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LE CONFESSIONI DI B

Roma, inizi XVII sec.

Essere son io. Son B. E’ il nome mio che per B inizia e tanto ha
da bastare. Nacqui. Questo sì. Mia madre mi partorì. Come tutti.
Quella madre che di troppo parto morì. 7 anni tenevo che morì.
Eppure al mondo venni. Nacqui dopo Beatrice. Nacqui prima
di Paolo. Nacqui in una famiglia mal mischiata. Famiglia
sbagliata, gente d’odio. Però Paolo e Beatrice li amai. Ma per
fatti vissuti d’altre cose narro. D’amore no. Del senso della vita
ho fatto un sunto: nasci, lotti e muori. Questo è. Niente di più.
Per i miei figli ho usato il nome del padre e quello della madre.
Anche quello di Paolo ho usato. Di Beatrice pure. Degli altri
miei fratelli, no. I loro nomi, no. Con gli altri ebbi poco a che
spartire. Poco coi fratelli, poco con il padre e quel poco male.
Poca famiglia. Quale famiglia? Famiglia è quella che dà
continuità. Noi siamo stati discontinui. Famiglia è quella che
sta unita. Noi siamo stati disgiunti. Famiglia è dove c’è
umanità. Noi siamo stati disumani. Solo con Beatrice qualche
bel ricordo tengo. Beatrice era capace. Ci sapeva fare. Ci sapeva
fare sopra e sotto. Tutti la volevano e lei si dava. Si dava per
comandare. Anche mio padre la voleva. Troppo la voleva.
Volere senza dare è un abominio. Volere la propria figlia è una
aberrazione. Fatale che s’arrivi allo scontro. Inesorabile la
violenza di lui. Ineludibile la strategia di lei. Lei era bella e si
dava. Quando sei bella e ti concedi hai i complici che vuoi. Se
sei brutto complici non hai. Se paghi non sono complici, sono
soldati. Complici e soldati. Tanto ci voleva per far fuori mio
padre. Padre duro. Duro da piegare, duro da abbattere. Ci
voleva una droga, ci voleva il Laudano. Oppio e vino. Alcool
ed oppio. Ci voleva il Laudano. Laudano, soldati ed amanti.
Laudano e complici. Mio padre muore così. Per mano di soldati
pavidi. Per mano di amanti viziosi. Io non c’ero. Mio padre
ucciso ed io altrove. E’ caduto, si disse. E’ scivolato. E’ morto.
Poi sepolto. Sepolto alla svelta. Ammazzato e sepolto in fretta.
Nessun pianto. Tutto a posto. Ma il delitto non paga. Se non sei
astuto non paga. Si è astuti quando si è silenziosi. L’astuzia non
fa rumore. Noi eravamo rumorosi. Una famiglia frastornante.
Si è astuti quando non si dà fastidio. L’astuzia non è molesta.
Noi eravamo fastidiosi. Una famiglia irritante. Si è astuti
quando si agisce nell’ombra. L’astuzia è invisibile. Noi
eravamo evidenti. Una famiglia ingombrante. Le chiacchiere si
fanno voci. Le voci circolano. Le voci ingrossano, diventano
grida. Grida di accusa. A quelle grida l’amante scappa. Un
nostro parente lo fa uccidere. Anche il soldato scappa ma è un
pusillanime. Chi scappa impaurito è in trappola. Il panico lo
rallenta. Lo spavento lo blocca. La paura ha un odore. Chi segue
annusa il tuo sgomento. Chi segue percepisce la tua angoscia.
Chi segue ti cattura. Il soldato è catturato. L’epilogo ha inizio.
Giacomo, Beatrice, Lucrezia arrestati. Anch’io. Il piccolo B
arrestato. Torture. Si torturano i ricchi? Di solito no. Per noi si
fa eccezione. La nostra famiglia è una anomalia. Può essere
trattata fuori regola. Allora tortura per tutti: la corda. La corda
per tutti. Mani legate dietro. Corpo sollevato. Carrucola e su.
Tutto il peso del corpo in un punto. Tutto il peso del corpo sulle
spalle. Pesi aggiunti alle gambe. Corpo sollevato e mollato di
colpo. Di colpo bloccato. Tutto il peso sulle spalle. Muscoli
strappati, slogati, sciupati. Dolore e disperazione. Arresto,
tortura, confessione. La sequenza è questa. La confessione è
una catarsi. La confessione è liberatoria. La confessione ti
