciascun Livello del reale:

- Triangolo in sé = Categoria-Condizione generale di Esistenza.


- Punto al vertice [x] = Limite, Essenza, Principio da cui si genera e si sviluppa
l’intero triangolo, il quale è contenuto in modo indiviso nel proprio Principio.
- Spicchi nell’area [y-x] = Limitato, de-limitazioni del Limite [x] sull’Illimite
[y], oggetti determinati, manifestati nell’Esistenza.
- Base del triangolo [y] = Illimite, Sostanza indeterminata che accoglie in sé le
determinazioni.

Le azioni de-terminanti effettuate del Limite sull’Illimite sono - nell’ordine:


Causazione non-agente [A], Moltiplicazione numerica [B], Distinzione formale
[C], Dislocazione spazio-temporale [D] ed Entificazione o Individuazione [E].

I due triangoli qui in basso sono aggiunte riferite ancora alla Manifestazione
fisica, e ci danno di essa ulteriori informazioni. Comparandoli, possiamo notare
le seguenti associazioni:

- L’Immutabilità nel puro Tempo è associata alla Singolarità iniziale (quella


che viene impropriamente chiamata “Big Bang”) e all’Etere o Quintessenza,
Principio immutabile della Manifestazione fisica (cioè spazio-temporale).
- Il Movimento locale è associato all’espansione metrica del Cosmo (dunque
alla manifestazione spazio-temporale) e all’energia sotto forma di massa.
- L’Istantaneità simultanea nel puro Spazio è associata alla Morte termica od
entropica del Cosmo e all’energia non-massiva.

[D] = SPAZIO-TEMPO [D] = SPAZIO-TEMPO


M. M.
x = Singolarità iniziale F F x = Etere
I I
S S
I I
C C
A A
y-x = y-x =
Espansione Massa

y = Morte termica o entropica y = Energia non-massiva [“luce”]

210
[0] [A] = RELAZIONE
A I
S N x = Non-Alterità con [0]
S F
O I
L N
U I
T T
O O

+ y-x =
Oggettività

y = Relatività

[B] = QUANTITÀ [C] = QUALITÀ


S A
x = Unità P N x = Identità
I I
R M
I A
T
O

y-x = y-x =
Molteplicità Diversità

y = Quantità continua y = Indifferenziabilità

[D] = SPAZIO-TEMPO [E] = 4 ELEMENTI


M. N
x = Immutabilità A x = Senso interno
F T
I U
S R
I A
C
A
y-x = y-x =
Movimento Mente-Corpo

y = Istantaneità [Spazio puro] y = Materie psichica e sensibile

211
49. IL SISTEMA GEOCENTRICO E LE 10 SFERE CELESTI
Come sappiamo, nella concezione degli antichi, e fino a Copernico, vigeva il
sistema cosmologico aristotelico-tolemaico, il quale pone la Terra al centro del
Cosmo, circondata da una serie di dieci sfere concentriche. Queste ultime, però,
non sono da considerarsi una mera struttura meccanica. Aristotele parla infatti di
“Intelligenze”; esse sono quindi più “stati della Coscienza” che non sostanze.
Ad esse era associato un ricchissimo simbolismo il quale, con l’affermarsi del
sistema eliocentrico (che pone il Sole al centro), è andato purtroppo dimenticato
e perduto. Cercheremo qui di ricostruirne il significato, per quanto ci è possibile.

Dio nascosto [Assoluto]

Sfera 10 Empireo Trono e Sgabello divini Spirito universale

Primo Mobile, Angeli-


Sfera 9 Serafini Anima
Cielo senza stelle spirito [x]
univer-
Stelle fisse, Urano Angeli- sale
Sfera 8 Cherubini
[Firmamento] spirito [y-x]

Sfera 7 Saturno, Crono Troni D-I [y-x]


Sfera 6 Giove, Zeus Dominazioni D-IV [x]
D
E
Sfera 5 Marte, Ares Virtù e D-III [x]
t
m
Sfera 4 Sole, Apollo Potestà D-II [x] e
o
r
Sfera 3 Venere, Afrodite Principati n D-III [y-x]
e Mani-
i
Sfera 2 Mercurio, Hermes Arcangeli D-IV [y-x] festa-
zione
Sfera 1 Luna, Artemide Angeli comuni D-II [y-x] fisica

D-IV → Aria [Ragione] Silfidi Mente Uomo


D-III → Fuoco [Psichismo] Salamandre razionale naturale
e Mondo
D-II → Acqua [Vita] Ondine Corpo sub-lunare
D-I → Terra [Materia] Gnomi organico [Terra]

212
Come possiamo vedere nell’immagine (ispirata alla concezione di Ibn ’Arabî
e di Dante Alighieri) il decimo Cielo, l’Empireo, è la diretta emanazione del Dio
trascendente e coincide - nel nostro schema - con lo Spirito universale o Nous.
Nel Sufismo, il “Trono” e lo “Sgabello” - o “Piedistallo” - di Dio simbolizzano
rispettivamente l’aspetto unitario (Essere) e quello molteplice (Intelletto divino,
Iperuranio o Mondo delle Idee) dello Spirito:

[(…) il «Trono» divino congloba tutta la manifestazione (…)]. Il «Piedistallo» sul


quale sono posati i «Piedi» di Colui che siede sul «Trono», rappresenta la prima
«polarizzazione» o determinazione distintiva, in vista della manifestazione formale
(Titus Burckhardt; La chiave spirituale dell’astrologia musulmana secondo Mo-
hyiddîn Ibn ’Arabî, pp. 17-18).

Seguono poi il nono Cielo, senza stelle, chiamato Primo Mobile, e l’ottavo, il
Cielo stellato (Urano, il Firmamento o Mundus imaginalis), il quale si identifica
con la realtà formale sovra-temporale. Insieme, questi due Cieli rappresentano
l’Anima universale o Psiché, e sono l’emanazione rispettivamente dei Serafini
[Angeli-spirito eternamente rivolti alla contemplazione passiva (x) della propria
Fonte ed Essenza, ovvero dell’Essere (o di Dio, per la teologia)] e dei Cherubini
[Angeli-spirito che attuano invece il ciclo completo della Auto-Contemplazione
attiva (y-x), affermandosi soggettivamente come Anime particolari].
Dal settimo al primo Cielo vi sono i sette pianeti allora conosciuti (fra i quali
vanno inclusi anche il Sole e la Luna), dirette emanazioni dei Demoni-anima e
consistenti nell’Etere. Leggiamo come Dante riassume tutto il sistema:

Ed è l’ordine del sito questo, che lo primo che numerano è quello dove è la Luna;
lo secondo è quello dov’è Mercurio; lo terzo è quello dov’è Venere; lo quarto è
quello dove è lo Sole; lo quinto è quello di Marte; lo sesto è quello di Giove; lo set-
timo è quello di Saturno; l’ottavo è quello de le Stelle; lo nono è quello che non è
sensibile se non per questo movimento che è detto di sopra lo quale chiamano molti
Cristallino, cioè diafano, o vero tutto trasparente. Veramente, fuori di tutti questi, li
cattolici pongono lo cielo Empireo, che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso; e
pongono esso essere immobile per avere in sé, secondo ciascuna parte, ciò che la
sua materia vuole. E questo è cagione al Primo Mobile per avere velocissimo mo-
vimento (Dante Alighieri; Convivio, II, 3, 7-9, pp. 38-39).

Nel mito greco di Esiodo, la castrazione e la detronizzazione del dio Urano


(l’ottavo Cielo, delle stelle fisse e delle pure Forme) da parte del figlio Crono-
Saturno (il settimo Cielo) segna la frattura ontologica fra la Realtà sovra-fisica
(cioè atemporale, puramente logica) e quella fisica concreta:

Urano […] è tutto il cielo stellato, è l’energia cosmica che muove le masse planeta-
rie […]. Urano amava Gea: è il rapporto fra Cielo e Terra […]. Ma Urano, timoroso
di perdere il potere, realizza il truce figlicidio finché Gea gli si oppone istigando il
figlio Crono che castra il padre. Dopo tale evento terribile e sanguinoso, dice il mi-

213
to, il Cielo si ritrasse e non si avvicinò più alla terra. Così si interruppe la procrea-
zione. In questo mito possiamo rintracciare la formazione dell’archetipo della sepa-
razione fra microcosmo e macrocosmo, l’allontanamento fra immanenza e trascen-
denza fra uomo e Dio: la grande scissione dell’Uno (Roberto Sicuteri; Astrologia e
mito. Simboli e miti dello Zodiaco nella Psicologia del Profondo, p. 186).

I Demoni-anima sono eterni, cioè sovra-temporali, ma la loro shakti (l’Etere,


e quindi i sette pianeti) consiste nel principio limitante [x] dello Spazio-Tempo,
ovvero nel puro Tempo (Immutabilità). Le manifestazioni dell’Etere nel Mondo
fenomenico [y-x], invece, sono i quattro Elementi naturali, ossia i processi fisici
e chimici (Terra: Materia sensibile), biologici (Acqua: Vita organica), mentali e
sociali (Fuoco: Psichismo) ed individuali (Aria: Ragione), i quali - appunto in
quanto “processi” - sono soggetti allo scorrere del Tempo, cioè al Divenire.
Saturno, il pianeta più esterno, è anche il più potente giacché, rappresentando
la shakti-Etere dei Demoni degli Astri [D-I], non solo impone il Tempo fisico a
tutto il Cosmo, ma genera anche la Materia, ossia l’Elemento Terra, la quale farà
da sostrato-Illimite per le manifestazioni degli altri tre ordini demonici:

Saturno è il nome romano di Crono […]. Questo grande e lento pianeta, tanto temu-
to e terrifico nella tradizione astrologica e popolare, costituisce il legame tra il
Principio mortale, la sostanza-materia e il Principio immortale, cioè lo Spirito.
Questi due princìpi sono fusi nell’ideogramma di Saturno: vi è la croce (tempo e
materia) che condiziona tutte le manifestazioni, e l’iperbole simbolo di tensione
verso la ricettività illimitata (Roberto Sicuteri; Astrologia e mito. Simboli e miti del-
lo Zodiaco nella Psicologia del Profondo, p. 171).

Le associazioni fra i Demoni-anima, i Pianeti-Etere e le loro manifestazioni


fisiche e naturali sono le seguenti (la freccia indica l’azione generatrice):

7. Demoni degli Astri [D-I] → Saturno → Materia sensibile [y-x]


6. Daimon individuale [D-IV] → Giove → Ragione: senso interno o “Io” [x]
5. Destini dei Popoli [D-III] → Marte → Psichismo: emozioni e volizioni [x]
4. Geni delle Specie [D-II] → Sole → Vita organica: facoltà senso-motorie [x]
3. Destini dei Popoli [D-III] → Venere → Psichismo: facoltà immaginativa [y-x]
2. Daimon individuale [D-IV] → Mercurio → Ragione: logica separativa [y-x]
1. Geni delle Specie [D-II] → Luna → Vita organica: funzioni vitali [y-x]

Il simbolo y-x rappresenta sempre la diretta produzione oggettiva del Demone


nella Sostanza-Illimite. Come accennato nel capitolo n°33, però, solo per quanto
riguarda D-II, D-III e D-IV il simbolo x non rappresenta il Ritorno alla propria
Essenza-Limite nel contesto del ciclo auto-contemplativo (essi non sono capaci
di fare Ritorno a se stessi, infatti), ma bensì solo la presa di consapevolezza, da
parte del prodotto, della Sostanza-Illimite nella quale esso è stato pensato e che
gli fa da supporto ontologico [ad esempio le Funzioni vitali sono un’infusione di

214
Forme (y-x) nella Materia inorganica, mentre le Facoltà senso-motorie (x) sono
potenze grazie alle quali l’essere vivente può volgersi indietro verso l’ambiente
materiale esterno, percepirlo e muoversi consapevolmente in esso].
Si sarà forse osservato che nell’immagine manca l’aspetto x dei Demoni degli
Astri. Come vedremo più avanti, quella “x” rappresenterebbe proprio il Ritorno
della Materia alla propria Essenza-Limite, cioè all’Etere. La Materia, però, cioè
l’Elemento Terra, non è in grado di farlo. E nemmeno gli altri tre Elementi, pur
via via più consapevoli, possono farlo singolarmente. Solo l’Uomo edenico può
realizzarlo, integrando essenzialmente in sé tutti e quattro gli Elementi, e quindi
l’Uomo naturale, l’Animale, il Vegetale ed addirittura il Minerale.
Nello schema, gli Elementi sono disposti in senso discendente dal più sottile
(l’Aria) al più grossolano (la Terra), come a simbolizzare una “decantazione”.
A ciascuno di essi è associato un ordine di esseri Elementali o “spiritelli della
Natura” (Silfidi, Salamandre, Ondine e Gnomi); essi rappresentano gli attributi
dell’Uomo edenico. Ma lo vedremo più avanti, in quanto dovremo approfondire
prima altre questioni riguardanti il sistema delle Sfere celesti.
Ultima osservazione: alle Sfere celesti sono associati i nove Cori angelici di
Pseudo-Dionigi l’Areopagita, pienamente integrati nella teologia cristiana13. Essi
corrispondono - si veda lo schema - ai nostri Angeli-spirito e Demoni-anima:

Giacobbe […] si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla ter-
ra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e
scendevano su di essa (Libro della Genesi 28, 12).

Da Dio la Sapienza si propaga alle supreme gerarchie angeliche e da queste gra-


dualmente scende alle ultime, fino a raggiungere gli uomini. Perciò a ragione nella
Sacra Scrittura è detto che tutte le azioni e le ispirazioni degli angeli sono allo stes-
so tempo opera loro e di Dio. Egli si serve degli angeli, che senza indugio si tra-
smettono l’un l’altro il suo ordine. Esso è come il raggio di sole che nello stesso
istante si comunica a vetrate diverse disposte in bella fila e sebbene sia esso a pro-
pagarsi attraverso di loro, ciascuna lo rimanda all’altra con qualche modificazione,
secondo il livello di splendore della sua natura e proporzionalmente alla distanza
dal sole (Giovanni della Croce; Notte oscura, p. 98).

13
In verità, Dionigi dispone i nove Cori angelici secondo una gerarchia formata da tre
triadi, associate ciascuna ad una delle Persone della Trinità. Non siamo però riusciti a
comprendere il significato profondo di questa corrispondenza. Ma le varie simbologie,
pur diverse, possono anche coesistere ed integrarsi.
215
50. LA DOTTRINA INDÙ DEI CICLI COSMICI
Nelle dottrine indù la Realtà fisica si manifesta ciclicamente, ovvero secondo
la sequenza: rinascita / sviluppo / morte / rinascita, ecc. Questo è valido ad ogni
livello dell’Esistenza, nella quale cicli maggiori contengono cicli minori.
Nella sua espressione più semplice, questa dottrina:

- chiama Kalpa lo sviluppo totale di un Mondo;


- un Kalpa contiene 14 Manvantara (età di un Manu);
- ciascun Manvantara contiene 4 Yuga, i quali si succedono con durate sempre
minori, con una proporzione numerica di 4, 3, 2, 1:

[Il Kalpa] è la durata totale di un mondo e dunque non può essere compreso in nes-
sun ciclo più esteso: si suddivide in 14 Manvantara, […] ciascuno dei quali è il ci-
clo completo di un’umanità (René Guénon; Frammenti dottrinali. Epistolario ine-
dito, pp. 78-79).

Se la durata complessiva del Manvantara è rappresentata dal numero 10, quella del
Krita-Yuga o Satya-Yuga lo sarà dal 4, quella del Trêta-Yuga dal 3, quella del Dwâ-
para-Yuga dal 2 e quella del Kali-Yuga dall’1 […]. La ripartizione del Manvantara
si effettua quindi secondo la formula 10 = 4 + 3 + 2 + 1, che è l’inverso della Te-
traktys pitagorica (René Guénon; Forme tradizionali e cicli cosmici, pp. 16-17).

I testi quantificano persino tali durate in anni umani. Ad esempio, un Kalpa


corrisponde a 4.320.000.000 anni, e i quattro Yuga rispettivamente a: 1.728.000,
1.296.000, 864.000 e 432.000.
Bisogna però tener presente che tutta questa dottrina va intesa come un puro
simbolismo, nel quale la durata indica molto semplicemente il grado ontologico.
A fortiori, il conteggio in anni umani non ha alcun riscontro reale. I quattro Yuga
(considerati come un graduale decadimento dell’umanità) sono tutti compresenti
in ogni momento storico, in quanto sono Livelli della realtà sovra-temporale che
rappresentano diversi gradi di unità ontologica, e quindi di verità:

Considereremo un ciclo, nella accezione più ampia del termine, come la rappresen-
tazione del processo di sviluppo di uno stato qualsiasi della manifestazione, oppure,
se si tratta di cicli minori, di qualcuna delle modalità più o meno limitate e partico-
lari di tale stato. D’altronde, […] tutte le considerazioni di durata e di successione
non potranno avere che un valore meramente simbolico e dovranno essere trasposte
analogicamente, la successione temporale diventando […] solo un’immagine della
concatenazione, insieme logica e ontologica, di una serie «extra-temporale» di cau-
se ed effetti (René Guénon; Forme tradizionali e cicli cosmici, pp. 11-12).

216
Che significato può avere, nel nostro studio sulle Corrispondenze universali,
tale rappresentazione? Ebbene, possiamo notare che le durate in questione sono
in corrispondenza con i nostri quattro ordini demonici. Nella fattispecie:

1. Il Kalpa, coincidendo con la vita di un Cosmo fisico, è lo sfondo cronologico


o la misura temporale dell’esistenza degli Astri, e quindi il “campo d’azione”
dei Demoni astrali [D-I].

2. Il Manvantara rappresenta il ciclo completo di una Umanità. Cosa significa?


Qui il discorso è più complesso. Come vedremo in un successivo capitolo, il
termine Umanità non indica qui solo l’insieme degli esseri umani, in quanto
si applica all’Uomo edenico (Adamo, il Manu indù), il quale simbolicamente
compendia l’intera Natura, ed include essenzialmente tutti gli esseri viventi
manifestatisi in una determinata biocenosi planetaria. In ambito terrestre, egli
riassume tutti gli organismi a partire dal primo batterio apparso sulla faccia
della Terra (il capostipite della vita sul pianeta), fino all’ultimo essere vivente
che vi morirà. Siamo quindi nel dominio dei Geni delle Specie [D-II].

3. Lo Yuga si riferisce alle età storiche, alle civiltà umane; è quindi il contesto
nel quale si manifestano ed agiscono i Destini dei Popoli [D-III].

4. Infine, le vite dei singoli esseri umani sono l’ambito della manifestazione dei
Daimon individuali [D-IV].

1 Kalpa = 14 Manvantara

Manvantara [10]
Krita-Yuga Trêta Dwâpara Kali
o Satya-Yuga -Yuga -Yuga -Yuga
[4] [3] [2] [1]

217
51. LA “DISCESA” DELLE ANIME
ATTRAVERSO LE SFERE CELESTI

Secondo molte dottrine tradizionali, alla nascita l’Anima umana discende dal
Cielo attraversando ad una ad una le sette Sfere planetarie (nell’ordine: Saturno,
Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna), ed in ciascuna di esse acquisisce,
o meglio, viene appesantita da un particolare “rivestimento”, l’insieme dei quali
assume varie denominazioni (ochema, pneuma, veicolo eterico, corpo astrale,
tunica, involucro o veste dell’Anima, ecc.). Va da sé che, con la morte - oppure
già nel corso della vita, con la Liberazione (scopo ultimo della ricerca mistica) -
l’Uomo farà il percorso inverso, affrancandosi da tali “zavorre”:

Nella visione neoplatonica, gli esseri umani fanno originariamente parte del regno
delle stelle, che è la regione in cui germinano le anime. Scegliendo una vita sulla
Terra, le anime discendono. In questo processo si dimenticano della loro divinità
anche se ne conservano dei ricordi, che sono la fonte della nostra ricerca implicita
della perfezione. Gli esseri umani, dunque, sono microcosmi che riassumono in sé
il macrocosmo […]. Quando la singola anima discende dal suo luogo di origine sul-
le stelle, lo fa all’interno di una gamma di flussi che costituiscono il “veicolo eteri-
co”, contenente l’anima stessa (Occidente segreto. Introduzione alle dottrine esote-
riche. Capitolo 2: Kenneth Stein; Le divinità astrali del neoplatonismo, pp. 39-40).

Il veicolo o corpo astrale è acquisito dall’anima durante la discesa dal cielo; origi-
nariamente composto di etere, pneuma scendendo prende elementi dai vari pianeti,
si ispessisce e si oscura assorbendo umidità dall’aria (Laura Simonini; Commento
a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, p. 124).

***

Chiariamo subito alcune cose:

- L’“Anima” di cui si parla in tale frangente è il “Fondo dell’Anima”, l’Âtmâ


incondizionato, la “scintilla coscienziale”, l’Assoluto “in noi”.
- Il “Regno delle Stelle” da cui essa discende si identifica con l’ottava Sfera, il
Cielo delle stelle fisse o Mondo immaginale, cioè l’ultima delle Realtà sovra-
fisiche (ricordiamo che la Realtà sovra-fisica è in sé indivisa ed indivisibile, e
che la strutturazione che le attribuiamo è solo una nostra utile descrizione).
- I sette Pianeti altro non sono che la manifestazione eterica (ossia esistente nel
Tempo puro = immutabile) di quelli che abbiamo chiamato “Demoni-anima”.
- Il Veicolo in questione coincide in parte con i Kosha indù (dei quali ci siamo
occupati nel capitolo n°42: La struttura dell’Uomo naturale).

218
Riportiamo altri passi illuminanti al riguardo:

Le anime, quando si sporgono fuori del mondo intelligibile, entrano dapprima nel
cielo e, una volta assunto lassù un corpo, procedono attraverso di esso incontro a
corpi più terrestri […]. Le differenze fra loro o provengono dai vari corpi in cui so-
no entrate, o dai destini, o dalla loro educazione, oppure per un carattere diverso
che portano con sé, oppure per tutte queste ragioni (Plotino; Enneadi, IV, 3, 15).

Quando [l’anima] esce dal corpo rigido, è accompagnata […] dal soffio vitale che
aveva ricevuto dalle sfere. E poiché conserva dalla sua inclinazione per il corpo
quella ragione particolare proiettata, secondo la quale aveva preso in vita la con-
formazione di un corpo determinato, per questa inclinazione l’anima imprime
un’immagine fantastica sul soffio, e così attrae l’immagine. Si dice che è nell’Ade
(Aides), nel senso che il soffio vitale viene a contatto con una natura invisibile e te-
nebrosa [Porfirio; Sentenze, XXXVII (29), p. 93].

… sottile veicolo dell’anima (Oracoli Caldaici, fr. 120).

La più antica descrizione che si conosca del passaggio attraverso i cancelli della
metamorfosi è il mito sumerico della discesa della dea Inanna all’inferno [per assi-
stere ai riti funebri del cognato, il dio Gugalanna, ucciso da Gilgamesh ed Enkidu]*
[…]. Inanna indossò le vesti regali e i gioielli, appese alla cintura sette decreti divi-
ni e fu pronta a entrare nella «terra senza ritorno», il mondo delle tenebre e della
morte, governato dalla sua nemica e sorella, la dea Ereshkigal […]. Neti [il Guar-
diano dell’Oltretomba]* ricevette l’ordine di aprire alla regina del cielo le sette por-
te, ma di rispettare le usanze e toglierle a ogni porta un capo di vestiario […]. Nu-
da, venne condotta davanti al trono. Ella si inchinò profondamente. I sette giudici
infernali, gli Anunnaki, sedevano davanti al trono di Ereshkigal, e fissarono su
Inanna il loro sguardo - lo sguardo della morte (Joseph Campbell; L’eroe dai mille
volti, pp. 127-130). *N.d.A.

***

Lo stesso Corpo materiale è uno di questi sette rivestimenti, il più grossolano:

Il corpo-tunica (chitōn) dell’anima è un simbolismo di lunga tradizione greca,


orientale, cristiana. In ambito greco la prima testimonianza è in Empedocle (31 B
126 DK, per il quale…): la demonica potenza riveste «con l’inconsunto mantello
della carne» le anime dei morti […]. Platone riprende l’immagine nel Gorgia (523
c): la veste, il velame delle anime è il corpo, morte è nudità […]. In Porfirio l’im-
magine del corpo-tunica compare anche in due luoghi del De abstinentia e si è os-
servato che egli è il primo, e forse l’unico, autore non cristiano a qualificare la tuni-
ca con l’aggettivo dermatinos, «di pelle»: infatti in 2, 46 egli afferma che in questo
tempio di Dio che è il mondo, dobbiamo mantenere la nostra ultima veste esterna,
la tunica di pelle, in uno stato di rituale purezza; l’esortazione richiama da vicino la

219
sentenza 449 del pitagorico Sesto, che può esserne il modello: «mantieni inconta-
minato il tuo corpo, ricevuto da Dio come veste dell’anima, così come cerchi di
mantenere incontaminata la tunica che ricopre la carne». In De abstinentia, 1, 31 si
dice che noi dobbiamo spogliarci delle nostre numerose tuniche, di quella visibile e
carnale e di quelle di cui siamo rivestiti internamente, contigue alla nostra tunica di
pelle; l’espressione «tuniche di pelle» risale indubitabilmente a Genesi, 3, 21. Ori-
gene (Contra Celsum, 4, 40) vede in esse - come poi Agostino - il simbolo della
mortalità inflitta agli uomini […]: la pelle è l’ultima delle numerose tuniche che
l’anima, o meglio, il corpo pneumatico acquisisce nel percorso astrale […]. Nella
mistica neoplatonica ascesi e purificazione significano spogliarsi di queste tuniche,
esterne (cibo, ricchezze) e interne (il desiderio di tali cose), nelle quali l’anima si è
alienata: così, nuda, l’anima può raccogliersi in se stessa e tendere a dio (Plotino,
Enneadi, 1, 6, 7, 4-9; Proclo, De mal. subst., col. 222, 23 Cousin). La nudità di
Odisseo è l’immagine con cui si conclude l’esegesi del De antro (Laura Simonini;
Commento a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, pp. 149-151).

***

Ora, è ovvio che questa rappresentazione (la discesa dell’Anima attraverso le


sette Sfere planetarie e l’acquisizione di un determinato rivestimento in ciascuna
di esse) è puramente simbolica; ma qual è il suo significato?
Proviamo a rispondere: la nostra esistenza in quanto esseri individualizzati è
solo un’aggregazione dei quattro Elementi naturali (Terra, Acqua, Fuoco, Aria),
ossia di condizionamenti fisici e materiali [D-I = Saturno], biologici [D-II = Sole
e Luna], psico-sociali [D-III = Marte e Venere], caratteriali e logico-razionali
[D-IV = Giove e Mercurio]. Insomma, queste sette vesti sono condizionamenti,
de-limitazioni ontologiche. Senza queste non esisteremmo affatto, in quanto non
vi sarebbe alcuna alterità fra noi e la Realtà incondizionata; ci identificheremmo
quindi pienamente con il “privo di limiti”, il “sovra-esistente”, l’Assoluto:

L’anima è pura essenza intelligibile (noētē ousia); tutte le proprietà che già Aristo-
tele le attribuiva - ossia quella vegetativa, il movimento locale, la capacità discorsi-
va, le percezioni sensoriali, le capacità combinatorie (De anima, 413 b) - vengono
associate da Porfirio allo pneuma psychikon, soffio dell’anima o veicolo (ochēma)
[…]. Il veicolo o corpo astrale […] in Porfirio si collega all’immaginazione (phan-
tasia) o anima pneumatica […]. L’anima pneumatica è una forma di anima inferio-
re che è all’origine della conoscenza sensibile e della vita passionale: tramite essa si
costituiscono i molteplici legami con il mondo della materia (Laura Simonini;
Commento a: Porfirio; L’antro delle Ninfe, pp. 124-125).

[…] l’anima è capace di ricevere molte impressioni dalla natura dei luoghi, del-
l’acqua, dell’aria (Plotino; Enneadi, IV, 3, 7).

220
Un’ultima riflessione. Nella concezione delle Corrispondenze universali sono
i Demoni-anima - e non Dio - le entità che direttamente generano, vivificano e
reggono il Cosmo fisico e la Natura. La cosa può apparire blasfema solo se non
si tiene conto del fatto che non si tratta di entità reali, in quanto, ripetiamolo, la
Realtà sovra-fisica è assolutamente indivisa, ed i Demoni ne rappresentano delle
potenze, ma solo nelle categorizzazioni umane. Nonostante ciò:

Il cristianesimo non poteva accogliere senza modificazioni la teoria della partecipa-


zione dei dàimones alla creazione continua dell’universo; esso stabilì una frattura
decisiva fra la Trinità, sola creatrice, e gli angeli, immortali ma creati. Inoltre la sua
spiegazione lo portò a distinguere fra angeli buoni e angeli cattivi, cioè angeli cadu-
ti. Il termine dàimon venne così ad assumere senso unicamente negativo (Jean-
Claude Schmitt; Medioevo «superstizioso», pp. 18-19).

Le leggende ebraiche convergono sul concetto che gli angeli siano stati concepiti il
secondo giorno della Creazione e non il primo. Dietro queste storie si cela una po-
lemica contro l’eresia dello gnosticismo ebraico che attribuiva la Creazione agli
angeli [e ai Demoni. N.d.A.] invece che a Dio, insinuando così un’incrinatura nelle
origini (Harold Bloom; Visioni profetiche. Angeli, sogni, risurrezioni, p. 48).

