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Milano
Prima edizione: maggio 2016
ISBN: 9788869211621
Curatela editoriale: Blandings
Realizzazione editoriale: Studio Dispari – Milano
CHIARA VENTURELLI
Lezioni di seduzione
A Melissa
1
«Avete letto tutti il copione, quindi non mi resta che comunicarvi il ruolo che
interpreterete; la scelta è a mio insindacabile giudizio e non sarà in alcun modo e
per nessuna ragione modificata.»
Alle parole del professore mi colse un brivido, mi ero illusa di avere possibilità
di scelta e avevo già individuato i personaggi con il minor numero di battute.
Avevo sempre amato il teatro, come spettatrice però; ero finita in quel corso
per uno scherzo del destino, un banale errore di compilazione del modulo di
iscrizione. Ora però quei crediti mi erano assolutamente necessari.
A ogni personaggio secondario che veniva assegnato ad altri il mio cuore
sussultava e aumentava i battiti, vedendo incredibilmente sfumare le mie
possibilità di rimanere sullo sfondo. Eppure, non era possibile che affidasse un
ruolo principale proprio a me: avevo sempre partecipato con scarso entusiasmo
alle lezioni e non ero riuscita a nascondere la mia cronica timidezza.
Di certo, non avrei mai potuto vestire i settecenteschi panni di Catherine,
regina indiscussa dell’opera teatrale inedita su cui il professore aveva scelto di
impostare le ultime lezioni del corso. Alla fine del quale saremmo andati in
scena, in un vero teatro. Dopo aver letto il copione, ero ancora più ansiosa di
essere sul palco il meno possibile.
«Il ruolo di William, il giovane e avvenente maestro di seduzione, va a… Jack,
ovviamente!» All’annuncio del professore le ragazze squittirono in coro,
estasiate. Jack era il migliore del corso e quando si calava nella parte riusciva a
diventare anche il contrario di ciò che era. Cioè un bastardo, seppure di talento.
Una sola volta, grave errore, avevo pensato di domandargli un chiarimento su
un esercizio che lui – al contrario di me – aveva svolto brillantemente in classe.
Lo avevo avvicinato fuori dall’aula, mentre chiudeva una telefonata. Gli avevo
posto la mia domanda, scusandomi anche per il disturbo, ma lui si era limitato a
fissarmi per un lungo istante, come se stesse cercando di capire chi ero, per poi
dirmi che non aveva tempo e girare i tacchi. La risposta gli avrebbe rubato ben
sessanta preziosissimi secondi ma evidentemente erano troppi per me.
Non brillava certo per educazione e simpatia insomma, ma era bravissimo a
recitare: il ruolo del protagonista non sarebbe potuto andare a nessun altro.
Fu il silenzio a riscuotermi dai miei pensieri. Possibile che il professore avesse
finito? Ero stata così poco brillante in classe da venire esclusa del tutto dalla
rappresentazione?
Mi feci coraggio, pronta a chiedere un chiarimento, ma lo sguardo carico di
odio che mi stava lanciando Kristen mi paralizzò. Spostai lo sguardo sul
professore, che stava fissando proprio me. Forse in attesa che tornassi a prestare
attenzione.
«E per finire… la nostra protagonista sarà interpretata da Elizabeth!»
«Cosa?» Mi uscì di getto, senza che potessi controllarmi.
Mi stava prendendo in giro, non era assolutamente possibile che avesse scelto
me.
«Sì cara, e mi sembra anche di essere stato chiaro sull’insindacabilità del mio
giudizio» ghignò lui.
Una punizione, non c’era dubbio. Fin dal primo giorno che ero entrata nella
sua aula, un po’ smarrita e poco convinta, lui e tutti i miei compagni aveano
senz’altro capito che ero ben poco motivata. Però, pur essendo capitata lì per
errore, ero sempre stata attenta e rispettosa, molto più degli altri. Era ingiusto
che si vendicasse in quel modo!
«Professore scusi, rischierei di rovinare il suo spettacolo…» Tentai l’ultima
carta, pregando che tornasse in sé. Di certo l’opera scritta di suo (malato) pugno
valeva più del divertimento di tormentare una povera studentessa!
«Quindi ti conviene impegnarti, ti occorre almeno la sufficienza per ottenere
questi crediti, o sbaglio?»
«Sì, ma…» annaspai, ancora incredula.
Mi aspettavo che ridesse e confermasse che era stato solo uno stupido scherzo;
probabilmente voleva spingermi a impegnarmi di più e lo avrei fatto, sarei stata
la migliore governante mai vista. Oppure la più amabile anziana zia di Catherine.
Quelli erano ruoli perfetti per me!
Il professore, però, non rettificò la sua scelta né mi lasciò tentare di elencare
tutti i palesi motivi per cui sarei stata un totale disastro su quel palco.
«Ci tengo a precisare che la riuscita di questa rappresentazione, alla quale
tengo particolarmente come sapete, influirà all’ottanta per cento sulla vostra
valutazione finale.» Dopo quell’ultimo annuncio, che suonava come una terribile
minaccia, il vociare si intensificò: i miei compagni di corso mostravano il loro
disappunto per la scelta della protagonista femminile. Come poteva riuscire lo
spettacolo, con me nel ruolo principale? Non potevo che dar loro pienamente
ragione.
Kristen si era attaccata al braccio di Jack pregandolo sottovoce di convincere il
professore a dare a lei il ruolo di Catherine.
«Jack, tesoro! Lo dico anche per te, vuoi davvero passare le prossime
settimane a recitare con quella?!» insisteva in un bisbiglio perfettamente udibile
da tutti.
Rimpiansi i tempi in cui mi ignorava o, nel peggiore dei casi, rideva dei miei
goffi tentativi di recitazione.
«Basta così!» Quando il pazzo iniziava a urlare era meglio tacere, e infatti calò
un silenzio di tomba. «Venerdì proveremo le prime due scene del primo atto,
imparate a memoria le vostre battute e…» si interruppe girandosi verso di me,
minaccioso. «Elizabeth, sarà il caso che tu e Jack proviate anche fuori da qui.
L’intera opera si basa sul vostro controverso rapporto e se non riuscite a creare
l’alchimia necessaria sarà tutto lavoro inutile.»
Deglutii sbiancando. Provare anche fuori da quell’aula? Anche se avessi avuto
tempo, non avrei certo scelto di passarlo proprio con lui!
La reazione di Jack invece fu semplicemente uno sbuffo e un’alzata di spalle;
d’altronde, niente meno di un’apocalisse poteva scalfire la sua imperturbabilità.
Aveva ottenuto il ruolo principale e tanto gli bastava.
«Per oggi è tutto.» Il tono del professore chiarì che non avrebbe tollerato
ulteriori recriminazioni.
Kristen tentò, di nuovo, di perorare la sua causa ma venne liquidata con
un’occhiata infastidita.
«Jack!» squittì lei, isterica.
Per un attimo, dimenticai la mia tragedia personale e repressi un sorriso
quando lo vidi alzare gli occhi al cielo e sbuffare, di fronte alle lamentele della
primadonna mancata.
Ingannai il tempo fingendo di sistemare i libri nella borsa, mentre attendevo
che Jack rimanesse finalmente da solo. Mi accorsi che stava uscendo e dovetti
quasi corrergli dietro per non perderlo di vista.
«Quando ci vediamo?» La voce mi uscì strozzata, memore del primo e unico
approccio avuto con lui.
«Come?» Si fermò e mi guardò con evidente stupore.
«Dobbiamo provare insieme la scena entro venerdì» spiegai. Non era stato
attento? Forse era troppo preso da Kristen e dalle sue lagne?
«Giusto» sospirò. «Vengo stasera da te, dove abiti?»
«Ho una stanza qui nel campus, ma è molto piccola, sarebbe meglio vedersi
altrove» risposi, poco incoraggiante. Non avevo nessuna intenzione di chiudermi
nella mia minuscola camera con lui, di sera per giunta. E perché avrebbe dovuto
averne voglia lui?
«Andrà bene, dobbiamo solo provare qualche battuta.» Prima che potessi
ribattere sfilò una penna dalla cartellina e mi prese per un polso.
Mi irrigidii, colta alla sprovvista, e sentii la punta della biro muoversi sul dorso
della mia mano.
«Questo è il mio numero, scrivimi un messaggio poco prima delle nove
altrimenti mi dimentico.» Mi sorrise e se ne andò, senza lasciarmi il tempo di
rispondere.
Avere a che fare con lui non sarebbe stato per nulla facile.
Mai dare ascolto a Jessica. Me lo sarei fatta tatuare su entrambe le mani per
ricordarlo. Immersa nel caos del pub più vicino al campus, mi sentivo fuori
posto e di cattivo umore. Stavo valutando di ritornare al mio comodo pigiama,
quando qualcuno mi chiamò.
«Ciao Elizabeth!»
«Rick! Ciao…?» lo salutai, un po’ titubante. Frequentava il corso di teatro ma
non ci eravamo mai davvero parlati. Peccato, perché sembrava simpatico.
«Sei qua da sola?» mi domandò, senza smettere di sorridermi.
Annuii e lui mi regalò un sorriso ancora più grande.
«Vieni a sederti al nostro tavolo, dai!»
Lo seguii e salutai un paio di volti noti mentre mi presentava altre due ragazze
e un ragazzo. Rick mi coinvolse, con entusiasmo contagioso, in una
conversazione sulle peggiori figure fatte durante gli esercizi di recitazione. Stavo
ridendo al racconto della sua primissima esperienza teatrale, all’asilo, nei panni
dell’albero numero due, quando una delle ragazze disse, gli occhi fissi sulla
porta.
«Strano che sia apparso a quest’ora. Di solito è già al lavoro.»
Non feci in tempo a girarmi che uno dei ragazzi aveva già urlato il suo nome
per chiamarlo al tavolo.
«Jack!»
Mi voltai di scatto. Mentre lo guardavo avanzare verso di noi, Kristen sbucò
dalla folla delle matricole e gli si buttò addosso, stampandogli un bacio sulla
bocca.
«Eccola che ci prova, come al solito. Devo ammettere che quei jeans non gli
stanno niente male ma è sempre un peccato vederlo vestito…» Una delle due
amiche di Rick evidentemente avrebbe voluto essere nei panni di Kristen… Ed
era stata già anche in quelli di Jack.
Feci una smorfia e fu con quell’espressione sul viso che Jack mi vide quando
arrivò al nostro tavolo, con Kristen appesa al braccio.
«Su su, ragazzi. Stringetevi che ci sediamo qua con voi» ordinò lei,
evidentemente pronta a sederglisi in grembo.
Mi ritrovai spinta sulla panca, di malagrazia, verso Rick, una gamba quasi
accavallata alla sua.
«Stai troppo stretta?» mi chiese, posando il braccio sullo schienale e
sfiorandomi la spalla con il torace.
«No, no. Sto…» Alzai gli occhi e mi sorpresi nel trovarlo così vicino. Il suo
respiro mi sfiorò la tempia, l’odore del suo dopobarba mi avvolse e il tocco del
suo braccio sulla schiena mi provocò un brivido. Imbarazzata, mi ritrassi appena
e lui fece per togliere il braccio.
«Ahi!» una ciocca dei miei capelli si era incastrata nel cinturino d’acciaio del
suo orologio. Rick si bloccò.
«Uh aspetta!» Si sporse verso di me, avvolgendomi nel suo abbraccio mentre
districava i miei capelli con l’altra mano. Molto lentamente.
«Fatto» sussurrò poi, allontanandosi solo di qualche centimetro e rimanendo a
fissarmi negli occhi.
«Catherine, le lezioni stanno funzionando, eh?» La battuta di Jack ruppe
l’incantesimo, scatenando una risata generale.
A un occhio esterno, io e Rick dovevamo essere sembrati molto coinvolti, a un
passo dal baciarci. Me ne resi drammaticamente conto solo in quel momento e
non riuscii a non arrossire.
Rick non rise, e avvertii che i muscoli del suo braccio a contatto con la mia
schiena si tendevano. Lo sentii sbuffare, poi si rilassò e mi bisbigliò: «Ti va se
usciamo da qua?».
Mai richiesta fu più gradita. Salutammo rapidamente e io evitai di guardare in
direzione di Jack. Non avevo nessuna intenzione di dargli soddisfazione.
«Non prendertela, ormai sappiamo che per Jack è tutto un palcoscenico» Rick
cercò di alleggerire l’atmosfera, mentre teneva aperta per me la porta del pub.
«Oh, lo so bene» borbottai.
Rick, che aveva una mano in tasca, si bloccò e sbuffò. «Deve essermi scivolato
fuori il telefono, dannazione! Torno tra un minuto, scusami.»
«Non ti preoccupare, il campus è vicino!»
Ma Rick era già rientrato, con un sorriso e il segno di aspettarlo.
La porta si riaprì dopo pochi secondi.
«Hai fatto presto!» sorrisi, girandomi.
«Con quale scusa ti ha scaricata?» Era Jack, con quel suo maledetto ghigno
strafottente.
«Ha solo dimenticato il telefono. Torna pure da Kristen. Se mai qualcuno
scrivesse una versione vietata ai minori di Lezioni di seduzione, lei sarebbe una
perfetta Catherine» ribattei, acida.
Jack mi fece un sorriso tirato, quasi una smorfia. Poi si avvicinò.
«Sai, Liz» sussurrò, «non essere così convinta che non mi piaccia la Catherine
che ho adesso.»
«Eccomi!» Mentre Rick compariva sulla porta, mi allontanai istintivamente da
Jack, come se mi sentissi colta in fallo.
Lui accennò a malapena un saluto e se ne andò, lasciandomi a rimuginare sulla
sua ultima frase.
«Sto cominciando a capire la scelta del professore» osservò Rick, con un filo
di acidità.
I casi erano due: o non conosceva l’esistenza del punto interrogativo oppure era
abituato a esigere e non a chiedere. Propendevo per la seconda ipotesi. Mi ero
svegliata tardi, perciò non riuscii nemmeno a fare colazione. Arrivai solo
qualche minuto dopo le otto, ma di Jack non c’era traccia.
Provai a chiamarlo ma non rispose. Attesi, sempre più arrabbiata, finché
l’inserviente aprì l’aula all’arrivo dei primi compagni di corso; Jack si presentò
solo cinque minuti prima dell’inizio della lezione.
«Che diavolo di fine avevi fatto?» lo aggredii, appena comparve.
«Sono stato trattenuto…» Sentirlo così vago mi irritò ancora di più.
«La mia tolleranza nei tuoi confronti è minima, sappilo» sibilai, contrita.
Sospirò e si passò una mano sul viso massaggiandosi gli occhi come per
concentrarsi.
«Vieni con me» se ne uscì serio, afferrandomi per una mano.
«Jack!» Ma era inutile opporsi, mentre mi strattonava per il corridoio. Si
guardò intorno e aprì la porta di un’aula vuota, trascinando dentro anche me;
quando mi lasciò andare ritrassi la mano infastidita e lo guardai con livore.
«Non ce la faccio più con te! Sei stato tu a dirmi di incontrarci e poi non ti
presenti! C’è sempre qualcosa o qualcuno da cui devi correre.»
«Ne riparleremo. Ora devi calmarti e concentrarti, tra pochi minuti dobbiamo
recitare.» Era serio e nervoso.
«Troppo comodo così! Non sono un burattino, Jack! Non puoi irritarmi a morte
per poi sperare che io mi calmi a uno schiocco di dita!» Ero veramente sul punto
di esplodere e stavo quasi gridando.
«Liz, ora devi diventare Catherine!» mi ammonì alzando improvvisamente la
voce, con sguardo duro.
«Io non posso provare emozioni a comando, non sono un’attrice!» Perché mi
stavo giustificando? La sua evidente tensione mi stava come sgonfiando.
«Sì che lo sei, o almeno lo stai diventando. Non gettiamo via tutto per una
banale discussione.» Il suo tono divenne improvvisamente morbido e
conciliante.
«Banale discussione? Jack, ti rendi conto che mi stai facendo ammattire? Non
fai che prenderti gioco di me e…»
«Ok, time-out. Dopo potrai insultarmi quanto vorrai, troveremo un punto di
incontro… Ma ora respira e rilassati, dobbiamo andare in scena.»
Non volevo cedere ma aveva ragione lui, e non potevo gettare all’aria mesi di
sacrifici per un’arrabbiatura. Sospirai e mi massaggiai le tempie.
«Ok, ci provo…» In realtà, non sapevo nemmeno da dove cominciare per
concentrarmi e rilassarmi.
Vidi Jack muoversi e portarsi alle mie spalle; subito mi girai.
«No, resta così, ti aiuto solo a calmarti…» mi sussurrò toccandomi un braccio.
«Niente scherzi!» lo ammonii.
«Tranquilla, sono molto professionale quando ne va del mio futuro.»
Rimasi ferma e sentii le sue mani scorrere sulle mie braccia, avanti e indietro,
delicatamente, poi accennò un lieve massaggio alle spalle, scostandomi i capelli
da un lato.
Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi, ripassando mentalmente le battute di
Catherine.
Sentii qualcosa sfiorarmi il collo, qualcosa di caldo, più caldo delle sue mani;
aprii gli occhi rendendomi conto che erano le sue labbra che scorrevano sulla
mia pelle nuda.
«Jack…» sussurrai, a metà tra ammonimento e sorpresa.
Scostò di pochi millimetri le labbra per sussurrare, investendomi con il suo
alito caldo: «Non Jack, William… piccola dolce Catherine, sei in biblioteca con
il giovane e seducente William e sei impaurita ma allo stesso tempo attratta da
lui». Mentre parlava, la bocca si avvicinava al mio orecchio, il petto schiacciato
contro la mia schiena.
Sospirai rabbrividendo e rimasi in silenzio mentre le sue mani scivolavano via
dalle mie braccia e si posavano sui miei fianchi, massaggiandoli.
«Ricorda, continua a ripeterti che sei Catherine e che sei attratta da me.»
Il movimento delle sue dita si fece più ampio, risalì spostandosi verso il ventre.
Abbassai lo sguardo, irrigidendomi.
«Chiudi gli occhi, non ti distrarre Liz.» Fu quasi strano sentirmi chiamare di
nuovo con il mio nome dopo che mi aveva chiamata ben due volte Catherine.
Mi intrigava sentirlo essere William e subito dopo chiamarmi con il mio vero
nome. Era qualcosa di nuovo ma terribilmente affascinante.
Ma ogni ragionamento naufragò nel movimento delle sue mani che risalivano
ancora, ferme e leggere, a palmi aperti. Trattenni il respiro quando sentii il suo
pollice destro sfiorarmi sotto il seno: stavo andando letteralmente a fuoco e tutta
la concentrazione ritrovata stava andando all’aria.
Ma proprio sull’orlo del punto di non ritorno, le mani si fermarono.
«Siamo pronti per andare in scena, mia signora…» stabilì all’improvviso Jack
a voce stranamente alta, staccandosi da me e lasciandomi interdetta e quasi
spossata dalla quantità di sensazioni che mi ribollivano dentro.
Cercai di annuire e lo seguii.
«Fermi!»
L’urlo mi bloccò a un passo da un ammuffito divano letto, recuperato come
oggetto di scena.
Mi girai e vidi il professore scuotere la testa, esasperato.
«Cosa diavolo vi è successo? Dov’è l’alchimia? Non vi ho forse ripetuto
quanto questo esperimento sia di vitale importanza?!»
Per nostra fortuna, quella sera l’unico altro spettatore della sfuriata era Rick,
seduto in fondo all’aula in attesa di provare le sue nuove battute.
Jack si alzò e si mise al mio fianco.
«Catherine è entrata in camera di William per sedurlo! È giovane e inesperta
ma gli incontri in biblioteca hanno risvegliato il suo lato sensuale. Elizabeth,
santo cielo…» il professore sospirò, le mani tra i capelli. «Non hai alzato lo
sguardo nemmeno per un secondo!»
«Mi scusi… io…» sussurrai, stringendomi nella pesante vestaglia che
indossavo sui miei vestiti. Non potevo certo confessare di essere in imbarazzo
per la stupida idea di Jack di infilarsi con me nella doccia.
«E tu, Jack!» il professore non aveva terminato. «Cos’era quell’espressione?
William è sorpreso, per un attimo è tentato ma poi la manda via. Non stiamo
provando la notte di passione, e Catherine ancora non ci finisce nel tuo letto!»
Jack cercò di intervenire ma venne subito messo a tacere.
«Rick, vieni qua. Vediamo se con George riusciamo a recuperare una Catherine
decente.»
«Se per stasera io ho finito, dovrei andare.» Jack a malapena attese il cenno
affermativo del professore per filarsela. Era incredibile! Nemmeno la
consapevolezza di aver sbagliato completamente la scena lo aveva trattenuto.
Rimasti da soli, il professore si rivelò più paziente con me e Rick. Il problema
era stato la mancanza della maledetta alchimia tra William e Catherine oppure
vedere il suo pupillo Jack non recitare al meglio?
«Mi dispiace per la sfuriata iniziale. Ci sei rimasta molto male?» mi domandò
Rick, quando terminammo le prove.
«Di certo non quanto Jack.»
Rick mi tenne aperta la porta mentre uscivamo nell’aria ancora fredda di fine
febbraio.
«Se non avevate ancora provato la scena, è normale non riuscire subito a…»
«In realtà l’avevamo provata diverse volte e non era andata così male.»
Rick mi guardò, sorpreso, mentre camminava al mio fianco.
«Elizabeth…»
«Chiamami pure Liz» gli sorrisi.
Ricambiò il sorriso ma sembrava a disagio. «Liz, c’è qualcosa tra te e Jack?»
«Come?» mi bloccai, in mezzo al vialetto.
«Il modo in cui ti guarda… non lo so» scosse la testa.
«È solo un bravo attore. Sa essere molto convincente nei panni di William.»
«Non mi riferivo a quando recita.» Rick riprese a camminare e lo seguii, in
pensieroso silenzio, fino all’entrata del mio dormitorio.
«Buonanotte Liz, a domani» mi salutò con un rapido bacio sulla guancia. Che
forse avrebbe voluto essere qualcosa in più.
Raggiunsi la mia camera, frastornata da mille pensieri, e cercai invano le
chiavi nella borsa. Dovetti svegliare la responsabile per farmi dare il duplicato,
promettendo di restituirlo il mattino successivo. Senz’altro le avevo lasciate sulla
scrivania, la rassicurai.
Quando non le trovai da nessuna parte, mi resi conto che probabilmente Jack
se le era rimesse in tasca dopo averle usate quel mattino. Perfino quando non era
fisicamente presente riusciva a irritarmi!
Il giorno dopo Jack non si presentò a lezione e non fui l’unica a esserne sorpresa.
«Qualcuno mi sa dire dove diavolo è finito il mio protagonista?» La domanda
del professore era apparentemente rivolta a tutti, ma mentre la faceva guardò
soltanto me.
Lasciai a Jack diversi messaggi e provai anche a telefonargli, tra una lezione e
l’altra. Ma, all’ora di pranzo, di lui non c’era ancora traccia e cominciai a
preoccuparmi sul serio.
Stavo camminando verso l’aula per l’ultimo impegno del pomeriggio, quando
decisi di assecondare la folle idea di andare a cercare Jack.
Raggiunsi il ristorante cinese – l’unica indicazione che avevo – ed entrai a
chiedere di lui. La cameriera, che ovviamente lo conosceva bene, mi spiegò
come raggiungere il retro dello stabile e mi disse di cercare una porta grigia
vicino al magazzino.
Bussai e attesi. Al terzo tentativo, stavo per lasciar perdere quando finalmente
la porta si aprì.
«Jack! Ma che fine avevi…» Non riuscii a finire la frase, perché vidi lo stato in
cui era ridotto. Si reggeva a malapena in piedi, era rosso in viso e i suoi occhi
erano lucidi.
«Ti senti male?» gli chiesi preoccupata.
