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© 2016 Centauria S.r.l.

Milano
Prima edizione: maggio 2016
ISBN: 9788869211621
Curatela editoriale: Blandings
Realizzazione editoriale: Studio Dispari – Milano
CHIARA VENTURELLI

Lezioni di seduzione
A Melissa
1

«Avete letto tutti il copione, quindi non mi resta che comunicarvi il ruolo che
interpreterete; la scelta è a mio insindacabile giudizio e non sarà in alcun modo e
per nessuna ragione modificata.»
Alle parole del professore mi colse un brivido, mi ero illusa di avere possibilità
di scelta e avevo già individuato i personaggi con il minor numero di battute.
Avevo sempre amato il teatro, come spettatrice però; ero finita in quel corso
per uno scherzo del destino, un banale errore di compilazione del modulo di
iscrizione. Ora però quei crediti mi erano assolutamente necessari.
A ogni personaggio secondario che veniva assegnato ad altri il mio cuore
sussultava e aumentava i battiti, vedendo incredibilmente sfumare le mie
possibilità di rimanere sullo sfondo. Eppure, non era possibile che affidasse un
ruolo principale proprio a me: avevo sempre partecipato con scarso entusiasmo
alle lezioni e non ero riuscita a nascondere la mia cronica timidezza.
Di certo, non avrei mai potuto vestire i settecenteschi panni di Catherine,
regina indiscussa dell’opera teatrale inedita su cui il professore aveva scelto di
impostare le ultime lezioni del corso. Alla fine del quale saremmo andati in
scena, in un vero teatro. Dopo aver letto il copione, ero ancora più ansiosa di
essere sul palco il meno possibile.
«Il ruolo di William, il giovane e avvenente maestro di seduzione, va a… Jack,
ovviamente!» All’annuncio del professore le ragazze squittirono in coro,
estasiate. Jack era il migliore del corso e quando si calava nella parte riusciva a
diventare anche il contrario di ciò che era. Cioè un bastardo, seppure di talento.
Una sola volta, grave errore, avevo pensato di domandargli un chiarimento su
un esercizio che lui – al contrario di me – aveva svolto brillantemente in classe.
Lo avevo avvicinato fuori dall’aula, mentre chiudeva una telefonata. Gli avevo
posto la mia domanda, scusandomi anche per il disturbo, ma lui si era limitato a
fissarmi per un lungo istante, come se stesse cercando di capire chi ero, per poi
dirmi che non aveva tempo e girare i tacchi. La risposta gli avrebbe rubato ben
sessanta preziosissimi secondi ma evidentemente erano troppi per me.
Non brillava certo per educazione e simpatia insomma, ma era bravissimo a
recitare: il ruolo del protagonista non sarebbe potuto andare a nessun altro.
Fu il silenzio a riscuotermi dai miei pensieri. Possibile che il professore avesse
finito? Ero stata così poco brillante in classe da venire esclusa del tutto dalla
rappresentazione?
Mi feci coraggio, pronta a chiedere un chiarimento, ma lo sguardo carico di
odio che mi stava lanciando Kristen mi paralizzò. Spostai lo sguardo sul
professore, che stava fissando proprio me. Forse in attesa che tornassi a prestare
attenzione.
«E per finire… la nostra protagonista sarà interpretata da Elizabeth!»
«Cosa?» Mi uscì di getto, senza che potessi controllarmi.
Mi stava prendendo in giro, non era assolutamente possibile che avesse scelto
me.
«Sì cara, e mi sembra anche di essere stato chiaro sull’insindacabilità del mio
giudizio» ghignò lui.
Una punizione, non c’era dubbio. Fin dal primo giorno che ero entrata nella
sua aula, un po’ smarrita e poco convinta, lui e tutti i miei compagni aveano
senz’altro capito che ero ben poco motivata. Però, pur essendo capitata lì per
errore, ero sempre stata attenta e rispettosa, molto più degli altri. Era ingiusto
che si vendicasse in quel modo!
«Professore scusi, rischierei di rovinare il suo spettacolo…» Tentai l’ultima
carta, pregando che tornasse in sé. Di certo l’opera scritta di suo (malato) pugno
valeva più del divertimento di tormentare una povera studentessa!
«Quindi ti conviene impegnarti, ti occorre almeno la sufficienza per ottenere
questi crediti, o sbaglio?»
«Sì, ma…» annaspai, ancora incredula.
Mi aspettavo che ridesse e confermasse che era stato solo uno stupido scherzo;
probabilmente voleva spingermi a impegnarmi di più e lo avrei fatto, sarei stata
la migliore governante mai vista. Oppure la più amabile anziana zia di Catherine.
Quelli erano ruoli perfetti per me!
Il professore, però, non rettificò la sua scelta né mi lasciò tentare di elencare
tutti i palesi motivi per cui sarei stata un totale disastro su quel palco.
«Ci tengo a precisare che la riuscita di questa rappresentazione, alla quale
tengo particolarmente come sapete, influirà all’ottanta per cento sulla vostra
valutazione finale.» Dopo quell’ultimo annuncio, che suonava come una terribile
minaccia, il vociare si intensificò: i miei compagni di corso mostravano il loro
disappunto per la scelta della protagonista femminile. Come poteva riuscire lo
spettacolo, con me nel ruolo principale? Non potevo che dar loro pienamente
ragione.
Kristen si era attaccata al braccio di Jack pregandolo sottovoce di convincere il
professore a dare a lei il ruolo di Catherine.
«Jack, tesoro! Lo dico anche per te, vuoi davvero passare le prossime
settimane a recitare con quella?!» insisteva in un bisbiglio perfettamente udibile
da tutti.
Rimpiansi i tempi in cui mi ignorava o, nel peggiore dei casi, rideva dei miei
goffi tentativi di recitazione.
«Basta così!» Quando il pazzo iniziava a urlare era meglio tacere, e infatti calò
un silenzio di tomba. «Venerdì proveremo le prime due scene del primo atto,
imparate a memoria le vostre battute e…» si interruppe girandosi verso di me,
minaccioso. «Elizabeth, sarà il caso che tu e Jack proviate anche fuori da qui.
L’intera opera si basa sul vostro controverso rapporto e se non riuscite a creare
l’alchimia necessaria sarà tutto lavoro inutile.»
Deglutii sbiancando. Provare anche fuori da quell’aula? Anche se avessi avuto
tempo, non avrei certo scelto di passarlo proprio con lui!
La reazione di Jack invece fu semplicemente uno sbuffo e un’alzata di spalle;
d’altronde, niente meno di un’apocalisse poteva scalfire la sua imperturbabilità.
Aveva ottenuto il ruolo principale e tanto gli bastava.
«Per oggi è tutto.» Il tono del professore chiarì che non avrebbe tollerato
ulteriori recriminazioni.
Kristen tentò, di nuovo, di perorare la sua causa ma venne liquidata con
un’occhiata infastidita.
«Jack!» squittì lei, isterica.
Per un attimo, dimenticai la mia tragedia personale e repressi un sorriso
quando lo vidi alzare gli occhi al cielo e sbuffare, di fronte alle lamentele della
primadonna mancata.
Ingannai il tempo fingendo di sistemare i libri nella borsa, mentre attendevo
che Jack rimanesse finalmente da solo. Mi accorsi che stava uscendo e dovetti
quasi corrergli dietro per non perderlo di vista.
«Quando ci vediamo?» La voce mi uscì strozzata, memore del primo e unico
approccio avuto con lui.
«Come?» Si fermò e mi guardò con evidente stupore.
«Dobbiamo provare insieme la scena entro venerdì» spiegai. Non era stato
attento? Forse era troppo preso da Kristen e dalle sue lagne?
«Giusto» sospirò. «Vengo stasera da te, dove abiti?»
«Ho una stanza qui nel campus, ma è molto piccola, sarebbe meglio vedersi
altrove» risposi, poco incoraggiante. Non avevo nessuna intenzione di chiudermi
nella mia minuscola camera con lui, di sera per giunta. E perché avrebbe dovuto
averne voglia lui?
«Andrà bene, dobbiamo solo provare qualche battuta.» Prima che potessi
ribattere sfilò una penna dalla cartellina e mi prese per un polso.
Mi irrigidii, colta alla sprovvista, e sentii la punta della biro muoversi sul dorso
della mia mano.
«Questo è il mio numero, scrivimi un messaggio poco prima delle nove
altrimenti mi dimentico.» Mi sorrise e se ne andò, senza lasciarmi il tempo di
rispondere.
Avere a che fare con lui non sarebbe stato per nulla facile.

«La vuoi piantare di ridere?!» sbottai al telefono con Jess.


«Scusa Liz ma è impossibile non ridere!» si giustificò lei, prendendo fiato.
Jessica era mia amica da sempre ma da quando avevamo iniziato il college
avevamo dovuto separarci. Nonostante migliaia di chilometri ci dividessero,
riuscivamo però a sentirci praticamente ogni giorno: in quei primi mesi era stata
il mio unico contatto con il mondo esterno. Non avevo legato con nessuno, sia
perché ero un tipo riservato sia perché avevo scelto un piano di studi
massacrante.
«Non mi sei di nessun aiuto così!» brontolai, gettando il copione accanto a me
sul letto.
«Ok, ok, scusa! Raccontami di che parla la storia.»
«La protagonista, tale Catherine, è una giovanissima nobildonna orfana di
madre, che vive con il padre il quale però è sempre in viaggio per lavoro; le
uniche amicizie che le sono concesse sono la sua balia e le ragazze della servitù.
L’opera si apre proprio con la curiosa e stupida Catherine che origlia una
conversazione sul sesso delle serve di casa. Quella stessa notte il padre rientra
dall’ennesimo viaggio di lavoro con una compagnia di nobili, tra cui il figlio di
un suo socio in affari, tale William. Catherine lo incontra, apparentemente per
caso, la notte in biblioteca, dove era scesa a cercare un libro.»
«Uhm, interessante…» Non sapevo se Jess mi stesse prendendo in giro o
meno, probabilmente sì. Era la trama più stupida del millennio, dopotutto.
«Catherine e William si mettono a parlare e lei, come se non fosse
assolutamente sconveniente, finisce a chiedere proprio a lui delucidazioni sul
discorso che ha origliato poche ore prima. William coglie la palla al balzo e le
propone di incontrarsi ogni notte in biblioteca, così da poterle dare tutte
le spiegazioni del caso. Chiaramente le cose sfuggono al loro controllo e tutta
l’opera si svolge nei giorni successivi, inframmezzando le notti in cui William le
dà “lezioni di seduzione” e i giorni durante i quali devono comportarsi come se
nulla fosse davanti agli altri, ma lui non perde occasione di provocarla.»
«E come finisce?»
«A saperlo… l’ultimo atto non ci è stato consegnato, quel pazzo del professore
ha detto che lo proveremo proprio gli ultimi giorni e di non preoccuparci perché
sarà piuttosto breve e ci verrà facile anche improvvisare, se ci saremo calati nei
personaggi. Una specie di ulteriore prova.»
«Ma non è una trama un po’ strana per una rappresentazione scolastica?»
«Quell’uomo non è del tutto sano di mente. Altrimenti non avrebbe scelto
proprio me per il ruolo principale!»
«Secondo me i due protagonisti alla fine si sposano…» Ecco che l’animo
romantico di Jessica prendeva il sopravvento.
«Non ne sarei così sicura, considerando chi l’ha scritto. Comunque, Jess ti
devo salutare, sono quasi le nove e devo mandare un messaggio al mio William.»
«Vedo che ti sei già calata nella parte! Brava, tesoro… Non passare subito alla
lezione finale, per finire a letto avrete tutto il tempo!»
«Spiritosa! Ci sentiamo domani, un bacio.»
Chiusi la telefonata e mi stiracchiai, alzandomi dal letto. Ero in versione
studentessa-dimessa e valutai se fosse il caso di darmi una sistemata. Alla fine
mi limitai a sciogliere i capelli dall’elastico, prima di scrivere il numero della
mia stanza nel messaggio per Jack. Non ero per nulla a mio agio all’idea di
incontrarlo, soprattutto in quel modo, ma ero consapevole che, se non avessimo
provato le scene, a lezione il professore mi avrebbe massacrata. Non potevo non
passare quel corso, avevo una rigida tabella da seguire e per me gettare la spugna
non era mai stata un’opzione.
Attesi invano per quasi un’ora che mi rispondesse, dopodiché immaginai che
avesse trovato di meglio da fare e mi preparai per andare a dormire. Se quello
era il suo concetto di impegno, non sarei stata l’unica a ricevere insulti a lezione.
Avevo appena infilato il pigiama quando sentii bussare alla mia porta.
Rivestirmi? Neanche per sogno. Il mio pigiama rosa non era una mise così
sconveniente ed era lui a essere in torto.
«Pensavo non saresti più venuto ormai» fu il mio unico saluto.
«Avevo da fare.» Nemmeno si scusò mentre mi squadrava con aperta ironia.
«E tu dovresti fare la giovane maliziosa con quel coso indosso?»
«Dobbiamo solo provare qualche battuta.» Le sue esatte parole di poche ore
prima.
Si tolse la giacca abbandonandola sulla sedia e si sedette sul mio letto.
«Cominciamo? Non ho tutta la sera.»
Lo guardai, incredula. «Non sono io quella che è arrivata in ritardo.»
Sbuffò. «Mi dispiace. Non immaginavo che al college qualcuno andasse a
dormire così presto» commentò, indicando il mio tanto bistrattato pigiama.
Afferrai il copione e mi sedetti sul letto, il più possibile distante da lui. «Atto
primo, seconda scena» annunciai, evitando di dargli corda. Ero troppo stanca per
discutere.
Nel giro di poche battute, mi lasciai vincere dalla magia del teatro. Pur essendo
il copione peggiore che avessi mai letto, il modo in cui Jack stava dando vita a
William mi lasciò senza parole.
«Mia signora, sarò lieto di sciogliere qualunque vostro dubbio…» Mi incantai
a guardarlo, persa in quegli occhi così scuri che mi fissavano con un’intensità
tale da lasciarmi senza fiato.
Ricordarmi di rispondere alle battute mi riusciva davvero difficile, lo sguardo
d’aperta ammirazione di William e il suo sorriso malizioso mi facevano girare la
testa.
Jack, non William!
Dovetti continuare a ripetermelo mentalmente per tutto il tempo, per evitare di
ridurmi peggio di Catherine, in totale balìa dell’intrigante fascino del giovane
gentiluomo.
«Non male.» Decretò lui dopo la terza prova della scena della biblioteca. Era
volata via un’intera ora senza che me ne accorgessi.
«Forse Catherine mi è uscita troppo nervosa, l’ultima volta» valutai. Lui aveva
introdotto una variante improvvisa, e il baciamano di William era stato troppo
per me.
«Migliorerai. Ora devo andare.» E Jack uscì in tutta fretta, senza aggiungere
altro.
Prima di addormentarmi pensai che non era andata così male, tutto sommato.
Lui era un cafone, ma era bravo. Con un po’ di fortuna e una buona dose di
pazienza sarei arrivata sana e salva alla fine del corso, con i miei crediti
registrati.
Sana e salva… Quanto mi sbagliavo.
2

Quando ripetemmo la scena davanti al professore, mi aspettavo correzioni e


suggerimenti ma credevo, ingenuamente, che avrebbe almeno apprezzato il
nostro evidente impegno.
«Spero che voi stiate scherzando! Che cos’è questo schifo? Avevo parlato di
alchimia, l’opera si chiama Lezioni di seduzione, non La lista della spesa!» A
lezione ci insultava spesso e volentieri ma non se l’era mai presa con Jack;
stavolta, invece, era davvero furibondo. Il mio compagno incassò le critiche in
stoico silenzio. «Mi ero raccomandato che provaste insieme fuori di qui! Vi devo
chiudere a forza in una stanza?» continuò a sbraitare il professore.
«Ma veramente ci siamo visti…» sussurrai flebilmente.
«Per giocare a monopoli, non certo per recitare insieme, visti i risultati!»
Finalmente Jack diede segni di vita ma il sollievo di vederlo reagire svanì non
appena sentii le sue parole.
«Non è colpa mia, non posso dare il meglio se quando proviamo è vestita come
una liceale sessualmente frustrata e si comporta come una zitella acida.»
Percepii a malapena le risatine di scherno che riempirono l’aula, tanto rimasi di
stucco.
«Non mi interessa come e quanto impiegherete a raggiungere un’intesa ma
vedete di darvi una mossa o vi caccio da questo corso!» E il professore se ne uscì
sbattendo la porta, lasciando la lezione a metà e gli altri ammutoliti.
Mi avvicinai a Jack, piena di rabbia e umiliazione. «Come ti permetti di
insultarmi in questo modo?»
«Ho detto solo la verità, piccola» mi sorrise con aria di sfida.
«Tanto per cominciare, non chiamarmi così: non abbiamo tutta questa
confidenza! Poi, non vedo come il mio abbigliamento possa compromettere le
tue immense doti recitative» ribattei ironica.
«Sai cosa penso?» domandò, avvicinandosi e abbassando la voce. «Credo che
un po’ di sano sesso ti farebbe bene, dovresti scioglierti.»
«Non penso che la mia vita privata sia affar tuo! L’unica cosa che ti deve
interessare è che siamo sulla stessa barca, sono sicura che nemmeno tu voglia
farti cacciare da questo corso!» osservai, incrociando le braccia sul petto.
Avevo toccato il suo punto debole, infatti tornò subito serio.
«No, assolutamente. Stasera alle nove sono da te.»
Si girò e uscì dall’aula a grandi passi, senza lasciarmi il tempo di replicare.

Era venerdì sera e mi ritrovavo incastrata – di nuovo – ad aspettare Jack. La


settimana era stata una delle più stressanti dall’inizio dell’anno. Ma il peggio
arrivò con la telefonata di mia madre.
«Ero sicura di trovarti libera, so che tanto non vai a perdere tempo per locali la
sera!» fu il suo esordio.
«Mamma, ora non posso parlare. Tra poco devo provare le scene per il corso
di…»
«Te l’ho detto che Kimberly ha deciso di iscriversi a un corso di teatro?
Proprio la settimana scorsa e già le hanno dato una parte importante! Sarà il
Bianconiglio, non è meraviglioso?»
«Ah bene.» Non ero tenuta ad aggiungere altro, nemmeno mi stava ascoltando.
Le sue chiamate erano sempre un lungo monologo sui successi della mia
sorellina dodicenne.
«Ancora non mi spiego che ci fai tu in quel corso. Non puoi fare domanda per
cambiare? Con quello che paghiamo per la retta e la stanza singola, dovrebbe
essere il minimo!» Ignorai la domanda, glielo avevo già spiegato una dozzina di
volte. Chiesi di parlare con mio padre ma era impegnato con il torneo di burraco
dai vicini.
«Buonanotte, Lizzy. Vai a dormire che è tardi!» Quando finalmente mi salutò,
scagliai il telefono tra le coperte, profondamente irritata.
Jack arrivò puntuale, proprio quando speravo che tardasse, o che non venisse
affatto. A quel punto volevo solo starmene per i fatti miei, e al diavolo il corso.
«Indossa questo» fu il suo unico saluto, mentre mi passava una busta.
«Spero che tu stia scherzando!» urlai, non appena ne sbirciai il contenuto. Il
mio nervosismo era ormai alle stelle e quella nuova sorpresa non aiutò di certo.
«Niente affatto! Prendilo come un costume di scena…» rispose,
spaparanzandosi sul mio letto.
«Non credo proprio che nel Settecento esistesse
Victoria’s Secret!»
«Stasera non recitiamo il copione, piccola. Dobbiamo prima creare l’alchimia
tra di noi» ghignò.
«Io non ho alcuna intenzione di vestirmi, o meglio svestirmi, in questo modo!»
puntai i piedi, irremovibile.
I suoi occhi scuri mi esaminarono da capo a piedi, poi Jack si alzò dal letto e
mi si parò di fronte; deglutii a disagio: non ero abituata a essere fissata con una
tale intensità e da così vicino.
«È evidente che hai qualche problema con il sesso» concluse, con spavalda
presunzione.
«Ma come ti permetti?!» ribattei, ma la voce mi uscì strozzata e per nulla
minacciosa. La sua vicinanza era davvero deleteria per il mio autocontrollo.
«Non sarebbe affar mio. Solo che ci rimetterò anch’io se continuerai a fare la
ragazzina frigida.»
A quell’offesa persi definitivamente la pazienza.
«Senti, razza di stronzo arrogante! Puoi anche pensare di essere migliore di me
ma non puoi giudicarmi senza conoscermi, e non ti scomodare nemmeno a farlo
perché non mi conoscerai mai!» Presi fiato solo alla fine del mio breve ma
intenso monologo.
Rimase a fissarmi in silenzio, con espressione stupita. Come se avessi toccato
un nervo scoperto. Poi distolse lo sguardo e trasse un lungo respiro.
«Ok, abbiamo iniziato con il piede sbagliato» ammise riluttante. «Ascolta,
Elizabeth. Non ci conosciamo ma dobbiamo recitare insieme per intere
settimane. Catherine sembra timida e ingenua ma hai visto anche tu come già
alla quarta scena impara a lanciare sguardi seducenti a William. Per farlo, ti devi
sentire seducente, devi avere voglia di sedurmi.» Il suo tono di voce si era fatto
più basso e mi fece rabbrividire.
«Non ti sembra di cadere nel più classico dei cliché? Dovrei indossare lingerie
per sentirmi seducente?» Cercai di usare un tono divertito per nascondere il mio
imbarazzo.
«Hai paura di distrarmi? Tranquilla, ormai io e William siamo in perfetta
sintonia.»
La pausa di serierà e ragionevolezza era durata davvero poco. Quindi non c’è
pericolo che lo distragga, eh?, pensai, reagendo in un modo che sorprese perfino
me stessa.
«Va bene, torno subito. E non appoggiare le scarpe sul mio letto!» intimai, e
prima di chiudermi nel bagno lo vidi alzare le mani in segno di resa.
Quando mi vidi riflessa nello specchio, mi sentii quasi male: il babydoll era
corto, rosso porpora, con bretelline sottili e una profonda scollatura contornata di
pizzo dello stesso colore. Mi era scivolato leggero sulle curve dei fianchi, senza
marcare la pancetta ma strizzando un po’ troppo il seno. Sciolsi i capelli per
coprire il più possibile la schiena nuda e presi un grosso respiro.
Uscendo dal bagno, finii letteralmente addosso a Jack. Che faceva così vicino,
guardava dal buco della serratura? D’istinto, feci un balzo indietro. Notai che
faticava a guardarmi in faccia, gli occhi scivolavano verso il basso.
«Non va bene» sentenziò poi.
«Mi hai fatta svestire solo per prendermi in giro?» protestai, incredula e
profondamente umiliata.
Jack sbuffò. «Se davvero hai letto il copione, saprai che dovremo stare a
contatto fisico in quasi tutte le scene. Catherine non può avere paura di
avvicinarsi a William, lei vuole che lui le stia vicino!»
«Io non ho assolutamente paura…» mi interruppi. Lui si era avvicinato con un
unico passo fluido e mi aveva preso la mano per poggiarla sul suo torace. Quel
contatto inaspettato mi destabilizzò solo per un istante, ma bastò perché vedessi
affiorare un sorriso soddisfatto sul volto di quell’idiota.
«Dimostramelo allora! Se non hai problemi a starmi vicino e a toccarmi,
spogliami» mi provocò, con voce suadente.
Ritrassi la mano e distolsi lo sguardo, conscia di stare arrossendo.
«Io non vedo come questo possa…» cercai di oppormi. Ma le sue dita mi
sollevarono delicatamente il viso e mi ritrovai a fissarlo negli occhi. Non riuscii
a continuare la frase.
«Liz, non ti sto prendendo in giro. Sto cercando di aiutarti a superare i tuoi
blocchi e di aiutare anche me stesso, perché ci tengo a non essere cacciato dal
corso.» Sembrava sincero, e le mie resistenze si sciolsero.
«Va bene. Proviamo pure questo esercizio. Ma non pensare di approfittarne!»
«Per chi mi hai preso? William è un gentiluomo» ammiccò.
Accennai una finta risata.
«Che devo fare?»
«Toglimi i vestiti. Hai mai giocato con le bambole, Liz? Immaginami come il
tuo bambolotto» sussurrò, gli occhi accesi di malizia e sfida.
Ciao, William.
«Rilassati. Sei troppo tesa.» Prese le mie mani e se le portò sui fianchi, poi
sollevò le braccia in alto.
Mi girava la testa e respiravo con affanno mentre, con un unico, goffo gesto,
gli sfilavo felpa e maglietta insieme, lasciandolo mezzo nudo.
«Impaziente, eh?» accennò una risata, poi tornò subito serio.
Rimanemmo fermi uno di fronte all’altra, in attesa: lui che continuassi e io di
un qualche cataclisma che mi impedisse di dovergli slacciare la cintura dei
pantaloni.
«Vuoi che ti guidi io?» si offrì.
«No, ce la faccio» risposi seccata, tentando di mascherare il mio tumulto
interiore.
Slacciai la cintura con dita tremanti. Deglutii e trattenni il respiro mentre
aprivo il bottone, ignorando la sensazione della sua pelle calda che avevo
appena, inavvertitamente, sfiorato. Cercando di distrarmi, gettai un’occhiata
rapida pochi centimetri più su e notai che Jack stava respirando in modo un po’
affannato.
Pregai il cielo che la lampo non si inceppasse, costringendomi a indugiare
ancora a lungo nell’operazione. Passarono pochi secondi ma contai decine di
battiti del mio cuore.
Jack si schiarì la voce e mi accorsi di non aver allontanato le mani. Mi spostai
di un passo, sopraffatta dall’imbarazzo.
«Non è andata male, direi.» Aveva la voce roca, e io non osavo guardare se la
mia involontaria carezza avesse suscitato altre reazioni. Comunque era pur
sempre in condizioni migliori delle mie.
Proprio in quel momento bussarono alla porta e fui davvero lieta di
quell’interruzione. Ma il sollievo durò poco.
«Elaiza, ciao! Io e le altre stiamo improvvisando un pigiama party, vuoi
partecipare? Così porti i biscotti!» Solo Bonnie, la mia vicina di stanza, si
ostinava a chiamarmi con quel diminutivo assurdo.
«Veramente ho da fare, sto studiando» cercai di liquidarla in fretta,
stringendomi la cintura dell’accappatoio, infilato al volo.
Il finto broncio dispiaciuto durò due secondi sul suo viso. Il tempo di guardare
dietro le mie spalle, e sgranare gli occhi.
«Ah, ho capito! Scusami tanto… e divertiti!» Scomparve rapidamente nel
corridoio lasciandomi interdetta.
Ma bastò voltarmi per capire: Jack era rimasto sullo sfondo, ancora a petto
nudo e con i jeans completamente sbottonati.
«Non potevi spostarti o rivestirti?» sospirai esasperata.
«E dove avrei dovuto nascondermi secondo te, nell’armadio? La tua amica era
verde di invidia, lasciatelo dire» mi sorrise.
«Bonnie non è mia amica, è la pettegola peggiore di tutto il dormitorio!
Domani mezzo campus dirà che siamo stati a letto insieme!» Alzai la voce,
infastidita dal suo tono rilassato e soddisfatto.
«Che problema c’è? Hai un fidanzato segreto?» domandò, allacciandosi
finalmente i pantaloni.
«Figuriamoci! Mi basta William, naturalmente.»
Jack mi fissò per un lungo istante ma non replicò. Terminò di vestirsi e si
avvicinò alla porta.
«Mi aspettano, è tardi» fu il suo ultimo saluto.
3

«Giuro che ti disconosco come amica se non esci da quella stanza


immediatamente!» Jessica non sapeva essere minacciosa nemmeno di persona,
figuriamoci al telefono.
«Jess, dammi tregua. Ho avuto una settimana infernale e oggi ho dovuto
studiare un sacco di…»
«Liz! È sabato sera e sei al college! Ora ti togli quello stupido pigiama, scovi
nel tuo armadio quella maglietta viola scollata che ti ho regalato e vai fuori.»
Dovevo ammettere che mi conosceva fin troppo bene, sapeva perfino che ero
già in pigiama anche se avevo evitato apposta una videochiamata. Cercai
qualche scusa, un mal di testa, una grave intossicazione alimentare, una rara
malattia esotica.
«Elizabeth! Guarda che non mi freghi quindi non provarci nemmeno. La scusa
del mal di pancia da ciclo l’hai già usata sabato scorso.» Piccolina ed esile, Jess,
ma determinata come pochi.
«Va bene! Esco, ma solo per trovarmi una nuova migliore amica che non mi
maltratti» borbottai rassegnata. In fondo non avevo promesso di restare fuori a
lungo.
«Ti voglio bene anch’io. E ricordati la maglia scollata!»

Mai dare ascolto a Jessica. Me lo sarei fatta tatuare su entrambe le mani per
ricordarlo. Immersa nel caos del pub più vicino al campus, mi sentivo fuori
posto e di cattivo umore. Stavo valutando di ritornare al mio comodo pigiama,
quando qualcuno mi chiamò.
«Ciao Elizabeth!»
«Rick! Ciao…?» lo salutai, un po’ titubante. Frequentava il corso di teatro ma
non ci eravamo mai davvero parlati. Peccato, perché sembrava simpatico.
«Sei qua da sola?» mi domandò, senza smettere di sorridermi.
Annuii e lui mi regalò un sorriso ancora più grande.
«Vieni a sederti al nostro tavolo, dai!»
Lo seguii e salutai un paio di volti noti mentre mi presentava altre due ragazze
e un ragazzo. Rick mi coinvolse, con entusiasmo contagioso, in una
conversazione sulle peggiori figure fatte durante gli esercizi di recitazione. Stavo
ridendo al racconto della sua primissima esperienza teatrale, all’asilo, nei panni
dell’albero numero due, quando una delle ragazze disse, gli occhi fissi sulla
porta.
«Strano che sia apparso a quest’ora. Di solito è già al lavoro.»
Non feci in tempo a girarmi che uno dei ragazzi aveva già urlato il suo nome
per chiamarlo al tavolo.
«Jack!»
Mi voltai di scatto. Mentre lo guardavo avanzare verso di noi, Kristen sbucò
dalla folla delle matricole e gli si buttò addosso, stampandogli un bacio sulla
bocca.
«Eccola che ci prova, come al solito. Devo ammettere che quei jeans non gli
stanno niente male ma è sempre un peccato vederlo vestito…» Una delle due
amiche di Rick evidentemente avrebbe voluto essere nei panni di Kristen… Ed
era stata già anche in quelli di Jack.
Feci una smorfia e fu con quell’espressione sul viso che Jack mi vide quando
arrivò al nostro tavolo, con Kristen appesa al braccio.
«Su su, ragazzi. Stringetevi che ci sediamo qua con voi» ordinò lei,
evidentemente pronta a sederglisi in grembo.
Mi ritrovai spinta sulla panca, di malagrazia, verso Rick, una gamba quasi
accavallata alla sua.
«Stai troppo stretta?» mi chiese, posando il braccio sullo schienale e
sfiorandomi la spalla con il torace.
«No, no. Sto…» Alzai gli occhi e mi sorpresi nel trovarlo così vicino. Il suo
respiro mi sfiorò la tempia, l’odore del suo dopobarba mi avvolse e il tocco del
suo braccio sulla schiena mi provocò un brivido. Imbarazzata, mi ritrassi appena
e lui fece per togliere il braccio.
«Ahi!» una ciocca dei miei capelli si era incastrata nel cinturino d’acciaio del
suo orologio. Rick si bloccò.
«Uh aspetta!» Si sporse verso di me, avvolgendomi nel suo abbraccio mentre
districava i miei capelli con l’altra mano. Molto lentamente.
«Fatto» sussurrò poi, allontanandosi solo di qualche centimetro e rimanendo a
fissarmi negli occhi.
«Catherine, le lezioni stanno funzionando, eh?» La battuta di Jack ruppe
l’incantesimo, scatenando una risata generale.
A un occhio esterno, io e Rick dovevamo essere sembrati molto coinvolti, a un
passo dal baciarci. Me ne resi drammaticamente conto solo in quel momento e
non riuscii a non arrossire.
Rick non rise, e avvertii che i muscoli del suo braccio a contatto con la mia
schiena si tendevano. Lo sentii sbuffare, poi si rilassò e mi bisbigliò: «Ti va se
usciamo da qua?».
Mai richiesta fu più gradita. Salutammo rapidamente e io evitai di guardare in
direzione di Jack. Non avevo nessuna intenzione di dargli soddisfazione.
«Non prendertela, ormai sappiamo che per Jack è tutto un palcoscenico» Rick
cercò di alleggerire l’atmosfera, mentre teneva aperta per me la porta del pub.
«Oh, lo so bene» borbottai.
Rick, che aveva una mano in tasca, si bloccò e sbuffò. «Deve essermi scivolato
fuori il telefono, dannazione! Torno tra un minuto, scusami.»
«Non ti preoccupare, il campus è vicino!»
Ma Rick era già rientrato, con un sorriso e il segno di aspettarlo.
La porta si riaprì dopo pochi secondi.
«Hai fatto presto!» sorrisi, girandomi.
«Con quale scusa ti ha scaricata?» Era Jack, con quel suo maledetto ghigno
strafottente.
«Ha solo dimenticato il telefono. Torna pure da Kristen. Se mai qualcuno
scrivesse una versione vietata ai minori di Lezioni di seduzione, lei sarebbe una
perfetta Catherine» ribattei, acida.
Jack mi fece un sorriso tirato, quasi una smorfia. Poi si avvicinò.
«Sai, Liz» sussurrò, «non essere così convinta che non mi piaccia la Catherine
che ho adesso.»
«Eccomi!» Mentre Rick compariva sulla porta, mi allontanai istintivamente da
Jack, come se mi sentissi colta in fallo.
Lui accennò a malapena un saluto e se ne andò, lasciandomi a rimuginare sulla
sua ultima frase.
«Sto cominciando a capire la scelta del professore» osservò Rick, con un filo
di acidità.

Martedì mattina mi svegliai e trovai un messaggio di Jack. Mi aveva scritto alle


cinque del mattino e dubitavo che fosse a causa di una levataccia, probabilmente
non era ancora andato a dormire.

Ci vediamo fuori dall’aula alle otto. Dobbiamo provare la scena.

I casi erano due: o non conosceva l’esistenza del punto interrogativo oppure era
abituato a esigere e non a chiedere. Propendevo per la seconda ipotesi. Mi ero
svegliata tardi, perciò non riuscii nemmeno a fare colazione. Arrivai solo
qualche minuto dopo le otto, ma di Jack non c’era traccia.
Provai a chiamarlo ma non rispose. Attesi, sempre più arrabbiata, finché
l’inserviente aprì l’aula all’arrivo dei primi compagni di corso; Jack si presentò
solo cinque minuti prima dell’inizio della lezione.
«Che diavolo di fine avevi fatto?» lo aggredii, appena comparve.
«Sono stato trattenuto…» Sentirlo così vago mi irritò ancora di più.
«La mia tolleranza nei tuoi confronti è minima, sappilo» sibilai, contrita.
Sospirò e si passò una mano sul viso massaggiandosi gli occhi come per
concentrarsi.
«Vieni con me» se ne uscì serio, afferrandomi per una mano.
«Jack!» Ma era inutile opporsi, mentre mi strattonava per il corridoio. Si
guardò intorno e aprì la porta di un’aula vuota, trascinando dentro anche me;
quando mi lasciò andare ritrassi la mano infastidita e lo guardai con livore.
«Non ce la faccio più con te! Sei stato tu a dirmi di incontrarci e poi non ti
presenti! C’è sempre qualcosa o qualcuno da cui devi correre.»
«Ne riparleremo. Ora devi calmarti e concentrarti, tra pochi minuti dobbiamo
recitare.» Era serio e nervoso.
«Troppo comodo così! Non sono un burattino, Jack! Non puoi irritarmi a morte
per poi sperare che io mi calmi a uno schiocco di dita!» Ero veramente sul punto
di esplodere e stavo quasi gridando.
«Liz, ora devi diventare Catherine!» mi ammonì alzando improvvisamente la
voce, con sguardo duro.
«Io non posso provare emozioni a comando, non sono un’attrice!» Perché mi
stavo giustificando? La sua evidente tensione mi stava come sgonfiando.
«Sì che lo sei, o almeno lo stai diventando. Non gettiamo via tutto per una
banale discussione.» Il suo tono divenne improvvisamente morbido e
conciliante.
«Banale discussione? Jack, ti rendi conto che mi stai facendo ammattire? Non
fai che prenderti gioco di me e…»
«Ok, time-out. Dopo potrai insultarmi quanto vorrai, troveremo un punto di
incontro… Ma ora respira e rilassati, dobbiamo andare in scena.»
Non volevo cedere ma aveva ragione lui, e non potevo gettare all’aria mesi di
sacrifici per un’arrabbiatura. Sospirai e mi massaggiai le tempie.
«Ok, ci provo…» In realtà, non sapevo nemmeno da dove cominciare per
concentrarmi e rilassarmi.
Vidi Jack muoversi e portarsi alle mie spalle; subito mi girai.
«No, resta così, ti aiuto solo a calmarti…» mi sussurrò toccandomi un braccio.
«Niente scherzi!» lo ammonii.
«Tranquilla, sono molto professionale quando ne va del mio futuro.»
Rimasi ferma e sentii le sue mani scorrere sulle mie braccia, avanti e indietro,
delicatamente, poi accennò un lieve massaggio alle spalle, scostandomi i capelli
da un lato.
Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi, ripassando mentalmente le battute di
Catherine.
Sentii qualcosa sfiorarmi il collo, qualcosa di caldo, più caldo delle sue mani;
aprii gli occhi rendendomi conto che erano le sue labbra che scorrevano sulla
mia pelle nuda.
«Jack…» sussurrai, a metà tra ammonimento e sorpresa.
Scostò di pochi millimetri le labbra per sussurrare, investendomi con il suo
alito caldo: «Non Jack, William… piccola dolce Catherine, sei in biblioteca con
il giovane e seducente William e sei impaurita ma allo stesso tempo attratta da
lui». Mentre parlava, la bocca si avvicinava al mio orecchio, il petto schiacciato
contro la mia schiena.
Sospirai rabbrividendo e rimasi in silenzio mentre le sue mani scivolavano via
dalle mie braccia e si posavano sui miei fianchi, massaggiandoli.
«Ricorda, continua a ripeterti che sei Catherine e che sei attratta da me.»
Il movimento delle sue dita si fece più ampio, risalì spostandosi verso il ventre.
Abbassai lo sguardo, irrigidendomi.
«Chiudi gli occhi, non ti distrarre Liz.» Fu quasi strano sentirmi chiamare di
nuovo con il mio nome dopo che mi aveva chiamata ben due volte Catherine.
Mi intrigava sentirlo essere William e subito dopo chiamarmi con il mio vero
nome. Era qualcosa di nuovo ma terribilmente affascinante.
Ma ogni ragionamento naufragò nel movimento delle sue mani che risalivano
ancora, ferme e leggere, a palmi aperti. Trattenni il respiro quando sentii il suo
pollice destro sfiorarmi sotto il seno: stavo andando letteralmente a fuoco e tutta
la concentrazione ritrovata stava andando all’aria.
Ma proprio sull’orlo del punto di non ritorno, le mani si fermarono.
«Siamo pronti per andare in scena, mia signora…» stabilì all’improvviso Jack
a voce stranamente alta, staccandosi da me e lasciandomi interdetta e quasi
spossata dalla quantità di sensazioni che mi ribollivano dentro.
Cercai di annuire e lo seguii.

«Non so che dire, onestamente…» Mi preparai a sentir piovere altri insulti da


quel pazzo del professore. «Non so cosa abbiate fatto ma, visti i risultati,
continuate! La sento, sta pulsando l’alchimia che volevo!»
Sembrava in estasi.
«Ovvio che hanno raggiunto l’alchimia. Hanno visto Jack nudo in camera di
lei.» Il commento velenoso di Kristen non avrebbe dovuto scalfire il sollievo che
stavo provando. Ma ci riuscì.
«Che c’è? Non sei soddisfatta?» mi sussurrò Jack, avvicinandosi.
«Sì, sì, è andata bene» risposi, senza però riuscire a sorridere.
«Non sembri molto felice» insistette ancora, senza distogliere lo sguardo dal
mio, come se tentasse di leggere nei miei occhi la verità.
«Girano voci… su noi due. Bonnie deve aver parlato» sospirai.
«E tu lasciale parlare, è tutta invidia perché abbiamo recitato bene» disse con
inaspettata gentilezza. Mi aspettavo una battuta ironica, perciò gli feci un sorriso
sorpreso e grato.
Al termine della lezione, il professore chiese a noi due di rimanere.
«Ho visto un notevole miglioramento. C’è ancora molto da lavorare ma avete
del potenziale e vorrei farvi una proposta.»
«Di che tipo?» chiese Jack, precedendomi.
Il professore, però, era distratto. «Oh, Rick. Rieccoti. Chiudi la porta e unisciti
a noi.» Rick si mise al mio fianco e mi sorrise. Non ci eravamo più incontrati da
quando mi aveva riaccompagnata fino al mio dormitorio, sabato notte.
«Come stavo dicendo» riprese il professore, «vorrei tentare con voi un
esperimento, mettendo in scena la versione originale di Lezioni di seduzione, che
è un po’ più audace di quella che vi ho consegnato. Quando l’ho scritta volevo
dimostrare a quegli incompetenti che non avevo nessuna paura di osare!»
«Quelle stroncature sono state ingiuste» concordò Jack.
Guardai Rick e dalla sua espressione capii di non essere l’unica confusa.
«Nella versione originale c’erano alcune scene in più.» Ci consegnò tre
fascicoli, appena estratti dalla sua borsa. «Leggeteli con attenzione e ditemi che
ne pensate; ragionateci bene e sappiate che per me è molto importante. La scelta
è vostra ma ci tengo a mettere in chiaro che non dovrete farne parola a nessuno.»
«E per noi che cosa cambierebbe?» chiese pragmatico Jack.
«Avrete più battute da recitare e molte più possibilità di dimostrare il vostro
talento sul palco. Ho intenzione di invitare alcuni vecchi colleghi alla prima che
allestiremo a teatro» fece una pausa per lanciare un’occhiata eloquente a Jack,
poi posò lo sguardo direttamente su di me. «Inoltre, vi firmerò i crediti per il
corso avanzato che terrò il prossimo semestre.»
Per quanto mi riguardava, non poteva avanzare una proposta più allettante.
«Ma dovremmo provare le scene aggiunte di nascosto?» domandò Rick.
«Le proverete con me fuori orario, almeno per i primi tempi, finché non avrò la
conferma che stiamo andando bene. Si tratta solo di qualche pagina in più. Il tuo
personaggio, George, creerà un po’ di tensione iniziando a corteggiare Catherine,
che starà al gioco per ingelosire William.»
Jack sbuffò.
«Poi ci sono un paio di scene tra William e Catherine che saranno un po’ più…
intense» terminò il professore.
«Per me va bene» decisi, d’istinto. «Se sarà più impegnativo stringerò i denti e
proverò di più.» Un corso in meno da frequentare sembrava un sogno. Avrei
avuto il tempo di pranzare e respirare.
«Per me non c’è problema» annuì Jack.
«Io avevo un ruolo marginale, quindi sono più che felice di accettare. Non
vedo l’ora di corteggiare Catherine» mi sorrise Rick. Jack, invece, sembrava
infastidito.
William… e George. Mi resi conto all’improvviso che Catherine sarebbe
impazzita. O meglio, sarei impazzita io!
«Bene, allora. Leggete il copione, vi accorgerete delle differenze
immediatamente. Vorrei iniziare subito a provare con voi… Diciamo giovedì
sera alle nove e mezzo, qua?»
Annuii, frastornata, continuando a pensare al corso avanzato che non avrei
nemmeno dovuto frequentare e a tutti quegli allettanti crediti donati in cambio
del solo sforzo di memorizzare qualche battuta in più.
Soltanto a fine giornata, quando rientrai nella mia stanza e finalmente lessi il
copione originale, capii di essere stata troppo avventata.
Mai accettare una proposta a scatola chiusa, me lo ripeteva sempre mia
mamma.
4

