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BAJARSE AL MORO

TRADUZIONE I SCENA (I ATTO)

CHUSA- Si può entrare? Sei vestito? Questa è Elena, una mia amica troppo forte. Entra, entra, Elena

(Entra e dietro di lei Elena, con una borsa in mano, bella, una ventina di anni, la testa fra le nuvole e ben
vestita)

Questo è Jaimito, mio cugino. Ha un occhio di cristallo e fa sandali.

ELENA- (Timidamente) Come va?

JAIMITO- Hai finito? O vuoi darle anche il mio codice fiscale? Si può sapere dove sei stata? Sparisci per tutta
la notte e ora rieccoti, sballata come sempre.

CHUSA- Sono stata a casa sua. Vero? Non se la sentiva ad andare a casa da sola a prendere e le sue cose
perché aveva paura di incontrare la madre e già che ci stavamo siamo rimaste lì a dormire. (prende una
cosa da mangiare dalle borse) Vuoi un panino?

JAIMITO- (Alzandosi da seduto e arrabbiato, con il sandalo in mano). Ma vattene a fanculo, tu e il tuo
panino. Ti porti via soldi e chiavi e mi lasci qui come uno stupido senza un soldo… Non avevi detto che
andavi a prendere le cartine?

CHUSA- Ero andata a prendere le cartine, infatti, però ho incontrato lei, già te l’ho detto. E dato che stava
sola…

JAIMITO- E questa chi è?

CHUSA- È Elena.

ELENA- Sono Elena.

JAIMITO- Questo l’ho capito, non sono sordo. Elena.

ELENA- Si, ELENA.

JAIMITO- Ma chi è? Da dove viene? Come la conosci?

CHUSA- Ma niente, ci siamo conosciute la notte scorsa, te l’ho già detto.

JAIMITO- Ancora? Che mi hai detto? Sentiamo!

CHUSA- Che è Elena e che ci siamo conosciute ieri notte, questo ti ho detto. E che stava sola.

ELENA- (Si avvicina a Jaimito e gli porge la mano, presentandosi) Piacere.

(Jaimito la guarda con diffidenza e le da il sandalo che ha in mano, lei lo stringe educatamente).

JAIMITO- Vabbè va, hai ragione tu.

CHUSA- (A Elena). Appoggia lì le tue cose. Allora, qui c’è il bagno e lì c’è il materasso. Abbiamo l’erba in
questo vaso, però cresce poco perché c’è poca luce. (Vedendo la faccia che fa Jaimito). Rimane a
vivere qui.

JAIMITO- Si, in braccio a me. Se non c’entriamo non c’entriamo, zia. Il primo che incontri lo porti qua.
L’altro giorno il muto, oggi questa. Hai preso questa casa per il rifugio del Buon Pastore o cosa?

CHUSA- Quanto sei pesante!


ELENA- Non voglio disturbare. Se non volete che rimanga, me ne vado.

JAIMITO- Ecco, non vogliamo.

CHUSA- (Mettendosi di fronte a lui) Non ha una casa, lo capisci? È scappata. Se la beccano in giro da sola…
non fare il fascio! Dove va? E poi non vedi com’è ingenua?

JAIMITO- Se la cavasse da sola, che cavolo. Quello che dico è che qui non c’entriamo, e basta.

CHUSA- È solo per qualche giorno, finché non viene con me in Marocco.

JAIMITO- Chi è che va in Marocco con te? Tu stai fuori di testa!

CHUSA- Bene! (non da peso a lui e va verso la cucina). Vuoi un tè, Elena?

ELENA- Si, grazie. Con due zollette.

(Si siede comodamente per prendere il tè. Jaimito la guarda sempre più preoccupato, e Chusa canticchia
mentre scalda l’acqua in cucina),

JAIMITO- E perché vorresti portartela appresso? Vuoi farci beccare, vero?

CHUSA- (Dalla cucina). Nel caso beccano me, perché tu, seduto lì…

JAIMITO- Senti, non so che c’entra questo. Lo sai bene che non ci vado perché ho una faccia sospetta. Però
io vendo, giusto? O mi rinfacci anche questo?

CHUSA- Dico solo che verrà con me per fare qualche soldo in più, fine.

JAIMITO- Allora vendesse qui se vuole, ma andare no. È una ragazzina!

ELENA- È che dato che mi piacerebbe viaggiare…

JAIMITO- E allora fatti una crociera, zia! Ma le hai spiegato a questa com’è la storia? Guarda te se si crede di
andare in giro come se fosse un viaggio organizzato!