221
52. GLI ARCONTI DELLO GNOSTICISMO
Tutte le dottrine mistiche perseguono la liberazione dell’Anima [= di Âtmâ]
dai suoi Veicoli, ovverosia dai condizionamenti propri dell’esistenza, considerati
come il male ontologico. Questi condizionamenti (rappresentati simbolicamente
come successivi rivestimenti che l’Anima - nella sua discesa dall’ottavo Cielo -
subisce ad opera delle Sfere planetarie) coincidono però con l’esistenza stessa;
tolti quelli, che erano Mâyâ, rimane l’Assoluto il quale, propriamente parlando,
non esiste (semmai sovra-esiste, in quanto rende possibile l’esistenza).
Il mistico ha come fine il proprio annichilimento in quanto essere individuale.
Egli vuol trascendere la propria esistenza separata, evadere dalla Manifestazione
condizionata, ricongiungersi nella non-alterità con la Realtà indivisa, con l’Uno-
Assoluto. Insomma, vorrebbe non-esserci, perché considera l’esistenza una sorta
di “caduta” ontologica, un esilio dell’Anima dalla sua originaria dimora celeste.
Ma non si pensi che egli consideri la mera morte biologica - qualora avvenga
nell’inconsapevolezza - come una liberazione… L’Assoluto è la Pura Coscienza,
e lo scopo del mistico non è tanto morire, quanto tornare ad essere appunto Pura
Coscienza. Se di morte si vuol parlare, allora per il mistico bisogna parlare di
“morte mistica”, ossia di dissoluzione dell’“Io” illusorio nell’Assoluto, meglio
se già in vita. Vi sono però diversi modi di concepire l’esistenza condizionata.
Il Neoplatonismo ha una concezione ottimistica. Esso, infatti, non disprezza
tanto la naturale incarnazione dell’Anima in un aggregato psico-fisico, quanto
piuttosto l’identificazione con esso, e dunque l’inconsapevolezza e l’oblio della
nostra vera essenza, che è l’Uno-Assoluto. La “discesa nel corpo” è considerata
altresì un momento necessario dell’auto-conoscenza divina. Quindi, per Platone
ed i suoi discepoli, i sette Pianeti sono Dèi, potenze buone che rendono possibile
la nostra esistenza terrena, e dunque la conoscenza di noi stessi e del mondo:

La loro convinzione [è] che le stelle siano divinità che mediano tra l’eternità e la vi-
ta mortale sulla terra (Occidente segreto. Introduzione alle dottrine esoteriche. Ca-
pitolo 2: Kenneth Stein; Le divinità astrali del neoplatonismo, p. 35).

Ma perché le anime degli uomini discendono nei corpi? È l’antico problema che
aveva travagliato Platone e al quale egli non aveva saputo dare una soluzione uni-
voca, oscillando fra opposte tesi: quella di una necessità ontologica e quella di una
«colpa» […]. Intanto, va rilevato che la ragione principale della discesa delle anime
particolari nei corpi particolari va ricercata, in primo luogo, nella stessa legge che
regola la «processione» di tutte le cose dall’Uno. Secondo questa legge, dunque,
l’Anima universale deve esplicare tutte le sue possibilità, e, quindi, deve produrre
non solo, attraverso l’Anima del cosmo, l’universo in generale, ma altresì, attra-
verso le anime particolari, tutti i viventi particolari, fra i quali vi è l’uomo; e tutto
ciò accade, anzi deve accadere, affinché la infinita potenza dell’Uno possa rag-
giungere la sua totale esplicazione e affinché possa essere garantita la perfezione
del tutto […]. Ora, è evidente che, così essendo, la «discesa» dell’Anima nei corpi

222
non è volontaria, in quanto non dipende da una scelta né da una deliberazione
dell’Anima stessa, e, dunque, non può costituire una «colpa». Anzi, Plotino ammet-
te addirittura che, se l’Anima riesce a fuggire rapidamente dal corpo, non solo non
riceve danno dall’avere assunto un corpo, bensì un arricchimento (Giovanni Reale;
Storia della filosofia antica, Vol. IV, pp. 575-576).

***

Non è così per le varie sette gnostiche, pervase da un forte pessimismo e da


una concezione angosciante dell’esistenza. Noi siamo stati “gettati nel mondo”,
sostengono gli Gnostici. Le Sfere planetarie sono considerate le sedi dei malvagi
Arconti, i quali ci tengono prigionieri, ci separano dalla nostra essenza spirituale
e dal vero Dio. Questa diffidenza nei confronti delle potenze angeliche si ritrova
addirittura in san Paolo. Leggiamo alcuni passi al riguardo:

Lo gnostico considera il proprio corpo come la “prigione” in cui il suo io autentico


è stato rinchiuso […] un qualcosa di estraneo che occorre subire […] paragonato a
un “cadavere”, a una “tomba” […]. Il corpo, strumento di umiliazione e di soffe-
renza, attira lo spirito verso il basso, gettandolo in un abietto torpore, nel degradan-
te oblio della propria origine […]. C’è di peggio: a imprigionarci non è solo la car-
ne, ma anche tutta una serie di determinismi psicologici che non hanno affatto ori-
gine materiale (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, pp. 21-23).

Gli gnostici hanno adottato l’antica dottrina cosmica delle “sfere” di cristallo che
ruotano intorno alla terra: appropriandosi di un concetto proprio degli astronomi e
astrologi dell’antichità, gli gnostici cristiani considerano tali “sfere” come ostacoli
insormontabili per l’anima che cerca di evadere dal mondo: alle porte ricavate in
ciascuna delle sette sfere sono appostati dei guardiani inesorabili, gli Arconti,
“principi” del cosmo. Gli dèi planetari caldei sono divenuti potenze malvagie che
instaurano nel mondo una rigorosa fatalità: i sette pianeti rappresentano divinità
prevaricatrici che cercano continuamente di nuocere agli uomini. Le potenze che
governano le rivoluzioni astrali impongono al kosmos una necessità inflessibile e
fatale e, lungi dall’accettare il destino, gli gnostici si ribellano contro di esso e aspi-
rano a liberarsene (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 25).

Invece di un unico Demiurgo, [nelle dottrine cosmogoniche e soteriologiche degli


Gnostici. N.d.A.] si vedrà spesso apparire un numero vertiginoso di entità, di po-
tenze temibili che s’interpongono fra la Divinità e i poveri esseri umani […]. Gli
“Arconti”, “potenze”, “angeli”, e così via, sono responsabili della rigorosa fatalità
che regna quaggiù (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 32).

Agli dèi non piace che l’uomo giunga alla conoscenza, che si liberi dall’illusione
del mondo delle forme. Tutto è previsto per disorientarlo. Ecco perché la via della
conoscenza è contorta (Alain Daniélou; Śiva e Dioniso. La religione della natura e
dell’eros, p. 109).

223
Ecco come lo gnostico Saturnino immagina la creazione di Adamo: i sette Arconti,
avendo percepito una radiosa immagine giunta dalla Potenza suprema, ma non es-
sendo riusciti a trattenerla, tentarono di modellare un uomo, ma a causa della loro
incapacità riuscirono soltanto a fabbricare un essere strisciante, incapace di reggersi
in piedi. Dal cielo la Virtù ebbe pietà dell’Adamo terrestre, poiché era stato fatto a
sua somiglianza, e gli inviò una scintilla di vita, che gli permise di vivere e di alzar-
si in piedi (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 53).

Io sono […] persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né


avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai se-
pararci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (San Paolo; Lettera
ai Romani, 8, 38-39).

La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e


le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del
male che abitano le regioni celesti (San Paolo; Lettera agli Efesini, 6, 12).

Le tenebre esteriori sono un grande drago con la coda in bocca, sono fuori dal
mondo e circondano tutto il mondo (Pistis Sophia, 126, 2, pp. 249-250).

Sono gli arconti del destino sono che costringono l’uomo a peccare (Pistis Sophia,
131, 3, p. 260).

Tutti gli uomini che si trovano nel mondo ricevettero le anime dalla [forza] degli
arconti degli eoni, mentre la vostra forza viene da me: la vostra anima appartiene
all’alto (Pistis Sophia, 7, 5, p. 45).

***

Anche le filosofie indiane perseguono l’affrancamento dall’esistenza e quindi


dal ciclo delle rinascite (Samsâra), visto come una sorta di “maledizione”:

[…] il tema centrale dell’induismo [è] la ricerca della liberazione da ogni forma di
esistenza (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza religiosa, p. 189).

Nel Buddhismo l’esistenza è Dukkha (dolore, sofferenza), e la meta consiste


nell’estinzione del soffio (Nirvâna). Nonostante ciò, va fatto un distinguo:

L’attitudine del Buddha è assai vicina al pessimismo gnostico […]. Ma il Buddhi-


smo, tutto sommato, assegna al “desiderio” un determinismo impersonale, mentre
la carne è, secondo la prospettiva gnostica, qualcosa di perverso, di malizioso, di
orribile (Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 22).

224
***

Perché gli Gnostici hanno un atteggiamento così pessimistico? Forse a causa


della loro concezione dualistica, nella quale la Materia ha esistenza propria, è un
principio fondamentale ed irriducibile che si oppone allo Spirito. Per Plotino e i
Neoplatonici essa deriva invece dall’Uno, e non vi si può opporre. Essa, quindi,
in un certo senso è buona e la realtà fisica ha una propria positività:

[…] nella misura in cui si sottolinea l’aspetto della materia come ombra della forma
e la derivazione del mondo in generale dall’Anima, e quindi dallo Spirito e, in ul-
tima analisi, dallo stesso Uno, si deve concludere che esso è nato sotto il segno del
bene (Giovanni Reale; Storia della filosofia antica, Vol. IV, p. 571).

225
53. L’UOMO SINTESI DEL COSMO
Abbiamo detto più volte che l’Uomo compendia - in qualche modo - l’intera
creazione; egli è un Microcosmo, in quanto possiede tutti i Veicoli dell’Anima.
Infatti:

- I Minerali hanno soltanto il Veicolo materiale (Terra);


- I Vegetali hanno due Veicoli: materiale e vitale (Acqua);
- Gli Animali hanno tre Veicoli: materiale, vitale e psico-mentale (Fuoco);
- L’Uomo ha tutti e quattro i Veicoli: materiale, vitale, psico-mentale, ed in più
l’“Io” (Aria), proiezione diretta del Veicolo intellettuale, non distinta da esso.

L’Uomo contiene quindi in sé anche le Modalità di esistenza degli altri regni.


Considerando la comunità degli esseri viventi sulla Terra (Biocenosi planetaria)
come un unico enorme organismo, diciamo allora che l’Uomo ne è un aspetto
“centrale”. Gli esseri degli altri tre regni naturali sono detti invece “periferici”.
Ciò che manca loro è l’auto-consapevolezza, la mente riflessiva:

Il Creatore prima di creare l’uomo si rivolse a tutto il creato, perché nel creare
l’uomo, l’Eterno ha inserito tutti gli attributi di tutti gli animali, di tutte le piante e
di tutti i minerali e così via. In ciascuno di noi, dunque, sono presenti e racchiuse le
energie di tutte le creature della terra (Rabbì Moshè Cordovero).

Ora, l’uomo è tale stato centrale rispetto al mondo terrestre; gli animali, le piante e i
minerali indicano stati più o meno periferici, e per conseguenza microcosmo par-
ziali, non totali (Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, p. 128).

[…] l’uomo individuale dovrà esserne [il riferimento è a tutta la manifestazione.


N.d.A.] in qualche modo, nell’ordine che gli è proprio, il risultante e come il com-
pimento, ed è questa la ragione per cui tutte le tradizioni concordano nel conside-
rarlo in effetti come sintesi di tutti gli elementi e di tutti i regni della natura […];
questo ruolo fa dell’uomo l’espressione più completa dello stato individuale in que-
stione, le cui possibilità sono tutte riunite, per così dire, in lui (René Guénon; Il
simbolismo della croce, p. 27).

[…] gli animali, senza evidentemente far parte della specie umana, appartengono
tuttavia come noi alla comunità vivente e terrena […]. Per lumeggiare interamente
il problema, bisognerebbe riferirsi alla teoria della comunità terrena considerata
come un unico stato dalle modalità molteplici e disposto secondo gerarchia, la cui
modalità centrale è l’umana (Frithjof Schuon; L’Occhio del Cuore, p. 158).

Questo significa forse che l’Uomo è il migliore degli esseri, l’unico che può
“salvarsi”, ossia fare Ritorno all’Origine incondizionata del Tutto?
Non proprio! Il concetto di “centralità” non è riferito all’Uomo naturale. La

226
Bibbia è molto chiara al riguardo: quest’ultimo, qualora considerato in se stesso,
condivide la medesima sorte degli esseri “periferici”:

Poi, riguardo ai figli dell’uomo, mi sono detto che Dio vuole metterli alla prova e
mostrare che essi di per sé sono bestie. Infatti la sorte degli uomini e quella delle
bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un solo soffio vi-
tale per tutti. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità.
Tutti sono diretti verso il medesimo luogo: tutto è venuto dalla polvere e nella pol-
vere tutto ritorna. Chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto, mentre quello del-
la bestia scende in basso, nella terra? [Libro di Qoèlet (Ecclesiaste) 3, 18-21].

Anzi, a ben vedere l’Uomo naturale è il peggiore fra gli esseri! Non tanto in
senso morale (questo è fin troppo evidente), bensì in senso ontologico, in quanto
è il maggiormente determinato. La Ragione (il pensiero separativo, l’intelligenza
logico-analitica, simbolizzata dall’Elemento Aria), essendo l’ultima acquisizione
dell’evoluzione, è ciò che lo caratterizza e lo contraddistingue dagli altri esseri;
essa però è pur sempre un condizionamento, che si aggiunge ai precedenti nella
tessitura del “Velo di Mâyâ”, il quale cela la vera Realtà dietro a interpretazioni.
L’Uomo naturale è la classica “goccia che fa traboccare il vaso”, il punto finale
della graduale “materializzazione del reale”, e nemmeno esisterebbe se non vi
fossero gli esseri che lo hanno preceduto nella Manifestazione:

[…] tutte le tradizioni, compresa quella dell’Occidente (giacché la stessa Bibbia al-
tro non dice), si accordano nell’insegnare che […] lo stato presente non è che il ri-
sultato di una decadenza, l’effetto di una sorta di materializzazione progressiva nel
corso delle età (René Guénon; La Metafisica orientale, p. 31).

L’evoluzionismo trasformistico […] è soltanto il succedaneo materialistico del


concetto antico della “materializzazione” solidificante e segmentante d’una sostan-
za primordiale sottile e sovrasensibile, nella quale erano prefigurate tutte le possibi-
lità del mondo a posteriori materiale; la risposta all’evoluzionismo è la dottrina de-
gli archetipi e delle “idee”, queste derivanti dall’Essere puro - o dall’Intelletto divi-
no - e quelli della sostanza primordiale in cui gli archetipi “s’incarnano” per una
sorta di riverberazione (Frithjof Schuon; Logica e trascendenza, p. 17).

Ogni microcosmo è, a modo suo, un centro dell’universo; ma nell’uomo la polariz-


zazione «soggettiva» dello Spirito raggiunge il suo punto culminante […]. Quanto
ai microcosmi non-umani racchiusi nel nostro mondo, sono inferiori all’uomo in
quanto microcosmi […], ma sono relativamente superiori all’uomo giacché parte-
cipano maggiormente alla perfezione macrocosmica, la qual cosa, nel regno anima-
le, è espressa dal crescente predominio della specie - della forma specifica -
sull’autonomia individuale [Per questa ragione, l’animale non può decadere nella
stessa misura, per quanto riguarda la sua norma specifica, dell’uomo (…)] e, nei
vegetali e nei minerali, dalla fusione dei due poli: specie ed individuo (Titus Burc-
khardt; Introduzione alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 69).

227
Invero creammo l’uomo nella forma migliore [l’Uomo edenico, Adamo]*, quindi
lo riducemmo all’infimo dell’abiezione [l’Uomo naturale, comune, cioè decaduto]*
(Corano, XCV, 4-5). *N.d.A.

D’altro canto, come è necessario “toccare il fondo” per poter “risalire”, così
l’Uomo è, almeno potenzialmente, anche il migliore degli esseri. Per attuare tale
“ribaltamento ontologico”, egli deve però diventare l’Uomo nello stato edenico
(Uomo vero, o divino, o primordiale, coincidente con lo Jen del taoismo), ossia
il Saggio, il quale ha la consapevolezza sentita e vissuta - e non solo pensata -
dell’unità profonda del Tutto. Soltanto così egli percepirà l’intero Cosmo come
il proprio stesso “corpo” e non più come Materia bruta da sfruttare per il proprio
tornaconto. Tocca all’Uomo, il peggiore degli esseri, salvare, o meglio, liberare
il mondo. Nei prossimi capitoli vedremo come.

La natura dell’uomo si può considerare in due modi: o secondo il suo fine, e allora
egli è grande e incomparabile, o secondo la maggioranza, come si giudica della na-
tura del cavallo e del cane […]; e allora l’uomo è abbietto e vile. Ecco le due vie
che lo fanno giudicare in modo diverso, e che tanto fanno disputare i filosofi. Infat-
ti, l’uno nega il presupposto dell’altro, e dice: «Non è nato per quel fine, poiché tut-
te le sue azioni vi ripugnano»; e l’altro dice: «Si allontana dal suo fine quando
compie quelle basse azioni» (Blaise Pascal; Pensieri, VI, 415, p. 124).

Uomo
edenico

Evoluzione Evoluzione
biologica spirituale

Uomo
naturale

228
54. TUTTA LA NATURA TENDE AL “RITORNO”
Nella Bibbia sono presenti alcuni passi sui quali è forse utile una riflessione.
Ad esempio:

Ogni vivente dia lode al Signore (Libro dei Salmi. Salmo 150, 6).

Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: «Quanto a me, ecco io stabilisco la mia al-
leanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è
con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti
dall’arca, con tutti gli animali della terra» (Libro della Genesi 9, 9-11).

Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura (Vangelo secondo


Marco, XVI, 15).

Non si parla di ogni essere umano, ma di “ogni vivente” e “ogni creatura”14.


Leggiamo Zolla riguardo il passo di Marco appena citato:

Questa la dottrina impartita dal Cristo risorto, il quale ingiunge […] di predicarla a
ogni creatura, non già soltanto agli uomini. Gregorio Magno insegna che nell’uomo
ogni creatura si compendia, essendo il suo essere comune alle pietre, il suo vivere
alle piante, il suo sentire alle bestie, il suo intendere infine agli angeli; ma questo
non esclude, anzi conferma che il santo predica a ogni creatura. […] I santi giungo-
no alla comunione, non solo con le bestie, ma con gli elementi. Nell’VIII capitolo
dell’Epistola ai Romani san Paolo spiega che tutto il creato aspetta e spera la perfe-
zione; se l’uomo diventa glorioso, anche il creato si purifica (Elémire Zolla; Le po-
tenze dell’anima. Anatomia dell’uomo spirituale, p. 252).

L’ultima frase di Zolla si riferisce al seguente passo paolino:

L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli
di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma
per volontà di colui che l’ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazio-
ne sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria
dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le do-
glie del parto fino ad oggi (San Paolo; Lettera ai Romani, 8, 19-22).

Insomma, l’intera Natura deve fare Ritorno al suo Principio nel contesto della
Auto-Contemplazione generatrice, ovvero prendere piena consapevolezza della
propria Essenza:

14
Anche gli animali, le piante e gli elementi naturali pregano [si vedano a proposito:
Giona 3, 7-8; Isaia 43, 20; Salmo 104 (103), 20-21; Salmo 148, 7-10].
229
Signore, il tuo amore è nel cielo […]: uomini e bestie tu salvi, Signore [Libro dei
Salmi, Salmo 36 (35), 6-7].

Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il


vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La
mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone
si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il
bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso (Libro del profeta Isaia
11, 6-8).

***

L’Uomo non può “salvarsi” da solo, giacché:

1) Da un punto di vista meramente materiale, è biologicamente interconnesso


con l’intero ecosistema, e questo legame ha radici profonde:

Un elemento astratto pāśa (il vincolo, la trappola) esprime l’unità e l’interdipen-


denza di tutte le forme della vita. Pāśa, il cappio, è l’insieme delle leggi che tengo-
no uniti i vari elementi della materia e dell’essere vivente intrappolato nella crea-
zione. Non c’è altra morale che il rispetto del pāśa, del vincolo, ossia dell’inter-
dipendenza in noi dell’animale e del divino, e della realizzazione del posto che oc-
cupiamo nell’insieme dell’opera divina, delle affinità che ci legano alle specie ani-
mali e vegetali, e delle responsabilità che questi rapporti implicano. Si può definire
il pāśa come la legge naturale, ossia la legge divina (Alain Daniélou; Śiva e Dioni-
so. La religione della natura e dell’eros, pp. 48-49).

[…] come si può concepire tale integralità per un solo essere, quando lo stato in
questione costituisce un ambito che egli ha in comune con una indefinità di altri es-
seri, in quanto questi sono anch’essi soggetti alle condizioni che caratterizzano e
determinano quello stato o quel modo di esistenza? (René Guénon; Gli stati molte-
plici dell’essere, p. 116).

2) Dal punto di vista spirituale, egli non sarebbe il “riflesso divino” (ovvero: non
potrebbe prendere coscienza di sé) se non vi fosse la Natura che, generandolo e
facendogli da sostrato materiale, fisiologico e psichico, funge da “specchio” e
gli permette la riflessione. Lo specchio non è “altro” dall’immagine riflessa:

La scoperta del proprio Io, la nascita della riflessione, devono aver rappresentato un
avvenimento di importanza decisiva nella storia del pensiero umano. Non a torto
l’uomo è stato definito l’essere riflessivo […]. Ancora oggi il realista guarda solo
verso la realtà esteriore senza rendersi conto di esserne lo specchio. Ancora oggi
l’idealista guarda solo nello specchio voltando le spalle alla realtà esteriore.
L’atteggiamento conoscitivo di ambedue impedisce loro di vedere che lo specchio

230
ha un rovescio, una faccia non riflettente, che lo pone sullo stesso piano degli ele-
menti reali che esso riflette: l’apparato fisiologico, la cui prestazione consiste nel
conoscere il mondo reale, non è meno reale di quel mondo stesso (Konrad Lorenz;
L’altra faccia dello specchio, pp. 39 e 46).

Sia chiaro: non stiamo negando la natura spirituale e divina dell’Uomo, ma al


contrario allargandola all’intera Manifestazione. O tutto è divino, oppure niente
lo è! Opzioni intermedie sollevano aporie insuperabili:

Di solito dividiamo ogni cosa in bene o male […]. Ma per il Tantra questa divisio-
ne di buono e cattivo è senza senso. Il Tantra non guarda alla vita attraverso alcuna
dicotomia, dualità o divisione […]. Tutto quello che esiste è buono. Il Tantra crede
nella bontà intrinseca a ogni cosa. Ogni cosa è santa, nulla è profano e nulla è male
(Osho; Il libro dei segreti, pp. 201 e 209).

***

Una delle apparenti contraddizioni presenti nell’Antico Testamento riguarda


l’ordine degli elementi della Creazione. Vi sono infatti due diversi racconti:

1. Nel primo (Genesi, 1,1/2,4) , dopo la Terra Dio crea le piante, gli astri, gli
animali e infine l’uomo e la donna. Riportiamone un estratto:
Dio fece gli animali selvatici, secondo la loro specie, il bestiame, secondo la pro-
pria specie, e tutti i rettili del suolo, secondo la loro specie. Dio vide che era cosa
buona. Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine (…)» (Libro della Genesi,
1, 25-26).

2. Nel secondo (Genesi, 2,5/2,25), dopo la Terra Dio crea dapprima l’uomo, poi
le piante, gli animali, e infine la donna. Riportiamo un passo anche di questo:
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che
gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali sel-
vatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo (Libro della Genesi, 2; 18-
19).

Qual è la spiegazione di questa incongruenza? Forse si sono unite in modo un


po’ distratto due diverse fonti.
Ma c’è un’altra ipotesi: il primo racconto è riferito all’Uomo naturale, ultimo
prodotto dell’evoluzione biologica, quello che abbiamo precedentemente indivi-
duato come il “peggiore” degli esseri. Il secondo, invece, non è da considerarsi
in senso temporale, ma bensì ontologico e simbolico, e parla dell’Uomo edenico.
Adamo non è il primo essere umano naturale apparso sulla Terra; non è un
singolo individuo particolarmente saggio che conosce la Natura, bensì la Natura

231
stessa che si auto-conosce. Ecco il vero senso metafisico del termine “Umanità”;
Adamo è la trasfigurazione di tutta la Natura. Prima della sua “caduta” e della
cacciata dal Paradiso Terrestre, egli è infatti l’Uomo edenico, sintesi immutabile
di tutti gli esseri, passati, presenti e futuri.
Nella concezione della Kabbalah, le lettere non sono un semplice suono, ma
una vera e propria essenza. Dio crea con la Parola [Dio disse: «Sia la luce!». E la
luce fu (Libro della Genesi, 1, 3)]. Adamo dà il nome a tutti gli esseri. Questo
indica simbolicamente che egli li riconosce come parti di sé, cioè che essi sono
integrati in lui come una sorta di modalità “periferiche”:

[…] in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quel-
lo doveva essere il suo nome (Libro della Genesi, 2, 19).

Appunto perché Adamo aveva ricevuto da Dio la conoscenza della natura di tutti
gli esseri viventi, egli poté nominarli; e tutte le tradizioni antiche concordano
nell’insegnare che il vero nome di un essere non è che una sola cosa con la sua na-
tura o la sua stessa essenza (René Guénon; Simboli della Scienza sacra, p. 22).

[…] secondo il simbolismo del Genesi (II, 19-20), Adamo poteva veramente «no-
minare» tutti gli esseri di questo mondo, cioè poteva definire, nel senso più comple-
to della parola (che implica sia determinazione che realizzazione), la natura propria
a ciascuno di essi, ch’egli conosceva immediatamente e interiormente come un
aspetto parziale della propria natura (René Guénon; La Grande Triade, p. 84).

Cosi l’essere [adamitico] fu denominato «uomo» e «vicario» di Dio. Circa la sua


qualità d’uomo, essa ne definisce la natura sintetica [comprendente virtualmente
tutte le altre nature create] e la capacità di contenere tutte le verità essenziali […].
Adamo è quindi a un pari Dio e creatura. E hai compreso quale sia il suo grado [co-
smico], vale a dire quello della sintesi [di tutte le qualità cosmiche] […]. Dopo
averlo creato, Dio fece vedere ad Adamo tutto quello che aveva posto in lui; ed
Egli tenne il tutto nelle sue due mani: l’una conteneva il mondo, l’altra Adamo e i
suoi discendenti, poi indicò a questi i gradi che occupano nell’interno di Adamo
(Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, pp. 19 e 26).

Tutte le creature dirigono il loro corso verso la loro più alta compiutezza […]. Tutte
le creature si portano nel mio intelletto, per essere in me spiritualmente. Io soltanto
procuro di nuovo tutte le creature a Dio. Guardate cose voi tutti fate! […]. Il mio
uomo più intimo, poi, non le gusta come dono di Dio, ma come eterne […]. Io solo
porto tutte le creature dal loro essere spirituale nel mio intelletto, perché siano una
cosa sola in me (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Nolite timere eos qui corpus
occidunt, animam autem occidere non possunt, pp. 74-77).

232
55. L’UOMO [EDENICO] PORTA TUTTO IN DIO
Uno dei novantanove nomi di Allah è Al-Mu‘îd, che significa “Colui al Quale
ogni cosa ritorna”. “Ritornare”, lo sappiamo, significa emergere alla Coscienza;
la Realtà condizionata (ovvero la Manifestazione) prende consapevolezza di sé,
realizzando la sua non-alterità essenziale con la sua Fonte incondizionata.
Ogni cosa, quindi, deve fare Ritorno. Nulla è inconscio per l’Assoluto, che si
identifica con la Coscienza stessa. L’inconsapevolezza della nostra vera Essenza
è un problema di noi esseri individuali (che ci crediamo separati), non certo
dell’Assoluto. Da qui il motto delfico: “Conosci te stesso” [= il tuo vero “Sé”].
Ora, tutto il ciclo auto-manifestativo si decanta e si concretizza nella Natura,
e la Natura trova la sua sintesi nell’Uomo, il maggiormente condizionato fra gli
esseri, in quanto composto da tutte le successive “stratificazioni ontologiche”.
È proprio all’Uomo che tocca prendere coscienza dell’indivisibilità del reale.
Egli deve quindi dapprima integrare coscientemente in sé tutti i condizionamenti
naturali (ricapitolazione), e poi ricondurli nell’Assoluto, nel quale dissolversi in
quanto entità a sé, estinguendo il Logos (ossia il “soffio” esistenziante).
Nel Buddhismo Mahâyâna, il Bodhisattva è colui che, pur avendo possibilità
di accedere al Nirvâna (termine che significa proprio “estinzione”), vi rinuncia,
per aiutare tutti gli altri esseri a liberarsi dal Samsâra (l’esistenza condizionata).
Nella mistica cristiana tale compito di liberazione è affidato simbolicamente
alla figura di Gesù, vero Uomo e vero Dio (doppia natura), in quanto, da mistico
autentico, ha sacrificato il proprio “Io” risolvendolo in Dio (“Chi ha visto me, ha
visto il Padre”), indicando in tal modo il percorso da fare (“Io sono la via”).
Vedremo più avanti le modalità di questa “Grande Opera di salvezza”. Qui ci
limitiamo a riportare alcuni passi che, da vari punti di vista, illustrano appunto il
concetto di “Uomo” come sintesi della Natura e come “traghettatore” di questa
nell’Assoluto:

[…] l’uomo è un grande miracolo, un essere vivente che [...] stringe a sé in un vin-
colo d’amore tutti gli altri esseri cui si sa legato per disposizione celeste (Corpus
Hermeticum, Asclepio, 6, pp. 299-301).