Telefonai a Jack, cercando di tenere sotto controllo la crisi isterica a sufficienza


per poter parlare. «Dimmi che lo hai letto!»
«Sei tu che hai voluto accettare, io ti ho solo seguita» mi fece notare, senza
aggiungere ulteriori commenti.
«Non ce la posso fare! È inconcepibile! Quell’uomo è un pazzo!» cercai di
articolare, ma non bastavano le parole per esprimere davvero come mi sentivo.
«L’ultima commedia che ha messo in scena, L’amazzone, è stata stroncata così
duramente da avergli fatto giurare di chiudere con il teatro» mi spiegò Jack, con
pazienza.
«Magari lo avesse fatto! E comunque cosa c’entra con la scena di nudo?»
«Lo avevano accusato di essere sessuofobico e bigotto.»
«Quindi la sua idea per riscattarsi è mettere in scena una porno-commedia in
costume? Con degli studenti?»
«Dai, Liz. Non è così esagerato» mi prese in giro.
«Sei serio? Catherine entra in camera di William per sedurlo e, nella fantastica
e non bigotta versione, si denuda completamente!» esplosi, ancora più irritata
dalla sua tranquillità.
«Vuoi che venga da te così iniziamo subito a fare pratica?» sogghignò.
«Domattina vado a cercare il professore e tu vieni con me!» lo minacciai. Era
fin troppo facile per lui ridacchiare e prendersi gioco di me, era il mio
personaggio che risentiva più di tutti delle ninfo-modifiche.
«Ok» si schiarì la voce, prendendomi finalmente sul serio. «Che gli diciamo?»
«Non ne ho idea» ammisi, sospirando sconfitta.
«Va bene, Liz. Ragioniamoci insieme, ok?» il suo tono pratico e conciliante mi
tranquillizzò un po’.
Rimanemmo al telefono a lungo, passando dalle proposte sensate a quelle
assurde, avanzate ovviamente da Jack. «Mi spoglio anch’io, che ne pensi?
Facciamo un vero spogliarello. Così non guarderanno tutti solo te!»
«E se ti spogliassi solo tu?»
«Uhm… Se il tuo obiettivo era farmi spogliare, bastava dirlo.»
Ringraziai di essere al telefono perché potevo fingere di essere soltanto
divertita. «Lo ammetto» feci una pausa a effetto. «Muoio dalla voglia di vedere
William che si sfila il panciotto!»
«Oh Catherine, sei davvero una ragazza impertinente!»
Tra una risata e l’altra, eravamo comunque riusciti a trovare un compromesso
da proporre al professore. A parole sembrava ragionevole.
Ma trovarsi di fronte al folle creatore dell’opera fu tutt’altra storia.
«Non avevo, forse, caldamente consigliato la lettura del copione originale
prima di accettare?» nemmeno mi lasciò finire di parlare.
«Mi chiedevo solo se si potessero fare delle piccole… modifiche» sussurrai,
tormentandomi le mani.
L’espressione indignata di lui mi fece correre ai ripari. «Nulla che influirebbe
sulla trama, ovviamente! Solo qualche accorgimento visivo nelle scene
maggiormente… ehm… esplicite» arrossii, sia per l’imbarazzo sia per il timore
della sua reazione.
«Per esempio?» domandò, scettico.
Diedi una gomitata a Jack, che era rimasto inutilmente in silenzio. Alzò gli
occhi al cielo, poi si decise ad aiutarmi.
«Elizabeth e io abbiamo pensato che, nella scena della seduzione di William,
Catherine potrebbe far scivolare la vestaglia fino alla base della schiena,
volgendo le spalle al pubblico. Più erotico di un nudo frontale meno… ovvio»
suggerì. Certo che sapeva essere convincente, quando voleva. Non solo con me.
«Mm» il professore mugugnò sovrappensiero, tormentandosi il pizzetto
brizzolato. «In effetti, renderebbe meglio l’intimità della scena» concordò, alla
fine.
«Possiamo provarla così la scena?» si affrettò a chiedere Jack, rivolgendomi
uno sguardo complice.
«Perché no! Domani sera, come eravamo già d’accordo» ci congedò.
Stavo per ringraziare Jack per il supporto, quando la sua battutina mi fece
passare la voglia. «Tragedia evitata. Hai visto che è stato facile?»
«Sì, per fortuna. Forse stasera dovremmo provare la scena della seduzione di
William» proposi.
«È un modo per chiedermi di infilarmi nel tuo letto mentre tu ti spogli?»
Se già era difficile prima tenere a freno la sua ironia, figurarsi con il nuovo
copione.
«Ah ah, molto divertente! Ci tengo solo a non deludere il pazzo, per fargli
dimenticare l’idea del nudo frontale» tagliai corto.
«Hai una vestaglia, vero?»
Il saluto di Jack mentre entrava nella mia stanza fu perfettamente udito lungo
tutto il corridoio. Compresa Bonnie, che stava sempre dove non doveva essere.
Avevo ben poche speranze che non mettesse in giro nuovi pettegolezzi.
«Non va bene l’accappatoio?» chiesi, chiudendo la porta, già nervosa.
Jack scosse la testa, sospirando, ma non infierì.
Seduti sul mio letto, ripassammo insieme le scene inedite.
«È stupido che Catherine, per far ingelosire William, decida di lasciarsi
corteggiare da George. Perché poi William dovrebbe ingelosirsi? Magari si sta
solo divertendo con lei» osservò Jack, con sufficienza.
«No! Se William vuole davvero solo approfittarsi di lei, perché la respinge
quando si presenta in camera sua?»
«Ma ovviamente perché, se la compromette, poi se la deve sposare!» rispose,
come se fosse l’unica spiegazione logica possibile.
«Se lo dici tu» sbuffai, contrariata dalla sua visione poco romantica dei
personaggi. «Secondo te cosa succederà nell’ultimo atto?» Incredibile che fossi
curiosa del finale di una trama così insensata. Che stesse cominciando a
coinvolgermi?
«Basta che non finisca con un matrimonio. Soprattutto se Catherine sposa il
terzo incomodo come ripiego» Jack chiuse l’argomento, alzandosi e
abbandonando il copione sul letto.
«Ma tanto non avevi detto che William non era interessato davvero a lei?» lo
stuzzicai ma non rispose.
Iniziammo a provare, con risultati parecchio deludenti.
«Jack, la tua battuta!» lo ripresi, per la terza volta.
«Mhm? Scusami, ricominciamo.»
Mi sedetti sul letto e lo fissai. «C’è qualcosa che ti distrae, se ne vuoi
parlare…» Certo non avrebbe accettato di confidarsi con me, pensai mentre gli
ponevo la domanda.
«Ho solo discusso con mio padre» minimizzò, sedendosi accanto a me.
«A me sembra una cosa seria. Qualche motivo in particolare?»
«Diciamo che io sono il figlio disgraziato e inconcludente e mio fratello
maggiore quello di successo» spiegò a denti stretti.
«Ti sembrerà strano ma ti capisco. Qualsiasi piccolo traguardo io raggiungessi
non è mai stato degno di lode, in casa mia. Non quanto ogni più insignificante
merito della mia sorellina Kimberly» gli confessai, sperando di farlo sentire
meno solo.
Jack non disse nulla ma il suo sorriso mi fece capire che quel piccolo momento
di sfogo e comprensione gli era servito a ritrovare la concentrazione. Però le
confidenze erano finite. Fu come se calasse il sipario sulla sua improvvisa
vulnerabilità, mentre riprendeva in mano il copione.
«Perché ti sei fermata?» mi chiese a un certo punto, spaesato.
«È finita la scena, no?» riallacciai l’accappatoio sui vestiti che ovviamente
indossavo.
«E il bacio?»
Oh. Il bacio.
«Dobbiamo provare anche quello?» chiesi, con voce strozzata.
«Mi sembra ovvio. Catherine si spoglia e si avvicina al letto di William.
Parlano, lui la sfiora ma poi le dice di tornare in camera sua, dandole il bacio
della buonanotte» mi spiegò la scena come se l’avessi dimenticata, ma non era
proprio quello il caso.
«Ma tu… cioè William mi ha già mandata via. Le battute sono finite…» Mi
stavo arrampicando sugli specchi e lo sguardo divertito di Jack non mi era
d’aiuto.
«Liz, non si provano le cose a metà, soprattutto perché stai palesemente
evitando di baciare William» spiegò, con sguardo serio.
«Non lo sto evitando!» mi difesi, con troppa enfasi perché suonasse
convincente.
«Ok, allora baciami» mi sfidò, alzandosi velocemente dal letto.
«Va bene, riproviamo da capo» cercavo di prendere tempo. Non funzionò.
«Baciami e basta» ripeté, risoluto.
«Mi servono due minuti per concentrami e tornare Catherine…»
Ma Jack mi prese la mano, impedendomi di allontanarmi alla ricerca di uno
spazio e di una lucidità che la sua presenza riusciva sempre ad annientare.
«No. Baciami come Liz, non come Catherine» ordinò, a bassa voce, fissando i
suoi occhi scuri nei miei, alla ricerca delle emozioni che gli stavo nascondendo.
«Ma cosa…?» Annaspai, frastornata. Stava chiedendo un bacio. A me, non a
Catherine. Perché?
«Liz, è solo un bacio» sospirò, col tono di chi parla di una stretta di mano.
«Abbiamo ancora molte altre scene da provare…» mi bloccai, il suo viso era
sempre più vicino.
«Rilassati» sussurrò, sfiorandomi il naso con il suo.
Sospirai e fu a labbra schiuse che sentii il contatto con quelle di Jack. Un
lievissimo bacio, poi un altro, con più decisione. Gemetti e il bacio si
approfondì, mentre la sua mano si infilava tra i miei capelli.
Avevo cercato di evitare quel bacio perché temevo sarebbe stato imbarazzante
ma avevo decisamente sottovalutato la portata dell’attrazione latente che io mi
ostinavo a combattere.
La sua mano mi accarezzò la schiena e mi strinsi a lui di riflesso, alzandomi in
punta di piedi. Quel contatto con il suo corpo mi fece perdere ogni presa sulla
realtà e mi aggrappai a lui, ubriacandomi del suo sapore.
Fu solo quando mi ritrovai distesa sul letto che mi resi conto di quanto la
situazione ci fosse sfuggita di mano. La mano in questione era quella di Jack che
si era infilata sotto la mia maglia, e armeggiava con il gancio del reggiseno.
«Jack…» lo chiamai, ansimando per la scia di baci che stava lasciando sul mio
collo.
Fermò la sua esplorazione e si allontanò velocemente da me. Lo osservai
mentre si metteva seduto e riacquistava subito il controllo di sé, mentre io non
avevo nemmeno la forza di alzarmi da quel letto.
«Per stasera abbiamo lavorato abbastanza» sentenziò, senza nemmeno
guardarmi.
Non credevo ai miei occhi. Stava ancora recitando? Che ne aveva fatto della
richiesta di baciarlo come Liz e non come Catherine? Poteva essere l’attore più
bravo del mondo ma non ero stata l’unica a perdersi negli ultimi minuti, di certo
non era solo il mio corpo a fremere ancora dall’eccitazione.
«Io…» la voce mi uscì roca. Mi alzai e scelsi il modo più maturo possibile di
affrontare la situazione. Chiudermi in bagno.
Lo specchio rifletté l’immagine di una Elizabeth spettinata, accaldata e
confusa. O quella era Catherine, portata in vita dalle grandi doti recitative di
Jack? Aprii il rubinetto per bagnarmi il viso e cercare nell’acqua fresca quella
chiarezza che dentro di me era troppo difficile trovare.
Quando finii di consumare l’intera riserva idrica del campus e racimolai
abbastanza coraggio per affrontare Jack, lo sentii parlare con qualcuno. Aveva
forse fatto entrare Bonnie in camera? Ci mancava giusto quello!
Lo trovai al telefono che rideva.
Chissà cosa c’era di così divertente da… Ma quello era il mio telefono!
«Jack!»
«Eccola qua» sorrise Jack, senza abbandonare la conversazione. Doveva essere
Jessica, con chi altro avrebbe mai potuto ridere così? Restava il fatto che non
avrebbe dovuto rispondere, ma di quello avremmo parlato dopo.
«Passamela» sospirai. «Ciao Je…»
«Elizabeth! Non mi avevi detto che hai un ragazzo!»
«Mamma?!» sbiancai.
Jack si era seduto sul letto e stava ridendo. Maledetto!
«Ti sembra il caso che lo scopra direttamente da lui? Che figura che mi fai
fare! Per fortuna, Jack ha pensato bene di presentarsi. Sembra proprio un ragazzo
serio e educato.»
Serio. Quell’imbecille che non smetteva di ridere.
Educato. Quell’idiota che appariva e scompariva senza dare spiegazioni e non
salutava mai.
«Mamma, hai capito male. Io e Jack non…»
«Comunque, ti ho chiamata anche oggi a pranzo e non mi avevi ancora
richiamata. Lo sai che devo prenotare in anticipo il volo o spendiamo il doppio.
Torni per le vacanze di primavera, giusto?»
«Non lo so, mamma. Ho molto da studiare e…»
«Lo dovevo immaginare. Ora che hai il ragazzo, vuoi rimanere al campus a
divertirti» sospirò, iniziando a fare leva sul mio senso di colpa.
Mi sedetti accanto a Jack, che finalmente aveva smesso di ridere. Ne
approfittai per tirargli una gomitata nello stomaco.
«Ahi!» si lamentò. La solita teatralità. Non gli avevo fatto poi così tanto male.
«Lizzy, mi ascolti?! Senti, ripassami Jack così lo invito da noi. Con te proprio
non si riesce a parlare.» Rimasi a bocca aperta, incredula. Non ero ancora
riuscita a finire una frase ed era lei a lamentarsi!
Jack, che purtroppo non era rimasto a lungo dolorante, udì la richiesta di mia
madre, che non è il tipo che sussurra.
«Amore, se vuoi ti accompagno a casa per le vacanze. Non ci sono problemi»
esclamò, con tono esageratamente melenso. Si stava divertendo troppo.
«Perfetto! Allora ci penso io, prenoto due biglietti.» Mamma evidentemente
non gli voleva dare il tempo di cambiare idea, sembrava al settimo cielo.
«No mamma, Jack ha molto da fare» lo minacciai con lo sguardo e finalmente
rimase zitto.
«Non ti ho detto che proprio quando sarai qua, Laura e Robert festeggeranno le
nozze d’argento? Ci sarà anche Daniel, ovviamente!»
Erano passati quasi due anni ma sentire il nome di Daniel mi faceva ancora un
certo effetto. Jack mi guardò in modo strano, la mia espressione atterrita doveva
averlo incuriosito.
«Ah. Bene.» Ero davvero una pessima attrice.
«Sembra che porterà anche la sua fidanzata. Ha un paio di anni più di lui, mi
ha detto Laura, e fa già la giornalista, pensa!»
«Mamma, adesso devo proprio…» Mi tremava la voce.
«Quindi quanti biglietti devo prenotare?»
Guardai Jack, che mi fissava con espressione dubbiosa.
«Due. Ci sentiamo domani» chiusi la chiamata e sospirai.
«Cos’è successo? Brutte notizie?» Jack sembrava stranamente preoccupato ma
non ci cascai, aveva appena inscenato quello stupido scherzo a mie spese.
«Ti ci sei messo da solo in questo casino» lo avvisai, fulminandolo con gli
occhi.
«Margaret ci aspetta a casa?» domandò, per nulla spaventato.
«Ci hai parlato due minuti e già chiami mia madre per nome?»
«Ha insistito!» si difese. «Sono curioso, però.»
«Curioso?»
«Perché hai cambiato idea? Non sembravi volermi portare a casa. Pensa che
possibilità enormi avremo di esercitarci come William e Catherine!»
Al sentire nominare i nostri alter ego, non ci vidi più. «Per te è sempre tutto un
gioco, eh? Bene! Preparati perché dovrai creare la versione più convincente
possibile del fidanzato modello.» Già che ero finita incastrata in quella
situazione assurda, tanto valeva approfittarne.
«Sfida accettata. Però ho bisogno di un favore, in cambio.»
«Dipende da che favore» negoziai, cauta.
«Nulla di che» minimizzò. «Considerala una… prova generale prima di andare
a casa dei tuoi.»
«Come?»
«Posso dormire qua?» chiese a bruciapelo. E rimase a fissarmi intensamente in
attesa della mia replica.
«Stai scherzando… vero?» Accennai una risata ma dal suo sguardo sembrava
aver parlato seriamente.
Sbuffò, stranamente a disagio. «È scoppiato un tubo dell’acqua nel mio
monolocale. Per questo l’altra mattina ero in ritardo. Il materasso era
completamente zuppo e mi consegneranno quello nuovo solo domani.»
Non gli chiesi dove aveva trascorso la notte precedente, perché potevo
benissimo immaginarlo. Anzi, ero stupita che si fosse ridotto a chiedere
ospitalità proprio a me.
«Mi dispiace per il tuo… ehm… appartamento. Però il mio letto è stretto e…»
«Appartamento è una parola grossa, vivo in un buco sul retro del ristorante
cinese. Spendo poco ma che sia scoppiato un tubo penso sia il minimo che
potessi aspettarmi» fece una smorfia. «Comunque il letto non è così piccolo, ci
stiamo.»
«Jack, senti…» inspirai profondamente, cercando le parole giuste.
«Tranquilla, sarei comunque troppo stanco per fare sesso» accennò un sorriso.
«Cosa?!» Non si poteva fare un discorso serio con lui!
«Sto scherzando, Liz! Anche se non ci sarebbe nulla di male…» registrò la mia
espressione e si affrettò a continuare. «Ok, la smetto. Però, ho davvero bisogno
di un posto dove dormire» e inscenò la perfetta imitazione del cucciolo
abbandonato e bisognoso di attenzioni. Maledetto attore da strapazzo!
«Tu mi farai diventare completamente matta. Se già non lo sono» sospirai, già
sconfitta in partenza.
«È un sì?» domandò, con un sorriso speranzoso.
Mi limitai ad annuire ma me ne pentii subito quando lo vidi sfilarsi la maglia.
Si accorse del mio sguardo e ovviamente ne approfittò. «Che fai? Non vai a
metterti quel tuo pigiamino rosa? Anche se il babydoll non sarebbe…»
«Sono a un passo dallo spedirti fuori a calci. Così Bonnie avrà davvero
qualcosa di cui parlare» sibilai.
Il suo sorriso si spense. Chiuse la bocca e se la indicò, facendomi segno che
non avrebbe detto altro.
Quando uscii dal bagno, pronta a infilarmi nel letto per la notte più strana della
mia vita, Jack sembrava già addormentato. Strano, non ero stata via che pochi
minuti.
Spensi la luce e mi sdraiai nel poco posto disponibile, stando più lontana
possibile da lui.
«Com’è stato il tuo primo bacio?»
«Come scusa?» Ma non stava dormendo? E che razza di domanda era?
«Raccontami del tuo primo bacio, cosa hai provato, chi era lui, dove è
successo. Confidami qualcosa di te.» Forse fu il modo in cui lo chiese, privo di
qualsiasi inflessione ironica, che mi portò a confidargli una cosa che sapeva solo
Jess.
«Avevo tredici anni ed è successo per gioco» confessai e lui rimase in silenzio,
aspettando che continuassi il racconto. La situazione era surreale ma il buio mi
rendeva più disinvolta. «Io nemmeno volevo giocare ma poi Jessica mi ha
convinta e mi è toccato in sorte proprio il mio vicino di banco. Mi sentivo così in
imbarazzo! Ricordo ancora che il mio cuore sembrava impazzito mentre lo
vedevo gattonare verso di me, ero seduta in cerchio sul pavimento tra le mie
amiche e mi aspettavo quasi una scena al rallenty come nei film d’amore.» Mi
sentii catapultata di nuovo indietro nel tempo, a quella festa di compleanno.
«E come è andata? Ti è piaciuto?»
«Assolutamente no! Quando ha aperto la bocca mi ha quasi tagliato un labbro
con una dentata!» risi, sentendomi stranamente più rilassata.
«Anche il mio primo bacio è stato un disastro. Lei aveva l’apparecchio e
quando ho sentito il rumore del metallo sui miei denti mi sono quasi
spaventato!» rise anche lui, agitandosi nel letto.
Per qualche istante rimase in silenzio, poi riprese a parlare. «Per fortuna molto
presto ho imparato che anche un singolo bacio può essere molto eccitante se si sa
come muoversi e come giocare con l’altra persona, con la lingua e anche con i
denti.»
Si era avvicinato e la voce, ridotta a un sussurro, investì ogni mio senso. La
sentii sulla pelle, in ogni brivido. La sentii sfiorarmi il viso, con il suo respiro
caldo. La immaginai tradursi in quell’espressione ammaliante che mi rivolgeva
quando recitavamo.
Nel silenzio della stanza, il mio respiro accelerato mi sembrava rimbombasse.
«Notte, Elizabeth. Fai bei sogni» concluse semplicemente Jack, girandosi.
5

Mi svegliai di soprassalto, temendo di ritrovarmi spalmata su Jack ma il letto era


vuoto e freddo. Se n’era andato senza salutare né ringraziare, non avrei dovuto
stupirmi!
La doccia fu una benedizione, sotto il getto dell’acqua potei allontanare i
pensieri. Avevo dormito stranamente bene, considerando tutto quello che era
successo la sera prima e la presenza di Jack, mezzo nudo, vicino a me.
Stavo per chiudere l’acqua quando…
«Jack!» urlai, trovandomelo improvvisamente di fronte. Nudo.
«Liz, non urlare! Devo solo fare una doccia veloce.» Si infilò rapido nel box,
accanto a me.
«E non potevi aspettare?!» indietreggiando per allontanarmi da lui, le mani
strette al corpo nel tentativo di coprirmi, urtai il portasapone con la schiena.
«Ahi!»
«Ti sei fatta male?»
Lo trucidai con lo sguardo e sgusciai fuori. «Non te ne eri andato?»
«Sono uscito a comprare la colazione, ho usato le tue chiavi» spiegò, mentre la
sua sagoma si muoveva tranquilla dietro la tenda azzurra.
Infilai l’accappatoio, ribollendo di rabbia e di imbarazzo. «Non so se sei
abituato a farti vedere completamente nudo, io di certo non lo sono!»
«Appunto. Dovresti ringraziarmi, invece di sbraitare.» Fece capolino con il
viso dalla tenda. I suoi capelli da bagnati sembravano più scuri del solito e
immaginai, per un attimo, il viaggio di quelle goccioline, dalla fronte al mento e
sempre più in basso…
«Ringraziarti? Per la colazione?» domandai, tornando in me.
Rise della mia domanda. «No. Ora alle prove sarai meno preoccupata, perché ti
ho già vista nuda.»
«Tu sei…» Ero talmente incredula, indignata e imbarazzata che non riuscii a
terminare la frase. Uscii, sbattendo la porta.
Mi stavo rivestendo, ancora fumante di rabbia, quando Jack mi chiamò: «Liz?
Dove sono gli asciugamani?».
Gli avevo concesso una sola notte di ospitalità e mi sembrava di aver
guadagnato un fastidioso coinquilino. «Nell’unico mobile del bagno!»
«Sono tutti piccoli, non hai un telo più grande?» Usò un tono gentile, ma avevo
imparato che il signorino se ne serviva solo quando gli faceva comodo.
Ne presi uno dall’armadio e bussai alla porta del bagno. «Eccolo. Non vorrei
mai che tu ti ammalassi e saltassi le prove! Il professore piangerebbe per ore la
tua assenza.»
La porta si spalancò. Jack era completamente nudo e gocciolante e io ero
completamente impreparata a quella visione. Nella doccia ero stata troppo
occupata a coprirmi ma in quel momento non riuscii a non fissare il suo corpo in
modo sconveniente, imbarazzante e destabilizzante. Alzai lo sguardo solo
quando lui prese il telo dalle mie mani.
Se lo allacciò in vita, con estrema lentezza, non smettendo mai di guardarmi
negli occhi finché non richiuse la porta.
Che fosse a suo agio con il proprio corpo era evidente. Quello che mi aveva
stupita era stato non vederlo sogghignare divertito per la mia reazione.
Ricomparve, finalmente vestito, cinque minuti dopo.
«Ho comprato dei muffin.» Sollevò il sacchetto dalla scrivania.
«Puoi tenerteli» ringhiai.
«Peccato che non dobbiamo recitare Shakespeare. Saresti stata perfetta per La
bisbetica domata» bofonchiò a bocca piena.
«Non ti stanchi mai di esasperarmi?».
«Ti ho osservata più attentamente di quanto tu creda. Con il mio esasperarti –
come lo chiami tu – ti ho fatta aprire con me più in fretta di quanto sarà riuscito a
molti altri… Sempre che agli altri sia riuscito.»
Sobbalzai. Aveva toccato il mio punto debole e, cosa ancora più preoccupante,
aveva capito come aggirarlo.
«Ci vediamo alle prove, Jack» lo liquidai, mostrandogli la porta.
Mi fissò per lunghi secondi, sembrò voler aggiungere qualcosa ma poi scosse il
capo e se ne andò.

«Fermi!»
L’urlo mi bloccò a un passo da un ammuffito divano letto, recuperato come
oggetto di scena.
Mi girai e vidi il professore scuotere la testa, esasperato.
«Cosa diavolo vi è successo? Dov’è l’alchimia? Non vi ho forse ripetuto
quanto questo esperimento sia di vitale importanza?!»
Per nostra fortuna, quella sera l’unico altro spettatore della sfuriata era Rick,
seduto in fondo all’aula in attesa di provare le sue nuove battute.
Jack si alzò e si mise al mio fianco.
«Catherine è entrata in camera di William per sedurlo! È giovane e inesperta
ma gli incontri in biblioteca hanno risvegliato il suo lato sensuale. Elizabeth,
santo cielo…» il professore sospirò, le mani tra i capelli. «Non hai alzato lo
sguardo nemmeno per un secondo!»
«Mi scusi… io…» sussurrai, stringendomi nella pesante vestaglia che
indossavo sui miei vestiti. Non potevo certo confessare di essere in imbarazzo
per la stupida idea di Jack di infilarsi con me nella doccia.
«E tu, Jack!» il professore non aveva terminato. «Cos’era quell’espressione?
William è sorpreso, per un attimo è tentato ma poi la manda via. Non stiamo
provando la notte di passione, e Catherine ancora non ci finisce nel tuo letto!»
Jack cercò di intervenire ma venne subito messo a tacere.
«Rick, vieni qua. Vediamo se con George riusciamo a recuperare una Catherine
decente.»
«Se per stasera io ho finito, dovrei andare.» Jack a malapena attese il cenno
affermativo del professore per filarsela. Era incredibile! Nemmeno la
consapevolezza di aver sbagliato completamente la scena lo aveva trattenuto.
Rimasti da soli, il professore si rivelò più paziente con me e Rick. Il problema
era stato la mancanza della maledetta alchimia tra William e Catherine oppure
vedere il suo pupillo Jack non recitare al meglio?
«Mi dispiace per la sfuriata iniziale. Ci sei rimasta molto male?» mi domandò
Rick, quando terminammo le prove.
«Di certo non quanto Jack.»
Rick mi tenne aperta la porta mentre uscivamo nell’aria ancora fredda di fine
febbraio.
«Se non avevate ancora provato la scena, è normale non riuscire subito a…»
«In realtà l’avevamo provata diverse volte e non era andata così male.»
Rick mi guardò, sorpreso, mentre camminava al mio fianco.
«Elizabeth…»
«Chiamami pure Liz» gli sorrisi.
Ricambiò il sorriso ma sembrava a disagio. «Liz, c’è qualcosa tra te e Jack?»
«Come?» mi bloccai, in mezzo al vialetto.
«Il modo in cui ti guarda… non lo so» scosse la testa.
«È solo un bravo attore. Sa essere molto convincente nei panni di William.»
«Non mi riferivo a quando recita.» Rick riprese a camminare e lo seguii, in
pensieroso silenzio, fino all’entrata del mio dormitorio.
«Buonanotte Liz, a domani» mi salutò con un rapido bacio sulla guancia. Che
forse avrebbe voluto essere qualcosa in più.
Raggiunsi la mia camera, frastornata da mille pensieri, e cercai invano le
chiavi nella borsa. Dovetti svegliare la responsabile per farmi dare il duplicato,
promettendo di restituirlo il mattino successivo. Senz’altro le avevo lasciate sulla
scrivania, la rassicurai.
Quando non le trovai da nessuna parte, mi resi conto che probabilmente Jack
se le era rimesse in tasca dopo averle usate quel mattino. Perfino quando non era
fisicamente presente riusciva a irritarmi!

Il giorno dopo Jack non si presentò a lezione e non fui l’unica a esserne sorpresa.
«Qualcuno mi sa dire dove diavolo è finito il mio protagonista?» La domanda
del professore era apparentemente rivolta a tutti, ma mentre la faceva guardò
soltanto me.
Lasciai a Jack diversi messaggi e provai anche a telefonargli, tra una lezione e
l’altra. Ma, all’ora di pranzo, di lui non c’era ancora traccia e cominciai a
preoccuparmi sul serio.
Stavo camminando verso l’aula per l’ultimo impegno del pomeriggio, quando
decisi di assecondare la folle idea di andare a cercare Jack.
Raggiunsi il ristorante cinese – l’unica indicazione che avevo – ed entrai a
chiedere di lui. La cameriera, che ovviamente lo conosceva bene, mi spiegò
come raggiungere il retro dello stabile e mi disse di cercare una porta grigia
vicino al magazzino.
Bussai e attesi. Al terzo tentativo, stavo per lasciar perdere quando finalmente
la porta si aprì.
«Jack! Ma che fine avevi…» Non riuscii a finire la frase, perché vidi lo stato in
cui era ridotto. Si reggeva a malapena in piedi, era rosso in viso e i suoi occhi
erano lucidi.
«Ti senti male?» gli chiesi preoccupata.
«Un po’» sussurrò, lasciandomi entrare in uno squallido, buio e microscopico
monolocale.
«Ieri sera stavi bene, che hai combinato?» Mi pentii subito del mio tono, che
suonò come un rimprovero.
Jack si raggomitolò nel letto, scosso dai brividi.
Mi avvicinai un po’ titubante. «Hai provato la febbre?»
«No. Mi sono svegliato troppo tardi, ormai avevo perso la lezione e stavo
troppo male, così mi sono rimesso a dormire.»
«Dove tieni le medicine?» domandai, abbandonando la borsa ai piedi del letto.
Mi indicò il bagno con un cenno della testa e richiuse gli occhi.
Gli portai un bicchiere d’acqua e l’antipiretico. Quando si sedette, gli misi la
mano sulla fronte e la sentii scottare.
«Jack, come hai fatto a prenderti una febbre da cavallo in poche ore? Sei stato
a fare il bagno all’aperto tutta la notte?»
Rispose con un suono simile a una finta risata ma poi richiuse gli occhi e si
addormentò.
Avrei potuto, forse dovuto, lasciarlo riposare e andarmene. Ma sembrava così
sofferente e stranamente vulnerabile che mi lasciai vincere dalla sindrome della
crocerossina. Presi una sedia dalla cucina e mi sedetti accanto al letto, passando
l’ora successiva a tentare di abbassargli la febbre con il classico rimedio del
panno umido sulla fronte.
Quando Jack riaprì gli occhi, sussultò nel vedermi. O non ricordava di avermi
aperto la porta o pensava che me ne fossi andata da tempo.
«Ti senti meglio? La febbre dovrebbe essere scesa.» Mi sentivo un po’ a
disagio di fronte alla sua espressione sorpresa. In effetti che ci facevo lì?
Nessuno me lo aveva chiesto.
Si mise seduto e si passò una mano sugli occhi. «Non avevi lezione?»
«Sì. Ma ormai… Però è meglio se…» Mi alzai, spingendo via la sedia e quasi
inciampando nella borsa. Ero nervosa e mi sentivo stupida per essere rimasta.
«Aspetta! Non ti volevo mandare via» mi fermò e mi guardò, gli occhi scuri
ancora lucidi per la febbre e un’espressione sofferente in viso. «Grazie per
esserti presa cura di me, Liz.»
Sembrava sorpreso. Sorpreso che fossi rimasta o sorpreso di se stesso per
avermi ringraziato?
«Di nulla.»
Calò il silenzio, mentre distoglievo lo sguardo, non riuscendo a sopportare
l’intensità del suo. Sembrava così vulnerabile e privo di maschere.
«Hai fame?» domandai, d’impulso.
«Da morire. Ma non ho mai nulla di commestibile in cucina» sospirò,
sdraiandosi di nuovo.
«Vuoi che vada a comprare qualcosa?»
«Non preoccuparti. Chiamo e mi faccio portare qualche involtino.»
«Hai appena combattuto con la febbre, ti serve qualcosa di leggero. Faccio un
salto al supermercato, ok?»
L’ultima cosa che vidi, prima di chiudermi la porta alle spalle, fu l’espressione
confusa di Jack.
Non ce la facevo a rimanere chiusa là dentro con lui. Perché non lo
riconoscevo senza il suo solito ghigno, la battuta pronta e la malizia con cui si
prendeva gioco di me, cercando di trasformarmi in Catherine. Per quanto
assurdo potesse sembrare, però, non ero nemmeno pronta a perdere l’occasione
di poter conoscere il vero Jack. Avevo solo bisogno di riprendermi.

Quando ritornai era già buio, il supermercato si era rivelato più lontano delle mie
ottimistiche previsioni, nonché molto più affollato.
«Credevo di essere stato abbandonato» mi accolse con un sorriso Jack. Si era
cambiato e sembrava molto più in forma.
«C’era una fila lunghissima alla cassa, da non credere» sbuffai, depositando la
busta sul tavolo.
«Cucini tu?» domandò, speranzoso. Mi fece un nuovo, abbagliante sorriso
rilassato.
«Ti è tornata la febbre?»
«Non credo, mi sento meglio.»
«Ah, bene.»
«Però… non sono ancora…» Finse un colpo di tosse. «Magari un pasto
caldo…» aggiunse in tono lamentoso, guardandomi di sottecchi, in attesa della
mia reazione. Ma non riusciva a trattenere un sorriso.
Sospirai. «Torna a letto, dai. Qua ci penso io.»

«Quindi la mia assenza è stata notata?» domandò Jack, mentre mangiavamo.


«Hai seriamente rischiato di provocare un infarto al pazzo» risi.
«È andata molto male ieri sera, dopo che sono andato a…» bevve un sorso
d’acqua. «Dopo che me ne sono andato?»
«No. Abbiamo lavorato un po’ sulle scene tra Catherine e George, senza altre
scenate isteriche.»
Jack ne rimase molto sorpreso, quasi infastidito. «Nessun problema di alchimia
per Catherine e il terzo incomodo. Strano.»
«Nonostante le scene aggiunte, rimane William il protagonista» lo rassicurai.
Jack si limitò ad annuire e io mi alzai per sparecchiare.
«Ci penso io, tu hai già cucinato» mi fermò.
«Vai a stenderti, ci metto pochi minuti. Sono abituata, a casa hanno sempre
lasciato a me la cucina da sistemare.»
Jack rimase seduto al tavolo, continuando a chiacchierare. Quando finii di
asciugare l’ultimo piatto, gli avevo già involontariamente raccontato fin troppi
eventi imbarazzanti della mia adolescenza. Lo sentivo ridere e ogni tanto
sbirciavo alle mie spalle per godermi quella versione così rilassata e casalinga.
«Ora capisco perché tua madre ti lascia riordinare» commentò, non
nascondendo il suo divertimento di fronte alla mia espressione interrogativa.
«Liz, hai perfino allineato i disegni sui bicchieri. Sei quasi… ossessivo-
compulsiva.»
Spalancai la bocca ma la mia finta indignazione si trasformò troppo presto in
una risata, quando gli lanciai addosso lo strofinaccio umido.
«Ecco, ora sì che ti riconosco» si lasciò andare a una risata piena, tenendosi
una mano sullo stomaco.
«Quando sono arrivata sembravi moribondo, non ho voluto infierire» mi difesi,
continuando a ridere. «Non credere che abbia intenzione di viziarti ancora per
molto!»
Si alzò e con un passo mi fu vicino, troppo vicino. «Sicura?» sussurrò,
allungando lentamente una mano verso di me.
Rimasi immobile, il cuore in gola e gli occhi persi nell’oscurità dei suoi. Mi
aspettavo – bramavo – un contatto. Ma il suo braccio sfiorò solo la mia spalla
mentre lui si allungava a prendere la scatola di biscotti posata sul bancone della
cucina, alle mie spalle.
«Mi hai comprato anche i biscotti al cioccolato» disse. «Viene voglia di
ammalarsi più spesso per essere coccolati così.»
Si allontanò, mentre io cercavo di nascondere il mio momento di smarrimento.
«Sì è fatto… tardi. Dovrei…» non terminai la frase, distratta da Jack che aveva
appena addentato un biscotto e stava raccogliendo con la punta della lingua una
briciola dall’angolo della bocca.
«Ti riaccompagno al campus» si offrì.
Non aveva alcun senso fare il confronto, perciò ovviamente mi venne
spontaneo pensare che Rick mi aveva riaccompagnata due volte al dormitorio
ma l’offerta di Jack mi aveva fatto decisamente un altro effetto.
«No, no, figurati! Prendo un taxi. Sei… mi sembra che ti stia tornando la
febbre.»
Jack annuì, rabbuiandosi in viso. Non doveva essere abituato a stare male e la
situazione probabilmente lo stava infastidendo.
Era in bagno, quando bussarono alla porta.
Convinta che fosse il taxista, nonostante avessi chiesto di essere avvisata con
un messaggio, feci l’errore di andare ad aprire.
6

L’uomo che mi trovai di fronte non era decisamente il


taxista. Sembrava appena uscito dall’ufficio, con il suo completo elegante e la
cravatta leggermente allentata.
Mi squadrò con lieve sorpresa. «Sto cercando Jack.»
«Jack è in bagno.» Non accennai a farlo entrare nonostante mi guardasse con
impazienza. Doveva avere poco più di trent’anni e non sembrava un
malintenzionato, ma avevo già sbagliato ad aprirgli senza aspettare Jack e non
volevo peggiorare la situazione.
«Ho interrotto qualcosa?» i suoi occhi si erano posati sul letto sfatto alle mie
spalle. Poi di nuovo su di me, senza nascondere un ghigno malizioso.
«Che ci fai qui, Luke?» Jack era riapparso e, per fortuna, sembrava conoscerlo.
Mi spostai di lato per lasciarlo entrare.
«Sono qua perché non ti degni di rispondere alle mie telefonate. Devo parlarti,
magari dopo che avrai congedato la signorina» mi indicò con un cenno
infastidito del capo.
Si era riferito a me come se nemmeno fossi nella stanza ed era pronto a
liquidarmi, come se avesse decretato che il mio compito era ormai stato assolto.
Facile immaginare la conclusione a cui era arrivato.
«Liz rimane, sei tu che ora te ne vai.» Jack si mise al mio fianco, il corpo
rigido per la tensione che trapelava anche dalla sua voce.
«Sono qui per farti un favore!» Luke alzò il tono, facendomi sussultare.
Jack mi sfiorò la schiena con una mano, un contatto lieve ma troppo
prolungato per essere solo casuale.
«Che genere di favore?»
«Non eri più riservato un tempo, fratellino? Vuoi davvero discutere di
questioni familiari davanti alla tua ultima avventura?»
Feci due più due. Luke era quindi il fantomatico fratello maggiore tanto
apprezzato dal padre? Ecco perché Jack era teso.
«Ti credi sempre tanto migliore di me perché vivi la vita che nostro padre ti ha
scelto ed esci solo con donne che lui approva?» contrattaccò Jack con una
smorfia di disgusto.
Gli accarezzai lievemente il braccio per dargli conforto, non volevo che si
sentisse solo a combattere con il risentimento nei confronti della sua famiglia.
«Non fare l’attore melodrammatico con me, Jack! Anch’io mi sono divertito
un po’ al college» Luke mi lanciò una breve ma eloquente occhiata. «Ma a tutto
c’è un limite!»
«Sei il solito stronzo» borbottò Jack, allontanandosi da me di un passo, forse
per avvicinarsi al fratello o forse per evitare che tentassi ancora goffamente di
dargli conforto.
Bene, avrei smesso subito. Non potevo rimanere ancora ad assistere,
soprattutto perché Luke stava continuando a usarmi come ennesimo pretesto per
irritare il fratello.
«Credo sia arrivato il mio taxi» sussurrai e afferrai al volo la mia borsa.

Sabato mattina non avevo la forza di uscire dal letto e rimasi a lungo a
crogiolarmi nei miei pensieri, a pormi domande sui problemi familiari di Jack e
chiedermi perché mi avevano dato così fastidio le conclusioni affrettate di Luke
su di me.
Quando bussarono alla porta ero certa fosse Bonnie, anche se di solito
aspettava almeno il pomeriggio per chiedermi a quale festa sarei andata, sapendo
benissimo cosa le avrei risposto.
La sorpresa fu grande nel trovarmi di fronte Rick.
«Ti ho svegliata?» il suo sorriso si spense, vedendomi in pigiama.
«No, no! Entra pure.» Il corridoio si stava animando e l’ultima cosa che volevo
era dare nuovamente spettacolo. «Come facevi a…»
«Ho chiesto il numero della tua stanza a Kristen» mi rivelò, annientando la mia
speranza di evitare altri pettegolezzi. «Ti ho portato la colazione!» aggiunse
sollevando un sacchetto bianco, con eccessivo entusiasmo. Doveva essersi
accorto della mia espressione preoccupata.
«Oh grazie! Sei stato molto gentile.» Spostai qualche libro dalla scrivania per
fare posto ai suoi acquisti.
«Ti avrei chiamata prima di passare ma… non mi hai mai lasciato il tuo
numero.»
«Oh.» Non ci avevo nemmeno mai pensato. «Te lo scrivo subito!» Magari non
su una mano, mi venne da pensare, e la mente tornò a interrogarsi su Jack. Come
stava? Com’era finita con Luke?
Rick mi sorrise e mi passò il suo telefono, tornando poi a sistemare tazze
d’asporto e ciambelle sulla scrivania. Digitai il mio numero e inoltrai la chiamata
finché non sentii la mia suoneria. Mentre gli restituivo il cellulare, urtai per
sbaglio il bicchiere più vicino. Evidentemente era stato chiuso male perché il
coperchio salto via schizzando liquido bollente ovunque. Soprattutto su Rick,
che fece un balzo indietro.
«Ti sei bruciato?» Mi preoccupai, osservando i grandi schizzi di latte
macchiato sui suoi pantaloni.
«No, no, non era più molto caldo, per fortuna!»
«Ho uno smacchiatore in bagno, se lo mettiamo subito forse riusciamo a
salvarli» proposi in tono pratico accennando ai pantaloni. Non ne ero affatto
sicura ma sembravano costosi, bisognava almeno provare.
«Dovrei… togliermi i pantaloni?» domandò lui sorpreso.
«No!» esclamai imbarazzata. «Cioè… chiaramente per smacchiarli li devi
togliere… però magari me li puoi passare dalla porta del bagno!» Ma perché
finivo sempre a fare figure del genere? La mia stanza era forse infestata da un
poltergeist ninfomane che tentava di far spogliare ogni ragazzo che varcava la
soglia?
«Ok.» Rick scrollò le spalle. Ci fu un momento di silenzio.
«Oh… sì! Allora vado di là!» sussultai, accorgendomi di essere rimasta
stupidamente a fissarlo dopo avergli proposto di togliersi i pantaloni.
Chiusa in bagno, spruzzai lo smacchiatore sui pantaloni e, mentre aspettavo,
decisi di togliermi il pigiama e vestirmi.
Indossavo solo la biancheria quando sentii la porta della camera aprirsi. Rick
se ne stava andando? Non poteva averla aperta per qualcun altro perché non
avevo sentito bussare.
«Liz?» Jack?! Doveva aver usato le chiavi che non mi aveva restituito.
Infilai al volo l’accappatoio e uscii dal bagno. La scena era surreale, il
professore ne sarebbe rimasto deliziato se fossimo stati sul palcoscenico. Rick
era in mutande, in piedi accanto al mio letto, e Jack era vicino alla porta – ora
chiusa, grazie al cielo! – con le mie chiavi in una mano e un sacchetto nell’altra.
Era forse la giornata mondiale della colazione e io non lo sapevo?
Jack si voltò a guardarmi e la situazione peggiorò. Perché non ero rimasta
almeno vestita?
Nessuno parlò per lunghissimi istanti. Poi Jack mi fece un sorriso tirato.
«Non credi più che il letto sia stretto, a quanto vedo.»
Tra tutte le battute che poteva fare, quella era senz’altro la peggiore. Con la
coda dell’occhio notai l’espressione colpita di Rick.
«Io forse dovrei…» mi passò davanti e si chiuse in bagno, per recuperare i suoi
pantaloni.
«Ammetto di averti davvero sottovalutata» aggiunse Jack.
«E con questo che cosa intendi dire?» sbottai.
Indicò le mie gambe nude che spuntavano dall’accappatoio: «Hai avuto meno
difficoltà a spogliarti davanti a lui».
«Gli stavo solo smacchiando i pantaloni» risposi, istintivamente. Suonò come
una difesa ridicola perfino alle mie orecchie e mi irritai ancora di più. «E non so
nemmeno perché mi sto giustificando con te!»
«Infatti. Dovrei essere sollevato che Catherine stia imparando, no?» A dire il
vero, più che sollevato sembrava infastidito.
Mi lanciò le chiavi sopra il letto. «Queste sono tue. Non vorrei rischiare di
trovarti a smacchiare altri pantaloni.»
Se ne andò prima che riuscissi a trovare una replica abbastanza pungente e
altrettanto offensiva.
Rick uscì dal bagno, indossando i pantaloni ancora macchiati, mentre la porta
si richiudeva e io mi lasciavo andare a un grugnito di rabbia.
«Mi dispiace, Liz. Non sapevo che…»
Lo fermai prima che continuasse. «Non ci sono andata a letto, anche se le sue
parole lo facevano intendere. Cioè, abbiamo dormito insieme ma…»
Santo cielo, Liz! Taci!
«Sei confusa.» Rick non provava nemmeno a interpretare i miei vaneggiamenti
ma aveva deciso di mostrarsi comprensivo.
«No! Sono irritata! Arrabbiata! Sono…» sbuffai. «Sono esausta. Jack è
esasperante» mi sgonfiai, sedendomi sul letto.
«Jack è geloso.» Rick venne a sedersi accanto a me.
«Ma figurati! Voleva solo prendersi gioco di me. O di Catherine. Questo
dannato spettacolo mi farà finire al manicomio.» Mi coprii il viso con le mani,
sospirando.
Sentii il suo braccio cingermi le spalle. «Andrà tutto bene.»
Allontanai lentamente le mani dal viso, rendendomi conto d’un tratto di essere
in accappatoio, tra le sue braccia.
«Rick, io…» deglutii, non sapendo come continuare.
«Non dirlo, Liz.»
Alzai il viso per guardarlo negli occhi. Perché non potevo lasciare che nascesse
qualcosa tra noi? Perché permettevo che Jack mi sconvolgesse e confondesse
così tanto?
Rimasi in silenzio, tornando a fissare il pavimento. Un brivido mi fece
socchiudere gli occhi quando Rick mi lasciò un bacio lievissimo tra i capelli.
«Vai a vestirti, prendi freddo.»
Annuii, frastornata. Mi alzai ma, prima che potessi allontanarmi, Rick mi prese
per una mano.
«Io non mi nasconderò dietro la maschera di George, Liz. Puoi contare su di
me.»

«Liz, posso darti un consiglio?» mi sussurrò Rick, quel martedì a lezione, mentre
le altre stavano provando la scena della conversazione tra le serve. Quando era
arrivato, Jack mi aveva salutata solo con un cenno e non si era nemmeno
avvicinato.
«Non essere nervosa perché…»
«Non è facile!» sibilai, e attirai l’attenzione del professore che ci fulminò,
ammonendoci con lo sguardo di fare silenzio.
«Mi costa ammetterlo ma Jack è piuttosto bravo e su quel palco, tra poco, ci
sarà solo William» continuò lui senza curarsene.
Annuii poco convinta e ripassai mentalmente le battute di esordio di Catherine.
Eravamo al primo atto, quindi per fortuna la mia protagonista doveva mostrare
ancora un po’ di timidezza. Ma William…
Mi lasciai, ancora una volta, stregare dai suoi sguardi intensi e dai complimenti
che mi rivolgeva, con quel tono di voce così profondo e caldo. Il modo in cui
pronunciava il nome di Catherine non mancava mai di darmi i brividi e la
scintilla di malizia che accompagnava sempre il suo sorriso colorava le mie gote
di fanciulla virginale e ingenua, senza che servisse alcun trucco.
«Bene!» esclamò alla fine il professore, e solo allora tornai in me. Stupendomi
di come fosse andata. Recitare non era il mio forte e Catherine non era il
personaggio più adatto a me, eppure su quel palco riuscivo a dimenticare perfino
il mio vero nome. Magia del teatro… O magia di Jack?
Tutto il sollievo di aver affrontato senza troppi drammi la lezione svanì quando
il professore ricordò solo a noi tre che quel giovedì sera avremmo dovuto
provare, in segreto, le scene aggiunte. Non potevamo permetterci un altro
disastro o ci avrebbe cacciati dal corso, ma non ce la facevo a rimanere sola con
Jack in quel momento. Mi sentivo troppo vulnerabile e confusa.
Declinai la sua offerta di passare da me quella sera o la successiva per provare.
Il suo sguardo si fissò, per una frazione di secondo, su Rick, che stava parlando
con il professore a pochi passi da noi.
«Ok. Se hai così tanto da studiare» mi salutò sdegnato, facendomi capire che la
mia scusa non era andata a segno.

Alla ricerca di un punto fermo a cui aggrapparmi, telefonai a Jessica.


«Oh la rediviva! Sono giorni che non riusciamo a parlare» si lamentò.
«Sono una pessima amica, lo so. Come sta andando con Matt?» Jessica aveva
iniziato a uscire con lui pochi giorni prima ed era nella fase idilliaca da luna di
miele.
«Benissimo! Ma parlando di ragazzi… Lo sai che tua madre ha chiamato la
mia per dirle che tu torni a casa con Jack? C’è qualcosa che devi dirmi?!»
«Jess…» gemetti. «Devi aiutarmi a uscire da questo casino. Sono stata
impulsiva! Jack ha risposto a mamma per fare il cretino e poi lei ha parlato di
Daniel…»
«Oh per favore, Liz! Ancora pensi a quell’imbecille?» protestò Jessica, che
non è mai stata una grande fan del mio ex.
«Ma no! Però dovrò rivederlo quando torno, alla festa di anniversario dei suoi
genitori. E lui porterà questa fantastica fidanzata giornalista e io…»
«Ok ok! Non è male l’idea di presentarti con Jack, lo ammetto.»
«È pessima! Tra me e Jack è tutto… confuso» sospirai affranta.
«Perché non mi racconti dall’inizio?» propose lei, con pazienza. Se Jess si
mostrava paziente dovevo sembrare proprio disperata. Cercò di interrompermi il
meno possibile, ma proprio non resistette quando arrivò il racconto della doccia.
«Aspetta, aspetta! Non te la caverai con una descrizione generica…»
«Così non mi aiuti!» mi lamentai. «E comunque non ho nessuna intenzione di
descriverti nel dettaglio le grandi doti di Jack!»
«Oh tesoro, lo hai appena fatto!»
Le risate allentarono un po’ la tensione e arrivai alla fine del riassunto.
«Il fratello di Jack mi sembra un grande stronzo» commentò alla fine la mia
amica. «E credo che abbia ragione Rick sulla questione gelosia. Tra l’altro, che
cucciolotto Rick!»
«Già. E temo di aver mandato all’aria ogni possibilità con lui.»
«Liz, non ne ha mai avute. Siamo serie, dai. Nel momento stesso in cui Jack ha
iniziato a esasperarti e giocare con te ha monopolizzato la tua attenzione.»
«Ma non voglio che sia così! Dobbiamo recitare in quella stupida commedia e
non facciamo che discutere. È insopportabile, egocentrico, lunatico e…»
«E ti piace. O non saresti rimasta al suo capezzale quando aveva la febbre.»
Sbuffai. «Jessica, a volte odio che tu mi conosca meglio di me stessa.»