CHUSA- (Dalla cucina, con il tè) Tu non ti mettere in mezzo, questa è una cosa mia. Elena, con molto zucchero
hai detto?

ELENA- Due zollette.

CHUSA- È che non abbiamo zollette qui

ELENA- Ah ok, allora poco zucchero, che ingrassa. Dammi, lo metto io. Non avete il dolcificante?

CHUSA- No.

ELENA- E un cucchiaino per girarlo?

JAIMITO- Dammelo a me che lo giro col dito!

CHUSA- (interrompendo bruscamente) Finiscila! (A Elena) Usa il manico del cucchiaio. (A Jaimito) Tu lo vuoi?

JAIMITO- (Seccato) No.

(Bevono entrambe mentre lui, di malumore, torna a lavorare con i sandali)

ELENA- Tiro fuori le mie cose?


CHUSA- Si, non le mettere lì, è l’angolo di Alberto. Non gli piace che glielo mettano in disordine o gli
tocchino qualcosa. Dopo lo conoscerai. È fantastico, ti piacerà. È molto alto, forte, moro, da far
girare la testa! Ah, questo è Humphrey, il criceto. Gli piace la lattuga.

ELENA- (Guardando l’angolo di Alberto vede un manganello sopra un mobile) Sembra un manganello (Si
avvicina e lo prende). Guarda, è uguale a quello che portano i…

JAIMITO- (A Chusa, che sta riportando tazzine e teiera in cucina). Mi metterai nei casini con la tua anima da
suora raccogli-tutto che hai. Comunque, i soldi per il biglietto?

CHUSA- (Dalla cucina) Ce li metti tu, è per questo che te ne stai qui ad occuparti di sandali mentre io vado in
giro a rischiarmela!

JAIMITO- Tu oggi non ci stai con la testa! Chi è che organizza tutto qui? E chi controlla che vada tutto bene?

CHUSA- (Tornando dalla cucina) Oh signore. (A Elena, ora che l’ha vista con il manganello in mano). Non lo
toccare quello, è di Alberto! Si stranisce appena si accorge che qualcuno ha frugato lì. Metti qui nel
mio armadio le tue cose.

ELENA- È che è proprio uguale! Avete notato che sembra quella che portano i…?

JAIMITO- (Stoppandola) Che è quello?

ELENA- Questo? Beh, te l’ho già detto, stava qui, sembra proprio uno di quelli che…

JAIMITO- No quello. Quello che hai sotto il braccio.

ELENA- Questo? È il giornale Il Paese, perché?

JAIMITA- Sei proprio strana forte tu. E sentiamo, perché una come te compra un periodico? Stai cercando
casa?

ELENA- È che mia madre, ogni volta che scappo, manda una foto al Paese, con un annuncio per ritrovarmi.
Vediamo se ci sono… (Sfoglia il giornale davanti allo sguardo sorpreso degli altri due). Si, guarda,
eccomi qui.

JAIMITO- E questa saresti tu? Se ti devono trovare con questa foto…

CHUSA- È vero, non sembri per niente tu.

ELENA- È di quando ero piccola. È da tanto che non mi faccio foto. Vengo male in foto.

JAIMITO- È vero, vieni male. Hai la faccia da matta.

ELENA- È perché sono di fronte…e poi la carta…

CHUSA- (Leggendo la didascalia della foto) “Torna a casa figlia mia, ti perdono. Tua madre”

ELENA- (Ritagliando il pezzo di giornale). Faccio la collezione.

JAIMITO- E non hai un padre, oppure lui non ti cerca?

ELENA- No, non ce l’ho un padre

CHUSA- Nemmeno io ho un padre, meglio così.

(Si apre all’improvviso la porta che da sulla strada ed entra Alberto correndo come una furia. Insieme a lui,
l’altro inquilino dell’appartamento, vestito da poliziotto. Ha una venticinquina d’anni, altro, di bella
presenza. Elena impallidisce appena lo vede.)
ALBERTO- La polizia! La polizia, ragazzi! Stanno arrivando, sbrigatevi! Buttate nel water tutto quello che
avete! Sono usciti dal commissariato per fare una perquisizione. Speriamo non qui, perché
venivano in questa zona. (Nasconde il vaso con l’erba. In quel momento si accorge della presenza
di Elena)

CHUSA- È una mia amica. Senti, comunque non saprei cosa buttare, non abbiamo niente. (A Jaimito). A te è
rimasto qualcosa?

JAIMITO- Un grammo, però non lo butto, è l’unico che ci è rimasto. Muoviti tu (A Elena). Tieni, mettitelo
dove non possono trovarlo.