«Un po’» sussurrò, lasciandomi entrare in uno squallido, buio e microscopico
monolocale.
«Ieri sera stavi bene, che hai combinato?» Mi pentii subito del mio tono, che
suonò come un rimprovero.
Jack si raggomitolò nel letto, scosso dai brividi.
Mi avvicinai un po’ titubante. «Hai provato la febbre?»
«No. Mi sono svegliato troppo tardi, ormai avevo perso la lezione e stavo
troppo male, così mi sono rimesso a dormire.»
«Dove tieni le medicine?» domandai, abbandonando la borsa ai piedi del letto.
Mi indicò il bagno con un cenno della testa e richiuse gli occhi.
Gli portai un bicchiere d’acqua e l’antipiretico. Quando si sedette, gli misi la
mano sulla fronte e la sentii scottare.
«Jack, come hai fatto a prenderti una febbre da cavallo in poche ore? Sei stato
a fare il bagno all’aperto tutta la notte?»
Rispose con un suono simile a una finta risata ma poi richiuse gli occhi e si
addormentò.
Avrei potuto, forse dovuto, lasciarlo riposare e andarmene. Ma sembrava così
sofferente e stranamente vulnerabile che mi lasciai vincere dalla sindrome della
crocerossina. Presi una sedia dalla cucina e mi sedetti accanto al letto, passando
l’ora successiva a tentare di abbassargli la febbre con il classico rimedio del
panno umido sulla fronte.
Quando Jack riaprì gli occhi, sussultò nel vedermi. O non ricordava di avermi
aperto la porta o pensava che me ne fossi andata da tempo.
«Ti senti meglio? La febbre dovrebbe essere scesa.» Mi sentivo un po’ a
disagio di fronte alla sua espressione sorpresa. In effetti che ci facevo lì?
Nessuno me lo aveva chiesto.
Si mise seduto e si passò una mano sugli occhi. «Non avevi lezione?»
«Sì. Ma ormai… Però è meglio se…» Mi alzai, spingendo via la sedia e quasi
inciampando nella borsa. Ero nervosa e mi sentivo stupida per essere rimasta.
«Aspetta! Non ti volevo mandare via» mi fermò e mi guardò, gli occhi scuri
ancora lucidi per la febbre e un’espressione sofferente in viso. «Grazie per
esserti presa cura di me, Liz.»
Sembrava sorpreso. Sorpreso che fossi rimasta o sorpreso di se stesso per
avermi ringraziato?
«Di nulla.»
Calò il silenzio, mentre distoglievo lo sguardo, non riuscendo a sopportare
l’intensità del suo. Sembrava così vulnerabile e privo di maschere.
«Hai fame?» domandai, d’impulso.
«Da morire. Ma non ho mai nulla di commestibile in cucina» sospirò,
sdraiandosi di nuovo.
«Vuoi che vada a comprare qualcosa?»
«Non preoccuparti. Chiamo e mi faccio portare qualche involtino.»
«Hai appena combattuto con la febbre, ti serve qualcosa di leggero. Faccio un
salto al supermercato, ok?»
L’ultima cosa che vidi, prima di chiudermi la porta alle spalle, fu l’espressione
confusa di Jack.
Non ce la facevo a rimanere chiusa là dentro con lui. Perché non lo
riconoscevo senza il suo solito ghigno, la battuta pronta e la malizia con cui si
prendeva gioco di me, cercando di trasformarmi in Catherine. Per quanto
assurdo potesse sembrare, però, non ero nemmeno pronta a perdere l’occasione
di poter conoscere il vero Jack. Avevo solo bisogno di riprendermi.
Quando ritornai era già buio, il supermercato si era rivelato più lontano delle mie
ottimistiche previsioni, nonché molto più affollato.
«Credevo di essere stato abbandonato» mi accolse con un sorriso Jack. Si era
cambiato e sembrava molto più in forma.
«C’era una fila lunghissima alla cassa, da non credere» sbuffai, depositando la
busta sul tavolo.
«Cucini tu?» domandò, speranzoso. Mi fece un nuovo, abbagliante sorriso
rilassato.
«Ti è tornata la febbre?»
«Non credo, mi sento meglio.»
«Ah, bene.»
«Però… non sono ancora…» Finse un colpo di tosse. «Magari un pasto
caldo…» aggiunse in tono lamentoso, guardandomi di sottecchi, in attesa della
mia reazione. Ma non riusciva a trattenere un sorriso.
Sospirai. «Torna a letto, dai. Qua ci penso io.»
Sabato mattina non avevo la forza di uscire dal letto e rimasi a lungo a
crogiolarmi nei miei pensieri, a pormi domande sui problemi familiari di Jack e
chiedermi perché mi avevano dato così fastidio le conclusioni affrettate di Luke
su di me.
Quando bussarono alla porta ero certa fosse Bonnie, anche se di solito
aspettava almeno il pomeriggio per chiedermi a quale festa sarei andata, sapendo
benissimo cosa le avrei risposto.
La sorpresa fu grande nel trovarmi di fronte Rick.
«Ti ho svegliata?» il suo sorriso si spense, vedendomi in pigiama.
«No, no! Entra pure.» Il corridoio si stava animando e l’ultima cosa che volevo
era dare nuovamente spettacolo. «Come facevi a…»
«Ho chiesto il numero della tua stanza a Kristen» mi rivelò, annientando la mia
speranza di evitare altri pettegolezzi. «Ti ho portato la colazione!» aggiunse
sollevando un sacchetto bianco, con eccessivo entusiasmo. Doveva essersi
accorto della mia espressione preoccupata.
«Oh grazie! Sei stato molto gentile.» Spostai qualche libro dalla scrivania per
fare posto ai suoi acquisti.
«Ti avrei chiamata prima di passare ma… non mi hai mai lasciato il tuo
numero.»
«Oh.» Non ci avevo nemmeno mai pensato. «Te lo scrivo subito!» Magari non
su una mano, mi venne da pensare, e la mente tornò a interrogarsi su Jack. Come
stava? Com’era finita con Luke?
Rick mi sorrise e mi passò il suo telefono, tornando poi a sistemare tazze
d’asporto e ciambelle sulla scrivania. Digitai il mio numero e inoltrai la chiamata
finché non sentii la mia suoneria. Mentre gli restituivo il cellulare, urtai per
sbaglio il bicchiere più vicino. Evidentemente era stato chiuso male perché il
coperchio salto via schizzando liquido bollente ovunque. Soprattutto su Rick,
che fece un balzo indietro.
«Ti sei bruciato?» Mi preoccupai, osservando i grandi schizzi di latte
macchiato sui suoi pantaloni.
«No, no, non era più molto caldo, per fortuna!»
«Ho uno smacchiatore in bagno, se lo mettiamo subito forse riusciamo a
salvarli» proposi in tono pratico accennando ai pantaloni. Non ne ero affatto
sicura ma sembravano costosi, bisognava almeno provare.
«Dovrei… togliermi i pantaloni?» domandò lui sorpreso.
«No!» esclamai imbarazzata. «Cioè… chiaramente per smacchiarli li devi
togliere… però magari me li puoi passare dalla porta del bagno!» Ma perché
finivo sempre a fare figure del genere? La mia stanza era forse infestata da un
poltergeist ninfomane che tentava di far spogliare ogni ragazzo che varcava la
soglia?
«Ok.» Rick scrollò le spalle. Ci fu un momento di silenzio.
«Oh… sì! Allora vado di là!» sussultai, accorgendomi di essere rimasta
stupidamente a fissarlo dopo avergli proposto di togliersi i pantaloni.
Chiusa in bagno, spruzzai lo smacchiatore sui pantaloni e, mentre aspettavo,
decisi di togliermi il pigiama e vestirmi.
Indossavo solo la biancheria quando sentii la porta della camera aprirsi. Rick
se ne stava andando? Non poteva averla aperta per qualcun altro perché non
avevo sentito bussare.
«Liz?» Jack?! Doveva aver usato le chiavi che non mi aveva restituito.
Infilai al volo l’accappatoio e uscii dal bagno. La scena era surreale, il
professore ne sarebbe rimasto deliziato se fossimo stati sul palcoscenico. Rick
era in mutande, in piedi accanto al mio letto, e Jack era vicino alla porta – ora
chiusa, grazie al cielo! – con le mie chiavi in una mano e un sacchetto nell’altra.
Era forse la giornata mondiale della colazione e io non lo sapevo?
Jack si voltò a guardarmi e la situazione peggiorò. Perché non ero rimasta
almeno vestita?
Nessuno parlò per lunghissimi istanti. Poi Jack mi fece un sorriso tirato.
«Non credi più che il letto sia stretto, a quanto vedo.»
Tra tutte le battute che poteva fare, quella era senz’altro la peggiore. Con la
coda dell’occhio notai l’espressione colpita di Rick.
«Io forse dovrei…» mi passò davanti e si chiuse in bagno, per recuperare i suoi
pantaloni.
«Ammetto di averti davvero sottovalutata» aggiunse Jack.
«E con questo che cosa intendi dire?» sbottai.
Indicò le mie gambe nude che spuntavano dall’accappatoio: «Hai avuto meno
difficoltà a spogliarti davanti a lui».
«Gli stavo solo smacchiando i pantaloni» risposi, istintivamente. Suonò come
una difesa ridicola perfino alle mie orecchie e mi irritai ancora di più. «E non so
nemmeno perché mi sto giustificando con te!»
«Infatti. Dovrei essere sollevato che Catherine stia imparando, no?» A dire il
vero, più che sollevato sembrava infastidito.
Mi lanciò le chiavi sopra il letto. «Queste sono tue. Non vorrei rischiare di
trovarti a smacchiare altri pantaloni.»
Se ne andò prima che riuscissi a trovare una replica abbastanza pungente e
altrettanto offensiva.
Rick uscì dal bagno, indossando i pantaloni ancora macchiati, mentre la porta
si richiudeva e io mi lasciavo andare a un grugnito di rabbia.
«Mi dispiace, Liz. Non sapevo che…»
Lo fermai prima che continuasse. «Non ci sono andata a letto, anche se le sue
parole lo facevano intendere. Cioè, abbiamo dormito insieme ma…»
Santo cielo, Liz! Taci!
«Sei confusa.» Rick non provava nemmeno a interpretare i miei vaneggiamenti
ma aveva deciso di mostrarsi comprensivo.
«No! Sono irritata! Arrabbiata! Sono…» sbuffai. «Sono esausta. Jack è
esasperante» mi sgonfiai, sedendomi sul letto.
«Jack è geloso.» Rick venne a sedersi accanto a me.
«Ma figurati! Voleva solo prendersi gioco di me. O di Catherine. Questo
dannato spettacolo mi farà finire al manicomio.» Mi coprii il viso con le mani,
sospirando.
Sentii il suo braccio cingermi le spalle. «Andrà tutto bene.»
Allontanai lentamente le mani dal viso, rendendomi conto d’un tratto di essere
in accappatoio, tra le sue braccia.
«Rick, io…» deglutii, non sapendo come continuare.
«Non dirlo, Liz.»
Alzai il viso per guardarlo negli occhi. Perché non potevo lasciare che nascesse
qualcosa tra noi? Perché permettevo che Jack mi sconvolgesse e confondesse
così tanto?
Rimasi in silenzio, tornando a fissare il pavimento. Un brivido mi fece
socchiudere gli occhi quando Rick mi lasciò un bacio lievissimo tra i capelli.
«Vai a vestirti, prendi freddo.»
Annuii, frastornata. Mi alzai ma, prima che potessi allontanarmi, Rick mi prese
per una mano.
«Io non mi nasconderò dietro la maschera di George, Liz. Puoi contare su di
me.»
«Liz, posso darti un consiglio?» mi sussurrò Rick, quel martedì a lezione, mentre
le altre stavano provando la scena della conversazione tra le serve. Quando era
arrivato, Jack mi aveva salutata solo con un cenno e non si era nemmeno
avvicinato.
«Non essere nervosa perché…»
«Non è facile!» sibilai, e attirai l’attenzione del professore che ci fulminò,
ammonendoci con lo sguardo di fare silenzio.
«Mi costa ammetterlo ma Jack è piuttosto bravo e su quel palco, tra poco, ci
sarà solo William» continuò lui senza curarsene.
Annuii poco convinta e ripassai mentalmente le battute di esordio di Catherine.
Eravamo al primo atto, quindi per fortuna la mia protagonista doveva mostrare
ancora un po’ di timidezza. Ma William…
Mi lasciai, ancora una volta, stregare dai suoi sguardi intensi e dai complimenti
che mi rivolgeva, con quel tono di voce così profondo e caldo. Il modo in cui
pronunciava il nome di Catherine non mancava mai di darmi i brividi e la
scintilla di malizia che accompagnava sempre il suo sorriso colorava le mie gote
di fanciulla virginale e ingenua, senza che servisse alcun trucco.
«Bene!» esclamò alla fine il professore, e solo allora tornai in me. Stupendomi
di come fosse andata. Recitare non era il mio forte e Catherine non era il
personaggio più adatto a me, eppure su quel palco riuscivo a dimenticare perfino
il mio vero nome. Magia del teatro… O magia di Jack?
Tutto il sollievo di aver affrontato senza troppi drammi la lezione svanì quando
il professore ricordò solo a noi tre che quel giovedì sera avremmo dovuto
provare, in segreto, le scene aggiunte. Non potevamo permetterci un altro
disastro o ci avrebbe cacciati dal corso, ma non ce la facevo a rimanere sola con
Jack in quel momento. Mi sentivo troppo vulnerabile e confusa.
Declinai la sua offerta di passare da me quella sera o la successiva per provare.
Il suo sguardo si fissò, per una frazione di secondo, su Rick, che stava parlando
con il professore a pochi passi da noi.
«Ok. Se hai così tanto da studiare» mi salutò sdegnato, facendomi capire che la
mia scusa non era andata a segno.
Ecco dove andava Jack quando spariva, ecco quello che non aveva mai voluto
dirmi. Ringraziai di essere nella zona buia, dove non poteva vedermi, immobile
e raggelata.
Chiusi gli occhi per riordinare le idee, solo per pochi istanti. Quando tornai alla
realtà, vidi Bonnie e Kristen che mi fissavano. La mia reazione doveva essere
stata più interessante di vedere Jack spogliarsi: io ero il bonus della serata, una
seconda fonte di divertimento.
C’ero cascata con tutte le scarpe, la mia sorpresa era stata grande e il loro
divertimento era scritto a grandi lettere nei sorrisi compiaciuti. Vedermi in
compagnia di Jack, che entrava e usciva dalla mia stanza, le aveva rese a tal
punto invidiose e gelose?
Per un attimo fui distratta proprio da lui, che si stava slacciando la cintura dei
pantaloni.
«Spogliami.»
«Rilassati.»
Le sue mani mi avevano sfiorata allo stesso modo, quel giorno nell’aula vuota.
Fu la nausea a convincermi a muovermi. Scavalcai lo schienale del divano per
poter costeggiare il muro e raggiungere l’uscita.
Bonnie, che non aveva smesso di tenermi d’occhio, richiamò l’attenzione su di
sé.
«Ragazze, c’è un’altra sorpresa!» annunciò, sollevando un sacchetto. Quel
sacchetto. Dove Jack aveva riposto il suo acquisto, poche ore prima. Il logo del
negozio era inconfondibile. Avrei dovuto approfittare della distrazione ma rimasi
paralizzata, in piedi tra il divano e la libreria.
Kristen sussurrò qualcosa all’orecchio di Jack, poi si allontanò ridendo. «Jack
lo lancia e chi lo prende lo indossa! Vi avviso che non vi rimarrà come souvenir
perché è commestibile.»
Se esisteva uno stadio oltre la nausea lo avevo appena raggiunto. Ringraziai di
non aver mangiato nulla da ore e mi feci strada a fatica nel gruppetto in attesa
del lancio, concentrandomi solo sulla fuga.
Approfittai dell’urlo di gioia della fortunata vincitrice per tentare di passare
inosservata accanto a Jack, ma le luci si accesero proprio in quel momento.
«Liz?» Era un bravo attore, ma nei suoi occhi scuri lessi la sorpresa e forse
anche il fastidio di vedermi a quella festa.
Mi girai e scappai, lo sentii richiamarmi ma non mi fermai. Lacrime – di rabbia
– mi appannavano la vista mentre sceglievo una direzione a caso. Avevo dato a
Bonnie e Kristen proprio quello che si aspettavano, che stupida!
Camminai fino alla fine della strada, poi fermai un taxi per farmi riportare al
campus. Stavo pagando l’autista quando mi suonò il telefono.
«Dove sei?» Jack era ancora alla festa, sentivo la musica in sottofondo.
«Al campus.»
Sospirò. «Arrivo tra un’ora.»
«Jack, non devi spiegarmi nulla. Avrei solo voluto che mi parlassi prima del
tuo lavoro.» Avrei voluto che si fidasse di me. Avrei voluto non vedergli Kristen
spalmata addosso. Avrei voluto non scoprirlo in quel modo.
«Avrei dovuto, Liz? La tua espressione stasera diceva tutto. Se non te l’ho
detto era proprio per evitare di vederti disgustata. Ho capito come sei fatta»
sentenziò, con amarezza.
«Non hai capito proprio nulla!» mi scaldai. «Non eri tu l’unica attrazione della
festa! Bonnie e Kristen mi hanno invitata solo per…»
Imprecò, e in sottofondo sentii la voce di Kristen: «Jack, ti sei perso?».
«Liz, devo andare. Possiamo riparlarne?»
«Non stasera.»
Non ne avevo la forza.
La linea rimase silenziosa per qualche istante.
«Come vuoi» fu il suo saluto.
8
«La scelta è tra un horror decisamente splatter, un film d’amore dal sicuro finale
tragico, una commedia probabilmente demenziale e…» Rick fece una pausa,
prima di indicare l’ultima locandina appesa fuori dal cinema. «Un nuovo film di
supereroi!»
«Tranquillo, non scelgo il film d’amore e nemmeno l’horror, perché vorrei
poter mangiare, dopo. Quindi…» mi fermai e guardai Rick, che mi fissava
speranzoso.
«Quanto rimarresti deluso se scegliessi la commedia?» domandai, un po’
titubante.
«Per nulla. Rimango sempre più fedele alla Marvel che alla dc» spiegò, di
fronte alla mia espressione incredula.
«Oh. Ora capisco.» Lo precedetti all’interno del cinema con un sorrisetto.
«Cosa capisci? Dai, dimmi!» mi si mise davanti, camminando a ritroso.
«No niente. Ho solo immaginato…»
«Liz! Guarda che non ti lascio comprare le caramelle!» mi minacciò scherzoso.
«E va bene! Ho solo immaginato uno scaffale della tua stanza pieno di action
figures» arrossii un po’. Era divertente scherzare con Rick ma a volte temevo di
varcare certi confini che non ero pronta a superare. O perlomeno non con lui.
«Chissà. Magari dopo scoprirai se hai indovinato» mi rispose infatti.
Non volevo flirtare con lui, non credevo nemmeno di esserne capace. Volevo
solo esorcizzare con le risate la pressione che gli ultimi eventi Jack-centrici
avevano portato nella mia vita.
Rick si accorse della mia espressione un po’ spaurita e si affrettò a sorridermi.
«Vado a fare i biglietti. Tu pensi ai pop corn?» mi propose e fui grata del
diversivo.
Il film non era divertente come mi aspettavo ma risi tutto il tempo,
commentandolo con Rick.
«Dillo, dai! Stai rimpiangendo di non aver scelto Batman!» Eravamo appena
usciti e la serata era abbastanza mite, la primavera era alle porte.
«Proprio no! Non sono mai stata attratta da chi si nasconde dietro a una
maschera» risposi con sincerità, rendendomi conto dello sbaglio quando i miei
pensieri finirono proprio dove non volevo.
La risata di Rick si spense.
«Ti va di parlarne?» propose, con comprensibile riluttanza.
Scossi il capo. «Non roviniamo la serata.»
Lui annuì, palesemente sollevato. Proseguimmo per un po’ in silenzio, sulla via
di ritorno al campus.
«Volevo solo chiederti…» Rick aspettò un mio segno di incoraggiamento
prima di continuare. «Che è successo con Kristen?»
Tutti i casini portavano a Jack. Anche quando non veniva nominato
direttamente.
Sospirai, indecisa su che versione dare dell’accaduto. «Diciamo che Kristen
non ha mai digerito che la parte di Catherine sia stata affidata a me.»
«Ok. Ma cosa ti ha fatto? Stamattina mi sei sembrata molto scossa quando
l’hai vista al tavolo» mi incalzò Rick, e sul suo viso mi sembrò di scorgere una
sincera preoccupazione.
«Sono stata invitata a una festa, ieri sera, dalla mia vicina di stanza, Bonnie.
L’invito aveva un secondo fine. Kristen voleva… marcare il suo territorio» gli
spiegai vagamente, con una smorfia di disgusto al ricordo di come si era
spalmata su Jack.
Rick schioccò la lingua, scuotendo la testa. «La sua ossessione per Jack…»
«Già. Si sono divertite molto a scoprire la mia reazione di fronte a…» mi
bloccai, non sapendo se Rick fosse a conoscenza del lavoro di Jack.
«Oh» si lasciò sfuggire. Lo sapeva. Probabilmente lo sapevano tutti, tranne me.
«Quindi, ecco. Non avevo una gran voglia di rivedere Kristen, dopo che mi ero
resa ridicola proprio come lei sperava» terminai, guardando la fila di lampioni
pur di non incontrare gli occhi di Rick. Mi accorsi con qualche secondo di
ritardo che si era fermato, mi girai e aspettai che si riavvicinasse.
«Liz, mi dispiace. Kristen sa essere davvero vendicativa ma non credevo che si
sarebbe accanita su di te. Non hai certo scelto tu di essere Catherine.»
Scossi il capo, amareggiata.
Mi sorrise e avvicinò lentamente una mano al mio viso, per lasciarmi una lieve
carezza sul mento. «Non ci pensare, ora ci sono le vacanze di primavera e lei
troverà qualche ex compagna di classe da tormentare.»
Già, le vacanze. Il ritorno a casa. Daniel con la fidanzata. Mia madre che si
aspettava di conoscere Jack.
«Grazie, Rick.» Cercai di sorridergli, mettendo da parte la nuova ondata di
pensieri che mi aveva scossa.
«Allora, quale pensi che sarà il misterioso atto finale di Lezioni?» domandò,
cambiando argomento e riprendendo a camminare.
«Non ne ho idea. Non so davvero cosa aspettarmi!» Mi sforzai di ritrovare il
tono allegro di poco prima.
«Magari ci sarà un duello all’ultimo sangue tra William e George!» rise mentre
lo proponeva.
«Avremmo davvero dovuto scegliere il film sui supereroi, eh?»
Rick mi riaccompagnò fino alla porta del dormitorio e mi salutò con un
abbraccio.
«Grazie davvero, Rick.»
Aveva risollevato il mio umore con pazienza e discrezione, aveva capito che
non volevo oltrepassare certi confini. Non sapevo se avesse avuto intenzione di
baciarmi ma fui grata che non ci avesse provato.
Trovai un suo messaggio il mattino seguente e la risata che mi strappò fu un
bellissimo modo di iniziare la domenica. Mi aveva inviato la foto di una libreria
piena di action figures.
Martedì ci fu l’ultima lezione con il pazzo prima della pausa. Ero sempre
nervosa quando arrivava il momento di varcare la porta della sua aula, ma quel
giorno l’idea di rivedere Jack mi aveva chiuso lo stomaco in una morsa.
La risata di Kristen mi investì non appena trovai il coraggio di entrare.
Scappare e darmi malata non era più un’opzione, purtroppo.
Jack era già arrivato e incrociai il suo sguardo mentre ancora sostavo, indecisa
e nervosa, nei pressi della porta.
«D’accordo! Tutti pronti che proviamo il primo atto.» Il professore apparve e
richiamò l’ordine battendo le mani.
