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CI VEDIAMO NEI FUMETTI

Pseudo-Bonelli Vintage – Parte 1

Correva il 1976, e chi era adolescente in quel periodo (come il sottoscritto) attraversava una trasformazione
che andava oltre la pubertà. Stiamo parlando di una trasformazione “fumettistica”, che metteva in atto una
metamorfosi del gusto dell'intrattenimento (anche se era una transizione solo temporanea), facendo
“evolvere” i bambocci affascinati dai supereroi (erano i primi, floridissimi anni della Marvel in Italia grazie
all'editoriale Corno) in appassionati di più tradizionali (si fa per dire) avventure western.

Insomma, dalla Corno si passava alla Bonelli (che allora si chiamava editoriale Cepim). Il personaggio di
Zagor risultava un ottimo spartiacque. Offriva praticamente un effetto metadone, in quanto era un eroe che
agiva nel west, interagendo con pellerrossa e pistoleri, ma era di fatto un supereroe. E come tutti gli eroi
super girava in costume per le strade del vecchio west senza che nessuno gli fischiasse dietro (anche perché
se no erano cazzottoni alla Bud Spencer... che però suonavano in modo imbarazzante, con l'onomatopea
SMACK). Poi c'era l'immarcescibile Tex, più canonico (e troppo serio già allora). Poi c'era La Collana
Rodeo, albo antologico che conteneva una vera cornucopia di serie: Storia del West, La Pattuglia dei Bufali,
I Tre Bill. I recuperi d'annata per la stessa casa editrice, come Un ragazzo nel Far West (una delle prime
opere del giovane Bonelli che si firmava Nolitta), e ancora il Piccolo Ranger, il Comandante Mark...
Mister No era arrivato da pochissimo, non era un western e l'ambientazione amazzonica faceva ancora
strano.

Be', noi ragazzetti di quel periodo eravamo affamati di west e di avventura tradizionale. Per qualche motivo
(probabilmente legato agli ormoni) le calzamaglie dei supereroi ci apparivano troppo infantili, e il nostro
immaginario si rifugiava in qualcosa di (apparentemente) adulto e cazzuto come le storie di frontiera dove
fumavano le canne delle colt.

A parte i Bonelli (che all'epoca non si chiamavano così), iniziavano a sbucare nelle edicole tutta una serie di
prodotti epigoni. Titoli che oggi chiameremmo (pensa un po') “bonellidi”. Giusto per dire che il formato (più
del contenuto) della casa editrice di Tex Willer aveva proprio fatto scuola nel mercato fumettistico del nostro
paese. Alcuni tra questi furono pubblicati dal gruppo editoriale Geis, dove aveva le mani in pasta Renzo
Barbieri, il signore che ha legato il suo nome alla lunga stagione del fumetto erotico italiano, ma che ha dato
molto anche alle avventure di frontiera. Tra questi, un ricordo molto forte lo ha sicuramente lasciato il
Coyote, un oscuro personaggio western, disegnato da Pietro Gamba. Oscuro perché (per i tempi, eh!) le sue
avventure erano toste assai e politicamente scorrettissime. Mettiamola così. Il protagonista, chiamato con il
nome di battaglia “Coyote” (preso in prestito da un collega di oltreoceano) e una maschera ricavata da una
pelle di lupo (come il marvelliano Red Wolf prima di lui) era stato scotennato dagli indiani ed era
sopravvissuto.

Come? Non aveva importanza. La sua leggenda raccontava che durante un assalto di pellerrossa lui si era
finto morto, e aveva continuato a farlo anche mentre gli strappavano il cuoio capelluto... come si diceva
facesse il vero coyote (e io mi sono sempre chiesto chi si era preso la briga di scorticare un canide selvatico
per verificare se in quell'occasione si fingeva morto).
Ad ogni modo... il signore ne esce vivo, ma calvo e affascinante come un giovane Yul Brinner nei Magnifici
Sette (non deturpato come avrebbe dovuto essere, ma liscio e lucido come una palla da biliardo) ...e anche un
tantino incazzato. A partire da quel momento i nativi americani (pardon, gli indiani, che ancora si
chiamavano così) gli stanno sul culo (sai, gli hanno rovinato la pettinatura!) e quindi ha giurato che ne
scotennerà almeno mille, perché tanto valeva il suo scalpo. Senza distinzione di tribù o altro. Indiani. Punto.

Insomma, un serial killer razzista. Tra l'altro pistolero imbattibile, che si trova coinvolto anche in intrighi di
fuorilegge che non c'entrano nulla con la sua vendetta da maniaco. C'è anche una procace e tostissima donna
bionda, imparentata con gente che lui ha fatto fuori, che lo odia e fa di tutto per ucciderlo. Dovrebbe essere la
villain della storia, ma i due si sbaciucchiano e ne viene fuori un rapporto simile a quello tra Batman e
Catwoman. Balordo, violento, e sotto molti aspetti (non sono il primo a dirlo) antesignano di antieroi
psicopatici come The Punisher (ma anche il Punisher E' un personaggio western, in fondo! Vogliamo
capirlo?!), la serie del Coyote durò una manciata di numeri (8 in tutto), ma rimasero impressi nella memoria
dei bimbetti del tempo. Ragazzotti che cercavano di sfuggire alla dipendenza supereroistica, ma che in realtà
cercavano gli stessi temi nascosti sotto altri costumi.

Ci vediamo nei fumetti.

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