ELENA- (Indietreggia impaurita senza prenderlo). Non sono capace!

CHUSA- Dammelo! (Prende l’hashish e lo mette nel lavandino)

JAIMITO- (Ad Alberto. Indicando Elena). L’ha raccattata per strada!

ELENA- (Porgendo educatamente la mano ad Alberto). Piacere, Elena. Dai che se ti beccano…ma perché
indossi quest’uniforme?

ALBERTO- Beh, perché sono di turno, perché sennò?

(Va verso la finestra e la apre guardando fuori. Dopo la chiude).

Qui non si vede niente di strano, comunque per sicurezza io me ne vado, non sia mai che… Che c’è da
mangiare?

JAIMITO- Stavo andando a fare la spesa proprio ora. Ieri sera Chusa è sparita e mi ha lasciato qui senza un
soldo.

ALBERTO- Esco alle tre, quindi a e un quarto più o meno sto qui.

(Va verso la porta, mentre Chusa esce dal bagno. In quel momento bussano violentemente alla porta.
Istintivamente, tutti si nascondono. Bussano di nuovo, ancora più forte).

VOCE FORTE DI DONNA- Aprite subito! Alberto, apri!

ALBERTO- Sembra mia madre.

(Ape la porta ed entra la signora Antonina, la madre di Alberto, grassa e pettegola. Appena entra, inizia a
colpire suo figlio con la borsa).

SIG.RA ANTONIA- Si può sapere che ci fai qui? Delinquente che non sei altro! Un’altra volta insieme a
questi! Ero venuta in commissariato a portarti il panino e invece… L’entrata del commissariato
vuota, senza nessuno, e tu qui! Ti faccio vedere io a te!

ALBERTO- (Cercando di fermarla alla borsa) Ma mamma, ero venuto solo per prendere il manganello in
realtà, me l’ero dimenticato qui.

JAIMITO- Però non faccia così signora, che noi non ci mangiamo nessuno. Nemmeno avessimo la lebbra!

SIGNORA ANTONIA- E perché non aprivate, eh? Disgraziati! Sicuramente vi stavate drogando alla grande, lì,
con quelle siringhe. Se tuo padre fossi qui, l’avresti sentito bene, svergognato! Questo è quello che
sei!

CHUSA- Signora, non per niente, ma sta esagerando. Qui non ci sono siringhe o cose del genere. Può
guardare dove vuole.
JAIMITO- Se l’è fatta con noi, ha ragione.

ALBERTO- Non dargli retta, mamma. Non aprivamo perché pensavamo che fosse la polizia, questo è.

SIGNORA ANTONIA- La polizia? (Nasconde la borsa mentre le sta per venire un mancamento). La polizia!
Arriva la polizia!

ALBERTO- Ma no, credevamo che fosse la polizia, ma non era… (Si rende conto a quel punto della reazione
di sua madre). Che nasconde lì? Vediamo…lo ha fatto di nuovo! Me la dia!

(Le prende la borsa tirandola, proprio da vero poliziotto, e lei cerca di impedirgli di vedere cosa ha dentro).

SIGNORA ANTONIA- No, no, davvero! Ridammela subito, è mia!

(Alberto apre la borsa e inizia a tirare fuori un mucchio di bavaglini, davanti agli sguardi divertiti degli altri)

ALBERTO- Madre, non capisce che mi mette nei guai se la fermano?

SIGNORA ANTONIA- Figlio mio, è una malattia questa, già te lo ha detto il dottore. È come uno che ha
l’influenza, non ci possiamo fare nulla. Sono prove che ci manda Dio. La tua delle droghe è la
peggio. Per di più è peccato mortale!

ALBERTO- (Duramente) Ma quale cazzo di malattia e malattia!

CHUSA- Lascia in pace tua madre, faccia quello che vuole, che è grande abbastanza. Non fare il poliziotto
con lei!

ALBERTO- È che finirà per mettermi nei casini! Uno di questi giorni mi toccherà arrestarla, pensa che scena.
Finiremo sui giornali!

JAIMITO- Come questa! (Riferendosi ad Elena). La madre mette gli annunci per farla tornare. Fagli vedere la
foto, dai.

ALBERTO- Oltretutto ruba cose che non valgono niente. Ora si è fissata con i bavaglini. Perché hai preso
tutti questi bavaglini? Non ne abbiamo già abbastanza in casa? Tutta casa è piena di bavaglini, un
mare di bavaglini. Sotto il letto, bavaglini. In cucina, bavaglini. In frigorifero, bavaglini.