La prova fu disastrosa. Le serve dimenticavano a turno le battute, e le risatine
uscirono ancora più stupide del dovuto. La prima scena fu ripetuta quattro volte,
ma al secondo tentativo il professore aveva avuto pietà di me, permettendomi di
non rimanere accucciata in ascolto come Catherine.
«Basta! Vedete di usare la pausa delle lezioni per imparare le battute o vi
boccio tutti!» Dopo l’urlo esasperato calò il silenzio.
«Jack, per favore. Dammi un po’ di sollievo e fammi vedere William» lo pregò
poi il professore, massaggiandosi la fronte.
«Elizabeth» mi chiamò, e già tremai per il tono minaccioso della sua voce.
«Al-chi-mia» sillabò. «Voglio la mia Catherine.»
Mi avvicinai a Jack, già sconfitta in partenza. Sarebbe andata malissimo, ne ero
certa.
Lui vide il terrore nei miei occhi e sospirò. Mi aspettavo che iniziasse a
recitare, invece si avvicinò.
«Liz, rilassati» mi sussurrò. «Andrà bene. Concentrati su William. Lui non ti
ha…»
«William e Catherine! Ora!»
Avevamo messo a dura prova la già scarsa pazienza del professore. Jack si
allontanò, lo sguardo ancora preoccupato. Mi sillabò un «per favore» che mi
lasciò distrutta.
Quel corso era importante per entrambi, non potevamo lasciare che le nostre
incomprensioni compromettessero ogni cosa. Racimolai ogni brandello di
coraggio che riuscii a trovare in me e mi buttai a capofitto in Catherine.
Fu surreale, più che mai. Perché proprio quando il sorriso malizioso e i modi
galanti di William avevano spianato la strada per Catherine, Jack ruppe la
finzione.
«Brava, Liz» mi sussurrò, pianissimo, per incoraggiarmi.
Chi avevo di fronte a me? William in tutto il suo finto splendore o Jack che mi
sorrideva grato e sollevato perché non stavo mandando all’aria l’intera scena?
Il professore, acquietato dalla nostra performance, ci fece proseguire con le
scene successive. Ero così coinvolta che dimenticai che nessuno doveva
conoscere le battute aggiunte.
Stavo entrando nella scena della seduzione, quando Jack mi diede un
pizzicotto. Mi bloccai e ricordai che la Catherine che dovevo interpretare durante
la lezione non avrebbe ricevuto un bacio dal suo William. Mi sconvolse
rendermi conto che non solo avevo dimenticato di saltare il pezzo, ma stavo
anche attendendo con ansia quel momento.
«Ok. Per oggi basta!» Al suono della voce del professore, mi allontanai da Jack
con fin troppa fretta.
«Ehi, tutto bene?» Rick mi fermò, mentre raccoglievo la mia borsa.
«Sì» risposi, in automatico. Alzai lo sguardo e incontrai la sua espressione
scettica. Sospirai: «No».
«Tranquilla, nessuno si è reso conto che stavi continuando la scena» mi
rassicurò, a bassa voce.
Io, però, me ne ero resa conto. Come mi stavo rendendo conto dell’ondata di
nausea che mi saliva, vedendo Kristen che si appoggiava ridente al braccio di
Jack.
Sentii Rick imprecare e mi girai verso di lui per scusarmi di essermi lasciata
distrarre – e distruggere – da Jack che, a sua volta, si lasciava abbindolare da
Kristen.
Grande fu la sorpresa quando mi ritrovai le labbra di Rick sulle mie. Fu un
bacio a stampo che durò solo qualche secondo, il tempo di realizzare quello che
stava succedendo e allontanarmi.
«Cosa…» Tra tutti i momenti in cui mi sarei aspettata che provasse a baciarmi,
se davvero voleva farlo, quello era l’ultimo della lista.
«Buone vacanze, Liz» mi salutò, con un ultimo sguardo alle mie spalle prima
di girarsi e andarsene.
«Cos’era? Una scena inedita tra George e Catherine?» La voce di Jack, carica
di ironia, mi gelò.
Mi girai e lo trovai che mi fissava, in attesa di una risposta. Nessun ghigno
divertito: la sua espressione era imperscrutabile.
Stavo per rispondergli quando notai che il professore aveva udito le parole di
Jack e ci stava fissando con palese interesse.
Lo afferrai per il gomito e lo trascinai fuori. Ero furiosa.
«Dovevi per forza fare quella maledetta battuta?! E se ti ha sentito e gli viene
la malsana idea di scriverla davvero, quella scena?»
«In tal caso, sei già allenata.»
Lui e le sue continue insinuazioni avevano passato il segno!
«Puoi ben dirlo» sibilai, tenendo a stento a freno la rabbia. E girai i tacchi.
Finalmente avevo avuto io l’ultima parola.
Alla fine, non avevo avuto il coraggio di avvisare mia madre che Jack non
sarebbe venuto. Mentre preparavo la valigia, il giovedì mattina, ripassai le scuse
che avevo selezionato come plausibili ma mi resi conto che dire la verità sarebbe
stato meno complicato.
Ero quasi pronta per andare all’aeroporto, quando bussarono alla porta.
Aprii e mi trovai di fronte Jack, con un borsone abbandonato ai suoi piedi.
«Che cosa…?»
Non mi sarei mai aspettata che ricordasse il giorno della partenza, tantomeno
che si presentasse.
«Sono in anticipo? Non mi avevi detto l’orario del volo.» Approfittando della
mia confusione entrò in camera.
«Perché non mi aspettavo che tu venissi!»
Jack inclinò la testa. «C’è un biglietto anche per me, no?»
«Sì ma…» Sbuffai, incapace di spiegargli perché mi sembrava tanto assurdo
che… a lui non sembrasse assurdo accompagnarmi a casa!
«Dai, Liz. Non ti preoccupare, non ti metterò in imbarazzo.»
Mi stava guardando con quella finta aria da cucciolo ferito. Come era possibile
che stesse rigirando la situazione fingendosi deluso?
L’arrivo di un messaggio sul mio telefono fu il segnale che il tempo per i
tentennamenti era scaduto. Il taxi stava aspettando.
«Oh d’accordo! Andiamo» accettai, sperando di non pentirmene. Jack mi fece
un enorme sorriso e mi illusi di aver fatto la scelta giusta. Scossi la testa, di
fronte al suo entusiasmo.
Eravamo in fila per l’imbarco quando mi resi conto dell’errore.
«Ancora nervosa?»
Mi limitai a un’eloquente occhiata come risposta.
«Tranquilla, miciotta. Sarò un fidanzato modello» ammiccò.
Sarebbe finita in tragedia.
9
Jack dormì tutto il viaggio. Inizialmente ne fui sollevata, perché ero ancora tesa
per la sua improvvisa apparizione e non avrei voluto dare spettacolo discutendo
in aereo. Dopo la prima ora, però, cominciai a sperare che si svegliasse e mi
parlasse. Il mio umore peggiorò quando pensai al motivo della sua stanchezza,
probabilmente aveva lavorato anche la notte precedente.
«Jack, stiamo per atterrare» lo riscossi, bruscamente.
«Uhm.» Aprì gli occhi e si guardò attorno. Pur avendo dormito con lui una
notte, non avevo avuto occasione di vederlo appena sveglio. Per fortuna, perché i
suoi occhi scuri ancora appannati dal sonno e le guance un po’ arrossate erano il
manifesto mondiale della voglia di coccole. Quella «vacanza» in sua compagnia
era davvero l’idea peggiore del secolo.
Quando raggiungemmo il terminal degli arrivi ero un fascio di nervi, entro
pochi minuti avrei dovuto presentare Jack a mio padre.
«Liz, ti vuoi calmare? Non ti ho mai lasciata sola sul palco» mi rassicurò, a suo
modo. In fondo stavamo solo per mettere in scena l’ennesima recita, pur senza
costumi settecenteschi e improbabili spogliarelli. Mi limitai ad annuire e mi feci
coraggio, sperando che le settimane di prove nei panni di Catherine mi venissero
in soccorso.
«Ciao papà!» La gioia di rivederlo acquietò per qualche istante la mia ansia.
«Elizabeth.»
Lo abbracciai con forza perché mi era incredibilmente mancato; era un uomo
di poche parole, forse per compensare le troppe che usava mia madre, ma le
brevi conversazioni che riuscivo ad avere con lui rimanevano sempre impresse
nella mia memoria.
Mio padre mi lasciò andare e si schiarì la voce. «E tu devi essere…»
Jack gli sorrise e allungò una mano verso di lui. «Sono Jack. Piacere di
conoscerla, signore.»
«Chiamami pure Richard. Direi che possiamo andare» annunciò, prendendo la
valigia che avevo abbandonato per salutarlo. La reazione di mio padre mi
sconvolse, non avrei mai immaginato di vederlo così apparentemente tranquillo
e rilassato.
Jack mi fece l’occhiolino e mimò un silenzioso «hai visto?».
Mi avvicinai per potergli sussurrare: «È mia madre che devi temere».
«Già mi adora» ribatté e mi prese per mano. Rimasi interdetta per un istante,
poi mi diedi della stupida, avrei dovuto abituarmici se dovevamo essere credibili
come coppia.
Durante il tragitto in auto, domandai a papà le novità su amici e familiari,
perché mia madre si limitava ad aggiornarmi solo su mia sorella.
«Tua madre è elettrizzata per il pranzo di sabato, neanche fosse il nostro
anniversario anziché quello di Laura. Passa ore al telefono a consigliarle che
colore di tovaglie usare e che centrotavola abbinarci» sospirò lui, sfogando la
sua esasperazione.
«Sono amici di famiglia?» intervenne Jack.
«Laura e Margaret erano compagne di scuola, quindi si conoscono da una vita.
Elizabeth è cresciuta con Daniel, anche se lui è più grande di due anni.»
Sussultai: a Jack di Daniel non avevo ancora raccontato nulla.
«Parliamo di parecchio tempo fa, papà. Eravamo bambini» minimizzai,
sperando che mio padre capisse e cambiasse argomento. Ma non ero così
fortunata.
«Non così tanto tempo. Tu e Danny siete stati inseparabili finché non è partito
per il college.»
«Già. Ma dimmi, come sta zio C…» cercai di cambiare argomento ma Jack
non me lo permise.
«Quindi al pranzo ci sarà anche questo tuo amico d’infanzia?» mi domandò,
sporgendosi dal sedile posteriore. Nemmeno essermi seduta davanti mi stava
salvando dal suo esame.
«Sì. Ormai non ci vediamo quasi più» gli risposi, ma l’occhiata che mi rivolse
mi fece capire che la sua curiosità non era stata soddisfatta.
Ci eravamo appena fermati nel vialetto di fronte a casa quando la porta si
spalancò e apparve mia madre. «Richard! Come mai ci avete messo tanto?»
Mio padre sospirò e io gli diedi un colpetto di incoraggiamento sul braccio,
prima di aprire lo sportello. Jack era già sceso e mia madre gli buttò subito le
braccia al collo.
«Iniziamo bene» sospirai affranta.
Jack non si scompose e sfoderò uno dei suoi abbaglianti sorrisi alla William.
«Ciao mamma.»
«Oh Lizzy! Ma che brutta cera che hai! Dovresti dormire di più» mi salutò lei,
lasciando finalmente andare Jack. Ero arrivata da due minuti e già sarei tornata
di corsa – letteralmente – all’aeroporto.
«Kimberly non c’è?» domandai mentre Jack aiutava mio padre a prendere le
valigie dal bagagliaio.
«Torna per cena, è a casa di un’amica. Ha così tante amiche, lei!» commentò
mia madre e cercai, lo giuro, di non vederci un’allusione al fatto che io avevo
sempre avuto solo Jessica.
Ero rimasta bloccata a due passi dall’entrata, dove mi raggiunse Jack.
«Respira. Ce la puoi fare» mi sussurrò, come quando cercava di farmi rilassare
al corso di teatro. Forse aveva ragione, se lo avessi preso come un esercizio di
recitazione sarebbe stato più facile lasciarmi scivolare addosso i commenti e le
critiche di mia madre.
«Ok» gli sorrisi, perché stranamente ero contenta di non essere da sola in quel
momento.
«Elizabeth! Ho preparato la tua stanza per Jack. Tu ovviamente dormi in
camera con tua sorella» mi istruì mia madre, non appena entrammo in casa. Lo
guidai fino al primo piano ma mi bloccai prima di aprire la porta.
«Niente commenti, per favore. Non appena sono partita per il college, mamma
ha rinnovato la stanza secondo il suo particolare gusto.»
Jack rise, credendo che scherzassi, ma la sua risata si spense quando si guardò
attorno e fu soffocato da un tripudio di carta da parati a fiori, tende ricamate e
interi scaffali pieni di bambole di porcellana.
«Ho paura che avrò gli incubi stanotte» commentò, e non potei dargli torto.
«Quante possibilità abbiamo di riuscire a fuggire in albergo?» Sembrava proprio
disperato, mentre posava il suo borsone ai piedi del letto.
«Nessuna. Io ti avevo avvisato…» Cercai di non ridere.
«Ok.»
«Credo che…»
Jack mi interruppe, posando la sua bocca sulle mie labbra mezze aperte e
avvolgendomi in un abbraccio. Qualcuno si schiarì la voce, e non poteva essere
Jack perché era impegnato in ben altra attività.
Mi staccai, stordita e sentii la voce di mia madre. «Lizzy, è arrivata Jessica.»
Jack sciolse l’abbraccio e io mi girai verso la porta rimasta aperta, incontrando
lo strano sguardo della mamma, tra il rimprovero e il compiacimento.
«Ora scendiamo» sussurrai con la voce rotta dall’imbarazzo.
Lei annuì e se ne andò, con un lieve sorrisino sulle labbra.
«Ma che cavolo…» lo attaccai, cercando di sussurrare.
«Non c’è di che» sorrise soddisfatto.
Lo guardai incredula. «Non c’è di che? Ma non puoi prendere e baciarmi così!
E mia madre…»
«Appunto. Ti ha semplicemente vista baciare il tuo ragazzo.»
Rimasi senza parole mentre il suo brillante piano appariva più chiaro. Era
davvero un attore nato.
«Certo» sibilai, ancora scossa. «Scendiamo, dai.»
Appena entrata nel salotto venni investita dall’uragano Jessica, che mi
abbracciò con forza. «Jess, non respiro…»
«Oh quante storie!» Si staccò, e tenendomi a distanza di un braccio mi rivolse
uno dei suoi sorrisi radiosi. «Ho visto l’auto nel vialetto e sono corsa subito.»
Abitava a poche case di distanza dalla mia ed era rimasta a vivere con i suoi
genitori, essendosi iscritta al college lì vicino.
«Hai fatto benissimo.»
«Quindi…» accennò con il capo a un punto alle mie spalle.
«Jack» mi girai. «Questa è la mia amica Jessica.»
«Ho sentito tanto parlare di te, Jack» disse la mia
– molto presto ex – amica.
Lui rise, tendendole la mano e riservandomi uno sguardo interrogativo.
Jessica mi stava avvisando che per la sera successiva aveva già trovato un
posto fantastico dove andare, per un’uscita a quattro con il suo ragazzo, quando
Jack si scusò e uscì per rispondere a una telefonata.
Appena la porta si chiuse alle sue spalle, Jessica cambiò subito espressione.
«Liz!» mi sgridò.
«Che c’è?» le chiesi, confusa. Ero io a dover essere arrabbiata per quello che
lei aveva detto a Jack, se mai!
«Avevi detto che saresti tornata da sola.»
«Si è presentato da me con la valigia.»
Jessica allora sorrise. «Oh, ci sarà da divertirsi.»
Quando Jack riapparve, Jessica era già andata via con la promessa di rivederci il
giorno dopo.
«Tutto bene?» gli chiesi, notando la sua espressione indurita.
«Sì, sì.»
Non gli credetti nemmeno per un secondo ma non potei indagare oltre perché
entrò di slancio mia madre e cominciò uno dei suoi brillanti monologhi.
Jack annuiva con finto interesse, mentre la conversazione passava dallo
spettacolo teatrale – di mia sorella, ovviamente – ai centrotavola del ricevimento
di sabato. Un po’ mi dispiaceva per lui. Anche se era stata sua l’idea di
presentarsi ai miei, pensando di farmi uno scherzo goliardico.
Mi prese per mano e mi fece sedere accanto a lui, sul divano. Continuavo a
dimenticare che avrei dovuto essere meno impacciata e cercare maggiormente un
contatto fisico con il mio finto fidanzato. D’altronde era lui, tra noi due, il vero
attore, e mi aveva promesso di non lasciarmi sola nella nostra recita fuori
programma. Tutto esercizio a favore della maledetta alchimia. Quando
suonarono alla porta fu un vero sollievo… Ma di brevissima durata.
«Oh. È arrivata Ethel» commentò mia madre.
La mia espressione disperata lasciò Jack interdetto.
«Liz?» mi sussurrò.
«Non ascoltare niente di quello che dirà. Per favore.»
Jack non fece altre domande ma annuì, con serietà. Si alzò quando mia madre
ritornò in salotto insieme alla moglie del suo defunto fratello maggiore. Zia
Ethel era probabilmente la parente meno amata da tutta la famiglia, perfino meno
di mia madre.
«Elizabeth. Finalmente ti sei degnata di tornare a casa» mi salutò la cara zietta.
«Ciao zia. Sai che il mio college è lontano e non posso tornare spesso» spiegai
con fin troppo educata pazienza.
«Ethel, questo è Jack, il ragazzo di Lizzy» mi venne stranamente in soccorso
mia madre. Di fronte alla cognata, perfino lei si schierava dalla mia parte.
Zia Ethel fece a malapena un cenno con il capo come saluto, poi andò a sedersi
sulla poltrona di solito occupata da mio padre, che doveva essere a conoscenza
della sua visita dato che si era dileguato da ore.
Calò il silenzio mentre io e Jack tornavamo a sederci sul divano e mia madre si
accomodava sulla poltrona rimasta.
«Come vanno gli studi?» la zia iniziò il suo solito interrogatorio.
«Bene.» Non aggiunsi altro.
«Ti sembra il caso di fidanzarti proprio ora che dovresti concentrarti sul
college?»
Sussultai e sentii la mano di Jack carezzarmi la schiena. «Di questo non si deve
preoccupare, Elizabeth ha una media altissima e non sono di nessuna distrazione
per lei, il più delle volte mi limito a starle accanto mentre studiamo» intervenne
in mia difesa, sorprendendo non solo me ma anche mia madre, che sembrò
illuminarsi, e zia Ethel, che rimase immobile.
Lo guardai ammutolita, e lui mi rivolse un sorriso dolcissimo. Non avrei mai
più dubitato del suo talento. Sembrava davvero fiero di me.
«Quindi, Margaret» la zia si schiarì la voce e cambiò argomento, «la tua amica
ha davvero scelto quelle orribili tovaglie color lime?»
Mi rilassai, lasciandomi andare contro lo schienale e finendo con le spalle
avvolte dal braccio di Jack. Mi sarei allontanata ma non potevo farlo. A essere
sincera nemmeno lo volevo e, mentre venivamo dimenticati sullo sfondo, mi
godetti quel momento di relativa pace.
Jack prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, tranquillo, al mio fianco.
Stavo diventando una brava attrice, forse, perché non mi sentivo in imbarazzo;
anzi con il passare dei minuti ero sempre più a mio agio. Come se le braccia di
Jack fossero il posto giusto in cui stare.
Prima di quel giorno, non mi ero mai dispiaciuta di vedere zia Ethel andarsene.
Ma ora sapevo che, una volta alzati da quel divano, il mondo sarebbe tornato a
girare attorno a noi e mi sarei ricordata che era tutta una finzione.
Jack sospirò, prima di alzarsi per salutare cortesemente la cara zietta, che lo
aveva praticamente ignorato tutto il tempo. Di sicuro era sollevato, al contrario
di me, che quella visita fosse finita.
«Grazie» gli dissi, non appena rimanemmo soli.
Scrollò le spalle come se non fosse nulla di che, mentre per me il suo supporto
era stato davvero fondamentale. Si limitò a commentare: «Comincio a capire
perché avevi poca voglia di tornare a casa».
La cena trascorse tranquilla finché Kimberly non ci chiese di recitare una scena
dello spettacolo.
«In realtà siamo solo all’inizio delle prove…» tentai di svicolare, non avendo
nessuna intenzione di far conoscere il copione di Lezioni di seduzione alla mia
famiglia.
«Dai, Ellybeth! Per favooooore!» Kim non demordeva e Jack scrollò le spalle.
Fui costretta ad accettare ma, non appena riuscii a prenderlo da parte, sfogai la
mia preoccupazione. «Jack! Non voglio che scoprano che genere di commedia
è!»
Alzò gli occhi al cielo come se la mia reazione fosse esagerata.
«Facciamo la quinta scena, il dialogo di William e Catherine a cena.»
Aprii la bocca per rifiutare ma ci ripensai, convenendo che tra tutti i dialoghi
era il meno allusivo e sconveniente.
«Ok.»
«Ecco la mia Catherine» mi sorrise, e mi sforzai di ricambiare.
Le poche battute ci valsero un applauso entusiasta di mia madre, urletti da fan
girl di mia sorella e un sorriso di mio padre.
«Oh, William è così romantico!» sospirò Kimberly, in adorazione. Di Jack,
ovviamente.
«Jack, hai un talento straordinario» lo adulò mia madre.
Mi aspettavo che lui rispondesse con il suo solito ghigno presuntuoso, e invece
sembrò quasi in imbarazzo. Forse nei panni del mio finto fidanzato non voleva
farsi vedere troppo pieno di sé.
«Devo dire che è facile interpretare l’uomo innamorato quando di fronte ho
uno splendore come Catherine» disse invece, cingendomi i fianchi con un
braccio.
Catherine.
Cercai di nascondere la mia confusione, offrendomi di riordinare la cucina. Già
era difficile gestire Jack e i suoi continui riferimenti a Catherine, poi si era
aggiunta l’aggravante della recita del fidanzato perfetto. Senza contare che
avevamo un discorso in sospeso, perché lui sembrava davvero essersi convinto
di non piacermi, che addirittura facessi fatica a rimanere al suo fianco.
Probabilmente immaginava che lo stessi giudicando per il suo lavoro.
Ritornai in salotto in tempo per accorgermi dell’ultima brillante idea di mia
madre: tirar fuori i miei vecchi album di foto.
«Stavo raccontando a Jack di quando non volevi indossare nient’altro che il
costumino da bagno e, quando non lo trovavi, correvi in giardino senza
mutandine sotto la gonna» ridacchiò. Quell’idiota di Jack era ormai paonazzo
dalle risate.
«Avevo tre anni!» mi difesi, imbarazzata.
«Non avrei mai immaginato le tue passate tendenze naturiste» commentò lui,
guardandomi. Solo noi due potevamo comprendere i retroscena di quella battuta
e non potevo mandarlo al diavolo come avrei voluto. Mi rassegnai al silenzio,
sedendomi accanto a lui sul divano.
«Oh le treccine…» Jack aveva girato pagina e ora mi fissava di sottecchi,
trattenendosi a stento dal ricominciare a ridere.
«Ma per favore! Anche tu avrai foto imbarazzanti di quando eri piccolo»
sbuffai.
Improvvisamente ritornò serio. «Non credo. Le foto di famiglia sono state
rigorosamente selezionate, per conservare solo quelle… migliori.»
Mi si fermò il cuore per il suo tono amaro, al punto che masochisticamente
iniziai io stessa a illustrargli le mie peggiori fotografie per fargli tornare il
sorriso.
«Oh quello è Danny!» Mia madre lo indicò in una fotografia che speravo non
esistesse più. L’unico ballo studentesco a cui ero andata, per il diploma di
Daniel. Mi avevano dovuta costringere, sia lui sia Jessica, che continuava a
dirmi che sarei stata l’unica del secondo anno a partecipare.