«Ferma, Elizabeth. Non va bene» il professore mi impedì di indossare la pesante


vestaglia di scena e mi paralizzai per il timore che mi chiedesse di spogliarmi.
«Dobbiamo trovare qualcosa di più leggero. Nel silenzio della scena, sul palco
si deve sentire un delicato fruscio.»
«Forse so dove trovarla» si offrì Jack. Cosa faceva ora, assecondava la sua
follia?
«Perfetto. Ti rimborserò io, sono pronto a investire quello che occorre nella
riuscita di questa rappresentazione» sorrise soddisfatto il professore.
Contento lui!
Ero già abbastanza nervosa senza dover aggiungere mille inutili interruzioni.
Dovevamo provare di nuovo la scena della seduzione di William, possibilmente
senza scatenare l’ira del pazzo.
«Riprendiamo da quando Catherine ha già aperto la vestaglia» ci istruì, e
tornammo in scena.
«Catherine, cosa fate?» William mi fissò sorpreso.
«Sto seguendo le vostre lezioni» sussurrai incerta.
Tremavo nell’avvicinarmi a lui, come se davvero Catherine fosse stata nuda,
sotto lo sguardo bramoso di William. La sua mano mi sfiorò un fianco e chiusi
gli occhi, sospirando.
«Siete bellissima, dolce Catherine.»
Posai un ginocchio sul letto, respirando a fatica.
«No, ferma. Non possiamo.» Mi guardò con una tale durezza che il suo rifiuto
mi fece girare la testa.
«Come volete…» tentai di scappare ma William mi trattenne.
«Solo… un bacio» soffiò, avvicinandosi pericolosamente a me.
Mi irrigidii, d’istinto. «Catherine, tranquilla» lo sussurrò così piano che temetti
di averlo immaginato. Poi le sue labbra si posarono sulle mie e gemetti, fuori dal
copione.
La sua mano si infilò tra i miei capelli, accarezzandomi. Mi aggrappai alle sue
spalle per non cadere sul letto.
Il suo sapore, che non avevo ancora dimenticato, mi fece perdere la testa e il
bacio si fece più profondo. Sentii la sua mano destra risalire la mia schiena, a
palmo aperto, mentre la sinistra giocava ancora con i miei capelli.
«Ragazzi!» Il professore ci richiamò alla realtà e ci staccammo, un po’ ansanti.
«Va bene. Magari questo teniamolo per la notte d’amore, eh?»
Sarei voluta sprofondare. Non osavo guardare il professore, e tantomeno Rick,
che aveva assistito alla scena al suo fianco. Feci perciò l’errore di guardare Jack.
«Catherine era un po’ impaziente» commentò ghignando, perfettamente a suo
agio.
«Scusate.» Barcollai fino alla porta e, una volta raggiunto il corridoio buio, mi
misi a correre verso il bagno.
Passarono i minuti e riacquistai un certo contegno, ma non il coraggio di
rientrare.
«Liz?» Jack bussò alla porta.
«Arrivo.»
«No, aprimi» sbuffò.
«È il bagno delle donne, Jack.»
«Il dipartimento è deserto a quest’ora. Per favore, aprimi.» E va bene.
Mi fissò per un attimo, forse alla ricerca di segni di cedimento, ma ormai mi
ero ripresa. Niente più gote rosse, capelli spettinati – dalle sue mani – né occhi
annebbiati.
«Tranquilla, è andata bene. Il professore era soddisfatto dell’alchimia.»
Alchimia era diventata la parola d’ordine. Quella che scatenava, ormai, ogni
mio più latente istinto omicida.
«Io me ne vado. Inventati qualche scusa per me, sei tanto bravo a recitare.»
Ma mentre lo superavo per uscire mi trattenne per un gomito.
«Liz, fermati. Parliamone.»
«E di cosa dovremmo parlare?» lo attaccai.
«Hai paura che Rick sia geloso del bacio che mi hai dato?»
«Lascia fuori Rick che non c’entra nulla!»
«Allora mi spieghi dov’è il problema?» Il suo tono suonava esasperato. Aveva
anche il coraggio di lamentarsi! Proprio lui che aveva scelto come sua missione
personale quella di portarmi alla follia nel tentativo di scalfire il guscio che mi
aveva protetta per tanti anni.
«Non c’è nessun problema» sibilai.
Jack alzò le mani in segno di resa e indietreggiò.
Uscii dal bagno, accompagnata dalle sue ultime, inaspettate parole.
«Non sei l’unica che si è persa in quel bacio, Liz.»
7

«Elaiza, ti cercavo!» Bonnie mi bloccò mentre rientravo da un lunghissimo ed


estenuante venerdì di studio. La lezione più temuta era comunque andata bene, il
professore pazzo si era dedicato ad altre scene «secondarie» e non avevo dovuto
interagire con Jack.
«Sto rientrando solo ora. Sono esausta.»
«Perfetto! Una serata tra ragazze è proprio quello che ti serve!»
«Non credo che…»
«Su dai! Sarà me-mo-ra-bi-le!» sillabò, come se fosse in campo insieme alle
altre cheerleader. Cosa ci poteva mai essere di così imperdibile? O forse era la
mia presenza che avrebbe reso speciale la serata, dato che non uscivo mai?
Bonnie mi fissava in attesa. Non so se fu il bisogno di svagare la mente, oppure
se provai compassione per quel suo sorriso plastico che doveva ormai farle
dolere il viso, ma accettai.
Ci mancò poco che allestisse un’intera coreografia nel corridoio, quando iniziò
a saltellare battendo le mani. «Preparati per le dieci, andiamo a casa di un’amica
che abita fuori dal campus» mi istruì perentoria.
Rientrai in camera ancora incredula, nonché già pentita di aver accettato.
Pochi istanti dopo bussarono alla porta e mi precipitai ad aprire, sollevata di
poter ritrattare tutto.
«Bonnie, senti…»
Per una volta che avevo desiderato fosse Bonnie a bussare, ovviamente non era
lei.
«Ciao, Jack.»
«Dobbiamo andare a comprare la nuova vestaglia.» Non salutò nemmeno, ma
ormai ero abituata ai suoi modi. Lo feci entrare in camera perché c’erano sempre
fin troppe orecchie indiscrete in corridoio.
«Dobbiamo? Hai detto al professore che ci avresti pensato tu!»
Mi esaminò dalla testa ai piedi, come se stesse prendendomi le misure o…
spogliandomi mentalmente. «È meglio se la provi, non credi?» concluse poi.
«E va bene. Andiamoci subito, allora» tagliai corto, senza nascondere la mia
riluttanza, mentre cercavo giacca e borsa con estrema attenzione. Tutto pur di
non dargli la possibilità di leggermi sul viso le mie vere emozioni.
«Sì, facciamo presto perché ho da fare stasera» annuì, come se ce ne fosse
stato bisogno.

«Stai scherzando?» Mi bloccai, a un passo dall’entrata del negozio.


«Liz, dove pensavi che l’avremmo comprata?» Jack rise e mi prese per mano
conducendomi all’interno. La vetrina non prometteva bene, con quel tripudio di
lingerie provocante, pizzi e trasparenze.
«Ciao splendore! Che ti serve oggi?» Jack fu accolto come un cliente abituale,
che strano.
La commessa si accorse poi della mia presenza e sgranò gli occhi. «Oh! Tu
devi essere la ragazza del babydoll!»
Lasciai andare la mano di Jack e le feci un sorriso imbarazzato mentre lui
cominciava a spiegarle che cosa stavamo cercando. «Vieni, tesoro. Ti faccio
provare qualcosa.»
Lei rispose al mio sorriso incoraggiante, e mi tranquillizzò un po’.
Jack si mosse al mio fianco ma lei lo bloccò: «No, no. Jack resta pure qua. Ci
penso io». La mia titubanza si trasformò in gratitudine.
Mi fece accomodare in una piccola stanza con tanti specchi e mi disse di
spogliarmi mentre andava a cercarmi qualche vestaglia da provare.
«Non posso rimanere… vestita?» domandai, a disagio.
Inclinò la testa di lato, guardandomi come se mi fosse spuntato un terzo
occhio. Le feci segno di andare e mi rassegnai a rimanere con la mia comoda
biancheria di cotone finché non la vidi tornare con le braccia cariche di seta.
«Dunque… Oh» rimase interdetta. «Strano…» osservò poi, tra sé.
Nonostante la partenza imbarazzante, riuscimmo a trovare la giusta vestaglia
per Catherine. Non troppo provocante e del tessuto giusto per ricreare sul palco
il famoso fruscio. Quando descrissi la scena che dovevo recitare, oltre a uno
sguardo incredulo, ottenni anche qualche ottimo consiglio e un paio di slip color
carne, che avrei potuto indossare sul palco senza che il pubblico alle mie spalle
se ne accorgesse e che mi avrebbero fatto sentire più sicura in caso la vestaglia
scivolasse giù.
Un po’ rincuorata, raggiunsi Jack alla cassa e vidi che stava pagando un altro
acquisto.
«Jack, sei sicuro di non aver sbagliato taglia? Di nuovo?» chiese piano la
commessa, mentre stampava lo scontrino.
Jack si schiarì la voce, come se fosse in imbarazzo.
«No, va bene. Non è per lei» sussurrò, ma io lo sentii ugualmente.
Non so perché ci rimasi così male. Era chiaro che Jack si riforniva
abitualmente in quel negozio, e che per le altre non comprava «costumi di
scena». Mi aspettavo, forse, che avrebbe atteso di essere da solo per fare altri
acquisti?
Uscimmo e lo salutai a stento prima di correre a prendere l’autobus per tornare
al campus.
Intravidi Bonnie entrare nella sua stanza e pensai di fermarla per declinare
l’invito, ma poi ci ripensai. Non avevo nessuna voglia di uscire; rimanere a
rimuginare tutta la sera sui motivi del mio malumore non era però una scelta
felice.
Se mi avesse vista Jessica mi avrebbe costretta a cambiarmi, perciò evitai di
mandarle la foto del mio outfit scelto assolutamente a caso dall’armadio: jeans e
maglietta. Capii quanto sarei sembrata fuori posto quando Bonnie venne a
bussare alla mia porta accompagnata da altre due ragazze del nostro piano. Ero
l’unica a non indossare una gonna o un vestitino. Perché quelle tre si erano prese
tanto disturbo per una semplice «serata tra ragazze»?
Dopo venti minuti arrivammo a destinazione e fui davvero tentata di rimanere
nel taxi e farmi portare indietro. Avevo una brutta sensazione.
La padrona di casa ci accolse con un enorme sorriso.
«Tu devi essere la famosa Elizabeth!» La sensazione da brutta diventò
pessima, soprattutto perché Bonnie zittì con un’occhiata eloquente la sua cara
amica.
Ci accomodammo in salotto, dove mi presentarono altre ragazze, vestite e
truccate come se fossero pronte a far mattina per locali. Sempre più strana,
questa normale e rilassante serata al femminile…
Scambiai qualche parola con quelle che conoscevo di vista e mi presentai
velocemente alle sconosciute. Eravamo ormai quasi in venti quando suonò di
nuovo il campanello.
«Deve essere Kristen!» annunciò Bonnie, balzando in piedi a fatica sul suo
tacco dodici. Non riuscii a nascondere una smorfia. Kristen era l’ultima persona
che avrei voluto incontrare quella sera. O altre sere, se per quello.
Ritonarono in salotto mentre la padrona di casa spegneva le luci. Il lungo
divano di pelle bianca, nel cui angolino mi ero rifugiata, rimase in penombra.
L’unica zona illuminata, da un faretto, era il centro della stanza.
Il vociare si interruppe quando Bonnie prese la parola. «Ok, ragazze! Non
dimenticate di ringraziare Kristen per averci portato la sorpresa e ricordate di
rimborsarle la vostra quota.» Non avrei dovuto essere lì, ne ero sempre più
consapevole. Non sapevo nemmeno di cosa si stesse parlando!
Kristen e Bonnie vennero a sedersi nella poltrona accanto al divano, ridendo,
mentre la padrona di casa faceva partire la musica.
Sulle prime note della canzone, una figura incappucciata entrò nella stanza,
accolta da qualche urletto eccitato. Ero evidentemente l’unica all’oscuro della
«sorpresa».
Deglutii e la sensazione amara di essere totalmente fuori posto divenne puro
shock quando, liberato dal cappuccio, apparve un viso noto.

«Ho da fare stasera.»

«Mi aspettano, è tardi.»

Ecco dove andava Jack quando spariva, ecco quello che non aveva mai voluto
dirmi. Ringraziai di essere nella zona buia, dove non poteva vedermi, immobile
e raggelata.
Chiusi gli occhi per riordinare le idee, solo per pochi istanti. Quando tornai alla
realtà, vidi Bonnie e Kristen che mi fissavano. La mia reazione doveva essere
stata più interessante di vedere Jack spogliarsi: io ero il bonus della serata, una
seconda fonte di divertimento.
C’ero cascata con tutte le scarpe, la mia sorpresa era stata grande e il loro
divertimento era scritto a grandi lettere nei sorrisi compiaciuti. Vedermi in
compagnia di Jack, che entrava e usciva dalla mia stanza, le aveva rese a tal
punto invidiose e gelose?
Per un attimo fui distratta proprio da lui, che si stava slacciando la cintura dei
pantaloni.

«Spogliami.»

Il ricordo di quella notte mi fece girare la testa. Mi guardai attorno, cercando il


modo per filarmela senza farmi notare, ma l’unica porta era alle spalle di Jack.
Kristen si alzò, avvicinandosi per ballare con lui. Non era nulla di nuovo:
cercava di allungare le mani su Jack a ogni occasione possibile, fin dal primo
giorno di lezione. Lui non l’aveva mai esplicitamente rifiutata, ma nemmeno
accolta con il sorriso che le riservò quella sera.
Avrei dovuto distogliere lo sguardo, come facevo durante le scene splatter nei
film horror. Anzi, avrei visto più volentieri una testa mozzata che le mani di Jack
che risalivano il ventre di Kristen mentre lei gli ondeggiava addosso,
spalmandosi contro il suo torace nudo.

«Rilassati.»

Le sue mani mi avevano sfiorata allo stesso modo, quel giorno nell’aula vuota.
Fu la nausea a convincermi a muovermi. Scavalcai lo schienale del divano per
poter costeggiare il muro e raggiungere l’uscita.
Bonnie, che non aveva smesso di tenermi d’occhio, richiamò l’attenzione su di
sé.
«Ragazze, c’è un’altra sorpresa!» annunciò, sollevando un sacchetto. Quel
sacchetto. Dove Jack aveva riposto il suo acquisto, poche ore prima. Il logo del
negozio era inconfondibile. Avrei dovuto approfittare della distrazione ma rimasi
paralizzata, in piedi tra il divano e la libreria.
Kristen sussurrò qualcosa all’orecchio di Jack, poi si allontanò ridendo. «Jack
lo lancia e chi lo prende lo indossa! Vi avviso che non vi rimarrà come souvenir
perché è commestibile.»
Se esisteva uno stadio oltre la nausea lo avevo appena raggiunto. Ringraziai di
non aver mangiato nulla da ore e mi feci strada a fatica nel gruppetto in attesa
del lancio, concentrandomi solo sulla fuga.
Approfittai dell’urlo di gioia della fortunata vincitrice per tentare di passare
inosservata accanto a Jack, ma le luci si accesero proprio in quel momento.
«Liz?» Era un bravo attore, ma nei suoi occhi scuri lessi la sorpresa e forse
anche il fastidio di vedermi a quella festa.
Mi girai e scappai, lo sentii richiamarmi ma non mi fermai. Lacrime – di rabbia
– mi appannavano la vista mentre sceglievo una direzione a caso. Avevo dato a
Bonnie e Kristen proprio quello che si aspettavano, che stupida!
Camminai fino alla fine della strada, poi fermai un taxi per farmi riportare al
campus. Stavo pagando l’autista quando mi suonò il telefono.
«Dove sei?» Jack era ancora alla festa, sentivo la musica in sottofondo.
«Al campus.»
Sospirò. «Arrivo tra un’ora.»
«Jack, non devi spiegarmi nulla. Avrei solo voluto che mi parlassi prima del
tuo lavoro.» Avrei voluto che si fidasse di me. Avrei voluto non vedergli Kristen
spalmata addosso. Avrei voluto non scoprirlo in quel modo.
«Avrei dovuto, Liz? La tua espressione stasera diceva tutto. Se non te l’ho
detto era proprio per evitare di vederti disgustata. Ho capito come sei fatta»
sentenziò, con amarezza.
«Non hai capito proprio nulla!» mi scaldai. «Non eri tu l’unica attrazione della
festa! Bonnie e Kristen mi hanno invitata solo per…»
Imprecò, e in sottofondo sentii la voce di Kristen: «Jack, ti sei perso?».
«Liz, devo andare. Possiamo riparlarne?»
«Non stasera.»
Non ne avevo la forza.
La linea rimase silenziosa per qualche istante.
«Come vuoi» fu il suo saluto.
8

«Quindi viene tuo padre a prendervi all’aeroporto giovedì.»


«Prenderci?» ripetei, cercando di capire cosa mi ero persa non ascoltando il
lungo monologo telefonico di mia madre.
«Tu e Jack! Ma hai fatto tardi con lui ieri sera? Sembri addormentata!»
Avevo fatto tardi… pensando a lui. Non avevo accettato di parlargli ma avevo
comunque trascorso metà della notte a rigirarmi nel letto.
«Ho mal di testa, mamma. E devo studiare. Ti richiamo domani, va bene?»
Quando chiusi la conversazione, trovai un messaggio di Jack.

Sono alla caffetteria. Mi raggiungi?

Ero quasi commossa: aveva imparato a formulare richieste.


Non potevo rinviare ancora, dovevamo chiudere la discussione o non saremmo
mai riusciti a recitare decentemente. Almeno: io non ci sarei riuscita.
Mi stava aspettando al tavolo più lontano dall’entrata ma, prima che potessi
raggiungerlo, qualcuno mi chiamò.
«Liz!» Rick mi sorrise, seduto a un tavolo con altri amici… e Kristen. Poi si
accorse che mi ero rabbuiata e si alzò per raggiungermi. «Tutto bene?»
«Non molto. Non riesco a sopportare di vedere Kristen proprio oggi» gli
confessai, e la sua espressione confusa mi confermò che non era ancora venuto a
sapere nulla. Magari Kristen aveva evitato, quantomeno, di vantarsene davanti a
lui.
«Usciamo e mi racconti, ok?» La proposta era davvero allettante ma Jack si
stava avvicinando a noi in quel momento.
«Ti ho già preso qualcosa. Andiamo?» mi mostrò un sacchetto, ignorando
Rick. Il quale scosse la testa e si avvicinò con la scusa di salutarmi, cingendomi
in un abbraccio.
«Stasera ti va un film?» mi sussurrò.
Annuii e gli sussurrai un «grazie». Perché si era preoccupato per me, e aveva
capito che avevo bisogno di svagarmi tanto quanto di sfogarmi.
Jack e io uscimmo e iniziammo a camminare in silenzio.
«Sei delusa.» Non suonò come una domanda la sua.
Scossi la testa. «Perché non mi hai mai detto del tuo lavoro? Hai avuto mille
occasioni quando la sera te ne andavi di fretta.» Non riuscivo a nascondere
quanto profondamente mi avesse ferita la sua omissione.
«Perché sapevo già cosa avresti pensato.»
«E cosa?»
«Che avevo scelto quel mestiere per farmene una diversa ogni sera.» Si fermò,
nel vialetto che portava al dipartimento di matematica, e si girò a guardarmi.
«E non è così?» Me ne pentii nell’esatto momento in cui lo dissi. In realtà mi
scocciava ammettere che probabilmente aveva ragione, la mia conclusione
sarebbe stata esattamente quella. Capii che l’idea lo feriva a sua volta. Forse
eravamo destinati a farci male a vicenda.
Mi fece un sorriso amaro. «Sai, magari è meglio così» concluse enigmatico,
passandomi il sacchetto della colazione. «Ci vediamo sul palco, Catherine.»
Lo guardai andare via, sentendomi come se avessi appena fallito una prova che
non sapevo di dover sostenere. Avevo perso la possibilità di conoscere il vero
Jack?

«La scelta è tra un horror decisamente splatter, un film d’amore dal sicuro finale
tragico, una commedia probabilmente demenziale e…» Rick fece una pausa,
prima di indicare l’ultima locandina appesa fuori dal cinema. «Un nuovo film di
supereroi!»
«Tranquillo, non scelgo il film d’amore e nemmeno l’horror, perché vorrei
poter mangiare, dopo. Quindi…» mi fermai e guardai Rick, che mi fissava
speranzoso.
«Quanto rimarresti deluso se scegliessi la commedia?» domandai, un po’
titubante.
«Per nulla. Rimango sempre più fedele alla Marvel che alla dc» spiegò, di
fronte alla mia espressione incredula.
«Oh. Ora capisco.» Lo precedetti all’interno del cinema con un sorrisetto.
«Cosa capisci? Dai, dimmi!» mi si mise davanti, camminando a ritroso.
«No niente. Ho solo immaginato…»
«Liz! Guarda che non ti lascio comprare le caramelle!» mi minacciò scherzoso.
«E va bene! Ho solo immaginato uno scaffale della tua stanza pieno di action
figures» arrossii un po’. Era divertente scherzare con Rick ma a volte temevo di
varcare certi confini che non ero pronta a superare. O perlomeno non con lui.
«Chissà. Magari dopo scoprirai se hai indovinato» mi rispose infatti.
Non volevo flirtare con lui, non credevo nemmeno di esserne capace. Volevo
solo esorcizzare con le risate la pressione che gli ultimi eventi Jack-centrici
avevano portato nella mia vita.
Rick si accorse della mia espressione un po’ spaurita e si affrettò a sorridermi.
«Vado a fare i biglietti. Tu pensi ai pop corn?» mi propose e fui grata del
diversivo.
Il film non era divertente come mi aspettavo ma risi tutto il tempo,
commentandolo con Rick.
«Dillo, dai! Stai rimpiangendo di non aver scelto Batman!» Eravamo appena
usciti e la serata era abbastanza mite, la primavera era alle porte.
«Proprio no! Non sono mai stata attratta da chi si nasconde dietro a una
maschera» risposi con sincerità, rendendomi conto dello sbaglio quando i miei
pensieri finirono proprio dove non volevo.
La risata di Rick si spense.
«Ti va di parlarne?» propose, con comprensibile riluttanza.
Scossi il capo. «Non roviniamo la serata.»
Lui annuì, palesemente sollevato. Proseguimmo per un po’ in silenzio, sulla via
di ritorno al campus.
«Volevo solo chiederti…» Rick aspettò un mio segno di incoraggiamento
prima di continuare. «Che è successo con Kristen?»
Tutti i casini portavano a Jack. Anche quando non veniva nominato
direttamente.
Sospirai, indecisa su che versione dare dell’accaduto. «Diciamo che Kristen
non ha mai digerito che la parte di Catherine sia stata affidata a me.»
«Ok. Ma cosa ti ha fatto? Stamattina mi sei sembrata molto scossa quando
l’hai vista al tavolo» mi incalzò Rick, e sul suo viso mi sembrò di scorgere una
sincera preoccupazione.
«Sono stata invitata a una festa, ieri sera, dalla mia vicina di stanza, Bonnie.
L’invito aveva un secondo fine. Kristen voleva… marcare il suo territorio» gli
spiegai vagamente, con una smorfia di disgusto al ricordo di come si era
spalmata su Jack.
Rick schioccò la lingua, scuotendo la testa. «La sua ossessione per Jack…»
«Già. Si sono divertite molto a scoprire la mia reazione di fronte a…» mi
bloccai, non sapendo se Rick fosse a conoscenza del lavoro di Jack.
«Oh» si lasciò sfuggire. Lo sapeva. Probabilmente lo sapevano tutti, tranne me.
«Quindi, ecco. Non avevo una gran voglia di rivedere Kristen, dopo che mi ero
resa ridicola proprio come lei sperava» terminai, guardando la fila di lampioni
pur di non incontrare gli occhi di Rick. Mi accorsi con qualche secondo di
ritardo che si era fermato, mi girai e aspettai che si riavvicinasse.
«Liz, mi dispiace. Kristen sa essere davvero vendicativa ma non credevo che si
sarebbe accanita su di te. Non hai certo scelto tu di essere Catherine.»
Scossi il capo, amareggiata.
Mi sorrise e avvicinò lentamente una mano al mio viso, per lasciarmi una lieve
carezza sul mento. «Non ci pensare, ora ci sono le vacanze di primavera e lei
troverà qualche ex compagna di classe da tormentare.»
Già, le vacanze. Il ritorno a casa. Daniel con la fidanzata. Mia madre che si
aspettava di conoscere Jack.
«Grazie, Rick.» Cercai di sorridergli, mettendo da parte la nuova ondata di
pensieri che mi aveva scossa.
«Allora, quale pensi che sarà il misterioso atto finale di Lezioni?» domandò,
cambiando argomento e riprendendo a camminare.
«Non ne ho idea. Non so davvero cosa aspettarmi!» Mi sforzai di ritrovare il
tono allegro di poco prima.
«Magari ci sarà un duello all’ultimo sangue tra William e George!» rise mentre
lo proponeva.
«Avremmo davvero dovuto scegliere il film sui supereroi, eh?»
Rick mi riaccompagnò fino alla porta del dormitorio e mi salutò con un
abbraccio.
«Grazie davvero, Rick.»
Aveva risollevato il mio umore con pazienza e discrezione, aveva capito che
non volevo oltrepassare certi confini. Non sapevo se avesse avuto intenzione di
baciarmi ma fui grata che non ci avesse provato.
Trovai un suo messaggio il mattino seguente e la risata che mi strappò fu un
bellissimo modo di iniziare la domenica. Mi aveva inviato la foto di una libreria
piena di action figures.

Non ci credo! Avevo indovinato!

La sua risposta arrivò poco dopo.

Non ho detto che è mia!

Martedì ci fu l’ultima lezione con il pazzo prima della pausa. Ero sempre
nervosa quando arrivava il momento di varcare la porta della sua aula, ma quel
giorno l’idea di rivedere Jack mi aveva chiuso lo stomaco in una morsa.
La risata di Kristen mi investì non appena trovai il coraggio di entrare.
Scappare e darmi malata non era più un’opzione, purtroppo.
Jack era già arrivato e incrociai il suo sguardo mentre ancora sostavo, indecisa
e nervosa, nei pressi della porta.
«D’accordo! Tutti pronti che proviamo il primo atto.» Il professore apparve e
richiamò l’ordine battendo le mani.
La prova fu disastrosa. Le serve dimenticavano a turno le battute, e le risatine
uscirono ancora più stupide del dovuto. La prima scena fu ripetuta quattro volte,
ma al secondo tentativo il professore aveva avuto pietà di me, permettendomi di
non rimanere accucciata in ascolto come Catherine.
«Basta! Vedete di usare la pausa delle lezioni per imparare le battute o vi
boccio tutti!» Dopo l’urlo esasperato calò il silenzio.
«Jack, per favore. Dammi un po’ di sollievo e fammi vedere William» lo pregò
poi il professore, massaggiandosi la fronte.
«Elizabeth» mi chiamò, e già tremai per il tono minaccioso della sua voce.
«Al-chi-mia» sillabò. «Voglio la mia Catherine.»
Mi avvicinai a Jack, già sconfitta in partenza. Sarebbe andata malissimo, ne ero
certa.
Lui vide il terrore nei miei occhi e sospirò. Mi aspettavo che iniziasse a
recitare, invece si avvicinò.
«Liz, rilassati» mi sussurrò. «Andrà bene. Concentrati su William. Lui non ti
ha…»
«William e Catherine! Ora!»
Avevamo messo a dura prova la già scarsa pazienza del professore. Jack si
allontanò, lo sguardo ancora preoccupato. Mi sillabò un «per favore» che mi
lasciò distrutta.
Quel corso era importante per entrambi, non potevamo lasciare che le nostre
incomprensioni compromettessero ogni cosa. Racimolai ogni brandello di
coraggio che riuscii a trovare in me e mi buttai a capofitto in Catherine.
Fu surreale, più che mai. Perché proprio quando il sorriso malizioso e i modi
galanti di William avevano spianato la strada per Catherine, Jack ruppe la
finzione.
«Brava, Liz» mi sussurrò, pianissimo, per incoraggiarmi.
Chi avevo di fronte a me? William in tutto il suo finto splendore o Jack che mi
sorrideva grato e sollevato perché non stavo mandando all’aria l’intera scena?
Il professore, acquietato dalla nostra performance, ci fece proseguire con le
scene successive. Ero così coinvolta che dimenticai che nessuno doveva
conoscere le battute aggiunte.
Stavo entrando nella scena della seduzione, quando Jack mi diede un
pizzicotto. Mi bloccai e ricordai che la Catherine che dovevo interpretare durante
la lezione non avrebbe ricevuto un bacio dal suo William. Mi sconvolse
rendermi conto che non solo avevo dimenticato di saltare il pezzo, ma stavo
anche attendendo con ansia quel momento.
«Ok. Per oggi basta!» Al suono della voce del professore, mi allontanai da Jack
con fin troppa fretta.
«Ehi, tutto bene?» Rick mi fermò, mentre raccoglievo la mia borsa.
«Sì» risposi, in automatico. Alzai lo sguardo e incontrai la sua espressione
scettica. Sospirai: «No».
«Tranquilla, nessuno si è reso conto che stavi continuando la scena» mi
rassicurò, a bassa voce.
Io, però, me ne ero resa conto. Come mi stavo rendendo conto dell’ondata di
nausea che mi saliva, vedendo Kristen che si appoggiava ridente al braccio di
Jack.
Sentii Rick imprecare e mi girai verso di lui per scusarmi di essermi lasciata
distrarre – e distruggere – da Jack che, a sua volta, si lasciava abbindolare da
Kristen.
Grande fu la sorpresa quando mi ritrovai le labbra di Rick sulle mie. Fu un
bacio a stampo che durò solo qualche secondo, il tempo di realizzare quello che
stava succedendo e allontanarmi.
«Cosa…» Tra tutti i momenti in cui mi sarei aspettata che provasse a baciarmi,
se davvero voleva farlo, quello era l’ultimo della lista.
«Buone vacanze, Liz» mi salutò, con un ultimo sguardo alle mie spalle prima
di girarsi e andarsene.
«Cos’era? Una scena inedita tra George e Catherine?» La voce di Jack, carica
di ironia, mi gelò.
Mi girai e lo trovai che mi fissava, in attesa di una risposta. Nessun ghigno
divertito: la sua espressione era imperscrutabile.
Stavo per rispondergli quando notai che il professore aveva udito le parole di
Jack e ci stava fissando con palese interesse.
Lo afferrai per il gomito e lo trascinai fuori. Ero furiosa.
«Dovevi per forza fare quella maledetta battuta?! E se ti ha sentito e gli viene
la malsana idea di scriverla davvero, quella scena?»
«In tal caso, sei già allenata.»
Lui e le sue continue insinuazioni avevano passato il segno!
«Puoi ben dirlo» sibilai, tenendo a stento a freno la rabbia. E girai i tacchi.
Finalmente avevo avuto io l’ultima parola.

Alla fine, non avevo avuto il coraggio di avvisare mia madre che Jack non
sarebbe venuto. Mentre preparavo la valigia, il giovedì mattina, ripassai le scuse
che avevo selezionato come plausibili ma mi resi conto che dire la verità sarebbe
stato meno complicato.
Ero quasi pronta per andare all’aeroporto, quando bussarono alla porta.
Aprii e mi trovai di fronte Jack, con un borsone abbandonato ai suoi piedi.
«Che cosa…?»
Non mi sarei mai aspettata che ricordasse il giorno della partenza, tantomeno
che si presentasse.
«Sono in anticipo? Non mi avevi detto l’orario del volo.» Approfittando della
mia confusione entrò in camera.
«Perché non mi aspettavo che tu venissi!»
Jack inclinò la testa. «C’è un biglietto anche per me, no?»
«Sì ma…» Sbuffai, incapace di spiegargli perché mi sembrava tanto assurdo
che… a lui non sembrasse assurdo accompagnarmi a casa!
«Dai, Liz. Non ti preoccupare, non ti metterò in imbarazzo.»
Mi stava guardando con quella finta aria da cucciolo ferito. Come era possibile
che stesse rigirando la situazione fingendosi deluso?
L’arrivo di un messaggio sul mio telefono fu il segnale che il tempo per i
tentennamenti era scaduto. Il taxi stava aspettando.
«Oh d’accordo! Andiamo» accettai, sperando di non pentirmene. Jack mi fece
un enorme sorriso e mi illusi di aver fatto la scelta giusta. Scossi la testa, di
fronte al suo entusiasmo.
Eravamo in fila per l’imbarco quando mi resi conto dell’errore.
«Ancora nervosa?»
Mi limitai a un’eloquente occhiata come risposta.
«Tranquilla, miciotta. Sarò un fidanzato modello» ammiccò.
Sarebbe finita in tragedia.
9

Jack dormì tutto il viaggio. Inizialmente ne fui sollevata, perché ero ancora tesa
per la sua improvvisa apparizione e non avrei voluto dare spettacolo discutendo
in aereo. Dopo la prima ora, però, cominciai a sperare che si svegliasse e mi
parlasse. Il mio umore peggiorò quando pensai al motivo della sua stanchezza,
probabilmente aveva lavorato anche la notte precedente.
«Jack, stiamo per atterrare» lo riscossi, bruscamente.
«Uhm.» Aprì gli occhi e si guardò attorno. Pur avendo dormito con lui una
notte, non avevo avuto occasione di vederlo appena sveglio. Per fortuna, perché i
suoi occhi scuri ancora appannati dal sonno e le guance un po’ arrossate erano il
manifesto mondiale della voglia di coccole. Quella «vacanza» in sua compagnia
era davvero l’idea peggiore del secolo.
Quando raggiungemmo il terminal degli arrivi ero un fascio di nervi, entro
pochi minuti avrei dovuto presentare Jack a mio padre.
«Liz, ti vuoi calmare? Non ti ho mai lasciata sola sul palco» mi rassicurò, a suo
modo. In fondo stavamo solo per mettere in scena l’ennesima recita, pur senza
costumi settecenteschi e improbabili spogliarelli. Mi limitai ad annuire e mi feci
coraggio, sperando che le settimane di prove nei panni di Catherine mi venissero
in soccorso.
«Ciao papà!» La gioia di rivederlo acquietò per qualche istante la mia ansia.
«Elizabeth.»
Lo abbracciai con forza perché mi era incredibilmente mancato; era un uomo
di poche parole, forse per compensare le troppe che usava mia madre, ma le
brevi conversazioni che riuscivo ad avere con lui rimanevano sempre impresse
nella mia memoria.
Mio padre mi lasciò andare e si schiarì la voce. «E tu devi essere…»
Jack gli sorrise e allungò una mano verso di lui. «Sono Jack. Piacere di
conoscerla, signore.»
«Chiamami pure Richard. Direi che possiamo andare» annunciò, prendendo la
valigia che avevo abbandonato per salutarlo. La reazione di mio padre mi
sconvolse, non avrei mai immaginato di vederlo così apparentemente tranquillo
e rilassato.
Jack mi fece l’occhiolino e mimò un silenzioso «hai visto?».
Mi avvicinai per potergli sussurrare: «È mia madre che devi temere».
«Già mi adora» ribatté e mi prese per mano. Rimasi interdetta per un istante,
poi mi diedi della stupida, avrei dovuto abituarmici se dovevamo essere credibili
come coppia.
Durante il tragitto in auto, domandai a papà le novità su amici e familiari,
perché mia madre si limitava ad aggiornarmi solo su mia sorella.
«Tua madre è elettrizzata per il pranzo di sabato, neanche fosse il nostro
anniversario anziché quello di Laura. Passa ore al telefono a consigliarle che
colore di tovaglie usare e che centrotavola abbinarci» sospirò lui, sfogando la
sua esasperazione.
«Sono amici di famiglia?» intervenne Jack.
«Laura e Margaret erano compagne di scuola, quindi si conoscono da una vita.
Elizabeth è cresciuta con Daniel, anche se lui è più grande di due anni.»
Sussultai: a Jack di Daniel non avevo ancora raccontato nulla.
«Parliamo di parecchio tempo fa, papà. Eravamo bambini» minimizzai,
sperando che mio padre capisse e cambiasse argomento. Ma non ero così
fortunata.
«Non così tanto tempo. Tu e Danny siete stati inseparabili finché non è partito
per il college.»
«Già. Ma dimmi, come sta zio C…» cercai di cambiare argomento ma Jack
non me lo permise.
«Quindi al pranzo ci sarà anche questo tuo amico d’infanzia?» mi domandò,
sporgendosi dal sedile posteriore. Nemmeno essermi seduta davanti mi stava
salvando dal suo esame.
«Sì. Ormai non ci vediamo quasi più» gli risposi, ma l’occhiata che mi rivolse
mi fece capire che la sua curiosità non era stata soddisfatta.
Ci eravamo appena fermati nel vialetto di fronte a casa quando la porta si
spalancò e apparve mia madre. «Richard! Come mai ci avete messo tanto?»
Mio padre sospirò e io gli diedi un colpetto di incoraggiamento sul braccio,
prima di aprire lo sportello. Jack era già sceso e mia madre gli buttò subito le
braccia al collo.
«Iniziamo bene» sospirai affranta.
Jack non si scompose e sfoderò uno dei suoi abbaglianti sorrisi alla William.
«Ciao mamma.»
«Oh Lizzy! Ma che brutta cera che hai! Dovresti dormire di più» mi salutò lei,
lasciando finalmente andare Jack. Ero arrivata da due minuti e già sarei tornata
di corsa – letteralmente – all’aeroporto.
«Kimberly non c’è?» domandai mentre Jack aiutava mio padre a prendere le
valigie dal bagagliaio.
«Torna per cena, è a casa di un’amica. Ha così tante amiche, lei!» commentò
mia madre e cercai, lo giuro, di non vederci un’allusione al fatto che io avevo
sempre avuto solo Jessica.
Ero rimasta bloccata a due passi dall’entrata, dove mi raggiunse Jack.
«Respira. Ce la puoi fare» mi sussurrò, come quando cercava di farmi rilassare
al corso di teatro. Forse aveva ragione, se lo avessi preso come un esercizio di
recitazione sarebbe stato più facile lasciarmi scivolare addosso i commenti e le
critiche di mia madre.
«Ok» gli sorrisi, perché stranamente ero contenta di non essere da sola in quel
momento.
«Elizabeth! Ho preparato la tua stanza per Jack. Tu ovviamente dormi in
camera con tua sorella» mi istruì mia madre, non appena entrammo in casa. Lo
guidai fino al primo piano ma mi bloccai prima di aprire la porta.
«Niente commenti, per favore. Non appena sono partita per il college, mamma
ha rinnovato la stanza secondo il suo particolare gusto.»
Jack rise, credendo che scherzassi, ma la sua risata si spense quando si guardò
attorno e fu soffocato da un tripudio di carta da parati a fiori, tende ricamate e
interi scaffali pieni di bambole di porcellana.
«Ho paura che avrò gli incubi stanotte» commentò, e non potei dargli torto.
«Quante possibilità abbiamo di riuscire a fuggire in albergo?» Sembrava proprio
disperato, mentre posava il suo borsone ai piedi del letto.
«Nessuna. Io ti avevo avvisato…» Cercai di non ridere.
«Ok.»
«Credo che…»
Jack mi interruppe, posando la sua bocca sulle mie labbra mezze aperte e
avvolgendomi in un abbraccio. Qualcuno si schiarì la voce, e non poteva essere
Jack perché era impegnato in ben altra attività.
Mi staccai, stordita e sentii la voce di mia madre. «Lizzy, è arrivata Jessica.»
Jack sciolse l’abbraccio e io mi girai verso la porta rimasta aperta, incontrando
lo strano sguardo della mamma, tra il rimprovero e il compiacimento.
«Ora scendiamo» sussurrai con la voce rotta dall’imbarazzo.
Lei annuì e se ne andò, con un lieve sorrisino sulle labbra.
«Ma che cavolo…» lo attaccai, cercando di sussurrare.
«Non c’è di che» sorrise soddisfatto.
Lo guardai incredula. «Non c’è di che? Ma non puoi prendere e baciarmi così!
E mia madre…»
«Appunto. Ti ha semplicemente vista baciare il tuo ragazzo.»
Rimasi senza parole mentre il suo brillante piano appariva più chiaro. Era
davvero un attore nato.
«Certo» sibilai, ancora scossa. «Scendiamo, dai.»
Appena entrata nel salotto venni investita dall’uragano Jessica, che mi
abbracciò con forza. «Jess, non respiro…»
«Oh quante storie!» Si staccò, e tenendomi a distanza di un braccio mi rivolse
uno dei suoi sorrisi radiosi. «Ho visto l’auto nel vialetto e sono corsa subito.»
Abitava a poche case di distanza dalla mia ed era rimasta a vivere con i suoi
genitori, essendosi iscritta al college lì vicino.
«Hai fatto benissimo.»
«Quindi…» accennò con il capo a un punto alle mie spalle.
«Jack» mi girai. «Questa è la mia amica Jessica.»
«Ho sentito tanto parlare di te, Jack» disse la mia
– molto presto ex – amica.
Lui rise, tendendole la mano e riservandomi uno sguardo interrogativo.
Jessica mi stava avvisando che per la sera successiva aveva già trovato un
posto fantastico dove andare, per un’uscita a quattro con il suo ragazzo, quando
Jack si scusò e uscì per rispondere a una telefonata.
Appena la porta si chiuse alle sue spalle, Jessica cambiò subito espressione.
«Liz!» mi sgridò.
«Che c’è?» le chiesi, confusa. Ero io a dover essere arrabbiata per quello che
lei aveva detto a Jack, se mai!
«Avevi detto che saresti tornata da sola.»
«Si è presentato da me con la valigia.»
Jessica allora sorrise. «Oh, ci sarà da divertirsi.»

Quando Jack riapparve, Jessica era già andata via con la promessa di rivederci il
giorno dopo.
«Tutto bene?» gli chiesi, notando la sua espressione indurita.
«Sì, sì.»
Non gli credetti nemmeno per un secondo ma non potei indagare oltre perché
entrò di slancio mia madre e cominciò uno dei suoi brillanti monologhi.
Jack annuiva con finto interesse, mentre la conversazione passava dallo
spettacolo teatrale – di mia sorella, ovviamente – ai centrotavola del ricevimento
di sabato. Un po’ mi dispiaceva per lui. Anche se era stata sua l’idea di
presentarsi ai miei, pensando di farmi uno scherzo goliardico.
Mi prese per mano e mi fece sedere accanto a lui, sul divano. Continuavo a
dimenticare che avrei dovuto essere meno impacciata e cercare maggiormente un
contatto fisico con il mio finto fidanzato. D’altronde era lui, tra noi due, il vero
attore, e mi aveva promesso di non lasciarmi sola nella nostra recita fuori
programma. Tutto esercizio a favore della maledetta alchimia. Quando
suonarono alla porta fu un vero sollievo… Ma di brevissima durata.
«Oh. È arrivata Ethel» commentò mia madre.
La mia espressione disperata lasciò Jack interdetto.
«Liz?» mi sussurrò.
«Non ascoltare niente di quello che dirà. Per favore.»
Jack non fece altre domande ma annuì, con serietà. Si alzò quando mia madre
ritornò in salotto insieme alla moglie del suo defunto fratello maggiore. Zia
Ethel era probabilmente la parente meno amata da tutta la famiglia, perfino meno
di mia madre.
«Elizabeth. Finalmente ti sei degnata di tornare a casa» mi salutò la cara zietta.
«Ciao zia. Sai che il mio college è lontano e non posso tornare spesso» spiegai
con fin troppo educata pazienza.
«Ethel, questo è Jack, il ragazzo di Lizzy» mi venne stranamente in soccorso
mia madre. Di fronte alla cognata, perfino lei si schierava dalla mia parte.
Zia Ethel fece a malapena un cenno con il capo come saluto, poi andò a sedersi
sulla poltrona di solito occupata da mio padre, che doveva essere a conoscenza
della sua visita dato che si era dileguato da ore.
Calò il silenzio mentre io e Jack tornavamo a sederci sul divano e mia madre si
accomodava sulla poltrona rimasta.
«Come vanno gli studi?» la zia iniziò il suo solito interrogatorio.
«Bene.» Non aggiunsi altro.
«Ti sembra il caso di fidanzarti proprio ora che dovresti concentrarti sul
college?»
Sussultai e sentii la mano di Jack carezzarmi la schiena. «Di questo non si deve
preoccupare, Elizabeth ha una media altissima e non sono di nessuna distrazione
per lei, il più delle volte mi limito a starle accanto mentre studiamo» intervenne
in mia difesa, sorprendendo non solo me ma anche mia madre, che sembrò
illuminarsi, e zia Ethel, che rimase immobile.
Lo guardai ammutolita, e lui mi rivolse un sorriso dolcissimo. Non avrei mai
più dubitato del suo talento. Sembrava davvero fiero di me.
«Quindi, Margaret» la zia si schiarì la voce e cambiò argomento, «la tua amica
ha davvero scelto quelle orribili tovaglie color lime?»
Mi rilassai, lasciandomi andare contro lo schienale e finendo con le spalle
avvolte dal braccio di Jack. Mi sarei allontanata ma non potevo farlo. A essere
sincera nemmeno lo volevo e, mentre venivamo dimenticati sullo sfondo, mi
godetti quel momento di relativa pace.
Jack prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, tranquillo, al mio fianco.
Stavo diventando una brava attrice, forse, perché non mi sentivo in imbarazzo;
anzi con il passare dei minuti ero sempre più a mio agio. Come se le braccia di
Jack fossero il posto giusto in cui stare.
Prima di quel giorno, non mi ero mai dispiaciuta di vedere zia Ethel andarsene.
Ma ora sapevo che, una volta alzati da quel divano, il mondo sarebbe tornato a
girare attorno a noi e mi sarei ricordata che era tutta una finzione.
Jack sospirò, prima di alzarsi per salutare cortesemente la cara zietta, che lo
aveva praticamente ignorato tutto il tempo. Di sicuro era sollevato, al contrario
di me, che quella visita fosse finita.
«Grazie» gli dissi, non appena rimanemmo soli.
Scrollò le spalle come se non fosse nulla di che, mentre per me il suo supporto
era stato davvero fondamentale. Si limitò a commentare: «Comincio a capire
perché avevi poca voglia di tornare a casa».

Mia madre, in ormai estatica adorazione di Jack dopo l’episodio anti-Ethel,


monopolizzò la sua attenzione per le due ore successive e incredibilmente mi
ritrovai perfino a ringraziarla – solo nella mia testa, ovviamente! – per tutte le
domande che gli rivolse, permettendo anche a me di conoscerlo meglio.
All’inizio, per la verità, temevo che lui stesse inventando le risposte, per
rimanere fedele al personaggio che stava interpretando. Ma poi le domande
indiscrete di mia madre toccarono il tema famiglia e Jack cambiò velocemente
argomento, limitandosi a dire che suo padre era avvocato così come suo fratello.
Stavamo ancora ridendo del racconto sulla sua breve esperienza da boyscout
quando l’interrogatorio di mia madre prese una svolta inattesa.
«Quindi come vi siete conosciuti voi due?»
Jack ritornò serio per un istante e mi rivolse uno sguardo di sottecchi. Prima
che potessi intervenire, lo vidi sorridere. «Siamo stati scelti come protagonisti
dell’opera che metteremo in scena a conclusione del corso di teatro e…» fece
una pausa, rivolgendomi uno sguardo tenero. «L’ho fatta innamorare, non solo
del mio personaggio.»
Mia madre esplose in una risatina mentre io rimanevo impietrita. Forzai un
sorriso, cercando di apparire imbarazzata e non sconvolta. Non che mi fossi
veramente innamorata di Jack. O di William. Maledizione! Quel dannato
spettacolo aveva messo sottosopra la mia vita.
Dall’ingresso sentii arrivare la voce di mia sorella, mio padre doveva essere
appena andato a prenderla.
«Ecco Kimberly!» mamma corse fuori e io rimasi da sola con Jack.
«Liz, santo cielo!» sbuffò lui, abbandonando all’istante il sorriso.
«Che c’è?»
«C’è che non posso fare tutto da solo!»
«Te l’avevo detto che non sarebbe stato per nulla semplice» borbottai, irritata
dalle sue accuse.
«Puoi almeno fingere che io non ti disgusti?»
«Che cosa…» Ma in quel momento apparve sulla porta Kimberly.
«Ellybeth!» mia sorella corse ad abbracciarmi, chiamandomi con quel
diminutivo da lei creato e solo da lei usato.
Non riuscii più a parlare con Jack fino all’ora di cena. Mia sorella aveva
sostituto mia madre nel monopolizzarlo e io ero stata spedita ad apparecchiare.
Lo raggiunsi mentre stava andando a lavarsi le mani.
«Jack, mi spieghi cosa diavolo intendevi prima?»
Mi guardò come se avessi fatto una domanda assolutamente inutile.
«Entra» mi disse e mi seguì in bagno, chiudendo la porta alle nostre spalle.
«Senti, Liz» esordì, poi si fermò per massaggiarsi le tempie. «Ammetto che
venire qua non è stata una grande idea.»
Erano le parole che avevo ripetuto anch’io, mille volte, ma in quel momento
mi ferì sentirlo dire da lui. «Ma ormai siamo qua» continuò.
«Già» convenni, controvoglia.
«Puoi…» poi ci ripensò e cambiò strategia. «William ti piace, no?»
Non stavo capendo nulla del suo discorso e la mia espressione lo rese subito
chiaro anche a lui.
«Lasciamo stare» scosse il capo, avvicinandosi al rubinetto per aprire l’acqua.
«Prima mi hai chiesto di fingere di non provare disgusto» cercai di tornare
all’argomento iniziale.
I suoi occhi scuri mi fissarono nel riflesso dello specchio. «È così difficile?»
Sembrava offeso.
Scossi la testa, incredula. Avevamo avuto parecchie discussioni e la situazione
tra noi era molto tesa ma di certo lui non mi disgustava. Anzi.
La porta si spalancò alle nostre spalle e mia sorella si bloccò sulla soglia.
«Che facevate chiusi qua dentro?» domandò, con un sorrisino.
«Kimberly, non si bussa?» la fulminai e lei mi rispose con uno sguardo
risentito, prima di richiudere la porta.
«Andiamo, dai.» Jack mi passò davanti, riaprendola.
Lo fermai, posandogli una mano sul braccio.
«Non ho mai detto che è soltanto William a piacermi.»
La sorpresa sul suo viso mi confermò che avevamo davvero molto di cui
parlare.