JAIMITO- Potreste metter su una bavaglieria!

ELENA- E cosa sarebbe?

CHUSA- Niente, lascia stare, è in vena di stronzate. (Ad Alberto, che ora guarda male Jaimito per la battuta).
Dai, non dargli importanza, che non ne vale la pena. Piuttosto, mettiamoli via, che ci manca solo
che ci arrestano per quello che non abbiamo fatto.

JAIMITO- Oppure possiamo aprire un asilo nido.

(Prende un bavaglino e se lo mette. Alberto glielo strappa di dosso. Nel mentre, Chusa aiuta la Signora
Antonia a sistemare quelli che sono caduti per terra.)

SIGNORA ANTONIA- Lei chi è? (riferendosi ad Elena).

JAIMITO- Questa l’ha raccattata come ha fatto lei con i bavaglini.

ALBERTO- Ora basta eh! Fine delle battute su mia madre, sennò prendo il manganello!

JAIMITO- Guarda se ora devi prendertela con me, sbirro che non sei altro!

(Alberto guarda con tristezza il suo amico, accusando il colpo, poi guarda l’orologio)
ALBERTO- Devo andarmene, non voglio che si accorgano di me. Comunque, ormai non credo che vengano,
almeno non qui. Un giorno o l’altro mi metterete nei casini… (Guarda Jaimito) Sbirro! Come se non
bastasse!

JAIMITO- Aspetta, scendo con te, cos¡ prendo un caffè che sono a digiuno. (Gli da una pacca amichevole
sulla spalla). E non ti stranire, che ultimamente ti stranisci per qualsiasi cosa.

(Alberto reagisce con un'altra pacca amichevole ed escono continuando a colpirsi in modo scherzoso, come
se fosse un gioco che risale a molti anni prima).

SIGNORA ANTONIA- Il caffè all’una, che caos! (a suo figlio, raggiungendolo alla porta). Prendi il panino, e
sistemati la camicia. (Gli da il panino e gli sistema i vestiti). Che fai ridere.

ALBERTO- Ok va bene! A dopo.

(Escono e chiudono la porta. Si sentono le risate che si confondono con i rumori della strada, segno che
stanno continuando a colpirsi come due bambini.)

SIGNORA ANTONIA- (Sospirando) Ah, Dio mio, che figli!

ELENA- Ne ha altri di figli?

SIGNORA ANTONIA- Ti pare poco questa mina vagante? Dai su, datemi un bicchiere di cognac se lo avete,
vediamo se mi fa passare questo malessere che ho.

CHUSA- Se l’è finita lei la bottiglia, l’ultima volta che è venuta. C’è solo il tè, lo vuole?

SIGNORA ANTONIA- Tè? Via, via. Il tè lo prendo solo quando ho mal di stomaco. E tu chi sei? Non ti
conosco.

ELENA- Si sono nuova. Piacere, Elena.

(Le da la mano. La signora Antonia si pulisce la sua e gliela stringe con piacere, sorpresa dalle buone
maniere di qualcuno in quella casa)

SIGNORA ANTONIA- Piacere mio, figliola. Antonia del Campo, via del Sal, numero 12, interno C. Considerala
come casa tua. Ah, Dio mio! Un’altra caduta nel vizio, con quel visetto che hai…vabbè (si sistema i vestiti e
prende la borsa). Bene! Ora mi do al bingo. Vediamo se almeno oggi un paio di righe le infilo! Quest’ora è la
migliore. Dato che sta davanti al mercato ci sono solo signore, casalinghe e qualche domestica.

CHUSA- Arrivederci signora Antonia, Buona giornata.

ELENA- Arrivederci. È stato un piacere.

DONNA ANTONIA- Vediamo se ci venite un giorno alle riunioni. Che se fate un salto lì non vi succede niente
eh! Vabbè, ciao!

CHUSA- Non si preoccupi! Verremo senza subbio tutti e quattro sabato. Arrivederci. (La signora Antonia
esce). Ah, finalmente, se non fosse stato per il bingo oggi non ce la saremmo scollata di dosso.

ELENA- Quindi sabato dobbiamo andare a una riunione? Che riunione è?

CHUSA- È una delle sue. Un sabato ci ha portati ad una riunione di neocatecumenali. Qualcosa tipo “Non sei
solo, il Signore è con te”, e altre cose del genere.

ELENA- È peggio di mia madre.

CHUSA- Anche lei è catecumenale?


ELENA- Si, ci manca solo questo!