«Quello…stupido ballo» avrei voluto suonare disinvolta ma Jack mi stava
esaminando con troppa intensità.
«Laura ancora non ha superato l’idea che voi due…» iniziò mia madre.
«Non si è fatto troppo tardi?! Il viaggio è stato lungo» scattai in piedi,
rischiando di far volare in aria l’album. Jack mi guardò come se fossi impazzita
ma poi ammise di essere stanco.
Ero già in pigiama, in camera di mia sorella, quando lui bussò alla porta.
Fu Kimberly ad aprirgli, con un avvertimento: «Se vuoi fare cambio di camera,
ti avviso che non esiste proprio. Io nella stanza con le bambole assassine non ci
dormo!».
Jack rise e le scompigliò i capelli. «Tranquilla. Volevo solo dare la buonanotte
a tua sorella, ci lasci due minuti?»
Kimberly sbuffò ma poi ritrovò subito il sorriso quando Jack le diede un bacio
sulla fronte come buonanotte.
«Mia sorella è già cotta di te» lo avvisai, non appena rimanemmo soli.
Jack mi rispose con un sorriso soddisfatto, mentre si guardava attorno e si
sedeva sul secondo letto preparato per me. «Com’è che la camera di Kimberly
sembra una normale stanza da adolescente?» domandò, indicando i poster alle
pareti.
«Mamma non si azzarderebbe nemmeno a proporre modifiche qua.» Scrollai le
spalle come se non fosse un problema.
«La tua famiglia non è tanto male» commentò. Poi, vedendo la mia
espressione, si affrettò ad aggiungere: «Certo, a parte zia Ethel. E forse tua
madre è un tantino…».
«Lo so, non aggiungere altro.» Era un sollievo inaspettato poterne ridere
insieme.
«È stata una giornata lunga. Meglio dormirci su» annunciò poi lui, alzandosi
dal letto dopo avermi dato un casto bacio sulla guancia.
«Jack» lo bloccai. «Grazie per…»
Mi sorrise, e non ci fu bisogno di terminare la frase.
10
Quando aprii gli occhi, impiegai qualche secondo per ricordare dove mi trovavo
e soprattutto con chi. La mano di Jack era posata sul mio fianco e sentivo il suo
respiro tra i capelli. Mi girai lentamente, e trovai i suoi occhi scuri che mi
fissavano.
«Buongiorno» sussurrai, improvvisamente imbarazzata.
«Come stai?» chiese preoccupato.
«Bene.» Mi misi seduta, sfuggendo al suo sguardo.
Nessuno si era ricordato di chiudere le persiane e nella piena luce del mattino
mi sentivo a disagio per l’intimità che avevamo condiviso. Per tutto il tempo che
mi aveva tenuta tra le sue braccia nel viaggio in auto, perché mi aveva accolta
nel suo letto e rassicurata quando mi ero svegliata nel bel mezzo della notte, in
preda agli incubi.
«A che ora è il fatidico pranzo?»
Non ti voltare, Liz.
Ma era scortese non guardarlo mentre gli rispondevo. Jack, con i capelli
scompigliati, l’espressione ancora assonnata e mezzo nudo tra le lenzuola, dato
che non aveva il pigiama, era una visione.
«È alle…» distolsi lo sguardo per riuscire a parlare. «Dobbiamo comunque
uscire prima perché il ristorante è lontano.» Mi alzai dal letto e mi dileguai, con
la scusa di andare in bagno.
Jessica ne stava uscendo proprio in quel momento, ma la rispinsi dentro.
«Ehi chi si vede» mi salutò.
«Non. Una. Parola» le intimai, aprendo il rubinetto per lavarmi il viso.
«Quindi perché mi tieni in ostaggio?» mi chiese, sorridendo.
«Jess, dammi il tempo di connettere e ti racconto» sbuffai.
«Aspetto che tu abbia finito di raccogliere il gregge di ormoni che stanno
pascolando» sghignazzò, finché non le tirai addosso l’asciugamano.
Non potei prendermela con Jessica quando dovetti presentare Jack come il mio
ragazzo a sua madre; d’altronde, avevamo dormito a casa loro. Giusto il tempo
di una colazione veloce e di qualche convenevole e ce ne andammo.
Prima che raggiungessimo casa mia, Jack mi fermò. «Sei sicura di stare bene?
Dopo ieri sera…»
«Sì. Preferisco non pensarci più.» Sarebbero stati sufficienti gli altri incubi che
sicuramente avrei fatto.
Jack annuì e io gli sussurrai un timido «grazie». Poi riprese a camminare
prendendomi per mano. Quei pochi istanti di quiete si dissolsero non appena
mettemmo piede in casa.
«Santo cielo, Lizzy! Devi ancora prepararti! Faremo tardi!»
«Mamma, non sono nemmeno le dieci e…»
«Ho promesso a Laura che arriveremo prima degli altri invitati così controllerò
con lei la sala!»
«Se me lo avessi detto!»
Apparve mio padre, con la cravatta ancora da annodare e l’aria già esasperata.
«Richard! Nemmeno tu sei pronto?! E Kimberly dov’è? Possibile che in questa
casa nessuno mi ascolti?» Mia madre batté un piede per terra e se ne andò,
urlando il nome di mia sorella.
Jack si stava visibilmente trattenendo dal ridere.
Mio padre si passò una mano sul viso, poi sospirò. «Non è nemmeno il nostro,
di anniversario. La tentazione di divorziare solo per non arrivarci mai è davvero
forte.»
«Andiamo a vestirci, prima che mamma si faccia venire un infarto» proposi a
Jack, che era l’unico a trovare divertente la situazione.
Ero appena uscita da una velocissima doccia quando mi sentii chiamare dal
piano di sotto. Mi affacciai dal pianerottolo, in accappatoio, per scoprire quale
altra tragedia fosse accaduta.
«Liz, noi andiamo! Ho risolto, per fortuna. Arriva Daniel a prendervi tra
mezz’ora.»
«Cosa?! Mamma!» la chiamai ma sentii chiudersi la porta di casa.
Nel giro di poco sarei finita chiusa in auto con il mio vecchio migliore amico
nonché primo amore, che non vedevo da quasi due anni, e… Jack.
Mia madre aveva insistito che indossassi il vestito comprato per il matrimonio
di un lontano cugino. Il problema era che nel frattempo il mio corpo era un po’
cambiato. Stavo litigando con la cerniera quando mi accorsi che il tempo stava
scadendo e sbuffando andai dritta in camera mia, dove Jack si stava allacciando
la camicia.
«Ho bisogno di aiuto.»
Jack mi guardò e gli indicai le mie spalle, voltandomi.
Lo sentii spostare i miei capelli di lato per chiudere quella dannata cerniera.
«Liz, è un po’…»
«Lo so! Questo maledetto vestito è vecchio e ho preso qualche chilo, ok?!» mi
difesi, sempre più nervosa.
«Più ti agiti peggio è, stai ferma.» Mi passò le mani sul ventre, tirando la stoffa
verso la schiena e provocandomi un brivido. Trattenni il respiro mentre Jack
riusciva nell’impresa.
Mi girai per ringraziarlo e lo vidi perplesso.
«Che c’è?» domandai, a disagio.
«Tua madre non deve avere la minima idea di come ti sta questo vestito. E tu ti
lamentavi della maglia di ieri sera» ghignò.
«Oh per la miseria! Perché improvvisamente le mie tette sono diventate un
caso nazionale?» persi la pazienza e in quel momento suonò il campanello.
«Di male in peggio» sospirai.
Jack fece una smorfia. «Muoio proprio dalla voglia di conoscerlo, questo
Daniel.»
Recuperai la borsa dall’altra stanza e scesi le scale insieme a Jack, che si stava
infilando la giacca. Grazie al cielo si era ricordato di mettere in valigia qualcosa
di elegante per quel pranzo, sempre che non fosse uno dei suoi outfit da lavoro.
Mi tremava la mano quando aprii la porta.
Daniel non era cambiato molto, anche se si era lasciato crescere il pizzetto e
portava i capelli più corti. Mi si fermò per un attimo il respiro quando mi sorrise.
«Lizzy?! Sei…» Scosse il capo, incredulo.
«Ciao… Daniel.» Mi mancava la voce e… anche la terra sotto i piedi.
«Santo cielo, quasi non ti riconoscevo! Vieni qua, piccola.» Mi avvolse in un
abbraccio che mi lasciò stordita. Perché era così familiare da fare male e mi era
mancato molto più di quanto volessi ammettere.
Jack finse un colpo di tosse e ci allontanammo.
«Daniel, lui è…»
«Il suo ragazzo. Jack» terminò da solo di presentarsi.
L’espressione sorpresa sul viso del mio vecchio amico mi disse che sua madre
non gli aveva raccontato nulla.
«Ok. Se siete pronti, andiamo» propose, visibilmente imbarazzato.
Quanti anni di galera avrei rischiato, se avessi ucciso sia mia madre sia Laura?
Magari mi avrebbero fatto uno sconto due per uno e ne sarebbe valsa la pena.
Mentre percorrevamo il vialetto Jack mi sussurrò: «Così lui può chiamarti
piccola, eh?».
«Lizzy, hai ancora problemi di mal d’auto? Vuoi sederti davanti?» domandò
Daniel, ricordando probabilmente tutte le volte che avevo vomitato la colazione
andando in gita con la sua famiglia.
«Grazie» gli sorrisi, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Era stato molto più
facile chiuderlo fuori dalla mia vita a distanza, non ci sarei mai riuscita se non
fossimo stati fisicamente lontani per due anni.
«Dobbiamo fermarci a prendere qualcun altro?» domandai, salendo in auto al
posto del passeggero, mentre Jack si sistemava dietro.
«No, perché?» Daniel mi rivolse uno sguardo confuso.
Forse il matricidio lo avrei evitato ma Laura non sarebbe sopravvissuta, per
quanto le avessi sempre voluto bene come a una zia.
«Tua madre aveva accennato che avresti portato qualcuno…» mi accorsi che
avrei fatto meglio a tacere e cercai di chiudere l’argomento. «Non ho ben capito,
comunque.»
«A me ha solo detto di passarti a prendere perché eri un po’ in ritardo» spiegò
Daniel, dandomi la conferma che eravamo stati fregati in due.
Jack si schiarì la voce, aveva senz’altro compreso che qualcosa non tornava.
«Come va al college, Lizzy?» si informò allora Daniel, rivolgendomi un
sorriso.
«Bene! Anche se temo di aver scelto il piano di studi più impegnativo
possibile» ammisi, guardandomi le mani posate in grembo.
La risata di Daniel risvegliò in me un fiume di ricordi nostalgici.
«Frequentate gli stessi corsi?» si informò ancora guardando Jack nello
specchietto retrovisore.
«Solo uno. Reciteremo insieme a teatro tra qualche settimana» rispose lui,
sporgendosi tra i sedili.
Daniel rimase in silenzio, per un istante. «Teatro, Lizzy?» Doveva pensare che
stessimo scherzando, lui che conosceva la mia leggendaria timidezza.
«È una lunga storia.»
Mi sorrise incoraggiante: «Di tempo ne abbiamo. Approfittiamone». Lo avevo
evitato a lungo e, per quanto sua madre lo avesse tenuto di certo aggiornato,
capivo che era curioso di sapere cosa era accaduto da quando non c’era più lui
nella mia vita.
Feci un rapido riassunto dei motivi per cui ero finita in quel corso e di come
poi io e Jack eravamo diventati Catherine e William.
«Wow» commentò alla fine Daniel.
«La scelta di Catherine è stata davvero fortunata per me» osservò Jack,
soffiandomi ogni parola direttamente sul collo.
Girai il viso e mi persi a fissare i suoi occhi scuri, odiando la mia stessa
incertezza. Quello era davvero un suo pensiero o stava recitando semplicemente
la parte del finto fidanzato innamorato?
Daniel si schiarì la voce. «Mi fermo un attimo, se no a casa non ci arriviamo»
avvisò, svoltando verso la stazione di servizio.
Non appena il mio amico scese, Jack mi chiese di raggiungerlo nei sedili
posteriori. Anzi, me lo ordinò, in un tono che non ammetteva rifiuti. D’altronde
meritava una spiegazione. Avevo appena richiuso la portiera che mi trovai
avvolta tra le sue braccia.
«Jack, cosa…?»
«Non ti divincolare come una gattina dispettosa, sei tra le braccia del tuo
ragazzo» sibilò, accennando con il capo al finestrino dietro di sé. Alzai lo
sguardo: Daniel ci stava fissando ma, vedendosi scoperto, si girò verso la pompa
del carburante.
«Ecco» sussurrò Jack, sfiorandomi il collo con un bacio. «Ora mi dici cosa è
successo tra te e quel broccolo. La verità.» Il suo tono perentorio mal si sposava
con la delicatezza dei baci che mi stava lasciando a fior di pelle.
Deglutii, cercando un po’ di lucidità per rispondere. «Era il mio più caro
amico, siamo cresciuti assieme e poi… siamo diventati una coppia.»
«Liz» mi spronò a continuare, baciandomi il mento. Ma non è che così mi
aiutasse a restare lucida.
«È andato al college e la distanza…» ero arrivata al punto dolente. «Diciamo
che voleva viversi il college senza pensieri e mi ha proposto di tornare solo
amici.»
«Imbecille» sussurrò Jack, lasciandomi un bacio all’angolo della bocca.
«Sono passati quasi due anni ma non ho più voluto vederlo né sentirlo. Mi ha
cercata per mesi fino a…» gemetti perché Jack mi stava sfiorando una coscia,
alzando il bordo del vestito.
«Sbaglio o sua madre sta cercando di farvi tornare insieme?» domandò.
Chiusi gli occhi cercando di riprendere un po’ di contegno. «Laura ha detto a
mia madre che lui sarebbe tornato a casa con una fantomatica fidanzata
giornalista» ammisi riluttante.
Jack scosse la testa e i suoi capelli mi solleticarono il collo. «Ora capisco
perché hai cambiato idea sulla mia presenza.»
«Jack…» Riaprii gli occhi, sentendomi stupidamente in imbarazzo dopo
avergli confessato tutto.
Alzò lo sguardo e mi fissò con intensità. «Ogni lasciata è persa» fu il suo
sibillino commento prima di posare la sua bocca sulla mia e coinvolgermi in un
bacio appassionato.
Mi staccai quando sentii chiudersi la portiera. Jack si rimise seduto composto
mentre Daniel avviava il motore. Guardai fuori dal finestrino, mentre in auto
regnava il silenzio. Jack mi aveva lasciato senza fiato, e non solo per il suo
bacio.
«Kimberly come sta?» chiese Daniel dopo qualche minuto, non facendo
commenti sul fatto che non fossi più seduta accanto a lui.
«Bene. Stando a mia madre è la star del suo anno. Devo ammettere che non
sono stata una sorella molto presente da quando sono partita per il college e mi
sento in colpa.»
Era passato il tempo, eravamo cambiati noi ma le abitudini erano difficili da
soffocare. A Daniel avevo sempre raccontato tutto, senza nemmeno
accorgermene. Non osavo guardare Jack, lo sentivo che mi stava fissando,
probabilmente sorpreso dalla mia improvvisa confessione.
«Oh Lizzy! Non dire così. Tu e Kim vi volete bene ma Margaret vi ha reso
molto difficile avere un bel rapporto. Ha sempre avuto la mania di fare confronti,
decidendo che tu li avresti persi in partenza.» Daniel mi fece un lieve sorriso dal
riflesso dello specchietto e ricambiai. Sapeva tutto da sempre delle dinamiche
della mia famiglia, e negli ultimi anni non erano certo cambiate.
Jack mi diede un lieve pizzicotto sul braccio per attirare la mia attenzione. Era
vero, stavo evitando di guardarlo. Ma parlare con Daniel era molto più facile, gli
occhi scuri di Jack sembravano essere sempre in grado di scavarmi dentro alla
ricerca dei miei veri pensieri. Si sentiva escluso dai nostri discorsi o stava
continuando a recitare la parte del fidanzato possessivo?
Intrecciai la mano nella sua e lo sentii rilassarsi.
Passò qualche altro minuto di silenzio, prima che Daniel domandasse: «Jessica
come sta?».
«Bene. Siamo usciti con lei e il suo ragazzo Matt ieri sera» raccontai, non
riuscendo a evitare di rabbrividire al ricordo. Jack strinse per un attimo la mia
mano con più forza.
«Il college come va?» chiesi a mia volta, cambiando argomento per distrarmi
dai ricordi e per non lasciare solo a lui il peso della conversazione. Mi rattristava
parlarci come due semplici conoscenti.
La risposta di Daniel fortunatamente occupò quasi tutto il resto del viaggio,
finché il discorso si spostò sulle ultime deliranti settimane di organizzazione di
quel pranzo. «Tra un paio d’anni tocca ai tuoi, Lizzy. In bocca al lupo!» rise alla
fine, parcheggiando.
Jack, che aveva trascorso gli ultimi minuti sbuffando, aprì la portiera prima
ancora che il mio amico spegnesse il motore.
«Raggiungo mia madre prima che si metta a maltrattare lo staff» mi sorrise
Daniel, facendomi una lieve carezza su un braccio prima di voltarsi e andarsene.
«Eh sì, si vede che vi siete lasciati davvero in pessimi rapporti.» Jack schioccò
la lingua, camminando accanto a me verso l’entrata del ristorante.
«Siamo stati amici per quasi tutta la vita» gli spiegai, un po’ sulla difensiva.
Jack scosse il capo ma non aggiunse altro.
Non appena ne ebbi l’occasione, presi da parte mia madre. «Mamma! Perché
mi hai raccontato che Danny era fidanzato?»
«Oh.» Sembrava a disagio. «È stata Laura a dirmelo. Deve aver capito male.»
«O forse pensava di farmi ingelosire e convincermi a parlare di nuovo a suo
figlio?»
Rimase in silenzio, evitando il mio sguardo. Dopo la chiusura dei rapporti tra
me e Daniel, la mia famiglia aveva evitato di mettere bocca, al contrario Laura
aveva cercato di parlarmi di lui ogni volta che mi incontrava, almeno finché non
ero partita per il college. E non dubitavo che avesse fatto lo stesso con Daniel.
Era un miracolo che non ci odiassimo.
Tornai verso Jack, che stava chiacchierando con mio padre. «Tua sorella è là
che parla con un ragazzotto tutto brufoli» mi avvisò.
Sorrisi. «Kim ti adora ma se le fai una finta scenata da fratello maggiore rischi
davvero grosso.»
«Andiamo a sederci, dai» mi prese per mano, facendosi strada tra i gruppetti di
invitati che conversavano.
Non me ne stupii, considerando che Laura si era occupata dell’organizzazione,
ma Jack non se lo aspettava, e lo sentii imprecare quando vide che il nome di
Daniel figurava nel segnaposto accanto al mio.
«È già tanto che io non sia finito a un altro tavolo» borbottò alla fine,
sedendosi tra me e Kimberly.
Sapevo che il pranzo sarebbe stato imbarazzante, ma ero stata fin troppo
ottimista.
Daniel monopolizzò la mia attenzione fin dai primi istanti, rivangando ricordi
che ci legavano. Tutta la mia famiglia venne coinvolta, perfino mia sorella che
divenne paonazza quando lui raccontò di avermi aiutato a cambiarle il pannolino
in più di un’occasione.
Non sarebbe stato nemmeno così male se Jack non fosse finito inevitabilmente
escluso da ogni conversazione e avesse quindi cercato di attirare la mia
attenzione a modo suo. Cominciò posando un braccio sullo schienale della mia
sedia e facendomi perdere il filo del discorso semplicemente con la lieve carezza
di un dito lungo la mia colonna vertebrale. Poi, quando Daniel coinvolse mio
padre nel racconto della disastrosa vacanza in campeggio, avvicinò la sua sedia
alla mia, lentamente e con discrezione, finché non sentii la stoffa dei suoi
pantaloni a contatto con il mio polpaccio.
Ebbi solo qualche minuto di tregua, mentre Jack rispondeva a una domanda di
mia sorella, ma non appena Daniel trovò un nuovo aneddoto da raccontare sentii
la sua mano sul mio ginocchio. Sussultai e scivolai in avanti, per nascondere
quel gesto. Credevo che, se l’obiettivo era farsi vedere dal mio amico, in questo
modo Jack avrebbe ritirato la mano. Ovviamente mi sbagliavo.
«Lizzy, ti ricordi quella volta del bagno in piscina da Roger…» Ma la fine del
racconto andò perduta per me, perché la mano di Jack stava risalendo l’interno
della mia coscia.
Gemetti e finsi un colpo di tosse. Jack mi porse il mio bicchiere, con un sorriso
malizioso.
Arrivarono i secondi e, approfittando della distrazione, Jack mi sussurrò:
«Visto che siamo agli aneddoti, posso raccontare di quella volta in cui mi sono
infilato nella tua doccia?».
Sospirai. «Jack, per favore. Basta giochetti alla William.»
Mi rivolse uno sguardo sorpreso ma non riuscì a replicare perché venne
richiamato da mia madre.
Laura e Rob erano seduti all’altro estremo della lunga tavolata di amici e
parenti, ma mentre stavamo finendo l’arrosto Laura ci raggiunse. Mi ero
volutamente tenuta a distanza: non volevo rovinarle la festa, ma ero rimasta
molto delusa dalla sua macchinazione.
E ancora non avevo visto nulla.
Tra sorrisi e chiacchiere, chiamò l’amico fotografo pregandolo di scattarle
alcune foto con tutti noi.
«Ora me ne fai una di Lizzy e Daniel? Sarà splendida sul caminetto accanto a
quella di quando erano bambini!»
Jack stava bevendo e quasi si soffocò, mia madre sbiancò e Daniel mi lanciò
uno sguardo imbarazzato. Il fotografo si preparò e Daniel mi passò un braccio
attorno alle spalle.
«Più vicini! Non ci starete mai nell’inquadratura!» si lamentò Laura, come se
fosse lei ad avere la fotocamera in mano.
Poi chiese di vedere l’anteprima e fece scattare la foto quattro volte, prima di
reputarsi soddisfatta. Nell’ultima dovevo aver assunto ormai un colorito aragosta
mentre sentivo Jack tamburellare le dita sul tavolo, innervosito.
Furono i due minuti più lunghi e dolorosi degli ultimi anni, addossata così
vicina a Daniel. Usava ancora lo stesso profumo e il tocco della sua mano era fin
troppo familiare.
Quando sciolse l’abbraccio, feci l’errore di guardarlo e crollai, perché nei suoi
occhi azzurri lessi tutta la malinconia e tutto il dispiacere che non gli avevo mai
permesso di mostrarmi. Mi mancò il respiro quando si chinò a baciarmi sulla
fronte, prima di lasciarmi libera.
Jack si alzò e mi offrì la mano. «Andiamo a fare due passi?»
Non osai guardare nessuno negli occhi mentre mi alzavo e uscivo nel giardino
sul retro con lui.
«Liz, ho bisogno della verità» disse, fissandomi con aria grave.
«Su cosa?»
Sbuffò. «Vuoi tornare con quell’imbecille? Basta che tu lo dica e chiudiamo la
messa in scena.»
Il suo tono mi ferì. Già era una giornata difficile, doveva proprio mettercisi
anche lui a peggiorare le cose facendo il bambino?
«Santo cielo! Di questo ti preoccupi? Mi dispiace, dico davvero, di come Laura
ti ha mancato di rispetto. Ma non ti farò fare la figura del cornuto. E comunque
puoi anche smettere di recitare.»
Jack si avvicinò e il suo sguardo tagliente mi lasciò senza fiato. «Ti fa comodo
credere che io non sia mai me stesso, così puoi avere sempre la scusa pronta.»
«Che cavolo stai dicendo?» Stavo tremando per la quantità di emozioni che
non riuscivo più a contenere. Sgomento, incredulità, rabbia… desiderio. Quando
lui mi era così vicino, perdevo sempre la capacità di ragionare lucidamente.