La cena trascorse tranquilla finché Kimberly non ci chiese di recitare una scena
dello spettacolo.
«In realtà siamo solo all’inizio delle prove…» tentai di svicolare, non avendo
nessuna intenzione di far conoscere il copione di Lezioni di seduzione alla mia
famiglia.
«Dai, Ellybeth! Per favooooore!» Kim non demordeva e Jack scrollò le spalle.
Fui costretta ad accettare ma, non appena riuscii a prenderlo da parte, sfogai la
mia preoccupazione. «Jack! Non voglio che scoprano che genere di commedia
è!»
Alzò gli occhi al cielo come se la mia reazione fosse esagerata.
«Facciamo la quinta scena, il dialogo di William e Catherine a cena.»
Aprii la bocca per rifiutare ma ci ripensai, convenendo che tra tutti i dialoghi
era il meno allusivo e sconveniente.
«Ok.»
«Ecco la mia Catherine» mi sorrise, e mi sforzai di ricambiare.
Le poche battute ci valsero un applauso entusiasta di mia madre, urletti da fan
girl di mia sorella e un sorriso di mio padre.
«Oh, William è così romantico!» sospirò Kimberly, in adorazione. Di Jack,
ovviamente.
«Jack, hai un talento straordinario» lo adulò mia madre.
Mi aspettavo che lui rispondesse con il suo solito ghigno presuntuoso, e invece
sembrò quasi in imbarazzo. Forse nei panni del mio finto fidanzato non voleva
farsi vedere troppo pieno di sé.
«Devo dire che è facile interpretare l’uomo innamorato quando di fronte ho
uno splendore come Catherine» disse invece, cingendomi i fianchi con un
braccio.
Catherine.
Cercai di nascondere la mia confusione, offrendomi di riordinare la cucina. Già
era difficile gestire Jack e i suoi continui riferimenti a Catherine, poi si era
aggiunta l’aggravante della recita del fidanzato perfetto. Senza contare che
avevamo un discorso in sospeso, perché lui sembrava davvero essersi convinto
di non piacermi, che addirittura facessi fatica a rimanere al suo fianco.
Probabilmente immaginava che lo stessi giudicando per il suo lavoro.
Ritornai in salotto in tempo per accorgermi dell’ultima brillante idea di mia
madre: tirar fuori i miei vecchi album di foto.
«Stavo raccontando a Jack di quando non volevi indossare nient’altro che il
costumino da bagno e, quando non lo trovavi, correvi in giardino senza
mutandine sotto la gonna» ridacchiò. Quell’idiota di Jack era ormai paonazzo
dalle risate.
«Avevo tre anni!» mi difesi, imbarazzata.
«Non avrei mai immaginato le tue passate tendenze naturiste» commentò lui,
guardandomi. Solo noi due potevamo comprendere i retroscena di quella battuta
e non potevo mandarlo al diavolo come avrei voluto. Mi rassegnai al silenzio,
sedendomi accanto a lui sul divano.
«Oh le treccine…» Jack aveva girato pagina e ora mi fissava di sottecchi,
trattenendosi a stento dal ricominciare a ridere.
«Ma per favore! Anche tu avrai foto imbarazzanti di quando eri piccolo»
sbuffai.
Improvvisamente ritornò serio. «Non credo. Le foto di famiglia sono state
rigorosamente selezionate, per conservare solo quelle… migliori.»
Mi si fermò il cuore per il suo tono amaro, al punto che masochisticamente
iniziai io stessa a illustrargli le mie peggiori fotografie per fargli tornare il
sorriso.
«Oh quello è Danny!» Mia madre lo indicò in una fotografia che speravo non
esistesse più. L’unico ballo studentesco a cui ero andata, per il diploma di
Daniel. Mi avevano dovuta costringere, sia lui sia Jessica, che continuava a
dirmi che sarei stata l’unica del secondo anno a partecipare.
«Quello…stupido ballo» avrei voluto suonare disinvolta ma Jack mi stava
esaminando con troppa intensità.
«Laura ancora non ha superato l’idea che voi due…» iniziò mia madre.
«Non si è fatto troppo tardi?! Il viaggio è stato lungo» scattai in piedi,
rischiando di far volare in aria l’album. Jack mi guardò come se fossi impazzita
ma poi ammise di essere stanco.
Ero già in pigiama, in camera di mia sorella, quando lui bussò alla porta.
Fu Kimberly ad aprirgli, con un avvertimento: «Se vuoi fare cambio di camera,
ti avviso che non esiste proprio. Io nella stanza con le bambole assassine non ci
dormo!».
Jack rise e le scompigliò i capelli. «Tranquilla. Volevo solo dare la buonanotte
a tua sorella, ci lasci due minuti?»
Kimberly sbuffò ma poi ritrovò subito il sorriso quando Jack le diede un bacio
sulla fronte come buonanotte.
«Mia sorella è già cotta di te» lo avvisai, non appena rimanemmo soli.
Jack mi rispose con un sorriso soddisfatto, mentre si guardava attorno e si
sedeva sul secondo letto preparato per me. «Com’è che la camera di Kimberly
sembra una normale stanza da adolescente?» domandò, indicando i poster alle
pareti.
«Mamma non si azzarderebbe nemmeno a proporre modifiche qua.» Scrollai le
spalle come se non fosse un problema.
«La tua famiglia non è tanto male» commentò. Poi, vedendo la mia
espressione, si affrettò ad aggiungere: «Certo, a parte zia Ethel. E forse tua
madre è un tantino…».
«Lo so, non aggiungere altro.» Era un sollievo inaspettato poterne ridere
insieme.
«È stata una giornata lunga. Meglio dormirci su» annunciò poi lui, alzandosi
dal letto dopo avermi dato un casto bacio sulla guancia.
«Jack» lo bloccai. «Grazie per…»
Mi sorrise, e non ci fu bisogno di terminare la frase.
10

«Ellybeth!» urlò mia sorella, saltando nel mio letto.


«Ahia, Kimmy» mi lamentai, ancora mezza addormentata.
«Svegliati! Jack è già di sotto e tu hai un aspetto tremendo. Non vorrai che ti
veda così eh?! È un tale figo il tuo ragazzo» sospirò, spostandosi prima di
causarmi qualche danno permanente alle costole. Mi preparai in fretta e scesi
con lei.
«Buongiorno ragazze.» Mio padre era come al solito seduto al tavolo della
colazione a leggere il giornale. Jack si alzò dalla sedia accanto e mi raggiunse,
sorridendomi. «Buongiorno miciotta» sussurrò, lasciandomi un lieve bacio a fior
di labbra.
Iniziai subito bene la giornata, diventando paonazza sotto lo sguardo
imbarazzato di mio padre e quello sognante di mia sorella.
Quando finalmente riuscii a prendere Jack da parte, mi sfogai. «Miciotta? Sul
serio? Perché non orsacchiotta o pasticcino?»
«Perché quando vuoi hai davvero gli artigli.» Mi fece l’occhiolino senza
scomporsi e si allontanò.
Jessica mi aveva assicurato che sarebbe passata di buon mattino perciò, quando
sentii suonare il campanello, corsi ad aprire. Prima che potessi accorgermene ero
stritolata nell’abbraccio di Laura, la madre di Daniel.
«Oh Lizzy! Sei uno splendore! In questi mesi lontana da casa sei proprio
sbocciata!»
La ringraziai, contenta di vederla ma imbarazzata dai complimenti. Poi le
presentai Jack, che era apparso alle mie spalle, e lo sguardo di Laura si rabbuiò.
«Margaret mi aveva accennato che avresti portato a casa qualcuno con te.»
Jack rimase sorpreso dalla fredda accoglienza ma cercò di nasconderlo. Non
appena mia madre trascinò in cucina la sua amica, mi scusai per lei.
«Laura è una brava persona. È solo che…» Non sapevo come spiegargli il suo
comportamento, senza dover tirare in ballo Daniel.
«Liz, non sono stupido. Ho capito che suo figlio non era certo solo un amico
per te.»
Abbassai il capo, a disagio.
«È per questo che alla fine hai accettato di portarmi con te? Per far ingelosire il
tuo ex?» mi domandò, a bruciapelo, con tono risentito.
«No!» mentii ma, non appena alzai lo sguardo, Jack comprese subito la mia
bugia.
«Certo» sibilò sarcastico.

Si mantenne a distanza per tutta la mattinata; lo vidi ricevere un paio di


telefonate e ogni volta riemergerne con sguardo sempre più cupo. Poco prima di
pranzo non ce la feci più a non impicciarmi: mi stavo preparando a chiedergli il
motivo del suo malumore quando finalmente fu lui ad avvicinarsi a me.
«Ti stava suonando il telefono» mi avvisò, passandomelo. Aveva di nuovo
preso la chiamata al posto mio!
«Sì?» risposi senza controllare nemmeno lo schermo, troppo impegnata a
fulminare Jack con lo sguardo.
«Liz, credevo fossi tornata a casa.» Era la voce di Rick.
«Sì, sono a casa» replicai in automatico, senza fermarmi a pensare che stavo
svelando di aver portato Jack con me.
La linea rimase silenziosa mentre io mi insultavo mentalmente; controllai che
Rick non avesse chiuso la chiamata e vidi che Jack stava seguendo ogni mio
movimento.
«Rick…» cominciai, con l’intenzione di spiegargli quel gigantesco malinteso.
Ma senza sapere bene come farlo.
«Volevo solo chiederti un favore» mi interruppe.
«Certo! Dimmi!» esclamai, esagerando con l’entusiasmo.
«Ho messo per sbaglio in valigia il vecchio copione e mi mancano le nuove
battute di George da imparare. Se hai il tuo – o quello di Jack – con te, faresti
una foto delle pagine? Ti scrivo la mia e-mail in un messaggio.» Non avevo mai
sentito Rick usare un tono così gelido ma potevo capirlo… Mi ero sempre
prodigata ad assicurargli che tra me e Jack non c’era nulla.
«Certo, Rick» sussurrai, con voce rotta.
«Grazie, Liz» riattaccò, lasciandomi svuotata.
Jack continuava a fissarmi imperscrutabile e non ci vidi più dalla rabbia.
«Dovevi proprio rispondere?» lo attaccai.
«Deduco che non sapesse che ero partito con te» commentò, per nulla scalfito.
«Certo che no!» Il mio tono di voce troppo alto attirò l’attenzione di mia
madre, che si affacciò dalla cucina.
«Tutto bene?»
Jack mi fissò per un lungo istante e sperai che riuscisse a rassicurarla con uno
dei suoi sorrisi. «Un corteggiatore un po’ insistente» spiegò invece, lasciandola
ammutolita.
«Nella commedia! Rick interpreta George, il corteggiatore di Catherine» tentai
di salvare la situazione ma Jack non me lo permise.
«Qualcuno è confuso tra finzione e vita vera» commentò allontanandosi. Una
frase che era vera in molti sensi… Ma che mia madre poteva interpretare in un
senso solo.
«Santo cielo, Lizzy! Hai un ragazzo perfetto come Jack e ti metti a fare la
smorfiosa con un altro? Ti ho cresciuta meglio di così!»
Con gli occhi pieni di lacrime di rabbia e umiliazione mi voltai senza
rispondere e andai a cercare Jack.
«Grazie tante!» lo apostrofai, entrando nella mia stanza dove si era rifugiato
dopo aver sganciato la bomba.
«Sei incredibile!» rispose con una smorfia. «Stai uscendo con quel broccolo di
Rick senza dirgli nulla di noi e la colpa adesso è mia perché ti ha scoperta?»
«Io non sto…» mi fermai, perché effettivamente con Rick c’ero uscita, anche
se non nel modo che aveva insinuato Jack. «E comunque non avevi nessun
diritto di fare quella battuta davanti a mia madre!»
Lui si avvicinò, lo sguardo lampeggiante d’ira. Avevo scelto proprio il
momento peggiore per un confronto, era di pessimo umore fin dal mattino.
«Non ho mai detto che avrei accettato di fare la figura del fidanzato cornuto»
sibilò. «E avrei anche gradito sapere il vero motivo per cui hai cambiato idea su
questo viaggio. Qualcosa a che fare con un ex che nemmeno hai avuto la
decenza di nominare.»
«Questa poi!» gli puntai un dito contro. «Parli proprio tu che mi hai nascosto
perfino il tuo lavoro!»
Jack scosse il capo.
«Sai qual è il problema, Elizabeth?» domandò poi. Non aspettò una risposta.
«Il problema è che tu non hai nemmeno provato a fidarti di me» concluse con
amarezza.
Ma io non ci stavo a ritrovarmi unica colpevole delle nostre incomprensioni e
difficoltà di comunicazione. «E come posso fidarmi? Non so mai che
personaggio ho di fronte.»
Jack rimase immobile, colpito dalle mie parole.
«Lasciamo perdere» ringhiò poi, uscendo dalla stanza.
Cercai di seguirlo ma in corridoio trovai Kimberly, che mi fissava con uno
sguardo incredulo. Quanto aveva sentito e soprattutto compreso della litigata?
Il pranzo fu l’emblema del disagio e dell’imbarazzo. Jack non tentò nemmeno
di nascondere l’espressione risentita, mia sorella era stranamente taciturna e mia
madre non perdeva occasione di lanciarmi occhiate critiche. Ero tornata a casa
con un finto fidanzato, per poi litigarci portandola involontariamente a credere
che lo stessi perfino tradendo con un altro.
Ottimo lavoro, Elizabeth.
Non mi offrii di aiutare a sparecchiare e annunciai che sarei andata a trovare
Jessica. Non mi preoccupavo più di essere criticata o accusata di scortesia
nell’abbandonare Jack da solo.
Ma quando mi sfogai con lei, non trovai il conforto che mi aspettavo.
«Jack non ha tutti i torti, sai» fu il suo primo, sobrio commento.
«Cosa? Ma che avete tutti?»
«Fammi finire! Ha ragione sul fatto che avresti dovuto dirgli di Daniel. Se gli
avessi raccontato che genere di stronzo è…»
«Jess, non cominciare» la pregai.
«Ma ho ragione! Era il tuo migliore amico e ti ha spezzato il cuore! Io lo avevo
avvisato ma quell’idiota mi aveva assicurato che faceva sul serio con te. Poi è
andato al college e si è reso conto che tenerlo nei pantaloni era troppo difficile
e…»
«Jessica! Sono passati due anni! Sono mesi che ha smesso perfino di
cercarmi.» Ne ero stata sollevata perché, malgrado i suoi mille tentativi di
riprendere un rapporto di amicizia, io mi ero sempre rifiutata.
Jessica sbuffò, avevamo affrontato quella conversazione milioni di volte. «Ok.
Veniamo al dunque. Cosa intendi fare per conquistare Jack?»
La guardai come se fosse pazza. Più del solito, almeno.
«Liz, non fare quella faccia! Lui ti piace, smettila di negarlo! E tu non gli sei
certo indifferente o non sarebbe qua e…» mi mise una mano sulla bocca per
impedirmi di interromperla. «È geloso marcio di Rick.»
«Jessica, non dire sciocchezze» la pregai, esausta.
«Ascoltami! Dammi solo un briciolo di fiducia. Stasera vengo io a prepararti e
poi usciamo insieme. Stai impazzendo e devi dare una possibilità a questa cosa
tra di voi o te ne pentirai.»
«È assurdo che la mia vita stia diventando come il copione di quella stupida
commedia! Adesso finirò come Catherine quando tenta di sedurre William.»
«Ora torna a casa prima che tua madre te lo faccia scappare, il tuo William.»
Con la scusa di dover studiare, io e Jack rimanemmo in stanze separate per gran
parte del pomeriggio. Non ci eravamo per nulla chiariti e l’atmosfera in casa era
sempre più tesa.
«Ellybeth, ma Jack è davvero il tuo ragazzo?» Quando Kimberly finalmente
affrontò l’argomento non ne fui sorpresa, mi aspettavo da ore quella domanda.
«È… complicato» sospirai. «Non dire nulla a mamma, per favore.»
«Ok» con mia sorpresa, acconsentì prontamente. «Speravo che almeno a me
avresti detto la verità» sussurrò poi, prima di lasciarmi sola con il mio senso di
colpa.
Da quando me ne ero andata al college ero stata una pessima sorella maggiore,
pensai. Io e Kimberly non parlavamo a tu per tu da mesi, credevo di saper già da
mamma tutto quello che le succedeva e non mi ero resa conto di averla
stupidamente esclusa dalla mia vita. Non era colpa sua se era sempre stata la
preferita. Non del tutto, almeno. E io avrei dovuto essere quella matura.
Rendermi conto di averla ferita peggiorò il mio umore: ormai in quella casa non
c’era più nessuno che aveva piacere di parlarmi.
Mi feci forza per andare ad avvisare Jack dei piani per la serata. Contraddire
Jessica quando era così determinata non era una buona idea e, soprattutto, volevo
conoscere il suo ragazzo.
Stavo per bussare alla porta della mia stanza quando lo sentii parlare e mi
fermai.
«Dannazione, Luke! Mai una volta che tu prenda le mie difese, eh?» Era al
telefono con suo fratello e non sembrava una conversazione serena.
«Pensa davvero che lasciarmi in mezzo a una strada mi convincerà a tornare a
casa? E a mettermi a studiare quello che vuole lui?» Jack era sempre più
furibondo.
«Aspettare che fossi fuori città è stato davvero meschino perfino per voi.» Dal
suo tono disgustato e ferito compresi che doveva essere successo qualcosa di
grave.
Poi, all’improvviso, sussultai. Aveva fatto il mio nome. «Non ti azzardare a
mettere in mezzo Elizabeth! Non la nominare nemmeno!» Decisi di
allontanarmi: sarei tornata a cercarlo più tardi come se niente fosse.
Jessica arrivò poco dopo, trascinando un trolley.
«Dobbiamo partire?» scherzai.
«Scema. Ti ho portato un po’ di cose da provare. Se ti conosco non avrai messo
in valigia altro che jeans e magliette.»
Quando Kimberly ci vide arrivare in camera, si alzò per andarsene ma la
bloccai. «Perché non resti con noi? Così puoi darci un parere.»
La vidi illuminarsi e capii che avevo ancora molto da recuperare ma il primo
passo era stato fatto.
«No!» esclamai poco dopo, vedendomi allo specchio.
«Ellybeth, tieni quella!» votò Kimberly, concordando con Jessica, la traditrice.
«Jess, è troppo stretta questa maglia, ho più seno di te e mi esce tutto.» Cercai
di sistemare il reggiseno che continuava a occhieggiare dalla scollatura.
«Hai ragione. Toglila» decretò la mia amica, ma mentre stavo sospirando di
sollievo aggiunse: «Serve un reggiseno più provocante».
Tra discussioni, urletti di Kimberly e minacce di Jessica attirammo
decisamente l’attenzione, perché qualcuno bussò alla porta.
Cercai qualcosa da indossare sulla maglia scollata, temendo che fosse mia
madre, ma non feci in tempo perché mia sorella aveva già aperto.
«Mi sto perdendo una fe…» il sorriso di Jack si spense vedendomi. E i suoi
occhi si spalancarono. Arrossii.
«Scendiamo tra un minuto» lo liquidò Jessica, chiudendogli la porta in faccia.
«Direi che la maglia è perfetta» concluse poi, battendo il cinque con mia sorella.

Quando arrivò il momento di uscire, cercai di liberarmi della maglia ma


Kimberly si era coalizzata con quella dittatrice della mia amica e controllò che la
indossassi. Non dovette insistere più di tanto perché, dentro di me, avevo ancora
ben impresso lo sguardo che mi aveva rivolto Jack.
Lo sentivo silenzioso al mio fianco mentre percorrevamo i pochi metri fino a
casa di Jessica. Avrei voluto chiedergli cosa fosse accaduto con suo padre e suo
fratello, ma tra noi c’era sempre lo stesso gelo.
Jessica ci presentò Matt e vederli insieme mi riempì di gioia, era chiaramente
pazzo di lei. I due ragazzi sembrarono andare subito d’accordo e si misero a
parlare di football. Io ne approfittai per sussurrare a una Jessica palesemente
innamorata quanto adorabile era il suo Matt.
Jack mi aveva chiesto come doveva presentarsi e lo avevo rassicurato,
confermandogli che Jessica sapeva tutto e che poteva essere semplicemente se
stesso. Sperai soltanto che questo non implicasse ignorarmi o trattarmi con
risentimento.
«Ma dov’è che andiamo?» domandai a Jessica, salendo sull’auto di Matt.
«In un nuovo locale fuori città! Un’amica di amici me ne ha parlato su
Facebook. Penso che facciano serate a tema o qualcosa di simile. Comunque
siamo già in lista!»
Arrivati a destinazione, trovammo nient’altro che un buio magazzino con un
parcheggio mezzo deserto.
«Saremo arrivati troppo presto?» chiesi perplessa, scendendo dalla macchina.
«Non so. Non c’era scritto un orario» Jessica scrollò le spalle e disse il suo
cognome alla ragazza che ci accolse all’entrata.
Mi guardai attorno, nella luce soffusa. Dove eravamo capitati? La pista da
ballo era deserta, la musica non era da discoteca e i tavoli erano sistemati in
piccole nicchie addossate alle pareti. Non c’era abbastanza luce per capire quanti
clienti ci fossero, oltre a noi quattro, ma notai che su alcuni tavoli c’era un cubo
luminoso con un numero.
La cameriera ci guidò fino a uno dei separé e posò due cubi luminosi sul nostro
tavolo, insieme a quattro menu. C’era qualcosa di molto strano in quel posto, ma
la mia preoccupazione maggiore in quel momento era quella malefica maglia
che indossavo.
«Liz, non ti togli la giacca?» mi invitò Jessica, lanciandomi un’occhiata
eloquente attraverso il tavolo.
Sospirai e mi decisi, evitando di guardare in direzione di Jack, seduto al mio
fianco. Lui però era distratto a guardare il menu, che stava mostrando a Matt. Li
vidi scoppiare a ridere. Scambiando uno sguardo con Jessica aprimmo i nostri
per vedere cosa ci fosse di così divertente… E tutto divenne più chiaro.
«Ora la mia domanda è: se io ordino un numero cinque mi portano il drink alla
pesca, mango e vodka o la cameriera mi…» Jack si interruppe, scosso dalle
risate.
Matt gli diede corda: «Jack, ma se ordiniamo un cinque e un… dodici credi che
ce li portino o passano direttamente al drink sessantanove?».
«Matty! Non ti ci mettere anche tu!» lo rimproverò Jess.
«Jessica, ma in che posto ci hai portato?» chiesi, atterrita. Già l’aspetto
particolare del locale mi aveva fatto venire dei dubbi, che adesso si stavano
trasformando in certezze.
«Forse sarebbe il caso di andarcene» propose Jess, con una serietà che le era
solitamente estranea. Sospirai di sollievo mentre i due ragazzi acconsentivano,
frenando le risate e le battutine.
«Però prima dovrei andare in bagno» aggiunse Jessica, mentre ci stavamo già
alzando.
«Oh santo cielo, Jess! Dai, ti accompagno.» La spinsi via dal tavolo.
«Noi vi aspettiamo fuori» ci gridò dietro Matt.
Accompagnai Jessica fino alla porta del bagno e le intimai di sbrigarsi. Mi
stavo rimettendo la giacca, non vedendo l’ora di andarmene, quando un tizio si
avvicinò.
«Ehi bellezza, che numero hai?» mi domandò, con un sorriso lascivo,
poggiando una mano sul muro alle mie spalle.
«Scusi, me ne sto andando» risposi, allontanandomi di qualche passo.
Ma il tipo non demordeva e mi seguì. «Il numero del tavolo…» soffiò, di
nuovo troppo vicino, e avvertii un forte odore di alcool. Ma non aveva alcun
senso che mi chiedesse il numero, nemmeno avevamo ordinato e lui di certo non
faceva parte dello staff!
«Ci siamo fermati solo un attimo e stiamo già andando via, mi scusi.» Mi
avvicinai alla porta, pregando che Jessica non stesse perdendo tempo a ritoccarsi
il trucco.
«Appunto, il numero serve per dopo!» continuò a insistere, cominciando
davvero a spaventarmi.
La porta finalmente si aprì e sospirai di sollievo, ma non era Jessica. Se non
altro, comunque, non ero più da sola con quell’ubriaco.
La donna che era appena uscita mi squadrò dalla testa ai piedi e sorrise.
«Che succede?» domandò, rivolgendosi all’uomo.
Indietreggiai, cercando di rifugiarmi nel bagno ma lei ne bloccava ancora
l’entrata.
«Fa la timida» lui schioccò la lingua, fissando la mia giacca rimasta aperta e la
scollatura della mia maglia.
La donna sbuffò e mi prese per un gomito. «Vieni, tesoro. Andiamo via.»
«Sto aspettando la mia amica» protestai, ma l’ubriaco si avvicinò ancora e
decisi che la soluzione migliore era approfittare della gentilezza della
sconosciuta, per riuscire a raggiungere Jack. Poi Matt sarebbe tornato a prendere
Jessica.
La donna mi sorrise rassicurante e mi guidò verso l’uscita.
«Un momento, ma questa…» mi fermai, accorgendomi che non era la stessa
porta da cui eravamo entrati.
«È un’altra uscita, tesoro. Stai tranquilla» sorrise ancora.
Eravamo nel parcheggio sul retro, dalla parte opposta rispetto a dove Matt e
Jack mi stavano aspettando.
«Il mio…» mi schiarii la voce. «Il mio ragazzo mi aspetta all’entrata.»
«Oh benissimo! Ora lo raggiungo subito» la sconosciuta mi fece un sorriso
soddisfatto e si girò per tornare dentro. Che diavolo stava succedendo?
Cercai di seguirla ma dalla stessa porta uscì l’ubriaco di prima. Ora le cose si
facevano davvero inquietanti.
«Eccomi qua, tutto per te, bambolina» disse avvicinandosi a grandi passi.
Ero ormai terrorizzata e impiegai un secondo di troppo per decidere di
scappare. Lui mi afferrò per un braccio. «Senti, va bene un po’ di recita ma
adesso puoi piantarla» aggiunse infastidito.
«Lasciami andare!» gridai, ansimando per la paura.
«Guarda che non sono previsti giochi di ruolo, se vuoi il rapitore te lo devi
cercare altrove.»
Ma di che diavolo stava parlando?
«Io non cerco proprio nulla.» Volevo suonare minacciosa e perentoria ma
sembrai solo spaurita.
«Ora basta fare la preziosa!» ordinò lui, afferrandomi con forza un fianco con
la mano libera.
La porta si aprì di nuovo e sussultai, temendo che fosse tornata la sua complice
a dargli man forte. Il sollievo di vedere Jack fu così grande che gemetti il suo
nome.
«Toglile subito le mani di dosso!» Jack strattonò via il maniaco e si parò di
fronte a me.
«Ehi, ehi! Stai calmo!» L’uomo alzò le mani, indietreggiando.
Afferrai con una mano la giacca di Jack e sentii che il suo intero corpo era teso,
pronto a scattare.
«Calmo?! Stavi molestando la mia ragazza, schifoso bastardo!»
«Pensate sia divertente far perdere tempo alla gente?»
«Perdere tempo?» ripeté Jack, interdetto.
Solo allora l’ubriaco iniziò a capire che forse c’era stato un malinteso.
«Siamo alla serata scambio di coppie, imbecilli!» Ci rivolse uno sguardo
indignato e tornò nel locale.
«Non ci credo» sospirò incredulo Jack.
Mi allontanai di un passo ma le gambe mi reggevano a fatica.
«Ehi, attenta.» Mi cinse la vita con un braccio e tutta l’adrenalina mi
abbandonò. Nascosi il viso contro il suo petto e scoppiai in lacrime.
«Shhh, va tutto bene, Liz. Tranquilla.» Mi strinse forte tra le sue braccia e mi
lasciò sfogare, carezzandomi lentamente i capelli.
Quando mi ripresi, raggiungemmo Matt e Jessica alla macchina. La mia amica
era mortificata, non l’avevo mai vista così pallida in viso. Si scusò mille volte,
dicendo che era stata una stupida a non informarsi meglio. Io semplicemente
annuivo ma non avevo la forza di parlare. Salimmo in macchina e Jack mi fece
scivolare di nuovo tra le sue braccia.
«Mi dispiace non essere arrivato prima ma quando la moglie di quell’imbecille
mi si è avvicinata, nel parcheggio, non ho subito capito cosa stava succedendo»
mi spiegò, continuando a carezzarmi la schiena per tranquillizzarmi.
«Io ero andato a cercarvi in bagno e c’era solo Jessica» aggiunse Matt,
dispiaciuto.
«Sono stata… stupida» ammisi, la voce ancora roca dopo il pianto. «Ho
seguito la signora pensando che così il maniaco avrebbe smesso di importunarmi
e invece mi sono ritrovata da sola con lui sul retro.»
Jack mi strinse più forte e lo sentii sospirare, tra i miei capelli.
«Liz, mi dispiace da morire. Non so davvero…» ricominciò Jessica ma la
fermai.
«È passata. Mi sono solo spaventata, magari una volta chiarito l’equivoco non
sarebbe comunque successo nulla» cercai di convincere sia lei sia me stessa ma
sentii Jack irrigidirsi.
Nessuno parlò più nel tragitto di ritorno. Avrei dovuto ricompormi ma in quel
momento tutto ciò che volevo era rimanere tra le braccia di Jack.
Rientrammo a casa di Jessica e per fortuna i suoi genitori erano ancora fuori a
cena: quando andai in bagno mi resi conto dello stato pietoso del mio viso. Il
poco trucco che avevo usato era tutto sbavato e i miei occhi erano gonfi e rossi.
Jessica mi raggiunse in bagno e mi abbracciò. «Senti, perché non avvisi tua
mamma che tu e Jack rimanete a dormire qua? C’è una stanza degli ospiti, lo
sai.»
Annuii, sollevata di non dovermi far vedere in quelle condizioni da mia madre.
La mia amica preparò la stanza per Jack e poi scese per dare la buonanotte
come si deve al suo ragazzo dopo quella serata disastrosa. Rimasta da sola, presi
uno dei suoi pigiami dal cassetto e mi raggomitolai nel suo letto.
Quando Jessica tornò, finsi di dormire e attesi che si addormentasse per
potermi alzare e andare in bagno.
Stavo rientrando in camera quando Jack aprì la porta della stanza degli ospiti.
Rimasi a fissarlo, nella fioca luce che proveniva da dietro le sue spalle.
«Vieni qua» bisbigliò, e semplicemente lo seguii.
Si rimise a letto e mi fece segno di raggiungerlo. Ero troppo stanca,
fisicamente ed emotivamente, per protestare e fingere che non fosse quello che
volevo anch’io.
Mi sdraiai al suo fianco e Jack spense la luce.
«Dormi tranquilla, Liz» mi sussurrò.
11

Quando aprii gli occhi, impiegai qualche secondo per ricordare dove mi trovavo
e soprattutto con chi. La mano di Jack era posata sul mio fianco e sentivo il suo
respiro tra i capelli. Mi girai lentamente, e trovai i suoi occhi scuri che mi
fissavano.
«Buongiorno» sussurrai, improvvisamente imbarazzata.
«Come stai?» chiese preoccupato.
«Bene.» Mi misi seduta, sfuggendo al suo sguardo.
Nessuno si era ricordato di chiudere le persiane e nella piena luce del mattino
mi sentivo a disagio per l’intimità che avevamo condiviso. Per tutto il tempo che
mi aveva tenuta tra le sue braccia nel viaggio in auto, perché mi aveva accolta
nel suo letto e rassicurata quando mi ero svegliata nel bel mezzo della notte, in
preda agli incubi.
«A che ora è il fatidico pranzo?»
Non ti voltare, Liz.
Ma era scortese non guardarlo mentre gli rispondevo. Jack, con i capelli
scompigliati, l’espressione ancora assonnata e mezzo nudo tra le lenzuola, dato
che non aveva il pigiama, era una visione.
«È alle…» distolsi lo sguardo per riuscire a parlare. «Dobbiamo comunque
uscire prima perché il ristorante è lontano.» Mi alzai dal letto e mi dileguai, con
la scusa di andare in bagno.
Jessica ne stava uscendo proprio in quel momento, ma la rispinsi dentro.
«Ehi chi si vede» mi salutò.
«Non. Una. Parola» le intimai, aprendo il rubinetto per lavarmi il viso.
«Quindi perché mi tieni in ostaggio?» mi chiese, sorridendo.
«Jess, dammi il tempo di connettere e ti racconto» sbuffai.
«Aspetto che tu abbia finito di raccogliere il gregge di ormoni che stanno
pascolando» sghignazzò, finché non le tirai addosso l’asciugamano.
Non potei prendermela con Jessica quando dovetti presentare Jack come il mio
ragazzo a sua madre; d’altronde, avevamo dormito a casa loro. Giusto il tempo
di una colazione veloce e di qualche convenevole e ce ne andammo.
Prima che raggiungessimo casa mia, Jack mi fermò. «Sei sicura di stare bene?
Dopo ieri sera…»
«Sì. Preferisco non pensarci più.» Sarebbero stati sufficienti gli altri incubi che
sicuramente avrei fatto.
Jack annuì e io gli sussurrai un timido «grazie». Poi riprese a camminare
prendendomi per mano. Quei pochi istanti di quiete si dissolsero non appena
mettemmo piede in casa.
«Santo cielo, Lizzy! Devi ancora prepararti! Faremo tardi!»
«Mamma, non sono nemmeno le dieci e…»
«Ho promesso a Laura che arriveremo prima degli altri invitati così controllerò
con lei la sala!»
«Se me lo avessi detto!»
Apparve mio padre, con la cravatta ancora da annodare e l’aria già esasperata.
«Richard! Nemmeno tu sei pronto?! E Kimberly dov’è? Possibile che in questa
casa nessuno mi ascolti?» Mia madre batté un piede per terra e se ne andò,
urlando il nome di mia sorella.
Jack si stava visibilmente trattenendo dal ridere.
Mio padre si passò una mano sul viso, poi sospirò. «Non è nemmeno il nostro,
di anniversario. La tentazione di divorziare solo per non arrivarci mai è davvero
forte.»
«Andiamo a vestirci, prima che mamma si faccia venire un infarto» proposi a
Jack, che era l’unico a trovare divertente la situazione.
Ero appena uscita da una velocissima doccia quando mi sentii chiamare dal
piano di sotto. Mi affacciai dal pianerottolo, in accappatoio, per scoprire quale
altra tragedia fosse accaduta.
«Liz, noi andiamo! Ho risolto, per fortuna. Arriva Daniel a prendervi tra
mezz’ora.»
«Cosa?! Mamma!» la chiamai ma sentii chiudersi la porta di casa.
Nel giro di poco sarei finita chiusa in auto con il mio vecchio migliore amico
nonché primo amore, che non vedevo da quasi due anni, e… Jack.
Mia madre aveva insistito che indossassi il vestito comprato per il matrimonio
di un lontano cugino. Il problema era che nel frattempo il mio corpo era un po’
cambiato. Stavo litigando con la cerniera quando mi accorsi che il tempo stava
scadendo e sbuffando andai dritta in camera mia, dove Jack si stava allacciando
la camicia.
«Ho bisogno di aiuto.»
Jack mi guardò e gli indicai le mie spalle, voltandomi.
Lo sentii spostare i miei capelli di lato per chiudere quella dannata cerniera.
«Liz, è un po’…»
«Lo so! Questo maledetto vestito è vecchio e ho preso qualche chilo, ok?!» mi
difesi, sempre più nervosa.
«Più ti agiti peggio è, stai ferma.» Mi passò le mani sul ventre, tirando la stoffa
verso la schiena e provocandomi un brivido. Trattenni il respiro mentre Jack
riusciva nell’impresa.
Mi girai per ringraziarlo e lo vidi perplesso.
«Che c’è?» domandai, a disagio.
«Tua madre non deve avere la minima idea di come ti sta questo vestito. E tu ti
lamentavi della maglia di ieri sera» ghignò.
«Oh per la miseria! Perché improvvisamente le mie tette sono diventate un
caso nazionale?» persi la pazienza e in quel momento suonò il campanello.
«Di male in peggio» sospirai.
Jack fece una smorfia. «Muoio proprio dalla voglia di conoscerlo, questo
Daniel.»
Recuperai la borsa dall’altra stanza e scesi le scale insieme a Jack, che si stava
infilando la giacca. Grazie al cielo si era ricordato di mettere in valigia qualcosa
di elegante per quel pranzo, sempre che non fosse uno dei suoi outfit da lavoro.
Mi tremava la mano quando aprii la porta.
Daniel non era cambiato molto, anche se si era lasciato crescere il pizzetto e
portava i capelli più corti. Mi si fermò per un attimo il respiro quando mi sorrise.
«Lizzy?! Sei…» Scosse il capo, incredulo.
«Ciao… Daniel.» Mi mancava la voce e… anche la terra sotto i piedi.
«Santo cielo, quasi non ti riconoscevo! Vieni qua, piccola.» Mi avvolse in un
abbraccio che mi lasciò stordita. Perché era così familiare da fare male e mi era
mancato molto più di quanto volessi ammettere.
Jack finse un colpo di tosse e ci allontanammo.
«Daniel, lui è…»
«Il suo ragazzo. Jack» terminò da solo di presentarsi.
L’espressione sorpresa sul viso del mio vecchio amico mi disse che sua madre
non gli aveva raccontato nulla.
«Ok. Se siete pronti, andiamo» propose, visibilmente imbarazzato.
Quanti anni di galera avrei rischiato, se avessi ucciso sia mia madre sia Laura?
Magari mi avrebbero fatto uno sconto due per uno e ne sarebbe valsa la pena.
Mentre percorrevamo il vialetto Jack mi sussurrò: «Così lui può chiamarti
piccola, eh?».
«Lizzy, hai ancora problemi di mal d’auto? Vuoi sederti davanti?» domandò
Daniel, ricordando probabilmente tutte le volte che avevo vomitato la colazione
andando in gita con la sua famiglia.
«Grazie» gli sorrisi, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Era stato molto più
facile chiuderlo fuori dalla mia vita a distanza, non ci sarei mai riuscita se non
fossimo stati fisicamente lontani per due anni.
«Dobbiamo fermarci a prendere qualcun altro?» domandai, salendo in auto al
posto del passeggero, mentre Jack si sistemava dietro.
«No, perché?» Daniel mi rivolse uno sguardo confuso.
Forse il matricidio lo avrei evitato ma Laura non sarebbe sopravvissuta, per
quanto le avessi sempre voluto bene come a una zia.
«Tua madre aveva accennato che avresti portato qualcuno…» mi accorsi che
avrei fatto meglio a tacere e cercai di chiudere l’argomento. «Non ho ben capito,
comunque.»
«A me ha solo detto di passarti a prendere perché eri un po’ in ritardo» spiegò
Daniel, dandomi la conferma che eravamo stati fregati in due.
Jack si schiarì la voce, aveva senz’altro compreso che qualcosa non tornava.
«Come va al college, Lizzy?» si informò allora Daniel, rivolgendomi un
sorriso.
«Bene! Anche se temo di aver scelto il piano di studi più impegnativo
possibile» ammisi, guardandomi le mani posate in grembo.
La risata di Daniel risvegliò in me un fiume di ricordi nostalgici.
«Frequentate gli stessi corsi?» si informò ancora guardando Jack nello
specchietto retrovisore.
«Solo uno. Reciteremo insieme a teatro tra qualche settimana» rispose lui,
sporgendosi tra i sedili.
Daniel rimase in silenzio, per un istante. «Teatro, Lizzy?» Doveva pensare che
stessimo scherzando, lui che conosceva la mia leggendaria timidezza.
«È una lunga storia.»
Mi sorrise incoraggiante: «Di tempo ne abbiamo. Approfittiamone». Lo avevo
evitato a lungo e, per quanto sua madre lo avesse tenuto di certo aggiornato,
capivo che era curioso di sapere cosa era accaduto da quando non c’era più lui
nella mia vita.
Feci un rapido riassunto dei motivi per cui ero finita in quel corso e di come
poi io e Jack eravamo diventati Catherine e William.
«Wow» commentò alla fine Daniel.
«La scelta di Catherine è stata davvero fortunata per me» osservò Jack,
soffiandomi ogni parola direttamente sul collo.
Girai il viso e mi persi a fissare i suoi occhi scuri, odiando la mia stessa
incertezza. Quello era davvero un suo pensiero o stava recitando semplicemente
la parte del finto fidanzato innamorato?
Daniel si schiarì la voce. «Mi fermo un attimo, se no a casa non ci arriviamo»
avvisò, svoltando verso la stazione di servizio.
Non appena il mio amico scese, Jack mi chiese di raggiungerlo nei sedili
posteriori. Anzi, me lo ordinò, in un tono che non ammetteva rifiuti. D’altronde
meritava una spiegazione. Avevo appena richiuso la portiera che mi trovai
avvolta tra le sue braccia.
«Jack, cosa…?»
«Non ti divincolare come una gattina dispettosa, sei tra le braccia del tuo
ragazzo» sibilò, accennando con il capo al finestrino dietro di sé. Alzai lo
sguardo: Daniel ci stava fissando ma, vedendosi scoperto, si girò verso la pompa
del carburante.

«Ecco» sussurrò Jack, sfiorandomi il collo con un bacio. «Ora mi dici cosa è
successo tra te e quel broccolo. La verità.» Il suo tono perentorio mal si sposava
con la delicatezza dei baci che mi stava lasciando a fior di pelle.
Deglutii, cercando un po’ di lucidità per rispondere. «Era il mio più caro
amico, siamo cresciuti assieme e poi… siamo diventati una coppia.»
«Liz» mi spronò a continuare, baciandomi il mento. Ma non è che così mi
aiutasse a restare lucida.
«È andato al college e la distanza…» ero arrivata al punto dolente. «Diciamo
che voleva viversi il college senza pensieri e mi ha proposto di tornare solo
amici.»
«Imbecille» sussurrò Jack, lasciandomi un bacio all’angolo della bocca.
«Sono passati quasi due anni ma non ho più voluto vederlo né sentirlo. Mi ha
cercata per mesi fino a…» gemetti perché Jack mi stava sfiorando una coscia,
alzando il bordo del vestito.
«Sbaglio o sua madre sta cercando di farvi tornare insieme?» domandò.
Chiusi gli occhi cercando di riprendere un po’ di contegno. «Laura ha detto a
mia madre che lui sarebbe tornato a casa con una fantomatica fidanzata
giornalista» ammisi riluttante.
Jack scosse la testa e i suoi capelli mi solleticarono il collo. «Ora capisco
perché hai cambiato idea sulla mia presenza.»
«Jack…» Riaprii gli occhi, sentendomi stupidamente in imbarazzo dopo
avergli confessato tutto.
Alzò lo sguardo e mi fissò con intensità. «Ogni lasciata è persa» fu il suo
sibillino commento prima di posare la sua bocca sulla mia e coinvolgermi in un
bacio appassionato.
Mi staccai quando sentii chiudersi la portiera. Jack si rimise seduto composto
mentre Daniel avviava il motore. Guardai fuori dal finestrino, mentre in auto
regnava il silenzio. Jack mi aveva lasciato senza fiato, e non solo per il suo
bacio.
«Kimberly come sta?» chiese Daniel dopo qualche minuto, non facendo
commenti sul fatto che non fossi più seduta accanto a lui.
«Bene. Stando a mia madre è la star del suo anno. Devo ammettere che non
sono stata una sorella molto presente da quando sono partita per il college e mi
sento in colpa.»
Era passato il tempo, eravamo cambiati noi ma le abitudini erano difficili da
soffocare. A Daniel avevo sempre raccontato tutto, senza nemmeno
accorgermene. Non osavo guardare Jack, lo sentivo che mi stava fissando,
probabilmente sorpreso dalla mia improvvisa confessione.
«Oh Lizzy! Non dire così. Tu e Kim vi volete bene ma Margaret vi ha reso
molto difficile avere un bel rapporto. Ha sempre avuto la mania di fare confronti,
decidendo che tu li avresti persi in partenza.» Daniel mi fece un lieve sorriso dal
riflesso dello specchietto e ricambiai. Sapeva tutto da sempre delle dinamiche
della mia famiglia, e negli ultimi anni non erano certo cambiate.
Jack mi diede un lieve pizzicotto sul braccio per attirare la mia attenzione. Era
vero, stavo evitando di guardarlo. Ma parlare con Daniel era molto più facile, gli
occhi scuri di Jack sembravano essere sempre in grado di scavarmi dentro alla
ricerca dei miei veri pensieri. Si sentiva escluso dai nostri discorsi o stava
continuando a recitare la parte del fidanzato possessivo?
Intrecciai la mano nella sua e lo sentii rilassarsi.
Passò qualche altro minuto di silenzio, prima che Daniel domandasse: «Jessica
come sta?».
«Bene. Siamo usciti con lei e il suo ragazzo Matt ieri sera» raccontai, non
riuscendo a evitare di rabbrividire al ricordo. Jack strinse per un attimo la mia
mano con più forza.
«Il college come va?» chiesi a mia volta, cambiando argomento per distrarmi
dai ricordi e per non lasciare solo a lui il peso della conversazione. Mi rattristava
parlarci come due semplici conoscenti.
La risposta di Daniel fortunatamente occupò quasi tutto il resto del viaggio,
finché il discorso si spostò sulle ultime deliranti settimane di organizzazione di
quel pranzo. «Tra un paio d’anni tocca ai tuoi, Lizzy. In bocca al lupo!» rise alla
fine, parcheggiando.
Jack, che aveva trascorso gli ultimi minuti sbuffando, aprì la portiera prima
ancora che il mio amico spegnesse il motore.
«Raggiungo mia madre prima che si metta a maltrattare lo staff» mi sorrise
Daniel, facendomi una lieve carezza su un braccio prima di voltarsi e andarsene.
«Eh sì, si vede che vi siete lasciati davvero in pessimi rapporti.» Jack schioccò
la lingua, camminando accanto a me verso l’entrata del ristorante.
«Siamo stati amici per quasi tutta la vita» gli spiegai, un po’ sulla difensiva.
Jack scosse il capo ma non aggiunse altro.
Non appena ne ebbi l’occasione, presi da parte mia madre. «Mamma! Perché
mi hai raccontato che Danny era fidanzato?»
«Oh.» Sembrava a disagio. «È stata Laura a dirmelo. Deve aver capito male.»
«O forse pensava di farmi ingelosire e convincermi a parlare di nuovo a suo
figlio?»
Rimase in silenzio, evitando il mio sguardo. Dopo la chiusura dei rapporti tra
me e Daniel, la mia famiglia aveva evitato di mettere bocca, al contrario Laura
aveva cercato di parlarmi di lui ogni volta che mi incontrava, almeno finché non
ero partita per il college. E non dubitavo che avesse fatto lo stesso con Daniel.
Era un miracolo che non ci odiassimo.
Tornai verso Jack, che stava chiacchierando con mio padre. «Tua sorella è là
che parla con un ragazzotto tutto brufoli» mi avvisò.
Sorrisi. «Kim ti adora ma se le fai una finta scenata da fratello maggiore rischi
davvero grosso.»
«Andiamo a sederci, dai» mi prese per mano, facendosi strada tra i gruppetti di
invitati che conversavano.
Non me ne stupii, considerando che Laura si era occupata dell’organizzazione,
ma Jack non se lo aspettava, e lo sentii imprecare quando vide che il nome di
Daniel figurava nel segnaposto accanto al mio.
«È già tanto che io non sia finito a un altro tavolo» borbottò alla fine,
sedendosi tra me e Kimberly.
Sapevo che il pranzo sarebbe stato imbarazzante, ma ero stata fin troppo
ottimista.
Daniel monopolizzò la mia attenzione fin dai primi istanti, rivangando ricordi
che ci legavano. Tutta la mia famiglia venne coinvolta, perfino mia sorella che
divenne paonazza quando lui raccontò di avermi aiutato a cambiarle il pannolino
in più di un’occasione.
Non sarebbe stato nemmeno così male se Jack non fosse finito inevitabilmente
escluso da ogni conversazione e avesse quindi cercato di attirare la mia
attenzione a modo suo. Cominciò posando un braccio sullo schienale della mia
sedia e facendomi perdere il filo del discorso semplicemente con la lieve carezza
di un dito lungo la mia colonna vertebrale. Poi, quando Daniel coinvolse mio
padre nel racconto della disastrosa vacanza in campeggio, avvicinò la sua sedia
alla mia, lentamente e con discrezione, finché non sentii la stoffa dei suoi
pantaloni a contatto con il mio polpaccio.
Ebbi solo qualche minuto di tregua, mentre Jack rispondeva a una domanda di
mia sorella, ma non appena Daniel trovò un nuovo aneddoto da raccontare sentii
la sua mano sul mio ginocchio. Sussultai e scivolai in avanti, per nascondere
quel gesto. Credevo che, se l’obiettivo era farsi vedere dal mio amico, in questo
modo Jack avrebbe ritirato la mano. Ovviamente mi sbagliavo.
«Lizzy, ti ricordi quella volta del bagno in piscina da Roger…» Ma la fine del
racconto andò perduta per me, perché la mano di Jack stava risalendo l’interno
della mia coscia.
Gemetti e finsi un colpo di tosse. Jack mi porse il mio bicchiere, con un sorriso
malizioso.
Arrivarono i secondi e, approfittando della distrazione, Jack mi sussurrò:
«Visto che siamo agli aneddoti, posso raccontare di quella volta in cui mi sono
infilato nella tua doccia?».
Sospirai. «Jack, per favore. Basta giochetti alla William.»
Mi rivolse uno sguardo sorpreso ma non riuscì a replicare perché venne
richiamato da mia madre.
Laura e Rob erano seduti all’altro estremo della lunga tavolata di amici e
parenti, ma mentre stavamo finendo l’arrosto Laura ci raggiunse. Mi ero
volutamente tenuta a distanza: non volevo rovinarle la festa, ma ero rimasta
molto delusa dalla sua macchinazione.
E ancora non avevo visto nulla.
Tra sorrisi e chiacchiere, chiamò l’amico fotografo pregandolo di scattarle
alcune foto con tutti noi.
«Ora me ne fai una di Lizzy e Daniel? Sarà splendida sul caminetto accanto a
quella di quando erano bambini!»
Jack stava bevendo e quasi si soffocò, mia madre sbiancò e Daniel mi lanciò
uno sguardo imbarazzato. Il fotografo si preparò e Daniel mi passò un braccio
attorno alle spalle.
«Più vicini! Non ci starete mai nell’inquadratura!» si lamentò Laura, come se
fosse lei ad avere la fotocamera in mano.
Poi chiese di vedere l’anteprima e fece scattare la foto quattro volte, prima di
reputarsi soddisfatta. Nell’ultima dovevo aver assunto ormai un colorito aragosta
mentre sentivo Jack tamburellare le dita sul tavolo, innervosito.
Furono i due minuti più lunghi e dolorosi degli ultimi anni, addossata così
vicina a Daniel. Usava ancora lo stesso profumo e il tocco della sua mano era fin
troppo familiare.
Quando sciolse l’abbraccio, feci l’errore di guardarlo e crollai, perché nei suoi
occhi azzurri lessi tutta la malinconia e tutto il dispiacere che non gli avevo mai
permesso di mostrarmi. Mi mancò il respiro quando si chinò a baciarmi sulla
fronte, prima di lasciarmi libera.
Jack si alzò e mi offrì la mano. «Andiamo a fare due passi?»
Non osai guardare nessuno negli occhi mentre mi alzavo e uscivo nel giardino
sul retro con lui.
«Liz, ho bisogno della verità» disse, fissandomi con aria grave.
«Su cosa?»
Sbuffò. «Vuoi tornare con quell’imbecille? Basta che tu lo dica e chiudiamo la
messa in scena.»
Il suo tono mi ferì. Già era una giornata difficile, doveva proprio mettercisi
anche lui a peggiorare le cose facendo il bambino?
«Santo cielo! Di questo ti preoccupi? Mi dispiace, dico davvero, di come Laura
ti ha mancato di rispetto. Ma non ti farò fare la figura del cornuto. E comunque
puoi anche smettere di recitare.»
Jack si avvicinò e il suo sguardo tagliente mi lasciò senza fiato. «Ti fa comodo
credere che io non sia mai me stesso, così puoi avere sempre la scusa pronta.»
«Che cavolo stai dicendo?» Stavo tremando per la quantità di emozioni che
non riuscivo più a contenere. Sgomento, incredulità, rabbia… desiderio. Quando
lui mi era così vicino, perdevo sempre la capacità di ragionare lucidamente.
Scosse la testa, esasperato. «Tu con chi credi di avere avuto a che fare in questi
ultimi giorni? Con William?»
«Non lo so!» urlai.
«Questo sono io, dannazione!» alzò la voce a sua volta.
La porta si aprì e mia sorella ci chiamò.
«Stanno per servire il dolce» disse con voce preoccupata.
«Arriviamo» sussurrai. «Jack, io…» ma non sapevo cosa aggiungere.
«Ne riparliamo stasera» mi interruppe e mi precedette dentro.
A un passo dalla porta, però, si girò e all’improvviso mi avvolse in un
abbraccio.
«Voglio solo che sia chiaro che…» bisbigliò, direttamente al mio orecchio.
Trattenni il respiro. «Quando ti bacio… quando ti sfioro… quando ti tocco…
sono io. E voglio te.»
12

Non mi accorsi nemmeno di cosa venne servito a tavola, mi sforzai di mangiare


qualche boccone senza sentirne nemmeno il sapore, persa in un mondo di
riflessioni silenziose. Daniel mi aveva rivolto un’occhiata preoccupata quando
ero rientrata insieme a Jack. Mentre tutti erano concentrati sul taglio della torta
cercò di parlarmi.
«Lizzy, tutto bene? Hai litigato con il tuo ragazzo?»
Mi limitai a sussurrargli un «Va tutto bene».
Jack non mi aveva più sfiorata, nemmeno per sbaglio.
Poco prima di andare via, mi raggiunse in bagno mia madre. «Elizabeth, non
avevo capito che Laura fosse così determinata» disse solo, e io capii che era il
suo modo di scusarsi e dovevo farmelo bastare.
Forse come parziale risarcimento, con la sua logorrea riempì per tutto il tragitto
in auto quello che avrebbe potuto essere un silenzio imbarazzato. Mandai un
messaggio a Jessica e, con enorme sollievo, la trovai insieme a Matt ad
attenderci sul vialetto.
Lasciai Jack in compagnia di Matt e mio padre e la trascinai al piano di sopra
con la scusa di cambiarmi abito.
«Liz, che è successo? Hai una faccia!»
Mi lasciai cadere sul letto di mia sorella, proprio mentre entrava anche lei. Ci
scoccò un’occhiata.
«Me ne vado subito» annunciò con tatto.
«No resta, Kim.»
Mi feci forza, mentre mia sorella e la mia migliore amica aspettavano in
preoccupato silenzio che mi sfogassi. «Jack ha detto che non sta recitando.»
Jessica sorrise, Kimberly sembrava dubbiosa ma rimase in silenzio.
«Lui mi piace e anche tanto. Non solo fisicamente, anche se, insomma…»
«È un gran figo» terminò mia sorella, regalandomi un sorriso.
«In questi giorni ha conosciuto tutto di me, la famiglia, gli amici, il mio
passato. Di lui invece non so quasi nulla, è sempre così riservato e…»
«Liz, lo so che non sei mai stata alla ricerca di una storia di solo sesso. Ma
nulla ti vieta di provare a conoscere meglio Jack. Magari mentre…» Jessica si
interruppe e guardò mia sorella che, di rimando, alzò gli occhi al cielo.
Interpretandolo come un permesso, Jess continuò: «Santo cielo! Almeno
qualcosa potete farlo, dai! Non oso immaginare come sia ridotto questo povero
ragazzo, hai dormito con lui anche stanotte. Mi meraviglio che ancora riesca a
chiudere i pantaloni!».
Kimberly a quel punto scoppiò a ridere mentre io sbuffavo e mi gettavo
all’indietro fra i cuscini.
«Jess, non è solo questo. È che oggi, Daniel…» mi interruppi, vedendola
rabbuiarsi. «Mi sono resa conto di essere scappata da qualsiasi confronto,
evitando di parlarci, e quando mi ha guardata negli occhi ho rivisto Danny, il
mio migliore amico e tutto il rimpianto che provava.»
«Liz» Jessica sospirò, scuotendo la testa. Sapevo già cosa pensava di lui. «Hai
bisogno di riflettere. Però non scappare come al tuo solito.»
Era il consiglio di chi mi conosceva fin troppo bene.
Jack sembrava tranquillo quella sera: rideva con mia sorella, sopportava i
monologhi di mia madre, chiacchierava con mio padre. Ma non mi guardava
mai, non mi sfiorava mai e io mi sentivo sempre peggio. Sapevo che avrei
dovuto parlargli, che si aspettava una mia replica, ma ero davvero troppo
confusa. Andai a letto presto incolpando un forte mal di testa, ma rimasi sveglia
per ore a pensare, ricordare, sbuffare e arrabbiarmi con me stessa.