CHUSA- Beh, ci ha fatto una testa che non ti immagini con le catechesi, che si ricevono e tutto il resto…Poi
dato che è un recupero di marginali ci farebbe bene, come dice lei. (ridono entrambe). Dato che siamo dei
tossicodipendenti, con quelle quattro canne che ci facciamo, sai… Ma il fatto è che per lei tutte le droghe
sono uguali. Però il cognac è acqua santa, questo sì!

ELENA- E che avete fatto lì quando ci siete andati?

CHUSA- Abbiamo cantato. Cantavamo tutti molto seri. (Canta imitando). “Cuando el Señor dijo Sión… todos
nos fuimos al pantano..” e altre canzoni del genere. (ridono tutte e due). Se un giorno ti unisci alla banda
vedi come non ridi più! È peggio del telegiornale.

ELENA- E anche il figlio è neocatecumenale?

CHUSA- Alberto? Ma che dici! Alberto è normale, anche se lo vedi vestito da poliziotto, lui è
completamente normale. Però li indossa da poco tempo. È proprio bello, vero?

ELENA- Non è male, anche se con quei vestiti non riesco a farmi un’idea.

CHUSA- Beh a me piace. Con quei vestiti, con altri e pure senza! Comunque, dobbiamo organizzare tutto
bene per il viaggio. Dobbiamo portarci pochi bagagli per non farci fermare, e vestirci bene. Tu hai solo
questi vestiti? Non hai niente che ti faccia sembrare più grande?

ELENA- A casa sì, ma qui…La gonna che ho in borsa semmai. (La prende dalla borsa). Mi posso mettere
questa e il maglione marrone. Posso andare a prendere altre cose nel fine settimana, se vuoi, tanto mia
madre non c’è. Va in montagna.

CHUSA- Questo fine settimana? Ma se partiamo domani o al massimo dopo domani!

ELENA- Davvero? Cos¡ presto?

CHUSA- Sotto Pasqua `meglio. Ci sono più turisti, più confusione, la gente viaggia di più... Ti stai tirando
indietro?

ELENA- No, no, voglio venire, ma non so se sarò capace…con così poco tempo. Dato che non me l’hai
spiegato bene, magari non so farlo.

CHUSA- Ma non c’è niente da spiegare. Andiamo, lo compriamo e torniamo.

ELENA- Il treno dove lo prendiamo? Ad Atocha?

CHUSA- Beh, si, ad Atocha. Ma che ti cambia se è ad Atocha o non è ad Atocha?

ELENA- Nulla, calma, era per sapere. Ad Atocha. Questi pantaloni sono belli, un giorno me li devi prestare.
(li prende dall’armadio e se li prova). Ad Atocha quindi.

CHUSA- Si, ad Atocha. Saliamo sul treno, una dietro l’altra, dopo aver preso i biglietti (modulacion). (Elena
la guarda senza capire perché si sofferma su questa cosa. Chusa la aiuta a fare spazio nel suo armadio e
metterci la sua roba, provando qualcosa che le piace.) Allora, scolta: prima andiamo ad Algerciras, per
questo prendiamo il treno ad Atocha. Dopo, da lì, un traghetto ci porta dall’altra parte in due ore.

ELENA- Ma io soffro di mal di mare. Vomito subito.

CHUSA- Basta che non ti viene la colite al ritorno. Per il resto... puoi vomitare quanto ti pare, la ringhiera del
traghetto è messa lì apposta, il mare non se ne accorge. Ti metti in fondo e ciao.

ELENA- Ma io mi sento troppo male.


CHUSA- Ma dai, il viaggio non dura niente, dure ore, nemmeno te ne accorgi. È peggio il treno che è una
botta. Ci mette dodici ore.

ELENA- Così tanto?

CHUSA- È un treno infernale, è pieno di mori, puzza da morire…E sicuro incontreremmo qualcuno che
conosciamo, uno schifo! E nemmeno dobbiamo dare nell’occhio, ma i tremi ultimamente sono un disastro.
Alla minima cosa, appena ti fumi una canna, sei beccato. Per questo, noi tranquille. Ci compriamo un
panino per mangiare qualcosa durante il viaggio, e più o meno alle dieci di mattina arriviamo. Si parte da
qui alle dieci di sera e alle dieci di mattina si arriva, dodici ore, te l’ho detto. Dopo, ad Algeciras, ci
sbrighiamo, vediamo se riusciamo a prendere il traghetto delle dieci e mezza o delle dodici al massimo.
Arriviamo a Ceuta e andiamo direttamente alla stazione degli autobus, e poi a Tetuan. Lì prendiamo un
altro autobus e andiamo a Chague, un paesino circondato da tre montagne, molto carino, tipo quelli che si
vedono nei film, con i tetti rotondi, tutto bianco…un amore!