Scosse la testa, esasperato. «Tu con chi credi di avere avuto a che fare in questi
ultimi giorni? Con William?»
«Non lo so!» urlai.
«Questo sono io, dannazione!» alzò la voce a sua volta.
La porta si aprì e mia sorella ci chiamò.
«Stanno per servire il dolce» disse con voce preoccupata.
«Arriviamo» sussurrai. «Jack, io…» ma non sapevo cosa aggiungere.
«Ne riparliamo stasera» mi interruppe e mi precedette dentro.
A un passo dalla porta, però, si girò e all’improvviso mi avvolse in un
abbraccio.
«Voglio solo che sia chiaro che…» bisbigliò, direttamente al mio orecchio.
Trattenni il respiro. «Quando ti bacio… quando ti sfioro… quando ti tocco…
sono io. E voglio te.»
12
Jack poggiò il borsone sul pavimento della mia stanza, ancora silenzioso e
visibilmente teso.
«Le cose che avevi nel monolocale?» gli chiesi.
Jack fece una smorfia, sedendosi sul mio letto. «Mio fratello le ha fatte portare
in un deposito, è stato l’unico aiuto che mi ha dato.»
Mi sedetti al suo fianco. «Mi dispiace.» Non sapevo che altro aggiungere.
Jack mi guardò intensamente per lunghi istanti. «A me dispiace che tu ci sia
finita in mezzo. Mio padre è uno stronzo.» Rimasi in silenzio e Jack continuò.
«È proprietario del più grande studio legale della città e vuole che io e Luke
seguiamo le sue orme.»
«Tua madre?» osai domandare, non sapendo fino a che punto si sarebbe
confidato.
«È morta dieci anni fa. Quello dei miei genitori era un matrimonio di
convenienza, a mio padre interessavano i soldi della famiglia di mamma e lei era
rimasta abbagliata dalla sua ambizione.» Roteò il collo e si massaggiò una
spalla. «Dormire in aereo mi ha ucciso.»
Era chiaro che le confidenze per ora finivano lì. L’amarezza, forse, era troppa
per continuare.
Agendo d’impulso, mi sfilai le scarpe e salii in ginocchio sul letto alle sue
spalle.
«Che fai?» mi domandò sorpreso.
«Me la cavo abbastanza con i massaggi, fidati.» Gli posai le mani sulle spalle e
cominciai in punta di dita, finché il suo silenzio suonò come un consenso e
allargai le mani per massaggiargli collo e spalle. Lo sentii rilassarsi finché non
poggiò all’indietro la testa contro la mia pancia, a occhi chiusi.
Allungai una mano per passargliela tra i capelli, sopraffatta da quel suo
momento di vulnerabilità. Lui sospirò, abbandonandosi al mio tocco mentre le
mie dita scendevano a delineare i contorni del suo viso, il mento, il naso, la
fronte.
Jack si rimise seduto, girandosi leggermente verso di me e rimanendo in
silenzio, gli occhi scuri fissi nei miei, in attesa.
Al diavolo tutto, mi dissi. Al diavolo le paure e i ripensamenti. Lo baciai, per la
prima volta fui io a prendere l’iniziativa. Lui mi avvolse nel suo abbraccio non
appena sentì le mie labbra sulle sue: si era trattenuto fin troppo.
Il bacio divenne più profondo, mentre le sue mani mi arpionavano i fianchi,
aiutandomi a sistemarmi a cavalcioni sulle sue gambe. Tornai a immergere le
dita tra i suoi capelli e scivolai in avanti portando i nostri corpi a contatto
completo.
«Liz» gemette, staccandosi per lasciarmi un bacio sul collo che mi annebbiò,
distraendomi dal percorso della sua mano al di sotto della mia maglia.
Nel momento in cui mi accorsi che il mio reggiseno era sganciato, la mano di
Jack si era già insinuata rapida al di sotto della stoffa.
Ansimai per la sorpresa, inarcando la schiena di riflesso.
«Dimmelo, Liz» mi ordinò lui, approfittandone per percorrere di baci il mio
mento.
«Cosa?» ansimai confusa.
«Vuoi che mi fermi?» domandò, disegnando con il pollice il contorno del mio
seno.
«No» gemetti.
«Allora dillo.»
«Ti voglio, Jack» ammisi, a lui e a me stessa.
Era la parola d’ordine che aspettava, quella che fece crollare il muro di
incomprensioni e finzioni che avevamo costruito. Mi liberò della maglia e io feci
sparire la sua, con gesti frenetici. Questa volta non tentennai nell’aprirgli la
cintura dei pantaloni, l’esercizio era servito.
Distesa sul letto, annegai nel suo sguardo bruciante mentre mi sfilava i
pantaloni.
Jack non perse tempo, le sue mani furono subito ovunque, sul mio corpo. Il suo
tocco era deciso, impaziente ma mai troppo invadente. L’imbarazzo fece
capolino per un solo istante, quando mi ritrovai nuda, ma lo sguardo e il sorriso
che mi riservò spazzarono via ogni incertezza.
«Non osare lamentarti di come andrà» mi sussurrò nell’orecchio, con tono
divertito. «Sono troppi giorni che ti desidero.»
«Anch’io» bisbigliai. «Ma quella scorta di preservativi che ti eri portato in
valigia…?» lo provocai.
«La speranza è l’ultima a morire» ghignò, facendomi ridere. Jack non si
smentiva mai e questo, in qualche modo, mi rassicurava, perché mi convinceva
di aver sempre avuto a che fare con lui e non solo con personaggi fittizi.
«Non ti distrarre» mi ammonì poi riprendendo a baciarmi, sfiorarmi e toccarmi
ancora per lunghi, estenuanti minuti.
«Jack, dai» mi lamentai, affondando le unghie nella sua schiena.
«Impaziente?» Voleva prendersi gioco di me, ma anche a lui tremava la voce.
«Ti… stai… vendicando» ansimai.
Non rispose, non ce ne fu bisogno, perché ascoltò la mia preghiera.
«Jack?» lo chiamai, dopo lunghi istanti di silenzio, nuda tra le sue braccia.
«Uhm» rispose, pizzicandomi leggermente un fianco.
«Non è stato solo… Non stiamo solo giocando, vero?» domandai, titubante.
Mi prese il mento tra le dita e mi sollevò il capo perché lo guardassi negli
occhi. «No Liz, se fosse stato solo sesso sarebbe successo settimane fa.»
Annuii e mi strinsi a lui, rabbrividendo. Jack ci fece scivolare entrambi sotto le
coperte, pensando che avessi freddo, ma i miei brividi avevano ben altra causa:
temevo di essermi spinta ormai oltre il punto di non ritorno.
Cenammo con una pizza e Jack propose di ripassare qualche battuta del
copione. Ma il bacio di William divenne subito il bacio di Jack, mentre per la
prima volta mi sentivo davvero Catherine, condividendo il suo desiderio di
seduzione. Lui invece uscì dal copione non appena mi baciò, e non fu in grado di
cacciarmi dal suo letto. Cioè dal mio, in questo caso.
«Credi che questa nuova modifica potrebbe piacere al professore?» chiese
dopo, giocando con i miei capelli mentre io ero accoccolata contro di lui, di
nuovo nuda e ancora senza fiato.
«Non lo dire nemmeno per scherzo.»
«Comunque avevo ragione sul miciotta. Mi hai graffiato la schiena» ghignò.
Quando suonò la sveglia, il lunedì mattina, non avevo la forza di aprire gli occhi.
Jack si mosse al mio fianco, mormorando qualcosa di indefinito e allungando
una mano sul mio seno. Il pigiama non era nemmeno uscito dal cassetto la notte
precedente.
«Devo alzarmi» mi lamentai.
«Uhm» fu la sua unica risposta.
Avevamo fatto molto tardi e la voglia di uscire da quel letto caldo era davvero
poca. Mi misi seduta ma Jack mi trascinò di nuovo all’indietro. «Dove pensi di
andare?» chiese, la voce ancora assonnata.
«Ho lezione.»
«Mi sono appena svegliato con te nuda nel letto» si sdraiò su di me. «Sarebbe
davvero un grave… peccato…» Scandì ogni parola con un bacio. «Sprecare tutto
questo. Non pensi?» Facendo aderire i nostri corpi rese la domanda puramente
retorica.
«Se mi alzo, arrivo in tempo per la seconda lezione» sospirai, un’ora dopo,
ancora nuda tra le sue braccia, sotto le lenzuola.
Lui non replicò e mi alzai, sgattaiolando in bagno per una doccia veloce. Il
tempo di aprire l’acqua e Jack mi aveva già raggiunta.
«Non farò mai in tempo se mi distrai» lo accusai, girandomi per guardarlo
negli occhi.
«Ti aiuto solo a lavarti» disse, assumendo la peggiore imitazione di
un’espressione innocente, mentre le sue azioni dimostravano le sue vere
intenzioni.
«Jack!»
«Shhh, non ho specificato come.» Mi rivolse un sorriso malizioso. Neanche a
dirlo, persi anche la seconda lezione e finimmo tutta l’acqua calda.
Ormai era ora di pranzo e, avendo saltato la colazione, Jack stava diventando
irritabile, anche se era tutta colpa sua. Prima che mordesse me, proposi di uscire
a mangiare qualcosa.
Non lo avevo mai visto sorridere e scherzare con tanta naturalezza: ne avevo
avuto un assaggio in alcuni momenti della «vacanza» con la mia famiglia ma
avevo pensato che recitasse.
Gli confidai la mia sorpresa per questo nuovo lato della sua personalità. La
risposta virò sull’ironico: «Di lati miei ne hai visti parecchi, ormai. Poi tutta
quella tensione sessuale stava iniziando davvero a mandarmi fuori di testa».
«Quindi sei solo soddisfatto di esserti sfogato» gli risposi, stando al gioco.
«Non ho detto questo» sussurrò, avvicinandosi per baciarmi.
Il gesto, nella sua semplicità, mi sorprese. Avevo creduto che il suo
comportamento in pubblico non sarebbe variato rispetto alle settimane
precedenti. Non che pensassi che non volesse farsi vedere con me ma…
d’accordo forse, dentro di me, lo avevo davvero pensato.
Non tornammo al campus: Jack decretò che era un pomeriggio troppo bello per
chiudersi in un’aula.
Rimanere a passeggiare con lui per le vie della città ebbe un effetto perfino più
destabilizzante delle ore trascorse tra le lenzuola. Chiacchierare di qualsiasi cosa,
vederlo ridere, lasciarmi baciare di sorpresa e sospingere nel buio di un vicolo
per godere di qualche minuto di privacy mi fecero sentire più esposta e
vulnerabile di quando aveva guardato, baciato e toccato ogni centimetro della
mia pelle.
Fu solo quando lui si addormentò al mio fianco quella notte che mi resi conto,
non senza una buona dose di terrore, che mi stavo innamorando di Jack.
13
«Ho due avvisi importanti, fate silenzio!» Il professore zittì con impazienza il
brusio nell’aula. Le vacanze non sembravano averlo rilassato. «Laggiù ci sono
gli abiti di scena. Tra poco arriverà la sarta per controllare le modifiche da fare,
quindi andate a indossarli in fretta, ci sono già i nomi dei vostri personaggi
indicati sopra.»
«Ma dove ci possiamo cambiare?» La domanda, di una compagna di corso, mi
sembrò più che lecita.
«Ingegnatevi! Ci sono i bagni qua fuori» sbuffò il pazzo tirandosi il pizzetto,
infastidito per essere stato interrotto. «Il secondo avviso riguarda gli interpreti di
Catherine, William e George.»
Sussultai e temetti il peggio, mentre cercavo la mano di Jack come conforto.
«Sto lavorando con loro tre da qualche settimana, perché ci sono state delle
aggiunte al copione ma voialtri non dovete preoccuparvene» il professore fece
un gesto noncurante con la mano. «Esigo che nulla trapeli da queste mura prima
dello spettacolo. Nulla!» tuonò, minaccioso.
Sentii Jack tremare e lo guardai: si stava trattenendo dal ridere. Beato lui che
non si faceva intimidire da quel pazzo! In aula il silenzio era totale, anche se gli
annunci avevano lasciato perplessità sui visi di tutti e un rinnovato odio in quello
di Kristen, che stava fissando in particolare la mia mano stretta in quella di Jack.
«Prima che arrivi la sarta, proviamo la scena completa della seduzione di
William» ordinò infine il professore, passandomi la busta con la vestaglia
comprata da Jack.
«Professore ma devo indossare… solo questa?» sussurrai atterrita.
«No, a quello penseremo nelle prove a teatro» rispose con tranquillità.
Jack mi rivolse un sorriso incoraggiante e andò a sistemare il divano letto,
abbandonato in un angolo.
«Nuove scene con Catherine» sentii dire a Kristen, con disgusto. «Come
rovinare del tutto Lezioni.»
La sua critica mi spinse a dare il massimo, a dimostrare a tutti che non ero così
male come Catherine. Dopo le due notti trascorse con Jack, mi sentivo molto più
a mio agio nei panni della seduttrice di William e la scena filò via liscia, fino al
bacio. Jack mi lasciò andare dopo un tenero bacio della buonanotte, ben diverso
da quelli che ci eravamo scambiati fino a un’ora prima.
«Le vacanze vi hanno fatto decisamente bene» commentò il professore,
soddisfatto. Jack mi rivolse un enorme sorriso, che mi fece arrossire ancora più
della lode inaspettata.
«Ora i costumi, forza che abbiamo poco tempo! Prima le dame e le serve.
Catherine per ultima perché ha più cambi d’abito» ci istruì il professore.
Rimasi in disparte mentre le mie compagne cercavano nella rastrelliera i loro
abiti, e in quel momento mi si avvicinò Rick. Quando ero arrivata, insieme a
Jack, mi aveva solo fatto un cenno di saluto a distanza.
«Quindi le cose con Jack si sono chiarite» disse, a bassa voce.
Abbassai il capo, imbarazzata. «Rick, mi dispiace. Davvero, io…»
«Liz, secondo te perché continuavo a chiederti cosa c’era tra di voi? Non sono
stupido. E comunque nessun rancore, davvero. Amici?» mi domandò con uno
dei suoi caratteristici sorrisi.
Annuii, ancora un po’ a disagio ma più sollevata. Rick era l’unico che aveva
tentato di essermi amico in quelle settimane, mi sarebbe dispiaciuto perderlo.
Jack ci raggiunse in quel momento, un po’ scuro in volto. Lo avevo visto
allontanarsi per parlare al telefono poco prima e speravo che suo padre non ne
avesse combinata un’altra delle sue.
«Tutto bene?»
«Avevo trovato un annuncio per un appartamento ma lo hanno già affittato.»
Sbuffò e mi lasciò interdetta. Sapevo di non poterlo ospitare fino agli esami,
perché se mi avessero scoperta avrei rischiato grosso ma mi chiesi perché non
me ne avesse parlato, considerando che avevamo trascorso assieme quasi tutto il
tempo negli ultimi giorni.
«Ti serve una stanza?» si intromise Rick. «Il mio coinquilino si è appena
trasferito e ho una stanza vuota. Se ti interessa…» Tentò di usare un tono
disinvolto, anche se era visibilmente incerto, considerando che lui e Jack non
avevano mai avuto un gran rapporto.
«Dici davvero?» la sorpresa di Jack echeggiò la mia.
Rick scrollò le spalle. «Per me non ci sono problemi. Se non fai troppo casino
in giro ed evitate di battezzare il divano.» Guardò me mentre lo diceva ma non
replicai, troppo imbarazzata. Jack, invece, rise e diede una pacca sulla spalla a
Rick. «Grazie, amico.»
Uomini. Come rendevano sempre tutto più semplice!
«Elizabeth!» Il professore mi chiamò, stringendo tra le mani una voluminosa
custodia bianca. Mi avvicinai e me la passò. «Questo è per l’atto finale, provalo
solo alla fine quando sarai da sola.»
Quando arrivai nei bagni, le mie compagne si stavano aiutando l’una con
l’altra a entrare negli abiti di scena.
«Oh, c’è Catherine» mi salutò Kristen, con una smorfia.
«Sei stata molto brava prima» si complimentò invece una delle altre ragazze,
con un sorriso.
«Vorrei anche vedere! Non serve nemmeno saper recitare per saltare addosso a
William» sbuffò Kristen, rimanendo senza alcun problema in biancheria.
Avrebbe avuto molte meno remore di me nella scena di nudo di Catherine.
«Tu di certo non ne hai mai avuto bisogno, per buttarti addosso a Jack!» rise la
sua amica.
«Peccato che i gusti di Jack siano scesi così in basso» commentò Kristen,
guardandomi dal riflesso dello specchio.
Ero rimasta in silenzio fino a quel momento ma la timidezza non era una
scusante per farmi maltrattare. «Per me non è stato decisamente un peccato che
stamattina Jack sia… sceso in basso.» Le sorrisi, lasciandola senza parole, poi
uscii dal bagno. Avrei atteso che finissero di vestirsi, d’altronde il costume
dell’atto finale doveva rimanere segreto.
In quel momento Jack uscì dal bagno accanto, lasciandomi senza parole negli
abiti di William.
«Dov’è Catherine?» chiese
«In bagno c’è Kristen che spiega quanto è facile buttarsi addosso a William…
o a te.»
«Ci penso io a lei. Ora vai a vestirti, dai» mi incitò con una pacca giocosa sul
fondoschiena.
«Jack!»
«Stamattina non ti dispiaceva così tanto» rise, avviandosi verso l’aula.
Mi chiusi in una delle aule vuote per aprire la custodia segreta. E rimasi
abbagliata da un bellissimo abito di broccato d’argento, con il corpetto di pizzo.
«Meraviglioso, vero?» Ero così assorta nella contemplazione che non mi ero
accorta che la sarta mi aveva seguito.
«Non volevo spaventarti, cara. Volevo controllare le modifiche di quello prima
degli altri perché mi occuperà più tempo» si avvicinò, indossando un paio di
occhiali.
«Lo metto subito» le sorrisi, non vedendo l’ora di provarlo.
Mi aiutò a chiuderlo e rimase alle mie spalle. «Un matrimonio da favola.»
«È… un abito da sposa?» Mi girai verso di lei.
«Esatto!» esclamò, chinandosi a controllare l’orlo. «Forse voi ragazze di oggi
sognate abiti più moderni e leggeri.»
«Oh no, no. Ammetto di aver sempre sognato di sposarmi con un abito da
principessa, e questo è davvero…» Scossi il capo, non trovando le parole.
«Quando te lo avrò sistemato ti starà così bene che il tuo ragazzo potrebbe aver
voglia di sposarti la sera stessa» rise la sarta.
Distolsi lo sguardo dalla contemplazione dell’abito. La osservai lavorare con
ago e filo. «Sono decisamente troppo giovane. Anche se…» esitai, ma poi decisi
di confidarmi, stregata dalla magia del vestito. «Ho sempre sognato di sposarmi
giovane e crearmi una famiglia. Credo di essere nata nel secolo sbagliato o di
aver letto troppe volte i libri di Jane Austen!»
Lei alzò gli occhi per sorridermi e in quel momento cambiò espressione.
«Ehi, giovanotto! Sono prove segrete!» disse severa a qualcuno dietro di me.
Sentii il rumore della porta che si richiudeva. «Il tuo coprotagonista è davvero un
tipo curioso» disse poi.
Jack era entrato? E perché non mi aveva neanche salutata?
Quando rientrai nei miei abiti e tornai in aula, dove le due assistenti della sarta
stavano finendo di prendere le misure per le modifiche, andai a cercare Jack.
«Ammetto che il panciotto di William non ti sta poi così male!» dissi
accarezzando il broccato di una manica.
Mi fece solo un mezzo sorriso e continuò a parlare con Rick, accordandosi sul
suo imminente trasloco. Certo, era una questione importante ma mi sentii un po’
messa da parte. Un paio di scatoloni erano più importanti che parlare con me?
Per di più alla fine della lezione se ne andò senza aspettarmi, e non riapparve
fino a sera.
Era già buio quando sentii la sua voce provenire dal corridoio, salutando…
Bonnie? Si erano incontrati lì fuori… o altrove? Un altro impegno di lavoro?
Andai ad aprire sorridendo per mascherare l’irritazione. Ma Jack si limitò a
squadrarmi da testa a piedi e mi sembrò di essere ritornata alla prima serata di
prove in camera.
«Perché non sei già nuda?» chiese, a voce fin troppo alta.
«Jack!» sussurrai, fulminandolo. Come temevo, alle sue spalle c’era proprio
Bonnie che ci stava osservando.
«Cosa devo fare per convincerti a scegliere me?» continuò lui, senza accennare
a entrare in camera.
«Di cosa stai parlando?» Lo afferrai per la giacca tentando di trascinarlo dentro
ma oppose resistenza e rimase sulla soglia.
«No! Non entro finché non mi assicuri di aver scelto me!» annunciò,
imperterrito, attirando l’attenzione di tutto il piano.
Ero ormai viola per l’imbarazzo e tentata di chiudergli la porta in faccia, visto
che non si decideva a entrare e soprattutto non smetteva di dire assurdità. Per un
attimo, mi chiesi se avesse notato la chiamata persa sul mio telefono, quel
mattino. Daniel aveva già tentato due volte di contattarmi ma lo avevo sempre
ignorato. Pensai di dirgli che avrei continuato a non rispondergli, come avevo
fatto per anni, d’altronde.
«Per favore, miciotta» declamò Jack, cadendo in ginocchio.
Oh santo cielo! Stava recitando?
«Jack, alzati» borbottai. La mia priorità era porre fine alla scenata pubblica per
poi ucciderlo in privato.
«Solo se giuri di darmi una possibilità» continuò, sempre più sofferente.
«Sì, certo» tagliai corto, infastidita.
Si alzò all’improvviso, sfoggiando un sorriso abbagliante. «Oh amore, grazie!»
e finalmente entrò, chiudendosi quella maledetta porta alle spalle.
«Jack, che diavolo significava questa messinscena?» sussurrai, perché non mi
udissero.
I suoi occhi scuri brillarono di divertimento, facendo vacillare per un istante la
mia indignazione. «Bonnie starà telefonando a Kristen in questo esatto
momento, per raccontarle tutto quanto. Vediamo se continuerà a tormentarti
ancora.»
Lo guardai allibita. «Jack, non credi che fingere di buttarti ai miei piedi
disperato, alludendo perfino a un possibile tuo rivale, renderà Kristen ancora più
inviperita nei miei confronti?»
La mia reazione di fronte alla sua cavalleresca trovata sembrò offenderlo. La
verità era che gli piaceva essere al centro dell’attenzione, ecco cosa.
«Bè, non è che me lo sia proprio inventato il rivale, eh» borbottò, poi afferrò la
sua borsa e si chiuse in bagno.
Mentre si faceva la doccia, ragionai su come risolvere quell’assurda
discussione. Ma ogni mio piano di chiarire sfumò quando Jack uscì dal bagno.
Vestito di tutto punto.
«Sono in ritardo per il lavoro. Torno tardi, mi lasci le chiavi?»
Gliele passai in silenzio e mi salutò con un veloce bacio all’angolo della bocca.
Quando riuscii a riordinare i pensieri a sufficienza, chiamai Jessica.
«Oh, finalmente ti fai viva, invece di rispondere ai messaggi ore dopo!» mi
salutò.
«Jess» sospirai affranta.
«Liz, che è successo?» si preoccupò subito.
«Versione breve? Ho passato due giorni a letto con Jack e lui adesso è uscito
per andare al lavoro. A spogliarsi, al lavoro.»
«Bene, ora voglio la versione lunga e dettagliata.»
Iniziai a raccontarle ogni cosa, a partire dall’incontro con il padre di Jack fino a
come eravamo finiti a letto insieme.
«O tutto o niente, eh? Andare con calma non era proprio possibile?»
«Jess! Sei stata tu a dirmi di dargli una possibilità!»