Quel ritorno a casa mi aveva scombussolata ben oltre le aspettative iniziali.


Almeno, però, sarei ripartita con la speranza di aver ripreso un minimo rapporto
con mia sorella; la abbracciai forte per salutarla e le promisi di chiamarla più
spesso.
Fu soltanto quando ci sedemmo ai nostri posti in aereo che mi resi conto di
essere finalmente sola con Jack e che avrei dovuto dire qualcosa. Ma lui si
addormentò, come all’andata.
Uscendo dall’aeroporto, temetti di aver atteso troppo, di aver lasciato che
dubbi e paure mi trattenessero dal dare una possibilità all’attrazione che ci aveva
avvicinato sul palco e seguito fino a fuori.
Stavamo per fermare un taxi quando qualcuno fece il nome di Jack e lui si girò,
rimanendo pietrificato.
Un uomo di mezza età era appena sceso da una berlina scura, parcheggiata
impunemente nella corsia dei taxi. Avanzò verso di noi, mentre il suo autista
richiudeva la portiera. Jack imprecò a mezza voce, non accennando ad andargli
incontro.
«Jack» lo salutò l’uomo, impettito nel suo elegante completo gessato, incurante
del caos di viaggiatori e valigie sul piazzale.
«Papà» Jack fece solo un cenno con il capo, il viso contratto in una smorfia.
«Andiamo a casa» gli ordinò suo padre, ignorandomi.
«No.» Jack era così teso che vedevo tremare i muscoli del suo avambraccio.
«Dannazione, figliolo! Dove pensi di andare ora che non hai più nemmeno
quel buco sudicio in cui dormire?» gli domandò, sprezzante.
«Grazie a te!» gridò Jack. «Quando la finirai di usare tutto il tuo potere per
impedirmi di vivere la mia vita?»
Suo padre lo aveva fatto sfrattare? Rimasi senza parole, comprendendo in quel
momento la telefonata tra Jack e il fratello.
«Quando tu la finirai con questo inutile momento di ribellione. Non sei più uno
sciocco adolescente, ormai sei un uomo!»
«Appunto! E sto scegliendo cosa fare della mia vita!»
Il padre accennò una risata, con gli occhi lampeggianti d’ira. «Tu questo lo
chiami vivere? Voler fare l’attore e portarti a letto ragazzotte che nemmeno
dovresti frequentare?»
Sentii la mia bocca spalancarsi, dalla sorpresa e dall’indignazione. Come si
permetteva di dire una cosa simile? Jack afferrò la mia mano e lasciai che la
stringesse con forza.
«Scusati con Elizabeth» disse piano, tra i denti.
Suo padre alzò un sopracciglio, apparentemente sorpreso.
«Elizabeth» pronunciò il mio nome come se fosse una parolaccia, «voglio che
tu sappia che finché mio figlio non metterà la testa a posto non vedrà un solo
centesimo dei soldi di famiglia. Stai attenta a non farti mettere incinta, pensando
di incastrarlo, perché sarebbe un problema solo tuo.»
Poi si voltò e se ne andò, prima che io riuscissi anche solo a recepire la
quantità di insulti che mi aveva appena rivolto. Vidi che Jack accennava a
seguirlo ma lo trattenni.
«No, Jack.»
Mi rivolse uno sguardo interrogativo.
«Se lo vuoi affrontare, fallo per come tratta te, non per quello che ha detto a
me. Non sa nemmeno chi sono» aggiunsi. Fui orgogliosa di me stessa: la mia
voce era solo vagamente incrinata.
«Mi dispiace, Liz.»
«Non… Andiamo via da qua.»
«Ok. Devo…» Jack sospirò, cercando di riprendere il controllo. «Devo cercare
un albergo.»
«No. Vieni a dormire da me.»
Stavolta ero io che non ammettevo repliche.

Jack poggiò il borsone sul pavimento della mia stanza, ancora silenzioso e
visibilmente teso.
«Le cose che avevi nel monolocale?» gli chiesi.
Jack fece una smorfia, sedendosi sul mio letto. «Mio fratello le ha fatte portare
in un deposito, è stato l’unico aiuto che mi ha dato.»
Mi sedetti al suo fianco. «Mi dispiace.» Non sapevo che altro aggiungere.
Jack mi guardò intensamente per lunghi istanti. «A me dispiace che tu ci sia
finita in mezzo. Mio padre è uno stronzo.» Rimasi in silenzio e Jack continuò.
«È proprietario del più grande studio legale della città e vuole che io e Luke
seguiamo le sue orme.»
«Tua madre?» osai domandare, non sapendo fino a che punto si sarebbe
confidato.
«È morta dieci anni fa. Quello dei miei genitori era un matrimonio di
convenienza, a mio padre interessavano i soldi della famiglia di mamma e lei era
rimasta abbagliata dalla sua ambizione.» Roteò il collo e si massaggiò una
spalla. «Dormire in aereo mi ha ucciso.»
Era chiaro che le confidenze per ora finivano lì. L’amarezza, forse, era troppa
per continuare.
Agendo d’impulso, mi sfilai le scarpe e salii in ginocchio sul letto alle sue
spalle.
«Che fai?» mi domandò sorpreso.
«Me la cavo abbastanza con i massaggi, fidati.» Gli posai le mani sulle spalle e
cominciai in punta di dita, finché il suo silenzio suonò come un consenso e
allargai le mani per massaggiargli collo e spalle. Lo sentii rilassarsi finché non
poggiò all’indietro la testa contro la mia pancia, a occhi chiusi.
Allungai una mano per passargliela tra i capelli, sopraffatta da quel suo
momento di vulnerabilità. Lui sospirò, abbandonandosi al mio tocco mentre le
mie dita scendevano a delineare i contorni del suo viso, il mento, il naso, la
fronte.
Jack si rimise seduto, girandosi leggermente verso di me e rimanendo in
silenzio, gli occhi scuri fissi nei miei, in attesa.
Al diavolo tutto, mi dissi. Al diavolo le paure e i ripensamenti. Lo baciai, per la
prima volta fui io a prendere l’iniziativa. Lui mi avvolse nel suo abbraccio non
appena sentì le mie labbra sulle sue: si era trattenuto fin troppo.
Il bacio divenne più profondo, mentre le sue mani mi arpionavano i fianchi,
aiutandomi a sistemarmi a cavalcioni sulle sue gambe. Tornai a immergere le
dita tra i suoi capelli e scivolai in avanti portando i nostri corpi a contatto
completo.
«Liz» gemette, staccandosi per lasciarmi un bacio sul collo che mi annebbiò,
distraendomi dal percorso della sua mano al di sotto della mia maglia.
Nel momento in cui mi accorsi che il mio reggiseno era sganciato, la mano di
Jack si era già insinuata rapida al di sotto della stoffa.
Ansimai per la sorpresa, inarcando la schiena di riflesso.
«Dimmelo, Liz» mi ordinò lui, approfittandone per percorrere di baci il mio
mento.
«Cosa?» ansimai confusa.
«Vuoi che mi fermi?» domandò, disegnando con il pollice il contorno del mio
seno.
«No» gemetti.
«Allora dillo.»
«Ti voglio, Jack» ammisi, a lui e a me stessa.
Era la parola d’ordine che aspettava, quella che fece crollare il muro di
incomprensioni e finzioni che avevamo costruito. Mi liberò della maglia e io feci
sparire la sua, con gesti frenetici. Questa volta non tentennai nell’aprirgli la
cintura dei pantaloni, l’esercizio era servito.
Distesa sul letto, annegai nel suo sguardo bruciante mentre mi sfilava i
pantaloni.
Jack non perse tempo, le sue mani furono subito ovunque, sul mio corpo. Il suo
tocco era deciso, impaziente ma mai troppo invadente. L’imbarazzo fece
capolino per un solo istante, quando mi ritrovai nuda, ma lo sguardo e il sorriso
che mi riservò spazzarono via ogni incertezza.
«Non osare lamentarti di come andrà» mi sussurrò nell’orecchio, con tono
divertito. «Sono troppi giorni che ti desidero.»
«Anch’io» bisbigliai. «Ma quella scorta di preservativi che ti eri portato in
valigia…?» lo provocai.
«La speranza è l’ultima a morire» ghignò, facendomi ridere. Jack non si
smentiva mai e questo, in qualche modo, mi rassicurava, perché mi convinceva
di aver sempre avuto a che fare con lui e non solo con personaggi fittizi.
«Non ti distrarre» mi ammonì poi riprendendo a baciarmi, sfiorarmi e toccarmi
ancora per lunghi, estenuanti minuti.
«Jack, dai» mi lamentai, affondando le unghie nella sua schiena.
«Impaziente?» Voleva prendersi gioco di me, ma anche a lui tremava la voce.
«Ti… stai… vendicando» ansimai.
Non rispose, non ce ne fu bisogno, perché ascoltò la mia preghiera.

«Jack?» lo chiamai, dopo lunghi istanti di silenzio, nuda tra le sue braccia.
«Uhm» rispose, pizzicandomi leggermente un fianco.
«Non è stato solo… Non stiamo solo giocando, vero?» domandai, titubante.
Mi prese il mento tra le dita e mi sollevò il capo perché lo guardassi negli
occhi. «No Liz, se fosse stato solo sesso sarebbe successo settimane fa.»
Annuii e mi strinsi a lui, rabbrividendo. Jack ci fece scivolare entrambi sotto le
coperte, pensando che avessi freddo, ma i miei brividi avevano ben altra causa:
temevo di essermi spinta ormai oltre il punto di non ritorno.
Cenammo con una pizza e Jack propose di ripassare qualche battuta del
copione. Ma il bacio di William divenne subito il bacio di Jack, mentre per la
prima volta mi sentivo davvero Catherine, condividendo il suo desiderio di
seduzione. Lui invece uscì dal copione non appena mi baciò, e non fu in grado di
cacciarmi dal suo letto. Cioè dal mio, in questo caso.
«Credi che questa nuova modifica potrebbe piacere al professore?» chiese
dopo, giocando con i miei capelli mentre io ero accoccolata contro di lui, di
nuovo nuda e ancora senza fiato.
«Non lo dire nemmeno per scherzo.»
«Comunque avevo ragione sul miciotta. Mi hai graffiato la schiena» ghignò.

Quando suonò la sveglia, il lunedì mattina, non avevo la forza di aprire gli occhi.
Jack si mosse al mio fianco, mormorando qualcosa di indefinito e allungando
una mano sul mio seno. Il pigiama non era nemmeno uscito dal cassetto la notte
precedente.
«Devo alzarmi» mi lamentai.
«Uhm» fu la sua unica risposta.
Avevamo fatto molto tardi e la voglia di uscire da quel letto caldo era davvero
poca. Mi misi seduta ma Jack mi trascinò di nuovo all’indietro. «Dove pensi di
andare?» chiese, la voce ancora assonnata.
«Ho lezione.»
«Mi sono appena svegliato con te nuda nel letto» si sdraiò su di me. «Sarebbe
davvero un grave… peccato…» Scandì ogni parola con un bacio. «Sprecare tutto
questo. Non pensi?» Facendo aderire i nostri corpi rese la domanda puramente
retorica.

«Se mi alzo, arrivo in tempo per la seconda lezione» sospirai, un’ora dopo,
ancora nuda tra le sue braccia, sotto le lenzuola.
Lui non replicò e mi alzai, sgattaiolando in bagno per una doccia veloce. Il
tempo di aprire l’acqua e Jack mi aveva già raggiunta.
«Non farò mai in tempo se mi distrai» lo accusai, girandomi per guardarlo
negli occhi.
«Ti aiuto solo a lavarti» disse, assumendo la peggiore imitazione di
un’espressione innocente, mentre le sue azioni dimostravano le sue vere
intenzioni.
«Jack!»
«Shhh, non ho specificato come.» Mi rivolse un sorriso malizioso. Neanche a
dirlo, persi anche la seconda lezione e finimmo tutta l’acqua calda.

Ormai era ora di pranzo e, avendo saltato la colazione, Jack stava diventando
irritabile, anche se era tutta colpa sua. Prima che mordesse me, proposi di uscire
a mangiare qualcosa.
Non lo avevo mai visto sorridere e scherzare con tanta naturalezza: ne avevo
avuto un assaggio in alcuni momenti della «vacanza» con la mia famiglia ma
avevo pensato che recitasse.
Gli confidai la mia sorpresa per questo nuovo lato della sua personalità. La
risposta virò sull’ironico: «Di lati miei ne hai visti parecchi, ormai. Poi tutta
quella tensione sessuale stava iniziando davvero a mandarmi fuori di testa».
«Quindi sei solo soddisfatto di esserti sfogato» gli risposi, stando al gioco.
«Non ho detto questo» sussurrò, avvicinandosi per baciarmi.
Il gesto, nella sua semplicità, mi sorprese. Avevo creduto che il suo
comportamento in pubblico non sarebbe variato rispetto alle settimane
precedenti. Non che pensassi che non volesse farsi vedere con me ma…
d’accordo forse, dentro di me, lo avevo davvero pensato.
Non tornammo al campus: Jack decretò che era un pomeriggio troppo bello per
chiudersi in un’aula.
Rimanere a passeggiare con lui per le vie della città ebbe un effetto perfino più
destabilizzante delle ore trascorse tra le lenzuola. Chiacchierare di qualsiasi cosa,
vederlo ridere, lasciarmi baciare di sorpresa e sospingere nel buio di un vicolo
per godere di qualche minuto di privacy mi fecero sentire più esposta e
vulnerabile di quando aveva guardato, baciato e toccato ogni centimetro della
mia pelle.
Fu solo quando lui si addormentò al mio fianco quella notte che mi resi conto,
non senza una buona dose di terrore, che mi stavo innamorando di Jack.
13

«Ho due avvisi importanti, fate silenzio!» Il professore zittì con impazienza il
brusio nell’aula. Le vacanze non sembravano averlo rilassato. «Laggiù ci sono
gli abiti di scena. Tra poco arriverà la sarta per controllare le modifiche da fare,
quindi andate a indossarli in fretta, ci sono già i nomi dei vostri personaggi
indicati sopra.»
«Ma dove ci possiamo cambiare?» La domanda, di una compagna di corso, mi
sembrò più che lecita.
«Ingegnatevi! Ci sono i bagni qua fuori» sbuffò il pazzo tirandosi il pizzetto,
infastidito per essere stato interrotto. «Il secondo avviso riguarda gli interpreti di
Catherine, William e George.»
Sussultai e temetti il peggio, mentre cercavo la mano di Jack come conforto.
«Sto lavorando con loro tre da qualche settimana, perché ci sono state delle
aggiunte al copione ma voialtri non dovete preoccuparvene» il professore fece
un gesto noncurante con la mano. «Esigo che nulla trapeli da queste mura prima
dello spettacolo. Nulla!» tuonò, minaccioso.
Sentii Jack tremare e lo guardai: si stava trattenendo dal ridere. Beato lui che
non si faceva intimidire da quel pazzo! In aula il silenzio era totale, anche se gli
annunci avevano lasciato perplessità sui visi di tutti e un rinnovato odio in quello
di Kristen, che stava fissando in particolare la mia mano stretta in quella di Jack.
«Prima che arrivi la sarta, proviamo la scena completa della seduzione di
William» ordinò infine il professore, passandomi la busta con la vestaglia
comprata da Jack.
«Professore ma devo indossare… solo questa?» sussurrai atterrita.
«No, a quello penseremo nelle prove a teatro» rispose con tranquillità.
Jack mi rivolse un sorriso incoraggiante e andò a sistemare il divano letto,
abbandonato in un angolo.
«Nuove scene con Catherine» sentii dire a Kristen, con disgusto. «Come
rovinare del tutto Lezioni.»
La sua critica mi spinse a dare il massimo, a dimostrare a tutti che non ero così
male come Catherine. Dopo le due notti trascorse con Jack, mi sentivo molto più
a mio agio nei panni della seduttrice di William e la scena filò via liscia, fino al
bacio. Jack mi lasciò andare dopo un tenero bacio della buonanotte, ben diverso
da quelli che ci eravamo scambiati fino a un’ora prima.
«Le vacanze vi hanno fatto decisamente bene» commentò il professore,
soddisfatto. Jack mi rivolse un enorme sorriso, che mi fece arrossire ancora più
della lode inaspettata.
«Ora i costumi, forza che abbiamo poco tempo! Prima le dame e le serve.
Catherine per ultima perché ha più cambi d’abito» ci istruì il professore.
Rimasi in disparte mentre le mie compagne cercavano nella rastrelliera i loro
abiti, e in quel momento mi si avvicinò Rick. Quando ero arrivata, insieme a
Jack, mi aveva solo fatto un cenno di saluto a distanza.
«Quindi le cose con Jack si sono chiarite» disse, a bassa voce.
Abbassai il capo, imbarazzata. «Rick, mi dispiace. Davvero, io…»
«Liz, secondo te perché continuavo a chiederti cosa c’era tra di voi? Non sono
stupido. E comunque nessun rancore, davvero. Amici?» mi domandò con uno
dei suoi caratteristici sorrisi.
Annuii, ancora un po’ a disagio ma più sollevata. Rick era l’unico che aveva
tentato di essermi amico in quelle settimane, mi sarebbe dispiaciuto perderlo.
Jack ci raggiunse in quel momento, un po’ scuro in volto. Lo avevo visto
allontanarsi per parlare al telefono poco prima e speravo che suo padre non ne
avesse combinata un’altra delle sue.
«Tutto bene?»
«Avevo trovato un annuncio per un appartamento ma lo hanno già affittato.»
Sbuffò e mi lasciò interdetta. Sapevo di non poterlo ospitare fino agli esami,
perché se mi avessero scoperta avrei rischiato grosso ma mi chiesi perché non
me ne avesse parlato, considerando che avevamo trascorso assieme quasi tutto il
tempo negli ultimi giorni.
«Ti serve una stanza?» si intromise Rick. «Il mio coinquilino si è appena
trasferito e ho una stanza vuota. Se ti interessa…» Tentò di usare un tono
disinvolto, anche se era visibilmente incerto, considerando che lui e Jack non
avevano mai avuto un gran rapporto.
«Dici davvero?» la sorpresa di Jack echeggiò la mia.
Rick scrollò le spalle. «Per me non ci sono problemi. Se non fai troppo casino
in giro ed evitate di battezzare il divano.» Guardò me mentre lo diceva ma non
replicai, troppo imbarazzata. Jack, invece, rise e diede una pacca sulla spalla a
Rick. «Grazie, amico.»
Uomini. Come rendevano sempre tutto più semplice!
«Elizabeth!» Il professore mi chiamò, stringendo tra le mani una voluminosa
custodia bianca. Mi avvicinai e me la passò. «Questo è per l’atto finale, provalo
solo alla fine quando sarai da sola.»
Quando arrivai nei bagni, le mie compagne si stavano aiutando l’una con
l’altra a entrare negli abiti di scena.
«Oh, c’è Catherine» mi salutò Kristen, con una smorfia.
«Sei stata molto brava prima» si complimentò invece una delle altre ragazze,
con un sorriso.
«Vorrei anche vedere! Non serve nemmeno saper recitare per saltare addosso a
William» sbuffò Kristen, rimanendo senza alcun problema in biancheria.
Avrebbe avuto molte meno remore di me nella scena di nudo di Catherine.
«Tu di certo non ne hai mai avuto bisogno, per buttarti addosso a Jack!» rise la
sua amica.
«Peccato che i gusti di Jack siano scesi così in basso» commentò Kristen,
guardandomi dal riflesso dello specchio.
Ero rimasta in silenzio fino a quel momento ma la timidezza non era una
scusante per farmi maltrattare. «Per me non è stato decisamente un peccato che
stamattina Jack sia… sceso in basso.» Le sorrisi, lasciandola senza parole, poi
uscii dal bagno. Avrei atteso che finissero di vestirsi, d’altronde il costume
dell’atto finale doveva rimanere segreto.
In quel momento Jack uscì dal bagno accanto, lasciandomi senza parole negli
abiti di William.
«Dov’è Catherine?» chiese
«In bagno c’è Kristen che spiega quanto è facile buttarsi addosso a William…
o a te.»
«Ci penso io a lei. Ora vai a vestirti, dai» mi incitò con una pacca giocosa sul
fondoschiena.
«Jack!»
«Stamattina non ti dispiaceva così tanto» rise, avviandosi verso l’aula.
Mi chiusi in una delle aule vuote per aprire la custodia segreta. E rimasi
abbagliata da un bellissimo abito di broccato d’argento, con il corpetto di pizzo.
«Meraviglioso, vero?» Ero così assorta nella contemplazione che non mi ero
accorta che la sarta mi aveva seguito.
«Non volevo spaventarti, cara. Volevo controllare le modifiche di quello prima
degli altri perché mi occuperà più tempo» si avvicinò, indossando un paio di
occhiali.
«Lo metto subito» le sorrisi, non vedendo l’ora di provarlo.
Mi aiutò a chiuderlo e rimase alle mie spalle. «Un matrimonio da favola.»
«È… un abito da sposa?» Mi girai verso di lei.
«Esatto!» esclamò, chinandosi a controllare l’orlo. «Forse voi ragazze di oggi
sognate abiti più moderni e leggeri.»
«Oh no, no. Ammetto di aver sempre sognato di sposarmi con un abito da
principessa, e questo è davvero…» Scossi il capo, non trovando le parole.
«Quando te lo avrò sistemato ti starà così bene che il tuo ragazzo potrebbe aver
voglia di sposarti la sera stessa» rise la sarta.
Distolsi lo sguardo dalla contemplazione dell’abito. La osservai lavorare con
ago e filo. «Sono decisamente troppo giovane. Anche se…» esitai, ma poi decisi
di confidarmi, stregata dalla magia del vestito. «Ho sempre sognato di sposarmi
giovane e crearmi una famiglia. Credo di essere nata nel secolo sbagliato o di
aver letto troppe volte i libri di Jane Austen!»
Lei alzò gli occhi per sorridermi e in quel momento cambiò espressione.
«Ehi, giovanotto! Sono prove segrete!» disse severa a qualcuno dietro di me.
Sentii il rumore della porta che si richiudeva. «Il tuo coprotagonista è davvero un
tipo curioso» disse poi.
Jack era entrato? E perché non mi aveva neanche salutata?
Quando rientrai nei miei abiti e tornai in aula, dove le due assistenti della sarta
stavano finendo di prendere le misure per le modifiche, andai a cercare Jack.
«Ammetto che il panciotto di William non ti sta poi così male!» dissi
accarezzando il broccato di una manica.
Mi fece solo un mezzo sorriso e continuò a parlare con Rick, accordandosi sul
suo imminente trasloco. Certo, era una questione importante ma mi sentii un po’
messa da parte. Un paio di scatoloni erano più importanti che parlare con me?
Per di più alla fine della lezione se ne andò senza aspettarmi, e non riapparve
fino a sera.
Era già buio quando sentii la sua voce provenire dal corridoio, salutando…
Bonnie? Si erano incontrati lì fuori… o altrove? Un altro impegno di lavoro?
Andai ad aprire sorridendo per mascherare l’irritazione. Ma Jack si limitò a
squadrarmi da testa a piedi e mi sembrò di essere ritornata alla prima serata di
prove in camera.
«Perché non sei già nuda?» chiese, a voce fin troppo alta.
«Jack!» sussurrai, fulminandolo. Come temevo, alle sue spalle c’era proprio
Bonnie che ci stava osservando.
«Cosa devo fare per convincerti a scegliere me?» continuò lui, senza accennare
a entrare in camera.
«Di cosa stai parlando?» Lo afferrai per la giacca tentando di trascinarlo dentro
ma oppose resistenza e rimase sulla soglia.
«No! Non entro finché non mi assicuri di aver scelto me!» annunciò,
imperterrito, attirando l’attenzione di tutto il piano.
Ero ormai viola per l’imbarazzo e tentata di chiudergli la porta in faccia, visto
che non si decideva a entrare e soprattutto non smetteva di dire assurdità. Per un
attimo, mi chiesi se avesse notato la chiamata persa sul mio telefono, quel
mattino. Daniel aveva già tentato due volte di contattarmi ma lo avevo sempre
ignorato. Pensai di dirgli che avrei continuato a non rispondergli, come avevo
fatto per anni, d’altronde.
«Per favore, miciotta» declamò Jack, cadendo in ginocchio.
Oh santo cielo! Stava recitando?
«Jack, alzati» borbottai. La mia priorità era porre fine alla scenata pubblica per
poi ucciderlo in privato.
«Solo se giuri di darmi una possibilità» continuò, sempre più sofferente.
«Sì, certo» tagliai corto, infastidita.
Si alzò all’improvviso, sfoggiando un sorriso abbagliante. «Oh amore, grazie!»
e finalmente entrò, chiudendosi quella maledetta porta alle spalle.
«Jack, che diavolo significava questa messinscena?» sussurrai, perché non mi
udissero.
I suoi occhi scuri brillarono di divertimento, facendo vacillare per un istante la
mia indignazione. «Bonnie starà telefonando a Kristen in questo esatto
momento, per raccontarle tutto quanto. Vediamo se continuerà a tormentarti
ancora.»
Lo guardai allibita. «Jack, non credi che fingere di buttarti ai miei piedi
disperato, alludendo perfino a un possibile tuo rivale, renderà Kristen ancora più
inviperita nei miei confronti?»
La mia reazione di fronte alla sua cavalleresca trovata sembrò offenderlo. La
verità era che gli piaceva essere al centro dell’attenzione, ecco cosa.
«Bè, non è che me lo sia proprio inventato il rivale, eh» borbottò, poi afferrò la
sua borsa e si chiuse in bagno.
Mentre si faceva la doccia, ragionai su come risolvere quell’assurda
discussione. Ma ogni mio piano di chiarire sfumò quando Jack uscì dal bagno.
Vestito di tutto punto.
«Sono in ritardo per il lavoro. Torno tardi, mi lasci le chiavi?»
Gliele passai in silenzio e mi salutò con un veloce bacio all’angolo della bocca.
Quando riuscii a riordinare i pensieri a sufficienza, chiamai Jessica.
«Oh, finalmente ti fai viva, invece di rispondere ai messaggi ore dopo!» mi
salutò.
«Jess» sospirai affranta.
«Liz, che è successo?» si preoccupò subito.
«Versione breve? Ho passato due giorni a letto con Jack e lui adesso è uscito
per andare al lavoro. A spogliarsi, al lavoro.»
«Bene, ora voglio la versione lunga e dettagliata.»
Iniziai a raccontarle ogni cosa, a partire dall’incontro con il padre di Jack fino a
come eravamo finiti a letto insieme.
«O tutto o niente, eh? Andare con calma non era proprio possibile?»
«Jess! Sei stata tu a dirmi di dargli una possibilità!»
«Di dargli una possibilità, non altro!» mi sgridò.
«Oh santo cielo! Non ci credo che mi stai dicendo una cosa del genere.»
«Te lo dico perché ti conosco e so che adesso sei assolutamente innamorata
persa di lui; forse lo eri già da prima, ma finirci a letto insieme è stata la
conferma.»
«E quindi?» mi misi subito sulla difensiva.
«Devi capire cosa prova per te e dovete chiarire. Cosa credi di fare se no,
trascorrere ogni notte ad aspettarlo mentre si spoglia davanti ad altre?»
Jessica aveva ragione, non ci sarei mai riuscita.

Jack rientrò tardi, lo sentii infilarsi a letto ma non avevo la forza di aprire gli
occhi, mi ero addormentata solo poco prima. Il mattino successivo uscii per
andare a lezione mentre lui dormiva ancora.
Rimasi combattuta tutto il giorno, chiedendomi se provare a chiamarlo, ma alla
fine fu lui a telefonarmi quella sera, quando ero appena rientrata in camera; si
sentiva rumore in sottofondo, come se fosse in un bar, poi cadde subito la linea.
Quando il telefono suonò di nuovo, risposi senza nemmeno guardare.
«Lizzy!» Daniel era decisamente sorpreso che gli avessi risposto. Infatti era
stato un errore.
«Daniel, scusami ma sto aspettando una telefonata e…»
«Solo un minuto, Lizzy. Per favore.» Di fronte al suo tono implorante non
riuscii a resistere. Era Daniel, il mio amico. Perché lo stavo trattando come uno
stalker?
«D’accordo.»
«Mi manchi» confessò. Feci per interromperlo ma continuò in fretta. «Non
averti avuto nella mia vita questi anni è stato doloroso, ma rivederti e rendermi
conto che stavamo diventando due estranei mi ha ucciso.»
Rimasi in silenzio, le sue parole mi avevano colpita nel profondo.
«Vorrei solo poterti chiamare e sapere come stai. Raccontarti qualcosa della
mia vita e sapere come va la tua. Nient’altro» concluse in un sussurro.
Sospirai, a occhi chiusi, combattuta tra la nostalgia e l’orgoglio. La nostra
storia d’amore era naufragata dopo pochi mesi ma la mia amicizia con Daniel
era durata quasi due decenni.
«Non so cosa risponderti» ammisi, con un fil di voce.
«Pensaci, Lizzy. Promettimi che ci penserai, ti chiedo solo questo. Ti richiamo
tra qualche giorno.»
Mi presi un paio di minuti per metabolizzare le parole di Daniel, poi richiamai
Jack ma non mi rispose, né mi richiamò.
Venerdì mattina non lo lasciai addormentato, come i giorni precedenti.
«Jack? Facciamo tardi, dai» lo chiamai per la terza volta, mentre ero già pronta
per uscire.
«Vieni qua» mi afferrò la mano, la voce roca per il sonno.
«Abbiamo lezione» gli ricordai, finendo di nuovo sdraiata sul letto.
«Shhh, fatti dare il buongiorno. Mi svegliavo sempre che te ne eri già andata.»
Non riuscii a capire, dal suo tono, se avrebbe voluto essere svegliato le mattine
precedenti.
«Jack…» sospirai, mentre tentava di sfilarmi la maglia.
«Ti aiuto a vestirti» sussurrò, sfiorandomi la pancia.
«Sono già vestita» ribattei, poco convinta.
«Ti aiuto a rivestirti… dopo» si corresse, sfilandomi la maglia con un sorriso
malizioso. «Ciao ragazze» sospirò, in estasi.
«Jack!» risi. «Stai parlando alle mie tette?»
«Non essere gelosa, non trascurerò nulla.»

«Finalmente ci degnate della vostra presenza. In fondo, siete soltanto i


protagonisti» ci fulminò il professore quando entrammo in aula, trafelati, in
spaventoso ritardo. Nell’aria si levò qualche risatina, ma evitai di guardare
Kristen: temevo che il suo sguardo mi avrebbe incenerita.
Jack continuò a distrarmi e punzecchiarmi tutto il tempo, mentre gli altri
provavano le prime scene.
«William e Catherine, che ne dite di continuare ad amoreggiare… sul palco?»
tuonò il professore, facendomi sussultare. Non ci eravamo accorti che era il
nostro turno.
Le prove furono produttive per tutti, placando l’irritazione del pazzo che ci
raccomandò di imparare le battute successive fino alla fine del copione.
«E l’ultimo atto?» domandò Rick.
«Come vi ho già detto, ne parleremo a tempo debito. Non preoccupatevi» lo
liquidò con noncuranza.
Jack si fermò a parlare con Rick e altri compagni di corso, li raggiunsi quando
stava finendo di accordarsi con loro. Quel pomeriggio lo avrebbero aiutato a
portare le sue cose dal deposito al nuovo appartamento, fuori dal campus.
«Domattina facciamo colazione in caffetteria?» mi propose, prima di salutarmi.
Annuii distrattamente, mentre pensavo che le uniche ore che avevamo
trascorso assieme negli ultimi giorni erano notturne e da quel momento non
avremmo avuto più nemmeno quelle. Jack se ne stava già andando quando lo
bloccai e mi allungai a baciarlo, prendendogli il viso tra le mani. Se mai
qualcuno, in quell’aula, avesse avuto qualche dubbio sulla nostra relazione fuori
dal palco, lo avevo ben chiarito in quel momento. Quando mi staccai mi sembrò
sorpreso, ma poi mi sorrise.
E così venerdì sera ero di nuovo chiusa nella mia stanza al dormitorio, da sola.
La mia vita sembrava tornata quella di prima e improvvisamente mi andava
stretta. Decisi di chiamare Jack, proprio ciò che avevo evitato di fare i giorni
precedenti.
«Liz?» rispose al secondo squillo.
«Jack…» mi schiarii la voce. «Avete finito di portare le tue cose?» chiesi,
cercando di suonare disinvolta.
«Sì, sì. Abbiamo fatto presto.»
«Quindi… stasera lavori?»
«No, ho la serata libera ma rimaniamo qua da Rick con gli altri. Sta arrivando
la pizza e…» si interruppe e lo sentii rivolgersi a qualcuno che lo stava
chiamando. «Devo andare, Liz.»
«Sì, certo» risposi a fatica. Mi aspettavo forse che mi invitasse a casa di Rick o
rinunciasse a cenare là, dove era andato a vivere, per uscire con me?
«Tutto bene?» si informò, ma in tono sbrigativo. Era chiaro che aveva voglia di
riattaccare.
«Certo» risposi allegramente. Proprio per nulla, pensai.
«Ok. Ci vediamo domattina» chiuse la chiamata mentre io mi davo della
stupida codarda per non avergli detto cosa veramente provavo.
Ero nello stato d’animo peggiore e più vulnerabile quando ricevetti la chiamata
di Daniel.
«Ciao!» gli risposi, agendo d’impulso quando avrei dovuto agire
razionalmente. Il contrario di ciò che avevo fatto con Jack poco prima.
«Lizzy» Daniel sospirò il mio nome con un tale sollievo che mi fece sorridere.
«Indovina chi ha rimandato così tanto il progetto da consegnare lunedì che ora si
ritrova a doverci lavorare ininterrottamente per tutto il fine settimana?» chiese
poi.
«Oh Danny! Sei sempre il solito!» lo presi in giro, chiamandolo senza
accorgermene con il diminutivo che usavo un tempo.
«Ho fatto scorta di caffè» puntualizzò.
«No! Lo sai che dopo il quinto caffè inizi ad avere le visioni mistiche!» Stavo
ridendo senza nemmeno accorgermene.
«Sono solo al secondo, ma poi perdo il conto. Se ti mando un messaggio a ogni
caffè, mi fermi prima del sesto?» propose, con furbizia.
Ci cascai in pieno.
«Forse.»

«Hai fatto tardi, ieri sera?» mi domandò Jack, seduto al tavolo della caffetteria.
Mi ero svegliata in ritardo ed ero corsa all’appuntamento, dovevo avere ancora i
segni delle poche ore di sonno sul viso.
«Ho studiato.» Era vero, ma a tenermi sveglia fino alle quattro del mattino
erano stati i messaggi stupidi di Daniel.
Mi suonò il telefono e feci l’errore di prenderlo dalla borsa perché aspettavo la
chiamata di mia madre. Ma era Daniel.
«Non rispondi?» chiese Jack.
Annuii, pensando che se avessi rifiutato la chiamata sarebbe stato peggio, in
fondo non avevo nulla da nascondere.
«Sì?» Evitai di guardare Jack mentre rispondevo.
«Lizzyyyy» sentii Daniel sbadigliare. «Sono crollato e mi sono svegliato solo
ora. Quel settimo caffè mi sarebbe proprio servito.»
«Non credo. Hai fatto bene a riposare, ora puoi tornare al lavoro.» Ero a
disagio a rispondere con Jack di fronte.
Daniel se ne accorse subito: «Tutto bene? Ti ho disturbata?».
«Sto facendo colazione… con Jack.» Lo guardai di sottecchi e arrossii.
«Oh. Ok, torno al progetto. Grazie per l’aiuto, Lizzy.»
«Di nulla» chiusi la chiamata e maledissi le reazioni involontarie del mio
corpo: se fossi stata al telefono con Jess non sarei certo arrossita.
«L’ho davvero sottovalutato» commentò Jack, confermandomi di aver capito
chi chiamava.
«Sto solo cercando di dare una possibilità alla nostra vecchia amicizia» mi
difesi.
«Certo.» Trasudava sarcasmo e questo mi indispose.
«Jack, dico sul serio. Non devi essere…» stavo per nominare la gelosia ma mi
bloccai.
Jack scosse il capo.
«Tranquilla» disse con indifferenza, poi si alzò e mi propose di fare due passi.
«Domani è domenica, sono libero fino all’ora di cena» mi avvisò, mentre mi
riaccompagnava.
«Bene» gli sorrisi e mi baciò, con passione, lì nel bel mezzo del vialetto di
accesso ai dormitori.
Qualche ora assieme avrebbe spazzato via tutti i dubbi e le incertezze di quegli
ultimi giorni, mi dissi. Quanto mi sbagliavo.
14

Il difetto principale di quella domenica trascorsa con Jack fu che sembrò andare
tutto così bene da farmi dimenticare, per qualche ora, ogni altro pensiero e
dubbio. Era rilassato e sorridente, pronto a ogni genere di battuta maliziosa e a
stuzzicarmi in qualsiasi modo che gli venisse in mente.
Avevamo comprato alcuni panini per improvvisare un picnic al parco. Mentre
preparavo la borsa, quel mattino, non avevo nemmeno pensato di portarmi un
libro per studiare, e questo la diceva lunga sul mio cambiamento e su quanto
Jack fosse al centro dei miei pensieri in quel momento.
Stavo ridendo con lui quando risposi alla telefonata di Jessica.
«Qualcuno è decisamente di buon umore. Merito del tuo dispensatore?» chiese
la mia pazza amica.
Allontanai la mano di Jack che cercava di farmi il solletico per distrarmi.
«Dispensache?»
«Dispensatore di orgasmi. O lo posso definire il tuo ragazzo? Perché siamo ben
oltre la fase amico di letto… Ma forse ti ho interrotta? Vi state rotolando tra le
lenzuola?»
«Siamo al parco, Jess» specificai, ridendo.
«Peggio ancora! Fate i bravi… almeno finché siete in pubblico.»
Chiusi la chiamata con il sorriso sulle labbra.
Avrei dovuto capirlo che una giornata così bella non poteva finire altrettanto
bene.
Il momento cruciale arrivò quando Jack iniziò a controllare nervosamente
l’orologio, mentre il sole cominciava a tramontare e stavamo ritornando al
campus.
«Devi… andare al lavoro?» domandai, cercando di non suonare disperata.
«Già. Comunque martedì ci rivediamo a lezione.»
Aveva saltato completamente il lunedì: non che volessi trascorrere ogni
momento con lui, ma quando non ci vedevamo finiva che non ci sentivamo
neppure. Era la persona più allergica al telefono che avessi mai conosciuto.
«Liz?» mi chiamò e mi accorsi di essere rimasta a lungo in silenzio. «Che
c’è?»
«Niente. Sono…» Ma la voce non ne voleva sapere di uscire. Non sapevo
come dirgli che mi mancava quando non lo vedevo, che mi torturavo ogni volta
immaginandolo mentre si spogliava davanti ad altre donne, che avrei voluto
sentirlo ogni sera anche solo per pochi minuti ma temevo di sembrargli
ossessiva.
«Qual è il problema?» incalzò, sbuffando.
Lo presi da parte, prima che raggiungessimo l’entrata del mio dormitorio. «È
solo che…»
«Esattamente, cosa pensi che faccia quando non ci vediamo? Perché è questo il
problema, no? Sei diventata silenziosa quando non ho proposto di vederci
domani.»
Avevo fatto il grave errore di lasciare che i suoi occhi scuri mi scavassero
dentro e trovassero il nocciolo del mio turbamento, così mal celato.
«Jack» dissi guardando altrove. «Sono… confusa.»
«E non ti fidi di me» concluse lui, con amarezza. Prima che potessi ribattere, lo
vidi scuotere la testa e continuare, con rinnovata enfasi. «Cosa dovrei pensare
allora delle telefonate che ricevi da quell’imbecille? Ti sto dando il beneficio del
dubbio, lasciandoti credere nella sua finta buona fede di volerti solo essere
amico, almeno finché non ti accorgerai da sola di cosa vuole realmente. Ma tu
continui a non darmi fiducia.»
Le sue parole, pronunciate con così tanta amarezza e risentimento,
incendiarono il mio animo. «Jack! Ero seria quando ti ho detto che non voglio
Daniel.» Di fronte alla sua espressione scettica, scoppiai: «È di te che sono
innamorata!».
La mia confessione continuò a echeggiarmi nella testa, mentre scivolava via
con mio enorme pentimento fino a colpire Jack, che rimase impietrito.
Il silenzio divenne insopportabile, lui mi fissava con sgomento e non apriva
bocca. «Di’ qualcosa…» sussurrai piano, atterrita.
«Liz, io…» Jack distolse lo sguardo. «Credo che forse ora dovremmo
concentrarci solo sullo spettacolo. È molto importante e…»
«Ed è meglio se rimaniamo solo amici» conclusi per lui, troppo in fretta,
trasudando risentimento e dolore a ogni sillaba. Mi aspettavo che mi dicesse di
non essere assurda, che stavo esagerando. Invece, con mio grande sgomento, mi
guardò per un lungo istante, poi semplicemente annuì.
«Ho capito.» Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e mi voltai, perché non
vedesse che stavo crollando. «Ci vediamo sul palco, William.» Le stesse parole
che mi aveva rivolto quando lo avevo deluso, dopo la scoperta del suo lavoro.
Mi trattenne per un gomito mentre cercavo di andarmene.
«Liz, aspetta.»
Ma era troppo tardi. Scossi la testa, liberandomi dalla sua presa. Non volevo
che avesse lui l’ultima parola. Mi girai lentamente e lo guardai, a testa alta
nonostante il viso rigato di lacrime, senza vergognarmi di come le emozioni
avevano preso il sopravvento sul mio abituale controllo.
Jack sussultò, forse non si aspettava quella visione.
«Andresti davvero d’accordo con Daniel» gli lanciai, lasciandolo sorpreso il
tempo sufficiente per entrare nel dormitorio e sbattergli la porta in faccia. Aveva
tanto criticato il mio vecchio amico ma si era comportato esattamente come lui.
Forse ero destinata a ripetere sempre gli stessi errori, mi dissi mentre crollavo
nel mio letto e sfogavo tutte le mie lacrime.

«Elizabeth, perché chiami a quest’ora? Non sei a lezione?» domandò mia madre
quando mi decisi a richiamarla, il lunedì pomeriggio. Fino a quel momento non
ero stata in condizioni di affrontare anche una telefonata da casa.
«Oggi no.» Mi ero concessa un giorno per nascondermi da tutto, un solo giorno
e poi sarei tornata in carreggiata.
«Jack è con te?» Speravo di poter evitare di parlare di lui almeno per un paio di
telefonate ma non fui così fortunata.
«No, mamma. Ho molto da studiare e… ci concentreremo sugli esami in
queste ultime settimane.» Avevo provato e riprovato quel discorso,
nell’eventualità di doverlo fare e andò bene. Resistetti fino a quando lei si
raccomandò di salutarle Jack e scoppiai a piangere un istante dopo aver chiuso la
chiamata.
Martedì mattina mi svegliai stravolta e affamata: ero vissuta di snack per tutto
il giorno precedente e dovevo assolutamente tornare a frequentare le lezioni,
tranne una. Ancora non me la sentivo, così decisi di chiamare Rick.
«Liz? Tutto bene?» rispose, sorpreso della mia chiamata.
«Non sto molto bene oggi e proprio non ce la faccio a venire a lezione. Sai…
problemi da donne» mi giocai la carta vincente quando si tratta di svicolare.
«Oh» rispose, probabilmente imbarazzato.
«Puoi dire al professore che non ci sarò soltanto oggi, che non si faccia venire
crisi isteriche? D’altronde è la prima assenza che faccio.»
«Certo. Ma perché lo chiedi a me? Jack è sveglio, vuoi che te lo passi?» sentii
il cigolio di una porta e corsi ai ripari prima che andasse a cercarlo.
«Oh no, no! Grazie Rick!» chiusi la telefonata, senza aspettare una sua replica.
Se Jack rimase sorpreso della mia assenza non mi fu dato saperlo: non si fece
vivo e lo rividi per la prima volta solo il venerdì a lezione.
Come i suoi occhi si posarono sui miei, temetti di crollare e la tentazione di
scappare via da quell’aula fu fin troppo forte.
«Liz, stai meglio?» Rick mi sorrise e gli fui davvero grata per la distrazione.
Riuscii a evitare Jack finché non mi trovai a dover recitare con lui. La fortuna,
per una volta, fu dalla mia parte, oppure semplicemente il destino voleva farsi
beffe di me perché la scena da interpretare mi fece sentire più vicina a Catherine
che mai.
Dopo la notte della seduzione e il rifiuto di William, lei cercava di ignorarlo e
concentrava le sue attenzioni su George. Quando finalmente William riusciva a
prenderla da parte per affrontarla, Catherine era carica di risentimento e ferita
nell’orgoglio. Perfino il professore fu colpito dalla mia magistrale
interpretazione, che ironia.
Jack mi guardò con apprensione e sembrò volermi dire qualcosa, ma poi ci
ripensò e se ne andò in fretta, senza salutarmi.