Che cosa misera è l’umanità se non si sa elevare oltre l’umano! (Lucio Anneo Se-
neca; Naturales quaestiones).

L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, - una fune sopra l’abisso
[…]. Quel che è grande nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si
può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto (Friedrich Wilhelm Nie-
tzsche; Così parlò Zarathustra. Prefazione di Zarathustra, p. 7).

Fine dunque della gerarchia è l’assimilazione e la unificazione con Dio, per quanto si può
(Dionigi Areopagita; Corpus Dionysiacum. La gerarchia celeste, III, 2, p. 77).

233
[L’uomo] per la sua natura è posto in una condizione di intermediano [...]. Infatti
tutte le creature inferiori, prive d’intelletto, risalgono a Dio attraverso l’intelletto e
la volontà dell’uomo, chiamato a esprimerne l’intelligibilità e a gustarne (Tommaso
d’Aquino; Somma teologica).

Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me
(Vangelo secondo Giovanni, 14, 6).

E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me (Vangelo secondo Giovanni,
12, 32).

L’uomo porta tutto in Dio. Uomo, tutto ti ama! Tutto ti si fa attorno: tutto ricorre a
te per arrivare a Dio (Angelus Silesius; Il pellegrino cherubico, I, 275, p. 85).

[…] l’odio e la cattiveria sono condizionati dall’egoismo, e […] quest’ultimo si


fonda sull’irretimento della conoscenza nel principium individuationis; così abbia-
mo trovato, come origine ed essenza della giustizia e poi, andando oltre, dell’amore
e della magnanimità, fino ai gradi più alti, il trapassamento di quel principium indi-
viduationis, il quale soltanto, annullando la differenza fra la propria individualità e
quella altrui, rende possibile e spiega la perfetta bontà d’animo, fino all’amore più
disinteressato ed al più generoso sacrificio di sé in favore degli altri […]. L’uomo
perviene allo stato di rinuncia volontaria […]. Egli, che non è nient’altro che il fe-
nomeno della volontà, cessa di volere qualsiasi cosa, si guarda dall’attaccare la sua
volontà a qualsiasi cosa […]. Così l’uomo buono deve portare tutte le cose a Dio,
loro prima origine (Arthur Schopenhauer; Il mondo come volontà e rappresenta-
zione, IV, 68, pp. 410-413).

[…] le entità divino-spirituali che ci attorniano [i Demoni-anima]* […] inviano giù


i loro spiriti elementari [personificazioni simboliche dei quattro Elementi naturali]*
[…], e li imprigionano […]. Possiamo noi come uomini fare qualcosa per questi
spiriti degli elementi […] per scioglierli dall’incantesimo? Sì, lo possiamo […].
Mentre percepiamo gli oggetti che ci circondano, una schiera di spiriti elementari,
che […] continuamente vien resa prigioniera a causa dei processi di condensazione
del mondo, passa senza posa in noi […]. Poniamo […] che l’uomo […] non si limi-
ti a guardare un pezzo di cristallo, ma rifletta intorno alla sua natura, ne senta la
bellezza, e spiritualizzi la sua impressione. Che cosa fa allora? Egli libera col suo
procedimento spirituale lo spirito elementare che dal mondo esterno affluisce in lui,
lo risolleva a ciò che era, lo scioglie dal suo incantesimo. Con la nostra spiritualiz-
zazione, noi […] possiamo salvarli, renderli liberi (Rudolf Steiner; Gerarchie Spiri-
tuali e loro riflesso nel mondo fisico. Zodiaco - Pianeti - Cosmo, p. 31-33). *N.d.A.

***

Concretamente che cosa significa che l’Uomo edenico “salva” gli altri esseri?
Per rispondere, dobbiamo prima capire da che cosa ci si deve “salvare”.

234
56. IN CHE COSA CONSISTE
LA “CADUTA” DELL’UOMO?

Il cosiddetto “peccato originale” altro non è che un modo errato di percepire


la Realtà: persa l’originaria conoscenza unitiva (ovvero la consapevolezza della
indivisibilità del “Tutto”), l’uomo contrappone, analizza, distingue, differenzia e
separa, ispirato in questo dal serpente, ossia dal diavolo, termine che deriva dal
greco διαβάλλω (diabàllo) che significa proprio “separatore”. In questo senso,
Satana è il corrispettivo occidentale della Mâyâ indù: è l’apparenza, l’ignoranza
(in sanscrito Avidyâ) della vera essenza indivisa del reale.
La conoscenza unitiva è naturale, spontanea; il bambino prova qualcosa del
genere (anche se ovviamente in modo ingenuo ed inconsapevole; è il cosiddetto
sentimento oceanico). È l’adulto che ha imparato a conoscere separativamente,
soprattutto distinguendo il soggetto dall’oggetto, l’“Io” dal “Non-Io”:

Per il neonato, il mondo e il Sé sono più o meno un’unica cosa. La ricerca di [Peter]
Fonagy ha dimostrato che il bambino per circa diciotto mesi vive in uno stato di
“equivalenza psichica”, nel quale il mondo esterno viene percepito in modo con-
forme a quello interno (Nancy McWilliams; La diagnosi psicoanalitica, p. 133).

È certo che negli antichi era molto più forte il senso dell’unità profonda del
“Tutto”. Nei culti politeistici, le molteplici divinità erano considerate semplici
aspetti di un’unica realtà e ogni cosa era reputata in qualche modo viva e divina.
Tale atteggiamento viene descritto come una maggiore vicinanza agli dèi:

[…] nonostante la religione greca fosse politeistica, la diversità degli dèi non era in
contraddizione con l’idea dell’unità del divino. Per i Greci, infatti, il divino si
esprimeva attraverso il molteplice (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza
religiosa, p. 231).

Cfr. Aristotele, De anima, I, 5: «A Talete sembrava che tutto fosse pieno di dèi», e
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I, 27 sempre riferendosi a Talete, gli attribuisce
l’opinione che il cosmo fosse: «animato e pieno di divinità (daimònon)». Lo stesso
Diogene Laerzio (op. cit., IX, 7) attribuisce anche ad Eraclito il pensiero che «tutto
sia pieno di anime e di divinità […]» (Marco Vannini; La morte dell’anima. Dalla
mistica alla psicologia, p. 16).

Gli antropologi si sono a lungo interrogati su quale potesse essere la visione del
mondo degli uomini del remoto passato. Nel volume La filosofia prima dei Greci
[…] si suggerisce che il mondo dovesse apparire ai nostri antenati […] pregnante di
vita […]. In tale mondo ogni cosa appare viva […]. Qualsiasi fenomeno può levarsi
dinanzi a lui [al primitivo], non come un quid, ma come un “Tu” […]. Il “Tu” non
viene contemplato con un intellettuale distacco, ma viene sperimentato come una
vita che si ponga dinanzi a una vita, che impegni ogni facoltà dell’uomo in rapporto

235
reciproco. […]. La distinzione tra oggetti viventi e oggetti inanimati veniva intesa
semplicemente come l’ovvia distinzione tra lo stato di veglia e quello di sonno
(Edward Harrison; Le maschere dell’universo. L’immagine del cosmo dalle origini
dell’umanità alle più recenti scoperte scientifiche, p. 35).

[…] gli antichi […] erano migliori di noi e abitavano più vicino agli dèi (Platone;
Filebo 16c).

I Maestri dei tempi antichi erano liberi, chiaroveggenti, misteriosi intuitivi. Nella
vastità delle forze del loro spirito non sapevano di un Io. Questa incoscienza della
forza interiore dava grandezza al loro aspetto (Lao-Tze; Tao-tê-ching. Il libro del
principio e della sua azione, 15, p. 64).

La conoscenza degli antichi era perfetta. Quanto perfetta? Innanzitutto, essi non sa-
pevano che c’erano le cose [Assoluto]*. Questa è la conoscenza più perfetta; non si
può aggiungere altro. Poi essi sapevano che c’erano le cose, ma non facevano anco-
ra distinzioni tra di esse [Spirito]*. Alla fine, essi fecero delle distinzioni tra di esse,
ma non elaborarono ancora giudizi su di esse [Anima universale]*. Quando i giudi-
zi furono elaborati [Manifestazione fisica]*, il Tao fu distrutto (Chuang-tzu, 2. Ci-
tazione tratta da: Alan W. Watts; Il Tao. La via dell’acqua che scorre, p. 69). Fra
parentesi quadre abbiamo aggiunto i Livelli del reale, associati agli stati descritti.

La comparsa del bene e del bene e del male altera la nozione di Tao. Questa altera-
zione comporta la comparsa dell’amore egoista [Zhuang-zi (Chuang-tzu), p. 26].

***

Riguardo la simbologia biblica della “caduta” di Adamo ed Eva seguiamo la


spiegazione che ne dà Guénon. Nell’Eden vi sono due alberi:

Si può dire che la natura dell’«Albero della Conoscenza del bene e del male» è ca-
ratterizzata dalla dualità, come suggerisce la sua stessa denominazione […]; non al-
trettanto può dirsi dell’«Albero della Vita», la cui funzione di «Asse del Mondo»
implica invece essenzialmente l’unità […]. La natura duale dell’«Albero della Co-
noscenza» non appare d’altronde a Adamo che nel momento stesso della «caduta»,
poiché è allora che egli diventa «conoscitore del bene e del male» [Gn, 3, 22]. È
sempre in quel momento che egli viene allontanato dal centro, luogo dell’unità ori-
ginaria, a cui corrisponde l’«Albero della Vita»; ed è precisamente «per custodire la
via dell’Albero della vita» che i Kerubim […] vengono posti all’ingresso dell’Eden
[Gn, 3, 24], armati della spada fiammeggiante. Questo centro è divenuto inaccessi-
bile all’uomo decaduto, poiché ha perduto il «senso dell’eternità», che è anche il
«senso dell’unità»; ritornare al centro ripristinando lo «stato primordiale» e rag-
giungere l’«Albero della Vita» significa recuperare il «senso dell’eternità». D’altra
parte, è noto che la stessa croce di Cristo è identificata simbolicamente all’«Albero
della Vita» (lignum vitae) […], perché [tramite essa]* la dualità viene a essere ef-

236
fettivamente reintegrata nell’unità […]. È il processo della manifestazione univer-
sale: tutto ha origine dall’unità e all’unità ritorna […]. Torniamo ora alla rappresen-
tazione del «Paradiso terrestre»; dal suo centro, cioè dalla base dell’«Albero della
Vita», partono quattro fiumi che si dirigono verso i quattro punti cardinali, dise-
gnando così una croce orizzontale sulla superficie stessa del mondo terrestre, cioè
sul piano che corrisponde al dominio dello stato umano. I quattro fiumi, che si pos-
sono mettere in relazione con la quaterna degli elementi e originano da un’unica
fonte corrispondente all’etere primordiale […]. L’«Albero della Vita» si ritrova al
centro della «Gerusalemme celeste» [Apocalisse, capitoli 21 e 22], cosa che si
spiega con facilità se si conoscono i rapporti che collegano quest’ultima al «Paradi-
so terrestre»; si tratta della reintegrazione di tutte le cose nello «stato primordiale»,
in virtù della corrispondenza che esiste tra la fine del ciclo e il suo inizio (René
Guénon; Il simbolismo della croce, pp. 68-73). *N.d.A.

E continua più avanti:

Ritornando al simbolo del serpente arrotolato attorno all’albero […], possiamo con-
statare che tale figura è esattamente quella dell’elica tracciata intorno al cilindro
verticale […]. E dato che l’albero è, come abbiamo detto, il simbolo dell’«Asse del
Mondo», il serpente rappresenterà allora l’insieme dei cicli [i Cosmi fisici]* della
manifestazione universale; […] l’incatenamento dell’essere alla serie indefinita dei
cicli di manifestazione […]. È il samsâra buddhista, la rotazione indefinita della
«ruota della vita», da cui l’essere deve liberarsi per raggiungere il Nirvâna […]. Per
realizzarsi totalmente, l’essere deve sfuggire a questa concatenazione ciclica e pas-
sare dalla circonferenza al centro (René Guénon; Il simbolismo della croce, pp.
143-145). *N.d.A.

***

La riconquista dello stato edenico, e quindi la possibilità di accedere ad uno


stato di non-separazione, è descrivibile come un nuovo - ma in realtà originario -
sguardo sulle cose, nel quale la complessità lascia il posto alla semplicità:

La virtù plotiniana consiste […] in un atteggiamento spirituale estremamente sem-


plice […]: è solo una continua attenzione al divino, un perpetuo esercizio della pre-
senza di Dio. Si può parlare, se si vuole, di metamorfosi dello sguardo. Dentro e in-
torno a sé, attraverso tutte le cose, la virtù plotiniana non vuole vedere altro che la
presenza divina. Grazie a questo esercizio l’unione con Dio diviene continua. La
contemplazione del mondo delle Forme e l’esperienza del bene cessano di essere
eventi rari e straordinari per lasciare il posto a una condizione di unione […] che
coinvolge l’essere nella sua totalità […]. Il saggio plotiniano […] Ha il Tutto, è il
Tutto (Pierre Hadot; Plotino e la semplicità dello sguardo, pp. 67-68).

237
57. CHE COSA SIGNIFICA “SALVEZZA”?
Il penultimo capitolo terminava con una domanda, che qui ripetiamo…
Concretamente che cosa significa che l’Uomo edenico “salva” gli altri esseri?
In che cosa consiste questa “salvezza”? Non si intende di certo che una pietra,
un albero, un cavallo o un essere umano naturale avranno grazie a lui una vita
individuale post mortem! Già ora, tale individualità è solo apparenza, opinione,
Mâyâ; che senso avrebbe perpetuare una mera illusione in una durata infinita?

L’eternità non corrisponde a un tempo senza fine, perché non ha nulla a che vedere
col tempo. Meditare sul tempo è proprio ciò che esclude l’eternità. Quando ci do-
mandiamo se continueremo a vivere dopo la morte, stiamo ovviamente ragionando
in termini temporali. Questo è il genere di riflessioni che appartengono alla consa-
pevolezza lunare. Quando invece si realizza che l’eternità è qui, adesso, e che la si
può sperimentare cogliendo la propria autentica verità esistenziale qui e ora, nel
senso che ciò che siamo non è mai nato né mai morirà, si pensa e si esperimenta in
termini di mistero solare, di vita solare (Joseph Campbell; Miti di luce. Metafore
dell’Eterno in Oriente, pp. 139-140).

Potremmo dire - per ora - che l’Uomo, una volta realizzato lo “stato edenico”
(e dunque annullata ogni alterità), ricorderà di essere stato egli stesso quella tal
pietra, quell’albero, quel cavallo, quell’essere umano; ma non idealmente, bensì
concretamente; sentirà le loro esperienze vissute come le proprie esperienze.
Forse è questo che realizzò Siddharta quando, raggiungendo l’illuminazione e
diventando “il Buddha”, il Risvegliato, ricordò (cioè riportò alla coscienza) tutte
le “sue” vite precedenti. Tenendo però conto che la reincarnazione è un concetto
simbolico; non serve reincarnarsi, poiché siamo fin da ora tutti gli esseri, passati,
presenti e futuri, terrestri o alieni, e di tutti i regni naturali, in quanto la Realtà è
indivisibile. La Coscienza è la medesima in ogni essere; sono i condizionamenti
a separare. Ma questi ultimi sono concettualizzazioni, pura apparenza:

La reincarnazione esiste solo finché c’è ignoranza. In realtà non c’è affatto reincar-
nazione, né ora né prima. Non ci sarà in alcun futuro. Questa è la verità (Ramana
Maharshi; Sii ciò che sei, pp. 228-229).

Nella tradizione indù credere nella reincarnazione degli individui è considerata


un’interpretazione popolare e ingenua. In ultima analisi, c’è solo un essere che ha
una vera esistenza [realtà]* e questo è Brahma [il Brahman impersonale]*, o prin-
cipio creativo, mentre gli individui, separati in tutte le dimensioni di esistenza, non
sono altro che prodotti di infinite metamorfosi di quell’unica immensa entità [infi-
nita Realtà]*. Poiché tutte le divisioni e i confini dell’universo sono illusori e arbi-
trari, solo il Brahma è veramente incarnato. Tutti i protagonisti del gioco divino
dell’esistenza sono aspetti diversi dell’Uno. Quando arriviamo a questa consapevo-
lezza definitiva, siamo in grado di vedere che le esperienze delle passate incarna-

238
zioni rappresentano solo un altro livello di illusione, o maya. Da questo punto di vi-
sta, considerare queste come le “nostre vite” significa vedere i protagonisti karmici
come individui separati e dimostra l’ignoranza dell’essenziale unità di ogni cosa
(Stanislav Grof; L’ultimo viaggio. La coscienza nel mistero della morte. Dalle an-
tiche pratiche sciamaniche alle nuove cartografie della psiche, p. 207). *N.d.A.15

Affermare che: «In verità, Egli è l’unico che vede, pensa, conosce e fruttifica» in
noi, affermare che: «Chiunque vede, vede grazie alla Sua luce» (dacché Egli è in
tutti gli esseri colui che osserva) equivale a dire che: «Il Signore è il solo che tra-
smigra» [Shankaracharya, Brahma Sutra, I, 1, 5 (…). Non è l’individualità che tra-
smigra (…)] (Ananda K. Coomaraswamy; Induismo e Buddismo, p. 34).

***

Però anche dire che l’Uomo edenico “ricorda” di essere stato ciascun singolo
essere non è del tutto esatto, ed ha senso solo in un contesto temporale. Egli ha
trasceso lo scorrere del tempo, e vive in un Eterno Presente, nell’Etere, nel puro
Tempo immutabile. Dunque, egli “è” realmente da sempre e per sempre quella
pietra, quell’albero, quel cavallo e quell’essere umano. Non è, dunque, un essere
individuale “altro” da loro che rievoca virtualmente le loro esistenze, in modo
tale che essi sono solo meri ricordi, reminiscenze altrui, ma saranno proprio loro
stessi che esistono nella sovra-temporalità, tornando ad essere Ecceità (Essenze)
eterne, pure Possibilità, aspetti integranti della Shakti divina - e di conseguenza
dell’Assoluto indiviso. Piuttosto è il loro “passaggio nell’esistenza” a essere del
tutto insostanziale, quasi illusorio:

[…] per l’essere giunto ad assumere effettivamente il punto di vista centrale dello
stato considerato - questo è l’unico modo per realizzarne l’integralità -, tutti gli altri
punti di vista particolari perdono ogni importanza se presi separatamente, poiché
egli li ha unificati nel punto di vista centrale; è dunque nell’unità di quest’ultimo
che essi allora esistono, e non più al di fuori di tale unità, poiché l’esistenza della
molteplicità fuori dell’unità è puramente illusoria. L’essere che ha realizzato
l’integralità di uno stato ha fatto di sé il centro di quello stato e, come tale, si può
dire che egli riempie interamente quello stato con il proprio irraggiamento: assimila
a sé tutto ciò che vi è contenuto, in modo tale da farne in un certo senso altrettante
modalità secondarie di sé stesso, quasi paragonabili alle modalità che si realizzano
nello stato di sogno (René Guénon; Gli stati molteplici dell’essere, pp. 116-117).

[…] applico la lezione impartita da Merlino al giovane Re Artù […]: «Sii quel luc-
cio! Sii quel falco! Sii quella quercia!» (Peter Tompkins; La vita segreta della na-
tura, p. 11).

15
Abbiamo posto fra parentesi quadre una terminologia alternativa, più in linea con le
nostre concezioni.
239
[…] l’essenza del tempo è il fluire, il dissolversi di ciò che esiste momentaneamen-
te […]. Il paradosso della creazione, il trasferimento delle forme dall’eternità al
tempo, costituisce il fondamentale segreto del padre, che non può essere completa-
mente spiegato (Joseph Campbell; L’eroe dai mille volti, p. 176).

Il mondo è colmato e illuminato dal Bodhisattva («colui che è illuminazione»), ma


non lo possiede; al contrario, è il Bodhisattva che possiede il mondo […]. La sosta
sulla soglia del nirvāṇa, la decisione di rimandare sino alla fine del tempo (che non
ha fine) la propria immersione nella serena fonte dell’eternità, rivelano ch’ella ha
compreso che la distinzione fra tempo ed eternità è soltanto apparente - stabilita per
necessità dalla mente razionale - e scompare per la mente che ha raggiunto la per-
fetta conoscenza trascendendo le coppie di contrari (Joseph Campbell; L’eroe dai
mille volti, pp. 181-183).

So bene che, se mi conoscessi da vicino come dovrei, conoscerei tutte le creature


alla perfezione (Pseudo Meister Eckhart; Diventare Dio. L’insegnamento di sorella
Katrei, pp. 63-64).

I saggi dicono che la gloriosa conoscenza suprema è solo lo stato in cui la propria
non esistenza (sunya) viene […] conosciuta. Ora tu pensi di essere un individuo,
che ci sia l’universo e che Dio sia al di là del cosmo. Così c’è l’idea della separa-
zione. Quest’idea deve sparire. Poiché Dio non è separato da te o dal cosmo […].
Tutti provengono da lui, risiedono in lui e alla fine si dissolvono in lui. Perciò egli
non è separato. […] Brahman è tutto e rimane indivisibile. È sempre realizzato, ma
l’uomo non ne è consapevole. Deve arrivare a conoscerlo. Conoscenza significa
superare gli ostacoli che impediscono la rivelazione della verità eterna che il Sé è
Brahman. Gli ostacoli nel loro insieme formano la tua idea di essere separato come
individuo (Ramana Maharshi; Sii ciò che sei, pp. 238-239).

D [David Godman]: Ma come posso aiutare un altro nei suoi problemi, nelle sue
difficoltà? R [Ramana Maharshi]: Cos’è questo parlare di un altro? C’è soltanto
l’uno. Cerca di realizzare che non ci sono né io, né tu, né lui, ma solo il Sé che è
tutto. Se credi al problema di un altro, stai credendo a qualcosa all’esterno del Sé.
Lo aiuterai meglio realizzando l’unità di ogni cosa piuttosto che attraverso l’attività
esterna (David Godman; Sii ciò che sei. Ramana Maharshi e il suo insegnamento,
pp. 165-166).

D [David Godman]: […] La mia realizzazione aiuterà gli altri? R [Ramana Mahar-
shi]: Sì, ed è il miglior aiuto che puoi dare agli altri. Ma in realtà non ci sono altri
da aiutare […]. Quando ti identifichi col corpo, ci sono il nome e la forma. Ma
quando trascendi la coscienza corporea, anche gli altri scompaiono […]. Il Sé
[l’Assoluto. N.d.A.] è l’unica realtà. Il saggio aiuta il mondo semplicemente essen-
do il Sé reale. Il modo migliore di servire il mondo è guadagnare lo stato privo di
ego (Ramana Maharshi; Sii ciò che sei, p. 181).

240
Le ultime due frasi riportate non devono assolutamente essere fraintese. Esse
non propugnano l’indifferenza verso tutti gli altri esseri; al contrario! Il rispetto,
la compassione, l’empatia e l’amore per tutti gli esseri non devono mancare, in
quanto senza di essi non è possibile annichilire davvero l’“Io”, e quindi ottenere
lo stato edenico. Esse esprimono molto semplicemente che non è con i mezzi del
mondo che possiamo salvare il mondo. Possiamo certo salvare la vita, l’integrità
fisica o psicologica di un certo numero di esseri (il che è sempre ottimo), ma non
certo ricondurre l’intera Natura all’Assoluto. Per questo è necessaria la mistica:

Com’è […] possibile dedicarsi alla propria liberazione quando il mondo intero sof-
fre? E d’altra parte, com’è possibile pensare a se stessi quando non c’è Sé? [qui si
intende l’“Io”; è questa la dottrina buddhista dell’anâtman: non vi è alcun essere
sostanziale; ogni cosa esiste solo nella relazione con le altre]*. Ma, dal momento
che non c’è alcun Sé, non esistono neppure esseri viventi da aiutare, nessun
Nirvâṇa da ottenere, non c’è alcun altruismo da praticare, alcun male da sfuggire
[…]: c’è soltanto il vuoto, […] [la vacuità]* (śûnyatâ) […]. Il paradosso mahâyâna,
dunque, consiste nella necessità di essere virtuosi pur sapendo che nulla è reale, che
non vi è niente da raggiungere e niente da fuggire, che saṃsâra e nirvâṇa coinci-
dono, dato che tale dicotomia è solo una costruzione dialettica: non c’è un sé da
salvare né esseri viventi da aiutare […]. Perché allora praticare le virtù, a quale
scopo? La saggezza che scopre la vacuità (śûnyatâ) del mondo, scopre anche che
tale vacuità deve essere sempre associata alla compassione (karuṇâ). Nella vacuità
vi è un’immensa compassione; anzi, senza compassione non vi è vacuità, perché al-
lora non sarebbe possibile praticare la via del non-sé, dato che il non-sé sarebbe so-
lo un caso estremo di egoismo e di nichilismo. La compassione impedisce che la
disintegrazione del mondo in fantasmi che si sostengono l’un l’altro sulla base del-
l’ignoranza si trasformi in cinismo e disperazione, ultima forma di sostanzialismo.
La vacuità è saggezza (prajñâ), la compassione è la tensione che spinge ad agire
per raggiungere tale saggezza: è, dunque, il mezzo, lo strumento salvifico (upâya)
(Luciana Meazza e Gabriele Burrini; La filosofia indiana, pp. 45-47). *N.d.A.

Il concetto di salvezza, inteso come preservazione dell’unità, dell’integrità,


dell’interezza e, in senso forte, dell’indivisibilità, nel contesto logico-metafisico
va riferito quindi alla Realtà totale, la quale non ha “parti”, ma solo “aspetti”,
ciascuno dei quali coincide con la Realtà tutta intera, e non esiste di per se stesso
(insostanzialità), ma solo nella sua relazione con altri “aspetti”.

241
58. LA DOPPIA “ORIENTAZIONE” DELLA LOGICA UMANA
Generalmente termini come logos e logica vengono associati al discorso, alla
ragione, all’argomentazione coerente, al ragionamento corretto, alla deduzione,
all’inferenza, al pensiero, all’intelletto giudicante, all’analisi, ecc.
Ad esempio, una delle più importanti applicazioni della logica aristotelica è il
principio di non-contraddizione, il quale afferma che una data proposizione [A]
e la sua negazione [non-A] non possono essere entrambe vere nello stesso modo
e nello stesso tempo. Se il mio cane è più vecchio del tuo, non può esserne anche
più giovane; una delle due opzioni è necessariamente sbagliata. Considerata in
tale senso, la logica trova la sua maggiore espressione nella ragione analitica, la
quale scompone il suo oggetto d’indagine in parti, per studiarle separatamente:

S’è detto che la ragione è l’atto che differenzia, che pone le differenze, per cui que-
sto è questo e non altro. La sua regola è il principio di non-contraddizione, per cui è
impossibile dire dello stesso che è Dio e animale, benefico e malefico, che è ab-
bandonato, esposto, minacciato e a un tempo invincibile e divino, che è maschio e a
un tempo femmina, come il linguaggio simbolico non cessa di ripetere e come lo
stesso Freud ebbe modo di considerare in quel suo saggio sul Significato opposto
delle parole primordiali (Umberto Galimberti; Gli equivoci dell’anima, p. 198).

Però non sempre è stato così. In origine - grosso modo prima di Aristotele - il
significato di questi termini indicava l’esatto opposto, ovvero l’intuizione sovra-
razionale dell’unità sintetica del tutto - e la relatività intrinseca nel principio di
non-contraddizione, il quale si fonda necessariamente sul presupposto del tutto
arbitrario che la Realtà è composta da una molteplicità di enti separati e distinti.
La logica era quindi considerata ciò che riconduce la Manifestazione [y-x] al
suo Principio [x], quindi il Movimento all’Immutabilità, la Diversità all’Identità,
la Molteplicità dell’Esistenza all’Unità dell’Essere e da questo, superando anche
ogni Relatività ed ogni Alterità, all’Assoluto “Uno” impersonale ed irrelato. Per
i filosofi presocratici l’indivisibilità del reale era ben chiara:

Al suo [di Anassagora] riguardo Timone nei Silli dice così: «[…] Intelligenza […],
suscitate all’improvviso tutte le cose, dapprima in disordine, radunò insieme» (Dio-
gene Laerzio; Vite e dottrine dei più celebri filosofi, II, 6, p. 151).

Resta solo un discorso della via: che “è” […]: che l’essere è ingenerato e imperitu-
ro, infatti è intero nel suo insieme, immobile e senza fine. Né una volta era, né sarà,
perché è ora insieme tutto quanto, uno, continuo […]. E neppure è divisibile, per-
ché tutto intero è uguale (Parmenide; Sulla Natura, frammento 8, p. 51).