«Di dargli una possibilità, non altro!» mi sgridò.
«Oh santo cielo! Non ci credo che mi stai dicendo una cosa del genere.»
«Te lo dico perché ti conosco e so che adesso sei assolutamente innamorata
persa di lui; forse lo eri già da prima, ma finirci a letto insieme è stata la
conferma.»
«E quindi?» mi misi subito sulla difensiva.
«Devi capire cosa prova per te e dovete chiarire. Cosa credi di fare se no,
trascorrere ogni notte ad aspettarlo mentre si spoglia davanti ad altre?»
Jessica aveva ragione, non ci sarei mai riuscita.
Jack rientrò tardi, lo sentii infilarsi a letto ma non avevo la forza di aprire gli
occhi, mi ero addormentata solo poco prima. Il mattino successivo uscii per
andare a lezione mentre lui dormiva ancora.
Rimasi combattuta tutto il giorno, chiedendomi se provare a chiamarlo, ma alla
fine fu lui a telefonarmi quella sera, quando ero appena rientrata in camera; si
sentiva rumore in sottofondo, come se fosse in un bar, poi cadde subito la linea.
Quando il telefono suonò di nuovo, risposi senza nemmeno guardare.
«Lizzy!» Daniel era decisamente sorpreso che gli avessi risposto. Infatti era
stato un errore.
«Daniel, scusami ma sto aspettando una telefonata e…»
«Solo un minuto, Lizzy. Per favore.» Di fronte al suo tono implorante non
riuscii a resistere. Era Daniel, il mio amico. Perché lo stavo trattando come uno
stalker?
«D’accordo.»
«Mi manchi» confessò. Feci per interromperlo ma continuò in fretta. «Non
averti avuto nella mia vita questi anni è stato doloroso, ma rivederti e rendermi
conto che stavamo diventando due estranei mi ha ucciso.»
Rimasi in silenzio, le sue parole mi avevano colpita nel profondo.
«Vorrei solo poterti chiamare e sapere come stai. Raccontarti qualcosa della
mia vita e sapere come va la tua. Nient’altro» concluse in un sussurro.
Sospirai, a occhi chiusi, combattuta tra la nostalgia e l’orgoglio. La nostra
storia d’amore era naufragata dopo pochi mesi ma la mia amicizia con Daniel
era durata quasi due decenni.
«Non so cosa risponderti» ammisi, con un fil di voce.
«Pensaci, Lizzy. Promettimi che ci penserai, ti chiedo solo questo. Ti richiamo
tra qualche giorno.»
Mi presi un paio di minuti per metabolizzare le parole di Daniel, poi richiamai
Jack ma non mi rispose, né mi richiamò.
Venerdì mattina non lo lasciai addormentato, come i giorni precedenti.
«Jack? Facciamo tardi, dai» lo chiamai per la terza volta, mentre ero già pronta
per uscire.
«Vieni qua» mi afferrò la mano, la voce roca per il sonno.
«Abbiamo lezione» gli ricordai, finendo di nuovo sdraiata sul letto.
«Shhh, fatti dare il buongiorno. Mi svegliavo sempre che te ne eri già andata.»
Non riuscii a capire, dal suo tono, se avrebbe voluto essere svegliato le mattine
precedenti.
«Jack…» sospirai, mentre tentava di sfilarmi la maglia.
«Ti aiuto a vestirti» sussurrò, sfiorandomi la pancia.
«Sono già vestita» ribattei, poco convinta.
«Ti aiuto a rivestirti… dopo» si corresse, sfilandomi la maglia con un sorriso
malizioso. «Ciao ragazze» sospirò, in estasi.
«Jack!» risi. «Stai parlando alle mie tette?»
«Non essere gelosa, non trascurerò nulla.»
«Hai fatto tardi, ieri sera?» mi domandò Jack, seduto al tavolo della caffetteria.
Mi ero svegliata in ritardo ed ero corsa all’appuntamento, dovevo avere ancora i
segni delle poche ore di sonno sul viso.
«Ho studiato.» Era vero, ma a tenermi sveglia fino alle quattro del mattino
erano stati i messaggi stupidi di Daniel.
Mi suonò il telefono e feci l’errore di prenderlo dalla borsa perché aspettavo la
chiamata di mia madre. Ma era Daniel.
«Non rispondi?» chiese Jack.
Annuii, pensando che se avessi rifiutato la chiamata sarebbe stato peggio, in
fondo non avevo nulla da nascondere.
«Sì?» Evitai di guardare Jack mentre rispondevo.
«Lizzyyyy» sentii Daniel sbadigliare. «Sono crollato e mi sono svegliato solo
ora. Quel settimo caffè mi sarebbe proprio servito.»
«Non credo. Hai fatto bene a riposare, ora puoi tornare al lavoro.» Ero a
disagio a rispondere con Jack di fronte.
Daniel se ne accorse subito: «Tutto bene? Ti ho disturbata?».
«Sto facendo colazione… con Jack.» Lo guardai di sottecchi e arrossii.
«Oh. Ok, torno al progetto. Grazie per l’aiuto, Lizzy.»
«Di nulla» chiusi la chiamata e maledissi le reazioni involontarie del mio
corpo: se fossi stata al telefono con Jess non sarei certo arrossita.
«L’ho davvero sottovalutato» commentò Jack, confermandomi di aver capito
chi chiamava.
«Sto solo cercando di dare una possibilità alla nostra vecchia amicizia» mi
difesi.
«Certo.» Trasudava sarcasmo e questo mi indispose.
«Jack, dico sul serio. Non devi essere…» stavo per nominare la gelosia ma mi
bloccai.
Jack scosse il capo.
«Tranquilla» disse con indifferenza, poi si alzò e mi propose di fare due passi.
«Domani è domenica, sono libero fino all’ora di cena» mi avvisò, mentre mi
riaccompagnava.
«Bene» gli sorrisi e mi baciò, con passione, lì nel bel mezzo del vialetto di
accesso ai dormitori.
Qualche ora assieme avrebbe spazzato via tutti i dubbi e le incertezze di quegli
ultimi giorni, mi dissi. Quanto mi sbagliavo.
14
Il difetto principale di quella domenica trascorsa con Jack fu che sembrò andare
tutto così bene da farmi dimenticare, per qualche ora, ogni altro pensiero e
dubbio. Era rilassato e sorridente, pronto a ogni genere di battuta maliziosa e a
stuzzicarmi in qualsiasi modo che gli venisse in mente.
Avevamo comprato alcuni panini per improvvisare un picnic al parco. Mentre
preparavo la borsa, quel mattino, non avevo nemmeno pensato di portarmi un
libro per studiare, e questo la diceva lunga sul mio cambiamento e su quanto
Jack fosse al centro dei miei pensieri in quel momento.
Stavo ridendo con lui quando risposi alla telefonata di Jessica.
«Qualcuno è decisamente di buon umore. Merito del tuo dispensatore?» chiese
la mia pazza amica.
Allontanai la mano di Jack che cercava di farmi il solletico per distrarmi.
«Dispensache?»
«Dispensatore di orgasmi. O lo posso definire il tuo ragazzo? Perché siamo ben
oltre la fase amico di letto… Ma forse ti ho interrotta? Vi state rotolando tra le
lenzuola?»
«Siamo al parco, Jess» specificai, ridendo.
«Peggio ancora! Fate i bravi… almeno finché siete in pubblico.»
Chiusi la chiamata con il sorriso sulle labbra.
Avrei dovuto capirlo che una giornata così bella non poteva finire altrettanto
bene.
Il momento cruciale arrivò quando Jack iniziò a controllare nervosamente
l’orologio, mentre il sole cominciava a tramontare e stavamo ritornando al
campus.
«Devi… andare al lavoro?» domandai, cercando di non suonare disperata.
«Già. Comunque martedì ci rivediamo a lezione.»
Aveva saltato completamente il lunedì: non che volessi trascorrere ogni
momento con lui, ma quando non ci vedevamo finiva che non ci sentivamo
neppure. Era la persona più allergica al telefono che avessi mai conosciuto.
«Liz?» mi chiamò e mi accorsi di essere rimasta a lungo in silenzio. «Che
c’è?»
«Niente. Sono…» Ma la voce non ne voleva sapere di uscire. Non sapevo
come dirgli che mi mancava quando non lo vedevo, che mi torturavo ogni volta
immaginandolo mentre si spogliava davanti ad altre donne, che avrei voluto
sentirlo ogni sera anche solo per pochi minuti ma temevo di sembrargli
ossessiva.
«Qual è il problema?» incalzò, sbuffando.
Lo presi da parte, prima che raggiungessimo l’entrata del mio dormitorio. «È
solo che…»
«Esattamente, cosa pensi che faccia quando non ci vediamo? Perché è questo il
problema, no? Sei diventata silenziosa quando non ho proposto di vederci
domani.»
Avevo fatto il grave errore di lasciare che i suoi occhi scuri mi scavassero
dentro e trovassero il nocciolo del mio turbamento, così mal celato.
«Jack» dissi guardando altrove. «Sono… confusa.»
«E non ti fidi di me» concluse lui, con amarezza. Prima che potessi ribattere, lo
vidi scuotere la testa e continuare, con rinnovata enfasi. «Cosa dovrei pensare
allora delle telefonate che ricevi da quell’imbecille? Ti sto dando il beneficio del
dubbio, lasciandoti credere nella sua finta buona fede di volerti solo essere
amico, almeno finché non ti accorgerai da sola di cosa vuole realmente. Ma tu
continui a non darmi fiducia.»
Le sue parole, pronunciate con così tanta amarezza e risentimento,
incendiarono il mio animo. «Jack! Ero seria quando ti ho detto che non voglio
Daniel.» Di fronte alla sua espressione scettica, scoppiai: «È di te che sono
innamorata!».
La mia confessione continuò a echeggiarmi nella testa, mentre scivolava via
con mio enorme pentimento fino a colpire Jack, che rimase impietrito.
Il silenzio divenne insopportabile, lui mi fissava con sgomento e non apriva
bocca. «Di’ qualcosa…» sussurrai piano, atterrita.
«Liz, io…» Jack distolse lo sguardo. «Credo che forse ora dovremmo
concentrarci solo sullo spettacolo. È molto importante e…»
«Ed è meglio se rimaniamo solo amici» conclusi per lui, troppo in fretta,
trasudando risentimento e dolore a ogni sillaba. Mi aspettavo che mi dicesse di
non essere assurda, che stavo esagerando. Invece, con mio grande sgomento, mi
guardò per un lungo istante, poi semplicemente annuì.
«Ho capito.» Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e mi voltai, perché non
vedesse che stavo crollando. «Ci vediamo sul palco, William.» Le stesse parole
che mi aveva rivolto quando lo avevo deluso, dopo la scoperta del suo lavoro.
Mi trattenne per un gomito mentre cercavo di andarmene.
«Liz, aspetta.»
Ma era troppo tardi. Scossi la testa, liberandomi dalla sua presa. Non volevo
che avesse lui l’ultima parola. Mi girai lentamente e lo guardai, a testa alta
nonostante il viso rigato di lacrime, senza vergognarmi di come le emozioni
avevano preso il sopravvento sul mio abituale controllo.
Jack sussultò, forse non si aspettava quella visione.
«Andresti davvero d’accordo con Daniel» gli lanciai, lasciandolo sorpreso il
tempo sufficiente per entrare nel dormitorio e sbattergli la porta in faccia. Aveva
tanto criticato il mio vecchio amico ma si era comportato esattamente come lui.
Forse ero destinata a ripetere sempre gli stessi errori, mi dissi mentre crollavo
nel mio letto e sfogavo tutte le mie lacrime.
«Elizabeth, perché chiami a quest’ora? Non sei a lezione?» domandò mia madre
quando mi decisi a richiamarla, il lunedì pomeriggio. Fino a quel momento non
ero stata in condizioni di affrontare anche una telefonata da casa.
«Oggi no.» Mi ero concessa un giorno per nascondermi da tutto, un solo giorno
e poi sarei tornata in carreggiata.
«Jack è con te?» Speravo di poter evitare di parlare di lui almeno per un paio di
telefonate ma non fui così fortunata.
«No, mamma. Ho molto da studiare e… ci concentreremo sugli esami in
queste ultime settimane.» Avevo provato e riprovato quel discorso,
nell’eventualità di doverlo fare e andò bene. Resistetti fino a quando lei si
raccomandò di salutarle Jack e scoppiai a piangere un istante dopo aver chiuso la
chiamata.
Martedì mattina mi svegliai stravolta e affamata: ero vissuta di snack per tutto
il giorno precedente e dovevo assolutamente tornare a frequentare le lezioni,
tranne una. Ancora non me la sentivo, così decisi di chiamare Rick.
«Liz? Tutto bene?» rispose, sorpreso della mia chiamata.
«Non sto molto bene oggi e proprio non ce la faccio a venire a lezione. Sai…
problemi da donne» mi giocai la carta vincente quando si tratta di svicolare.
«Oh» rispose, probabilmente imbarazzato.
«Puoi dire al professore che non ci sarò soltanto oggi, che non si faccia venire
crisi isteriche? D’altronde è la prima assenza che faccio.»
«Certo. Ma perché lo chiedi a me? Jack è sveglio, vuoi che te lo passi?» sentii
il cigolio di una porta e corsi ai ripari prima che andasse a cercarlo.
«Oh no, no! Grazie Rick!» chiusi la telefonata, senza aspettare una sua replica.
Se Jack rimase sorpreso della mia assenza non mi fu dato saperlo: non si fece
vivo e lo rividi per la prima volta solo il venerdì a lezione.
Come i suoi occhi si posarono sui miei, temetti di crollare e la tentazione di
scappare via da quell’aula fu fin troppo forte.
«Liz, stai meglio?» Rick mi sorrise e gli fui davvero grata per la distrazione.
Riuscii a evitare Jack finché non mi trovai a dover recitare con lui. La fortuna,
per una volta, fu dalla mia parte, oppure semplicemente il destino voleva farsi
beffe di me perché la scena da interpretare mi fece sentire più vicina a Catherine
che mai.
Dopo la notte della seduzione e il rifiuto di William, lei cercava di ignorarlo e
concentrava le sue attenzioni su George. Quando finalmente William riusciva a
prenderla da parte per affrontarla, Catherine era carica di risentimento e ferita
nell’orgoglio. Perfino il professore fu colpito dalla mia magistrale
interpretazione, che ironia.
Jack mi guardò con apprensione e sembrò volermi dire qualcosa, ma poi ci
ripensò e se ne andò in fretta, senza salutarmi.
Il delicato equilibrio che avevo raggiunto, concentrandomi sullo studio e sul dare
il massimo in vista degli esami finali, si ruppe il venerdì successivo a lezione.
Eravamo arrivati a provare la scena d’amore tra William e Catherine, quando
lui, roso dalla gelosia, buttava all’aria ogni buon senso e se la portava a letto. La
goccia finale era stata sentire che il padre di Catherine si aspettava che George
gli avrebbe presto chiesto la mano della figlia.
«Ragazzi, ora più che mai dovete lasciar esplodere la vostra alchimia. Con le
scene della separazione e del litigio siamo andati bene. Ora fate riconciliare
William e Catherine, siamo vicini alla conclusione» ci istruì il professore.
Non potevamo arrivare a quel punto in un momento peggiore, ritrovare la
Catherine passionale e innamorata mi avrebbe distrutta. E così fu.
«Mia bellissima Catherine.» William mi guardava con sofferta adorazione e io
dimenticai la mia battuta.
«Elizabeth! Concentrati!» urlò il professore.
Mi presi qualche istante e vidi che Jack stava per avvicinarsi, forse per
aiutarmi a concentrarmi, ma gli feci segno di rimanere dov’era.
Tremavo quando mi riavvicinai a William; dovevamo essere molto vicini
perché la scena prevedeva che ci incontrassimo nel pianerottolo vicino alla sua
stanza da letto, nel buio della notte.
Catherine, per favore, aiutami tu. Pregai, a occhi chiusi.
Sussurrai le battute più che recitarle ma il professore non ci interruppe,
lasciando che William, preda della passione, mi sospingesse fino a quel solito,
maledetto divano letto di scena. Nel momento stesso in cui le sue labbra si
posarono sulle mie, dentro di me svanì ogni illusione, perché quello era Jack.
Quelle erano le sue labbra, quello era il suo sapore che non avevo certo
dimenticato. Quelle erano le sue mani che percorrevano la mia schiena, con
possessività.
Dietro le palpebre abbassate sentii formarsi le lacrime. Gemetti sofferente ma il
copione me lo consentiva, anche se doveva essere tutt’altro genere di gemito.
Jack si sdraiò su di me e smise di baciarmi non appena il professore diede il
segnale di fine della scena.
Volevo scappare, divincolarmi dal suo corpo e fuggire. Così come volevo
abbracciarlo e sfogare le lacrime trattenute da giorni.
Prima di alzarsi e lasciarmi libera, lo sentii sospirare sul mio collo. «Liz…»
Feci il possibile per nascondere il mio turbamento mentre il professore
snocciolava i suoi commenti e osservazioni su come sfruttare lo spazio e su
come sarebbe stata allestita la scenografia in quell’atto.
Jack, che era rimasto al mio fianco, mi sfiorò la schiena con le dita e quel
minimo contatto mi fece tremare. Aver avuto il suo corpo sul mio fino a pochi
istanti prima mi aveva resa ipersensibile al suo tocco.
Il professore fermò me e Rick dopo la lezione. Vidi Jack sostare sulla porta,
aspettando che lo richiamasse ma non accadde, al contrario gli disse di chiudere
la porta mentre usciva.
«Ho riflettuto nelle ultime settimane» esordì il pazzo, e come premessa già mi
fece tremare. «Ho visto che state lavorando bene assieme e avete un buon
affiatamento.» Non aveva citato l’alchimia, forse quella era riservata a William.
«Mi sembra però che manchi qualcosa, un evento che spinga George a voler
chiedere Catherine in sposa.»
«Quindi ci sarà davvero una proposta di matrimonio?» domandò Rick.
Il sospetto ormai era venuto a tutti, anche se ero l’unica a conoscere l’esistenza
dell’abito da sposa per l’atto finale.
«Sì certo» il professore rispose come se fosse la cosa più logica, come se non
ci avesse lasciato all’oscuro della reale conclusione dell’opera. «Credo che
George dovrebbe baciare Catherine, magari nell’ultima scena, quando si
incontrano a colazione e lei ha appena trascorso la notte con William.»
Non riuscii a nascondere la mia espressione sconvolta. Lezioni di seduzione
stava diventando peggio di una telenovela brasiliana.
«Va bene» disse Rick, scrollando le spalle.
«Ottimo! Magari provate la scena da soli e la prossima volta vediamo come
viene. Non dovrebbero esserci problemi, vi ho visti baciarvi qualche settimana
fa.»
Il mio incubo si era avverato, quel dannato bacio di Rick e quello stupido
commento di Jack avevano posto il seme che aveva fatto germogliare
l’ennesima, stupida idea del professore folle.
Non appena uscimmo dall’aula, Rick cercò di placare il mio mezzo attacco
isterico. Quel corso mi stava logorando.
«Liz, ce la faremo! Non ti preoccupare. Vieni domani sera da me e proviamo la
scena.»
Lo guardai come se stesse scherzando.
Rick allora sospirò e aggiunse che Jack non ci sarebbe stato. Non mi aveva mai
chiesto nulla, forse lo aveva immaginato o forse lo aveva saputo direttamente dal
suo coinquilino. Sembrava essere nato un idillio tra loro, e sapevo che casa loro
era diventata il punto d’incontro per tutti: ovviamente era stata Kristen a
sbandierarlo a voce abbastanza alta perché io lo sentissi. Probabilmente ero
l’unica del corso a non essere mai stata invitata.
«Rick, spero per te che su quella pizza non ci sia della cipolla» lo avvisai,
mentre ci sedevamo sul pavimento, usando il tavolino del salotto come
appoggio.
Mi regalò uno dei suoi sorrisi contagiosi. «Solo un po’ di olio piccante.»
Tra una chiacchiera e l’altra, riprendemmo a provare soltanto un’ora dopo.
«Stavolta deve andare bene» cercai di convincermi guardando l’orologio.
Rick mi fece segno di iniziare. Rilassati dalle chiacchiere e con lo stomaco
pieno, recitammo senza interruzioni fino al momento cruciale del bacio. Non lo
fermai con nuovi ammonimenti e non si mise a ridere, segno che la mia
espressione era rimasta fedele al personaggio. Mi baciò con molta delicatezza,
forse temendo che mi allontanassi di nuovo. Mi teneva una mano sul fianco,
senza stringere, e l’altra alla base della schiena, vicini a sufficienza ma senza che
i nostri corpi finissero a contatto.
Si staccò dopo pochi secondi ma rimase vicinissimo a me, sorridendomi
vittorioso perché ce l’avevamo fatta. Gli sorrisi, un po’ scombussolata ma grata
della sua premura.
Fu in quel momento che la porta alle mie spalle si aprì e sentii la voce di Jack.
«Sai se… Oh scusate.»
Rick si allontanò di un passo mentre io mi giravo lentamente.
«Liz?!» Jack spalancò la bocca. Da dietro non mi aveva riconosciuta, o forse
nemmeno aveva immaginato che potessi essere io quella tra le braccia di Rick.
Rick si schiarì la voce. «Stavamo provando la scena finale. Il… professore ha
voluto aggiungere un bacio tra George e Catherine.»
Jack rimase in silenzio, continuando a fissarmi finché non distolsi lo sguardo.
«Io… devo andare.» Afferrai al volo la giacca e la borsa dal divano.
«Liz, ti accompagno» si offrì Rick.
«No, no, non ti preoccupare. Chiamo un taxi.» Mi cadde il copione, mentre
cercavo di infilarlo nella borsa, con dita tremanti.
Fu Jack a raccoglierlo. I suoi occhi scuri mi fissarono con una tale intensità che
sentii le gambe cedere; per fortuna lo schienale del divano era vicino e mi
sorresse.
«Ho sempre odiato i triangoli nelle storie» lo sentii commentare, a mezza voce.
«Sei… tornato presto stasera» osservò Rick, visibilmente a disagio.
«Sì. Ho… finito prima» rispose Jack.
Chiusi gli occhi, per un istante, sentendo nascere dentro di me di nuovo quel
dolore sordo, misto alla rabbia. Jack aveva il coraggio di guardarmi come se lo
avessi appena tradito mentre io stavo solo seguendo quello stupido copione, e
invece lui si era appena spogliato davanti ad altre e di sicuro si era anche lasciato
toccare.
Ed erano settimane che non ci parlavamo se non nei panni di William e
Catherine.
Prendendo il telefono per prenotare un taxi, trovai una chiamata persa e la
rabbia vinse sulla logica. Mi allontanai solo di qualche passo.
«Ciao Danny, mi avevi cercata?»
Dietro di me la conversazione tra Jack e Rick si interruppe di colpo. Il
triangolo era diventato un quadrato.
«Lizzy, sei ancora dal tuo compagno per le prove?» mi domandò Daniel.
«Sto tornando ora al campus, ti richiamo per la buonanotte» lo salutai.
Prenotai il taxi mentre Jack si chiudeva nella sua stanza, sbattendo la porta.
«Liz…» Rick sospirò, avvicinandosi.
«Lo so. Non infierire.» Mi sedetti sul divano, svuotata di ogni energia.
Lui mi raggiunse e rimase in silenzio per qualche istante. «Dovete chiarire.
L’ho già detto anche a Jack ma non mi ascolta. Non ti ha nemmeno detto che
ha…»
«Rick? Mi servono gli auricolari che ti ho prestato.» Jack lo chiamò dal
corridoio e Rick scosse la testa, alzandosi per raggiungerlo.
Non riuscii a terminare la conversazione con lui, perché ritornò quando era già
arrivato il mio taxi.