Avevo evitato di raccontare a Daniel cosa era successo ma mezze bugie e


diversivi non funzionarono a lungo con lui.
«Lizzy, come mai non sei fuori con Jack?» La sua domanda mi colse
totalmente alla sprovvista, la telefonata era iniziata così bene, parlando di
tutt’altro.
«Danny, sono solo le dieci della domenica mattina. Anzi, come mai sei già
sveglio?» tentai di svicolare ma mi conosceva troppo bene.
«Ora che ci penso, sono diversi giorni che non nomini Jack.»
«Ti manca, forse? Non credevo che…» Non mi lasciò nemmeno terminare.
«È successo qualcosa?»
«Le cose non… non sono andate bene» mi si ruppe la voce e mi arrabbiai con
me stessa, avevo deciso di smetterla di farmi vincere dalla malinconia.
«Oh tesoro, mi dispiace. Vuoi… vuoi che venga a trovarti il prossimo fine
settimana? Sono a solo due ore di autobus» mi propose, e fui davvero tentata di
accettare. Ma alla fine rifiutai.

Il delicato equilibrio che avevo raggiunto, concentrandomi sullo studio e sul dare
il massimo in vista degli esami finali, si ruppe il venerdì successivo a lezione.
Eravamo arrivati a provare la scena d’amore tra William e Catherine, quando
lui, roso dalla gelosia, buttava all’aria ogni buon senso e se la portava a letto. La
goccia finale era stata sentire che il padre di Catherine si aspettava che George
gli avrebbe presto chiesto la mano della figlia.
«Ragazzi, ora più che mai dovete lasciar esplodere la vostra alchimia. Con le
scene della separazione e del litigio siamo andati bene. Ora fate riconciliare
William e Catherine, siamo vicini alla conclusione» ci istruì il professore.
Non potevamo arrivare a quel punto in un momento peggiore, ritrovare la
Catherine passionale e innamorata mi avrebbe distrutta. E così fu.
«Mia bellissima Catherine.» William mi guardava con sofferta adorazione e io
dimenticai la mia battuta.
«Elizabeth! Concentrati!» urlò il professore.
Mi presi qualche istante e vidi che Jack stava per avvicinarsi, forse per
aiutarmi a concentrarmi, ma gli feci segno di rimanere dov’era.
Tremavo quando mi riavvicinai a William; dovevamo essere molto vicini
perché la scena prevedeva che ci incontrassimo nel pianerottolo vicino alla sua
stanza da letto, nel buio della notte.
Catherine, per favore, aiutami tu. Pregai, a occhi chiusi.
Sussurrai le battute più che recitarle ma il professore non ci interruppe,
lasciando che William, preda della passione, mi sospingesse fino a quel solito,
maledetto divano letto di scena. Nel momento stesso in cui le sue labbra si
posarono sulle mie, dentro di me svanì ogni illusione, perché quello era Jack.
Quelle erano le sue labbra, quello era il suo sapore che non avevo certo
dimenticato. Quelle erano le sue mani che percorrevano la mia schiena, con
possessività.
Dietro le palpebre abbassate sentii formarsi le lacrime. Gemetti sofferente ma il
copione me lo consentiva, anche se doveva essere tutt’altro genere di gemito.
Jack si sdraiò su di me e smise di baciarmi non appena il professore diede il
segnale di fine della scena.
Volevo scappare, divincolarmi dal suo corpo e fuggire. Così come volevo
abbracciarlo e sfogare le lacrime trattenute da giorni.
Prima di alzarsi e lasciarmi libera, lo sentii sospirare sul mio collo. «Liz…»
Feci il possibile per nascondere il mio turbamento mentre il professore
snocciolava i suoi commenti e osservazioni su come sfruttare lo spazio e su
come sarebbe stata allestita la scenografia in quell’atto.
Jack, che era rimasto al mio fianco, mi sfiorò la schiena con le dita e quel
minimo contatto mi fece tremare. Aver avuto il suo corpo sul mio fino a pochi
istanti prima mi aveva resa ipersensibile al suo tocco.

«È passato oltre un mese, Liz» Jessica ritrovò il coraggio di spronarmi con


durezza, come era solita fare in passato.
«Jess, non iniziare.»
«No, inizio eccome! Ogni maledetto martedì e venerdì sera, se non rifiuti la
mia chiamata, ti trovo svuotata o peggio in lacrime, a seconda di quale stupida
scena d’amore hai dovuto provare con Jack.»
«William» la corressi stancamente.
«Smettila di trincerarti dietro a quel dannato copione. Ti stai distruggendo
perché non sei Catherine quando lo baci. Sei Elizabeth e sei ancora innamorata
di lui!»
«Jessica» le risposi, con durezza. «Devo solo resistere ancora un po’, manca
poco alla prima dello spettacolo e finirà tutto» mi tremò la voce alla fine, ero
così masochista che avrei sofferto ancora di più a non rivedere Jack.
«Allora esci, cerca di conoscere qualcun altro. Toglitelo dalla testa» continuò
lei, alzando la voce.
«Non ho tempo, si avvicinano gli esami.»
«Il tempo per sentire Daniel lo trovi, però.»
«Oh santo cielo, Jess! Siamo soltanto amici, ti dà così fastidio non essere
l’unica persona con cui parlo?» Mi accorsi di aver esagerato prima ancora che la
frase finisse di uscire dalla mia bocca.
Jessica e io avevamo due caratteri molto diversi, ma era difficile che
arrivassimo a litigare davvero. Era successo pochissime volte e quel giorno fu
una di quelle.
Mugugnò qualcosa che non distinsi, talmente era risentita e chiuse la chiamata.

Il professore fermò me e Rick dopo la lezione. Vidi Jack sostare sulla porta,
aspettando che lo richiamasse ma non accadde, al contrario gli disse di chiudere
la porta mentre usciva.
«Ho riflettuto nelle ultime settimane» esordì il pazzo, e come premessa già mi
fece tremare. «Ho visto che state lavorando bene assieme e avete un buon
affiatamento.» Non aveva citato l’alchimia, forse quella era riservata a William.
«Mi sembra però che manchi qualcosa, un evento che spinga George a voler
chiedere Catherine in sposa.»
«Quindi ci sarà davvero una proposta di matrimonio?» domandò Rick.
Il sospetto ormai era venuto a tutti, anche se ero l’unica a conoscere l’esistenza
dell’abito da sposa per l’atto finale.
«Sì certo» il professore rispose come se fosse la cosa più logica, come se non
ci avesse lasciato all’oscuro della reale conclusione dell’opera. «Credo che
George dovrebbe baciare Catherine, magari nell’ultima scena, quando si
incontrano a colazione e lei ha appena trascorso la notte con William.»
Non riuscii a nascondere la mia espressione sconvolta. Lezioni di seduzione
stava diventando peggio di una telenovela brasiliana.
«Va bene» disse Rick, scrollando le spalle.
«Ottimo! Magari provate la scena da soli e la prossima volta vediamo come
viene. Non dovrebbero esserci problemi, vi ho visti baciarvi qualche settimana
fa.»
Il mio incubo si era avverato, quel dannato bacio di Rick e quello stupido
commento di Jack avevano posto il seme che aveva fatto germogliare
l’ennesima, stupida idea del professore folle.
Non appena uscimmo dall’aula, Rick cercò di placare il mio mezzo attacco
isterico. Quel corso mi stava logorando.
«Liz, ce la faremo! Non ti preoccupare. Vieni domani sera da me e proviamo la
scena.»
Lo guardai come se stesse scherzando.
Rick allora sospirò e aggiunse che Jack non ci sarebbe stato. Non mi aveva mai
chiesto nulla, forse lo aveva immaginato o forse lo aveva saputo direttamente dal
suo coinquilino. Sembrava essere nato un idillio tra loro, e sapevo che casa loro
era diventata il punto d’incontro per tutti: ovviamente era stata Kristen a
sbandierarlo a voce abbastanza alta perché io lo sentissi. Probabilmente ero
l’unica del corso a non essere mai stata invitata.

Entrai nell’appartamento di Rick già nervosa e la situazione peggiorò quando


vidi la felpa di Jack abbandonata sullo schienale del divano. Era la stessa felpa
blu che lui mi aveva convinto a indossare quell’ultima domenica al parco,
quando le nuvole avevano coperto il sole ed era scesa un po’ la temperatura.
«Vuoi mangiare qualcosa prima?» chiese Rick, ospitale.
«No, no. Proviamo la scena.»
Più velocemente me ne fossi andata meglio sarebbe stato.
La prima volta che Rick, nei panni di George, si avvicinò per baciarmi, mi
irrigidii e mi allontanai d’istinto.
«Liz» sospirò, andando a sedersi sul divano.
«Lo so! Non è facile però. Siamo amici e…» spiegai, gesticolando nervosa.
«Non è per questo. Ti sembra strano baciare qualcuno che non sia… William»
cambiò idea all’ultimo secondo su quale nome usare e gli fui grata
dell’espediente.
Andai a sedermi accanto a lui, sprofondando nel divano. «Odio questo corso,
odio il professore, odio questa stupida commedia!»
«Dai, Liz. Non mollare proprio ora, hai lavorato tanto e tra poco sarà tutto
finito» mi spronò, con uno dei suoi migliori sorrisi.
«Ok.» Sospirai e mi alzai. «Ricominciamo da capo.»
Al secondo tentativo a Rick venne da ridere. «Scusami, è che mi guardi
spaventata. Giuro che non ho mangiato dell’aglio.» Risi insieme a lui e
riprendemmo l’intera scena dall’inizio.
La terza volta lo bloccai, a un centimetro dalle mie labbra. «Niente lingua, dico
sul serio» lo avvisai, puntandogli un dito al petto.
«Liz! George non è William» si difese e centrò il punto. Jack nelle prove non si
era mai trattenuto, nemmeno da quando avevamo smesso di parlarci al di fuori
del palco.
«Ok, d’accordo. Scusa. Ultima volta, ci provo seriamente, promesso.»
Rick scosse la testa. «Ci serve una pausa, ordiniamo qualcosa e poi
riprendiamo.» Si era fatto tardi e anch’io cominciavo a sentire lo stomaco
lamentarsi, perciò acconsentii.

«Rick, spero per te che su quella pizza non ci sia della cipolla» lo avvisai,
mentre ci sedevamo sul pavimento, usando il tavolino del salotto come
appoggio.
Mi regalò uno dei suoi sorrisi contagiosi. «Solo un po’ di olio piccante.»
Tra una chiacchiera e l’altra, riprendemmo a provare soltanto un’ora dopo.
«Stavolta deve andare bene» cercai di convincermi guardando l’orologio.
Rick mi fece segno di iniziare. Rilassati dalle chiacchiere e con lo stomaco
pieno, recitammo senza interruzioni fino al momento cruciale del bacio. Non lo
fermai con nuovi ammonimenti e non si mise a ridere, segno che la mia
espressione era rimasta fedele al personaggio. Mi baciò con molta delicatezza,
forse temendo che mi allontanassi di nuovo. Mi teneva una mano sul fianco,
senza stringere, e l’altra alla base della schiena, vicini a sufficienza ma senza che
i nostri corpi finissero a contatto.
Si staccò dopo pochi secondi ma rimase vicinissimo a me, sorridendomi
vittorioso perché ce l’avevamo fatta. Gli sorrisi, un po’ scombussolata ma grata
della sua premura.
Fu in quel momento che la porta alle mie spalle si aprì e sentii la voce di Jack.
«Sai se… Oh scusate.»
Rick si allontanò di un passo mentre io mi giravo lentamente.
«Liz?!» Jack spalancò la bocca. Da dietro non mi aveva riconosciuta, o forse
nemmeno aveva immaginato che potessi essere io quella tra le braccia di Rick.
Rick si schiarì la voce. «Stavamo provando la scena finale. Il… professore ha
voluto aggiungere un bacio tra George e Catherine.»
Jack rimase in silenzio, continuando a fissarmi finché non distolsi lo sguardo.
«Io… devo andare.» Afferrai al volo la giacca e la borsa dal divano.
«Liz, ti accompagno» si offrì Rick.
«No, no, non ti preoccupare. Chiamo un taxi.» Mi cadde il copione, mentre
cercavo di infilarlo nella borsa, con dita tremanti.
Fu Jack a raccoglierlo. I suoi occhi scuri mi fissarono con una tale intensità che
sentii le gambe cedere; per fortuna lo schienale del divano era vicino e mi
sorresse.
«Ho sempre odiato i triangoli nelle storie» lo sentii commentare, a mezza voce.
«Sei… tornato presto stasera» osservò Rick, visibilmente a disagio.
«Sì. Ho… finito prima» rispose Jack.
Chiusi gli occhi, per un istante, sentendo nascere dentro di me di nuovo quel
dolore sordo, misto alla rabbia. Jack aveva il coraggio di guardarmi come se lo
avessi appena tradito mentre io stavo solo seguendo quello stupido copione, e
invece lui si era appena spogliato davanti ad altre e di sicuro si era anche lasciato
toccare.
Ed erano settimane che non ci parlavamo se non nei panni di William e
Catherine.
Prendendo il telefono per prenotare un taxi, trovai una chiamata persa e la
rabbia vinse sulla logica. Mi allontanai solo di qualche passo.
«Ciao Danny, mi avevi cercata?»
Dietro di me la conversazione tra Jack e Rick si interruppe di colpo. Il
triangolo era diventato un quadrato.
«Lizzy, sei ancora dal tuo compagno per le prove?» mi domandò Daniel.
«Sto tornando ora al campus, ti richiamo per la buonanotte» lo salutai.
Prenotai il taxi mentre Jack si chiudeva nella sua stanza, sbattendo la porta.
«Liz…» Rick sospirò, avvicinandosi.
«Lo so. Non infierire.» Mi sedetti sul divano, svuotata di ogni energia.
Lui mi raggiunse e rimase in silenzio per qualche istante. «Dovete chiarire.
L’ho già detto anche a Jack ma non mi ascolta. Non ti ha nemmeno detto che
ha…»
«Rick? Mi servono gli auricolari che ti ho prestato.» Jack lo chiamò dal
corridoio e Rick scosse la testa, alzandosi per raggiungerlo.
Non riuscii a terminare la conversazione con lui, perché ritornò quando era già
arrivato il mio taxi.
Mentre salivo e davo l’indirizzo del campus al taxista, gli occhi mi si erano
riempiti di lacrime. Sembrava impossibile, ma la situazione con Jack era
peggiorata ulteriormente. Fu per quel motivo che non notai la berlina scura che
ci seguì per tutto il tragitto.
15

Quando scesi dal taxi, il mio unico desiderio era raggiungere il letto e
addormentarmi in fretta.
Il vialetto di accesso al dormitorio era deserto, era troppo tardi perché
incontrassi qualche compagna che usciva e troppo presto perché feste e
appuntamenti fossero già giunti al termine.
Mi sembrò di udire un rumore di passi alle mie spalle ma non mi voltai, anzi
accelerai per arrivare prima alla porta d’ingresso.
«Elizabeth.»
Mi paralizzai quando udii il mio nome. Ero a pochi passi dall’entrata e non
avrei dovuto fermarmi, soprattutto perché non avevo riconosciuto la voce
dell’uomo alle mie spalle. Vidi la sua ombra avanzare e, di riflesso, impugnai
con maggior forza le chiavi, tenendomi pronta a usarle come arma di fortuna.
Quando mi voltai, quasi pensai di avere le allucinazioni. Non poteva essere
davvero il padre di Jack quello che avevo di fronte.
«Cosa ci fa qui?»
Lo vidi guardare con sufficienza le chiavi che tenevo rivolte verso di lui e
abbassai la mano.
«Avevo intenzione di venirti a cercare nei prossimi giorni, ma dovevo
immaginarlo che ti avrei trovata a casa di mio figlio.» Ogni parola che usciva
dalla sua bocca riusciva incredibilmente a suonare come una critica.
«Mi ha seguita fin qua?» mi sorpresi, trovando sempre più surreale
quell’incontro.
«Stavo chiudendo una telefonata, dopo aver riaccompagnato Jack, e ti ho vista
uscire da quel palazzo» spiegò, sprezzante.
«È tardi. Devo rientrare.» Feci un passo indietro verso il dormitorio ma
quell’uomo così sgradevole, pur se vestito sempre con un’eleganza impeccabile,
ricominciò a parlare.
«Stasera ho avuto un’edificante conversazione con mio figlio.»
Jack era rientrato prima perché aveva avuto una nuova discussione con suo
padre?
«Continuo a non comprendere perché vuole parlare con me.» Mi sentivo a
disagio ma mi sforzai di non farlo trasparire.
«Vedi, Elizabeth» odiai il tono che usò nel pronunciare il mio nome, «quella
che sta attraversando mio figlio è una fase, presto si stancherà di vivere alla
giornata e tornerà agli agi in cui è cresciuto.» Fece una pausa, poi riprese.
«Credevo che impedirgli di trovare lavoro per pagarsi quell’inutile accademia a
cui vorrebbe iscriversi lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi. Non immaginavo
che avrebbe infangato il nome della famiglia, denudandosi per soldi.»
Lo guardai, incredula. Jack era finito a fare lo spogliarellista per quel motivo?
Perché non aveva avuto alternative per mantenersi e mettere da parte i soldi per
gli studi che desiderava fare, al posto di diventare avvocato?
«Che c’è? Non sapevi che Jack si spogliava per altre e non solo per te?» Non
ebbi modo di soffermarmi sul tempo verbale perché lui pensò bene di diventare
ancora più offensivo. «Il problema è che stai mirando troppo in alto, cara.»
Non mi permise di replicare. Mi sentivo come se mi stesse interrogando al
banco dei testimoni, impedendomi di difendermi da un incalzante fuoco di fila di
domande.
«Portarlo a conoscere la tua famiglia è stata una mossa audace, devo
ammetterlo. Ma credi che basti per imbrigliare mio figlio? Credi che Jack non si
stancherà di te, quando calerà il sipario?»
«Credo che sia lui a doverlo decidere» replicai, ma senza convinzione. Jack
aveva già deciso di allontanarmi, anche se per altri motivi. O forse proprio per le
ragioni che diceva suo padre? La mia dichiarazione prematura lo aveva
spaventato perché il suo obiettivo era solo divertirsi con me fino a fine semestre?
«E lo farà, è inevitabile. Lui e Luke partono con un patrimonio alle spalle e
possono crearsi un impero, ma devono fare la scelta giusta.»
«E quale sarebbe?» osai domandare, resa più audace dall’indignazione.
Accennò una risata, guardandomi con disprezzo. «Trovare una compagna che
li aiuti nell’ascesa, non una zavorra che li tenga ancorati a stupidi sogni teatrali.»
Schioccò la lingua, poi si preparò per la stoccata finale. «Se miri ai soldi, posso
anche firmarti un assegno e…»
«Non voglio i suoi soldi!» urlai, colma di disprezzo e rabbia.
Non si scompose nemmeno. «È ancora peggio di quello che pensavo. Ti sei
innamorata di lui? Del ricco playboy ribelle?»
«Queste non sono cose che la riguardano» sibilai, tremando di rabbia.
«Forse ho sopravvalutato la tua importanza per mio figlio. Ma presto si
stancherà comunque di te… Forse si è già stancato, altrimenti ti avrebbe
riaccompagnata a casa. Non ti conviene andartene con dignità? Devi proprio
inseguirlo e sfruttare quella vostra stupida commedia per tenerlo al guinzaglio?»
Avevo la nausea, sia per gli insulti che mi stava rivolgendo sia per la bassa
considerazione che aveva di Jack.
«Se c’è qualcuno che vuole tenerlo al guinzaglio non sono certo io» riuscii a
sputargli in faccia.
«No, di sicuro. Tu volevi solo farlo innamorare di te.» Il suo tono canzonatorio
fu come uno schiaffo. «Ti renderai conto molto presto che avevi scelto un
obiettivo impossibile. Conosco mio figlio.»
Con un’ultima occhiata sprezzante, si girò e se ne andò.

Il mio primo pensiero, una volta rientrata in camera, fu di chiamare Jessica, ma


mi bloccai con il telefono in mano. Ci eravamo scritte qualche messaggio dopo
l’ultima disastrosa telefonata ma l’aria tra noi era ancora un po’ tesa, senza
contare che quasi certamente era con Matt in quel momento e non volevo
disturbarla.
Le parole del padre di Jack mi avevano distrutta. Di cosa avevano parlato
padre e figlio quella sera? Doveva essere stato fatto il mio nome ma non mi
spiegavo perché Jack non gli avesse detto che nemmeno ci frequentavamo più
fuori dalle lezioni.
Forse avrei dovuto chiamarlo e chiedergli spiegazioni, ma la situazione non
poteva essere peggiore dopo le ultime incomprensioni. Inoltre, cosa avrei mai
potuto dirgli? Che suo padre mi aveva perfino offerto dei soldi per non
interferire con i brillanti piani per il suo futuro e che, una volta resosi conto che
ero innamorata, mi aveva derisa, sollevato che non costituissi un vero pericolo?
Era tutto troppo assurdo.
Avevo promesso a Daniel che lo avrei richiamato ma gli mandai soltanto un
messaggio. Fu lui a telefonarmi non appena lo ricevette.
«Lizzy, sei rientrata?» Alle sue spalle sentivo voci, risate e musica in
sottofondo.
«Sì. Torna pure dai tuoi amici» mi si spezzò la voce mentre lo dicevo.
«Che è successo?» Daniel si preoccupò e sentii svanire i rumori di sottofondo
mentre una porta si chiudeva. Si era allontanato per parlare con me.
«Nulla. Davvero. Sono solo…» presi un respiro tra una parola e l’altra per
contrastare le lacrime che volevano uscire. Avevo un disperato bisogno di
sfogarmi, di urlare, di avere risposte.
«C’entra Jack?» domandò, con gravità.
«No. Sì» sbuffai. «Forse.»
«Ok. Vuoi parlarne?»
La risposta giusta sarebbe stata la copia della precedente ma, per quanto io e
Daniel ci fossimo riavvicinati in quelle settimane, parlargli del mio incasinato
rapporto con Jack era l’ultima cosa che avrei voluto e dovuto fare.
«Potresti… raccontarmi qualcosa per distrarmi?» chiesi invece, odiando il tono
di supplica che mi uscì.
«Certo, piccola. Sono sempre stato il campione delle chiacchiere deliranti»
rise, e strappò un sorriso anche a me.
Con il passare dei minuti, ascoltandolo raccontare aneddoti surreali del suo
campus, sentii crescere quella fiammella di rimpianto che non avevo mai spento.
Forse eravamo fatti per essere amici, l’errore era stato lasciarsi vincere dalla
tentazione e dagli ormoni, rovinando ogni cosa. Forse avevo sempre confuso
l’enorme affetto che provavo per lui con l’amore. Forse non avevo ancora
conosciuto davvero l’amore. O lo avevo confuso con la passione.
«Ti ho fatto addormentare?» Daniel mi richiamò alla realtà, dovevo essermi
persa il suo ultimo racconto.
«No, no! Scusami, mi ero distratta, colpa della stanchezza.»
«Vai a letto, sono quasi le due» mi rivelò, lasciandomi sorpresa: non mi ero
accorta che fosse passato così tanto tempo.
Mi resi conto solo in quel momento che aveva abbandonato su due piedi gli
amici e non era più ricomparso. «Scusami se ti ho rovinato la serata, Danny.»
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Mettiti il pigiama, ti aspetto in linea così ti
do la buonanotte.»
Aprii il cassetto della biancheria e la mia attenzione fu attirata da un lembo di
sottile stoffa rossa. Avrei dovuto sbarazzarmi di quel babydoll, evocava troppi
ricordi, come quel sottile strappo nella cucitura…

«Avevo scelto davvero bene» commentò Jack, quando uscii dal bagno
indossandolo di nuovo, priva dell’imbarazzo della prima volta.
«In realtà mi stringe un po’» mi lamentai, raggiungendolo sul letto.
«Perché non avevo capito cosa nascondevi sotto le maglie larghe, tutto quel
paradiso…» sussurrò, facendomi scivolare a cavalcioni su di lui.
«Jack, devi farti curare seriamente questa tua fissazione per…» non riuscii a
finire la frase perché mi stava sfilando il babydoll con una velocità tale che
sentii la cucitura cedere.
«Lo hai strappato?» domandai, incredula, mentre lo lanciava sul pavimento.
«Lo volevo fare dalla prima volta che te l’ho visto addosso» ammiccò,
sporgendosi a baciarmi.
«Sei… tremendo» ansimai, mentre mi stringeva a lui, pelle contro pelle.
«Senza essere provocata non tiri fuori gli artigli, miciotta.»
Forse era davvero merito delle sue continue provocazioni se con lui riuscivo a
vincere ogni imbarazzo a una tale velocità. O forse…
«Solo con te, Jack» sussurrai, la mente e il corpo annebbiati dalle sue carezze
e ogni difesa abbassata.

«Lizzy, ci sei?» mi ero persa nei ricordi e Daniel ancora mi aspettava in linea.
«Sì, scusami. Solo un istante.» Mi cambiai velocemente e mi infilai nel mio
letto, raggomitolandomi alla ricerca di un calore che non avrei trovato.
Il telefono incastrato tra il cuscino e l’orecchio con la chiamata in corso fu
l’unica cosa che mi trattenne dal piangere, ancora scossa dal ricordo che mi era
tornato alla mente.
Daniel si era messo a canticchiare a bassa voce e riconobbi la canzone dei
Muse. «Non ci credo che la ricordi! Ero ancora alle scuole medie quando ti ho
obbligato ad accompagnarmi al cinema a vedere Eclipse!»
«Certo che me lo ricordo, te l’ho rinfacciato per mesi! E tu continuavi a
ripetermi che non potevo tifare per l’altro perché era solo il suo migliore amico.»
La conversazione stava diventando un po’ troppo surreale, perciò finsi uno
sbadiglio rumoroso e Daniel mi diede la buonanotte.
«Lizzy, sai che puoi sempre contare su di me.»

«Ho prenotato il teatro per la prossima settimana.»


L’annuncio del professore mi ricordò che eravamo sempre più vicini alla fine:
il che era un sollievo, ma implicava anche che avrei dovuto iniziare davvero a
spogliarmi.
Al termine della lezione mi feci coraggio e mi avvicinai per parlargli.
«C’è qualche problema, Elizabeth?» mi squadrò, già vagamente irritato.
«Volevo sapere se era possibile rimandare ancora la prova della scena in
cui…» abbassai la voce a un sussurro appena udibile. «Catherine si spoglia.»
«Rimandare?» assunse un’espressione oltraggiata.
«Tutto bene?»
Sussultai: Jack era apparso al mio fianco posandomi una mano alla base della
schiena.
«Devo aver capito male, perché mi sembra che Elizabeth stia avendo problemi
con un copione che ha accettato da settimane.» Il professore incrociò le braccia,
fissandomi intensamente.
«Quali problemi?» domandò Jack, guardandomi.
«Non ho problemi» spiegai, imbarazzata. «Chiedevo solo se potevamo
rimandare ancora la prova dello spogliarello…»
«Mancano pochi giorni, Elizabeth. Quella scena va provata sul palco, con le
scenografie e le luci» sibilò il professore, trattenendosi perché nessuno udisse la
nostra conversazione.
Non sapevo come ribattere, perché avevo davvero accettato di mettere in scena
l’originale e più scabroso copione di Lezioni di seduzione e non potevo
rimandare ancora, sperando che nel frattempo il professore rinsavisse ed
eliminasse la scena di nudo.
«La scena è comunque completa, nelle prove generali non cambierà nulla se
Elizabeth non sfilerà la vestaglia.» L’osservazione di Jack mi stupì ma il
professore sembrò addirittura sconvolto.
«Jack, stai forse suggerendo che Elizabeth si spogli soltanto alla prima?!»
«No, non lo sto suggerendo» rispose, apparentemente senza scomporsi ma
tornando a posare la sua mano sulla mia schiena.
«Ecco, perché sarebbe davvero…» Ma il professore non ebbe il tempo di
terminare la frase o di sospirare davvero di sollievo perché Jack riprese a parlare.
«Elizabeth si spoglierà solo domenica sera, quando sul palco ci saremo solo io
e lei e il pubblico sarà alle sue spalle, in penombra. Qualsiasi prova sarebbe
controproducente, la farebbe soltanto agitare.»
«Jack, non è una decisione che spetta a te. Quando avrai anni di esperienza alle
spalle, ne riparleremo.»
Tremavo mentre ascoltavo la replica del professore e Jack se ne accorse perché
mi cinse la vita con un braccio.
«La scena andrà bene, io ed Elizabeth abbiamo raggiunto una perfetta
alchimia.»
Avrei voluto avere la stessa sicurezza di Jack o la sua stessa capacità di
bluffare, invece ero un fascio di nervi e stavo arrossendo sotto lo sguardo intenso
del professore, fisso sulla mano di Jack posata saldamente sul mio fianco. Stava
forse valutando la presenza di quella maledetta alchimia?
«Ho molta stima delle tue capacità, Jack. Ma non ti conviene abusare della mia
pazienza.»
Eravamo al capolinea: Jack aveva tirato fin troppo la corda, usando perfino
quel bonus di pazienza che gli veniva implicitamente concesso grazie al suo
essere il primo del corso.
Jack si irrigidì, cingendomi con più forza. Sussultai, non sapendo che
intenzioni avesse.
«Non credo che Lezioni di seduzione possa andare in scena senza William, o
sbaglio?» osservò, con un tono neutro che mal si sposava con la sua neanche
tanto velata minaccia.
Il professore sgranò gli occhi.
«Quindi Elizabeth si spoglia solo la sera della prima. Siamo d’accordo»
concluse Jack, allentando leggermente la presa sul mio fianco dove stava ormai
lasciando l’impronta della sua mano.
Piombò il silenzio, mentre io trattenevo il respiro, terrorizzata.
«Ho davvero sottovalutato le conseguenze della vostra alchimia. Andate ora»
ci liquidò il professore, livido in volto. Non ci potevo credere, il pazzo aveva
ceduto. Avevamo vinto.
Feci qualche passo incerto verso l’uscita e Jack mi raggiunse all’istante. «Tutto
bene, Liz?»
Sapevo che me ne sarei pentita per giorni, ma non potei evitare di guardarlo
negli occhi. «Grazie, Jack» sussurrai, lasciando che leggesse nel mio sguardo
quanto quel suo gesto mi avesse colpita.
Mi sembrò di vederlo vacillare per un attimo, incerto su come rispondere.
«Non ti accorgerai nemmeno del pubblico. Sarà come se ci fossimo soltanto tu
e io» mi assicurò piano, come se quell’ultima immagine mentale avesse evocato
in lui lo stesso ricordo che stava sconvolgendo anche me. Avevamo condiviso
pochi giorni di vera intimità ma non li avrei dimenticati tanto facilmente.
«Liz, volevo…» riprese la parola, con voce incerta.
«Jack! Sei dei nostri stasera?» il richiamo starnazzante di Kristen si insinuò in
quel momento così delicato, rovinandolo. Mi irrigidii e Jack se ne accorse perché
si rabbuiò e scosse la testa, per poi farmi solo un cenno di saluto e raggiungere
gli altri.

Quella sera chiamai mia sorella: avevo mantenuto la promessa e ci stavamo


sentendo più spesso. Non ero stata molto loquace nell’ultimo mese ma mi faceva
piacere sentirle raccontare le novità, gli eventi piccoli e grandi della sua vita e
non solo i voti e i successi che sbandierava sempre mia madre. Mi sembrava di
stare tornando a conoscere Kimberly, i suoi gusti, i suoi pensieri, le discussioni
con le sue amiche, le prime cotte per i ragazzi sbagliati.
«Quindi con Jack è tutto finito?» mi domandò, di punto in bianco.
Sospirai, prendendo tempo. «Le cose non sono andate bene.»
«Ma tu lo ami?»
«Sì. Ma è complicato» ammisi con fatica.
«Perché? Sei lontana da mamma che rompe e hai una tua stanza al campus
dove potete vedervi quando volete. Cosa c’è di complicato?»
«Volevamo due cose diverse.»
«Nel senso?» Kimberly aveva pienamente ragione a non capire. Non capivo
neanch’io.
«Gli ho detto che ero innamorata di lui» sussurrai, ricordando con umiliazione
quel momento.
«E lui che ha risposto?»
«Che era meglio se rimanevamo amici» chiusi gli occhi per trattenere le
lacrime.
«Ma che cretino!» Kimberly si infervorò e iniziò a insultare Jack, con una
creatività che alla fine riuscì a strapparmi perfino una risata. Le fui davvero grata
perché sapevo che Jack le piaceva e non avrebbe voluto parlarne male.
«Mi stavo dimenticando: mamma vuole sapere quando recitate a teatro per
prenotare l’aereo.»
«Cosa?!» saltai sul letto. «Ma non aveva mai detto di voler venire!»
«Ha detto che vuole vedere te… e Jack. In realtà penso più Jack che te, scusa
Ellybeth.»
«No, no! Non posso proprio…» mi agitai. Non volevo neanche pensare a cosa
avrebbero detto i miei genitori vedendomi nei panni di Catherine e soprattutto
intenta a togliermeli davanti a una platea di sconosciuti!
«Non vuoi che vengano?» domandò Kimberly sorpresa.
«Assolutamente no. E poi… mamma non sa ancora di Jack» aggiunsi, non
volendo rivelare a mia sorella dodicenne che genere di opera fosse Lezioni di
seduzione.
«Ok. Provo a tenerli impegnati?» mi propose, e in quel momento ebbi la
certezza di essere stata davvero pessima nel tagliare i rapporti con lei nei mesi
precedenti.
«Lo faresti, Kimmy? Ti prometto qualsiasi cosa in cambio! Ti accompagno
perfino al concerto ad agosto, lo giuro!»
«Affare fatto. Non dire a mamma la data esatta della commedia finché non
scopro quando dovrò recitare nei panni di quello stupido Bianconiglio, e diremo
che è lo stesso giorno.»
Accettai all’istante. Non ero mai stata più felice della smaccata preferenza che
mia madre aveva sempre riservato a Kimberly.

Dopo il suo intervento con il professore, le cose tra me e Jack migliorarono


leggermente. Ero meno imbarazzata e risentita, e l’interpretazione di Catherine
ne guadagnò.
Riuscimmo perfino a scambiare qualche parola, civilmente, giù dal palco.
Mentre aspettavamo il nostro turno, gli raccontai dello stratagemma di Kimberly
per evitare che i miei genitori venissero a teatro.
Jack si lasciò andare a una risata spontanea. «Peccato. Avrei tanto voluto
vedere la faccia di Margaret dopo lo spettacolo!»
Sorrisi, scuotendo il capo. «Ai miei sarebbe venuto un infarto.»
«Jessica viene a vederti?»
«No, ha gli esami» risposi, forse un po’ troppo bruscamente. Io e Jessica
eravamo tornate a sentirci spesso ma l’argomento Jack era diventato tabù, così
come evitavo di nominare Daniel.
«Andiamo, tocca a noi.» Jack mi prese per mano, forse inconsciamente, come
conseguenza di quel momento di relativa quiete tra di noi.
Mancavano solo pochi giorni al maledetto spettacolo e quella sera mi
addormentai pensando che forse non sarebbe andato così male. Avevo chiarito
con Jessica, ritrovato l’amicizia di Daniel e la complicità con mia sorella e
riuscivo a recitare accanto a Jack senza sentirmi morire.
Avrei dovuto capire di essere semplicemente finita nell’occhio del ciclone,
nell’apparente quiete prima che si scatenasse la tempesta.
16

Mancavano soltanto due giorni alla prima e fuori dal teatro era stata appesa la
locandina dello spettacolo. Il nome di Jack era scritto a caratteri cubitali, quasi
più grande perfino del titolo. Mi aspettavo di vederlo gongolare soddisfatto o
quantomeno fare una battuta con il suo solito ghigno. Quando mi girai a
guardarlo, sorpresa dal suo silenzio, lo vidi invece stranamente pensieroso.
«Jack, che succede?»
«Ora capisco la telefonata di mio padre di stamattina» fece una smorfia e
scosse il capo con amarezza, prima di entrare in teatro senza aggiungere altro.
Che suo padre non sarebbe stato felice di trovare il cognome di famiglia sulla
locandina dello spettacolo non era certo una novità, ma mi lasciò sorpresa vedere
che Jack ne era rimasto scosso.
Gli ultimi giorni erano stati frenetici, avevamo avuto a disposizione come aiuti
solo il custode del teatro e Agatha, la ragazza che lavorava lì part-time. Le
scenografie erano scarne ma funzionali, il grosso del budget era finito nell’affitto
del teatro e dei costumi.
Quel venerdì l’isteria del professore sfiorò nuove vette durante la prova con i
costumi: molti di noi si sentivano impacciati negli abiti di scena e la recitazione
ne risentiva.
L’unico perfettamente a suo agio era, ovviamente, Jack, anche se persino lui
quel giorno sembrava sottotono e pensieroso.
Nella controversa scena della seduzione di William, indossai la vestaglia sopra
i miei vestiti e non la slacciai nemmeno; il professore non fece alcun commento
ma mi lanciò uno sguardo che conteneva mille ammonimenti.
Ero esausta, avevamo dovuto ripetere così tante volte le scene che non avevo
quasi più voce. Senza contare che gli innumerevoli baci di Jack avevano minato
il mio autocontrollo e riaperto completamente la ferita.
Non si era mai trattenuto durante le prove e quando avevo provato a farglielo
notare, qualche settimana prima, aveva scrollato le spalle e risposto: «William è
un tipo passionale, non può trattenersi con Catherine tra le braccia».
Quelle continue sessioni di baci, carezze e sensuali sussurri mi avevano
distrutta. Con Jack il mio autocontrollo spesso latitava ma credo che chiunque al
mio posto, quel giorno, avrebbe avuto le ginocchia deboli e il cuore in pezzi.
Fui sollevata quando finalmente arrivammo all’ultima scena dove avrei dovuto
baciare George.
Ero abbastanza tranquilla, perciò la mia sorpresa fu ancora più grande quando
il suo bacio fu decisamente più passionale del solito.
«Rick!» sussurrai, fulminandolo, quando mi staccai.
«Non male, mi piace questa versione.» Il professore batté le mani e dietro di
lui vidi Jack che si allontanava verso i camerini.
Presi Rick per un gomito, allontanandolo. «Che diavolo combini?!»
«Scusa, Liz. Forse ho esagerato» si scusò, ma mi irritai ancora di più perché
non mi stava nemmeno guardando: fissava un punto alle mie spalle.
Mi girai sbuffando e notai solo Agatha che raccoglieva i copioni abbandonati.
Lo sguardo di Rick era ancora concentrato su di lei. Capii al volo.
«Oh santo cielo, Rick. Ti facevo meno stupido!»
«Parla piano, Liz» mi intimò, trascinandomi via.
«Le ho chiesto di uscire ma ha detto di no» confessò.
«E quindi pensavi che infilarmi la lingua in bocca sul palco l’avrebbe fatta
ingelosire?» Mi veniva da ridere ma cercai di mantenere un tono irritato.
«Vedremo. Comunque scusami, Liz» abbassò lo sguardo, improvvisamente
imbarazzato.
«Se mi avessi parlato prima del tuo brillante piano, ti avrei aiutato in un altro
modo» lo sgridai.
Mi regalò uno dei suoi soliti sorrisi e sospirai sconfitta: era difficile avercela
con lui. Il professore ci chiamò e vidi che gli altri erano radunati ai piedi del
palco.
«Jack dov’è? Dobbiamo parlare dell’ultimo atto.»
«Vado a chiamarlo» mi offrii, sperando di riuscire a scambiarci due parole in
privato. Lo avevo visto scomparire dopo il bacio con Rick e avevo l’insano e
assurdo impulso di giustificarmi, anche se non ne avevo proprio motivo.
Percorsi il corridoio e arrivai al camerino che usavano i ragazzi; la porta era
chiusa ma non pensai di bussare, non sarebbe stata certo la prima volta che lo
vedevo svestito.
«Jack, dobbiamo…» aprii la porta e rimasi paralizzata.
Jack era seduto su una poltroncina e a cavalcioni su di lui c’era Kristen, in
reggiseno e mutande. Mi bastò un secondo per registrare quell’immagine nella
memoria: il gemito di Kristen, le mani di Jack salde sui fianchi di lei.
Si staccarono sentendomi entrare e Kristen si girò, lasciando la visuale libera
anche a Jack.
«Liz!» Se non altro sembrò sorpreso di vedermi.
«Non si bussa?» chiese Kristen, fingendosi infastidita senza nascondere un
sorriso vittorioso, mentre sistemava con l’indice il rossetto sbavato.
Corsi via, spalancando la porta dell’altro camerino e chiudendomi nel bagno.
«Liz!» Jack mi raggiunse e bussò alla porta con impazienza.
«Ragazzi, il professore vi cerca.» Era la voce di Agatha.
«Arrivo tra un secondo, Liz è in bagno e…» iniziò Jack.
«La chiamo io. Vai» lo cacciò lei, sbrigativa, e io chiusi gli occhi, lasciandomi
scivolare sul pavimento del bagno, la schiena contro la porta chiusa.
Passò un lungo minuto, poi sentii di nuovo bussare.
«Elizabeth, sono Agatha. Da sola.»
Mi alzai e le aprii. Mi guardò e corrugò la fronte. «Stai male?»
«Devo… devo andarmene da qua.» Avevo il fiato corto.
«Cos’è successo?» chiese con sincera preoccupazione.
«Jack e Kristen erano chiusi nell’altro camerino» mi si ruppe la voce e mi si
velò la vista per le lacrime, mentre lottavo con la cerniera dell’abito di Catherine.
Agatha mi si avvicinò per aiutarmi a toglierlo. «Oh. Non avevo capito che tu e
Jack…»
«Non siamo una coppia» le spiegai, scivolando fuori dal vestito. «È solo
che…»
«Credevo uscissi con Rick.» Si mise a ripiegare il vestito senza incrociare il
mio sguardo.
Mi infilai velocemente i miei abiti e mi sciacquai il viso.
«Rick è single» mi sforzai di mettere da parte le mie preoccupazioni per
sorriderle. «E vorrebbe davvero uscire con te.»
Agatha fece una risata imbarazzata. «È davvero carino ma credevo che
scherzasse, ho qualche anno più di lui e…»
«È un bravo ragazzo.»
«Grazie» sorrise. «Vuoi… scappare dal retro?»
«Sì, grazie. Puoi dire che ho avuto un contrattempo, inventa quello che vuoi.»
Scivolai nel buio fuori dal teatro con un ultimo ringraziamento per Agatha e mi
diressi verso la strada principale.
Non volevo tornare al campus, avevo bisogno di allontanarmi dai ricordi che
sapevo mi avrebbero schiacciata, ma non potevo nemmeno vagare tutta la notte,
non sarebbe stato sicuro e la stanchezza stava già prendendo il sopravvento.
Fermai un taxi e, al momento di dare un indirizzo, presi una decisione: «La
stazione degli autobus». Mi aspettavano due ore di viaggio ma poi sarei potuta
crollare, tra le braccia del mio migliore amico.

Avevo mandato un messaggio a Daniel, prima di acquistare il biglietto. Di certo


lo avevo sorpreso ma mi rispose solo che mi sarebbe venuto a prendere
all’arrivo. La batteria del mio telefono era quasi morta: tentai di mandare un
messaggio a Rick a proposito di Agatha ma lo schermo si spense prima che
riuscissi a premere invio.
Il viaggio fu eternamente lungo, in compagnia solo dei miei pensieri. Jack mi
aveva seguita ma ero stata troppo codarda per lasciarlo parlare e mi vergognavo
della mia reazione perché non avevo alcun diritto di sentirmi così sconvolta. Ma
proprio Kristen? Era questo che mi feriva, più ancora del vederlo toccare e
baciare un’altra.
Credevo davvero che in quelle settimane si fosse votato alla castità, lui che
aveva donne che gli si buttavano addosso ogni sera mentre si spogliava? In realtà
non ci avevo voluto pensare, ma trovarmi davanti alla realtà dei fatti mi aveva
distrutta.
Nelle due ore di viaggio i miei sentimenti passarono più volte dal dolore alla
rabbia. Non riuscivo a perdonargli di essersi appartato con Kristen dopo aver
trascorso tutto il giorno sul palco con le mani sul mio corpo e la bocca sulla mia.
Ma certo, quello era William. Che stupida.
Lezioni di seduzione e le sue illusioni mi avevano, una volta di più, sconvolto
la vita.
Quando scesi dall’autobus ero talmente piena di risentimento, di dolore e di
rabbia che mi gettai letteralmente addosso a Daniel, come se fosse l’ultimo
punto fermo rimasto, nell’uragano che si era scatenato.
«Lizzy» disse, rimanendo in piedi a fatica per il contraccolpo. Mi strinse forte
e mi massaggiò la schiena per tranquillizzarmi. «Andiamo a casa.»
Annuii, incapace di dire altro. Lo seguii fino a un fuoristrada nero parcheggiato
lì vicino.
«È del mio coinquilino, la mia macchina è rimasta a casa, viaggio sempre in
aereo» mi spiegò, ricordandomi quanto eravamo distanti da casa, dal passato,
dagli anni in cui tutto era più semplice.
Rimasi in silenzio per i dieci minuti che ci occorsero per raggiungere
l’appartamento dove Daniel abitava fin dal secondo anno di college. Fu soltanto
quando imboccammo le strette rampe di scale del palazzo che cominciai a
sentire la musica e ricordai che era pur sempre venerdì sera.
«Danny, scusami.» Lo guardai, atterrita.
Scosse il capo e aprì la porta, prendendomi per mano. L’appartamento era
piccolo e stipato di gente, almeno una dozzina tra ragazzi e ragazze.
Daniel fece un cenno di saluto e mi trascinò in fondo al corridoio, in camera
sua.
«Mi dispiace, davvero. Sono stata talmente tante ore in teatro questa settimana
che ho perso la cognizione del tempo e…»
«Lizzy, non c’è problema. Siediti e raccontami» mi indicò il suo letto e venne a
sedersi accanto a me.
«Non so da dove cominciare. Sono…» sentii arrivare le lacrime che avevo
tenuto a bada per ore.
Daniel mi abbracciò e crollai, singhiozzando sulla sua spalla. Dopo qualche
minuto tentai di calmarmi e parlare.
«Sono una… stupida! Sono arrabbiata perché non dovrei…» Daniel mi passò
un fazzoletto e mi soffiai il naso. «Ma proprio con Kristen!» Lui mi guardava
con pazienza ma era evidentemente perplesso. «C’entra Jack» dissi, come se
spiegasse tutto. E forse era così.
«Lo hai visto con un’altra» dedusse Daniel mentre mi asciugavo le ultime
lacrime.
«E proprio Kristen, che mi odia da quando ho ottenuto la parte di Catherine e
non perde occasione per umiliarmi durante le prove!»
Daniel sospirò. «Credi che lo abbia fatto per ripicca perché vi siete lasciati?»
«Non vedo perché. È lui che mi ha detto…» mi bloccai perché raccontarlo
proprio a lui era troppo surreale.
«Lizzy» Daniel si passò una mano sul viso, massaggiandosi il pizzetto che era
un po’ più lungo di quando ci eravamo visti l’ultima volta. «Eravate insieme da
molto?»
La sua domanda era più che lecita, in fin dei conti. Gli ero piombata lì,
sconvolta, di venerdì sera.
«No. Pochi… giorni» ammisi, e lo vidi rimanere giustamente sorpreso.
Prima che aprisse bocca, mi decisi a dirgli la verità. «Quando sono tornata a
casa per le vacanze… io e Jack non eravamo veramente una coppia.»
«Lizzy, cosa…?» Daniel mi fissava come se stessi parlando una lingua a lui
sconosciuta.
Sospirai e iniziai a raccontare, fissandomi le mani. «Una sera, io e Jack
stavamo provando le scene per la commedia e lui per fare il cretino…»
Arrivata al punto del racconto in cui Jack e io prendevamo l’aereo, Daniel
scosse la testa, incredulo. «Ma perché non hai detto a Margaret che era uno
scherzo? Perché lo hai portato davvero a casa?»
Ero arrivata al punto dolente ma ormai non aveva senso inventare una bugia.
«Perché tua madre aveva detto alla mia che tu saresti tornato a casa con una
fantastica fidanzata.» Non osavo guardarlo ma sentii il suo respiro spezzarsi
dalla sorpresa.
«Cosa ha fatto?» Balzò in piedi.
«Penso volesse farmi ingelosire e convincermi a parlarti di nuovo» sospirai. Lo
guardai camminare avanti e indietro per la piccola stanza, come faceva sempre
quando era nervoso.
«Quindi…» sbuffò. «La tua storia con Jack è iniziata per finta, a causa
dell’idea di mia madre e poi…»
«È comunque finita male» conclusi in un sussurro. «Le cose tra noi sono
sempre state complicate, recitare insieme ci ha avvicinato ma non avrei dovuto
lasciarmi andare, lo sapevo che eravamo troppo diversi.»
«Lizzy…» Daniel era tornato ad avvicinarsi al letto ma in quel momento si
sentì il rumore di qualcosa che andava in pezzi in salotto.
«Dannazione! Devo andare a controllare, Steven sarà chiuso in camera con
qualcuna. Torno subito.» E si dileguò.
Passarono dieci minuti, sentii la musica spegnersi e la porta di casa aprirsi
diverse volte. Mi ero tolta le scarpe e distesa nel letto di Daniel, la stanchezza
stava vincendo, il pianto aveva esaurito le mie ultime forze. Mi addormentai
prima che lui tornasse.
«Lizzy? Vuoi qualcosa da metterti per dormire?» mi sussurrò, scuotendomi
dolcemente.
«Sono…» non riuscivo nemmeno a parlare, non osavo pensare di dovermi
alzare, anche se sapevo di avergli rubato il letto.
«Tranquilla. Riposati.» Mi posò un bacio sulla fronte e mi riaddormentai.