Per chi ascolta non me, ma il lógos, sapienza è intuire che tutte le cose sono Uno, e
l’Uno è tutte le cose […]. Conoscenza dell’immediato è unione per tutte le cose
(Eraclito; Dell’Origine, frammenti 69 e 75, pp. 128 e 137).

242
Eraclito non dà una definizione ‘logica’ di logos, ma ne parla a sufficienza per in-
dicarci su che sentiero possiamo incontrarlo. Chi lo intende è saggio […]. Il filo-
sofo è colui che dona favore all’ascolto del logos che enuncia l’unità del tutto […].
Logos viene dal verbo leghein, inteso nel duplice senso di raccogliere e di ciò che è
raccolto […]. Il raccogliere è un riunire […]. La riunificazione è possibile solo di
qualcosa che era già unificato […]. La logica in senso originario non è in nessun
modo il ragionare umano, proprio di un intelletto che giudica il mondo […]. Solo i
pensatori sono in grado di ascoltare il logos per come lo intendeva Eraclito. Gli altri
si occupano continuamente dell’ente […]. Qui l’uomo […] non si differenzia dagli
altri enti perché possiede ragione, intelligenza e pensiero come l’illuminismo ci ha
abituati a dare per scontato. L’uomo si determina perché è l’unico ad avere una re-
lazione con l’ente come totalità. Comprendere la totalità dell’ente è l’atto di ri-
unificazione per eccellenza nel quale l’uomo si accorda nell’ascolto del logos […].
Esso fa manifestare l’unità del tutto, visibile all’uomo saggio […]. Nel pensiero
poetante di Parmenide, logos ed essere si vengono incontro. Il logos è un raccoglie-
re, un tenere insieme […]. Custodire la verità significa non fissarsi sugli enti, non
dividere l’essere in settori o parti, non irrigidire lo svelamento di ciò che appare
(Massimo Bracci; Una facile guida ai Sentieri Interrotti di Heidegger, pp. 44, 45,
49, 50, 59, 125, 141).

***

Stiamo forse dicendo che è sufficiente pensare che la Realtà è una ed indivisa
per farvi Ritorno consapevolmente? Assolutamente no! Anche questa è soltanto
una concettualizzazione (indispensabile, ma non sufficiente):

Prima o poi capirai […] che una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è im-
boccarlo (Morpheus, dal film Matrix).

La Logica, pur unitiva, da sola non può nulla. Un contenuto oggettivo della
Ragione è un prodotto del nostro Daimon individuale [D-IV], e nessun Demone,
considerato individualmente, ritorna a se stesso. È altresì necessario integrare in
sé il Logos ed i Livelli di consapevolezza di tutti e quattro gli ordini demonici,
consistenti nei quattro Elementi naturali, e ricondurli all’Etere cosmico mediante
l’Uomo edenico, ossia il vero Saggio, il quale ne è il veicolo essenziale:

Nel mondo vi sono quattro elementi e l’uomo consiste di tutti e quattro, e quello
che esiste visibilmente nell’uomo, esiste invisibilmente nell’etere che pervade il
mondo (Paracelso; De Caducis. Citazione tratta da: Franz Hartmann; Il mondo ma-
gico di Paracelso, p. 208).

Ogni cosa è già “salva” (nel senso che nulla può mai uscire dall’Infinito), ma
non lo sa, e questa inconsapevolezza la tiene imprigionata nella Mâyâ. L’Uomo
edenico è il suo collegamento logico ed aggancio metafisico con l’Assoluto:

243
[…] i Saggi […] conoscono intuitivamente la realtà […]. Quando la conoscerai,
non ricadrai più nello smarrimento […]; mediante questa [conoscenza] tu vedrai
tutti gli esseri, tutti, senza eccezione, nel Sé, cioè in me (Bhagavadgītā IV, 34-35).

CONDIZIONI
[D] Etere AGGIUNTE:
Quattro
Elementi
Uomo
edenico
Cosmo
fisico Realtà soprannaturale, Immutabile
P R
Realtà naturale, soggetta
a Movimento
Senso interno
[Manas]

Shakti della
Natura [= 4 EL 1!
Elementi]
Mente
D-IV razionale
Silfidi,
Ragione
D-I [LIMITE]
D-II
D-III r

AD p

Ondine,
Vita Gnomi, Salamandre,
organica Materia sensibile Psichismo mentale,
[LOGOS] [SOSTANZA, Materia psichica
ILLIMITE] [MANIFESTAZIONE]

Corpo organico

244
Lo schema nell’immagine è strutturato come un ciclo auto-contemplativo con
i suoi momenti logici, ma descrive in verità l’integrazione dei quattro Elementi
naturali - ossia della shakti propria della Natura vivente - nel composto umano.
Nelle frecce tratteggiate sono indicati i Demoni-anima produttori degli Elementi.
La Materia sensibile (che funge da sostrato sostanziale primario) viene “attivata”
dalla Vita organica la quale, attraverso la Facoltà mentale, produce lo Psichismo,
che a sua volta fa da sostrato alla Ragione e al “Senso interno”. Quest’ultimo è
la funzione che attribuisce ad alcuni elementi dell’esperienza (il proprio Corpo e
la propria Mente) la qualificazione individualizzante: “Questo sono Io!”.
L’Uomo è quindi un composto quasi meccanico, determinato dai 4 Elementi
integratisi nel processo evolutivo. Per liberarsi dai condizionamenti - e liberare
con sé l’intera Natura, come abbiamo visto - egli deve:

a) Conoscere profondamente le sue diverse componenti psico-fisiche, entrarne


in possesso, averne il pieno controllo (solo così potrà infatti poi trascenderle),
integrandole nel Senso interno. Insomma, deve conoscersi (vedremo come). I
quattro ordini di spiriti Elementali (nell’ordine: Gnomi/Terra, Ondine/Acqua,
Salamandre/Fuoco, Silfidi/Aria) rappresentano le personificazioni simboliche
rispettivamente dei processi fisico-chimici, biologici, psico-mentali e logico-
razionali integrati nell’Uomo edenico.

b) Estinguere il proprio Logos, e quindi il Senso interno; rinunciare per così dire
a se stesso, rimuovendo le barriere che lo circoscrivono in quanto individuo e
lo separano dal “Non-Io”, ossia dall’ambiente “esterno”, dal “resto” del reale.
Egli diventa allora l’Uomo edenico, colui che unifica la Natura e la risolve
nell’Etere immutabile.

È, questo, l’unico atto possibile di libero arbitrio.

***

Nella figura riportata nelle seguenti pagine vediamo la Processione [P] ed il


Ritorno [R] dello Spirito universale (in alto a sinistra), di un’Anima particolare
(in alto a destra) e di un Cosmo fisico (sotto). In questo ultimo la modalità è più
complessa, in quanto coinvolge l’apporto di quattro ordini demonici.

245
PROCESSIONE E RITORNO DEI TRE MONDI DELLA ..

Shakti auto-riflessione Essere


divina [B]
Spirito
universale
⊃ Angeli-
Quantità Quantità spirito
Unità
continua
[x]
[y]

P R

Molteplicità numerica [x-y]:


Intelletto divino, Mondo ideale

-------------------------------------------------------

auto-riflessione

Shakti Shakti
D-I D-II

L S
U O Spazio-
Istan- N L Tempo
A E
taneità
[y] MONDO
SUB-LUNARE

Evoluzione
P

Terra, Materia Acqua, Vita


sensibile [Minerale] biologica [Vegetale]
CORPO ORGANICO

Movimento locale [x-y]: Natura..

246
.. MANIFESTAZIONE UNIVERSALE [B, C, D]

Shakti auto-riflessione Monade


angelica [C]
Anima
particolare
⊃ Demoni-
Indif-
Qualità anima
ferenzia- Identità
bilità ---------
[x]
[y] [insieme
delle
Anime
P R particolari
= Anima
Diversità formale [x-y]: universale]
Psiche angelica, Mondo immaginale

-------------------------------------------------------

Shakti Shakti Etere


D-III D-IV
[D]

M Cosmo
V M E G S fisico,
E A R I A
N T Uomo
E
R C O
U Immu-
T U V edenico
R E R E R tabilità
E N ---------
I
O [x]
O [insieme
dei Cosmi
fisici =
Manife-
R stazione
fisica]
Fuoco, Materia Aria, Senso interno
psichica [Animale] [Uomo naturale]
MENTE RAZIONALE

.. vivente, Mondo elementare o fenomenico

247
59. IL “RITORNO” ALL’ESSENZA
DELL’INTERA MANIFESTAZIONE FISICA

Anima Monadi CONDIZIONE


[C] particolari AGGIUNTA:
Spazio-
Tempo
Demoni-anima
[D-I, II, III, IV]

Realtà sovra-temporale
P R
Realtà fisica, temporale

Etere,
Quintessenza

Shakti EL 1!
demoniche
Uomo
edenico
LIMITE [x],
Immutabilità,
GL
Tempo puro
[Saturno]
r

AD p

ESSENZA [x]
Prâna-logos, SOSTANZA, Movimento locale [y-x]:
«Soffio ILLIMITE [y]: Mondo fenomenico dei 4
vitale» Istantaneità, Elementi e degli Uomini
Spazio puro naturali ⊇ Elementali

È il momento di ricollegarci al capitolo n°26, nel quale avevamo visto come i


Demoni degli Astri [D-I], produttori della Materia sensibile, non riescano a fare
Ritorno a se stessi, cioè a identificarsi con il loro pensiero oggettivo (la Materia,
appunto, che nel suo stato naturale è inconsapevole, e non genera Logos).

248
Nemmeno gli altri ordini demonici [D-II, III, IV] - vedi gli schemi associati
ai capitoli 33, 38 e 40 - riescono, con i loro apporti ontologici alla Materia (Vita
organica, Psichismo mentale, Logica razionale), a ritornare singolarmente.
Solo unificandosi nell’Uomo edenico, infatti, i quattro Elementi naturali che
formano un determinato Cosmo fisico possono prendere piena consapevolezza
della loro Essenza, che è l’Etere, l’Immutabilità nel puro Tempo - ovvero, nella
simbologia geocentrica, il settimo Cielo planetario, la Sfera di Saturno. Il dio
Crono-Saturno governa infatti la cosiddetta Età dell’Oro, che è l’Eden, lo stato
al quale l’Uomo deve necessariamente fare Ritorno:

L’età dell’oro fu la prima a nascere: essa spontaneamente, senza giudici, senza leg-
gi praticava la virtù e la giustizia […]. La primavera era eterna […]. Dopo che il
mondo, una volta cacciato Saturno nel Tartaro tenebroso, fu sotto la potestà di Gio-
ve, subentrò l’età d’argento (Ovidio; Metamorfosi, I, 89-114, pp. 49-51).

[…] intanto tu convinciti che origine comune avevano gli uomini e gli dèi […]:
s’era ai tempi di Crono, quando egli regnava sul cielo. Gli uomini vivevano come
dèi, avendo il cuore tranquillo (Esiodo; Le opere e i giorni, I, 107-112, pp. 99-101).

L’Uomo edenico rappresenta propriamente colui che, dopo aver attraversato i


primi sei Cieli planetari (tradotto: dopo aver integrato in sé e quindi trasceso i
condizionamenti individuali, psico-sociali e fisiologici), giunge a riflettersi nella
shakti demonica unificata, elevata però al livello ontologico proprio dei Demoni
degli Astri:

[…] si scossero tutti gli arconti […], dicendo: “Come, attraverso di noi è passato il
signore del tutto e non ce ne siamo accorti?” (Pistis Sophia, 11, 2, pp. 50-51).

[…] colui che è dotato di intelletto si riconosca come immortale […] e conosca tutti
gli esseri […]; “colui che conosce se stesso va verso se stesso” […]; se dunque co-
noscerai te stesso come essere di vita e di luce e comprenderai che da queste derivi
(Corpus Hermeticum, I, Poimandres, 18-21, pp. 75-77).

“La mia stirpe proviene dal Preesistente”, dichiara una formula valentiniana, “e
faccio ritorno in quella stessa sfera da cui sono venuto” (Ireneo; Adversus haereses,
I, 21, 5. Citazione tratta da: Serge Hutin; Lo gnosticismo. Culti, riti, misteri, p. 79).

Saturno è la prima e l’ultima porta, ove tutto è destinato a riunirsi (Safer hatemunà.
Ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, ebr. 194, c. 67a. Citazione
tratta da: Moshe Idel; Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e sabbatianesimo, p. 5).

[…] osservare le leggi di Saturno significa […] seguire il cammino di Dio (Moshe
Idel; Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e sabbatianesimo, p. 41).

249
[…] Saturno […] è il più elevato, nobile e degno di tutti i pianeti […]. Questo pia-
neta dota la gente di perfezione nella conoscenza delle scienze e dei soggetti divini
[…], perché è nella sua natura portare a compimento l’esistenza materiale (Yocha-
nan ben Yitzchaq Alemanno. Citazione tratta da: Moshe Idel; Gli ebrei di Saturno.
Shabbat, sabba e sabbatianesimo, p. 40).

Di un uomo sacro, gli èteri hanno edificato il corpo (Oracoli Caldaici, frammento
98).

L’Uomo edenico incarna la conoscenza che il Cosmo fisico in questione ha di


sé, il suo riflesso pienamente auto-consapevole. Carl Sagan - come già riportato
nel capitolo n°35 - dice che: “L’uomo non è altro che uno strumento del cosmo
per conoscere se stesso” e che “Noi siamo l’incarnazione locale di un Universo
cresciuto fino all’autocoscienza”; ciò è giusto, ma va riferito all’Uomo edenico.
Quest’ultimo corrisponde analogicamente, nel Cosmo fisico, a ciò che nello
Spirito e nell’Anima universale erano rispettivamente gli Angeli ed i Demoni.
Nello schema esso è però riportato al singolare, in quanto è uno solo, ed unifica
tutta la Natura. Non è dunque un essere singolo, distinto dagli altri, ma appunto
l’unità logica e ontologica dell’intero Cosmo. Quindi non rappresenta il culmine
evolutivo di un singolo Uomo naturale, ma al contrario la realizzata non-alterità
di questo con l’intera Natura vivente, e quindi la non-alterità di quest’ultima con
l’Anima del Cosmo (i Demoni-anima generati da un medesimo “Orientamento
auto-contemplativo” di tutte le Monadi) dalla quale essa deriva.

250
60. PICCOLI E GRANDI MISTERI

Monadi
[Anima Demoni-anima
universale] [D-I, D-II, D-III, D-IV]

Grandi
P R
Misteri
Etere ⊙ Piccoli
Misteri
Shakti Uomo
demoniche EL
edenico
Realtà immutabile
[non soggetta a movimento]
GL P R

Senso
interno,
卍 EL Mente
riflessiva
Prâna-logos 4 [Uomo
Elementi naturale]

Prâna Spazio Materia Ragione Materia Prâna


D-I puro sensibile M
/ logica psichica D-IV
C
O E
R N
P T
E
O

R
Terra ▽ O
A Aria △
R
Z
G
I
A O
N N
I A
C L
O E

Prâna Materia Vita Materia Vita Prâna


D-II sensibile organica psichica organica D-III

Acqua ▽ Fuoco △

251
Finora, per semplificare la trattazione, abbiamo parlato dell’Uomo edenico
come della meta finale della Liberazione metafisica. In verità, egli ne è per così
dire l’anticamera, giacché vi è un ulteriore passaggio logico da fare. Vediamolo.
Nello schema riportato osserviamo al centro i quattro Elementi, cioè la shakti
della Natura vivente. Notiamo poi nella metà inferiore dell’immagine come, da
questa, gli Elementi si unifichino per formare il Corpo organico [Terra e Acqua]
e la Mente razionale [Fuoco e Aria] dell’Uomo naturale, e come quest’ultimo,
dopo aver integrato consapevolmente queste sue componenti nel Senso interno o
Manas, estinguendo il Logos diventi l’Uomo edenico (detto anche “Uomo vero”,
o “Uomo primordiale”), il quale riconduce l’intera Natura al Principio o Centro
della Manifestazione fisica, ovverosia all’Etere, coincidente con l’Immutabilità
dell’Eterno Presente, stato in cui viene totalmente trasceso il senso del divenire:

[…] uno stato d’esistenza periferica […] si trova distante dallo stato centrale del mondo
a cui questi due stati appartengono […], nel senso che una pianta, ancor meno d’un
animale, non può conoscere quello che vuole, né progredire in conoscenza, ma si
trova passivamente connessa e anche identificata con una conoscenza che le è impo-
sta dalla sua natura e che determina essenzialmente la sua forma. In altri termini, la
forma di un essere periferico, sia esso un animale, un vegetale o un minerale, rivela
tutto ciò che quell’essere conosce, e s’identifica in un certo senso con questa cono-
scenza […]; il grande spirituale, che è alla sommità della specie umana, integra nel-
la sua conoscenza, quindi in modo attivo e consapevole, l’intera esistenza, donde la
sua universalità (Frithjof Schuon; Unità trascendente delle religioni, pp. 73-75).

Negli antichi culti iniziatici, questo passaggio corrisponde probabilmente al


grado di coscienza raggiunto nei “Piccoli Misteri”. Ma non è questo il traguardo.
L’Uomo, infatti, in questo stadio intermedio non si è ancora ricongiunto con
la Realtà sovra-fisica. Per fare ciò, egli deve passare dal settimo Cielo planetario
(Saturno) all’ottavo Cielo (Stelle fisse), identificarsi con le shakti demoniche, e,
tramite queste, con le Monadi particolari dell’Anima universale (vedi immagine
in alto a sinistra). A questo punto si rende necessaria una precisazione: tutta la
struttura ipostatica del reale (Infinito positivo, Spirito e Anima universale) è solo
una nostra utile categorizzazione logica, una gerarchizzazione arbitraria che ci
serve per spiegare l’Esistenza fisica:

Uno degli interlocutori del dialogo [Giordano Bruno; L’asino cillenico del Nolano,
appendice a: Cabala del cavallo pegaseo] […] «si volta alla considerazion de
l’opre del mondo e principii della natura» e la sua natura è «fisica» […], perché
«delle cose sopranaturali non si possono avere raggioni, eccetto in quanto riluceno
nelle cose naturali, percioché non accade ad altro intelletto che al purgato e supe-
riore di considerarle in sé». In questa accademia non si fa metafisica, perché «quel-
lo che gli altri vantano per metafisica, non è altro che parte di logica» (Frances A.
Yates; Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p. 287).

252
Questo, però, non significa affatto che si tratti di una inutile costruzione della
fantasia. Per il materialista in genere, quella fisica è l’unica Realtà esistente, ed è
incosciente, totalmente determinata nelle sue proprietà e nei suoi moti da fredde
leggi. Anche per noi la Realtà fisica è estremamente reale (giacché essa “è”, e la
Realtà è una e indivisa), però ha in qualche modo all’“interno” di sé tutto ciò che
abbiamo descritto: l’Anima, lo Spirito e l’Assoluto. È infatti evidentemente dalla
Materia fisica che si generano la Vita, lo Psichismo, la Ragione e, trascendendo
questa, la consapevolezza dell’indivisibilità del reale. Essa è quindi Mâyâ solo
se la si considera come sostanza esistente in sé, indipendentemente dai Princìpi:

[…] quello che originariamente era stato rifiutato come irreale si scopre che è parte
dell’unità. Essendo assorbito nella realtà, anche il mondo è reale (David Godman;
Sii ciò che sei. Ramana Maharshi e il suo insegnamento, p. 221).

Ne consegue dunque che, associando le tre corrispondenze analogiche:


1. La Natura - e quindi i quattro Elementi - riassume, dal punto di vista logico-
simbolico, tutti e tre i “Regni” della Manifestazione universale, ossia l’intera
Realtà condizionata dalle determinazioni sostanziali [y-x]: Movimento locale
(simbolizzato nello schema con la svastica), Diversità formale e Molteplicità
numerica. Essa, quindi, “è” l’Esistenza.
2. L’Etere o Quintessenza riassume invece simbolicamente il Principio causale
o Limite della Manifestazione universale, ovvero la Realtà condizionata dalle
determinazioni essenziali [x]: Immutabilità nel puro Tempo (simbolizzata
nello schema con un cerchietto con un punto nel centro), Identità uniforme ed
Unità indivisa. L’Etere corrisponde dunque, di fatto, con l’Essere universale.
Ciò significa che il Centro della Manifestazione fisica coincide con il Centro
dell’intera Manifestazione, e che l’Uomo edenico è di già l’Uomo universale
(detto anche “Uomo trascendente”, o “Uomo divino”, o “Uomo spirituale”),
ossia il riflesso soggettivato della Shakti divina (vedi immagine qui sotto).

Assoluto Incondizionato
Uomo universale [divino, Essere, Centro della
trascendente o spirituale] Manifestazione universale
Uomo edenico Etere, Centro della
[vero o primordiale] Manifestazione fisica
Uomo naturale 4 Elementi grossolani
[comune, decaduto] soggetti al divenire

253
3. Infine, l’Anima universale indica simbolicamente l’intera Realtà sovra-fisica
(che è indivisa), della quale rappresenta l’aspetto meno “elevato”, in quanto è
quello che produce direttamente la Manifestazione fisica (Etere compreso).
Quando diciamo che l’Uomo - dopo aver trasceso tutti e cinque gli Elementi
fisici - giunge all’ottavo Cielo, quindi all’Anima universale, significa di fatto
che si è liberato da tutti i condizionamenti, sostanziali ed essenziali. Ma, per
fare ciò, egli deve con un secondo passaggio estinguere totalmente il Logos,
uscire anche dall’Essere e far finalmente Ritorno, attraverso la Shakti divina,
all’Assoluto. Ed era questa, nei culti antichi, la meta dei “Grandi Misteri”.

Nella teoria gnostica pagana dell’ascesa dell’anima attraverso le sfere, nel corso
della quale essa si libera degli influssi materiali, la rigenerazione finale si verifica
nell’ottava sfera, dove penetrano nell’anima purificata le Virtù e le Potestà di Dio
[…]. Scholem ha mostrato che nella letteratura Hekhaloth (una delle «antenate»
della cabala) esiste la stessa concezione, con la collocazione della Gloria e della
Potestà divine nell’ottava sfera […] [Scholem, Jewish Gnosticism, pp. 65 sgg.]
(Frances A. Yates; Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p. 121).

Vi sono insomma due successive estinzioni del Logos da attuare; la prima ci


libera dal divenire, la seconda dall’Essere, ossia da ogni alterità con l’Assoluto.
Riassumiamo brevemente queste corrispondenze logico-simboliche:
a. Quattro Elementi naturali = Esistenza o Manifestazione universale;
b. Etere = Essere universale, Principio e fondamento dell’Esistenza;
c. Realtà sovra-fisica = Assoluto, trascendente anche l’Essere.

[L’«uomo vero»] è soltanto colui che ha raggiunto la pienezza dello stato umano e
può essere detto veramente «trascendente» solo ciò che si trova oltre questo stato.
Perciò è opportuno riservare la denominazione di «uomo trascendente» a colui che
talora è stato chiamato «uomo divino» o «uomo spirituale» […], cioè a colui che,
essendo pervenuto alla realizzazione totale e alla «Identità Suprema», propriamente
parlando non è più un uomo, nel senso individuale della parola, perché ha superato
l’umanità ed è totalmente libero dalle sue condizioni specifiche, come pure da tutte
le altre condizioni limitative di qualsiasi stato di esistenza. Costui è quindi diventa-
to effettivamente l’«Uomo Universale», mentre non si può dire altrettanto
dell’«uomo vero», che di fatto si identifica soltanto con l’«uomo primordiale»; tut-
tavia, possiamo affermare che questi è già almeno virtualmente l’«Uomo Universa-
le», nel senso che, non avendo più da percorrere altri stati in modo distintivo perché
è passato dalla circonferenza al centro [È quanto il Buddhismo esprime con il ter-
mine anâgamî, ossia «colui che non ritorna» a un altro stato di manifestazione (cfr.
Considerazioni sull’iniziazione, cap. XXXIX )], per lui lo stato umano dovrà ne-
cessariamente essere lo stato centrale dell’essere totale, anche se non lo è ancora in
maniera effettiva. L’«uomo trascendente» e l’«uomo vero», che corrispondono ri-
spettivamente al termine dei «grandi misteri» e a quello dei «piccoli misteri», sono
i due gradi più alti della gerarchia taoista (René Guénon; La Grande Triade, pp.
150-151).
254
[…] se ogni antropomorfismo è nettamente antimetafisico e come tale va rigorosa-
mente evitato, […] un certo antropocentrismo […] [può]* invece considerarsi legit-
timo […]. [Infatti]* ogni individuo umano […] ha in se stesso la possibilità di farsi
centro rispetto all’essere totale; si può dunque dire che in qualche modo esso lo è
già virtualmente, e che il fine che deve proporsi sta nel fare di questa virtualità una
realtà attuale […]. Questo implica in primo luogo la reintegrazione dell’essere con-
siderato al centro stesso dello stato umano (reintegrazione che comporta specifica-
mente la restaurazione dello «stato primordiale»), e in seguito, sempre per il mede-
simo essere, l’identificazione del centro umano con il centro universale; la prima di
queste due fasi è la realizzazione dell’integralità dello stato umano, la seconda
quella della totalità dell’essere (René Guénon; Il simbolismo della croce, pp. 157-
158). *N.d.A.

Quest’ultima citazione ci porta a fare una considerazione. Perché chiamiamo


“Uomo edenico” e “Uomo universale” i due gradi della realizzazione metafisica?
Perché proprio “Uomo”? Forse l’Uomo è l’unico essere in grado di giungere
alla Liberazione, di realizzare la sua non-alterità con la Realtà assoluta?
Siamo forse così presuntuosi da credere che, nell’immensità del Cosmo, o in
altri Cosmi, non vi siano altri esseri “centrali” capaci di farlo? Ovviamente no!
Si tratta solo di un simbolismo. L’Uomo edenico e l’Uomo universale sono anzi
proprio il trascendimento dell’Uomo individuale come noi lo intendiamo.

Soggetto [Essere]

Shakti 1!
EL
divina
«Uomo
univer-
LIMITE, sale»
GL ATTO [x]

AD p

ESSENZA [x]
Logos, Verbo SOSTANZA, Attributo oggettivo [y-x],
POTENZA, Manifestazione delle Pos-
ILLIMITE [y] sibilità [«Tre Mondi» =
Idee, Forme, 4 Elementi]

255
Ma poiché dobbiamo per forza partire da noi, immaginiamo gli stati superiori
come evoluzioni dello stato umano, come ultra-uomini. Solo ed esclusivamente
in questo senso possiamo affermare, in conformità con la Bibbia, che l’Uomo è
stato creato a “immagine e somiglianza di Dio” (si veda l’immagine precedente:
l’Essere - soggettività in atto dell’Uomo universale - riflette come dentro in uno
specchio la Shakti divina, quindi rappresenta la conoscenza che quest’ultima ha
di se stessa, la sua auto-cognizione):

Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza


[...]». E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò (Libro della
Genesi, 1, 26-27).

Nel giorno in cui Dio creò l’uomo, lo fece a somiglianza di Dio (Libro della Gene-
si, 5, 1).

L’uomo è per Dio (al-haqq) ciò che la pupilla è per l’occhio [la pupilla in arabo è
detta «l’uomo nell’occhio»], poiché la pupilla è lo strumento dello sguardo; difatti
per il suo tramite [ossia mediante l’Uomo universale] Dio contempla la sua crea-
zione e le dispensa la sua misericordia […]. Con la sua esistenza il mondo fu com-
piuto […]. Tutto quel che è contenuto nella «forma divina», ossia la totalità dei
nomi [o qualità universali], si manifesta in questa struttura umana, che quindi si di-
stingue [dalle altre creature] a motivo dell’integrazione [simbolica] dell’intera esi-
stenza (Muhyi-d-dîn Ibn ‘Arabî; La Sapienza dei Profeti, pp. 19-20).

Chi ha visto me, ha visto il Padre (Vangelo secondo Giovanni, 14, 9).

Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a vi-
so scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo tra-
sformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello
Spirito del Signore (San Paolo; Seconda Lettera ai Corinzi, 3, 17-18).

Saremo ciò che Egli è. Poiché a coloro ai quali data la potestà di diventare figli di
Dio, a questi dato, anche, non di essere Dio, bensì di essere ciò che Dio è (Gu-
glielmo di Saint-Thierry; La lettera d’oro. Citazione tratta da: Angelus Silesius; Il
pellegrino cherubico, p. 36).

