Si prega in tanti modi. Lo si fa rivolgendosi sottovoce a
Dio con le parole imparate nei giorni di catechismo, oppure lo si fa gridando le bestemmie più incredibili. Lo scopo è il medesimo. Chi è stanco supplica di potersi fermare, chi è costretto in un letto invoca un intervento divino affinché azzeri il tempo che manca ad alzarsi di nuovo. Quando si è chiusi in un ospedale la preghiera non basta. C’è bisogno di svago. Un ragazzo, uno fra gli habitué della camerata “scoliotici”, si era portato dietro un registratore. Mi chiese il favore di accenderlo dato che lui era impossibilitato a muoversi. Io invece ero un paziente fortunato: deambulavo. Ero lì da mesi ma non ero infermo. Diedi il via al mangiacassette e le note che si propagarono nella grande stanza furono quelle di “Controllo totale” di Anna Oxa. La sua voce mi piaceva. Bella, di una sua bellezza acerba e, proprio per questo, ancor più affascinante. Pochi anni dopo mi sorpresi a fare la stessa considerazione nei riguardi delle fattezze di quella donna. - “Mettila di nuovo” - così mi esortò quel ragazzo, con la voce spaccata dal dolore. Il brano era appena terminato. Mi affrettai a premere rewind. Quello sì che era un apparecchio evoluto. Aveva addirittura un contatore a tre cifre. Quando riuscii a localizzare il punto d’inizio della canzone appoggiai un dito sul “pispolino” nero a lato del contatore. Questo si azzerò. Mi parve un accessorio molto utile. Nel registratore di casa, marca Castelli, quel pulsante mancava. La canzone ripartì daccapo. I miei pensieri, idem. Nel panorama italiano il numero di particolari quanto piacevoli voci femminili era sterminato. Mi vennero in mente Mina, Nada, Milva e le emergenti Fiorella Mannoia, Alice, Loredana Bertè. Con così tante brave artiste nostrane che bisogno c’era di stranie... Il mio pensiero si interruppe. La canzone non era ancora completamente finita ma quel ragazzo aveva usato il filo di voce che gli restava per invitarmi a rimetterla. Tornai sul punto zero del contatore e “Controllo totale” iniziò ancora. Questa volta mi concentrai sul testo. C’erano parole poco equivocabili:
“...pronta così non ero stata mai
strada aperta e bagnata, avida di te fai di più, fai così...”.
L’epoca lo esigeva. Canzoni con riferimento esplicito al
sesso ce n’erano da vendere. All’ultimo San Remo Fiorella Mannoia si era bastata da sola, “cuccandosi” nel letto. Bazzecole in confronto alla canzone “America” di Gianna Nannini, palese inno alla masturbazione. Senza contare che Donatella Rettore aveva vinto il Festivalbar grazie ad un kobra che serpente non era. A furia di riflettere su questa tendenza al testo “spinto”, la cassetta era già passata al brano successivo. Portare il nastro sul punto zero e rimettere la solita canzone fu questione di un attimo. Il ragazzo, rinchiuso per metà nella sua bara di gesso, non mi ringraziò, si limitò a fare una smorfia che interpretai come un sorriso di approvazione. Cosa c’era di particolare in quella musica che faceva sentire meglio quell’amico di circostanza? Come poteva, grazie ad un canto, sentirsi meno strozzato in quella rigida e pesante camicia chiamata busto? Non riuscivo a comprendere il senso di tutto ciò ma, appena la canzone finì, non chiesi niente, non aspettai il consenso di nessuno e la feci partire daccapo. Intanto la sofferenza aveva definitivamente chiuso la gola a quel poveretto. Non più in grado di proferire parola mosse leggermente la testa in su ed in giù e, come a ribadire la bontà del mio operato, emise un lieve mugolo di piacere. Anche Anna Oxa emetteva strani suoni striduli ma i suoi erano gemiti d’altro genere. Lei ansimava dispiaciuta poiché non aveva più controllo su un ipotetico lui. Forse era questa la chiave di quel benefico ascolto: la sofferenza, quando non vissuta sulla propria pelle, non è così sgradevole. Il dispiacere degli altri aiuta a dimenticare il nostro. Un po’ poco, supposi, per lenire il dolore. Meglio l’assolo di sax sul finire del pezzo. Il sassofono è un pianto commovente che strugge qualcosa dentro. Dopo poche note di quello strumento il lucchetto che attanaglia anima e cuore non può che saltare. Che fosse quello a far star bene il ragazzo? Cercavo risposte quando l’esperienza che stavo vivendo bastava ed avanzava a dimostrare il potere catartico della musica. Ma io non capivo. Al successivo, ennesimo ascolto, ero ancora lì che mi scervellavo. Le mie rotelle giravano più veloci di quelle del registratore e non mi accorsi che il brano era terminato. Dovevo riavvolgere il nastro. Questa volta senza fretta. Nel frattempo il mio compagno di “prigionia” si era addormentato. Su di lui, la cura della musica aveva fatto davvero effetto. Su di me, niente. A dire il vero una cosa l’avevo imparata: il testo della canzone “Controllo totale”. Me ne andai via da quella cella di dolore, recitando una nuova preghiera:
“Torre di controllo, luci colorate
che dipendono da me. Io comando te. Le lenzuola è importante ugualmente/dire sì, dire sì, dire solo sì...”
Giorni dopo, entrò nella mia stanza il ragazzo del
registratore. Era proprio lui, dentro una mezza armatura bianca. Era davvero lui, appesantito da quel guscio che si doveva portare appresso. Adesso non soffriva più le pene dell’inferno. Cominciava ad abituarsi al peso, sopportava meglio la stretta. Mi passò la cassetta e disse: “Il Q disc di Anna Oxa adesso è tuo “. Non aggiunse altro. Era il suo tempo di tornare a casa. Lui, armatura- guscio e tutto. Io, bello leggero, restavo. Era il mio turno di debellare il male e bramavo di ascoltare quella musica. Chissà se poteva aiutarmi a guarire o, almeno, a sedare il dolore? Peccato che non avessi un mangianastri (anche senza contatore). Il Castelli l’avevo portato ad un centro di riparazioni elettrodomestici appena qualche mese prima di essere ricoverato. Da quei locali, per mia forzosa lontananza prima e per sopraggiunti sofisticati riproduttori musicali dopo, non uscì mai più. Per giunta il negozio chiuse per fallimento. Il Q disc di Anna Oxa? Non l’ho mai ascoltato. Qualche infermiere del turno di notte pensò bene di appropriarsene. Forse aveva bisogno di un po’ di svago, in modo da rendere più gradevoli le ore solitamente dedicate al sonno. Nel periodo fra i miei due interventi chirurgici, quando potevo vagare indisturbato in quel reparto di infermi totali, non mi ci volle molto a scoprire che di modi di passare la nottata, fra infermieri d’ambo i sessi, ce n’erano di vari ed eventuali. “Controllo totale” mi parve il miglior sottofondo possibile per tali circostanze:
“Qui non ho controllo su di te.
No, non ho controllo su di te Non c’è controllo su di te Su di te, su di te, controllo sopra di te...”