Sentii un braccio cingermi un fianco e qualcosa che mi solleticava il collo. Aprii


gli occhi con un sorriso, che sparì non appena vidi i contorni di una stanza
sconosciuta.
Non ero nella mia camera al campus e non stavo dormendo tra le braccia di
Jack.
Mi girai, piano piano, e vidi Daniel profondamente addormentato. Il suo corpo
avvolgeva completamente il mio: era stato il suo pizzetto a solleticarmi.
Chiusi gli occhi, sopraffatta, mentre i ricordi del giorno precedente tornavano
al loro amaro posto. Se non altro, eravamo ancora completamente vestiti.
Cercai di districarmi dal suo abbraccio con cautela, ma lo svegliai lo stesso.
«Buongiorno» mi salutò.
Mi misi seduta, un po’a disagio. «Dovrei andare in bagno.»
«La porta in fondo» biascicò, stiracchiandosi.
Uscii dalla sua camera e mi imbattei in quello che doveva essere il suo
coinquilino, in mutande.
«Oh» sussultò, poi mi sorrise. «Dannybello ha continuato la festa in privato?»
«Cercavo il bagno.» Mi allontanai, sfuggendo al suo sguardo divertito.
«Ci deve essere Charlotte» mi avvisò mentre la porta del bagno si apriva.
«Sono Charlene, cretino!» lo fulminò la bionda che si stava infilando un paio
di tacchi vertiginosi, strizzata nel vestitino che probabilmente indossava già la
sera prima.
«Ops» ridacchiò lui, per nulla preoccupato di aver sbagliato il nome, e sparì in
cucina.
«Ho scelto decisamente quello sbagliato» sbuffò la ragazza. «Sarà andata
meglio a te.» Scrollò le spalle e si incamminò verso l’uscita.
Mi chiusi in bagno e mi guardai allo specchio. Alla luce del giorno la mia
brillante idea della notte precedente mi apparve per quel che era: un enorme,
gigantesco errore.
Di male in peggio, Liz. Complimenti.
Lo stato del bagno era pietoso, dopo la festa. Rimpiansi la mia stanza al
campus con il mio microscopico bagno, i soldi meglio spesi di tutta la retta.
Cercai di rendermi presentabile, con scarsi risultati.
Quando uscii, Daniel mi aspettava in corridoio.
«Come stai, Lizzy?»
«Meglio. Scusami se mi sono addormentata.»
«Usciamo a fare colazione?» propose e annuii, non vedendo l’ora di
andarmene. Avrei mangiato qualcosa e controllato gli orari degli autobus.
Daniel andò in bagno e lo aspettai nella sua stanza. Raccolsi la mia borsa,
abbandonata sul pavimento, e controllai che non fosse rotolato fuori nulla. Non
tentai nemmeno di mettere sotto carica il telefono, ci avrei pensato una volta
tornata al mio campus. Tanto chi poteva mai chiamarmi? Jessica che era
arrabbiata con me? Jack che stava con un’altra?
«Steven mi ha detto che ti ha incrociata prima» disse Daniel, mentre uscivamo
dall’appartamento. Non osai guardare lo stato in cui versava il salotto, il
corridoio era invaso di bicchieri di plastica vuoti o rovesciati.
«Già.»
«Mi dispiace, posso immaginare le condizioni in cui era e cosa può averti
detto» si scusò e io risposi solo con un cenno. «Ma siccome si deve far
perdonare, mi ha ceduto la sua macchina anche oggi.» Daniel sventolò le chiavi,
con un sorriso.
Dopo pochi minuti parcheggiò di fronte a una caffetteria. «I migliori muffin al
cioccolato di tutta la città.»
Mi sorrise. Mi sembrava di umore fin troppo buono, considerando che io ero
stata molto poco loquace da quando mi ero svegliata. Ci sedemmo a un tavolino
con le nostre colazioni e iniziai a giocherellare con il muffin, non sapendo cosa
dire.
Poi Daniel allungò una mano e mi sollevò il mento con delicatezza, cercando il
mio sguardo. «Lizzy, stanotte avrei voluto parlarti.» Sembrava improvvisamente
teso.
«Di cosa?» chiesi, con un filo di voce.
«Non ho mai avuto modo di scusarmi sul serio.»
Lo bloccai, allarmata. «Daniel, sono passati anni.»
«Quindi è ora di parlarne. Non so davvero come dirti quanto mi dispiace, ti ho
ferita e non lo meritavi. Credevo saremmo stati separati per troppi anni, non
avrei mai immaginato che l’anno dopo avresti scelto il college qua vicino.
Sarebbe cambiato tutto…»
Lo fermai, non sopportando di vedergli quell’espressione tormentata in volto.
«Non parliamo più del passato» mi sforzai di sorridergli, sperando di chiudere
l’argomento. Avevo già fin troppe cose da sistemare nella mia vita.
Daniel mi fece un enorme sorriso e ritornò di buon umore. Aveva sempre avuto
un carattere così semplice. Tutto il contrario di Jack, non potei fare a meno di
pensare, con amarezza.
Quando accennai di voler andare a controllare gli orari degli autobus, Daniel fu
irremovibile. Mi avrebbe accompagnata lui con il fuoristrada di Steven.
«Sei sicuro che lui sia d’accordo?» domandai, convinta che fosse davvero una
pessima idea.
«Oh lo sarà» scrollò le spalle; nulla riusciva a intaccare la sua ritrovata
allegria.
Mi portò prima a fare un giro nel suo campus e mi lasciai distrarre dai suoi
racconti. Il tempo era stupendo e mi persi in quel mondo nuovo da visitare,
lontano anni luce dai pensieri che mi opprimevano.
«Danny! È tardissimo! Alle due devo essere in teatro per la prova generale!»
Solo più di un’ora dopo, gettando uno sguardo all’orologio, mi allarmai.
«Tranquilla! Abbiamo anche il tempo per mangiare qualcosa, faremo molto
prima che in autobus.»
Mi chiesi se il caro Steven avrebbe presto ricevuto qualche multa per eccesso
di velocità ma liquidai il pensiero quando Daniel parcheggiò davanti al teatro
con cinque minuti di anticipo.
«Donna di poca fede» mi prese in giro, scendendo.
«Non posso farti entrare, le prove sono a porte chiuse» mi scusai,
dispiacendomi di doverlo salutare così in fretta, sul marciapiedi di fronte al
teatro.
«Tranquilla. Mi faccio un giro qua in città nel frattempo. A che ora finite?»
domandò, lasciandomi a bocca aperta. Ero certa che sarebbe tornato subito
indietro.
«Daniel, vuoi restare in città?»
«Certo! Non mi perderei mai lo spettacolo di domani!»
Oh no.
«Danny…» sbiancai.
«Stamattina, mentre eri in bagno, ho messo un cambio d’abiti nel bagagliaio.»
Aveva pensato proprio a tutto. Rimasi in silenzio, cercando di decidere se
rivelargli il copione di Lezioni di seduzione o cercare una scusa per non farlo
rimanere. Ma quale?
«Liz!» Rick ci passò di fianco entrando in teatro e mi riconobbe all’ultimo.
Dovevo avere un’aria proprio disastrosa.
«Arrivo fra due minuti» lo avvisai.
«Ti conviene correre, Jack è fuori di sé da ieri sera. Crede che ti sia successo
qualcosa.»
17

Avrei dovuto salutare Daniel, cercare di convincerlo a tornare al suo campus.


Avrei dovuto fermarmi a ragionare sulle implicazioni delle parole di Rick.
Invece mi precipitai dentro al teatro.
Riconobbi subito Jack: era sul palco e dava le spalle alla platea.
«Jack!» lo chiamai, bloccandomi accanto all’ultima fila di poltroncine.
Si girò e rimase per un attimo immobile, poi lo vidi fare un balzo giù dal palco,
ignorando le scalette laterali. Corse verso di me e mi avvolse in un abbraccio
soffocante ma non mi lamentai.
Lo strinsi forte, per tutte le settimane in cui avrei voluto farlo ma non potevo.
In quel momento non pensai a nulla: né a come era finita tra noi, né alla scena
che avevo visto la sera precedente. Mi lasciai semplicemente andare.
Troppo presto sciolse l’abbraccio e mi guardò, le mani salde sulle mie spalle.
«Dove diavolo eri finita?» mi accusò, suonando arrabbiato quanto affranto.
«Io… sono rimasta fuori e la batteria del telefono era morta. Mi dispiace
che…»
Jack mi lasciò andare e si passò una mano sul viso. «Sei scappata da qua,
nessuno sapeva dove eri diretta, e quando sono andato al dormitorio ho scoperto
che non c’eri» spiegò, con evidente fatica. Si stava trattenendo, era evidente che
avrebbe voluto scrollarmi e gridare per la frustrazione e il sollievo insieme.
«Mi dispiace, non credevo che…» Mai avrei immaginato che si sarebbe
preoccupato per me.
«Liz, alle quattro di stamattina ho chiamato gli ospedali!» Jack mi fissò con
una disperazione tale che rimasi senza parole. Poi il suo sguardo cambiò,
indurendosi.
Sussultai quando sentii una mano sfiorarmi una spalla. Daniel mi aveva
raggiunta.
Jack fece una smorfia, accennando una risata amara. «Sono stato proprio un
idiota a preoccuparmi. Avrei dovuto immaginarlo.» Mi lanciò uno sguardo che
trasudava disgusto e si allontanò a grandi passi.
«L’ha presa bene» commentò Daniel, al mio fianco, con tono più ironico che
dispiaciuto.
«Non credevo che si sarebbe preoccupato» mormorai, ancora scossa per la
reazione di Jack.
In quel momento, il professore apparve dietro le quinte. «Ragazzi, sul palco!»
«Danny, devi uscire.» Mi girai per salutarlo.
«Chiamami quando finite. Fatti prestare il telefono da qualcuno, vuoi che ti
scriva il mio numero?» si informò, per nulla intenzionato a tornare al suo
college.
«No, lo ricordo» ammisi. Lo avevo salvato in rubrica, di nuovo, solo da
quando avevamo ricominciato a sentirci ma mi era sempre rimasto impresso
nella memoria.
«A dopo. Vai sul palco e stendili!» mi sorrise e mi strinse in un abbraccio.
Ricambiai con qualche secondo di ritardo, ancora frastornata dagli eventi.
Quando si staccò mi lasciò un bacio sulla guancia e se ne andò.
«Elizabeth, hai intenzione di fermarti oggi o devo far bloccare le uscite del
teatro?» mi canzonò il professore quando raggiunsi gli altri.
Mi scusai, imbarazzata, e vidi Kristen sorridere e bisbigliare qualcosa alla sua
amica.
«Vai a controllare con la sarta le ultime modifiche al vestito» ordinò il pazzo,
indicandomi i camerini.
Annuii e me ne andai, sospirando affranta. Iniziavo bene dovendo indossare
quel meraviglioso abito da sposa mentre il mio cuore era ancora disperso nella
tempesta.
Imboccai il corridoio e sentii dei passi alle mie spalle.
«Quindi sei corsa proprio da lui» la voce di Jack tuonò accusatoria.
«Jack!» sussultai, girandomi per fronteggiarlo.
«Che stupido sono stato a preoccuparmi per te, credevo ti fosse successo
qualcosa e invece te la stavi spassando con il tuo caro migliore amico» sputò,
sprezzante.
La mia rabbia si riaccese. «Eh no! Non ci provare nemmeno!» gli puntai un
dito al petto. «Sei tu che ti stavi facendo Kristen nei camerini!» Jack fece una
smorfia e scosse il capo. Ormai avevo scoperchiato il vaso di Pandora e nulla
avrebbe fermato il mio risentimento. «Dovevi sfogare tutta la frustrazione
sessuale dopo aver trascorso ore a strusciarti su Catherine?»
«Santa Catherine!» rise, disgustato. «Così eccitata da piantare la lingua in
bocca a George alla prima occasione.»
Sgranai gli occhi, incredula. Stava dando a me la colpa? E di cosa esattamente?
«Vai al diavolo, Jack!» sbottai, girandomi e percorrendo a grandi passi il
corridoio dritta verso l’uscita sul retro.
Lasciai la porta spalancata per non rimanere chiusa fuori e mi poggiai al muro
del teatro di schiena, cercando di riprendere il controllo. Ero furiosa, ferita e
sconvolta.
Qualche minuto dopo apparve Rick. «Liz.»
«Che c’è?» ringhiai ancora su di giri, ma me ne pentii subito. «Scusami.»
«Ho parlato con Jack. Gli ho spiegato che il bacio era colpa mia.» Lo guardai
confusa e aggiunse: «Non ve ne siete resi conto che stavate urlando e tutti hanno
sentito, eh?».
Chiusi gli occhi, sempre più affranta.
«Jack era davvero preoccupato, ieri sera» aggiunse Rick.
«Ho capito!» sbottai, guardandolo con risentimento. «Non me lo sarei mai
aspettata! Credevo che Kristen lo avrebbe intrattenuto a dovere tutta la notte.»
«Poi davi a me dello stupido.»
«Rick, per favore. Non voglio discutere anche con te.»
«Kristen non si è mai fermata da noi nemmeno una notte. Mai» disse,
guardandomi intensamente. Era strano vederlo senza il suo solito sorriso che
metteva tutti a proprio agio.
«E quindi? Ho evitato sempre di pensarci per non impazzire ma con il suo
lavoro…»
«Liz, porca miseria!» Rick alzò la voce e mi bloccai. «Sono settimane che Jack
fa il cameriere in un pub la sera!»
«Settimane?» ripetei, incredula.
«Quando si è trasferito da me aveva già iniziato il nuovo lavoro.»
Non riuscivo a crederci ma non vedevo perché Rick avrebbe dovuto mentirmi.
Jack aveva davvero cambiato lavoro dopo che eravamo finiti a letto insieme?
«Perché… non me l’ha detto?»
«Sono settimane che gli ripeto di dirtelo. Ma siete uno più testardo dell’altra,
dannazione» scosse la testa e se ne andò, lasciandomi con il pensiero di aver
perso tempo a tormentarmi con la gelosia, sciupando gli unici momenti in cui io
e Jack avevamo davvero condiviso qualcosa di intimo e importante. Non avevo
avuto fiducia in lui, aveva avuto ragione a rinfacciarmelo.
Mi concessi due minuti di insulti mentali e andai a cercare la sarta, sperando
ormai solo di arrivare in fondo a quella giornata.
Temevo che avremmo recitato malissimo e che il professore sarebbe annegato
nell’isteria, dando fuoco ai copioni e a tutto il teatro. Invece le cose andarono
anche peggio, perché non ricevemmo critiche.
Dopo settimane di prove ero ormai in sintonia con Catherine e William fu
impeccabile. Fu quello a distruggermi.
Perché era tutto diverso, tutto sbagliato ma da fuori sembrò perfetto. William
recitò magistralmente, ma le sue carezze erano appena accennate, i suoi baci solo
di facciata. Non c’era passione nei suoi gesti ma nessuno, al di fuori di me, se ne
accorse. Jack era bravo. Per gli altri, non per me. Tutto ciò che avevo sempre
immaginato come parte integrante e necessaria del personaggio di William, in
realtà non lo era.
Tutta quella passione che covava sotto la cenere, i suoi baci e le sue carezze
roventi durante le ultime settimane non erano di William. Quello era Jack. E ora
lui non c’era. A tenermi tra le braccia era uno sconosciuto e freddo gentiluomo
del Settecento.
«Liz, tutto bene?» Rick mi guardò con apprensione, al termine della nostra
ultima scena.
Scossi il capo, incapace di aggiungere altro.
«Ora l’ultimo atto. Elizabeth, vieni qui con me» ordinò il professore.
«Ultimo atto?» chiesi a Rick, confusa.
«Ce l’ha consegnato ieri sera, dopo che te n’eri andata.»
«Perfetto» ironizzai, affranta.
Raggiunsi il professore, aspettandomi che mi istruisse sul mio ruolo nel
misterioso ultimo atto ma mi fece segno di rimanere in silenzio mentre gli altri
provavano le loro battute.
George stava chiedendo al padre di Catherine il permesso di sposarla, richiesta
che venne accolta con gioia. Notai sulla scena William, in disparte, che origliava
tutto, come era ormai consuetudine in Lezioni di seduzione.
Mentre in scena fervevano i preparativi per il grande matrimonio, mi rivolsi
sorpresa al professore: «Non dovrebbe esserci la proposta di matrimonio di
George a Catherine?».
Lui scrollò le spalle. «Non è necessario mostrarla.»
Lo guardai allibita. «Quindi passiamo al matrimonio direttamente?»
«No. L’ultima scena è un dialogo tra William e Catherine.» Mi passò un foglio
solo, piegato in due parti. La fantomatica ultima pagina del copione?
Lo aprii e vi trovai descritta solo l’entrata in scena di Catherine, in abito da
sposa. Lì lei trovava William. Nient’altro, nessuna battuta da memorizzare.
«Non capisco.» Alzai gli occhi e scoprii che il professore stava esaminando
attentamente la mia reazione.
«Devi improvvisare, Elizabeth.»
«Cosa?»
Déjà-vu. Mi sembrò di essere tornata al giorno in cui erano stati annunciati i
ruoli per la commedia.
«Ascolterai il discorso di William e risponderai, improvvisando.» Parlò
lentamente, come se il problema fosse una mia difficoltà di comprensione e non
la follia della sua idea.
«E le battute di William… dove sono?» Ricontrollai il foglio, girandolo più
volte, ma l’altro lato era semplicemente bianco.
«Di quelle non ti devi preoccupare» liquidò i miei dubbi con un gesto
noncurante.
«Come faccio? Cosa devo dire?» mi agitai, pensando che avrei finito per fare
scena muta, lasciando Lezioni di seduzione senza la battuta finale.
«Conosci Catherine, ormai. Saprai cosa rispondere.»
Era completamente pazzo. Non solo aveva scelto come protagonista la
peggiore del corso, proponendole poi di spogliarsi sul palco, ma pretendeva
perfino che riuscisse a concludere la commedia improvvisando.
«Ma come deve finire Lezioni di seduzione? Catherine deve scegliere tra
George e William? Può scegliere?»
Considerando che la proposta di matrimonio di George a Catherine era stata
perfino giudicata troppo irrilevante per mostrarla sul palco, che facoltà di scelta
poteva mai avere la povera ragazza? Ma soprattutto William si sarebbe
dichiarato o avrebbe semplicemente dato la sua benedizione al matrimonio con
un altro?
Il professore si era rimesso a guardare il palco, dove la scena dei preparativi
era già terminata. Stava sorridendo, quel folle!
«Devo andare sul palco?» gli chiesi.
«No, non serve.»
Avevo raggiunto l’apice dell’incredulità. La scena di nudo secondo lui dovevo
provarla a tutti i costi – e mi sarei già dovuta spogliare dieci volte quella
settimana, se Jack non si fosse imposto per aiutarmi –, invece il finale non era
necessario provarlo?
«Stai tranquilla, mi fido di Jack.» Il professore si avvicinò al palco e dichiarò
concluse le prove, dandoci appuntamento per la sera successiva. Il grande giorno
della prima.
Era impossibile ragionare con quel pazzo, dovevo trovare Jack e parlarne con
lui. Avrei letto le sue battute e chiesto consiglio. Rincuorata, mi diressi verso i
camerini e fermai Rick.
«Dovrei parlare con Jack, me lo mandi fuori?»
Rick annuì ed entrò in quello dei ragazzi, uscendone poi pochi secondi dopo,
da solo. «Se ne è già andato, Liz.»
Sospirai, pensando che non avrei nemmeno potuto chiamarlo, avevo la batteria
scarica dalla sera precedente.
«Mi presteresti il tuo telefono? Il mio è scarico da ieri.»
Rick me lo passò e rimase in attesa, di fronte a me.
«Jack non risponde.»
«È andato via prima della scena finale, doveva lavorare stasera» mi spiegò. «Ti
serve un passaggio al campus?»
Scossi il capo. «Daniel mi sta aspettando, lo avviso.»
Con la coda dell’occhio vidi l’espressione di Rick, mentre componevo il
numero del mio amico.
«Che c’è?» domandai, risentita.
Scrollò semplicemente le spalle in risposta.
Avvisai Daniel che avevo finito le prove, il tempo di cambiarmi e sarei uscita.
«Grazie, Rick.»
Mi fece un sorriso appena accennato, mentre gli riconsegnavo il telefono.
«Rick, insomma, che c’è?»
«Rifletti bene stanotte, hai una scelta da fare» disse solo, con una tale serietà
che faticai a riconoscere il sempre sorridente Rick.
«Parli di Catherine?» gli chiesi, pensando che fosse a conoscenza del finale di
Lezioni.
«Forse.»

«Com’è andata?» chiese Daniel, non appena mi vide.


«Bene ma sono esausta.»
«Lo immagino. Vieni, ti porto a cena.»
Cercai di partecipare alla conversazione mentre mangiavamo, ma faticavo
perfino a capire cosa avessi nel piatto. La preoccupazione per la prima dello
spettacolo, a cui mancavano poche ore, impegnava la mia poca energia mentale
residua.
«Lizzy, sei in ansia per domani?» Daniel si dimostrò fin troppo paziente,
considerando che avevo semplicemente annuito o scosso la testa per gran parte
della cena.
«Sì. Scusami se sono di scarsa compagnia. È meglio se provo a farmi una
dormita.»
«Certo» sorrise.
Insistetti per pagare io la cena, considerando che mi aveva perfino
riaccompagnata fin lì e atteso per ore, ma con Daniel era sempre stato difficile
vincere una discussione.
«Ho preso una stanza nell’albergo vicino al teatro. Rimani con me?»
La sua proposta mi riscosse dal mio torpore.
«Danny…» mi bloccai, a disagio. I suoi occhi azzurri mi stavano fissando con
una tale intensità che dovetti distogliere lo sguardo. «Temo che non ti farei
dormire, sono agitatissima per domani e…»
«Appunto. Posso aiutarti a non pensarci e distrarti. O annoiarti mortalmente
con le chiacchiere al punto da farti addormentare!» rise, e mi venne spontaneo
sorridergli in risposta. Grave errore.
«Andiamo, allora?»
«Danny, mi dispiace. Ho bisogno di ripassare il copione, è come se fosse la
notte prima di un esame importante e divento davvero intrattabile, mi conosco.»
Vidi il suo sorriso spegnersi ma non insistette. «Ok, ti accompagno.»
Nel tragitto in auto fino al mio dormitorio rimanemmo in silenzio. Sapevo di
aver deluso Daniel e la cosa mi destabilizzava, perché non avrebbe dovuto
rimanerci così male. Avevo creato un precedente addormentandomi nel suo letto
al punto di fargli credere che non avrei avuto problemi a dormire di nuovo al suo
fianco?
Non era successo nulla, anche se mi ero svegliata stretta nel suo abbraccio…
credendo di essere tra le braccia di Jack. Era stato un errore e non doveva
ripetersi.
«Mi chiami se non riesci a dormire?» domandò Daniel, mentre mi
accompagnava a piedi fino all’entrata del mio dormitorio.
Annuii e mi fermai, a pochi passi dalla porta. «Grazie, Danny.»
Mi sorrise e mi abbracciò. «Di nulla, Lizzy. Siamo stati lontani fin troppo a
lungo.»
Gli diedi un bacio sulla guancia.
«Vengo a prenderti a colazione» mi salutò. «Dormi bene, piccola.»
Rientrai nella mia stanza e misi finalmente in carica il cellulare.
Daniel era stato il mio sostegno nelle ultime settimane e la scorsa notte aveva
tenuto insieme i brandelli che erano rimasti di me, ma sapevo di aver fatto un
errore ad andare da lui. Era difficile ricostruire un’amicizia dopo anni di
lontananza e soprattutto dopo essere stati più che amici per mesi. E quel giorno,
inutile negarlo, negli sguardi e nei gesti di Daniel avevo rivisto non solo il mio
amico di sempre ma anche il mio primo vero ragazzo.
Avremmo dovuto parlarne ma per ora il problema era un altro. Sopravvivere
alla prima di Lezioni di seduzione.
Quando mi infilai a letto riaccesi il telefono e scorsi i messaggi arrivati in
quelle ore, rispondendo a Jessica e a mia sorella che mi ricordava di non
lasciarmi sfuggire nulla dello spettacolo perché nostra madre credeva sarebbe
andato in scena la settimana successiva.
Poi, ascoltai i messaggi in segreteria. Ce n’erano sei di Jack.

«Liz, dove sei? Dobbiamo parlare dell’atto finale di Lezioni.»

«Liz, senti. Non è come credi. Mi richiami?»

Nei due messaggi il tono di voce era cambiato, nel primo era spazientito, nel
secondo sembrava frustrato.

«Ok, basta. Vengo a cercarti.»

«Dannazione, Liz! Ho svegliato Bonnie e l’ho mandata dalla responsabile a


farsi aprire la tua stanza. Dove sei? Sono le due!»

Era arrivato lo stadio della rabbia furibonda.

«Ti aspetto qua. Sono riuscito a entrare senza farmi notare. Ringrazia Bonnie.»

Dalla rabbia al risentimento. Dovevo ringraziare Bonnie? Come no.

«Liz.» Un sospiro e un lungo silenzio. «Sono le quattro. Ho appena chiamato i


due ospedali della città. Non mi volevano dire nulla, così ho svegliato… mio
fratello. Lui è riuscito a farsi dire che non sei ricoverata né in attesa al pronto
soccorso. Dove sei, Liz?» La voce di Jack si era ridotta a un sussurro. «So che
sei arrabbiata con me ma puoi almeno scrivere a Rick e dirgli dove… diavolo sei
finita?»

Mi stesi nel mio letto abbracciando il cuscino e lo sentii. Il profumo di Jack.


Era rimasto tutta la notte ad aspettarmi nella mia stanza, mentre io ero a
centinaia di chilometri di distanza e dormivo tra le braccia di Daniel.
Scoppiai a piangere, non riuscendo più a dipanare quel groviglio confuso di
sentimenti che mi stava soffocando.
Cara Catherine, non sei l’unica che deve fare chiarezza nella sua vita.
18

L’abito da sposa di Catherine era meraviglioso e, dopo le modifiche della sarta,


vestiva alla perfezione, ma io mi sentivo soffocare. Avevo caldo e mi girava la
testa. Avanzai con passo incerto e raggiunsi William.
«Catherine, sarete la sposa più bella» si complimentò, gli occhi scuri fissi nei
miei.
«Grazie» non sapevo che altro dire e il vestito sembrava stringersi sempre di
più, togliendomi il respiro.
«Avevate detto di amarmi ma erano solo bugie.» Il tono di William divenne
improvvisamente sprezzante, disorientandomi.
«No che non lo erano!» mi difesi, ansimando per lo sforzo di parlare.
William rise e scosse il capo, tornando poi a fissarmi con sdegno. «Avete scelto
un altro uomo. È bastato così poco per farvi dimenticare l’amore che dicevate di
provare per me.»
«Voi non avete… lottato per me. Mio padre ha dato la sua benedizione a
George…»
«In quale letto hai dormito ieri notte? Quali mani ti hanno toccata? Sei certa di
non aver desiderato che fossero le mie?» William si avvicinò, investendomi con
le sue accuse. Era passato a un intimo «tu». Eccessivamente intimo per lui.
Non riuscivo più a respirare, il vestito era troppo stretto, le luci troppo forti, lo
sguardo di William troppo carico di risentimento e le sue parole non avevano
alcun senso. Nel copione non c’era nessuna notte d’amore tra Elizabeth e
George.
«Vi state sbagliando! Io non ho…»
«Dov’eri ieri notte, Liz? Mentre io ti cercavo ovunque, tu ti sei infilata nel suo
letto. Avevi detto che eri innamorata di me ma sei fuggita da lui.»
«Jack… cosa?» Mi girai, anche se non avrei dovuto, ma dovevo controllare la
reazione del pubblico. Non c’era nessuno in platea, mi voltai ed era sparito
anche Jack.
Ero rimasta da sola, sul palco, nell’abito da sposa di Catherine che mi stava
soffocando.
Mi svegliai di soprassalto, sudata e con il cuore a mille.
Non erano nemmeno le sette di domenica mattina ma rinunciai a rimanere
ancora a letto: avevo ormai paura di addormentarmi e fare altri incubi.
Iniziai a prepararmi, consapevole che sarebbe stata una giornata molto intensa
perché oltre allo spettacolo mi attendevano due conversazioni a dir poco
complesse.
Daniel passò a prendermi appena dopo le nove e mi proibì tassativamente di
bere caffè, sostenendo che ero già fin troppo ansiosa.
«Certo che lo sono! Non ho mai recitato prima e Lezioni di seduzione è
davvero particolare…» mi bloccai, incerta se rivelargli il motivo della mia
preoccupazione.
«Ma non è una commedia in costume?» chiese Daniel confuso.
«Sì» mi riempii la bocca con mezzo biscotto per prendere tempo. «È che
l’ultima scena…» presi un sorso del mio latte. «Non è scritta, devo
improvvisare.»
«Ah sì? Bè, sarà divertente!» Daniel non perse l’occasione di prendermi in
giro, ipotizzando scenari apocalittici in cui finivo a raccontare aneddoti
imbarazzanti su di me o mi mettevo perfino a cantare, non sapendo cos’altro dire
sul palco.
«Non mi sei d’aiuto così!» lo sgridai, ma in realtà stavo ridendo. Daniel era
sempre riuscito a tirarmi su di morale, in qualsiasi occasione. Perfino quando il
cane dei vicini aveva staccato la testa alla mia bambola preferita.
Averlo al mio fianco, pronto a sdrammatizzare con battute e distrarmi con
monologhi deliranti su argomenti totalmente assurdi, fu davvero una
benedizione. Lo portai a visitare il mio campus e, prima che riuscissi ad
accorgermene, era arrivata l’ora di pranzo.
«Danny, non ce la faccio a mangiare. Ho la nausea.»
«Lizzy, non puoi restare a stomaco vuoto fino a stasera. A costo di farti sedere
sulle mie gambe e imboccarti facendo l’aeroplano con la forchetta, riuscirò a
farti mangiare qualcosa.»
«Ti odio quando fai così» sbuffai, mentre mi faceva entrare nella tavola calda.
«Non importa, finché mi adori tutto il resto del tempo.» Mi diede un pizzicotto
sul fianco e mi indirizzò verso un tavolo.
«Ordina quello che ti pare, tanto poi devi finirlo tu» borbottai, controllando il
telefono e trovando un messaggio di Jessica. «Vado un momento in bagno.»
Volevo chiamare la mia amica, ma non mi sembrava il caso che sentisse la
voce di Daniel in sottofondo.
«Liz, sei pronta?» mi salutò, euforica.
«Per nulla. Credo che vomiterò sul palco.»
«Tutto normale, quindi» Jessica rise. «Mi dispiace non esserci ma non posso
proprio allontanarmi ora, manca poco agli esami.»
«Non ti preoccupare! Meno persone che conosco si siederanno in platea meglio
sarà!» esclamai, avvicinandomi allo specchio del bagno per controllare di quanto
trucco di scena avrei avuto bisogno per coprire le occhiaie.
«Perché? Chi viene?»
«Ehm… Daniel.» Non volevo mentire a Jessica, anche se sapevo che non
avrebbe approvato.
«Ma lo sa che ti devi spogliare?»
«No. Non so come dirglielo» sospirai, massaggiandomi gli occhi.
«Mi dispiace davvero non esserci. Perdermi la faccia di Daniel quando ti vedrà
mezza nuda tra le braccia di Jack è davvero un peccato mortale.» Il suo
dispiacere così teatrale mi fece quasi ridere, ma mi trattenni.
«Jess!»
«Ne riparliamo domani, dai. Ora pensa solo allo spettacolo.»
La salutai un paio di minuti dopo, contenta di averla sentita e che il nostro
rapporto stesse tornando quello di un tempo, frecciatine a Daniel incluse.
Quando dichiarai che il mio stomaco sottosopra aveva raggiunto il massimo
che poteva sopportare, lui abbandonò il tono giocoso e le battute per un
argomento serio.
«Ieri ho fatto un giro e ho preso qualche informazione» mi annunciò.
«Su cosa?»
«Mi restano pochi esami e sto iniziando a cercare un master.»
«Qui?» domandai, sorpresa.
«Ce n’è uno davvero interessante. Potremmo dividerci un appartamento fuori
dal campus!» mi sorrise raggiante.
«Danny…»
Non mi sarei mai aspettata una proposta del genere. Paradossalmente era
quello che avevo desiderato per mesi, fino a due anni prima e forse anche più a
lungo, ma in quel momento, per quanto fossi felice di avere di nuovo il mio più
vecchio e caro amico nella mia vita, l’idea di vivere con lui mi lasciava
sconvolta più che emozionata.
«Ne riparliamo poi con calma, abbiamo tempo» Daniel si sforzò di continuare
a sorridermi ma la mia mancanza di entusiasmo lo aveva un po’ spento.
Avrei voluto affrontare quel discorso con lui dopo lo spettacolo, ma non potevo
più rimandare. «Danny, ascolta.» Vidi il suo viso rannuvolarsi e gli feci un
sorriso, per stemperare la tensione. «Sono davvero felice che la nostra amicizia
stia tornando quella di un tempo.»
«È solo questo che vuoi per noi?» chiese con gravità.
«Sì. Spero di non averti dato l’impressione sbagliata venendo a cercarti l’altra
sera.» Mi tormentai le mani, nascoste sotto il tavolo, temendo la sua replica.
Come avrebbe potuto non farsi un’impressione sbagliata?
«È perché credi di essere innamorata di Jack?»
«Daniel, non mettere in mezzo Jack. Stiamo parlando di altro» lo ammonii,
non volendo rendere ancora più complessa e sofferta quella discussione.
Rimase in silenzio a lungo, poi sospirò e fissò i suoi occhi azzurri nei miei,
animato da una nuova risolutezza.
«Lo so cosa hai pensato quando ti ho chiesto di fare un passo indietro, perché
la distanza era un ostacolo troppo grande. Credevi che ti avessi tradita, non me lo
hai mai rinfacciato, sei semplicemente sparita. So di averti ferita e delusa e per
quello mi assumo ogni colpa ma… Lizzy, non ti ho tradita, non lo avrei mai
fatto.»
«Io…» non ce la facevo ad ammettere di averlo pensato, per anni.
Il mio più grande errore era stato allontanarlo senza prima chiarire la
situazione tra noi, mi ero sentita così ferita – proprio dalla persona nella quale
riponevo totale fiducia – che avevo reciso di netto ogni legame. Era stato il mio
primo amore e mi sembrava assolutamente impensabile tornare amici come un
tempo.
In realtà era stata Jessica a insinuarmi il dubbio che mi avesse tradita, non
volevo crederlo ma il risentimento aveva vinto sulla fiducia. Ero finita a pensare,
volente o nolente, che mi avesse lasciata per potersi divertire al college senza
sensi di colpa. È molto facile giungere alle conclusioni peggiori quando ci si
sente feriti.
Daniel non aggiunse altro e si alzò, facendomi segno di uscire. Lo seguii in
silenzio e camminai al suo fianco per qualche metro.
«So che hai bisogno di tornare a fidarti davvero di me, e dobbiamo entrambi
fare i conti con il tempo che ci ha cambiato» riprese il discorso, fermandosi
accanto al fuoristrada nero. «Se intanto hai bisogno del tuo migliore amico, sono
qua. Ci sono sempre stato.»
«Grazie, Danny» sussurrai, con le lacrime agli occhi.
Se Jack non fosse entrato nella mia vita, facendomi scoprire sentimenti nuovi e
destabilizzanti, sarei stata tentata di dare a Daniel una seconda possibilità,
nonostante gli errori del passato e il troppo tempo trascorso? Era una domanda
che sarebbe rimasta senza risposta.
Salimmo in auto e lui si girò a guardarmi. «Ma non rinuncio così facilmente a
te, Lizzy. Ti ho già persa una volta e non lascerò che accada di nuovo.»
Non replicai. La sua determinazione mi lasciò senza fiato, come se le sue
parole stessero spingendo per entrare nel mio cuore, senza riuscirci perché il
posto era già occupato.
Il tragitto fino al teatro fu fin troppo breve, ero ancora scossa quando Daniel
parcheggiò.
«Non avrei dovuto affrontare questo discorso proprio ora, mi dispiace»
sussurrò, allungando una mano per stringere la mia.
«Dovevamo parlarne. Anche se non so davvero cosa dirti ora» ammisi,
guardandolo negli occhi.
«Nulla. Pensa allo spettacolo.»
Scesi dall’auto. Daniel mi accompagnò fino all’entrata del teatro e mi
abbracciò.
«Sarò in prima fila.»
«Ti voglio bene, Danny» sussurrai, la voce ancora rotta dall’emozione.
«Io molto più bene che bene, Lizzy.»
Mi salutò con quell’ultima dichiarazione, proprio nel momento ideale per
aggiungere nuovi pensieri ai mille che già vorticavano nella mia testa. Il più
contingente era lo spettacolo, con l’assurda scena di nudo e la mancanza di un
vero ultimo atto.
Ero arrivata in anticipo, quindi c’erano soltanto Agatha, il custode e un paio di
compagne che chiacchieravano dietro le quinte.
«Avete visto Jack?» chiesi.
«È arrivato due minuti fa, non lo hai incrociato all’entrata?»
Scossi il capo, chiedendomi se lui mi avesse vista abbracciare Daniel.
«Cercalo nel camerino» mi suggerirono, facendomi sbiancare sopraffatta dai
brutti ricordi. Dovetti ispirare molta compassione perché si affrettarono ad
aggiungere che era arrivato in compagnia di un tizio mai visto.
Le ringraziai e svoltai nel corridoio di sinistra con lo stesso passo di un
condannato al patibolo. Ero ancora scossa dalla dichiarazione di Daniel e dovevo
affrontare Jack per discutere di quella maledetta scena finale di William e
Catherine.
La porta del camerino era socchiusa, stavo per bussare quando udii la voce
adirata di Jack.
«Dimmi che stai scherzando!»
«No, Jack. Se ti fossi degnato di rispondere alle mie telefonate te lo avrei detto
da giorni.» Il tono del suo interlocutore mi sembrò familiare.
L’imprecazione successiva di Jack confermò il mio sospetto. «Dannazione,
Luke!»
«Lei non ti ha detto nulla?»
Jack sospirò. «No, non…» Sentii un colpo sordo. «Non posso credere che sia
arrivato a tanto. Offrirle dei soldi per allontanarla!»
Mi portai una mano alla bocca, soffocando un gemito. Stavano parlando di me
e della disgustosa offerta del loro amorevole padre.
«Li ha rifiutati. Per questo papà me ne ha parlato. Se avesse accettato, non me
lo avrebbe mai detto.»
«Era indignato perché qualcun altro osava sfuggire al suo controllo?»
«No, era sollevato.»
«Sollevato?» Jack sembrava confuso.
«Credeva che Elizabeth volesse incastrarti, che avesse mire sul nostro
patrimonio. Cerca di capirlo, ti aveva portato perfino a conoscere i genitori.»
«Ha osato accusarla di questo?» sbottò Jack.
«Sai come ragiona nostro padre. Perciò era sollevato perché – cito le sue parole
– la stupida ragazzina si era presa solo una cotta per te e presto tu ti saresti
stancato.»
Non riuscii a sentire la risposta perché dei passi alle mie spalle mi costrinsero a
entrare, di fretta, nel camerino accanto per non farmi scoprire a origliare.
In pochi minuti la stanza si popolò e venni circondata dalle chiacchiere delle
mie compagne. Poi arrivò il professore e iniziò il delirio. A metà pomeriggio,
stavamo già tutti impazzendo.
Due luci del palco si erano fulminate e, nel sostituirne una, un corto circuito
fece saltare il contatore generale lasciandoci nella penombra delle luci di
emergenza.
Il professore era isterico e l’addetto alla manutenzione, stanco degli insulti, se
ne andò fuori a fumare per mezz’ora. Agatha riuscì a farlo tornare con le buone,
dopo che le minacce del professore non avevano fatto che peggiorare la
situazione.
Eravamo tutti nervosi e Rick, nell’indossare l’abito di George, strappò il
panciotto. La sarta era andata a prendere le nipoti dal corso di danza e arrivò
soltanto un’ora dopo.
Nel delirio totale, compresa una tenda strappata nel letto a baldacchino, non
riuscii a scambiare nemmeno mezza parola in privato con Jack.
«Questo spettacolo è maledetto!» tuonò il professore, sparendo dietro le quinte
dopo l’ennesimo contrattempo.
«Ci manca solo un infortunio sul palco alla lista degli incidenti» scherzò Rick,
mentre indossava con estrema cautela il panciotto appena sistemato.
«Non dirlo nemmeno per scherzo!» lo fulminai, esasperata.
«Liz, dimmi una cosa. Ma alla fine mi sposi o no?» chiese, non riuscendo a
non scoppiare a ridere alla fine.
«Solo tu puoi scherzare su questa tragedia!» Alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
«Non era una commedia?» ridacchiò ancora Rick. Era incorreggibile.
«A proposito del finale…» sussurrai, notando Jack che stava scendendo la
scaletta per dirigersi in platea. Inviando mille maledizioni mentali allo scomodo
abito di Catherine, cercai di seguirlo ma lo raggiunsi solo quando era quasi sulla
porta.
«Jack, aspetta.»
«Prendiamo una boccata d’aria» mi propose, e uscì senza guardare se lo
seguivo.
Era quasi sera e il marciapiedi era abbastanza affollato; parecchie persone si
giravano a fissarci vedendoci vestiti in quel modo.
«Jack, sono preoccupata per la scena finale.»
«Tranquilla, andrà bene» minimizzò. Non mi sarei aspettata altro da lui.
«Mi fai leggere il discorso di William?» chiesi, speranzosa.
«Non posso.»
«Jack, per favore! Non lo dirò al professore» lo pregai.
Lui rimase in silenzio, fissandomi intensamente.
«Fidati di me, Liz.»
Non era così facile, volevo protestare. Ma le parole mi restarono in gola. Non
mi ero fidata di lui, mai. Ed era stato un disastro.
Annuii, semplicemente, sperando di non pentirmene. E rientrai in teatro.
Era arrivato il momento di trucco e parrucco per noi dame del Settecento e i
camerini si trasformarono in una specie di salone di bellezza. Avevamo due
parrucchiere a nostra disposizione ma il tempo era scarso e dovevamo aiutarci
tra di noi. Kristen monopolizzò l’attenzione per oltre un’ora, continuando a
lamentarsi del risultato dell’acconciatura: era così insopportabile che, pur di farla
tacere, tutti finivano per assecondarla.
«Come sarebbe a dire che Catherine non è ancora pronta?!»
Mi sembrò di vedere qualche pezzo di intonaco staccarsi quando il professore
urlò a tutte le altre di uscire. Kristen tentò di ribadire che lei ancora doveva finire
di truccarsi.
«Ma chi vuoi che noti il tuo trucco nelle tre scene che devi recitare? Non ti ho
scelta come protagonista!»
Se non avessi rischiato di farmi bruciare il collo dall’arricciacapelli, mi sarei
messa a ridere per l’immensa soddisfazione di vedere Kristen uscire con la coda
tra le gambe.
La quiete improvvisa del camerino, lungi dal farmi concentrare e rilassare,
permise alla mia mente di vagare e perdersi nelle preoccupazioni. Avrei dovuto
spogliarmi, non avevo più scuse ormai!
L’ansia riaffiorò, mentre l’orologio ticchettava più veloce. Il professore ci fece
radunare tutti sul palco, il sipario era chiuso e si sentivano già le voci del
pubblico che si accomodava.
«Dov’è William?»
Mi accorsi solo in quel momento dell’assenza di Jack. Il pazzo ovviamente
fissava soltanto me, come se lo stessi nascondendo sotto la voluminosa gonna di
Catherine. «Non lo so, non lo vedo da un paio d’ore.»
«Andate a cercarlo, dannazione!»
Dieci minuti dopo di Jack ancora non c’era traccia.
Il professore faceva avanti e indietro, tirandosi con forza il pizzetto e
borbottando tra sé, la vena del collo gli pulsava così tanto che temetti di vederla
esplodere.
«Se Jack non arriva in tempo, dovrai farlo tu William» indicò improvvisamente
Charles, che impallidì.
«Ma io sono il maggiordomo!»
«E ti avevo detto di imparare anche le battute di William!» Il pazzo era a un
passo dall’esaurimento nervoso, temetti di veder comparire la bava alla bocca,
chiaro segno che eravamo arrivati all’idrofobia.
«Sì ma non credevo che Jack potesse davvero mancare.» Charles era
sconvolto. «Nessun altro potrebbe recitare quella parte!»
Mi appoggiai a Rick, priva di forze. Senza Jack non ce l’avrei mai fatta.
«Liz, ehi! Respira.» Mi guardò con apprensione e mi sorresse fino al camerino,
dove mi fece sedere «Liz, guardami.»
Sentivo a malapena la sua voce, il vestito di Catherine mi toglieva il respiro e
mi girava la testa. Mi sembrò di essere appena entrata nel mio incubo, da
sveglia.
«Qualcuno può portarmi dell’acqua? Liz non si sente bene!»
Al fianco di Rick apparve Agatha.
«Elizabeth, bevi un sorso d’acqua. Andrà tutto bene.»
«Liz, ce la puoi fare.» Rick si inginocchiò davanti a me e mi sforzai davvero di
calmarmi, ma mi sentivo soffocare e i miei respiri erano sempre più spezzati, la
stanza non smetteva di girare e la nausea era tornata più forte di quel mattino.
Chiusi gli occhi e all’improvviso mi sembrò di sentire la sua voce.
«Ci penso io.»
Sentii uno spostamento d’aria e riaprii gli occhi. Inginocchiato davanti a me
c’era Jack.
«Rick, puoi lasciarci due minuti?» Mi prese le mani tra le sue mentre la porta
del camerino si chiudeva.
«Liz, guardami. Respira insieme a me.» La voce di Jack funzionò come la
migliore delle medicine.
«Dov’eri?» sussurrai, una volta ritrovata la lucidità.
«Avevo bisogno di schiarirmi le idee. Mi sono allontanato troppo a piedi e
senza orologio non mi ero accorto di essere in ritardo.»
«Il professore ha rischiato l’infarto e Charles è quasi collassato per l’ansia da
prestazione.»
«E tu?» domandò, continuando a scaldarmi le mani che il panico aveva
ghiacciato.
«Non ce l’avrei mai fatta a salire sul palco senza di te» confessai, sentendomi
spossata e vulnerabile.
«Te l’avevo detto che non ti avrei mai lasciata sola» sorrise, si alzò e mi fece
un inchino da perfetto gentiluomo. «Sei pronta ad andare in scena, Catherine?»
sussurrò poi, con il migliore sguardo ammaliante di William. Anzi, di Jack.
«Nemmeno un po’. Temo sarà un disastro» sussurrai di rimando, alzandomi.
«Liz.» Jack mi posò le mani sui fianchi e mi guardò negli occhi. «Dimentica il
pubblico, dimentica il professore, se vuoi puoi dimenticare anche le battute e
improvvisare. Concentrati solo su di me, saremo io e te.»
«Saranno William e Catherine» lo corressi, ma Jack non rispose, limitandosi ad
aprire la porta del camerino.
Era arrivata l’ora di alzare il sipario.
19