256
61. I QUATTRO STATI DI
COSCIENZA DELL’UOMO EDENICO

Nel capitolo 45 abbiamo visto i quattro stati di coscienza dell’Uomo naturale,


via via maggiormente consapevoli: il “Cadavere” (da intendersi come il Corpo
materiale, l’involucro fisico che accoglie gli altri stati, ed è solo potenzialmente
cosciente), il Sonno profondo, il Sogno ed infine la Veglia. Essi corrispondono,
grosso modo, al Minerale, al Vegetale, all’Animale e all’Umano “decaduto”.
Ora, l’Uomo, per attuare lo stato edenico, deve integrare consapevolmente in
sé questi quattro stati percorrendoli a ritroso, per poi trascenderli. Avremo allora
altri quattro stati, che saranno per così dire l’immagine speculare dei primi. Essi
sono (andando con la numerazione a ritroso dal meno al più consapevole):
4. La Presenza mentale, contraltare (cioè corrispettivo speculare) della Veglia;
3. La Visualizzazione attiva (ed il Sogno lucido), contraltare del Sogno;
3. Il Silenzio mentale (e lo Yoga del Sonno), contraltare del Sonno profondo;
1. Lo Stato edenico vero e proprio (o “il Quarto”), contraltare del “Cadavere”.
Li analizzeremo successivamente ad uno ad uno, tenendo presente che il loro
ottenimento comporta una difficoltà crescente. Quello verso la Liberazione è un
cammino contro-natura, che richiede il trascendimento di tutti i condizionamenti
caratteriali, psicologici, sociali, biologici e fisici. Si tratta - in senso simbolico -
di prendere il pieno controllo dei Demoni-anima. E per fare questo non è certo
sufficiente concettualizzare l’indivisibilità del reale con la sola Logica razionale.
Nel loro insieme, questi condizionamenti corrispondono a ciò che gli antichi
chiamavano Destino, Fato, Necessità (la dea greca Anánkē), e sono personificati
nei culti gnostici dai malvagi Arconti posti a guardia delle sette Sfere planetarie,
i quali cercano di impedire al ricercatore di Verità di giungere all’ottava Sfera, e
quindi alla non-alterità con l’Assoluto, la Realtà incondizionata, il vero “Sé”:

A ogni grado della manifestazione, l’energia causale appare come un velo del non
sapere, un ostacolo alla conoscenza che impedisce al veggente, al saggio ispirato, di
penetrare nel segreto dell’illusione, superarla e ridurre il mondo al nulla […]. Nel
processo della manifestazione, tutto avviene per creare l’illusione della molteplicità
e per impedire la realizzazione dell’identità fondamentale di ogni essere, poiché ciò
porterebbe alla distruzione della nozione di io, che è la forza di coesione che unisce
gli elementi costitutivi dell’essere individuale, il testimone che dà la sua realtà al
cosmo. Qualsiasi indebolimento della tendenza centripeta caratterizzante l’indivi-
dualità è contrario al processo di creazione del mondo. Lo scopo di ogni creatore è
di impedire una realizzazione che distrugga la sua creazione. Ecco perché «il Sé
non è alla portata del debole». Bisogna conquistarlo andando contro tutte le forze
della natura, tutte le leggi della creazione. La natura è l’espressione del pensiero del
Creatore, la potenza che crea le forme. È anche la potenza che impedisce di sfuggi-

257
re al mondo delle forme. Nel suo sforzo verso la liberazione, l’uomo deve vincere
tutti gli artifici della natura che cerca di ingannarlo in ogni modo. La conoscenza
rivelata ha lo scopo di tenere l’uomo nel suo stato di individualità manifesta […].
Tutti i nostri mezzi di percezione sono orientati verso l’esterno. Come insetti attirati
dalla fiamma, siamo allettati dagli spettacoli e dai suoni del mondo esterno, fatti per
impedire di guardare dentro di noi […]. Ciascuna delle tre tendenze della natura
[Sattva, Rajas e Tamas; vedi il capitolo n°30. N.d.A.], invece di essere un cammino
aperto verso la liberazione, diventa un mezzo per incatenarlo […]. Ogni culto reli-
gioso ha lo scopo di tenere l’uomo imprigionato nei legami della manifestazione, di
cui gli dèi sono le energie fondamentali (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I
mille volti del pantheon induista, pp. 52-53).

Colui il quale venera una divinità considerando che essa sia altra <da sé, dall’āt-
man>: «Altri è il Dio, e altri sono io», costui non sa. Per gli dei egli è come una be-
stia. Come innumerevoli animali alimentano l’umanità, così pure di ogni uomo sin-
golo si nutrono gli dei […]. Questa è la ragione per cui dispiace agli dei che gli uo-
mini sappiano questo (Bṛhad-āraṇyaka-upaniṣad, I, 4, 10. Upaniṣad antiche e me-
die, p. 37).

Lo scopo è essere sempre perfettamente attenti, vigili e consapevoli, in tutti


gli stati esperiti. Ma perché è proprio questo lo scopo? - potremmo chiederci…
Ebbene se, come abbiamo postulato all’inizio, la Realtà vera e assoluta è pura
Coscienza, allora più si è coscienti, più si è reali e veri. Ci si allontana dal reale e
si cade nella falsità (nell’apparenza, nell’opinione, nella Mâyâ) quanto meno si è
coscienti. Ma coscienti di che cosa? Ogni stato, come vedremo, possiede i propri
oggetti, e su questi viene posta l’attenzione. Lo stato finale, però, la Liberazione,
è proprio la rimozione totale di qualsivoglia oggetto. Coscienza pura, dobbiamo
essere! Semplice ed impersonale presenza. Se appare un qualsiasi oggetto, fosse
anche l’idea di essere un “Io”, un soggetto, oppure il pensiero “Sono Io ad essere
consapevole”, significa che si è già caduti in errore: si è nella Relatività, nella
relazione duale soggetto/oggetto. L’Assoluto è del tutto irrelato, incondizionato.

ELEMENTO E DEMONI STADIO


SIMBOLISMO GEOMETRICO PRODUTTORI EVOLUTIVO

4 △ = Aria Punto D-IV Uomo naturale


3 △ = Fuoco Linea D-III Animale
2 ▽ = Acqua Superficie D-II Vegetale
1 ▽ = Terra Volume D-I Minerale
5 ⊙ = Etere Vuoto – Uomo edenico

258
Un altro quesito che potrebbe sorgere è il seguente: qualora non riuscissimo,
nel corso della nostra vita terrena, a realizzare lo Stato edenico, i nostri sforzi al
riguardo risulterebbero inutili? Come sappiamo, l’Uomo edenico “salva” l’intera
Natura; la nostra “salvezza” sarebbe quindi in tal caso del tutto passiva, merito
esclusivo di coloro che, raggiungendo lo Stato edenico, portano in “salvo” anche
noi? Ovviamente non è questo il giusto approccio al problema. L’Uomo edenico
non è un singolo individuo, bensì il “Punto Omega” dell’intera Natura, e tutti gli
esseri sono sue “membra”, sue parti integranti (o meglio ciascun essere è l’intero
Uomo edenico in un suo aspetto). Nessun atto di attenzione, quindi, va perduto,
nemmeno quello di un rudimentale paramecio che schiva un ostacolo, in quanto
anch’esso contribuisce - come può - all’auto-consapevolezza integrale totale:

Mai, in nessun caso, un vero sforzo di attenzione va sprecato. Esso è sempre pie-
namente efficace dal punto di vista spirituale e lo è anche, di conseguenza, sul pia-
no inferiore dell’intelligenza, dato che ogni luce spirituale illumina l’intelligenza
[…]. Certezze di questo genere sono date dall’esperienza […]. Persino al di fuori
d’ogni credenza religiosa esplicita, ogni volta che un essere umano compie uno
sforzo d’attenzione con il solo desiderio di accrescere la propria attitudine ad affer-
rare la verità, raggiunge lo scopo, anche se il suo sforzo non ha prodotto alcun frut-
to tangibile […]. Se c’è un vero desiderio, se l’oggetto del desiderio è veramente la
luce, il desiderio della luce produce la luce. C’è un vero desiderio quando c’è sfor-
zo d’attenzione. E si desidera veramente la luce quando non è presente nessun altro
movente. Quand’anche gli sforzi dell’attenzione rimanessero in apparenza sterili
per anni, vi sarà un giorno in cui la luce, esattamente proporzionale a quegli sforzi,
inonderà l’anima. Ogni sforzo aggiunge un poco d’oro a quel tesoro che nulla al
mondo può rapire (Simone Weil; Attesa di Dio. Obbedire al tempo, pp. 76-77).

In questa figura vediamo le varie associazioni simboliche fra gli Elementi, le


acquisizioni evolutive ed i Veicoli dell’Uomo naturale, e le loro corrispondenze
inverse con gli stati di Coscienza che portano all’Uomo edenico:

NATURA VEICOLO STATO NON STATO


PSICO-FISICA DI ÂTMÂ CONSAPEVOLE CONSAPEVOLE

Ragione “Io” conscio Veglia Presenza mentale

Psichismo Mentale Sogno Visualizzazione attiva


Vita organica Vitale Sonno Silenzio mentale
Materia Materiale “Cadavere” –
– – – “Quarto” [Samadhi]

259
La seguente figura mette in risalto una certa corrispondenza (non l’unica)
fra i Livelli della Realtà universale e quelli della Realtà naturale.
La Vita organica, le facoltà e funzioni primarie della quale sono la sensibilità
e il movimento, si fonda sulla Materia, quindi sulla Categoria-Condizione dello
Spazio-Tempo, ed è allora associata alla Manifestazione fisica. Con lo Psichismo
si aggiunge la capacità di generare forme mentali, quindi l’associazione è con la
Qualità e con l’Anima. Viene poi la Ragione, con le sue capacità matematiche,
da associare alla Quantità e dunque allo Spirito:

[A] INFINITO Etere,


EL
POSITIVO Uomo edenico

Saturno
Giove
P [B] SPIRITO Aria, Ragione,
r D-IV E
UNIVERSALE Uomo naturale v
o
c o
Mercurio l
e
s Marte u
s z
[C] ANIMA Fuoco, Psichismo i
i D-III
o UNIVERSALE mentale, Animale o
n n
e Venere e
D-I Sole
Terra, Materia Acqua, Vita or-
sensibile, Minerale D-II ganica, Vegetale

Luna
Mondo sub-lunare

Plèroma [Realtà immutabile]

Kènoma [Realtà soggetta a Movimento]

260
Quest’altra immagine descrive invece la Processione-e-Ritorno della Natura.
A sinistra vi sono i quattro stati inconsapevoli (Evoluzione biologica), a destra i
loro corrispettivi consapevoli (Evoluzione spirituale).

0] ASSOLUTO

A] INFINITO POSITIVO
R
B] SPIRITO UNIVERSALE I
PROCES- T
SIONE C] ANIME PARTICOLARI O
R
N
O

Materia sensi- «Quarto stato», E


E bile, Terra, Mine- D-I Uomo edenico V
V rale, Cadavere [Astri] [Etere] O
O
L
L
U
U
Z
Z
Vita organica, Silenzio inte- I
I
Acqua, Vegetale, D-II riore o Yoga del O
O
Sonno profondo [Specie] Sonno [Acqua] N
N
E
E

S
B
Visualizzazione P
I Psichismo
D-III I
O mentale, Fuoco, attiva e Sogno
[Popoli] R
L Animale, Sogno lucido [Fuoco]
I
O
T
G
U
I
A
C Logica razio- Presenza men- L
A nale, Aria, Uomo D-IV tale o Atten- E
naturale, Veglia [Individuo] zione [Aria]

261
0. Assoluto

A. Infinito Ritorno al Plèroma Stato


positivo edenico

↓↑ ↑
B. Spirito D-IV Silenzio
universale Veglia mentale

↓↑ ↑ ↑
C. Anima D-III Visualizza-
universale Sogno zione attiva
con-
↑ versione ↑
D-I D-II Presenza
Materia, Sonno mentale
Cadavere

In quest’altra immagine, isolato, in alto a sinistra, vi è l’Assoluto.


La colonna a sinistra indica la Processione-e-Ritorno delle realtà intelligibili,
dall’Infinito positivo fino alla Materia (prodotta dai D-I), la quale, nell’Uomo
naturale, costituisce il Corpo o Veicolo materiale (Sòma, “Cadavere”).
Tramite i D-II avviene quindi la generazione della Vita organica (nell’Uomo
naturale rappresentata dal Sonno senza sogni) e l’evoluzione biologica; dunque,
tramite D-III e D-IV, dello Psichismo mentale (Sogno) e della Ragione (Veglia).
Tutti i Demoni originano ovviamente dall’Anima universale - vedi frecce.
Vi è poi la conversione: la Veglia diventa cosciente nella Presenza mentale
(che è il livello base o punto di partenza nell’evoluzione verso lo Stato edenico),
nella quale l’Uomo prende il controllo del D-IV, liberandosi in tal modo dal suo
condizionamento. Con la Visualizzazione attiva ed il Sogno lucido egli si libera
poi del condizionamento dei D-III, e con il Silenzio mentale da quello dei D-II.
Infine, con lo Stato edenico, l’Uomo (non più soggetto alla Natura), prende il
controllo dei D-I, della Materia, e può fare Ritorno all’Anima universale, quindi,
attraverso essa - non separati da essa - allo Spirito, all’Infinito positivo ed infine
liberarsi da ogni relatività e da ogni condizionamento, nel puro Assoluto.

262
62. LA PRESENZA MENTALE
La Presenza mentale consiste in una costante e vigile attenzione nello stato di
Veglia, nel quale gli oggetti sono le percezioni e gli stimoli sensoriali (compresi
quelli provenienti dal proprio corpo), quindi il cosiddetto mondo oggettivo. Tale
stato meditativo è la base e il punto di partenza dell’Uomo edenico.
Si tratta di non disperdere il pensiero in fantasticherie o nel dialogo interiore,
concentrandosi invece su ciò che si sta facendo nel Qui e Ora (Hic et Nunc): sto
camminando, sto ascoltando un suono, sto annusando un fiore, sto guardando
l’orizzonte, sto respirando, sento una tensione nei muscoli del collo, ecc. Ma non
si tratta di verbalizzare mentalmente queste frasi (anzi, la mente deve tacere), ma
bensì di essere sempre perfettamente consapevoli di ciò che si sta facendo e che
si sta percependo, osservando se stessi come “da fuori”.
Ciò che va combattuto è il torpore, l’inconsapevolezza, il pensiero inconscio,
la distrazione, ossia tutte le manifestazioni di Tamas (la tendenza dispersiva).
Anche se questo è il più accessibile dei quattro stati dell’Uomo edenico, esso
è tutt’altro che facile da ottenere in modo continuo; è necessario inizialmente un
grande sforzo, anche se con la pratica esso diventa spontaneo:

L’attenzione è uno sforzo, forse il più grande degli sforzi, ma uno sforzo negativo.
Di per sé non comporta fatica […]. Venti minuti di attenzione intensa e senza fatica
valgono infinitamente di più di tre ore di applicazione con la fronte aggrondata che
fa dire, con il sentimento del dovere compiuto: «Ho lavorato sodo». Ma, contraria-
mente a quanto sembra, ciò è anche molto più difficile. C’è nella nostra anima
qualcosa che rifugge dalla vera attenzione molto più violentemente di quanto alla
carne ripugni la fatica. Questo qualcosa è molto più vicino al male che non la carne.
Ecco perché ogni volta che facciamo veramente attenzione distruggiamo una parte
di male in noi stessi […]. L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero,
nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto […]; non deve cercare nul-
la ma essere pronto a ricevere nella sua nuda verità l’oggetto che sta per penetrarvi
[…]. I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi (Simone Weil; Attesa
di Dio. Obbedire al tempo, pp. 80-81).

L’attenzione è il sentiero verso il non morire, la disattenzione è il sentiero della


morte. Gli attenti non muoiono ma coloro che sono disattenti sono come già morti
(Dhammapada. La via del Buddha, 2, 21, p. 30).

L’attenzione [προσοχή] è l’atteggiamento spirituale fondamentale dello stoico. Sta


in una vigilanza e una presenza di spirito continue, una coscienza di sé sempre de-
sta, una costante tensione dello spirito. Grazie ad essa il filosofo sa e vuole piena-
mente ciò che fa in ogni istante. Grazie a questa vigilanza dello spirito, la regola di
vita fondamentale, ossia la distinzione fra ciò che dipende da noi e quello che non
dipende da noi, è sempre «sottomano» […]. Questa stessa vigilanza mentale per-
mette di applicare la regola fondamentale alle situazioni particolari della vita, e di
fare sempre «a proposito» ciò che si fa. Si può anche definire tale vigilanza come la
263
concentrazione sul momento presente […]. Questa attenzione al momento presente
è in qualche modo il segreto degli esercizi spirituali. Libera dalla passione che è
sempre provocata dal passato o dal futuro che non dipendono da noi; facilita la vi-
gilanza concentrandola sul minuscolo momento presente, sempre padroneggiabile,
sempre sopportabile, nella sua esiguità; infine apre la nostra coscienza alla coscien-
za cosmica rendendoci attenti al valore infinito di ogni istante, facendoci accettare
ogni momento dell’esistenza nella prospettiva della legge universale del κόσμος
[cosmo] (Pierre Hadot; Esercizi spirituali e filosofia antica, pp. 34-35).

[…] l’atteggiamento fondamentale del filosofo stoico o platonico era la προσοχή,


l’attenzione a se stesso, la vigilanza di ogni istante. L’uomo «vigile» è sempre per-
fettamente cosciente non solo di ciò che fa, ma anche di ciò che è, ossia della sua
posizione nel cosmo e del suo rapporto con Dio […]. Come abbiamo visto, questa
attenzione, questa vigilanza presuppongono una continua concentrazione sul mo-
mento presente, che deve essere vissuto come se fosse insieme il primo e l’ultimo
(Pierre Hadot; Esercizi spirituali e filosofia antica, pp. 74-76).

L’avvenimento presente, che il metodo dell’analisi quantitativa del continuum tem-


porale rendeva quasi evanescente, ritrova, col metodo dell’analisi in componenti
essenziali, un valore che si potrebbe dire infinito. E in effetti, se si analizzano le sue
cause, ogni evento appare come l’espressione della volontà della natura dispiegata
o ripercossa nella concatenazione delle cause che costituisce il Destino, il Fato.
«Circoscrivere il presente» significa in primo luogo liberare l’immaginazione dalle
rappresentazioni passionali del rimpianto e della speranza, liberarsi così dalle in-
quietudini o preoccupazioni inutili, ma significa soprattutto praticare un autentico
esercizio della «presenza della natura», rinnovando ogni istante il consenso della
nostra volontà alla volontà della natura universale. E così tutta l’attività morale e fi-
losofica si concentra nell’istante […]. Viste in questa prospettiva, si può dire che le
cose siano trasfigurate. Non si fa più «differenza», tra di esse: sono ugualmente ac-
cettate, parimenti amate […]. Dianzi tutto sembrava banale, fastidioso, persino ri-
pugnante, a causa dell’eterna ripetizione delle cose umane, la durata era omogenea;
ogni istante conteneva tutto il possibile. Ma ora ciò che era noioso o terrificante as-
sume un nuovo aspetto. Tutto diventa familiare all’uomo che identifica la sua vi-
sione con quella della natura: non è più uno straniero nell’universo (Pierre Hadot;
Esercizi spirituali e filosofia antica, pp. 131-132).

Questa concentrazione sull’istante presente permetterà di scoprire il valore infinito,


il miracolo inaudito della nostra presenza nel mondo […]. Per loro [gli stoici], ogni
istante, ogni avvenimento presente, implica tutto l’universo, tutta la storia del mon-
do. Il nostro corpo presuppone tutto l’universo come ogni istante presuppone
l’immensità del tempo. È in noi stessi che possiamo provare lo sgorgare della real-
tà, la presenza dell’essere. Prendendo coscienza di un solo istante della nostra vita,
di una sola pulsazione del nostro cuore, possiamo sentirci legati a tutta l’immensità
cosmica e alla meraviglia dell’esistenza del mondo. In ogni parte della realtà è pre-
sente l’intero universo. Per gli stoici, questa esperienza dell’istante corrisponde alla
teoria della reciproca compenetrazione delle parti dell’universo (Pierre Hadot;
Esercizi spirituali e filosofia antica, pp. 190-191).
264
[Siddhartha] Vide che per sviluppare la chiara comprensione è necessario vivere in
presenza mentale, in diretto contatto con la vita nel momento presente, vedendo
con consapevolezza che cosa realmente avviene dentro e fuori di noi […]. Vivere
con presenza mentale e consapevolezza vuol dire vivere nel momento presente, con il
corpo e la mente che dimorano nel qui e ora [Suttapitaka, Majjhima-Nikaya, Satipat-
thana Sutta]. La Retta Presenza Mentale consiste dunque nel rivolgere la propria at-
tenzione alla realtà che ci circonda, qui ora, e interagire con essa. La chiameremo
allora più propriamente presenza nella realtà […]. Ma qual è, la realtà? […]. La
realtà è l’ambiente che ci circonda. L’ambiente che ci circonda è infatti, per ognuno
di noi, la nostra realtà […]. La tua realtà è l’ambiente che ti circonda e che tu perce-
pisci con i tuoi sensi (Giulio Cesare Giacobbe; Come diventare un Buddha in cinque
settimane. Manuale - serio - di autorealizzazione, pp. 27, 56, 89-90).

Così è la presenza mentale: è il miracolo che in un baleno richiama la nostra mente


dispersa e la ricompone, consentendoci di vivere ogni attimo della nostra vita (Thich
Nhat Hanh; Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione, p. 22).

Quando si lavano i piatti bisognerebbe soltanto lavare i piatti; il che significa che
mentre si lavano i piatti bisognerebbe essere pienamente consapevoli di stare la-
vando i piatti. A prima vista può sembrare un po’ sciocco: perché insistere tanto su
una cosa così banale? Ma è proprio questo il punto. Il fatto di essere qui a lavare
queste scodelle è una meravigliosa realtà. Sono pienamente me stesso, seguo il mio
respiro, conscio della mia presenza e conscio dei miei pensieri e delle mie azioni.
Nulla può sballottarmi qua e là a suo piacere come una bottiglia in balìa delle onde
(Thich Nhat Hanh; Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione,
p. 15).

265
63. IL SOGNO LUCIDO E LA VISUALIZZAZIONE ATTIVA
Laddove nello stato di Veglia gli oggetti dell’esperienza sono principalmente
le percezioni sensibili, cioè i fenomeni esterni (del mondo oggettivo), nel Sogno
ci troviamo immersi in un mondo sottile (fisicamente inesteso) totalmente creato
da noi, o meglio, dall’attività inconscia del cervello, e quindi della nostra mente.
Nella normale esperienza onirica, noi accettiamo acriticamente gli eventi più
bizzarri (possiamo volare, incontrare persone che sappiamo defunte, dialogare
con animali, ecc.) senza chiederci come essi siano possibili. A volte accade però
che, di fronte a una di tali assurdità, ci sorge il dubbio di essere all’interno di un
sogno, ci rendiamo conto che stiamo sognando, diventiamo più o meno coscienti
pur continuando a dormire. È questo il fenomeno della “lucidità onirica”, nella
quale possiamo addirittura arrivare a pilotare coscientemente l’ambientazione e
la trama del nostro sogno (almeno per un certo tempo):

Durante il sonno, le immagini sorgono nel cervello anche in mancanza di un input


sensoriale esterno. Tali allucinazioni derivano dalla specifica attivazione dei circui-
ti senso-motori che collegano il tronco cerebrale agli altri centri subcorticali e ai
neuroni motori superiori della corteccia cerebrale o proencefalo. Se eccitati nella
stessa maniera che li fa «vedere» durante lo stato di veglia quotidiano, i neuroni di
livello superiore del sistema visuale elaboreranno il segnale come se venisse dal
mondo esterno […]. Solo quando, per qualche ragione misteriosa o casuale, la fa-
coltà autoreferenziale si risveglia all’improvviso all’interno dell’allucinazione, ci
ritroviamo in un sogno lucido (Malcolm Godwin; Il sognatore lucido, pp. 67-68).

Una delle caratteristiche più comuni dei sogni è l’illusione di essere svegli, cioè la
non consapevolezza di sognare. Tuttavia alcuni individui […] hanno sviluppato la
capacità di diventare consapevoli nel sogno. Questa coscienza di stare sognando è
stata chiamata ‘sogno lucido’ […]. A livello neuropsicologico, secondo Hobson, la
corteccia del lobo frontale, normalmente disattivata durante il sonno REM, riprende
e si riattiva in qualche modo durante il sogno lucido. “Di norma è il tronco dell’en-
cefalo a regolare il sogno, mentre la corteccia frontale cerca di interferire imponen-
do una trama. Durante il sogno lucido, invece, è la corteccia ad assumere il control-
lo o, quanto meno, a tenere d’occhio l’azione a distanza, come quando si dirige o si
guarda un film. Sembra quindi plausibile che, durante il sogno lucido, la corteccia
frontale sia in qualche modo attivata, anche se non abbastanza da escludere il tron-
co encefalico” [J. Allan Hobson, La fabbrica dei sogni, Milano, 1998, p. 196 e
Consciousness, New York, 1999, pp. 153-155] (Franco Fabbro; Neuropsicologia
dell’esperienza religiosa, pp. 148-149).

In pratica la Ragione (normalmente assente durante il Sogno) si riattiva come


se fosse nello stato di Veglia e prende il controllo delle immagini psichiche, non
subendole più emotivamente, ma disidentificandosene e guidandole attivamente
come un regista dirige le scene di un film. Di più: con la pratica il sognatore può

266
diventare un vero e proprio “creatore” di mondi mentali che emanano totalmente
dalla sua volontà e dalla sua fantasia creativa.
Anche se a molte persone capita di fare spontaneamente sogni lucidi, è molto
difficile indurre consapevolmente tale stato. I Maestri spirituali, però, ci dicono
che praticando assiduamente la Presenza mentale (cioè l’attenzione consapevole
nello stato di Veglia, come descritto nel precedente capitolo), accade prima o poi
che la Presenza emerge anche in Sogno. Vi sono anche delle tecniche a riguardo:

[…] Georges Gurdjieff […] si serviva spesso di sistemi ispirati ai sufi per risveglia-
re i suoi allievi e seguaci alla verità della loro situazione. Gurdjieff tentava in parti-
colar modo di indurre il sogno conscio, ripetendo spesso che la maggior parte degli
uomini dorme anche se pensa di essere sveglia. Una delle tecniche per suscitare la
lucidità consisteva nel guardarsi le mani durante il giorno e nel riuscire a visualiz-
zarle a occhi chiusi. Nel momento in cui le mani sarebbero apparse in sogno, il
soggetto avrebbe ricordato che si trattava di un sogno, risvegliandosi al suo interno
(Malcolm Godwin; Il sognatore lucido, pp. 37-38).

Ma, potremmo chiederci, qual è l’utilità reale di tale pratica? Normalmente i


sognatori principianti si lanciano in esperienze oniriche fantastiche e piacevoli.
Ma si tratta a ben vedere di attaccamento a realtà puramente illusorie, finalizzate
a rafforzare la Mâyâ. Una applicazione pratica della lucidità onirica può essere
quella di aiutare a superare le proprie paure, affrontandole nell’ambiente virtuale
protetto del Sogno lucido. Ma non è certo questa la caratteristica più importante
di quest’ultimo. Esso è altresì un modo per prendere il controllo della propria
mente (per non esserne controllati), una potentissima forma di meditazione, un
ulteriore gradino verso lo Stato edenico e la Liberazione finale. Per questo esso è
chiamato dai meditanti anche “Yoga del Sogno”.
Nel Sogno lucido il controllo della realtà sottile è meno problematico, poiché
non vi sono gli input sensoriali provenienti dal mondo esterno. Ma il medesimo
stato di coscienza è esperibile anche quando si è svegli. In tal caso, esso prende
il nome di “Visualizzazione attiva” o “Immaginazione creativa”, e consiste nella
proiezione volontaria e consapevole di rappresentazioni mentali. Non si tratta,
quindi, di mera fantasticheria inconscia, ma di una tecnica meditativa:

Il sogno lucido appare una condizione mentale molto simile a quella che si rag-
giunge mediante la tecnica di meditazione vipassana, insegnata più di 2500 anni fa
dal Buddha. Uno degli obiettivi della meditazione vipassana è, infatti, la ‘disidenti-
ficazione’, ovvero la capacità di osservare ciò che sta succedendo nel proprio corpo
in un atteggiamento di completo abbandono e distacco. Durante tale stato mentale è
molto facile cedere alla tentazione di aggrapparsi a qualsiasi sensazione, emozione
o pensiero entrandovi dentro e perdendo l’atteggiamento di chi ‘guarda se stesso’.
Alla stessa stregua, è molto difficile conservare la consapevolezza di sognare quan-
do la scena onirica si tinge di forti emozioni (Franco Fabbro; Neuropsicologia
dell’esperienza religiosa, pp. 149-150).

267
L’uomo nella notte accende una luce a se stesso (Eraclito; Dell’Origine, frammento
97, p. 162).

Per il buddhismo la liberazione […] può essere ottenuta sia nello stato di veglia sia
nel sogno, mediante la diminuzione dell’attaccamento e dell’avversione, fino a
squarciare il velo dell’ignoranza, per raggiungere la saggezza che sta dietro. Per ta-
le ragione è stata sviluppata una pratica meditativa chiamata ‘yoga del sogno’, pra-
ticata attualmente soprattutto dai monaci e dai lama tibetani (Franco Fabbro; Neu-
ropsicologia dell’esperienza religiosa, p. 153).

Lo yoga del sogno sviluppa la capacità, che tutti abbiamo, di sognare lucidamente
(Tenzin Wangyal Rinpoche; Lo yoga tibetano del sogno e del sonno, p. 114).