ELENA- Tu lo conosci bene, giusto? Non vorrei che ci andiamo a perdere e rimaniamo lì in mezzo alle
montagne, o magari ci succede qualcosa…invece per dormire e tutto il resto?

CHUSA- Lì a Chague dormiamo la prima notte, in una pensione carina che c’è lì, piccolina. Oh, bella questa
gonna, dammi! Vediamo come mi sta. (Se la prova).

ELENA- Non è che ci prendiamo i pidocchi o roba del genere lì?

CHUSA- Ma che pidocchi! No. Beh, al massimo le pulci ti prendi, quelle quasi sicuro.

ELENA- Le pulci?!

CHUSA- Dai che non è niente, il giorno dopo ti sarai abituata. Male che va, ci mettiamo addosso il limone.

ELENA- A me preoccupa un po' la storia dei mori.

CHUSA- Con me si sono sempre comportati bene, però bisogna stare attenti. A un mio amico in Marocco lo
hanno beccato mentre si fregava una mela e gli volevano tagliare una mano. È questa la pena per i ladri.

ELENA- Ancora oggi?

CHUSA- Figurati, lui nervosissimo, ovviamente, e pure tutti i suoi amici perché vedevano che gliela stavano
per tagliare sul serio. Lui la tirava indietro, ma niente, loro testardi, cercavano di tagliargliela. Guarda, una
situazione di merda! Rubi una mela e ti ritrovi mozzato!

ELENA- Roba da matti!

CHUSA- Ti rendi conto? Oltre che noi Europei andiamo lì a sfamarli, assurdo! Ma il nostro piano è tranquillo,
andiamo velocemente a Chague, che lì è tutta un’altra cosa. E dopo vediamo quello che troviamo. O
andiamo direttamente a comprarlo, o se ci va, andiamo prima a fare un giro a Fez o Marrakech, vediamo gli
incantatori di serpenti per strada che suonano il flauto, e i serpenti che escono dal cesto…

ELENA- Ah, che bello, si dai! Ma vivi? Sono vivi i serpenti?

CHUSA- Se fossero morti e uscissero dal cesto sarebbe un po' troppo, non credi? Vedrai quanto è bello lì, e
la pensione di Chague, con gli archi che ha nel cortile…

ELENA- E con le pulci!

CHUSA- Dai, non fa niente, ci costa pure una cavolata. È il posto più economico che c’è lì. Viene dieci
dirham a notte, tipo duecento pesetas.
ELENA- Ma non possiamo andare in una più cara, che magari non ha le pulci?

CHUSA- Lì ci sono pulci ovunque. Non ti ricordi che è l’Africa? Dopo, da lì, saliamo in montagna, verso casa
di Mojamè, che è quello che che vende.

ELENA- Quindi andiamo a casa sua su una montagna? E come ci arriviamo?

CHUSA- Dalla strada per dove sennò? C’è una strada. E poi vedrai, sono super socievoli. I mori della città,
che te lo dico a fare, sono dei ladri belli e buoni, ma quelli della montagna sono brava gente.

ELENA- A me quello che mi spaventa è se poi non riusciamo a tornare.

CHUSA- Dai, ma non dire stupidaggini! Io sono andata e tornata, o sbaglio? Dormiremo lì la seconda notte,
a casa del moro. Vedrai che ti piacerà.

ELENA- Oddio, mi fa un po' paura dormire lì con un moro.

CHUSA- Per amor di dio, non dormirai con lui! Lui va da un’altra parte e ti lascia una cameretta di quelle che
hanno il letto su tutta la parete che sembra un sedile. E tu dormi lì sdraiata di lato. Lì dormono sempre così,
in fila e di lato, non hanno letti.

ELENA- E le coperte?

CHUSA- Si, e magari anche il pigiama! Lì non usano queste cose, ma è tutto meraviglioso, pieno di arazzi,
molto bello, con i tavoli per prendere il te. Appena vedono che sei senza far niente ti portano un tè. Sono
veramente fortissimi i mori della montagna. Arriviamo e gli diciamo al moro: Mojamè, abbiamo questi soldi,
vedi quanta roba riusciamo a prendere”. Tu pensi di riuscire a racimolare altri soldi per prendere di più?

ELENA- Nel caso ho quelli che ho portato, oppure posso prendere qualcos’altro dal libretto, se vuoi. Ma
come ce lo riportiamo poi quello che compriamo?