Mentre salivo e davo l’indirizzo del campus al taxista, gli occhi mi si erano
riempiti di lacrime. Sembrava impossibile, ma la situazione con Jack era
peggiorata ulteriormente. Fu per quel motivo che non notai la berlina scura che
ci seguì per tutto il tragitto.
15
Quando scesi dal taxi, il mio unico desiderio era raggiungere il letto e
addormentarmi in fretta.
Il vialetto di accesso al dormitorio era deserto, era troppo tardi perché
incontrassi qualche compagna che usciva e troppo presto perché feste e
appuntamenti fossero già giunti al termine.
Mi sembrò di udire un rumore di passi alle mie spalle ma non mi voltai, anzi
accelerai per arrivare prima alla porta d’ingresso.
«Elizabeth.»
Mi paralizzai quando udii il mio nome. Ero a pochi passi dall’entrata e non
avrei dovuto fermarmi, soprattutto perché non avevo riconosciuto la voce
dell’uomo alle mie spalle. Vidi la sua ombra avanzare e, di riflesso, impugnai
con maggior forza le chiavi, tenendomi pronta a usarle come arma di fortuna.
Quando mi voltai, quasi pensai di avere le allucinazioni. Non poteva essere
davvero il padre di Jack quello che avevo di fronte.
«Cosa ci fa qui?»
Lo vidi guardare con sufficienza le chiavi che tenevo rivolte verso di lui e
abbassai la mano.
«Avevo intenzione di venirti a cercare nei prossimi giorni, ma dovevo
immaginarlo che ti avrei trovata a casa di mio figlio.» Ogni parola che usciva
dalla sua bocca riusciva incredibilmente a suonare come una critica.
«Mi ha seguita fin qua?» mi sorpresi, trovando sempre più surreale
quell’incontro.
«Stavo chiudendo una telefonata, dopo aver riaccompagnato Jack, e ti ho vista
uscire da quel palazzo» spiegò, sprezzante.
«È tardi. Devo rientrare.» Feci un passo indietro verso il dormitorio ma
quell’uomo così sgradevole, pur se vestito sempre con un’eleganza impeccabile,
ricominciò a parlare.
«Stasera ho avuto un’edificante conversazione con mio figlio.»
Jack era rientrato prima perché aveva avuto una nuova discussione con suo
padre?
«Continuo a non comprendere perché vuole parlare con me.» Mi sentivo a
disagio ma mi sforzai di non farlo trasparire.
«Vedi, Elizabeth» odiai il tono che usò nel pronunciare il mio nome, «quella
che sta attraversando mio figlio è una fase, presto si stancherà di vivere alla
giornata e tornerà agli agi in cui è cresciuto.» Fece una pausa, poi riprese.
«Credevo che impedirgli di trovare lavoro per pagarsi quell’inutile accademia a
cui vorrebbe iscriversi lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi. Non immaginavo
che avrebbe infangato il nome della famiglia, denudandosi per soldi.»
Lo guardai, incredula. Jack era finito a fare lo spogliarellista per quel motivo?
Perché non aveva avuto alternative per mantenersi e mettere da parte i soldi per
gli studi che desiderava fare, al posto di diventare avvocato?
«Che c’è? Non sapevi che Jack si spogliava per altre e non solo per te?» Non
ebbi modo di soffermarmi sul tempo verbale perché lui pensò bene di diventare
ancora più offensivo. «Il problema è che stai mirando troppo in alto, cara.»
Non mi permise di replicare. Mi sentivo come se mi stesse interrogando al
banco dei testimoni, impedendomi di difendermi da un incalzante fuoco di fila di
domande.
«Portarlo a conoscere la tua famiglia è stata una mossa audace, devo
ammetterlo. Ma credi che basti per imbrigliare mio figlio? Credi che Jack non si
stancherà di te, quando calerà il sipario?»
«Credo che sia lui a doverlo decidere» replicai, ma senza convinzione. Jack
aveva già deciso di allontanarmi, anche se per altri motivi. O forse proprio per le
ragioni che diceva suo padre? La mia dichiarazione prematura lo aveva
spaventato perché il suo obiettivo era solo divertirsi con me fino a fine semestre?
«E lo farà, è inevitabile. Lui e Luke partono con un patrimonio alle spalle e
possono crearsi un impero, ma devono fare la scelta giusta.»
«E quale sarebbe?» osai domandare, resa più audace dall’indignazione.
Accennò una risata, guardandomi con disprezzo. «Trovare una compagna che
li aiuti nell’ascesa, non una zavorra che li tenga ancorati a stupidi sogni teatrali.»
Schioccò la lingua, poi si preparò per la stoccata finale. «Se miri ai soldi, posso
anche firmarti un assegno e…»
«Non voglio i suoi soldi!» urlai, colma di disprezzo e rabbia.
Non si scompose nemmeno. «È ancora peggio di quello che pensavo. Ti sei
innamorata di lui? Del ricco playboy ribelle?»
«Queste non sono cose che la riguardano» sibilai, tremando di rabbia.
«Forse ho sopravvalutato la tua importanza per mio figlio. Ma presto si
stancherà comunque di te… Forse si è già stancato, altrimenti ti avrebbe
riaccompagnata a casa. Non ti conviene andartene con dignità? Devi proprio
inseguirlo e sfruttare quella vostra stupida commedia per tenerlo al guinzaglio?»
Avevo la nausea, sia per gli insulti che mi stava rivolgendo sia per la bassa
considerazione che aveva di Jack.
«Se c’è qualcuno che vuole tenerlo al guinzaglio non sono certo io» riuscii a
sputargli in faccia.
«No, di sicuro. Tu volevi solo farlo innamorare di te.» Il suo tono canzonatorio
fu come uno schiaffo. «Ti renderai conto molto presto che avevi scelto un
obiettivo impossibile. Conosco mio figlio.»
Con un’ultima occhiata sprezzante, si girò e se ne andò.
«Avevo scelto davvero bene» commentò Jack, quando uscii dal bagno
indossandolo di nuovo, priva dell’imbarazzo della prima volta.
«In realtà mi stringe un po’» mi lamentai, raggiungendolo sul letto.
«Perché non avevo capito cosa nascondevi sotto le maglie larghe, tutto quel
paradiso…» sussurrò, facendomi scivolare a cavalcioni su di lui.
«Jack, devi farti curare seriamente questa tua fissazione per…» non riuscii a
finire la frase perché mi stava sfilando il babydoll con una velocità tale che
sentii la cucitura cedere.
«Lo hai strappato?» domandai, incredula, mentre lo lanciava sul pavimento.
«Lo volevo fare dalla prima volta che te l’ho visto addosso» ammiccò,
sporgendosi a baciarmi.
«Sei… tremendo» ansimai, mentre mi stringeva a lui, pelle contro pelle.
«Senza essere provocata non tiri fuori gli artigli, miciotta.»
Forse era davvero merito delle sue continue provocazioni se con lui riuscivo a
vincere ogni imbarazzo a una tale velocità. O forse…
«Solo con te, Jack» sussurrai, la mente e il corpo annebbiati dalle sue carezze
e ogni difesa abbassata.
«Lizzy, ci sei?» mi ero persa nei ricordi e Daniel ancora mi aspettava in linea.
«Sì, scusami. Solo un istante.» Mi cambiai velocemente e mi infilai nel mio
letto, raggomitolandomi alla ricerca di un calore che non avrei trovato.
Il telefono incastrato tra il cuscino e l’orecchio con la chiamata in corso fu
l’unica cosa che mi trattenne dal piangere, ancora scossa dal ricordo che mi era
tornato alla mente.
Daniel si era messo a canticchiare a bassa voce e riconobbi la canzone dei
Muse. «Non ci credo che la ricordi! Ero ancora alle scuole medie quando ti ho
obbligato ad accompagnarmi al cinema a vedere Eclipse!»
«Certo che me lo ricordo, te l’ho rinfacciato per mesi! E tu continuavi a
ripetermi che non potevo tifare per l’altro perché era solo il suo migliore amico.»
La conversazione stava diventando un po’ troppo surreale, perciò finsi uno
sbadiglio rumoroso e Daniel mi diede la buonanotte.
«Lizzy, sai che puoi sempre contare su di me.»
Mancavano soltanto due giorni alla prima e fuori dal teatro era stata appesa la
locandina dello spettacolo. Il nome di Jack era scritto a caratteri cubitali, quasi
più grande perfino del titolo. Mi aspettavo di vederlo gongolare soddisfatto o
quantomeno fare una battuta con il suo solito ghigno. Quando mi girai a
guardarlo, sorpresa dal suo silenzio, lo vidi invece stranamente pensieroso.
«Jack, che succede?»
«Ora capisco la telefonata di mio padre di stamattina» fece una smorfia e
scosse il capo con amarezza, prima di entrare in teatro senza aggiungere altro.
Che suo padre non sarebbe stato felice di trovare il cognome di famiglia sulla
locandina dello spettacolo non era certo una novità, ma mi lasciò sorpresa vedere
che Jack ne era rimasto scosso.
Gli ultimi giorni erano stati frenetici, avevamo avuto a disposizione come aiuti
solo il custode del teatro e Agatha, la ragazza che lavorava lì part-time. Le
scenografie erano scarne ma funzionali, il grosso del budget era finito nell’affitto
del teatro e dei costumi.
Quel venerdì l’isteria del professore sfiorò nuove vette durante la prova con i
costumi: molti di noi si sentivano impacciati negli abiti di scena e la recitazione
ne risentiva.
L’unico perfettamente a suo agio era, ovviamente, Jack, anche se persino lui
quel giorno sembrava sottotono e pensieroso.
Nella controversa scena della seduzione di William, indossai la vestaglia sopra
i miei vestiti e non la slacciai nemmeno; il professore non fece alcun commento
ma mi lanciò uno sguardo che conteneva mille ammonimenti.
Ero esausta, avevamo dovuto ripetere così tante volte le scene che non avevo
quasi più voce. Senza contare che gli innumerevoli baci di Jack avevano minato
il mio autocontrollo e riaperto completamente la ferita.
Non si era mai trattenuto durante le prove e quando avevo provato a farglielo
notare, qualche settimana prima, aveva scrollato le spalle e risposto: «William è
un tipo passionale, non può trattenersi con Catherine tra le braccia».
Quelle continue sessioni di baci, carezze e sensuali sussurri mi avevano
distrutta. Con Jack il mio autocontrollo spesso latitava ma credo che chiunque al
mio posto, quel giorno, avrebbe avuto le ginocchia deboli e il cuore in pezzi.
Fui sollevata quando finalmente arrivammo all’ultima scena dove avrei dovuto
baciare George.
Ero abbastanza tranquilla, perciò la mia sorpresa fu ancora più grande quando
il suo bacio fu decisamente più passionale del solito.
«Rick!» sussurrai, fulminandolo, quando mi staccai.
«Non male, mi piace questa versione.» Il professore batté le mani e dietro di
lui vidi Jack che si allontanava verso i camerini.
Presi Rick per un gomito, allontanandolo. «Che diavolo combini?!»
«Scusa, Liz. Forse ho esagerato» si scusò, ma mi irritai ancora di più perché
non mi stava nemmeno guardando: fissava un punto alle mie spalle.
Mi girai sbuffando e notai solo Agatha che raccoglieva i copioni abbandonati.
Lo sguardo di Rick era ancora concentrato su di lei. Capii al volo.
«Oh santo cielo, Rick. Ti facevo meno stupido!»
«Parla piano, Liz» mi intimò, trascinandomi via.
«Le ho chiesto di uscire ma ha detto di no» confessò.
«E quindi pensavi che infilarmi la lingua in bocca sul palco l’avrebbe fatta
ingelosire?» Mi veniva da ridere ma cercai di mantenere un tono irritato.
«Vedremo. Comunque scusami, Liz» abbassò lo sguardo, improvvisamente
imbarazzato.
«Se mi avessi parlato prima del tuo brillante piano, ti avrei aiutato in un altro
modo» lo sgridai.
Mi regalò uno dei suoi soliti sorrisi e sospirai sconfitta: era difficile avercela
con lui. Il professore ci chiamò e vidi che gli altri erano radunati ai piedi del
palco.
«Jack dov’è? Dobbiamo parlare dell’ultimo atto.»
«Vado a chiamarlo» mi offrii, sperando di riuscire a scambiarci due parole in
privato. Lo avevo visto scomparire dopo il bacio con Rick e avevo l’insano e
assurdo impulso di giustificarmi, anche se non ne avevo proprio motivo.
Percorsi il corridoio e arrivai al camerino che usavano i ragazzi; la porta era
chiusa ma non pensai di bussare, non sarebbe stata certo la prima volta che lo
vedevo svestito.
«Jack, dobbiamo…» aprii la porta e rimasi paralizzata.
Jack era seduto su una poltroncina e a cavalcioni su di lui c’era Kristen, in
reggiseno e mutande. Mi bastò un secondo per registrare quell’immagine nella
memoria: il gemito di Kristen, le mani di Jack salde sui fianchi di lei.
Si staccarono sentendomi entrare e Kristen si girò, lasciando la visuale libera
anche a Jack.
«Liz!» Se non altro sembrò sorpreso di vedermi.
«Non si bussa?» chiese Kristen, fingendosi infastidita senza nascondere un
sorriso vittorioso, mentre sistemava con l’indice il rossetto sbavato.
Corsi via, spalancando la porta dell’altro camerino e chiudendomi nel bagno.
«Liz!» Jack mi raggiunse e bussò alla porta con impazienza.
«Ragazzi, il professore vi cerca.» Era la voce di Agatha.
«Arrivo tra un secondo, Liz è in bagno e…» iniziò Jack.
«La chiamo io. Vai» lo cacciò lei, sbrigativa, e io chiusi gli occhi, lasciandomi
scivolare sul pavimento del bagno, la schiena contro la porta chiusa.
Passò un lungo minuto, poi sentii di nuovo bussare.
«Elizabeth, sono Agatha. Da sola.»
Mi alzai e le aprii. Mi guardò e corrugò la fronte. «Stai male?»
«Devo… devo andarmene da qua.» Avevo il fiato corto.
«Cos’è successo?» chiese con sincera preoccupazione.
«Jack e Kristen erano chiusi nell’altro camerino» mi si ruppe la voce e mi si
velò la vista per le lacrime, mentre lottavo con la cerniera dell’abito di Catherine.
Agatha mi si avvicinò per aiutarmi a toglierlo. «Oh. Non avevo capito che tu e
Jack…»
«Non siamo una coppia» le spiegai, scivolando fuori dal vestito. «È solo
che…»
«Credevo uscissi con Rick.» Si mise a ripiegare il vestito senza incrociare il
mio sguardo.
Mi infilai velocemente i miei abiti e mi sciacquai il viso.
«Rick è single» mi sforzai di mettere da parte le mie preoccupazioni per
sorriderle. «E vorrebbe davvero uscire con te.»
Agatha fece una risata imbarazzata. «È davvero carino ma credevo che
scherzasse, ho qualche anno più di lui e…»
«È un bravo ragazzo.»
«Grazie» sorrise. «Vuoi… scappare dal retro?»
«Sì, grazie. Puoi dire che ho avuto un contrattempo, inventa quello che vuoi.»
Scivolai nel buio fuori dal teatro con un ultimo ringraziamento per Agatha e mi
diressi verso la strada principale.
Non volevo tornare al campus, avevo bisogno di allontanarmi dai ricordi che
sapevo mi avrebbero schiacciata, ma non potevo nemmeno vagare tutta la notte,
non sarebbe stato sicuro e la stanchezza stava già prendendo il sopravvento.
Fermai un taxi e, al momento di dare un indirizzo, presi una decisione: «La
stazione degli autobus». Mi aspettavano due ore di viaggio ma poi sarei potuta
crollare, tra le braccia del mio migliore amico.
Nei due messaggi il tono di voce era cambiato, nel primo era spazientito, nel
secondo sembrava frustrato.
«Ti aspetto qua. Sono riuscito a entrare senza farmi notare. Ringrazia Bonnie.»
Ho ricordi molto confusi di quella sera. Sicuramente, nelle prime scene, ero
apparsa poco sicura di me, ma il copione mi veniva in soccorso perché Catherine
era ancora solo una curiosa e ingenua fanciulla. Con l’ingresso di William,
iniziai a sciogliermi.
Il tempo sembrò scorrere più velocemente rispetto alle prove, perché non c’era
mai nessuna interruzione per le correzioni del professore. Qualche battuta si
perse per strada ma lo spettacolo doveva continuare e continuò, nonostante
piccoli errori e qualche improvvisazione.
Agatha, preparatissima sul copione completo, mi aspettava dietro le quinte per
aiutarmi a spogliarmi e a indossare la vestaglia. Tremavo quando me la allacciai
con fin troppa forza in vita. Non avevo il tempo di riprendere fiato né di
fermarmi a pensare, dovevo rientrare subito sul palco.
Ero così nervosa che mi tremò la voce alla prima battuta ma cercai di
concentrarmi su Jack che mi aspettava disteso nel suo letto. Jack, non William,
perché era di lui che avevo bisogno per superare quella prova.
Con mani tremanti slacciai la cintura della vestaglia e fu in quel momento che
mi accorsi che qualcosa non andava. Il letto non era posizionato come avrebbe
dovuto: il fatto che nessuno sapesse che mi sarei spogliata davvero era stato un
grave errore perché quando avevano sistemato il letto sul palco non avevano
controllato la giusta posizione.
Non davo le spalle al pubblico, anzi la vestaglia scendendo avrebbe lasciato la
visuale completa sul lato destro del mio seno nudo.
Alzai gli occhi e guardai Jack. Non sapendo come rimediare, presi tempo
facendo scendere la vestaglia solo fino alle spalle.
«Catherine» Jack mi chiamò di nuovo, inserendo battute non previste per
riempire i lunghi secondi che erano trascorsi mentre io temporeggiavo.
Ero a due passi da lui e paradossalmente ero più terrorizzata dal non sapere
come continuare la scena che dallo spogliarmi veramente. Jack allungò una
mano per sfiorare il mio braccio, inserendo una nuova battuta.
«Non dovreste andare in giro di notte, Catherine.»
Rabbrividii per il contatto e involontariamente persi la presa sulla vestaglia che
scivolò giù dalla mia spalla destra. Gemetti, di sorpresa, quando il mio seno fece
capolino per un solo brevissimo istante, prima che Jack lo coprisse con la sua
mano.
«Oh Catherine!» esclamò, sporgendosi verso di me per coprirmi con il suo
corpo. Era uscito completamente dal copione, William avrebbe solo dovuto
sfiorare Catherine e rifiutarla subito dopo. Posò le sue labbra vicino al mio
orecchio, sussurrandomi: «La vestaglia». Poi mi aiutò a infilarla, fingendo di
abbracciarmi, preda della passione.
Solo quando fui di nuovo completamente coperta, si staccò e tornò a recitare,
mandandomi via come William doveva fare. Saltammo completamente il bacio
della buonanotte, avevamo già fatto fin troppe modifiche e non vedevo l’ora di
uscire di scena e tornare a vestirmi.
Nei dieci minuti di intervallo, a metà dello spettacolo, temevo che il professore
ci avrebbe rivolto ogni insulto possibile, invece si limitò a dire che stavamo tutti
facendo un buon lavoro. Un ritocco veloce al trucco di Catherine ed ero di nuovo
pronta a entrare in scena.
Jack si mise al mio fianco e mi sorrise, incoraggiante. Rick ci passò accanto,
alla ricerca di una bottiglietta d’acqua ma Jack lo fermò.
«George, niente lingua nella scena finale» lo ammonì, con serietà.
Rick parve per un attimo disorientato, poi mi guardò regalandomi uno dei suoi
migliori sorrisi, prima di tornare a rivolgersi a Jack. «Mi tratterrò. In cambio mi
aspetto drink gratis la prossima sera che sei di turno al pub.»
Jack trattenne il fiato come se Rick lo avesse colpito, poi mi guardò.
«Lo sapevo già. Da ieri» ammisi.
Non potemmo aggiungere altro perché dovevamo tornare in scena.
I baci di Jack mi lasciarono senza fiato, soprattutto perché sapevo che non
erano di William, non era necessario che fossero così veri e passionali per la
riuscita dello spettacolo. Ogni contatto con lui mi lasciava sempre più languida e
confusa, nonché reticente a lasciarlo andare.
Avrei dato qualsiasi cosa per far sparire tutto, il pubblico, il palco, gli scomodi
abiti di scena, e rimanere da sola con Jack.
Quando mi aiutarono a indossare l’abito da sposa di Catherine, ero un fascio di
nervi. Dovettero letteralmente spingermi da dietro le quinte perché ero
completamente paralizzata dall’ansia, avanzai di qualche passo solo quando vidi
Jack che mi aspettava al centro del palco.
«E così… siamo alla fine» la prima battuta di William echeggiò i miei stessi
pensieri. La fantomatica e temutissima scena finale era arrivata e non avevo la
minima idea di cosa far dire a Catherine.
«Tutto questo…» Jack allargò le braccia indicando fisicamente ciò che ci
circondava, forse per dare risalto alla metafora che stava usando. «Tutto questo
ci ha legato ma alla fine avete scelto lui» disse con amarezza.
«Sc-scelto?» balbettai, lottando con il terrore cieco di dover improvvisare. Ma
fu Catherine, dentro di me, a ruggire la sua indignazione. «Siete voi che non mi
avete voluta!»
William scosse il capo, accennando un sorriso sardonico. «Vi ho voluta e vi ho
avuta.»
Aprii la bocca per ribattere ma lui non mi lasciò parlare. Se solo avessi potuto
leggere le sue battute, avrei saputo quando intervenire.
«Hai detto di amarmi.»
Troppe cose mi sconvolsero: il tono improvvisamente confidenziale, la sua
espressione tormentata e il fatto che Catherine mai si era dichiarata nel copione
di Lezioni di seduzione. Ero io ad avergli confidato di essermi innamorata di lui,
non Catherine.
«Hai detto di amarmi ma poi sei corsa da lui» ripeté di nuovo, con maggiore
enfasi.
Mi sentivo in bilico tra realtà e finzione, avrei voluto rispondere per me stessa
ma era il mio personaggio a dover parlare. «Io… la proposta di matrimonio è
stata… mio padre ha…» Catherine si stava spegnendo dentro di me, così come
ormai ero certa di non avere solo William di fronte.
«Le decisioni dei padri non devono guidare le nostre vite.»
Padri? Parlava del padre di Catherine o del suo stesso?
«Io… non capisco» ammisi, totalmente disorientata. Non ero più nemmeno
convinta che avere il copione completo mi avrebbe preparata a quella scena.
«Nemmeno io avevo capito» Jack mi sorrise, un sorriso pieno e genuino, lo
sguardo distante come se stesse ricordando il passato e non vivendo il presente.
«All’inizio era un gioco, una sfida. Darti lezioni, vedere nascere l’alchimia.»
Eccola, sempre presente fino alla fine. Il vero deus ex machina dello spettacolo
e, forse, di tutta la nostra storia.
«Non avevo immaginato che sarei stato io a imparare qualcosa da te.» Mi
fissava con una tale intensità che sentii le gambe cedere.
Barcollai e Jack si avvicinò, prendendomi per mano.
«Cos’hai imparato?» domandai, perdendomi nei suoi occhi e dimenticando
tutto il resto.
«Credevo di non aver bisogno di nessuno, solo di me stesso.» Jack fece una
smorfia, poi mi regalò un sorriso misterioso. «Poi sei arrivata tu e ho scoperto di
non riuscire a fare a meno di te, di aver bisogno di te.»
«Bisogno?» chiesi, incerta di cosa intendesse. Era un bisogno solo fisico? Era
attrazione quella che provava per me, nata da quella fantomatica alchimia?
«Mi sono spaventato quando mi hai confessato di esserti innamorata di me. Era
quello che volevo, conquistarti e averti al mio fianco. Ma mi sembrava… troppo.