Facciamo un semplice esempio di come tale meditazione può svolgersi:

1. Isolarsi il più possibile dalle distrazioni e dalle percezioni esterne, scegliendo


un luogo solitario, silenzioso e buio. Chiudere gli occhi e dimenticare tutte le
preoccupazioni e le cose da fare. Prendersi tutto il tempo che serve.
2. Sedersi o sdraiarsi in una posizione comoda, concentrando la consapevolezza
sul respiro e sulle varie parti del corpo, fino a che non si raggiunge uno stato
di completo rilassamento e non si è più distratti nemmeno dalla percezione
del proprio corpo. Evitare assolutamente di cadere nel torpore.
3. Cercare di ricostruire mentalmente, e con più particolari possibile, un oggetto
o un luogo (un volto conosciuto, la stanza stessa in cui ci si trova, un ricordo,
oppure un paesaggio reale o inventato; non ci sono limiti all’immaginazione).
4. A un certo punto gli oggetti dovrebbero apparire alla mente spontaneamente.
Non porsi come un soggetto che immagina gli oggetti, ma osservarli in modo
distaccato, impersonale, sospendendo ogni giudizio (epochè), ma rimanendo
però sempre perfettamente consapevoli, attenti, vigili.

L’immaginazione è una cosa buona se attuata in modo consapevole e senza


identificazione. In caso contrario, essa è la peggior espressione della Mâyâ:

Se l’immaginazione può essere una causa d’illusione in quanto unisce l’intelligenza


al piano delle forme sensibili, ha tuttavia anche un aspetto spiritualmente positivo
poiché fissa in forma simbolica le intuizioni intellettuali o le ispirazioni. Perché as-
suma questa funzione, deve aver acquisito tutta la sua capacità plastica; i guasti
dell’immaginazione non provengono tanto dal suo sviluppo quanto dal suo accapar-
ramento da parte della passione o del sentimento (Titus Burckhardt; Introduzione
alle dottrine esoteriche dell’Islam, p. 87).

Come la Presenza mentale prende il controllo e quindi trascende l’azione del


Daimon individuale [D-IV], così la Visualizzazione creativa fa con l’azione dei
Destini dei Popoli [D-III]. Solo impadronendoci dell’attività mentale potremo
trascenderla volontariamente, liberandoci così dal mondo dalle Forme.
268
64. IL SILENZIO MENTALE E LO YOGA DEL SONNO
Nei due precedenti capitoli abbiamo esaminato le due pratiche di meditazione
(Presenza mentale e Visualizzazione attiva) attraverso le quali vengono riportati
alla luce della consapevolezza - e integrati nel Senso interno - rispettivamente gli
oggetti “esterni” (percezioni sensibili) e quelli “interni” (concezioni mentali).
Ora dobbiamo fare un ulteriore passo: rimuovere tutti gli oggetti e tacitare la
Mente. È questo lo stato che chiamiamo “Vuoto” o “Silenzio mentale”, nel quale
la Mente (ossia l’insieme delle rappresentazioni interne) è totalmente inattiva.
Questo non significa che diventiamo stupidi; è ovvio che quando è necessario
si ritorna a pensare. Si tratta altresì di pensare in modo volontario e controllato.
Non si è più in balìa dell’incessante dialogo interiore (ossia di quella vocina che
parla continuamente dentro di noi) e della caotica attività della Mente - attività
che i saggi equiparano all’illusione e all’inconsapevolezza del sogno notturno:

Allorché il saggio ha raffrenato la sua mente, il <suo> prāṇa ha immobilizzato gli


oggetti dei sensi, egli resta affatto privo di conati mentali, pur rimanendo intelligen-
te (Maitry-upaniṣad, VI, 19. Upaniṣad antiche e medie, p. 406).

[…] la meditazione è un trascendere l’attività onirica. Tu sogni continuamente, non


solo di notte, non solo mentre sei addormentato: sogni tutto il giorno […]: quando
sei sveglio stai ancora sognando. Chiudi semplicemente gli occhi in qualsiasi mo-
mento del giorno, rilassa il corpo e sentirai che il sognare è lì. Non scompare mai, è
solo nascosto dalle nostre attività quotidiane […]. Chiamiamo il Buddha il risve-
gliato. Che cos’è questo risveglio? È la cessazione dell’attività onirica interiore
[…]. A meno che l’attività onirica cessi completamente, non puoi risvegliarti a te
stesso (Osho; Il libro dei segreti, p. 149-151).

Se devi dubitare di qualcosa, prima dubita della tua stessa mente […]. Nel momen-
to in cui pensi alla meditazione, la mente è in all’erta. Ora stai entrando in una di-
mensione pericolosa, perché meditazione significa la morte della mente (Osho; Il
libro dei segreti, p. 106).

Lo Yoga è lo spegnimento dell’attività mentale, del turbinio della coscienza. In tal


caso, il percipiente può assumere la sua vera essenza. In caso contrario, si sarà suc-
cubi dell’attività mentale (Patañjali; Yogasutra, I, 2-4, pp. 27-28).

Nello Yoga Sutra di Patanjali, il vocabolo yoga è definito in sanscrito: yoga chitta
writti nirodah. È difficile tradurre esattamente questa frase. Approssimativamente
possiamo dire: yoga è un mezzo per fermare writti, cioè il vortice (‘il girare come
una ruota’) di chitta, la sostanza mentale in cui si condensa la consapevolezza (le
‘svolte nella coscienza’). Dunque, la frase allude al tentativo della mente di afferra-
re se stessa (che è poi ciò che chiamiamo il pensare o il preoccuparsi). Quindi, tra-
dotto liberamente, si può dire che lo yoga è smettere di pensare. Questo non signi-
fica fine della consapevolezza, ma cessazione del continuo tentativo di afferrare,

269
agguantare la realtà in termini di pensieri, simboli, descrizioni, definizioni. Anche
se capiamo che è giusto rinunciare a questa presa, non è facile riuscirvi, perché il
chiacchiericcio mentale è un’abitudine. Tuttavia, finché non si instaura il silenzio
della mente, è quasi impossibile capire la vita eterna, cioè l’eterno ora. Il silenzio
interiore è uno stadio in cui si è finalmente senza concetti; in sanscrito è definito
nirvikalpa, ‘senza differenziazioni’, ‘senza contenuti concettuali’ […]. Allora di-
ventate come bambini, dimenticate tutto quanto vi è stato detto e contemplate ciò
che è (Alan Watts; Il Tao della filosofia, pp. 59-60).

[…] il dialogo interno è ciò che ci fonda […]. Il mondo è così e così, o diverso,
perché noi parliamo a noi stessi del suo essere così e così, o in modo diverso […].
Mutare la nostra idea del mondo è il punto cruciale […]. E interrompere il dialogo
interno è l’unico modo per riuscirci […]. Ogni volta che il dialogo interno si inter-
rompe, il mondo sprofonda e affiorano straordinarie sfaccettature di noi, come se
fossero state fino a quel momento tenute nascoste dalle nostre parole (Carlos Ca-
staneda; L’isola del tonal. I saperi segreti degli stregoni, pp. 42 e 69).

Facciamo un esempio: noi non abbiamo un vero controllo dell’automobile se


non la sappiamo anche fermare. Lo stesso è con la Mente. Se non siamo in grado
di fermare i pensieri, infatti, è come se non fossimo noi a pensare, proprio come
non siamo noi a far battere il nostro cuore (che è un muscolo involontario).
Nel Silenzio mentale la consapevolezza c’è, ed anzi, è più sveglia che mai (si
parla infatti di “super-coscienza”), solo che non vi sono più oggetti del pensiero,
giacché la Mente è pienamente sotto il nostro controllo (noi, infatti, non siamo la
nostra Mente, in quanto la possiamo osservare e dirigere volontariamente con la
meditazione). Lo decidiamo noi se far sorgere un pensiero, e quale pensiero.
Potremmo dire che nel Silenzio mentale tutti gli oggetti vengono assorbiti nel
soggetto, che la conoscenza duale cede il posto alla conoscenza unitiva, e che ci
si viene così a trovare allo stesso livello gnoseologico del puro Essere, principio
unitario, semplice, indiviso, sovra-formale e non-manifesto della Manifestazione
o Esistenza universale:

Nello stato di sonno profondo, l’Essere universale e l’essere individuale non sono
realmente distinti. Si dissolvono nel substrato comune, nella pura beatitudine, nella
felicità totale. Dunque, non vi è una vera differenza tra l’Onnisciente e il cosciente
(sarvajna e prajna). Qui, macrocosmo e microcosmo sono uno. Questo stato pro-
fondo dell’essere è raggiungibile con l’ausilio di tecniche yoga che riducono al si-
lenzio tutte le attività mentali (Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del
pantheon induista, p. 73).

È nella contemplazione senza immagini che l’anima giunge alla conoscenza unitiva
della Realtà (Aldous Huxley; La Filosofia Perenne, p. 359).

270
Tale stato meditativo può estendersi, con la pratica, anche al Sonno profondo
senza sogni; si parla allora di “Yoga del Sonno”. Il praticante è sempre presente
a se stesso, 24 ore su 24, nella Veglia, nel Sogno e nel Sonno profondo, il quale
sarà allora un Sonno luminoso, chiarificato dalla consapevolezza:

Il sonno è buio per noi, perché nel sonno perdiamo coscienza […]. Chiamiamo ‘ad-
dormentarsi’ il periodo in cui la nostra identità crolla […]. Per la pura consapevo-
lezza, che è la nostra base, il sonno non esiste. Quando non è afflitta da oscuramen-
ti, sogni o pensieri, la mente mobile si dissolve nella sua natura; allora, invece che
il sonno dell’ignoranza, sorgono chiarezza, pace e beatitudine. Quando sviluppiamo
la capacità di dimorare in quella consapevolezza, troviamo che il sonno è luminoso.
Questa luminosità è la chiara luce. È la nostra vera natura […]. Lo yoga del sonno è
privo di immagini. La pratica è il riconoscimento diretto della coscienza da parte
della coscienza, è luce che illumina se stessa. È luminosità senza immagini di nes-
sun tipo (Tenzin Wangyal Rimpoche; Lo Yoga tibetano del sogno e del sonno, pp.
139-140).

Nello stato di Silenzio mentale e nello Yoga del Sonno siamo nel medesimo
stato di esistenza delle piante, nelle quali la Mente è assente. Al contrario di esse
siamo però pienamente consapevoli, e la Mente è comunque presente in potenza.
Dopo lo stato o la condizione dell’Uomo naturale (Aria: Presenza mentale) e
dell’Animale (Fuoco: Visualizzazione attiva e Sogno lucido), abbiamo integrato
anche le modalità vitali proprie del Vegetale (Acqua: Silenzio mentale e Yoga
del Sonno). Per giungere all’Uomo edenico, e dunque all’Etere soprannaturale,
non ci resta che integrare anche l’ultimo dei quattro Elementi naturali, ossia la
Materia sensibile e corporea (Terra).

271
65. ANCORA SUL SILENZIO MENTALE
E SULL’INTEGRAZIONE DEI 4 ELEMENTI

Nel Silenzio mentale - terzo stato nell’evoluzione verso l’Uomo edenico - la


Mente viene integrata e trascesa, tutti i suoi contenuti oggettivi tacitati, e l’essere
individuale si identifica con l’Essere universale. Il meditante si è portato al di là
delle percezioni sensibili e delle concezioni mentali, in uno stato di coscienza
nel quale non vi sono più né la forma né la molteplicità; potremmo dire che egli
si è affrancato della Manifestazione. Nonostante ciò, egli “è”, c’è ancora, non si
è di fatto annichilito e dissolto nel Sovra-Essere, nell’Assoluto incondizionato,
non ha ottenuto la Liberazione - cosa che potrà avvenire solo dallo Stato edenico
(detto Turiya, “il Quarto”) - non è ancora un “Liberato in vita” (Jivanmukta). Ha
raggiunto l’Unità essenziale (il “Tutto è Uno” degli antichi), certo, ma…

Tuttavia, tale unità è soltanto un’unità di esperienza. Anche se unite, la coscienza


individuale e quella universale rimangono differenziate […]. Il livello della co-
scienza universale, che rimane al di là della capacità da parte della coscienza indi-
viduale di raggiungerlo, è il quarto stato, quello non manifesto, della coscienza
(Alain Daniélou; Miti e dèi dell’India. I mille volti del pantheon induista, p. 73).

Raggiunto lo stato del Silenzio mentale (Manolaya), molti meditanti pensano


di aver attuato la Liberazione; salvo poi ricominciare a rimuginare non appena
smettono di meditare. Altri, invece, rimangono delusi per l’assenza di esperienze
mirabolanti. Ciò è dovuto al fatto che, in verità, non si sono ancora liberati dalla
credenza più radicata e difficile da estirpare, dal pensiero che è a fondamento di
tutti gli altri: quello di “essere”, e di “essere qualcosa” (a riprova di ciò, ci basti
pensare che essi avevano delle aspettative… e le aspettative sono dell’“Io”).
Senza abbandonarsi alla beatitudine della Mente pacificata, il meditante deve
attivare ancora la coscienza e indagare dall’interno: chi è che sta sperimentando
questa tranquillità? Troverà che non vi è proprio nessuno, giacché ogni cosa che
coglierà sarà solo un oggetto pensato. La Pura Coscienza è impersonale:

Manolaya significa concentrazione, arrestare temporaneamente il movimento dei


pensieri. Non appena cessa questa concentrazione, i pensieri vecchi e nuovi irrom-
pono come al solito; e anche se questo temporaneo calmare la mente durasse mi-
gliaia d’anni, non condurrebbe mai alla totale distruzione del pensiero che è ciò che
viene chiamato liberazione dalla nascita e dalla morte. Il praticante deve perciò es-
sere sempre vigile e indagare dentro di sé su chi sta avendo questa esperienza, chi
sta realizzando questa piacevolezza […]. Con tale indagine condurrai la forza del
pensiero più nel profondo fino a che raggiungerà la sua sorgente e si fonderà in es-
sa. Sarà allora che avrai la risposta dall’interno, e scoprirai di riposare laggiù (Ra-
mana Maharshi; Sii ciò che sei, pp. 77-79).

272
[…] in questi Bodhisattva non interviene alcuna percezione di un io, alcuna perce-
zione di un essere, alcuna percezione di un’anima, alcuna percezione di una perso-
na (Il Sutra del Diamante, 6. Citazione tratta da: Edward Conze; I libri buddhisti
della sapienza, p. 28).

Analizzeremo più approfonditamente lo Stato edenico nei prossimi capitoli.


Facciamo notare una particolare corrispondenza fra le 4 Condizioni primarie
(Relazione, Quantità numerica, Qualità formale e Spazio-Tempo, determinanti
dei 4 Livelli del reale) ed i 4 stati consapevoli dell’Uomo:

4. Nella Presenza mentale l’attenzione è rivolta alle percezioni sensibili, esterne,


ossia ai fenomeni che avvengono nello Spazio-Tempo, condizione determinante
della Manifestazione fisica [D].

3. Nella Visualizzazione attiva e nel Sogno lucido l’attenzione viene posta sugli
oggetti mentali, interni, sottili, caratterizzati dalla Qualità formale, condizione
determinante dell’Anima universale [C].

2. Nel Silenzio mentale e nello Yoga del Sonno l’attenzione trascende tutti gli
oggetti e si concentra, passa dalla Molteplicità all’Unità indivisa, agendo quindi
sulla Quantità numerica, condizione determinante dello Spirito universale [B].

1. Infine, con lo Stato edenico viene trascesa anche ogni Relazione, condizione
determinante dell’Infinito positivo [A], e si attua il passaggio all’Assoluto [0]. Di
fatto, questo Quarto Stato non è distinguibile dalla Pura Coscienza:

[La]* coscienza è la sola realtà. Coscienza più veglia, la chiamiamo veglia. Co-
scienza più sonno la chiamiamo sonno. Coscienza più sogno la chiamiamo sogno.
La coscienza è lo schermo su cui tutte le immagini vanno e vengono. Lo schermo è
reale, le immagini sono semplici ombre su di esso. A causa della radicata abitudine
che abbiamo di considerare questi stati come reali, chiamiamo lo stato di semplice
consapevolezza o coscienza il quarto. Non c’è comunque alcun quarto stato; ma
soltanto uno stato […]. Poiché chiamiamo questi tre avastha (stati) allora chiamia-
mo anche il quarto stato turiya avastha. Ma non è un avastha, è il vero e naturale
[essenziale]* stato del Sé (Ramana Maharshi; Sii ciò che sei, p. 24). *N.d.A.16

L’immagine riportata nelle due pagine seguenti illustra le quattro Categorie


secondarie - relative alla Natura vivente - e le loro corrispondenze. Si noti come
nell’ultima riga orizzontale la direzione si inverte (leggere da destra a sinistra),
in quanto l’evoluzione spirituale ivi raffigurata consiste nell’integrazione e nel
trascendimento di tutti gli aggregati psico-fisici, in un percorso che va in senso
opposto rispetto a quello dei condizionamenti naturali:

16
Si veda anche la frase del Chuang-tzu riportata da Watts a pagina 236.
273
I 4 ORDINI DEMONICI E LE REALTÀ ..

DEMONI DEGLI GENI DELLE


ASTRI [D-I] SPECIE [D-II]

Troni ↓ Angeli comuni → ← Potestà

7] Saturno, 1] Luna, 4] Sole,


Crono Artemide Apollo

Materia corporea Funzioni vitali, Facoltà sen-


[Terra, Mondo sub-lunare] vegetative somotorie

Contesto temporale: Durata di Contesto temporale: Durata di una


un Cosmo fisico [Kalpa o Eone] Biocenosi planetaria [Manvantara]

Terra / Volume Acqua / Superficie

Gnomi [personificazioni Ondine [personificazioni


dei processi fisici e chimici] dei processi vitali, biologici]

Materia sensibile Vita organica, funzioni vitali


e corporea [Vâyu] e facoltà [Indriya]

Minerali, natura inorganica Vegetali e Animali «inferiori»

Veicolo materiale Veicolo vitale, energetico


o Annamaya-Kosha o Prânamaya-Kosha

Corpo materiale «Anima» concupiscibile


[Sòma], cadavere [vegetativa + senso-motoria]

Corpo materiale «Corpo» eterico

Corpo materiale Es [inconscio di specie]

Cadavere, Sonno profondo,


morte fisica → senza sogni [Prâjna] →

EVOLUZIONE SPIRITUALE = INTEGRAZIONE E TRASCENDIMENTO ..

Quarto Stato [Turîya], Ritorno ← Silenzio mentale e


all’Etere come Uomo edenico ↑ Yoga del Sonno [Prâjna]

274
.. AD ESSI ASSOCIATE

DESTINI DEI DEMONI SOCRATICI,


POPOLI [D-III] INDIVIDUALI [D-IV]

Principati → ← Virtù Arcangeli → ← Dominazioni

3] Venere, 5] Marte, 2] Mercurio, 6] Giove,


Afrodite Ares Hermes Zeus

Immagi- Emozioni e Ragione, Senso interno


nazione Volizione Logica [Manas]

Contesto temporale: Durata Contesto temporale: Durata di


di una Civiltà storica [Yuga] una vita biografica individuale

Fuoco / Linea Aria / Punto

Salamandre [personificazioni Silfidi [personificazioni


dei processi psico-mentali] dei processi logico-discorsivi]

Psichismo mentale, Consapevo- Ragione, Riflessione, Senso


lezza, Mentalità, Forma Mentis interno, Auto-Consapevolezza

Animali «superiori», evoluti Uomini naturali o comuni

Veicolo psico-mentale Aspetto del Veicolo intellet-


o Manomaya-Kosha tuale o Vijnânamaya-Kosha

«Anima» irascibile [emotiva «Anima» razionale o intel-


e volitiva] + immaginativa lettiva [«spirito» umano]

«Corpo» astrale «Io» [senso dell’Io]

Super-Io [inconscio sociale] «Io» [conscio]

Sogno, fantasie non Veglia normale


controllate [Taijasa] → [Vaishwânara] ↓

.. DELLE MANIFESTAZIONI DEMONICHE [NELL’ORDINE: D-IV, III, II, I]

← Visualizzazione attiva ← Presenza mentale o Atten-


e Sogno lucido [Taijasa] zione vigile [Vaishwânara]

275
COSCIENZA NEL =
Presenza
PURO TEMPO [Etere]
mentale,
Attenzione

RAGIONE E SENSO
INTERNO O MANAS =
[D-IV → Aria]
PSICHISMO MENTALE =
[D-III → Fuoco]
VITA ORGANICA = Veglia
[D-II → Acqua] [Uomo Sogno
naturale] [Animale]
MATERIA CORPOREA =
[D-I → Terra]

In questa figura, invece, vediamo l’integrazione dei quattro Elementi naturali


nell’Uomo edenico. La sfera bianca in alto a sinistra rappresenta l’Etere, ossia la
Coscienza soggetta alle sole Condizioni essenziali [x]: Unità indivisa, Identità
uniforme e Immutabilità (Eterno Presente). Sotto di essa, i quattro Elementi con
i relativi ordini demonici produttori. Sotto la linea tratteggiata, i quattro regni
della Natura. Nell’Uomo comune sono presenti tutti gli Elementi; nell’Animale
viene meno l’Aria (Ragione, Veglia); nel Vegetale risulta assente anche il Fuoco
(Psichismo, Sogno); nel Minerale, infine, manca anche l’Acqua (Vita, Sonno), e
resta la sola Terra (Materia, “Cadavere”). Sopra la linea tratteggiata, andando da
sinistra a destra, vediamo come la Coscienza eterica acquisisce ad uno ad uno i
quattro Elementi, attuandosi nei quattro stati consapevoli. Nell’Uomo edenico la
Natura si è finalmente integrata, e si rende dunque possibile il trascendimento di
tutta la Realtà condizionata attraverso la totale estinzione del Logos.

***

Terminiamo con due passi delle Upaniṣad riguardanti i quattro Stati:

Colui che è dotato di occhi [Veglia]*, che in sogno si muove [Sogno]*, colui che è
addormentato [Sonno]* e colui che è di là dal sonno [il Quarto]*: fra questi quattro
diversi <stati> di costui, il quarto è il massimo (Maitri-upaniṣad, VII, 11. Upaniṣad
antiche e medie, p. 424). *N.d.A.

276
Sogno Silenzio «Quarto
lucido e mentale, stato»
Visualiz- Yoga del [Uomo
zazione Sonno edenico]
attiva

Sonno
profondo
[Vegetale] «Morte»
[Minerale]

[…] questo ātman è il brahman; questo ātman ha quattro stati. La prima condizione
è Vaiśvānara [= «comune a tutti i singoli uomini» (…); indica la condizione di ve-
glia, nella quale gli uomini possono vicendevolmente comunicare attraverso la por-
ta dei sensi], la quale ha come sede lo stato di veglia; essa ha conoscenza degli og-
getti esteriori […] e fruisce del mondo materiale. La seconda condizione è Taijasa
[da tejas, sostanza di luce, le cui modificazioni costituiscono il tessuto delle perce-
zioni nello stato di sogno], la cui sede è lo stato di sogno; essa ha conoscenza degli
oggetti interni […] e ha come dominio il mondo della manifestazione sottile [Pra-
vivikta, letteralmente «separato», in quanto, allo stato di sogno, l’anima individuale
genera, per effetto del proprio desiderio, un mondo che è soltanto oggetto della
propria esperienza personale e, quindi, non «comune a tutti gli uomini»]. Allorché
l’essere dormiente non prova più desideri, non è più soggetto a sogni, allora si ha
condizione di sonno profondo. Colui che è in questo stato è divenuto uno [Perché di
là della manifestazione grossolana e di quella sottile, in quanto sperimenta la condi-
zione causante della potenza cosmogonica], è divenuto sintesi di conoscenza [praj-
ñāna-ghana [perché sostanziato di gnosi (prajñā)], si è fatto beatitudine [ānanda-
maya] e ha la beatitudine come campo di esperienza; la coscienza <stessa> è il suo
strumento di conoscenza. Costui è chiamato Prājña [Conoscitore assoluto] […].
Egli è il signore di tutto; egli è l’onnisciente; egli è l’ordinatore interno; matrice di
tutto, egli è l’origine e la fine di <tutti> gli esistenti […]. I saggi pensano che il
Quarto [Turîya], che non ha conoscenza né degli oggetti interni né di quelli esterni,
né, contemporaneamente, di questi e di quelli, che non è sintesi di conoscenza,
<poiché> non è né conoscente né non conoscente, che è invisibile, non agente, in-
comprensibile, indefinibile, impensabile, indescrivibile, è la sicura essenza fonda-
mentale dell’ātman, nella quale è totalmente cessata ogni traccia di manifestazione,
ed è pienezza di pace e di beatitudine, senza dualità: questo è l’ātman (Māṇḍūkya-
upaniṣad, I-II-IV. Upaniṣad antiche e medie, pp. 371-373).

277
66. LO STATO EDENICO E LA “MORTE” INIZIATICA
Nel Vangelo di Giovanni è presente un dialogo in cui Gesù parla al fariseo
Nicodèmo di una misteriosa “seconda nascita”. Lo riportiamo:

[…] Nicodèmo […] andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì […] nessuno […]
può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù:
«In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di
Dio». Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può
forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Ge-
sù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può en-
trare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato
dallo Spirito è spirito (Vangelo secondo Giovanni, 3, 1-8).

Il concetto viene forse chiarito meglio nell’apocrifo Vangelo di Filippo:

Coloro che dicono che il Signore prima è morto e poi è risuscitato, si sbagliano,
perché egli prima è risuscitato e poi è morto. Se uno non consegue prima la resur-
rezione non morirà, perché - come è vero che Dio vive - egli sarà già morto (Van-
gelo di Filippo, 21. I Vangeli apocrifi, p. 514).

Per entrare nel Regno dei Cieli, dice Gesù, è necessario rinascere “dall’alto”
(dallo Spirito) mentre si è ancora vivi. Per rinascere, però, bisogna prima essere
già morti. Quest’ultima “morte” precede la risurrezione. Elenchiamo nel giusto
ordine i quattro successivi momenti, cercando di inquadrarne il significato:
1. Nascita biologica, nella carne;
2. “Morte” (?) che precede la risurrezione;
3. Risurrezione (nascita dallo Spirito) e accesso al Regno dei Cieli;
4. Morte biologica, della carne.
I punti 1 e 4 sono chiari: si tratta dei due limiti temporali della nostra vita.
Il punto 2 indica una “morte”. Di cosa si tratta? Non certo della morte fisica,
biologica, ma di una morte simbolica: è la morte dell’ego, dell’“uomo vecchio”,
il quale deve togliersi di mezzo per far ri-sorgere (punto 3) l’“uomo nuovo”:

[…] avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in
lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua
condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni inganne-
voli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato
secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (San Paolo; Lettera agli Efesini, 4,
20-24).

Ciò che il guerriero fa quando viaggia nell’ignoto è molto simile al morire (Carlos
Castaneda; L’isola del tonal. I saperi segreti degli stregoni, p. 367).

278
Nelle associazioni inverse fra i quattro stati consapevoli e le loro controparti
inconsapevoli, lo Stato edenico corrisponde al “Cadavere”, ovvero alla Materia
inorganica (come lo Yoga del Sonno porta alla coscienza il Sonno profondo, così
lo Stato edenico porta alla coscienza la Morte). Ciò indica simbolicamente che
colui che ha raggiunto tale stato è “morto” a se stesso, e non si identifica più con
nulla di individuale o sostanziale. Egli è allora il Saggio, l’Uomo vero o edenico,
il “luogo mistico” in cui lo Spirito si materializza e la Materia si spiritualizza.
Questa “morte” è il presupposto necessario per la seconda nascita, la quale è
di natura spirituale. Nascere di nuovo significa diventare “Figli di Dio”. Sono
una morte e una rinascita di natura coscienziale, iniziatica, spirituale, un cambio
di prospettiva, una nuova e diversa visione della Realtà nella quale non vi è più
alcuna alterità tra l’Infinito ed il finito, tra l’Assoluto ed il relativo, tra Dio ed il
mondo. Non essendo più qualcosa, l’Uomo edenico è libero da tutte le categorie
e da tutte le condizioni limitanti. Ha trasceso se stesso, la propria vita biologica
(con la sua fugace durata), e quindi la morte stessa. Lo scorrere del Tempo non
lo tacca più. Egli ha fatto Ritorno al Principio e Centro immutabile del divenire,
ossia all’Etere e, da qui, all’Essere universale e all’Assoluto, la Pura Coscienza:

La morte dell’Io comporta lo spogliarsi di tutte le limitazioni posticce, di tutte le ri-


strettezze di pensiero, […] vuol dire espansione della coscienza […], dissolvimento
dei confini del mondo dell’Io […]: l’Io […] unisce se stesso al resto del mondo
(Holger Kalweit; Guaritori, sciamani e stregoni, p. 82).

La vera Vita è solo quella divina, ove non vi è alcuna separazione e ogni cosa
“è” l’Assoluto indiviso tutt’intero (in un suo aspetto). Per giungere a questa Vita
eterna è necessario “morir-si”, cioè rinunciare alla vita finta, quella dell’Io [una
espressione un po’ banalizzata di tale atteggiamento spirituale potrebbe essere la
seguente: “Prima o poi io dovrò morire… e allora? Il mondo andrà avanti lo
stesso senza di me, e lo farà meravigliosamente, come sempre!”]:

In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane
solo; se invece muore, produce molto frutto (Vangelo secondo Giovanni, 12, 24).

Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi
segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria
vita per causa mia e del Vangelo, la salverà (Vangelo secondo Marco, 8, 34-36).

Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la con-
serverà per la vita eterna (Vangelo secondo Giovanni, 12, 25).

[…] non v’è assolutamente nessun essere e nessuna vita fuori della vita divina (Jo-
hann Gottlieb Fichte. Citazione tratta da; Marco Vannini; Storia della mistica occi-
dentale. Dall’Iliade a Simone Weil, p. 312).