CHUSA- Ce lo mettiamo nel culo, nella fica, ce lo mangiamo, qualsiasi cosa, basta che passi.

ELENA- Come?

CHUSA- Dobbiamo convincerli a prepararci la roba. Possiamo farlo anche noi se vogliamo, ma è una rottura.
Io, a farlo lo so fare. Basta che mi dai qualche ramo e ti faccio un doppio zero con niente. Però ti massacri le
mani, ti vengono i calli a forza di pressare.

ELENA- Il doppio zero è il migliore, giusto?

CHUSA- È la prima polvere che perde il ramo. Il ramo è pieno di polline, appena lo tocchi cade la polverina
bianca, poi prendi e diventa una pallina di gomma nera. Doppio zero, il migliore.

ELENA- Però sarà il più caro.

CHUSA- Ovvio. Fai conto che se hai, che ne so, tipo dieci chili di rami di hashish, ci fai solo duecento grammi
di doppio zero, o qualcosa di più. Se poi sfreghi cento volte i rami è ovvio che ci ricavi anche due chili, però
di bassa qualità, mondezza.

ELENA- Ok, io di queste cose non me ne intendo, meglio che te ne occupi tu. Io fumo e mi piace, ma non ci
capisco niente di quello che fumo. Dato che non me lo respiro.

CHUSA- Non ti preoccupare, è tutto sotto controllo.

ELENA- Io, più che altro, giusto per andare. Beh, anche prendere qualcosa, perché poi, vendendolo qui…
quanto ci si fa?
CHUSA- Venti volte quello che abbiamo speso, se ci dice bene. È comunque un’avventura. Ti metti lì,
capirai, due ragazze, ci regalano tutto. A me spesso mi hanno regalato delle cose. Dicono che ho la faccia da
mora, dato che sono scura…

ELENA- A me preoccupa questa cosa di dovercelo mettere nel culo. Non ti fa paura?

CHUSA- Ma che dici! Anzi, dopo un po' ti da un senso di pace e tranquillità. Vai al settimo cielo. E niente, la
notte prima di andarcene, ci prepariamo gli ovuli.

ELENA- E di quanti grammi devono essere gli ovuli? Io non so se…

CHUSA- Devi cercare di metterti almeno cento grammi nella vagina, e altri cento o duecento nel sedere.

ELENA- Oddio! È che io sono stitica. Se mi rimane dentro…

CHUSA- Meglio! Dopo ti prendi un lassativo e butti tutto fuori.

ELENA- Sulla nave di ritorno, con il mal di mare e con quello dentro, sicuro muoio.

CHUSA- Quanto sei apprensiva! Gli ovuli danno fastidio all’inizio, ma dopo salgono su e non senti più
niente.

ELENA- Mi devi aiutare, perché sennò io non so…

CHUSA- Si, e magari ti devo pure infilare gli ovuli. Te li metti tu, cercando di fare del tuo meglio, con la
vasellina.

ELENA- Allora ci dovremo portare molta vasellina!

CHUSA- Come no, un chilo! Una goccia basta e avanza. Non ti fa per niente male. Guarda, c’è solo un
problema: se ci beccano. Questa è l’unica cosa di cui ti devi preoccupare. Per questo alla frontiera
dobbiamo farci carine, ci trucchiamo bene, tranquille e sorridenti, ed è fatta. Bisogna avere fegato nella
vita, che sennò ti mangiano. Tu fai tutto quello che faccio io. Ah, e poi bisogna stare attente nel treno, che è
dove beccano i fessi. Tiri fuori uno spinello, la voce corre e ti sei fregato da solo. Altre dodici ore nel
frullatore della Renfe, e a casuccia.

(Elena, che cerca da un po' di fare una difficile confessione a Chusa, vedendo che ha finito la sua
spiegazione, prova finalmente a parlare)

ELENA- Devo dirti una cosa. Io non posso. Nel culo si, al massimo…ma non di più. Chusa, io sono vergine.

CHUSA. Cosa hai detto?

ELENA- Che sono vergine, che non ho mai… Nemmeno una volta.

CHUSA- Ma stai dicendo sul serio?

ELENA- Non l’ho fatto apposta. Non volevo, o meglio, voglio dire che volevo, è che i ragazzi sai come
sono…Se glielo dici iniziano a farsi le paranoie. Non si permettono. Sai come sono indecisi. Si approfittano di
te e de e poi, niente.

