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Uno dei filosofi che più hanno insistito sulla sterilità della scienza

antica è FRANCESCO BACONE (1561-1626), che ha una concezione


nettamente pragmatica del sapere: sapere per potere. Activum et
contemplativum res eadem, et quod in operando utilissimum, id in
scientia verissimum (Novum Org. II, 4) Ora, la scienza degli antichi,
puramente contemplativa, era sterile, è dunque necessaria una nuova
scienza, orientata alla tecnica: bisogna rinnovare l'edificio del sapere.
[…] Il motivo della sterilità del sapere degli antichi è che essi salivano
troppo rapidamente dall'esperienza agli assiomi, mentre la vera via del sapere sale gradatamente
dall'esperienza dei particolari agli assiomi universali. […], perché la natura delle cose è complessa e
non la si può afferrare di colpo col nostro intelletto.
La novità del metodo propugnato dal Novum Organum si può riassumere sotto questi capi:
l) Il momento fondamentale della ricerca scientifica è quello induttivo e non quello deduttivo-
sillogistico;
2) Nell'induzione non bisogna risalire troppo rapidamente dall'esperienza dei particolari agli
assiomi più universali, ma bisogna andare gradatamente dai particolari agli assiomi meno
universali;
3) Per cercare gli assiomi medii non bisogna affidarsi al caso o ad una semplice enumerazione
di fenomeni simili, ma bisogna seguire un metodo.

Nelle opere di GALILEO (1565-1642) non si trova esplicitamente formulata una teoria della
conoscenza, ma una teoria della conoscenza scientifica è certo implicita nel metodo col quale egli
effettivamente, pur senza teorizzarlo, procede nella costruzione della nuova scienza, e certi
orientamenti del suo pensiero hanno una importanza grandissima nello svolgimento della gnoseologia
moderna. […]
Il procedimento scientifico consta per Galileo di un duplice elemento: esperienza e discorso.
L'esperienza è la conoscenza di ciò che accade, il discorso è la concatenazione, la organizzazione in
sistema delle singole verità, e, più precisamente, il passare da una verità data dall'esperienza ad altre
verità, non immediatamente date, ma che con la prima si dimostrino necessariamente connesse.
L'esperienza, e più precisamente la «sensata esperienza» - poiché l'uomo si mette in contatto con ciò
che accade solo mediante i sensi - è dunque la base di ogni scienza. Nel che, come più volte osserva
egli stesso, Galileo è perfettamente d'accordo con Aristotele. Ma per poter «discorrere» sul dato di
esperienza, ossia per poter passare da una verità data, sperimentata, ad un'altra non sperimentata, è
necessario servirsi di principi universali e primi. Sulla necessità di principi universali Galileo non ha
nessun dubbio; è anzi convinto che, quando si possiedono principi veri, si può da essi dedurre con
perfetta sicurezza come andranno di fatto le cose nell'esperienza.[…]
Il problema dunque che si pone Galileo è questo: come si devono trovare i principi della
dimostrazione?
È pacifico per Galileo, come era pacifico per Aristotele, che i principi della dimostrazione derivano
dall'esperienza. […] Innanzi tutto l'esperienza dalla quale parte Galileo è una esperienza molto più
circostanziata, diciamo così, è non semplice esperienza, ma anche esperimento. […] Aristotele
riteneva che la physica potesse procedere nel medesimo modo della geometria: dall'esperienza alla
definizione e da questa, mediante l'analisi della definizione stessa, all'assioma. Gli assiomi poi
costituiscono le premesse maggiori delle dimostrazioni. Così, dall'esperienza di un filo a piombo d si
forma il concetto (la definizione) di retta; analizzando tale concetto si scopre un carattere proprio
(propria passio) della retta, che è l'esser la più breve tra due punti, e, predicando della retta questo
suo carattere proprio, si ottiene l'assioma: «la retta è la linea più breve fra due punti ». Aristotele
pensava che si potesse procedere così anche nella physica. Certe qualità sono proprie degli elementi
- la leggerezza ad es. esprime l'essenza del fuoco e la gravità quella della terra - e da questi concetti
fondamentali si possono dedurre le caratteristiche dei vari corpi come dagli assiomi che esprimono le
proprietà del punto, della retta, del piano, si può dedurre tutta la geometria. […]
Galileo invece dichiara risolutamente che dell'essenza dei corpi non si può saper nulla: «o noi
vogliamo specolando tentar di penetrare l'essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi
vogliamo contentarci di venir in notizia d'alcune loro affezioni. Il tentar l'essenza, l'ho per impresa
non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle
remotissime e celesti: e a me pare di essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della
Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste sustanze
vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali
andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall'uno all'altro E se, domandando
io qual sia la sustanza delle nugole, mi sarà detto che è un vapore umido, io di nuovo desidererò
sapere che cosa sia il vapore; mi sarà per avventura insegnato, esser acqua, per virtù del caldo
attenuata, ed in quella resoluta; ma io, egualmente dubbioso di ciò che sia l'acqua, ricercandolo,
intenderò finalmente, esser quel corpo fluido che scorre per i fiumi e che noi continuamente
maneggiamo e trattiamo: ma tal notizia dell'acqua è solamente più vicina e dependente da più sensi,
ma non più intrinseca di quella che io aveva per avanti nelle nugole» Non si coglie, dunque, con una
semplice esperienza il carattere proprio dei corpi, quello capace di esprimerne, o almeno di indicarne
l'essenza; non si arriva ad una notizia intrinseca di ciò che siano i corpi. Non sappiamo che cosa sia
l'acqua, ma possiamo solo indicarla col dito, per dir così, come quel corpo fluido che scorre per i
fiumi e che noi continuamente maneggiamo e trattiamo». Impossibile, quindi, formulare con questi
pseudo-concetti dei veri e propri principi, ossia proposizioni necessarie e universali, poiché il soggetto
delle proposizioni che si possono enunciare a proposito delle qualità corporee è in realtà sempre
soltanto un dato di percezione sensibile, un «questo qui». Si dovrà dunque andare dall'esperienza
all'assioma e non dall'esperienza alla definizione; si dovrà vedere come di fatto cadono i corpi.
per esprimere la legge della loro caduta, e non pretendere di ricavare questa legge dalla definizione
del grave. […] Per realizzare questo ideale bisogna eliminare dalla scienza le nozioni qualitative, e
vedere di quali aspetti dei corpi, di quali loro affezioni, abbiamo una «notizia intrinseca». E questi
sono solo gli aspetti quantitativi.
Qui sta appunto il colpo di genio di Galileo: bisogna afferrare la natura per quella parte che è
accessibile al discorso, per l'aspetto - nel senso etimologico - matematizzabile; bisogna saper leggere
nella natura quei caratteri che sono pienamente intelligibili, «e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre
figure geometriche, senza i quali è impossibile intenderne umanamente parola» Questa scienza della
natura, fondata sulla considerazione dei soli aspetti quantitativi, sarà la nuova scienza, la fisica in
senso moderno.

Cfr, Sofia Vanni Rovighi, Gnoseologia, Morcelliana, pp 96-108

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