279
Quando l’uomo si distacca da se stesso, accoglie interiormente il Cristo, Dio, la
beatitudine e la santità […]. Distàccati dunque da te stesso e da tutte le cose, e da
tutto quel che sei in te stesso, e cogliti secondo quel che sei in Dio (Meister Ec-
khart; Sermoni tedeschi. Sant Paulus sprichet: intuot iu inniget iu Kristum, pp. 57 e
60).

L’iniziazione sciamanica e quella ai culti misterici dell’Antichità consisteva


propriamente in tale “morte-e-rinascita mistica”. E questo simbolizzano anche il
sacrificio e la risurrezione di Cristo, nonché la “Grande Opera” dagli alchimisti,
nella quale la fase preliminare è la Nigredo (putrefazione, decomposizione):

Che si tratti di sogno, di malattia o di rito iniziatico, l’elemento centrale è sempre lo


stesso: morte e resurrezione simboliche del neofita (Mircea Eliade; Lo sciamanismo
e le tecniche dell’estasi, p. 77).

Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se
per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risur-
rezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceve-
ranno la vita (San Paolo; Prima Lettera ai Corinzi, 15, 20-22).

La pietra viene preparata componendo quattro elementi. Qui i corpi di disgregano


nell’argento vivo nostro […]. Inverti l’ordine dei quattro elementi e troverai ciò che
cerchi, ma invertire il corso della natura significa che grazie alla maestria nostra i
cadaveri si fanno spirito (Georgius Aurach de Argentina; Pretiosissimum Donun
Dei, 3-4).17

***

Platone sostiene che il filosofare è una “preparazione alla morte”:

[…] al divino, all’immortale, all’intelligibile, all’uniforme, a quanto non si può dis-


solvere, a quel che sempre rimane nella stessa condizione l’anima è somigliantis-
sima […]: se essa si distacca pura dal corpo e nulla del corpo si trae dietro, perché
in vita, per quanto stava in lei, non volle averci nulla di comune, ma rifuggendolo
se ne stava sempre concentrata in se stessa, poiché di questo sempre si curò, e que-
sto altro non è se non filosofare veramente e rettamente prepararsi a morire con se-
renità: quindi, non è forse questa una vera preparazione della morte? (Platone; Fe-
done, 80b-81a).

17
Una traduzione alternativa è: «Dei quattro elementi questa pietra è composta o rea-
lizzata. Qui ci sono i corpi completamente dissolti nel nostro Argento vivo […]. Con-
verti la natura degli Elementi e troverai ciò che cerchi. Convertire le nature significa
trasformare un corpo in uno spirito». Il Donun Dei è un teso alchemico del 1475.
280
Lo stesso insegnamento è presente anche nel Sufismo, nello Yoga e in tutte le
tradizioni mistiche, misteriche ed esoteriche di tutti i tempi:

È a Lui che ogni cosa farà ritorno [Corano, 11, 123] […]. Sappi che il divenire di
ogni cosa la riconduce a Dio e che a Lui essa ritorna […]. Vi sono due tipi di mor-
te: la morte inevitabile e comune a tutti gli esseri e la morte volontaria e specifica
di alcuni di loro. È questa seconda morte che ci viene prescritta dalle parole
dell’inviato di Allāh: «Morite prima di morire» [(…). Si tratta ovviamente della
morte iniziatica (…)]. Per colui che muore di questa morte volontaria la risurrezio-
ne si è già compiuta […]; e ciò perché nella contemplazione di questo morto-
risuscitato tutte le creature si sono estinte e per lui rimane un’unica cosa, una sola
Realtà (Abd el-Kader; Il libro delle soste, 8, Mawqif 221, pp. 72-73).

La tappa obbligatoria della via del sufi è l’estinzione (fanā’). Per poter ricongiun-
gersi con Dio è necessario morire a se stessi […]. Questo concetto venne espresso
dallo sceicco Aḥmad Al-‘Alāuī (1869-1934) con le seguenti parole: “Gli gnostici
vivono una morte che precede la morte del corpo fisico. Il Profeta disse: ‘Muori
prima di morire’ […]. Il vero significato della morte nella dottrina dei Sufi è la to-
tale estinzione dell’individuo, ovvero la sua totale obliterazione e il suo totale anni-
chilamento. Lo Gnostico muore a se stesso e all’intero mondo per risorgere in Dio
[…]” [Martin Lings, Un santo sufi del XX secolo, 1994, pp. 155-156]. Il concetto di
fanā’, ‘estinzione’, ha molti punti in comune con quello buddhista di nibbāna
[nirvāna]. Questo concetto venne definito dal Profeta come ‘grande guerra santa’,
ovvero la grande guerra contro l’idolatria dell’anima. L’anima umana è diventata
schiava dell’io che impedisce all’uomo di ricollegarsi a Dio. “Tendiamo a identifi-
care noi stessi con la nostra mente e il nostro corpo. Pensiamo di essere la mente e
il corpo. E questa è l’illusione fondamentale della vita, la causa di tutte le tragedie
della vita. Questo identificarsi forma il falso ego, ed è questa illusione che deve es-
sere superata, così che possiamo riscoprire la vera natura della nostra coscienza, il
nostro vero sé che è in realtà collegato con lo spirito universale” [Joannes Hendri-
kus Witteveen, Sufismo universale, 1998, p. 134] (Franco Fabbro; Neuropsicologia
dell’esperienza religiosa, pp. 262-263).

Nella storia universale della mistica, lo Yoga classico occupa un posto a sé, diffici-
le da situare […]. Abbiamo attirato l’attenzione sul simbolismo yoga della morte e
della resurrezione: morte alla condizione umana profana, resurrezione ad una mo-
dalità trascendente […]. Lo yogin […] fa il contrario di quello che la vita gli do-
manda di fare […]. Il “capovolgimento” del comportamento normale colloca lo yo-
gin al di fuori della vita. Ma non si arresta certo a metà strada: la morte è seguita da
una resurrezione iniziatica […]. A prima vista, il rifiuto della Vita imposto dallo
Yoga potrebbe apparire terrificante, perché comporta più di un simbolismo funera-
rio: delle esperienze che sono vere e proprie anticipazioni della morte. Il procedi-
mento arduo e complicato di distacco ed eliminazione finale di tutti i contenuti che
appartengono ai livelli psicofisiologici dell’esperienza umana non ricorda forse il
processo della morte? […]. Ora sappiamo che questa Morte anticipata è una Morte
iniziatica, vale a dire che è necessariamente seguita da una rinascita. In vista di

281
questa rinascita in un altro modo di essere, lo yogin fa sacrificio di tutto ciò che, al
livello dell’esperienza profana, sembra importante. Sacrificio della propria “vita”,
ma anche della propria “personalità”. Nella prospettiva di una esistenza profana,
questo sacrificio diventa inintelligibile. Ma noi conosciamo la risposta della filoso-
fia indiana: la prospettiva dell’esistenza profana è distorta […]: la vita desacralizza-
ta è sofferenza e illusione […]. Se si vuole arrivare a comprendere questi “misteri”,
bisogna elevarsi ad un altro modo d’essere e, per arrivarci, è necessario “morire” a
questa vita e “sacrificare” la personalità scaturita dalla temporalità e creata dalla
storia […]. L’ideale dello Yoga, lo stato di jîvanmukta, è vivere in un “eterno pre-
sente”, al di fuori del Tempo. Il “liberato nella vita” non gode più di una coscienza
personale, cioè alimentata dalla propria storia personale, ma di una coscienza-
testimone, che è lucidità e spontaneità pure. Noi non tenteremo di descrivere que-
sta condizione paradossale: ottenuta con la “morte” alla condizione umana, con la
rinascita ad un modo d’essere trascendente, essa è irriducibile alle nostre categorie
(Mircea Eliade; Lo Yoga. Immortalità e libertà, pp. 335-337).

***

Tramutare la Terra in Etere, spiritualizzare i corpi


e dissolverli nell’Infinito Nulla.

UOMO EDENICO

Materia, Quarto stato,


E b Cadavere Samadhi E s
v i v p
o o o i
l l Vita, Silenzio l r
u o Sonno mentale u i
z g z t
i i i u
o Psichismo, Visualizzazione a
c o
n Sogno attiva n l
a
e e e
Ragione, Presenza
Veglia mentale

UOMO NATURALE

282
67. L’UOMO EDENICO ED IL TEMPO
L’Uomo edenico, abbiamo detto, si svincola dal divenire e giunge al Centro e
Principio della Manifestazione fisica, ossia all’Etere, che è la condizione in cui il
Tempo è pura presenza immutabile, privo di estensione e quindi di Movimento.
Pensiamoci bene: il Movimento (che inerisce esclusivamente agli altri quattro
Elementi) esiste solo nel divenire, ovvero nel fluire del tempo dal passato verso
il futuro. Il presente, invece, è un istante impalpabile, totalmente privo di durata.
È come un punto (in quanto tale adimensionale) che si sposta lungo una linea
immaginaria, nella quale noi disponiamo idealmente la successione degli eventi.
Non riusciamo a cogliere il presente giacché, quando ci proviamo, è già passato.
Eppure, da che mondo è mondo non è mai accaduto nulla se non nel presente.
Esso è perenne presenza: è l’Eterno Presente. Anzi, a dire il vero è proprio il
presente che, spostandosi, traccia - e quindi genera - la linea. Esso coincide con
l’Etere, che produce e pervade ogni fenomeno naturale:

Il presente, privo di durata, si sposta lungo


la linea [apparente] del divenire. In verità,
la linea non è dotata di alcuna realtà qualora
considerata indipendentemente dal presente,
poiché è proprio quest’ultimo a determinarla

passato presente futuro

linea continua del divenire

L’Uomo edenico, essendosi liberato da ogni concettualizzazione (compreso il


senso di continuità del divenire) vive ogni istante in quanto unico ed eterno. Non
si disperde nella linea, bensì si identifica essenzialmente con il punto.
Egli non coglie il punto… egli è il punto!

Questi due tempi […], il passato e il futuro, in che senso esistono, dal momento che
il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora? Quanto al presente, se fosse sem-
pre presente e non diventasse passato, non sarebbe tempo, ma eternità (Sant’Ago-
stino; Le confessioni, XI, 14, p. 369).

[...] il prima e il poi risiedono nel movimento e il tempo consiste in questo prima e
poi in quanto sono numerabili [...]. Per questo è chiaro che le realtà sempiterne,
proprio perché sono sempre, non sono nel tempo (Aristotele; Fisica, IV, 14, p. 413
e IV, 12, pp. 399-401).

283
Il tempo, il quale comprende il passato e il futuro, è nel suo insieme assolutamente
continuo, e soltanto logicamente, e non realmente, può essere diviso in parti; in vir-
tù di tale continuità, che costituisce la durata, esso contrasta con l’eternità, la quale
è, al contrario, l’«istante» intemporale e privo di durata, il vero presente, del quale
non è possibile alcuna esperienza temporale. L’eternità si riflette o si esprime nel-
l’«adesso», il quale […] non si distingue veramente dalla stessa eternità, alla quale
l’insieme del tempo è sempre presente nella totalità della estensione [René Guénon;
Studi sull’Induismo, p. 205. Recensione a: Ananda K. Coomaraswamy; Time and
Eternity (Ascona, Svizzera, Artibus Asiae)].

Sapete che in questo preciso momento siete circondati dall’eternità? […]. L’eternità
è qui (Carlos Castaneda; L’isola del tonal. I saperi segreti degli stregoni, p. 35).

Quello che non è qui, non è in nessun luogo; e quello che non è adesso, non sarà
mai (Frithjof Schuon; Logica e trascendenza, p. 223).

C’è una parte più alta dell’anima, che sta elevata al di sopra del tempo, e che non sa
niente del tempo e del corpo. Tutto quel che è avvenuto da mille anni - il giorno
che fu mille anni or sono - è nell’eternità non più lontano del momento in cui sono
ora (Meister Eckhart; Sermoni tedeschi. Mulier, venit hora et nunc est, quando veri
adoratores adorabunt patrem in spiritu et veritate, p. 68).

In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono (Vangelo secondo
Giovanni, 8, 58).

Io ero profeta quando Adamo era ancora tra l’acqua e l’argilla (Hadîth del Profeta.
Citazione tratta da: Michel Vâlsan; Sufismo ed Esicasmo. Esoterismo islamico ed
esoterismo cristiano, p. 87).

Dal punto di vista che si può chiamare “esteriore” o “letteralista”, si concepisce che
il tempo […] abbia avuto un inizio e proceda verso una fine; esso viene pertanto
contrapposto all’eternità considerata come una durata perpetua senza inizio né fine.
L’assurdità di queste posizioni diventa manifesta se ci domandiamo con S. Agosti-
no: “Che cosa faceva Dio (l’Eterno) prima di creare il mondo?”; la risposta è, natu-
ralmente, che essendo il tempo e il mondo interdipendenti - o, in termini di “crea-
zione”, concreati - la parola “prima” non ha alcun senso in una tale questione. È per
questo che l’esegesi cristiana afferma abitualmente che έν ἀρχή, in principio, non
implica un “inizio nel tempo” bensì un’origine nel Principio Primo; ne consegue
logicamente che Dio (l’Eterno) crea il mondo ora e sempre. La dottrina metafisica
contrappone semplicemente il tempo in quanto continuum all’eternità, che non è
nel tempo e che non può essere propriamente chiamata durata perpetua, poiché es-
sa coincide con il presente reale, l’istante, di cui non si può avere esperienza nel
tempo. Qui la confusione sorge solo per una coscienza che riflette in funzione del
tempo e dello spazio, poiché, per essa, un “istante” succede a un altro “istante” sen-
za interruzione e sembra che vi sia una serie indefinita d’istanti, collettivamente as-
sommati nel “tempo”. Questa confusione può essere dissipata se ci rendiamo conto

284
che nessuno di questi istanti ha durata e che, quanto alla misura, essi sono tutti de-
gli zero la cui “somma” è impensabile. È una questione di relatività: siamo “noi” a
essere in movimento, mentre l’Ora è immutabile anche se sembra spostarsi - pro-
prio come il sole sembra levarsi e tramontare a causa della rotazione della terra
(Ananda K. Coomaraswamy; Tempo ed Eternità, p. 14).

***

La morte […] attiene alla distruzione, ma niente di ciò che è nel mondo perisce.
Giacché, se il mondo è secondo dio e vivente immortale, non è possibile che una
parte di questo vivente immortale muoia (Corpus Hermeticum, VIII, 1, p. 151).

Tutta questa argomentazione sull’impossibilità della morte come fine, distruzione,


annientamento dell’essere è tipicamente stoica […]. La tematica di fondo è la stessa
del neostoicismo di Marco Aurelio: il divenire, la vanità delle cose di questo mon-
do, che nascono e muoiono senza senso apparente, è illusione. La verità, al di là
dell’apparenza, è che Dio è in ogni cosa, è ogni cosa stessa e quindi il Tutto è Dio,
eterno, immutabile, inalienabile. Il rapporto tra Dio e mondo non è di totale alterità
e per questo non può esservi reale distruzione e annientamento di ciò che è comun-
que parte integrante dell’Uno-Tutto (Valeria Schiavone; nota a: Corpus Hermeti-
cum, VIII, 1, pp. 150-151).

Se dunque il mondo stesso è un essere vivente, che sempre ha vissuto, vive e vivrà,
niente vi è al mondo di mortale; e se ogni parte di questo è sempre in vita secondo
il suo stesso essere e si trova in un mondo che è esso stesso sempre uno e sempre
vivente, non c’è alcuno spazio per la morte […]. Il mondo si muove nella stessa vi-
ta dell’eternità e in questa stessa eternità di vita è il luogo del mondo. Perciò il
mondo non si arresterà mai né mai perirà, avvolto e protetto come da un vallo da
questa eternità di vita (Corpus Hermeticum, Asclepio, 29-30, p. 351).

Nell’apparire, l’essere è nel tempo (ossia c’è un tempo in cui non è); ma l’essere
non è nel tempo; sì che tutto l’essere che appare nel tempo se ne sta da sempre e
per sempre in beata compagnia con tutto l’essere, al di fuori del tempo (Emanuele
Severino; Essenza del nichilismo. Ritornare a Parmenide, pp. 59-60).

Tutto quello che deve accadere accadrà, per quanti sforzi si compiano per impedir-
lo. Tutto quello che non deve accadere non accadrà, per quanti sforzi si compiano
per farlo accadere (Ramana Maharshi).

L’essere che abbia raggiunto tale «stato primordiale» è […] affrancato dal tempo,
la successione apparente delle cose si è per lui trasmutata in simultaneità; egli pos-
siede coscientemente una facoltà che è sconosciuta all’uomo comune e che può es-
sere denominata il «senso dell’eternità» […]. La prima cosa da fare per chi voglia
pervenire veramente alla conoscenza metafisica, è di porsi fuori dal tempo, direm-
mo volentieri nel «non tempo» (René Guénon; La Metafisica orientale, p. 30).

285
Insomma, il Corpo e la Mente razionale (ossia le de-terminazioni dell’Uomo
naturale) altro non sono che dei “riduttori” di realtà. Ma la nostra vera Essenza è
incondizionata: è l’Assoluto. Ogni cosa è “Tutto”, ma noi ci crediamo una parte:

[…] esiste un mediatore fra l’esperienza dei sensi e l’io e questo mediatore è rap-
presentato dal manas. Manas si traduce di solito con mente: la radice è la medesima
ma il concetto è diverso […]. Ad ogni modo il manas è strumento indispensabile
perché la sensazione si trasformi in percezione: esso fa da tramite fra il mondo
esterno e l’atman. Noi siamo consapevoli solo dell’oggetto verso cui è volta la sua
attenzione; i miei sensi possono essere simultaneamente in contatto con molti og-
getti, ma io ho consapevolezza di una sola ed unica percezione alla volta, perché il
manas non può essere intento che ad un oggetto per volta. Se possiamo avere, in
qualche circostanza, impressioni di simultaneità nella percezione, questo è dovuto
alla celerità con cui esse si succedono. Così si ovviava alla obiezione che, essendo
l’anima onnipervadente, dovrebbe in ogni istante conoscere tutto (Giuseppe Tucci;
Storia della filosofia indiana, pp. 154-155).

[…] faremmo bene a considerare, molto più seriamente di quanto finora siamo stati
indotti a fare, il tipo di teoria che Bergson espose relativamente alla memoria e alla
percezione dei sensi. L’ipotesi è che la funzione del cervello e del sistema nervoso
e degli organi dei sensi sia principalmente eleminativa e non produttiva. Chiunque
è capace in ogni momento di ricordare tutto ciò che gli è accaduto e di percepire
tutto ciò che accade dovunque nell’universo. La funzione del cervello e del sistema
nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi da questa
massa di conoscenza in gran parte inutile e irrilevante, cacciando via la maggior
parte di ciò che altrimenti percepiremmo e ricorderemmo in ogni momento, e la-
sciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere
utile in pratica (Charlie Dunbar Broad. Citazione tratta da: Aldous Huxley; Le porte
della percezione. Paradiso e Inferno, pp. 17-18).

Il cervello è un organo di scelta […]: i centri cerebrali […] (e i dispositivi sensoriali


a cui sono legati) sono […] soltanto […] degli strumenti di selezione incaricati di
scegliere, nell’immenso campo delle nostre percezioni virtuali, quelle che dovranno
attualizzarsi. Leibniz diceva che ogni monade […] porta in sé la rappresentazione
cosciente o incosciente della totalità del reale […]: ritengo […] che noi percepiamo
virtualmente molte più cose di quante ne percepiamo attualmente e che qui il ruolo
del nostro corpo è sempre quello di escludere dalla coscienza tutto ciò che non
avrebbe nessun interesse pratico, tutto quello che non si presterebbe alla nostra
azione. Dunque, gli organi dei sensi, i nervi sensitivi, i centri cerebrali incanalano
le influenze dell’esterno, e segnano così le direzioni in cui la nostra influenza potrà
esercitarsi. Ma, così facendo, limitano la nostra visione del presente (Henry Berg-
son; L’energia spirituale, pp. 8 e 59).

Se le porte della percezione fossero sgombrate, ogni cosa apparirebbe com’è, infi-
nita (William Blake; The marriage of Heven and Hell. Citazione tratta da: Aldous
Huxley; Le porte della percezione. Paradiso e Inferno, p. 5).

286
68. L’APPARENTE ANTITESI
TRA “MATERIA” E “SPIRITO”

Abbiamo affermato - nel capitolo n°66 - che, nell’Uomo edenico, lo Spirito si


materializza e la Materia si spiritualizza. Che cosa significa?
Non dobbiamo pensare che avvenga una trasformazione di sostanza; l’Uomo
non si tramuta in qualcosa d’altro. Ciò che avviene è altresì un riconoscimento
d’essenza: l’Uomo prende piena consapevolezza della sua realtà più profonda, di
ciò che, pur senza saperlo, egli è sempre stato:

Diventa ciò che sei, avendolo appreso (Pindaro; Pitiche, II, 72).

Dobbiamo chiarire che cosa intendiamo con i termini “Materia” e “Spirito”,


utilizzati qui con un’accezione diversa (ma neanche troppo) dal solito18:

✓ La “Materia” indica il reale concepito come moltitudine di enti o corpi in sé


finiti e fra loro separati. Che si parli di oggetti macroscopici, atomi, particelle
elementari, quanti, stringhe o concetti mentali il senso non cambia. Il termine
è collegato anche al concetto indù di Mâyâ (apparenza, opinione):

Ora, l’atto di classificare è precisamente maya. La parola è derivata dalla radice


sanscrita matr, “misurare, formare, costruire, o progettare”, la stessa radice dalla
quale otteniamo parole greco-latine come metro, matrice, materiale e materia. Il
processo fondamentale di misurazione è la divisione […]. Dire, perciò, che il mon-
do dei fatti e degli eventi è maya equivale a dire che i fatti e gli eventi sono termini
di misurazione piuttosto che realtà naturali (Alan W. Watts; La via dello zen, p.
56).

✓ Lo “Spirito” indica al contrario il reale concepito come una Unità essenziale.


Nel simbolismo della Trinità cristiana, ad esempio, esso indica la non-alterità
Padre/Figlio, ovvero Infinito/finito, Assoluto/relativo:

Spirito. Questa parola viene usata molto indiscriminatamente, e questo può causare
molta confusione. Nel suo vero significato, lo spirito è un’unità, un unico potere
vivente universale (Franz Hartmann; Il mondo magico di Paracelso, p. 59).

Per semplificare, Materia e Spirito sono rispettivamente Molteplicità e Unità,


concezione analitica-separativa e concezione sintetica-unitiva.

18
Anche se sarebbe più opportuno parlare, come abbiamo fatto nel capitolo n°46, di
“Mondo o Realtà visibile” e “Realtà invisibile”, oppure di Kènoma e Plèroma.
287
Non stiamo parlando quindi di sostanze o cose che stanno in luoghi diversi,
nelle quali vi sono entità diverse, in cui avvengono fatti diversi, bensì di diversi
“modi” di concepire la medesima Realtà, di “approcci” diversi alla conoscenza.
Entrambi - Spirito e Materia - sono eternamente qui e ora, e sono la stessa cosa.
Facciamo un breve esempio. Vi sono due diversi modi di guardare una sedia.
Nel primo, io mi considero un soggetto che sta guardando un oggetto esterno,
che è altro da me. Nel secondo modo, mi libero da tutti i giudizi e le categorie, e
semplicemente osservo la sedia. Non vi è più separazione soggetto/oggetto: io,
la sedia e l’atto del vedere siamo tutt’uno. L’atto del distinguere è un’operazione
puramente mentale, fondata sulle categorie della Quantità e della Relazione.
Con questo approccio cognitivo, ogni singola cosa è il Tutto, un suo aspetto.
Anche la sedia è un aspetto dell’Assoluto, proprio come lo siamo noi:

Noi siamo una parte-tutto che vuole conoscere il tutto che ci portiamo dentro (Fe-
derico Faggin; Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, p.
221).

***

Questo significa forse che la concezione separativa (cioè la Materia) è falsa, e


che solo quella unitiva (Spirito) è vera? No!
La Natura materiale non è altro dallo Spirito, ma la Vita stessa dello Spirito.
L’Unità si manifesta a se stessa solo e esclusivamente attraverso la Molteplicità.
Essi sono due aspetti della medesima realtà:

[…] la natura è lo spirito visibile, lo spirito è la natura invisibile (Friedrich W.J.


Schelling. Citazione tratta da; Marco Vannini; Storia della mistica occidentale.
Dall’Iliade a Simone Weil, p. 313).

Non c’è alcuna differenza tra saṃsāra e nirvāṇa […]. Tra i due non si può trovare
la minima demarcazione (Nāgārjuna; Mūlamadhyamakakārikā, XXV, 19-20. Cita-
zione tratta da: Emanuela Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p.
329).

[…] la forma è vacuità e proprio la vacuità è forma (Il Sutra del Cuore, 6. Citazio-
ne tratta da: Edward Conze; I libri buddhisti della sapienza, p. 73).

Se non si fosse “decantato” nella Materia, lo Spirito non esisterebbe: l’ultima


produzione della gerarchia metafisica permette la Processione delle altre. Non vi
è alcuna evoluzione verso l’Uomo edenico senza una sicura “messa a terra”. La
cosa importante è non cadere nelle concezioni materialistiche, meccanicistiche,
riduzionistiche e deterministiche; la Materia non è una sostanza morta, inerte,
inanimata, ma pur sempre un’espressione dell’indivisa Pura Coscienza:

288
Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. La vostra vo-
lontà dica: il superuomo sia il senso della terra! Io vi scongiuro, fratelli miei, resta-
te fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultrater-
rene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no (Friedrich Wilhelm Nietzsche; Così par-
lò Zarathustra. Prefazione di Zarathustra, p. 6).

Il compito dell’uomo va senz’altro cercato sulla Terra. Chi vuol sottrarsi ai doveri
della Terra e rifugiarsi in un altro mondo, può essere sicuro di non raggiungere il
suo scopo. Ciò che i sensi percepiscono è però soltanto una parte del mondo. Le en-
tità che si esprimono nei fatti del mondo sensibile sono nello spirito. Bisogna di-
ventare partecipi dello spirito, per poterne portare le rivelazioni nel mondo sensibi-
le. L’uomo trasforma la Terra, trasferendole ciò che ha conosciuto nel mondo spiri-
tuale. Questo è il suo compito (Rudolf Steiner; L’Iniziazione. Come si conseguono
Conoscenze dei Mondi superiori?, p. 138).

«Il corpo che riceviamo dai nostri genitori e che viene sviluppato dai nutrimenti
tratti direttamente o indirettamente dalla terra, non ha poteri spirituali, perché la sa-
pienza e la virtù, la fede, la speranza e la carità non nascono dalla terra. Esse non
sono prodotti dell’organizzazione fisica dell’uomo, ma gli attributi di un altro corpo
invisibile e glorificato i cui germi sono stati posti nell’uomo. Il corpo fisico cambia
e muore, il corpo glorificato è eterno. Quest’uomo eterno è l’uomo reale e non è
generato dai suoi genitori terreni. Esso non trae nutrimento dalla terra, ma
dall’eterna e invisibile fonte da cui ha avuto origine. Nondimeno i due corpi sono
uno solo […]. Il corpo temporale è la dimora del corpo eterno, e noi dovremmo
quindi averne cura, perché chi distrugge il corpo temporale distrugge la casa del
corpo eterno, e, sebbene l’uomo eterno sia invisibile, tuttavia esiste e diverrà visibi-
le a suo tempo […]. Il corpo è solo uno strumento; se cercate l’uomo nel suo corpo
morto, lo cercherete invano». Ma il corpo fisico, considerato di così poca importan-
za da coloro che amano sognare sui misteri dello spirito, è la cosa più segreta e pre-
ziosa. È la vera pietra «scartata dai costruttori» ma che deve divenire la pietra ango-
lare del tempio. È la «pietra» considerata senza valore da coloro che cercano Dio
sopra le nubi e lo respingono quando entra nella loro casa. Questo corpo fisico non
solo è uno strumento per il divino potere, ma è anche il suolo da cui ciò che è im-
mortale nell’uomo riceve la sua forza (Franz Hartmann; Il mondo magico di Para-
celso, pp. 254-255).

Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? […] chi si unisce al Signore
forma con lui un solo spirito […]. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello
Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi
stessi (San Paolo; Prima Lettera ai Corinzi, 6, 15-19).

Nelle dottrine spirituali, il fatto di considerare il mondo illusorio (Mâyâ) è un


espediente meditativo. È una “bugia” a fin di bene. È come se, nella caverna di
Platone, urlassimo (mentendo): “Uscite! Veloci, che la caverna sta andando in
fiamme!”. Si tratta di un tipico esempio di come le tradizioni metafisiche utiliz-
zino il simbolismo per suscitare delle intuizioni sovra-razionali:

289
[…] il mondo viene chiamato maya, illusione, sogno […]. Questo ha creato molti
fraintendimenti. In Occidente ci sono filosofi, come Berkeley, che affermano che il
mondo è solamente un sogno, una proiezione della mente. Ma questa è una teoria
filosofica […]. Quando Shankara dice che il mondo è un sogno, ciò non è filosofi-
co, non è una teoria. Shankara lo propone come un aiuto, come un sostegno per una
particolare meditazione (Osho; Il libro dei segreti, pp. 153-154).