CHUSA- Questo bisogna risolverlo subito. Stasera lo diciamo ad Alberto e sistemiamo tutto. Non mi fa
piacere, però è l’unica soluzione. Non puoi continuare così. Lui ti è piaciuto prima, no? Beh, meglio per te!

ELENA- Mi vergogno.

CHUSA- Dai, non essere stupida, non è niente questo. Noi non guardiamo.

ELENA. Però rimanete qui nel mentre?


CHUSA- Certo. Qual è il problema? Mica ti mangiamo

ELENA- È che mi vergogno, davvero.

CHUSA- Dovresti vergognarti di più ad essere vergine nel millenovecento ottantacinque, e alla tua età! Devi
essere rimasta solo tu, bella!

ELENA- Io e mia madre. Anche lei è vergine, sai?

CHUSA- Chi? Tua madre? (Elena annuisce con la testa).

Si, certo. E ti ha portata la cicogna.

ELENA- Cesareo. Sono nata da un cesareo. Ed è rimasta incinta in una piscina comunale, con tutto il
costume, ed era pure uno di quelli di una volta. Beh, almeno questo dice lei.

CHUSA- In una piscina? In una piscina comunale? Sarà stato quando si è lanciata dal trampolino. Ci sarà
stato uno sotto che faceva il morto a galla e zac!

ELENA- È vero, non è uno scherzo! Io sono figlia di mia madre e di uno spermatozoo sommozzatore.

CHUSA- Certo che non ci si può fidare di nessuno. Chi sarà stato quell’animale che si è messo lì a… certo che
bisogna essere proprio ignoranti, e bestie, e…Ah scusami! Non avevo pensato che fosse tuo padre.

ELENA- No, tranquilla, non lo conosco quindi non fa niente. Per me è come se fossi una figlia in provetta.
Non mi interessa delle origini.

CHUSA- Beh, senti, fai bene, che vuoi che ti dica! Non credere che mio padre fosse…, mi sa che è quasi
meglio essere figlia del Comune come te, che avere un padre come il mio. Comunque, oggigiorno non c’è
da scandalizzarsi molto. Tempo fa si è fermato a dormire qui uno che studiava biologia, stava tutto il giorno
con un libro di un certo Mendel, che si era inventato certe cose per far fare i figli ai piselli che nemmeno ti
immagini. C’erano pure i disegni e tutto il resto. Dove si doveva mettere il pisello, che si doveva fare
quando stava dentro e si gonfiava…Tutto, spiegavano tutto. Vedi, più di qualcuno avrà avuto un pisello per
padre. Ovviamente non lo dicono. Non lo gridano ai quattro venti come fai tu.

ELENA- Nemmeno io lo dico. A te perché ti conosco, ma a nessun altro. Dato che non conosco nessuno…io
non faccio amicizia con nessuno in realtà.

CHUSA- Senti, sei un po' strana o sbaglio? Ovviamente sarà per la storia della verginità. Hai qualche rotella
fuori posto. Stanotte Alberto ti farà passare dalla parte delle normali, non ti preoccupare.

ELENA- E io che devo fare?

CHUSA- Nemmeno questo sai? Non ti preoccupare, ti insegnerà lui. Lui si che lo sa, vedrai. Prendi la pillola?

ELENA- Che pillola? No, se sono vergine…

CHUSA- Lascia stare. Andiamo in farmacia a prendere qualcosa, non sia mai che rimani incinta alla prima
occasione e mi tocca badare al bambino. E per di più di Alberto! Non mi piacerebbe per niente, sai?

ELENA- Grazie, Chusa. Sei un angelo.

CHUSA- Una santa, ecco che sono. È la mia croce, non posso farci niente, Dai, andiamo.

(Iniziano ad uscire. Aprono la porta. Chusa torna indietro e spegne la radio, che era accesa a basso volume).

ELENA- (Dalla porta) Certo che anche così, farlo la prima volta con uno sbirro mi fa strano. Non è che mi
succede qualcosa? Io sono molto superstiziosa.
CHUSA- Alberto è un ragazzo buono. E fa tutto bene, se lo dico io… Te lo lascio perché mi fido. Ma una volta
e non di più eh! Non ti ci abituare. Anche nella polizia ci sono persone normali, come da qualsiasi altra
parte. Che ti credi? Che mordono? Comunque, vedrai come ti dimentichi chi è appena si toglie l’uniforme!

ELENA- Beh, immaginavo. Ci mancava che lo facesse con l’uniforme addosso. Vengono i brividi a pensarci,
vero?

(Escono entrambe tra le risate e chiudono la porta. Buio)

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