Non ero…» Jack scosse il capo, cercando le parole. Parole che se fossero state
scritte non avrebbe mai dimenticato. Di William, di fronte a me, erano rimasti
solo gli abiti.
Avevo atteso per settimane di conoscere i motivi del suo allontanamento ma
non ero comunque preparata al suo discorso, e di certo non avrei mai creduto che
sarebbe arrivato proprio in quel momento.
«Ho preso tempo per capire cosa mi stava succedendo, cosa provavo, cosa
volevo. Ma poi… tu non mi hai aspettato.»
Non era William e non stava parlando di George. Era Jack e stava parlando di
Daniel. Che sedeva tra il pubblico, peraltro.
Era davvero convinto che lo avessi già dimenticato, rifugiandomi tra le braccia
di Daniel non solo alla ricerca di conforto ma anche dell’amore che lui mi aveva
negato?
«Ti sbagli» mi schiarii la voce, prendendo coraggio. «Non ho smesso un istante
di aspettarti.»
La mia dichiarazione lo colse di sorpresa, per un attimo, ma poi vidi apparire il
suo classico ghigno.
«Sono arrivato giusto in tempo, allora?» indicò il vestito da sposa di Catherine
ma non ebbi nemmeno per un istante il dubbio che si riferisse a quello.
Annuii, tremando dall’emozione. Non osavo sperare che a tenerci lontani fosse
stata solo la paura e non la mancanza di un vero sentimento.
«Devi scusarmi, lo sai che amo un po’ troppo la teatralità» Sorrise e piegò un
ginocchio, di fronte a me, senza lasciare andare la mia mano.
Jack era ai miei piedi e mi fissava come se nulla al mondo fosse più importante
di me, di noi, di quel momento. I suoi occhi brillavano per un’emozione che
aveva fin troppo a lungo trattenuto e i miei luccicavano di commossa speranza.
«Scegli me. Dammi la possibilità di dimostrarti che ti amo, come non ho mai
amato nessuno prima di te. Perché questo non è davvero l’epilogo ma il nostro
inizio.»
Strinsi con più forza la sua mano, tirando leggermente il suo braccio per fargli
segno di alzarsi. Mi assecondò, rimettendosi lentamente in piedi, in drammatico
silenzio.
Dalla platea non proveniva alcun suono ma non fu soltanto per quello che
dimenticai che lo spettacolo era ancora in scena. Aveva ragione Jack, sul palco
alla fine c’eravamo soltanto io e lui.
Il tormento nei suoi occhi mi fece capire che era ora di rispondere, che dovevo
dare voce a ciò che il mio cuore, che batteva impazzito, stava dichiarando
dall’inizio del suo discorso.
«La mia risposta è…» feci una pausa davvero teatrale e sentii Jack trattenere il
respiro. «Sì. Avevo già scelto te.»
Jack chiuse per un istante gli occhi, poi mi cinse la vita con entrambe le
braccia. Avrei voluto averlo più vicino ma lo scomodo abito di Catherine era in
mezzo a noi, a tentare di ricordarmi che Lezioni di seduzione era ancora in scena.
Jack chinò lentamente il capo, fissandomi come se temesse che potessi
ripensarci o scappare.
«Allora baciami» sussurrai le stesse identiche parole che non avevo mai
dimenticato da quella sera in cui Jack mi aveva chiesto di baciarlo, come Liz e
non come Catherine. I suoi bellissimi occhi scuri si illuminarono riconoscendo la
battuta.
E finalmente mi baciò. Sul nostro bacio calò il sipario, ma nemmeno me ne
resi conto, stretta a lui e abbandonata tra le sue braccia.
Vestivamo ancora i panni di Catherine e William ma in realtà eravamo
Elizabeth e Jack, completamente noi stessi senza maschere né dubbi.
«Così mi hai abbandonato all’altare, eh?» La voce di Rick mi strappò
dall’incantesimo delle labbra di Jack, che mi avevano estraniata da tutto.
Catherine e William si staccarono giusto in tempo perché il sipario si riaprisse
e tutti gli attori, sul palco, potessero inchinarsi e ringraziare il pubblico.
Non mi ero resa conto degli applausi, probabilmente non avrei notato
nemmeno il tonfo dei pomodori se me li avessero tirati addosso.
Jack non mi lasciò mai, nemmeno per un secondo, la sua mano rimase
intrecciata alla mia finché non scendemmo tra il pubblico a salutare amici e
parenti.
Stavo sorridendo, confusa ma raggiante, quando mi ritrovai davanti Daniel.
Impiegai qualche istante ad accorgermi della sua espressione seria e distaccata.
«Adesso ho capito perché eri così nervosa all’idea di salire sul palco.»
Mi rabbuiai, sconcertata per il suo tono. «Ho recitato così male?»
Daniel sbottò, incapace di controllarsi ancora. «Lizzy, maledizione, eri mezza
nuda! E la scena finale che diavolo era?!»
«Te l’avevo detto che Lezioni di seduzione era particolare» risposi, risentita dal
suo tono indignato. Ero la prima ad aver sempre criticato lo spettacolo ma mi
aspettavo un minimo di supporto dal mio migliore amico.
«Per settimane ti ha ignorata ma è bastata quella sceneggiata per farti cadere ai
suoi piedi? Si è approfittato dello spettacolo per baciarti e toccarti senza alcun
ritegno tutto il tempo, davanti a decine di persone!» Daniel era furibondo come
poche volte lo avevo visto in tanti anni di amicizia.
«Daniel, abbassa la voce» lo ammonii duramente perché stavamo attirando
l’attenzione di troppe persone.
«Elizabeth, ti conosco da una vita. Non puoi davvero essere così stupida da
credere alla dichiarazione di presunto amore di William.»
«Jack. Non William» sibilai, stanca di dover distinguere la finzione dalla
realtà.
Il diretto interessato si materializzò al mio fianco.
«Se non l’hai ancora capito, tu in questa storia puoi essere solo George.» La
voce di Jack mi provocò un brivido, il tono era rigido e sprezzante come quello
usato da suo padre.
«Questa è la vita vera, non il tuo palcoscenico» ribatté Daniel, guardandolo
con livore. «Anche se so bene quanto ti piace recitare in entrambi» aggiunse,
rivelando a Jack di conoscere la verità sul nostro rapporto al tempo delle vacanze
di primavera.
«Non ero io quello che fingeva. Volevo Liz e lo dimostravo, non ho finto di
esserle solo amico quando era più vulnerabile» Jack accusò Daniel, zittendolo
per un istante.
Sul viso del mio amico vidi nascere una rabbia cieca. «Non osare accusarmi di
essermi approfittato di lei!» Si avvicinò di un passo al suo rivale, gli occhi
lampeggianti d’ira.
«Se davvero vuoi giocarti la carta del migliore amico, a questo punto dovresti
essere felice per lei» lo provocò Jack, per nulla intimorito dalla sua minaccia.
Daniel scosse il capo, sempre più paonazzo in volto, ma Jack non gli diede il
tempo di replicare. «Ma non lo sei. Anzi, la stai aggredendo perché sei
schifosamente geloso.»
Presi Jack per un gomito, per allontanarlo da Daniel che si era avvicinato
ancora e sembrava sul punto di esplodere. «Non immischiarti in cose che non ti
riguardano. Lizzy e io abbiamo un passato e…»
«Passato, appunto» ripeté Jack in tono di scherno.
«Jack» sussurrai, intrecciando la mano nella sua per allontanarlo e cercare di
porre fine alla discussione.
Daniel mi rivolse uno sguardo deluso e ferito. «Stavolta cerca di rispondere
alle mie telefonate e non evitarmi per altri due anni, dobbiamo parlare» aggiunse
solo, cercando di racimolare i brandelli della sua dignità. E se ne andò,
lasciandomi senza parole per la sua freddezza. Ero arrabbiata per come mi aveva
trattata ma l’idea di perderlo di nuovo, proprio quando avevamo ricostruito la
nostra passata amicizia, mi feriva terribilmente. Il problema era che Daniel non
voleva essere solo mio amico e lo aveva ormai ben chiarito.
«Liz?» Jack mi chiamò, ero rimasta a fissare il vuoto, persa nei miei pensieri.
«Devo togliere questo vestito.»
Lui annuì e non aggiunse altro, lasciandomi libera di raggiungere i camerini.
Riuscii a riemergere solo parecchi minuti dopo, di nuovo negli abiti del mio
secolo e libera dalle decine di forcine dell’acconciatura di Catherine.
Kristen aveva tentato di darmi fastidio, come al solito, con frecciatine e pesanti
battute, ma l’avevo zittita all’istante, dicendole di non farmi perdere tempo
perché Jack mi aspettava.
Forse avevo impiegato troppo, oppure Jack era stato fermato dal professore e
dai suoi colleghi, il risultato fu che non lo trovai ad aspettarmi fuori.
«Liz, sei pronta? Stiamo andando al locale in fondo alla strada a festeggiare di
essere sopravvissuti!» Rick mi accolse con uno dei suoi soliti sorrisi raggianti e
la mano intrecciata in quella di una sorridente Agatha.
«Hai visto Jack?» domandai, delusa per la sua assenza.
«Forse è già là, sarà andato avanti con il pazzo. Vieni, dai.»
Finsi di aver dimenticato qualcosa in camerino per poter tornare indietro e non
unirmi agli altri. Controllai il telefono sperando di trovare un messaggio di Jack
ma ce n’erano solo di Jessica e Kimberly. Risposi a entrambe e quando
finalmente mi diressi all’uscita ero rimasta l’unica nel teatro vuoto.
Non avevo davvero la forza di partecipare alla festa ma rimasi a fissare lo
schermo del telefono, cercando il coraggio di chiamare Jack. Non desideravo
altro che rimanere da sola con lui, tuttavia ero ancora frastornata dalle emozioni
della serata e non mi aspettavo di dovere essere io a cercarlo.
Ogni barriera tra noi era crollata ma sentivo sulle spalle ancora tutte le lunghe
settimane di separazione nonché il dolore per la reazione di Daniel.
Uscii in strada, distratta dai miei pensieri, e sussultai quando sentii una voce
alle mie spalle.
«Stavo per venire a cercarti. Volevi scappare senza di me?»
«Jack!» esclamai sorpresa. «Credevo che tu fossi già al locale con gli altri.»
«Vieni, Rick mi ha lasciato la sua macchina. Andiamo a casa.» Il sorriso che
accompagnò queste parole allontanò, magicamente, ogni traccia di stanchezza e
ogni pensiero.
20
Una volta al sicuro nella mia stanza telefonai a Jessica e la sommersi di discorsi
balbettanti e singhiozzanti. Impiegai almeno venti minuti per riuscire a farle
capire l’ordine esatto degli eventi, dallo spettacolo alla scenata di Daniel fino
alla telefonata di Jack al professore e la proposta di studiare a Londra.
«Liz, non so che dire.» Se Jessica rimaneva senza parole la fine del mondo era
davvero vicina.
«Siamo in due.» Mi soffiai rumorosamente il naso e mi lasciai andare, sfinita,
nel mio letto.
«Mi dispiace così tanto. È umanamente ingiusto che una cosa così bella per il
futuro di Jack vi possa fare così male, proprio ora che avevate…»
«Già.» Non c’era altro da aggiungere.
Quando salutai Jessica, trovai un messaggio di Daniel.
Non chiudermi di nuovo fuori dalla tua vita senza darmi la possibilità di
spiegarti. Mi conosci da sempre e sai che mantengo le promesse, anche quelle
che ho fatto da bambino.
Un bimbo dai limpidi occhi azzurri stava consolando una bimbetta piangente.
«Non ti preoccupare. Non ti prenderà mai più in giro, ti difendo io.»
«Sei sic-uro?» I singhiozzi la scuotevano, facendo ondeggiare le lunghe trecce.
«Te lo prometto, Lizzy. Ci sarò sempre io a proteggerti.»
Avevo di nuovo e definitivamente perso il mio migliore amico o c’era ancora
speranza?
Stavo pranzando, di nuovo all’appartamento, con Rick e Jack. quando mi
telefonò mia madre. Non aveva mai smesso di chiedermi di Jack, in tutte quelle
settimane, e avevo sempre trovato scuse per giustificare la sua assenza al mio
fianco.
«Sto pranzando con lui» potei finalmente dirle.
«Oh bene! Stavo iniziando a pensare che ti avesse lasciata!» commentò con
leggerezza.
Alzai gli occhi al cielo e Jack se ne accorse. Bevve un sorso d’acqua e allungò
una mano verso il telefono. Lo guardai sorpresa e gli sillabai un «sei sicuro?». Al
suo cenno affermativo, gli passai mia madre.
«Margaret, che piacere!» esclamò e già immaginai lei che ridacchiava
dall’altro lato della linea.
Jack mi sorrise e poi replicò. «Certo che no! Non mi sarei mai fatto sfuggire
Liz.»
Gli lanciai un tovagliolo e mi rispose soffiandomi un bacio.
Rick, che aveva assistito a tutta la scena, si piegò verso di me per sussurrarmi:
«Sai, ho quasi l’impressione che il vero esperimento del professore non fosse lo
spettacolo… È come se avesse fatto crollare la quarta parete, dalla finzione alla
realtà».
«Non lo sapremo mai» gli risposi, come mi ero risposta da sola il giorno prima.
Ma se era vero, qualcuno avrebbe dovuto dire al pazzo che aveva giocato con il
fuoco.
«Sei sicura di voler entrare in aeroporto con me?» Jack lo domandò per la terza
volta, mentre recuperava la sua valigia dal taxi.
«Jack» dissi solo, lasciando che il mio sguardo risoluto parlasse per me.
Si limitò ad annuire e mi prese per mano.
Mi ero ripromessa di non crollare, di non rovinare con le lacrime il momento in
cui il suo sogno cominciava a realizzarsi. E c’ero riuscita nei giorni precedenti la
partenza. Quasi sempre.
«Aspetta, vado a dirgli che ci vediamo sull’aereo.» Jack mi indicò un uomo a
pochi passi da noi, ricordavo di averlo visto parlare con il nostro professore dopo
lo spettacolo. Era lui che aveva creduto nel talento di Jack. Era lui che me lo
stava portando via. Si potevano provare sia gratitudine sia risentimento per la
stessa persona nello stesso momento?
Rimasi impalata dove mi trovavo e continuai a fissare Jack mentre quei pochi
passi di distanza tra di noi sembravano dilatarsi davanti ai miei occhi. Per un
istante mi chiesi se non sarebbe stato meglio che non si fosse dichiarato, che
fosse partito senza rivelarmi di essersi innamorato di me, senza darci l’illusione
di poter finalmente costruire qualcosa insieme.
La risposta era no, mille volte no. Perché per nessuna ragione al mondo avrei
rinunciato ai ricordi degli ultimi giorni. Da quando lui mi aveva aperto il suo
cuore, ogni barriera era crollata.
La passione che lo animava, la stessa che lo rendeva un così bravo attore,
guidava il modo in cui si dedicava a ciò che amava, il modo in cui mi aveva
baciata, toccata e venerata ogni istante. Ogni suo sguardo mi faceva sentire nuda,
metaforicamente e fisicamente, ogni suo sorriso spezzava il mio respiro.
Era sempre stato così, anche se non me ne ero mai davvero accorta, ma dalla
notte dello spettacolo sembrava che tra di noi fosse crollato ogni sipario,
rivelandomi Jack nella sua interezza, senza maschere né finzioni.
«Abbiamo ancora dieci minuti, ci sediamo?» Jack si era riavvicinato, con un
sorriso forzato, e mi stava indicando una fila di poltroncine vuote.
Annuii, deglutendo il dolore che tentava di riaffiorare.
«Liz.» Mi prese le mani tra le sue trovandole fredde e tremanti.
«Sto bene» risposi automaticamente.
«Come dicevi di stare bene ieri sera?»
Ero stata bravissima, davanti a lui, tutta la giornata precedente, ma poi quando
le ombre della notte erano arrivate e mi ero assopita, avvolta dal calore del suo
corpo, il mio tormento interiore era affiorato in superficie trasformandosi in
incubi.
Mi svegliai con il cuore impazzito e una patina di sudore freddo sulla pelle nuda.
Sgusciai fuori dal letto e dalle braccia di Jack, raccogliendo la sua maglietta dal
pavimento. Speravo che in bagno mi sarei calmata, ma guardandomi allo
specchio vidi nei miei occhi tutto il dolore che avevo nascosto con così tanta
difficoltà in quelle ore e ogni mio proposito finì sommerso dalle lacrime.
Soffocai un gemito mentre mi sciacquavo il viso con l’acqua fredda.
Non so quanti minuti trascorsero da quando mi accasciai sul pavimento,
dando libero sfogo al pianto che non riuscivo più a trattenere. Jack mi trovò
così, annegata nelle lacrime, singhiozzante e tremante.
«Liz!» mi avvolse nel suo abbraccio e io mi strinsi a lui con tutta la forza che
avevo.
«Come faccio a partire?» sussurrò sofferente, il viso affondato tra i miei
capelli.
«Ma… devi!» singhiozzai, stridula.
«Vorrei solo che avessimo qualche altro giorno per stare insieme. Abbiamo
perso così tante settimane.»
«Forse… sarebbe… ancora… peggio. Stare…» non riuscivo a parlare, ancora
scossa dai singhiozzi.
«Torniamo in camera, fa freddo qua sul pavimento e sei mezza nuda.»
Nel buio della sua stanza, diedi finalmente sfogo a tutti i pensieri e le paure
che avevo messo da parte per giorni. Avevo, di nuovo, fatto l’errore di non
parlare con lui, ma le vecchie abitudini erano difficili da soffocare.
«Abbiamo mille modi per tenerci in contatto, Liz. È vero, avremo un intero
oceano a separarci ma sarà nulla in confronto alle stupide incomprensioni che
noi stessi abbiamo creato e che ci hanno allontanati.»
«Credevo che odiassi il telefono. In quasi tre mesi mi avrai mandato tre
messaggi» ribattei, disegnando cerchi sul suo torace.
«Perché non potevo dirti quello che davvero pensavo. Problema risolto.
Quindi preparati a riceverne tanti… da leggere quando sei sola.»
«Jack!» risi mio malgrado, capendo che genere di messaggi mi avrebbe
mandato.
«Liz, lo so che sarà dannatamente difficile ma ti ho detto che ti amo e non l’ho
detto alla leggera.»
«Nemmeno io, Jack» ammisi, baciandogli una spalla mentre mi sollevava a
cavalcioni sul suo corpo.
«Sai…» iniziò, distraendomi con la carezza lenta delle sue mani sui miei
fianchi. «Il professore mi ha ridato la vestaglia di Catherine» mi sfilò la sua
maglia che indossavo, lasciandomi di nuovo nuda.
Rabbrividii mentre le sue mani risalivano fino al mio seno.
«La lascio a te. Sei pronta a farmi tanti spogliarelli in web-cam, miciotta?»
Risi, crollando sdraiata sul suo corpo. «Hai intenzione di trasformare William
e Catherine in un gioco di ruolo a sfondo erotico?» sussurrai, mordicchiandogli
un lobo.
«Perché? Non lo è sempre stato?»
«Sei tremendo. Per fortuna non lo hai mai detto davanti al pazzo o…» mi
interruppe con un bacio.
«Avremo mesi per parlare» aggiunse tra un bacio e l’altro. «Fai l’amore con
me, Liz.»
«Volevo dirtelo solo una volta che avessi trovato una sistemazione ma stanotte
ho pensato che, dopo gli esami, potresti raggiungermi a Londra e rimanere
qualche settimana con me. Che ne pensi?» Jack mi sorrise, speranzoso.
«Certo!» lo abbracciai di slancio e lo sentii ridere tra i miei capelli.
«Ecco qual era il problema! In realtà volevi venire a fare la turista nella
Vecchia Europa» mi prese in giro, finché non gli diedi un pizzicotto sullo
stomaco.
«Ahi! Miciotta dispettosa.» Si staccò dal mio abbraccio e mi prese il viso tra le
mani, continuando a fissarmi con i suoi meravigliosi occhi scuri.
«Dammi il tempo di sistemarmi e concentrati sugli esami.» Mi baciò la fronte,
sospirando.
«E dopo? Quando tornerò qua…» Non volevo rovinare il momento ma il
fantasma del futuro ancora incombeva su di noi.
«Forse riuscirò a tornare ad agosto, non hai detto che i tuoi hanno una casa al
mare?» sorrise, contagiandomi con il suo ottimismo.
«Ecco a cosa miravi, le vacanze a sbafo!» controbattei, facendolo ridere.
«Poi… Ammetto che muoio dalla voglia di rivedere la cara zietta Ethel e
dormire sorvegliato dalle bambole assassine. A Natale non manca così tanto,
no?»
Fantasma del futuro incerto 0 – Ottimismo e amore di Jack 1.
«Quanto ti amo» dissi, baciandolo con trasporto.
Sentii affiorare un sorriso sulle sue labbra.
Quando ci staccammo, mi guardò per un lungo istante. «Sei consapevole di
avermi fatto penare giorni prima di dirmelo?»
«Forse» arrossii.
All’inizio era stata una difesa inconscia, contro il ricordo ancora bruciante del
suo primo rifiuto. Poi ero stata travolta dall’ansia per la separazione e credevo
avrei sofferto meno se non mi fossi lasciata andare del tutto.
Ma con Jack non era possibile. Era entrato nella mia vita e l’aveva sconvolta,
aveva rotto il guscio che usavo per difendermi dal mondo, messo alla prova la
mia clinica timidezza e mi aveva fatto scoprire il vero volto dell’amore.
«Me lo sono meritato» mugugnò, avvicinando le mie mani al suo viso per
baciarle. «Però adesso…» Aggiunse, assumendo quella ormai collaudata
espressione da cucciolo che – maledetto lui – vinceva sempre ogni mia
resistenza.
«Ti amo, Jack» ripetei, guardandolo con un sorriso.
«Non che non lo sapessi, eh…» ghignò.
«Se non la smetti subito, puoi scordarti di vedere un altro spogliarello di
Catherine.»
Jack ammutolì, facendomi scoppiare a ridere.
«Ora devo andare…» disse, mentre il suo sorriso si spegneva.
«Aspetto che ti imbarchi» gli strinsi forte la mano, con rinnovata disperazione.
«No, amore. Più tempo rimani qua, peggio è. Non voglio vederti piangere
come stanotte.» Si alzò e lo imitai.
Ci abbracciammo per un lungo minuto ma finì troppo presto.
«Ti chiamo quando arrivo. Tu inizia a cercare un volo per raggiungermi»
sussurrò, staccandosi dalla mia presa ferrea.
Annuii, sentendo una lacrima scendere. Jack la asciugò con il pollice, poi mi
baciò per l’ultima volta.
«Fai la brava, miciotta. Tieni lontano i broccoli.»
Gli sorrisi tra le lacrime.
«E tu non trovarti un’altra Catherine.»
«Non la cerco nemmeno, ho già la mia Elizabeth.»
Mi salutò con un sorriso così raggiante e sincero da rendere impossibile non
ricambiarlo, pur se con gli occhi lucidi.
Mi aspettavo di scoppiare in singhiozzi nel giro di pochi secondi, uscendo
dall’aeroporto, ma l’immagine sorridente di Jack era ancora impressa nella mia
mente, migliore rimedio contro le lacrime non poteva esistere. Il peggio sarebbe
arrivato quando a ogni oggetto avrei associato un suo ricordo e la sua assenza
sarebbe diventata fin troppo dolorosa. Ma avrei affrontato un giorno alla volta,
senza farmi schiacciare dall’incognita del futuro. Ero pronta a fidarmi di Jack e
lo amavo davvero, non sarebbe stato un banalissimo oceano a spaventarmi.
Ero appena salita sul taxi quando sentii il telefono suonare. Il nome che lessi
sul display cancellò il sorriso che avevo appena ritrovato.
Non avrei commesso di nuovo lo stesso errore.
Ringraziamenti
Ringraziamenti