D [David Godman]: Così il mondo non è realmente illusorio? R [Ramana Mahar-


shi]: Al livello del cercatore spirituale si deve dire che il mondo è un’illusione. Non
c’è altro modo. Quando un uomo dimentica di essere Brahman, di essere reale, per-
manente e onnipresente e si illude pensando di essere un corpo nell’universo riem-
pito di corpi transitori e si affanna sotto quell’illusione, gli deve essere ricordato
che il mondo è irreale e che è un’illusione. Perché? Perché la sua visione, dimentica
del suo stesso Sé, sta dimorando sull’universo esterno, materiale. Non si volgerà
all’interno nell’introspezione a meno che non gli venga impresso che tutto questo
universo esterno, materiale è irreale. Una volta che egli realizza il suo stesso Sé,
conoscerà che non c’è null’altro se non il suo Sé e verrà a considerare l’intero uni-
verso come Brahman. Non c’è universo senza il Sé. Finché un uomo non vede il Sé
che è l’origine di tutto, ma considera il mondo esterno come realtà permanente, gli
si dovrà dire che tutto questo universo esterno è un’illusione. Non si può farne a
meno. Prendi un giornale. Vediamo solo il testo, e nessuno nota la carta su cui è
scritto […]. Il saggio considera la carta e il teso come uno; come pure per quanto
concerne Brahman e l’universo (David Godman; Sii ciò che sei. Ramana Maharshi
e il suo insegnamento, pp. 221-222).

[…] la liquidazione del miraggio dell’identità non può in alcun modo rappresenta-
re, nell’ottica buddhista, una fatalistica rinuncia all’esistenza, una fuga dal mondo e
dal suo complesso fluire, un pessimistico abbandono della vita. Sradicare l’io non è
un’operazione terroristica di negazione e annientamento della realtà, ma la conse-
guenza naturale e necessaria di un complesso processo di conoscenza, radicato nel-
la pratica di vita, che riconosce la mancanza di sostanzialità e permanenza, la va-
cuità, di ogni espressione e funzione dell’Io. ‘Tutto è vuoto’ significherà, allora,
che l’io non è né il principio né il destinatario dell’universo degli eventi […]. Alla
stregua di ogni fenomeno, lo stesso io accade determinato da attività e funzioni (dai
gruppi di appropriazione, upādāna skandha) […]. L’io è un nome per indicare un
evento, e come per ogni evento tale nome connota un crogiuolo fitto e stratificato di
relazioni e dipendenze, allude a un campo di forze, a un’area di accadimenti gravi-
da di conseguenze. L’io non sta, non è, non consiste. Essere ‘io’ non è nient’altro
che inter-essere. In questo senso il Buddha può affermare “tutto è vuoto” (Emanue-
la Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 34).

290
69. LA LIBERAZIONE FINALE
Turya è il “Quarto stato”, ossia lo Stato edenico, solo logicamente distinto da
quello di colui che ha ottenuto la Liberazione in vita (Jîvanmukta), rinunciato al
proprio Io illusorio, trasceso la sua alterità rispetto all’Assoluto incondizionato.
Innanzitutto, va detto che l’ottenimento dello Stato edenico presuppone che il
meditante abbia prima realizzato i tre livelli precedenti, e che sia di conseguenza
ben radicato nel “Terzo stato” (Prajñā, Silenzio mentale):

Per morire a se stessi e raggiungere l’estinzione, l’apprendista sufi deve praticare la


purificazione mentale (Franco Fabbro; Neuropsicologia dell’esperienza religiosa,
p. 263).

Il “Quarto stato” coincide con il samadhi (unione mistica), ha sede simbolica


nel Cuore, cioè nell’interiorità, ed è il fondamento ontologico degli altri tre stati:

Turya letteralmente significa quarto stato, la suprema coscienza, distinta dagli altri
tre stati: veglia, sogno e sonno senza sogni. Il quarto stato è eterno e gli altri tre
vanno e vengono in esso. Nel turya c’è la consapevolezza che la mente si è immer-
sa nella sua sorgente, il Cuore, ed è cosciente là […]. Il samadhi è il proprio stato
naturale. È la corrente che giace sotto tutti e tre gli stati di veglia, sogno e sonno. Il
Sé non è questi stati, ma questi stati sono nel Sé. Se otteniamo il samadhi nel nostro
stato di veglia, persisterà anche nel sonno profondo. La distinzione fra coscienza e
incoscienza appartiene al regno della mente, che viene trascesa dallo stato del Sé
reale (Ramana Maharshi; Sii ciò che sei, pp. 186 e 192).

Ma colui che ha raggiunto il Quarto stato (ossia l’Uomo edenico) in che cosa
si differenzia da noi, Uomini naturali? È forse un asceta che si ritrae da mondo,
immerso nella sua contemplazione? Certo che no! Egli è un normalissimo uomo,
che continua a percepire i fenomeni, mangiare, dormire, ecc., proprio come noi.
Solo che - a differenza nostra - è pienamente consapevole (non perché lo pensa,
ma perché lo ha “visto”) della profonda indivisibilità del reale; egli sa infatti che
l’Assoluto è presente in ogni singolo ente relativo, che tutto è divino, e che non
vi è alcuna alterità tra il mondo del divenire ed il suo principio immutabile:

Infatti anche la più piccola creatura in Dio ha una altrettanto alta dignità (Meister
Eckhart; Sermoni tedeschi. Beati pauperes spiritu, quia ipsorum est regnum coelo-
rum, p. 128).

Quando l’illuminazione è compiuta, un Bodhisattva è libero dalla schiavitù delle


cose, ma non cerca di essere liberato dalle cose. Il saṃsāra (il mondo del divenire)
non è odiato da lui, né egli ama il nirvāṇa. Quando riluce la perfetta illuminazione,
essa non è schiavitù né liberazione (Pruṇabuddha Sūtra. Citazione tratta da: Al-
dous Huxley; La Filosofia Perenne, p. 96).

291
Prima di praticare lo zen, il fiume mi sembrava un fiume, la montagna una monta-
gna. Da quando pratico lo zen vedo che il fiume non è più un fiume, la montagna
non è più una montagna. Ora ritrovo il fiume come fiume, la montagna come mon-
tagna (Thich Nhat Hanh, op. cit., p. 60. Citazione tratta da: Giangiorgio Pasqualot-
to; Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d’Oriente e d’Occidente, p.
167).

Infatti il mondo non è un’illusione della mente nel senso che non ci sia nulla da ve-
dere per gli occhi di un uomo liberato (jivanmukta), all’infuori di un vuoto senza
traccia. Egli vede il mondo che noi vediamo, ma non lo delimita, non lo misura,
non lo divide alla nostra maniera. Non lo considera come realmente e concretamen-
te suddiviso in cose ed eventi separati (Alan W. Watts; La via dello zen, p. 57).

[…] il «sapiente» è libero da ogni ulteriore rinascita, ma, pur non essendo più sog-
getto all’inganno della dualità, percepisce il mondo non dissimilmente da prima. La
fune continua a sembrare un serpente, solo la realtà del serpente è scomparsa, e con
essa la causa della paura. Il karman responsabile della sua vita attuale continuerà a
suscitare esperienze fino alla morte, ma, se il sapiente ha il pieno controllo dei suoi
pensieri, ha la possibilità di non allontanarsi mai dalla pienezza del brahman. «Il
sapiente ha fatto tutto ciò che era da fare, è per sempre liberato in vita […]. L’ap-
parenza del corpo dura allora fino all’esaurimento del karman attivo» [Sureśvara,
Pañcīkaraṇavārtika, 56-58] (Roberto Donatoni; Introduzione a: Vidyāraṇya; La li-
berazione in vita. Jīvanmuktiviveka, p. 51).

Al di sopra del destino. Paradossalmente, solo chi accetta completamente il proprio


destino ne è libero, mentre chi lo rifiuta è costretto a seguirlo controvoglia: “condu-
cimi dove vuoi, o Padre e Signore dell’alto cielo, non esito a obbedire: eccomi
pronto. Supponi che io non voglia, seguirò piangendo e subirò di malanimo ciò che
avrei potuto fare volentieri. Il fato guida chi segue, trascina chi recalcitra (docunt
volentem fata, nolentem trahunt) (Seneca, Ep. 107, 11). Accogliendo quietamente il
destino universale il sapiente così se ne scioglie, perché “la catena del fato non può
essere spezzata, ma possiamo distaccarcene diventandone spettatori e non più vit-
time”. Egli passa dalla sfera individuale del fato a quella infinita della provvidenza,
dal cielo del divenire all’attività non-agente, o, per usare la metafora geometrica
adoperata da Boezio, dalla circonferenza al centro: “quello che più si allontana dal-
la prima mente, tanto più si avviluppa nei lacci del fato e, al contrario, tanto più un
essere è libero dal fato quanto più si avvicina a quel fulcro di tutte le cose; e se ade-
risce alla stabilità della mente suprema, privo di moto, s’innalza anche al di sopra
della necessità del fato. Come dunque il ragionamento sta all’intuizione, ciò che
viene generato a ciò che è, il tempo all’eternità, la circonferenza al centro, così il
corso mutevole del fato sta all’immobile semplicità della provvidenza” (De cons.
phil. IV, 6, 65-70). Ancora una volta il simbolismo della tessitura ci può aiutare a
comprendere meglio questa condizione di liberazione spirituale. Il sapiente infatti,
percependosi come filo di una rete infinita, cessa di identificarsi con quel singolo
ente che si crede soggetto a nascita e morte e realizza il suo essere la totalità del
tessuto della vita (zoé), che non può morire perché non è mai “nata”, ossia non si è

292
mai affermata esclusivamente come singolo nodo. In questo modo la sua anima
riacquista le “ali”, vola in alto, e da lassù ritrova lo sguardo del Tutto da cui si era
distolta rinchiudendosi nell’individualità (Paolo Vicentini; La tessitura della sag-
gezza. Tra Oriente e Occidente).

Ci avviciniamo qui al segreto della dolcezza plotiniana. Il saggio, con la sola pre-
senza della propria vita spirituale trasforma sia la sua parte inferiore, sia quanti lo
avvicinano. Da un’estremità all’altra della realtà, l’azione più efficace è presenza
pura. Il Bene agisce sullo Spirito con la sua sola presenza, e lo Spirito agisce
sull’anima, l’anima sul corpo, con la loro sola presenza. Nell’ascesi plotiniana non
esiste dunque lotta con se stesso, non esiste «conflitto» spirituale. È sufficiente che
l’anima contempli, che si volga a Dio perché tutto quanto l’essere, fino alle sue par-
ti infime, venga trasformato. Qualcuno potrebbe forse pensare che una contem-
plazione del genere assorba l’anima e le impedisca di prestare attenzione alle cose
esterne. Ma la vita di Plotino testimonia che - quando si è raggiunto un certo grado
di purezza interiore, quando la contemplazione è diventata continua, quando lo
sguardo è stato purificato ed è diventato come luminoso, l’attenzione per lo Spirito
non esclude l’attenzione per gli altri, per il mondo, per il corpo stesso. Si è contem-
poraneamente presenti allo Spirito e agli altri con la stessa disponibilità, la stessa
aspettativa amorosa. Questa premura è la dolcezza. Lo sguardo, trasfigurato, perce-
pisce la grazia con cui Dio si manifesta, che riluce su ogni cosa. Collocatosi nel Be-
ne lo sguardo di Plotino vede, in certo qual modo, le cose nascere a partire dal Bene.
Non esiste allora più né interno né esterno, ma una sola luce, per la quale l’anima
prova solo dolcezza: «Più si è migliori, più si è benevoli verso tutte le cose e verso
gli uomini» (Enneadi, II, 9, 9, 44-45). Plotino ha sperimentato - a questo si riduce
tutta la sua vita - che la dolcezza, come la grazia, annuncia la presenza del Principio
di tutte le cose: «Il Bene è pieno di dolcezza, di benevolenza e di delicatezza: è
sempre a disposizione di chi lo desideri» (Enneadi, V, 5, 12, 33-35) (Pierre Hadot;
Plotino e la semplicità dello sguardo, p. 92).

Estasi non significa solo unione con l’Uno, ma anche scoperta del nostro vero esse-
re, che è andare «al di là dell’essere», nel Bene, ossia nella regione degli dèi e degli
uomini cari agli dèi - la regione, potremmo dire con Dante, «che solo amore e luce
ha per confine» [Paradiso, XXVIII, 54] - in una beatitudine mille miglia lontana dai
piaceri terreni […]. L’estasi plotiniana, con la sua assenza di determinazioni psico-
logiche e sensibili, è in certo senso il vertice della mistica: suprema unione all’Uno/
Bene e, insieme, suprema discesa nell’interiorità, nel profondo di noi stessi. Come
tale essa è stata utilizzata ampiamente da Agostino […]. Non si deve però pensare
che l’estasi sia in contrapposizione con la quotidianità, che in tal modo scadrebbe a
un livello inferiore di esistenza. Al contrario, l’estasi come evento eccezionale ge-
nera, per così dire, un’estasi costante, ovvero presente in ogni momento della vita,
nella sua normale ordinarietà. È infatti nell’esperienza dell’estasi plotiniana, ovvero
per la certezza della realtà dell’Uno, che si acquisisce quell’habitus di tranquilla si-
curezza nel distacco che permette di vivere nel tempo come se si fosse nell’eterno.
La condizione estatica nel quotidiano si realizza quando il distacco è diventato un
habitus, ovvero una forma di vita costante, che non costa sforzo alcuno. Allora

293
l’uomo vive la vita di ogni giorno, che è anche vita attiva, con tutte le sue opere,
come se essa fosse uno spettacolo, cui l’uomo prende parte essendo insieme attore
e spettatore, dal momento che ne resta comunque interiormente distaccato. In quan-
to evento eccezionale, l’estasi non può né deve riempire di sé tutta l’esistenza, ma
richiamare alla coscienza dei valori più alti e ispirare azioni virtuose […]. La misti-
ca autentica, infatti, non è programma di rinuncia o evasione, né si protende ansio-
samente verso la vita ultraterrena, ma muove ad operare concretamente quaggiù,
nel vivo dei rapporti umani, per la giustizia. Nelle sue Istruzioni spirituali Meister
Eckhart si pronuncia perciò criticamente nei confronti delle manifestazioni ecce-
zionali quali il giubilo, i rapimenti, le estasi, ecc., che «possono essere effetti cele-
sti, oppure effetto dei sensi, e non sempre coloro che più li provano sono i migliori»
[…]. Tutti i grandi mistici cristiani sono concordi su questo - anche i più grandi
estatici. Teresa d’Avila scrive che al termine ultimo del cammino spirituale cessano
i rapimenti, le estasi. Lo stesso pensa Giovanni della Croce, che insegna che esse
non hanno niente a che fare con lo spirito, per cui non bisogna dare loro troppa im-
portanza. Pensare che la presenza o l’assenza di un qualsiasi “stato” possa essere
segno di per sé indicativo di qualcosa di giusto o di sbagliato, è idolatria, non mi-
stica: anche nel sufismo si dice che «la verità giunge dopo gli “stati” e le estasi e ne
prende il posto» (Marco Vannini; Lessico mistico. Le parole della saggezza, pp. 87-
89).

E se ti sei finalmente svegliato, resta sveglio in eterno (Friedrich Nietzsche; Così


parlò Zarathustra, III, Il convalescente, p. 178).

294
70. SCHEMI GENERALI

GERARCHIA FRA I TRE LIVELLI DELLA MANIFESTAZIONE19

OAC = «Orientamenti
auto-Contemplativi» o B] Spirito
«Piani di riflessione» universale

C] Anima
universale
Anime particolari

stesso stesso
O Ac Asse cosmico Asse cosmico O Ac

Singolarità iniziale Inversioni istantanee


del Cosmo n fra Spazio e
Tempo

Spazio Tempo Spazio Tempo

Morte termica
del Cosmo n

Cosmo Cosmo Cosmo Cosmo


n–1 n n+1 n+2

D] Manifestazione fisica [totalità degli indefiniti Universi]

19
Questa figura unisce le due dei capitoli n°24 e 31.
295
CONTEMPLAZIONE CREATRICE

[6]
[1] [2] CONDIZIONE
DI ESISTENZA
[4] M / CATEGORIA

P R È
Lato oscuro della [13]
Shakti = Possibilità
manifestabili che x
non si manifestano

[3]
È? EL È1!
! [12]

y-x [11]
GL ,

AD p

[5]
[7] [8, 9, 10]

11. Determinante essenziale [x] o Limite:


specchio soggettivante, unificante, identificante,
centralizzante, interiorizzante [anabasi]

7. Determinante sostanziale [y], Sostrato o Illimite:


specchio oggettivante, moltiplicante, diversificante,
dispiegante, esteriorizzante [catabasi]

9. Aspetto oggettivo periferico personificato [Nome divino],


correlato alla propria Shakti particolare = alle sue Possibilità

296
Legenda:

[1] Realtà originaria, trascendente il Livello trattato [Ipostasi superiore]


[2] Causa non-agente, che permane non-manifestata nel Livello trattato
[P] Processione passiva [x], Folgorazione, Fiat Lux, Traboccamento
dell’«Alterità» apparente - la quale si affermerà auto-contemplandosi
[3] Realtà «traboccata», Alterità apparente, Shakti, Soggetto possibile [È?]
[4] Realtà manente x [2 + 3]; è ancora 1, considerato però «distintivamente»
[GL] Generazione del Logos, principio del Pensiero [Pensatore]
[5] Logos, Verbo, Facoltà pensante e Volontà attiva, Purusha, Essenza
[AD] Apparente Auto-Condizionamento o Auto-Determinazione
[6] Categoria logica o Condizione limitante [da aggiungere alle precedenti]
[7] Illimite, specchio moltiplicante/oggettivante [y], Caos, Prakriti, Potenza,
Sostanza [Pensiero vuoto, che accoglie passivamente le Determinazioni]
[p] Processione attiva y-x dell’Attributo oggettivo molteplice [Pensato]
[8] Determinazioni oggettive fondamentali [Possibilità che si attuano - cioè
che si manifestano - all’interno della Condizione di esistenza data]
[9] Nomi divini, Aspetti oggettivi periferici personificati [9 ⊇ 8]
[10] Attributo oggettivo unitario [Pensato], Soggetto in potenza [10 ⊇ 9 ⊇ 8]
[r] Conversione e Ritorno attivo y-x degli Oggetti verso il Soggetto unitario
[11] Determinante essenziale [x]: Limite, specchio unificante/soggettivante
[12] Soggetto in atto, identificazione del Riflesso con il Modello originario
[m] Manenza y-x [Permanenza dell’Oggetto manifestato all’interno
del Soggetto centrale, non-alterità / identità essenziale fra essi]
[EL] Estinzione del Logos, ritorno consapevole allo stato di Possibilità
[13] Livello gerarchico della Realtà condizionata o Mâyâ [È]
[R] Ritorno passivo [x], Annichilimento nella Fonte
[M] Manenza x [Permanenza effettiva del causato nella Causa non-agente]

297
LE CORRISPONDENZE UNIVERSALI:

1. Realtà originaria 3. Realtà traboccata, 5. Volontà 6. Ca- 7. Illimite


[Ipostasi]; «Alterità» [apparente], e Facoltà tegoria [y = specchio
2. Causa Shakti [= Energia], pensante, e Con- oggettivante]
non-agente Soggetto possibile Logos o dizione + Determina-
Verbo, Atto, di esi- zione in esso
4. Realtà manente: 2 + 3 [3 è immanente a 2] Essenza stenza generata

Mx = Manenza, Permanenza in sé GL = Gene- AD = Condizionamento


[x = Processione e Ritorno passivi] razione Logos e Auto-Determinazione

1 = Infinito ne-
– – Rela-
gativo, «Uno»
0 tività,
[Assoluto], L’Assoluto è semplice, indiviso, Contin-
Pura Coscienza non-duale, quindi inintelligibile. genza
impersonale, Dio È la Ragione che vi applica le sue Rela-
nascosto, «Nulla» Categorie [Relazione, Quantità, ecc.] zione -----------------
[di determinato], per poterlo indagare oggettivamente
En-Sof, Brahman Ogget-
tività

1 = Infinito nega- 3. Shakti divina = Divisibilità


Âtmâ-
tivo [Assoluto]; «Alterità» intelligibile infinita nel
logos,
A 2 = Sovra-Essere o Essere possibile Continuo
«spirito Quan-
vivente», tità -----------------
4. Infinito positivo; include la Shakti divina
Purusha, Molteplicità
[e quindi i Nomi divini o shakti particolari
Essenza numerica [n]
personificate], tramite la quale si manifesta

1 = Spirito uni- 3. Shakti angelica Jîvâtmâ- Indifferen-


versale, Nous; = Monade parti- logos, ziabilità
B colare possibile «anima -----------------
Qua-
2 = Essere [Ahamkâra] vivente»
lità Diversità
[è Âtmâ
4. Angelo o Buddhi [è Mahat in ogni formale
considerato in senso «distributivo»] essere] [≠]

1 = Anima univer- 3. Shakti demo- Istantaneità


sale, insieme delle niche = Possibilità nel puro
Anime particolari quintessenziale o Prâna- Spazio
C 2 = Monadi Etere possibile logos, Spazio- -----------------
«soffio Tempo Movi-
4. Demoni D-I [+ D-II, D-III e D-IV]; i vitale», mento
Demoni nati da uno stesso «orientamento Mana locale
auto-contemplativo» di tutte le Monadi
generano un medesimo Cosmo fisico [卍]

298
REALTÀ TOTALE

8. Determina- 9. Nomi di- 11. Li- 12. Soggetto 13. Livello


zioni oggettive vini = aspetti mite [x = centrale in atto gerarchico
fondamentali «periferici» specchio [auto-identi- della Realtà
[Possibilità ⊆ 9] personificati unificante ficazione con condizionata
e sogget- il proprio og- o Mâyâ:
10. Attributo oggettivo unitario [⊇ 9] tivante] getto pensato] A, B, C, D,

Py-x = Processione attiva, Ry-x = Ritorno attivo, «In- My-x =


«Espirazione», Effusione spirazione», Riassorbimento Manenza

Possibilità Nomi divini


Infinito
[Virtualità + [Archetipi,
positivo =
Potenzialità], shakti par-
Non- Sovra- Sovra-Esse- A
Ecceità eterne ticolari]
Alterità Essere, re + Shakti,
con Causa Coscienza-
Shakti divina, Energia di
l’As- non- ed-Energia,
manifestazione, Possibilità
soluto agente «Nulla-
universale totale [«Tutto»],
Tutto», Tao,
«Alterità» intelligibile, Essere
Shiva
possibile, Realtà oggettiva

Idee causali, Poten- Shakti


Essere Spirito
zialità sovra-formali angeliche Unità U
univer- universale,
sem- B
sale, Sat, o Er-Rûh, Per-
Intelletto divino, Mahat, Oggetto plice ed
Soggetto sona suprema,
unitario totale, Esistenza allo stato indivisa m
unitario Nous, Trinità,
potenziale e principiale, Mondo [1]
totale o «Uno-Molti»
causale o delle Idee pure [Iperuranio]

Elementi essenziali Monade [Anima par-


Shakti
sottili [Tanmâtra], Identità «trasmi- U ticolare, «Io»
demo-
Forme immaginali, uniforme grante» o celeste, Per- C
niche n
Potenzialità formali ed onni- Ahamkâra sonalità an-
forme [Essere i gelica: esiste
Psiche angelica [esiste nel Mondo [=] parti- nella] Anima
immaginale o delle Forme pure] colare] v universale
e
4 Elementi naturali: Elementali Immu- [Cosmo fi-
Materia sensibile, Vita [shakti tabilità r sico; è come
organica, Psichismo e dell’Uomo punti- la spira di una
Etere, s
Ragione / Manas edenico] forme, spirale ciclica, D
Quintes-
inestesa, a che nella sua
senza o
Natura: Mondo del Divenire, nel puro totalità rap-
Âkâsha l
della Vita e dell’Uomo naturale, Tempo presenta la]
dei fenomeni / processi sensibili, e Manifesta-
biologici e psico-mentali [E] [⊙] zione fisica

299
LE CORRISPONDENZE UNIVERSALI:

1. Realtà originaria 3. Realtà traboccata 5. Facoltà 6. Ca- 7. Illi-


[Ipostasi]; 2. Causa Shakti, «Alterità», pensante, tegoria mite +
non-agente Soggetto possibile Logos attivo, o Condi- Deter-
Verbo, Atto, zione di mina-
4. Realtà manente: 2 + 3 [3 è immanente a 2] Essenza esistenza zione

Mx = Manenza, Permanenza in sé GL = Genera- AD = Condizionamento


[x = Processione e Ritorno passivi] zione Logos e Auto-Determinazione

1 = Anima universale; 3. Shakti Prâna- Istan-


C 2 = Monadi dei D-I logos Spazio- taneità
«produt- Tempo + Movi-
4. D-I = Demone degli Astri [Corpi celesti] tore» mento

Mx = Manenza, Permanenza in sé GL = Genera- AD = Condizionamento


[x = Processione e Ritorno passivi] zione Logos e Auto-Determinazione

1 = Anima universale; 3. Shakti


Prâna-
C 2 = Monadi dei D-II Materia sensibile
logos
4. D-II = Demoni o Geni «vivifi- [▽]
[jinn] delle Specie viventi catore»

Mx = Manenza, Permanenza in sé GL = Genera- AD = Condizionamento


[x = Processione e Ritorno passivi] zione Logos e Auto-Determinazione

1 = Anima universale; 3. Shakti


Prâna- Corporeità organica
C 2 = Monadi dei D-III
logos [collettività di con-
4. D-III = Demoni o Destini di Gruppi «socializ- specifici], dotata di
sociali, Popoli o Nazioni [Volksgeist] zatore» cervello pensante

Mx = Manenza, Permanenza in sé GL = Genera- AD = Condizionamento


[x = Processione e Ritorno passivi] zione Logos e Auto-Determinazione

1 = Anima universale; 3. Shakti Prâna-


Materia psichica
2 = Monade del D-IV logos
C [Mente], Concettua-
«reggi-
4. D-IV = Demone di un singolo essere lità: formazioni e
tore»
«centrale» individuale [dáimōn socratico] stati psicomentali
[Logica]

Mx = Manenza, Permanenza in sé Ondine D-I Gnomi


[x = Processione e Ritorno passivi] [D-II →] + D-II [ D-I]

1 = Cosmo fisico; 3. Quattro Ele- Vita


D 2 = Etere menti naturali organica: Corpo Materia
facoltà e organico sensibile
4. Uomo edenico, «vero» o primordiale funzioni

300
NATURA VIVENTE / UOMO NATURALE

8. Determina- 9. Aspetti 11. Determi- 12. Sog- 13. Livello


zioni oggettive «periferici» nazione x [spec- getto cen- gerarchico
[processi fisici] personificati chio centraliz- trale in della Realtà
zante, unificante atto [auto- condi-
10. Attributo oggettivo unitario e soggettivante] cognizione] zionata

PR = Produzione attiva nel Evoluzione biologica


Sostrato spazio-temporale [da Minerale a Uomo]

Materia Gnomi
sensibile [shakti] –
– / Volume /
▽ Terra [Materia o
C
Astro [Corpo celeste massivo] Cadavere (sòma)– ] = Minerale r
– g
o
VV = Vivificazione, infusione – ----------
---------- ↓
della Vita organica nella Materia – a
r

▽ + Acqua ▽ n
Corporeità Ondine –
organica [shakti] p [Vita / Superficie / Sonno i

profondo] = Vegetale c
Specie vivente nella sua feno- o e Animale–«inferiore»
– o
menicità fisiologico-evolutiva

SC = Socializzazione, infusione -------------------------- ↓ --------------------------
dello Psichismo nella Vita
r
Materia Salamandre M ▽▽+ Fuoco △ a
psichica [shakti] [Psichismo / Linea /
z
e Sogno] = Animale
Gruppo sociale nella sua feno- «superiore» i
menicità psicofisica e culturale n o
RG = Reggenza, infusione t ---------- ↓ ---------- n
della Ragione nello Psichismo a
e ▽▽△+ Aria △ l
Idee mentali, Silfidi
logico-razionali [shakti] [Ragione e Senso interno / e
Punto / Veglia] = Uomo naturale
Individuo «centrale» [Corpo
organico + Mente razionale] ↓

Salamandre D-I + D-II + Silfidi Soggettività Natura


[D-III →] D-III + D-IV [ D-IV] dell’Aggregato vivente

Materia Ragione, Senso interno


psichica Mente Intelligenza [Manas], Uomo E
[rappresenta- razionale riflessiva, autoconsa- naturale
zioni interne] Logica pevolezza

301
POSTFAZIONE
Quella che abbiamo qui umilmente presentato è soltanto una possibile visione
delle cose, non qualcosa a cui “attaccarsi”:

Vi ho mostrato, o monaci, come l’insegnamento sia simile a una zattera, la quale è


costruita allo scopo di traghettare e non di mantenercisi attaccati (Majjhima nikāya,
22. La Rivelazione del Buddha. I testi antichi, pp. 139-140. Citazione tratta da:
Emanuela Magno; Nāgārjuna. Logica, dialettica e soteriologia, p. 42).

Amico, basta ormai. Se vuoi leggere ancora, va’ e diventa tu stesso la Scrittura e
l’Essenza (Angelus Silesius; Il Pellegrino cherubico, VI, 263, p. 285).

302
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