Ho ricordi molto confusi di quella sera. Sicuramente, nelle prime scene, ero
apparsa poco sicura di me, ma il copione mi veniva in soccorso perché Catherine
era ancora solo una curiosa e ingenua fanciulla. Con l’ingresso di William,
iniziai a sciogliermi.
Il tempo sembrò scorrere più velocemente rispetto alle prove, perché non c’era
mai nessuna interruzione per le correzioni del professore. Qualche battuta si
perse per strada ma lo spettacolo doveva continuare e continuò, nonostante
piccoli errori e qualche improvvisazione.
Agatha, preparatissima sul copione completo, mi aspettava dietro le quinte per
aiutarmi a spogliarmi e a indossare la vestaglia. Tremavo quando me la allacciai
con fin troppa forza in vita. Non avevo il tempo di riprendere fiato né di
fermarmi a pensare, dovevo rientrare subito sul palco.
Ero così nervosa che mi tremò la voce alla prima battuta ma cercai di
concentrarmi su Jack che mi aspettava disteso nel suo letto. Jack, non William,
perché era di lui che avevo bisogno per superare quella prova.
Con mani tremanti slacciai la cintura della vestaglia e fu in quel momento che
mi accorsi che qualcosa non andava. Il letto non era posizionato come avrebbe
dovuto: il fatto che nessuno sapesse che mi sarei spogliata davvero era stato un
grave errore perché quando avevano sistemato il letto sul palco non avevano
controllato la giusta posizione.
Non davo le spalle al pubblico, anzi la vestaglia scendendo avrebbe lasciato la
visuale completa sul lato destro del mio seno nudo.
Alzai gli occhi e guardai Jack. Non sapendo come rimediare, presi tempo
facendo scendere la vestaglia solo fino alle spalle.
«Catherine» Jack mi chiamò di nuovo, inserendo battute non previste per
riempire i lunghi secondi che erano trascorsi mentre io temporeggiavo.
Ero a due passi da lui e paradossalmente ero più terrorizzata dal non sapere
come continuare la scena che dallo spogliarmi veramente. Jack allungò una
mano per sfiorare il mio braccio, inserendo una nuova battuta.
«Non dovreste andare in giro di notte, Catherine.»
Rabbrividii per il contatto e involontariamente persi la presa sulla vestaglia che
scivolò giù dalla mia spalla destra. Gemetti, di sorpresa, quando il mio seno fece
capolino per un solo brevissimo istante, prima che Jack lo coprisse con la sua
mano.
«Oh Catherine!» esclamò, sporgendosi verso di me per coprirmi con il suo
corpo. Era uscito completamente dal copione, William avrebbe solo dovuto
sfiorare Catherine e rifiutarla subito dopo. Posò le sue labbra vicino al mio
orecchio, sussurrandomi: «La vestaglia». Poi mi aiutò a infilarla, fingendo di
abbracciarmi, preda della passione.
Solo quando fui di nuovo completamente coperta, si staccò e tornò a recitare,
mandandomi via come William doveva fare. Saltammo completamente il bacio
della buonanotte, avevamo già fatto fin troppe modifiche e non vedevo l’ora di
uscire di scena e tornare a vestirmi.
Nei dieci minuti di intervallo, a metà dello spettacolo, temevo che il professore
ci avrebbe rivolto ogni insulto possibile, invece si limitò a dire che stavamo tutti
facendo un buon lavoro. Un ritocco veloce al trucco di Catherine ed ero di nuovo
pronta a entrare in scena.
Jack si mise al mio fianco e mi sorrise, incoraggiante. Rick ci passò accanto,
alla ricerca di una bottiglietta d’acqua ma Jack lo fermò.
«George, niente lingua nella scena finale» lo ammonì, con serietà.
Rick parve per un attimo disorientato, poi mi guardò regalandomi uno dei suoi
migliori sorrisi, prima di tornare a rivolgersi a Jack. «Mi tratterrò. In cambio mi
aspetto drink gratis la prossima sera che sei di turno al pub.»
Jack trattenne il fiato come se Rick lo avesse colpito, poi mi guardò.
«Lo sapevo già. Da ieri» ammisi.
Non potemmo aggiungere altro perché dovevamo tornare in scena.
I baci di Jack mi lasciarono senza fiato, soprattutto perché sapevo che non
erano di William, non era necessario che fossero così veri e passionali per la
riuscita dello spettacolo. Ogni contatto con lui mi lasciava sempre più languida e
confusa, nonché reticente a lasciarlo andare.
Avrei dato qualsiasi cosa per far sparire tutto, il pubblico, il palco, gli scomodi
abiti di scena, e rimanere da sola con Jack.
Quando mi aiutarono a indossare l’abito da sposa di Catherine, ero un fascio di
nervi. Dovettero letteralmente spingermi da dietro le quinte perché ero
completamente paralizzata dall’ansia, avanzai di qualche passo solo quando vidi
Jack che mi aspettava al centro del palco.
«E così… siamo alla fine» la prima battuta di William echeggiò i miei stessi
pensieri. La fantomatica e temutissima scena finale era arrivata e non avevo la
minima idea di cosa far dire a Catherine.
«Tutto questo…» Jack allargò le braccia indicando fisicamente ciò che ci
circondava, forse per dare risalto alla metafora che stava usando. «Tutto questo
ci ha legato ma alla fine avete scelto lui» disse con amarezza.
«Sc-scelto?» balbettai, lottando con il terrore cieco di dover improvvisare. Ma
fu Catherine, dentro di me, a ruggire la sua indignazione. «Siete voi che non mi
avete voluta!»
William scosse il capo, accennando un sorriso sardonico. «Vi ho voluta e vi ho
avuta.»
Aprii la bocca per ribattere ma lui non mi lasciò parlare. Se solo avessi potuto
leggere le sue battute, avrei saputo quando intervenire.
«Hai detto di amarmi.»
Troppe cose mi sconvolsero: il tono improvvisamente confidenziale, la sua
espressione tormentata e il fatto che Catherine mai si era dichiarata nel copione
di Lezioni di seduzione. Ero io ad avergli confidato di essermi innamorata di lui,
non Catherine.
«Hai detto di amarmi ma poi sei corsa da lui» ripeté di nuovo, con maggiore
enfasi.
Mi sentivo in bilico tra realtà e finzione, avrei voluto rispondere per me stessa
ma era il mio personaggio a dover parlare. «Io… la proposta di matrimonio è
stata… mio padre ha…» Catherine si stava spegnendo dentro di me, così come
ormai ero certa di non avere solo William di fronte.
«Le decisioni dei padri non devono guidare le nostre vite.»
Padri? Parlava del padre di Catherine o del suo stesso?
«Io… non capisco» ammisi, totalmente disorientata. Non ero più nemmeno
convinta che avere il copione completo mi avrebbe preparata a quella scena.
«Nemmeno io avevo capito» Jack mi sorrise, un sorriso pieno e genuino, lo
sguardo distante come se stesse ricordando il passato e non vivendo il presente.
«All’inizio era un gioco, una sfida. Darti lezioni, vedere nascere l’alchimia.»
Eccola, sempre presente fino alla fine. Il vero deus ex machina dello spettacolo
e, forse, di tutta la nostra storia.
«Non avevo immaginato che sarei stato io a imparare qualcosa da te.» Mi
fissava con una tale intensità che sentii le gambe cedere.
Barcollai e Jack si avvicinò, prendendomi per mano.
«Cos’hai imparato?» domandai, perdendomi nei suoi occhi e dimenticando
tutto il resto.
«Credevo di non aver bisogno di nessuno, solo di me stesso.» Jack fece una
smorfia, poi mi regalò un sorriso misterioso. «Poi sei arrivata tu e ho scoperto di
non riuscire a fare a meno di te, di aver bisogno di te.»
«Bisogno?» chiesi, incerta di cosa intendesse. Era un bisogno solo fisico? Era
attrazione quella che provava per me, nata da quella fantomatica alchimia?
«Mi sono spaventato quando mi hai confessato di esserti innamorata di me. Era
quello che volevo, conquistarti e averti al mio fianco. Ma mi sembrava… troppo.
Non ero…» Jack scosse il capo, cercando le parole. Parole che se fossero state
scritte non avrebbe mai dimenticato. Di William, di fronte a me, erano rimasti
solo gli abiti.
Avevo atteso per settimane di conoscere i motivi del suo allontanamento ma
non ero comunque preparata al suo discorso, e di certo non avrei mai creduto che
sarebbe arrivato proprio in quel momento.
«Ho preso tempo per capire cosa mi stava succedendo, cosa provavo, cosa
volevo. Ma poi… tu non mi hai aspettato.»
Non era William e non stava parlando di George. Era Jack e stava parlando di
Daniel. Che sedeva tra il pubblico, peraltro.
Era davvero convinto che lo avessi già dimenticato, rifugiandomi tra le braccia
di Daniel non solo alla ricerca di conforto ma anche dell’amore che lui mi aveva
negato?
«Ti sbagli» mi schiarii la voce, prendendo coraggio. «Non ho smesso un istante
di aspettarti.»
La mia dichiarazione lo colse di sorpresa, per un attimo, ma poi vidi apparire il
suo classico ghigno.
«Sono arrivato giusto in tempo, allora?» indicò il vestito da sposa di Catherine
ma non ebbi nemmeno per un istante il dubbio che si riferisse a quello.
Annuii, tremando dall’emozione. Non osavo sperare che a tenerci lontani fosse
stata solo la paura e non la mancanza di un vero sentimento.
«Devi scusarmi, lo sai che amo un po’ troppo la teatralità» Sorrise e piegò un
ginocchio, di fronte a me, senza lasciare andare la mia mano.
Jack era ai miei piedi e mi fissava come se nulla al mondo fosse più importante
di me, di noi, di quel momento. I suoi occhi brillavano per un’emozione che
aveva fin troppo a lungo trattenuto e i miei luccicavano di commossa speranza.
«Scegli me. Dammi la possibilità di dimostrarti che ti amo, come non ho mai
amato nessuno prima di te. Perché questo non è davvero l’epilogo ma il nostro
inizio.»
Strinsi con più forza la sua mano, tirando leggermente il suo braccio per fargli
segno di alzarsi. Mi assecondò, rimettendosi lentamente in piedi, in drammatico
silenzio.
Dalla platea non proveniva alcun suono ma non fu soltanto per quello che
dimenticai che lo spettacolo era ancora in scena. Aveva ragione Jack, sul palco
alla fine c’eravamo soltanto io e lui.
Il tormento nei suoi occhi mi fece capire che era ora di rispondere, che dovevo
dare voce a ciò che il mio cuore, che batteva impazzito, stava dichiarando
dall’inizio del suo discorso.
«La mia risposta è…» feci una pausa davvero teatrale e sentii Jack trattenere il
respiro. «Sì. Avevo già scelto te.»
Jack chiuse per un istante gli occhi, poi mi cinse la vita con entrambe le
braccia. Avrei voluto averlo più vicino ma lo scomodo abito di Catherine era in
mezzo a noi, a tentare di ricordarmi che Lezioni di seduzione era ancora in scena.
Jack chinò lentamente il capo, fissandomi come se temesse che potessi
ripensarci o scappare.
«Allora baciami» sussurrai le stesse identiche parole che non avevo mai
dimenticato da quella sera in cui Jack mi aveva chiesto di baciarlo, come Liz e
non come Catherine. I suoi bellissimi occhi scuri si illuminarono riconoscendo la
battuta.
E finalmente mi baciò. Sul nostro bacio calò il sipario, ma nemmeno me ne
resi conto, stretta a lui e abbandonata tra le sue braccia.
Vestivamo ancora i panni di Catherine e William ma in realtà eravamo
Elizabeth e Jack, completamente noi stessi senza maschere né dubbi.
«Così mi hai abbandonato all’altare, eh?» La voce di Rick mi strappò
dall’incantesimo delle labbra di Jack, che mi avevano estraniata da tutto.
Catherine e William si staccarono giusto in tempo perché il sipario si riaprisse
e tutti gli attori, sul palco, potessero inchinarsi e ringraziare il pubblico.
Non mi ero resa conto degli applausi, probabilmente non avrei notato
nemmeno il tonfo dei pomodori se me li avessero tirati addosso.
Jack non mi lasciò mai, nemmeno per un secondo, la sua mano rimase
intrecciata alla mia finché non scendemmo tra il pubblico a salutare amici e
parenti.
Stavo sorridendo, confusa ma raggiante, quando mi ritrovai davanti Daniel.
Impiegai qualche istante ad accorgermi della sua espressione seria e distaccata.
«Adesso ho capito perché eri così nervosa all’idea di salire sul palco.»
Mi rabbuiai, sconcertata per il suo tono. «Ho recitato così male?»
Daniel sbottò, incapace di controllarsi ancora. «Lizzy, maledizione, eri mezza
nuda! E la scena finale che diavolo era?!»
«Te l’avevo detto che Lezioni di seduzione era particolare» risposi, risentita dal
suo tono indignato. Ero la prima ad aver sempre criticato lo spettacolo ma mi
aspettavo un minimo di supporto dal mio migliore amico.
«Per settimane ti ha ignorata ma è bastata quella sceneggiata per farti cadere ai
suoi piedi? Si è approfittato dello spettacolo per baciarti e toccarti senza alcun
ritegno tutto il tempo, davanti a decine di persone!» Daniel era furibondo come
poche volte lo avevo visto in tanti anni di amicizia.
«Daniel, abbassa la voce» lo ammonii duramente perché stavamo attirando
l’attenzione di troppe persone.
«Elizabeth, ti conosco da una vita. Non puoi davvero essere così stupida da
credere alla dichiarazione di presunto amore di William.»
«Jack. Non William» sibilai, stanca di dover distinguere la finzione dalla
realtà.
Il diretto interessato si materializzò al mio fianco.
«Se non l’hai ancora capito, tu in questa storia puoi essere solo George.» La
voce di Jack mi provocò un brivido, il tono era rigido e sprezzante come quello
usato da suo padre.
«Questa è la vita vera, non il tuo palcoscenico» ribatté Daniel, guardandolo
con livore. «Anche se so bene quanto ti piace recitare in entrambi» aggiunse,
rivelando a Jack di conoscere la verità sul nostro rapporto al tempo delle vacanze
di primavera.
«Non ero io quello che fingeva. Volevo Liz e lo dimostravo, non ho finto di
esserle solo amico quando era più vulnerabile» Jack accusò Daniel, zittendolo
per un istante.
Sul viso del mio amico vidi nascere una rabbia cieca. «Non osare accusarmi di
essermi approfittato di lei!» Si avvicinò di un passo al suo rivale, gli occhi
lampeggianti d’ira.
«Se davvero vuoi giocarti la carta del migliore amico, a questo punto dovresti
essere felice per lei» lo provocò Jack, per nulla intimorito dalla sua minaccia.
Daniel scosse il capo, sempre più paonazzo in volto, ma Jack non gli diede il
tempo di replicare. «Ma non lo sei. Anzi, la stai aggredendo perché sei
schifosamente geloso.»
Presi Jack per un gomito, per allontanarlo da Daniel che si era avvicinato
ancora e sembrava sul punto di esplodere. «Non immischiarti in cose che non ti
riguardano. Lizzy e io abbiamo un passato e…»
«Passato, appunto» ripeté Jack in tono di scherno.
«Jack» sussurrai, intrecciando la mano nella sua per allontanarlo e cercare di
porre fine alla discussione.
Daniel mi rivolse uno sguardo deluso e ferito. «Stavolta cerca di rispondere
alle mie telefonate e non evitarmi per altri due anni, dobbiamo parlare» aggiunse
solo, cercando di racimolare i brandelli della sua dignità. E se ne andò,
lasciandomi senza parole per la sua freddezza. Ero arrabbiata per come mi aveva
trattata ma l’idea di perderlo di nuovo, proprio quando avevamo ricostruito la
nostra passata amicizia, mi feriva terribilmente. Il problema era che Daniel non
voleva essere solo mio amico e lo aveva ormai ben chiarito.
«Liz?» Jack mi chiamò, ero rimasta a fissare il vuoto, persa nei miei pensieri.
«Devo togliere questo vestito.»
Lui annuì e non aggiunse altro, lasciandomi libera di raggiungere i camerini.
Riuscii a riemergere solo parecchi minuti dopo, di nuovo negli abiti del mio
secolo e libera dalle decine di forcine dell’acconciatura di Catherine.
Kristen aveva tentato di darmi fastidio, come al solito, con frecciatine e pesanti
battute, ma l’avevo zittita all’istante, dicendole di non farmi perdere tempo
perché Jack mi aspettava.
Forse avevo impiegato troppo, oppure Jack era stato fermato dal professore e
dai suoi colleghi, il risultato fu che non lo trovai ad aspettarmi fuori.
«Liz, sei pronta? Stiamo andando al locale in fondo alla strada a festeggiare di
essere sopravvissuti!» Rick mi accolse con uno dei suoi soliti sorrisi raggianti e
la mano intrecciata in quella di una sorridente Agatha.
«Hai visto Jack?» domandai, delusa per la sua assenza.
«Forse è già là, sarà andato avanti con il pazzo. Vieni, dai.»
Finsi di aver dimenticato qualcosa in camerino per poter tornare indietro e non
unirmi agli altri. Controllai il telefono sperando di trovare un messaggio di Jack
ma ce n’erano solo di Jessica e Kimberly. Risposi a entrambe e quando
finalmente mi diressi all’uscita ero rimasta l’unica nel teatro vuoto.
Non avevo davvero la forza di partecipare alla festa ma rimasi a fissare lo
schermo del telefono, cercando il coraggio di chiamare Jack. Non desideravo
altro che rimanere da sola con lui, tuttavia ero ancora frastornata dalle emozioni
della serata e non mi aspettavo di dovere essere io a cercarlo.
Ogni barriera tra noi era crollata ma sentivo sulle spalle ancora tutte le lunghe
settimane di separazione nonché il dolore per la reazione di Daniel.
Uscii in strada, distratta dai miei pensieri, e sussultai quando sentii una voce
alle mie spalle.
«Stavo per venire a cercarti. Volevi scappare senza di me?»
«Jack!» esclamai sorpresa. «Credevo che tu fossi già al locale con gli altri.»
«Vieni, Rick mi ha lasciato la sua macchina. Andiamo a casa.» Il sorriso che
accompagnò queste parole allontanò, magicamente, ogni traccia di stanchezza e
ogni pensiero.
20

Mi sentivo a disagio, quando entrammo nell’appartamento buio e silenzioso.


Avevamo tanto da dirci ma nel tragitto in auto ci eravamo limitati a commentare
lo spettacolo. Jack aveva parlato con il professore, che sembrava essere rimasto
entusiasta di tutto, comprese le modifiche e la scena finale improvvisata. Jack mi
disse che lo aveva definito «Un esperimento perfettamente riuscito». Ma qual era
stato, veramente, l’esperimento? Quel pazzo aveva forse giocato con le nostre
vite, come se fossimo burattini? Non lo avrei mai saputo.
«Vuoi mangiare qualcosa?» chiese Jack, accendendo la luce della cucina.
«Ho solo sete. Credo che il mio stomaco sia ancora provato dal corsetto di
Catherine, non mi stupirei di avere dei lividi domattina» commentai,
avvicinandomi a lui e prendendo la bottiglietta d’acqua che mi stava porgendo.
«Liz» iniziò Jack, l’espressione talmente seria che per un istante – brevissimo
– mi chiesi se non stesse per ritrattare ogni cosa.
«Sì?» lo incoraggiai, con un filo di voce.
«Volevo scusarmi per le cose ignobili che ti ha detto mio padre. Luke me ne ha
parlato solo poche ore fa.»
Sospirai di sollievo e gli sorrisi. «Non sei tu a dovermi chiedere scusa.»
«Perché non me lo hai detto?»
«E tu perché non mi hai detto di aver cambiato lavoro?»
Jack sorrise e scosse il capo. «Touché. Diciamo che dobbiamo lavorare un po’
sulla comunicazione.»
Annuii e ne approfittai. «C’è qualcosa che devo sapere?»
«Direi di no. A parte che non esisteva nessuna scena scritta e che non era
William a parlare, ma penso sia ovvio ormai» spiegò, ostentando una tranquillità
che però non raggiungeva il suo sguardo. Sembrava anche lui un po’ a disagio.
«E Kristen?» mi sfuggì e mi maledissi per la mia curiosità.
«C’è stato solo un bacio, quello che hai… visto. Mi si è buttata addosso e…»
chiuse gli occhi, una smorfia sul bel viso. «Scusami, Liz.»
«È passato» minimizzai, non volendo ripensare mai più a quel momento.
«Forse sono io che mi dovrei preoccupare, qualcuno sembrava molto convinto
di essere uscito dalla friendzone» contrattaccò, con una punta di stizza nella
voce.
«Non è successo niente con Daniel.»
Jack sembrò voler ribattere ma ci ripensò. «Mi fido di te.»
Se volevamo iniziare qualcosa, dovevamo dimenticare gli errori del passato, e
la mancanza di fiducia era in cima alla lista.
Rimanemmo in silenzio per lunghi istanti, a guardarci semplicemente negli
occhi; pochi passi ci separavano, in piedi nella stretta cucina.
Fu Jack il primo a cedere, emise un sospiro spezzato e mi si avvicinò. Mi prese
il viso tra le mani e sussurrò sulle mie labbra: «Mi sei mancata da impazzire,
miciotta».
«Anche…» Non mi lasciò nemmeno terminare, perché la sua bocca aveva già
trovato la mia.
La battaglia scoppiò prima ancora di arrivare in camera da letto; caduti sul
campo furono il gancio del mio reggiseno, una cucitura della felpa di Jack e il
vaso della pianta grassa preferita di Rick, centrato in pieno dalla mia scarpa che
Jack aveva lanciato alle sue spalle.
Stavamo ridendo quando mi depositò già nuda sul suo letto.
«Il mio cuscino aveva il tuo profumo la notte scorsa» ansimai, sulle sue labbra,
mentre la sua mano mi carezzava dolcemente in una lenta ma piacevole tortura.
«Lo avrai sulla tua pelle il mio profumo, ogni notte d’ora in poi.»
«Jack…» lo pregai, stringendomi forte a lui come se temessi che si sarebbe
trasformato in un sogno, scivolando come fumo tra le mie braccia.
«Ti amo, Liz.»
«Jack?»
«Dimmi.»
«Adesso ho fame.» La mia dichiarazione lo fece ridere.
«Andiamo a vedere se Rick ha fatto la spesa?» mi propose, lasciandomi un
bacio sul collo.
Mi misi seduta, il lenzuolo contro il seno nudo per coprirmi. «Le mie
mutande?» domandai, scrutando il pavimento.
«Non ti servono» commentò Jack, con uno dei suoi migliori ghigni, mentre
infilava un paio di pantaloni della tuta.
«Jack, non posso girare nuda per casa! Se torna Rick?» gli feci notare,
spegnendo finalmente il suo sorriso divertito.
«Prendi una delle mie magliette dal secondo cassetto. Vado in bagno intanto.»
Non appena lo sentii chiudersi in bagno, mi misi alla ricerca della mia
biancheria e, se non altro, trovai le mutandine sul pavimento del corridoio.
Raccolsi anche i pantaloni ma evitai di proseguire l’esplorazione, essendo ancora
praticamente nuda. Tornai in camera e aprii il cassetto di Jack, sbiancando alla
vista dell’immenso disordine che vi regnava.
Scelsi una maglietta blu e la infilai proprio mentre lui ritornava.
«La mia preferita.» Sorrise soddisfatto, era la maglia dell’ultimo concerto dei
Muse. Poi mi trascinò in cucina, prima che potessi indossare i pantaloni,
borbottando che ero già fin troppo vestita per i suoi gusti.
«Ammettilo, sei tu che hai scritto il copione originale di Lezioni di seduzione!»
lo presi in giro, ottenendo una risata come risposta.
Avevo intenzione di cucinare qualcosa, uno spuntino sostanzioso, perché il mio
stomaco reclamava cibo, finalmente libero dalla tensione degli ultimi giorni. Si
rivelò un’operazione particolarmente difficile, con le mani di Jack addosso in
ogni istante.
«Jack…» sospirai, senza veramente lamentarmi.
«Non riesco a smettere di…» mi scostò i capelli da un lato per baciarmi il
collo. «Baciarti» soffiò nel mio orecchio provocandomi i brividi. «Toccarti»
sussurrò, infilando le mani sotto la maglietta che mi aveva prestato. «Sono pazzo
di te.»
Mi girai per allacciargli le braccia al collo e baciarlo con passione, ci
staccammo solo quando dalla padella giunse odore di bruciato. La tolsi la fuoco
e la gettai nel lavandino, prima che succedesse il peggio.
Spostarci dal letto alla cucina si era rivelata una pessima idea.
«Non importa» mi rassicurò Jack.
«Tu non avevi fame?»
«Tantissima.»
«Allora riprovo a…» mi zittii, perché lui mi aveva allontanata dal piano di
cottura, sospingendomi verso il tavolo.
«Non ti ho detto di cosa ho fame» sussurrò, guardandomi con bruciante
desiderio. Mi sollevò per farmi sedere sul tavolo e sfilarmi le mutandine.
«Queste non dovevano nemmeno esserci» si lamentò, gettandole alle sue spalle.
Sbagliato. Trasferirci in cucina era stata davvero un’ottima idea.

«Jack? Siete presentabili?»


Aprii gli occhi sentendo una voce provenire dal salotto. Non feci in tempo a
coprirmi con il lenzuolo che Jack mi aveva nascosta tra le sue braccia, proprio
mentre Rick appariva sulla soglia.
«Il mio cactus ha il reggiseno.» Non potei vedere la sua espressione perché ero
schiacciata contro il torace nudo di Jack e davo le spalle alla porta.
Questi ridacchiò, impunemente, carezzandomi la schiena nuda prima di
coprirla del tutto con il lenzuolo.
«Siete ancora più pericolosi quando non litigate» borbottò il nostro amico, ma
c’era una nota divertita nella sua voce.
Riuscii a districarmi dall’abbraccio di Jack, avvolgendomi nel lenzuolo mentre
mi giravo a guardare Rick. «Tu dove sei stato stanotte?» gli domandai,
chiedendomi se fossi stata così tanto distratta da non accorgermi nemmeno del
suo arrivo.
Rick rispose con uno dei suoi sorrisi più abbaglianti. «Da Agatha.»
Il commento prettamente maschile e irripetibile di Jack si spense quando
inavvertitamente gli diedi un calcio negli stinchi.
«Oh scusa» gli sorrisi innocente.
«Comunque, non volevo interrompere la vostra luna di miele ma il professore
ieri sera mi ha massacrato perché non riuscivamo a trovarti, Jack, e non
rispondevi al telefono. Ho il compito di tirarti giù dal letto per chiamarlo.»
Jack sbuffò, massaggiandosi gli occhi per un attimo.
«Ok» decise, alzandosi.
Rick alzò gli occhi al cielo. «Me ne vado. Se devo vedere qualcuno nudo
preferisco Liz.»
Jack, che si stava infilando le mutande, gli rispose con un insulto, che
probabilmente Rick nemmeno sentì perché gli arrivò in faccia il mio cuscino.
Jack si sporse a darmi un bacio, sorridendo sulle mie labbra, poi uscì,
chiudendosi la porta alle spalle. Persi la caccia al tesoro della mia biancheria, a
quanto pareva il mio reggiseno era finito sul cactus e le mutande non osavo
nemmeno immaginare dove. Infilai i miei pantaloni e la maglietta di Jack,
abbandonata sul pavimento.
A piedi nudi, mi diressi in salotto, dove Jack era seduto sul divano e stava
apparentemente fissando il vuoto.
Cercai Rick con lo sguardo e lo trovai in cucina che armeggiava con la
macchina del caffè. Mi rispose con un’alzata di spalle, nemmeno lui sapeva
nulla.
Mi avvicinai a Jack e mi sedetti al suo fianco, posandogli una mano sul
braccio. A quel contatto si girò, e sul suo viso nacque lentamente un sorriso.
«Uno dei vecchi colleghi del nostro pazzo professore ha detto che…» lo vidi
deglutire e tornare a sorridermi prima di continuare. «Ho davvero talento e posso
ottenere una borsa di studio completa per entrare all’Accademia di arti
drammatiche.»
«Oh Jack!» esclamai, lanciandomi ad abbracciarlo. «Sono così fiera di te.»
Jack mi strinse forte a sé e lo sentii sospirare tra i miei capelli.
«È quello che volevi, il tuo sogno si sta avverando» dissi, commossa.
Mi staccò dolcemente da sé, posando la fronte sulla mia.
«Liz.»
«Non sei contento?» domandai, stranita per il suo tono tormentato.
«Certo. Ancora non riesco a crederci. Però…» un’altra pausa e iniziai a temere
che mi stesse sfuggendo qualcosa.
«Amore mio» sospirò, baciandomi la fronte. «È a Londra.»
Mi paralizzai, incapace perfino di respirare. Jack mi allontanò quel tanto che
bastava per guardarmi negli occhi. Nei suoi leggevo l’incertezza, il tormento e
l’angoscia.
«Devo partire tra una settimana, il suo amico ha detto che mi preparerà al
meglio per farmi passare senza problemi l’audizione e ottenere la borsa di studio
della sua fondazione.»
«È…» Parlare era doloroso, ogni fiato mi graffiava la gola e il cuore. «È
l’opportunità della vita» terminai, con un rauco sussurro.
Jack annuì, continuando a fissarmi con gravità. «Liz…»
«Devi partire, Jack.» Mi costò tutto il coraggio del mondo pronunciare quelle
parole. Lo abbracciai, nascondendogli così i miei occhi pieni di lacrime.
Jack doveva incontrarsi con il professore e il suo amico di lì a poco, quindi
andò a farsi una doccia. Mi invitò maliziosamente a unirmi a lui ma usai la scusa
che Rick era in casa e mi sentivo a disagio. In realtà mi stava riuscendo difficile
perfino guardarlo negli occhi e trattenere le lacrime.
«Mi dispiace tanto, Liz.» Rick era rimasto in silenzio tutto il tempo,
limitandosi a congratularsi con Jack quando gli aveva dato la notizia.
Mi lasciai cadere su una sedia in cucina e Rick mi mise davanti una tazza di
latte macchiato.
«Sono davvero felice per Jack» dissi. «Ma…»
«Stai sperando che questo sia solo un incubo e quando ti sveglierai Jack
rimarrà a studiare qua» terminò per me, con grande perspicacia.
Mi limitai ad annuire, mentre lui mi si sedeva di fronte.
«Che tempismo» commentò ancora, riempiendo il doloroso silenzio.
Chiusi gli occhi, stringendo con forza la tazza tra le mani e prendendo lunghi
sospiri.
«Liz, puoi piangere. Hai qualche minuto per sfogarti prima che Jack torni.»
Lo ringraziai flebilmente e lasciai scorrere le lacrime, silenziose ma
ugualmente dolorose.
Mi ricomposi quando sentii la porta del bagno aprirsi. Rick mi guardò,
sospirando, poi mi aiutò nel modo migliore che potesse trovare.
«Senti, Liz. Lo sapevi che le tue mutande sono dentro al lavandino?»
Scoppiai a ridere e fu così che mi trovò Jack quando riapparve in cucina. Mi
chiese di accompagnarlo all’incontro ma non era convinto, e anch’io sapevo
bene che sarei stata solo una distrazione per lui. Avevo bisogno di ritornare un
paio d’ore al campus a prendere un cambio di vestiti, gli dissi. In realtà, dovevo
sfogare davvero le lacrime.

Una volta al sicuro nella mia stanza telefonai a Jessica e la sommersi di discorsi
balbettanti e singhiozzanti. Impiegai almeno venti minuti per riuscire a farle
capire l’ordine esatto degli eventi, dallo spettacolo alla scenata di Daniel fino
alla telefonata di Jack al professore e la proposta di studiare a Londra.
«Liz, non so che dire.» Se Jessica rimaneva senza parole la fine del mondo era
davvero vicina.
«Siamo in due.» Mi soffiai rumorosamente il naso e mi lasciai andare, sfinita,
nel mio letto.
«Mi dispiace così tanto. È umanamente ingiusto che una cosa così bella per il
futuro di Jack vi possa fare così male, proprio ora che avevate…»
«Già.» Non c’era altro da aggiungere.
Quando salutai Jessica, trovai un messaggio di Daniel.
Non chiudermi di nuovo fuori dalla tua vita senza darmi la possibilità di
spiegarti. Mi conosci da sempre e sai che mantengo le promesse, anche quelle
che ho fatto da bambino.

Riaffiorò così un ricordo da tempo sepolto.

Un bimbo dai limpidi occhi azzurri stava consolando una bimbetta piangente.
«Non ti preoccupare. Non ti prenderà mai più in giro, ti difendo io.»
«Sei sic-uro?» I singhiozzi la scuotevano, facendo ondeggiare le lunghe trecce.
«Te lo prometto, Lizzy. Ci sarò sempre io a proteggerti.»
Avevo di nuovo e definitivamente perso il mio migliore amico o c’era ancora
speranza?
Stavo pranzando, di nuovo all’appartamento, con Rick e Jack. quando mi
telefonò mia madre. Non aveva mai smesso di chiedermi di Jack, in tutte quelle
settimane, e avevo sempre trovato scuse per giustificare la sua assenza al mio
fianco.
«Sto pranzando con lui» potei finalmente dirle.
«Oh bene! Stavo iniziando a pensare che ti avesse lasciata!» commentò con
leggerezza.
Alzai gli occhi al cielo e Jack se ne accorse. Bevve un sorso d’acqua e allungò
una mano verso il telefono. Lo guardai sorpresa e gli sillabai un «sei sicuro?». Al
suo cenno affermativo, gli passai mia madre.
«Margaret, che piacere!» esclamò e già immaginai lei che ridacchiava
dall’altro lato della linea.
Jack mi sorrise e poi replicò. «Certo che no! Non mi sarei mai fatto sfuggire
Liz.»
Gli lanciai un tovagliolo e mi rispose soffiandomi un bacio.
Rick, che aveva assistito a tutta la scena, si piegò verso di me per sussurrarmi:
«Sai, ho quasi l’impressione che il vero esperimento del professore non fosse lo
spettacolo… È come se avesse fatto crollare la quarta parete, dalla finzione alla
realtà».
«Non lo sapremo mai» gli risposi, come mi ero risposta da sola il giorno prima.
Ma se era vero, qualcuno avrebbe dovuto dire al pazzo che aveva giocato con il
fuoco.

«Ordiniamo una pizza?» propose Rick, in serata.


«No, stasera porto Liz a cena.» Jack mi sorrise mentre lo fissavo sorpresa.
Il nostro primo vero appuntamento. Avrei soltanto voluto potermelo godere
senza sentire il ticchettio dell’orologio in testa tutto il tempo, il countdown alla
partenza di Jack.
«Credi che sarebbe stato sempre così? Finalmente felici e tranquilli?»
domandai a Jack, mentre si sporgeva a rubare una cucchiaiata del mio tiramisù.
«No. Tempo due giorni e saremmo tornati a litigare furiosamente…»
profetizzò, mentre allontanavo il mio dolce dai suoi assalti. «Per poi fare pace a
letto.»
«Dici che ci stiamo trattenendo? Che questa parentesi tutta zucchero e
arcobaleni è dovuta alla tua partenza?» chiesi, con preoccupata serietà.
Jack sbuffò, per le mie parole o forse per il tiramisù negato. «Liz, qualsiasi
coppia discute, anche per delle banalità, e noi a litigare siamo sempre stati
bravissimi. Non sarebbe facile nemmeno se rimanessi qua, ma le conquiste
troppo facili non mi hanno mai interessato.»
«Magari quello che ti attirava di me era proprio la difficoltà di conquista e
ora…»
«Elizabeth» mi riprese, con durezza. Non pronunciava il mio nome per intero
da settimane. «Smettila. Non mi sono svegliato ieri mattina pensando
improvvisamente a te. Non sei mai uscita dai miei pensieri fin dai primi
momenti, forse da quando ti ho vista con quel babydoll…» rise, stemperando la
tensione che si era creata.
«Sono state… difficili queste settimane. Recitare al tuo fianco e…» ammisi,
giocando con il cucchiaio.
«Se non ti avessi avuta tra le braccia sul palco, sarei impazzito del tutto. Però,
averti come Catherine e non come Liz mi lasciava ogni volta sempre più nervoso
e non volevo ammettere il motivo» Jack sorrise tra sé. «Una volta, mentre
recitavamo la scena della notte d’amore tra William e Catherine, ho davvero
rischiato di rendere Lezioni di seduzione ancora più esplicito.»
«Il professore avrebbe fatto i salti di gioia» sorrisi, allungando una mano verso
la sua, alla ricerca di un contatto che gli dimostrasse che le sue parole erano
arrivate a destinazione.
«Sei pentito di aver aspettato tutte queste settimane? Perché io non riesco a non
rimpiangere tutto il tempo che abbiamo sprecato.»
«No. Perché dovevo capire ed essere sicuro. Te l’ho detto, non ho mai provato
niente di nemmeno lontanamente paragonabile e ho temuto di essere arrivato
tardi. Quando ti ho vista con lui…» il sorriso di Jack si era spento, i suoi occhi
scuri mi fissavano con un’ombra di tormento.
«Jack…» sospirai. «Anche quando non sapevo che tu…» Non riuscii a dirlo
ma lui annuì, dimostrandomi di aver capito cosa intendevo. «Non sei mai passato
in secondo piano, la mia unica scelta sei sempre stato tu.»
Epilogo

«Sei sicura di voler entrare in aeroporto con me?» Jack lo domandò per la terza
volta, mentre recuperava la sua valigia dal taxi.
«Jack» dissi solo, lasciando che il mio sguardo risoluto parlasse per me.
Si limitò ad annuire e mi prese per mano.
Mi ero ripromessa di non crollare, di non rovinare con le lacrime il momento in
cui il suo sogno cominciava a realizzarsi. E c’ero riuscita nei giorni precedenti la
partenza. Quasi sempre.
«Aspetta, vado a dirgli che ci vediamo sull’aereo.» Jack mi indicò un uomo a
pochi passi da noi, ricordavo di averlo visto parlare con il nostro professore dopo
lo spettacolo. Era lui che aveva creduto nel talento di Jack. Era lui che me lo
stava portando via. Si potevano provare sia gratitudine sia risentimento per la
stessa persona nello stesso momento?
Rimasi impalata dove mi trovavo e continuai a fissare Jack mentre quei pochi
passi di distanza tra di noi sembravano dilatarsi davanti ai miei occhi. Per un
istante mi chiesi se non sarebbe stato meglio che non si fosse dichiarato, che
fosse partito senza rivelarmi di essersi innamorato di me, senza darci l’illusione
di poter finalmente costruire qualcosa insieme.
La risposta era no, mille volte no. Perché per nessuna ragione al mondo avrei
rinunciato ai ricordi degli ultimi giorni. Da quando lui mi aveva aperto il suo
cuore, ogni barriera era crollata.
La passione che lo animava, la stessa che lo rendeva un così bravo attore,
guidava il modo in cui si dedicava a ciò che amava, il modo in cui mi aveva
baciata, toccata e venerata ogni istante. Ogni suo sguardo mi faceva sentire nuda,
metaforicamente e fisicamente, ogni suo sorriso spezzava il mio respiro.
Era sempre stato così, anche se non me ne ero mai davvero accorta, ma dalla
notte dello spettacolo sembrava che tra di noi fosse crollato ogni sipario,
rivelandomi Jack nella sua interezza, senza maschere né finzioni.
«Abbiamo ancora dieci minuti, ci sediamo?» Jack si era riavvicinato, con un
sorriso forzato, e mi stava indicando una fila di poltroncine vuote.
Annuii, deglutendo il dolore che tentava di riaffiorare.
«Liz.» Mi prese le mani tra le sue trovandole fredde e tremanti.
«Sto bene» risposi automaticamente.
«Come dicevi di stare bene ieri sera?»
Ero stata bravissima, davanti a lui, tutta la giornata precedente, ma poi quando
le ombre della notte erano arrivate e mi ero assopita, avvolta dal calore del suo
corpo, il mio tormento interiore era affiorato in superficie trasformandosi in
incubi.

Mi svegliai con il cuore impazzito e una patina di sudore freddo sulla pelle nuda.
Sgusciai fuori dal letto e dalle braccia di Jack, raccogliendo la sua maglietta dal
pavimento. Speravo che in bagno mi sarei calmata, ma guardandomi allo
specchio vidi nei miei occhi tutto il dolore che avevo nascosto con così tanta
difficoltà in quelle ore e ogni mio proposito finì sommerso dalle lacrime.
Soffocai un gemito mentre mi sciacquavo il viso con l’acqua fredda.
Non so quanti minuti trascorsero da quando mi accasciai sul pavimento,
dando libero sfogo al pianto che non riuscivo più a trattenere. Jack mi trovò
così, annegata nelle lacrime, singhiozzante e tremante.
«Liz!» mi avvolse nel suo abbraccio e io mi strinsi a lui con tutta la forza che
avevo.
«Come faccio a partire?» sussurrò sofferente, il viso affondato tra i miei
capelli.
«Ma… devi!» singhiozzai, stridula.
«Vorrei solo che avessimo qualche altro giorno per stare insieme. Abbiamo
perso così tante settimane.»
«Forse… sarebbe… ancora… peggio. Stare…» non riuscivo a parlare, ancora
scossa dai singhiozzi.
«Torniamo in camera, fa freddo qua sul pavimento e sei mezza nuda.»
Nel buio della sua stanza, diedi finalmente sfogo a tutti i pensieri e le paure
che avevo messo da parte per giorni. Avevo, di nuovo, fatto l’errore di non
parlare con lui, ma le vecchie abitudini erano difficili da soffocare.
«Abbiamo mille modi per tenerci in contatto, Liz. È vero, avremo un intero
oceano a separarci ma sarà nulla in confronto alle stupide incomprensioni che
noi stessi abbiamo creato e che ci hanno allontanati.»
«Credevo che odiassi il telefono. In quasi tre mesi mi avrai mandato tre
messaggi» ribattei, disegnando cerchi sul suo torace.
«Perché non potevo dirti quello che davvero pensavo. Problema risolto.
Quindi preparati a riceverne tanti… da leggere quando sei sola.»
«Jack!» risi mio malgrado, capendo che genere di messaggi mi avrebbe
mandato.
«Liz, lo so che sarà dannatamente difficile ma ti ho detto che ti amo e non l’ho
detto alla leggera.»
«Nemmeno io, Jack» ammisi, baciandogli una spalla mentre mi sollevava a
cavalcioni sul suo corpo.
«Sai…» iniziò, distraendomi con la carezza lenta delle sue mani sui miei
fianchi. «Il professore mi ha ridato la vestaglia di Catherine» mi sfilò la sua
maglia che indossavo, lasciandomi di nuovo nuda.
Rabbrividii mentre le sue mani risalivano fino al mio seno.
«La lascio a te. Sei pronta a farmi tanti spogliarelli in web-cam, miciotta?»
Risi, crollando sdraiata sul suo corpo. «Hai intenzione di trasformare William
e Catherine in un gioco di ruolo a sfondo erotico?» sussurrai, mordicchiandogli
un lobo.
«Perché? Non lo è sempre stato?»
«Sei tremendo. Per fortuna non lo hai mai detto davanti al pazzo o…» mi
interruppe con un bacio.
«Avremo mesi per parlare» aggiunse tra un bacio e l’altro. «Fai l’amore con
me, Liz.»

«Volevo dirtelo solo una volta che avessi trovato una sistemazione ma stanotte
ho pensato che, dopo gli esami, potresti raggiungermi a Londra e rimanere
qualche settimana con me. Che ne pensi?» Jack mi sorrise, speranzoso.
«Certo!» lo abbracciai di slancio e lo sentii ridere tra i miei capelli.
«Ecco qual era il problema! In realtà volevi venire a fare la turista nella
Vecchia Europa» mi prese in giro, finché non gli diedi un pizzicotto sullo
stomaco.
«Ahi! Miciotta dispettosa.» Si staccò dal mio abbraccio e mi prese il viso tra le
mani, continuando a fissarmi con i suoi meravigliosi occhi scuri.
«Dammi il tempo di sistemarmi e concentrati sugli esami.» Mi baciò la fronte,
sospirando.
«E dopo? Quando tornerò qua…» Non volevo rovinare il momento ma il
fantasma del futuro ancora incombeva su di noi.
«Forse riuscirò a tornare ad agosto, non hai detto che i tuoi hanno una casa al
mare?» sorrise, contagiandomi con il suo ottimismo.
«Ecco a cosa miravi, le vacanze a sbafo!» controbattei, facendolo ridere.
«Poi… Ammetto che muoio dalla voglia di rivedere la cara zietta Ethel e
dormire sorvegliato dalle bambole assassine. A Natale non manca così tanto,
no?»
Fantasma del futuro incerto 0 – Ottimismo e amore di Jack 1.
«Quanto ti amo» dissi, baciandolo con trasporto.
Sentii affiorare un sorriso sulle sue labbra.
Quando ci staccammo, mi guardò per un lungo istante. «Sei consapevole di
avermi fatto penare giorni prima di dirmelo?»
«Forse» arrossii.
All’inizio era stata una difesa inconscia, contro il ricordo ancora bruciante del
suo primo rifiuto. Poi ero stata travolta dall’ansia per la separazione e credevo
avrei sofferto meno se non mi fossi lasciata andare del tutto.
Ma con Jack non era possibile. Era entrato nella mia vita e l’aveva sconvolta,
aveva rotto il guscio che usavo per difendermi dal mondo, messo alla prova la
mia clinica timidezza e mi aveva fatto scoprire il vero volto dell’amore.
«Me lo sono meritato» mugugnò, avvicinando le mie mani al suo viso per
baciarle. «Però adesso…» Aggiunse, assumendo quella ormai collaudata
espressione da cucciolo che – maledetto lui – vinceva sempre ogni mia
resistenza.
«Ti amo, Jack» ripetei, guardandolo con un sorriso.
«Non che non lo sapessi, eh…» ghignò.
«Se non la smetti subito, puoi scordarti di vedere un altro spogliarello di
Catherine.»
Jack ammutolì, facendomi scoppiare a ridere.
«Ora devo andare…» disse, mentre il suo sorriso si spegneva.
«Aspetto che ti imbarchi» gli strinsi forte la mano, con rinnovata disperazione.
«No, amore. Più tempo rimani qua, peggio è. Non voglio vederti piangere
come stanotte.» Si alzò e lo imitai.
Ci abbracciammo per un lungo minuto ma finì troppo presto.
«Ti chiamo quando arrivo. Tu inizia a cercare un volo per raggiungermi»
sussurrò, staccandosi dalla mia presa ferrea.
Annuii, sentendo una lacrima scendere. Jack la asciugò con il pollice, poi mi
baciò per l’ultima volta.
«Fai la brava, miciotta. Tieni lontano i broccoli.»
Gli sorrisi tra le lacrime.
«E tu non trovarti un’altra Catherine.»
«Non la cerco nemmeno, ho già la mia Elizabeth.»
Mi salutò con un sorriso così raggiante e sincero da rendere impossibile non
ricambiarlo, pur se con gli occhi lucidi.
Mi aspettavo di scoppiare in singhiozzi nel giro di pochi secondi, uscendo
dall’aeroporto, ma l’immagine sorridente di Jack era ancora impressa nella mia
mente, migliore rimedio contro le lacrime non poteva esistere. Il peggio sarebbe
arrivato quando a ogni oggetto avrei associato un suo ricordo e la sua assenza
sarebbe diventata fin troppo dolorosa. Ma avrei affrontato un giorno alla volta,
senza farmi schiacciare dall’incognita del futuro. Ero pronta a fidarmi di Jack e
lo amavo davvero, non sarebbe stato un banalissimo oceano a spaventarmi.
Ero appena salita sul taxi quando sentii il telefono suonare. Il nome che lessi
sul display cancellò il sorriso che avevo appena ritrovato.
Non avrei commesso di nuovo lo stesso errore.
Ringraziamenti

È molto difficile trovare le parole per ringraziare quando un sogno diventa


inaspettatamente realtà. Ed è stato possibile grazie all’insostituibile Michela
Gallio, che mi ha scoperta, guidata, spronata e aiutata a ogni passo di questo
meraviglioso viaggio. Grazie anche a Centauria per aver portato sulla carta Liz e
Jack, ne sono davvero onorata.
Ho sempre amato scrivere (la maestra Mirella temo ricorderà ancora i miei
temi fantasiosi!) ma è solo quando ho trovato efp che mi sono davvero messa
alla prova. Grazie a tutti voi che lì mi avete sostenuta (Francesca, grazie
soprattutto a te!), seguita e mai più lasciata.
Grazie a mio marito Andrea, per il suo grandissimo aiuto: le migliori battute di
Jack le ha scovate lui.
Grazie a mia figlia che ha sopportato, con più o meno pazienza, di vedermi
seduta al computer (la colonna sonora mentre scrivevo sono state le canzoncine
dei cartoni animati cantate da lei!).
Grazie alla mia famiglia per aver sempre creduto in me.
Grazie a Gloria, la mia stupenda mamma, per avermi fatto amare la lettura:
senza i libri non sarei la stessa persona.
Grazie a Cristiana, perché senza di lei, le sue scommesse e la sua pazienza non
sarebbe mai esistito il suo amato Jack.
Grazie ai miei tesori Alessandra, Kikka, Rosa e Veronica, perché ci sono
sempre.
Grazie a Monica, Chiara, Cristina, Stefania, Karen e Rachele, perché le nostre
chiacchiere raddrizzano ogni giornata.
Grazie alle amiche che proprio la scrittura mi ha donato: Maura, Sara, Luciana
e Valeria.
Grazie ad Annachiara di Please Another Book, blogger formidabile e grande
amica.
Grazie a Fabio per la pazienza e per aver salvato Daniel.
Infine, il ringraziamento più grande va a te, che hai tra le mani il mio sogno
diventato realtà e che hai viaggiato con Jack e Liz fino alla fine. Spero che
questa storia sia stata piacevole, divertente ed emozionante, almeno quanto lo è
stato per me scriverla!
Indice
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Epilogo

Ringraziamenti

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