libera se confessi bene. Se confessi male ti condanna. La
confessione libera gli astuti. Si è astuti quando si è uniti.
L’astuzia è accordo. Noi eravamo disgiunti. Una famiglia
disgregata. Giacomo ha una intuizione inaspettata. Sotto tortura
diventa lucido. Accusa il complice-amante di Beatrice:
l’attraente Olimpio. Olimpio? Giusto! Tanto è morto. Giusto: è
morto ammazzato. La colpa fu sua. Voleva Beatrice tutta per
se. E’ lui il mostro. Bravo Giacomo! Una volta tanto fu
all’altezza. Fu ciò che avrebbe voluto essere. Ma non servì.
Lucrezia non ha midollo, è debole. Lucrezia non è nostra
madre. Lucrezia incolpa Beatrice. Forse lo fa per chiamarsi
fuori. Ma non servì. Io son piccolo. Mi torturano. Non c’ero ma
dico Beatrice anch’io. Potevo dire: Giacomo. L’odiato
Giacomo. Ho perso un’occasione. Potevo dire: Lucrezia, la
matrigna. Non mi costava nulla. Invece dico: Beatrice. Intanto
lei si difende: il padre l’aveva sequestrata. Era stata legittima
difesa. Ognuno ha la sua versione. Potevamo dire tutti come
Giacomo. Potevamo accusare un morto. Bastava essere astuti.
Noi non lo fummo. Si è astuti quando si è metodici. L’astuzia
non s’improvvisa. Noi eravamo arrangiati. Una famiglia di
inconsistenti. Arrangiati, inconsistenti e colpevoli. Colpevoli: a
morte. Sequestro dei beni ed a morte. Salii per primo al
patibolo. Un boia mi legò. Mi legò ad una sedia. Dovevo
assistere alla pena. Vedere le teste cadere. La mia no. Io ero
stato graziato. Questa era la mia pena. Vedere la testa di
Lucrezia rotolare. Osservare la testa tagliata di Beatrice. Una
testa sopra un corpo può essere bella. Una testa senza corpo è
quella di un mostro. Mia sorella era bella. Mia sorella divenne
un mostro. Artemisia Gentileschi e Caravaggio la vedono e
restano impressionati. Eppure il sangue del patibolo, il sangue
mostrato alla piazza sembrava non bastare. Ci voleva un cuore.
Il cuore di Giacomo. Pare strano, dentro il suo corpo c’era un
cuore. C’era un fegato. Più di tutto c’erano budella. Le sue
budella in piazza come le nostre malefatte, i nostri sotterfugi. I
fatti nostri in piazza come al processo. Processo pubblico.
Processo alla mancanza di pudore, all’eccesso di potere.
Processo ad una nobiltà senza talenti. Quando hai talenti e non
gli eserciti vivi nell'ombra. Quando non hai talenti e supponi di
averne sei sovraesposto. Tutto esposto. Tutto in piazza: i nostri
intrighi e le nostre budella intrigate. Tutto in piazza: sangue e
merda. Se sei ricco puoi star lontano dalla puzza del mondo.
Puoi star lontano dal marcio. Lontano dalla merda. Adesso no.
Adesso niente lusso. Lusso è tornare polvere. Noi non siamo
polvere. Noi siamo sangue e merda. Io svenni. Per farmi
rinvenire mi fecero un salasso. Sangue su sangue. Merda con
merda. Svenni di nuovo. Poi ancora sangue ma vivo. Dovevo
pagare ma ero vivo. Dovevo remare. Dovevo tremare, piegarmi
di fronte agli aguzzini. Gli arabi usano belle parole. Parole
come assassino. Assassino lo capivo bene. Poi ci fu aguzzino e
lo capii a mie spese. Lo capii mentre remavo. Remavo da
forzato. Remavo da galeotto. Assieme a schiavi e buonavoglie.
Assieme ad altri galeotti. Dopo sei anni mia moglie pagò. Pagò
il riscatto e tornai. Tornai ed ero io, ero B. Non ero più
Bernardo. Bernardo dell’illustre famiglia dei Cenci. Ero B, solo
B. Non più ricco, non nobile, ma vivo. Adesso son B e della
vita ho un sunto: nasci, lotti, muori. Son nato in una famiglia
incurante. Sono vissuto resistendo ai parenti, agli aguzzini.
Sopravvivendo ai ricordi. Adesso la morte attendo. Son B,
attendo e tanto ha da bastare.

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