Sei sulla pagina 1di 6

Atto Secondo, Scena Prima.

Chiunque non abbia mai visto morire un uomo, soffre di un grave


caso di verginità. (Il suo buon umore di qualche momento prima
sparisce e comincia a ricordare.) Per dodici mesi ho guardato mio
padre che stava morendo, avevo dieci anni allora. Era tornato
dalla guerra di Spagna. Laggiù qualche pio gentiluomo l’aveva
conciato in tal modo che non gli restava più molto da vivere.

Tutti lo sapevano… anch’io lo sapevo. Ma, vedete, io ero l’unico a


cui dispiaceva. La sua famiglia era imbarazzata da tutta la
faccenda. Irritata e imbarazzata. Mia madre, poi, non era in grado
di pensare che a una cosa sola: al fatto di essersi legata ad un
uomo che sembrava trovarsi sempre dalla parte sbagliata, in tutto.
Mia madre sarebbe stata lietissima di appartenere alle minoranze,
purché fossero quelle che stanno in cima alla scala sociale. Noi
tutti aspettavamo che morisse. La famiglia gli mandava un assegno
ogni mese, e sperava che la facesse finita tranquillamente, senza
volgarità e senza chiasso. Mia madre si limitava ad occuparsi di
lui senza lagnarsi. Forse le faceva pena. Credo fosse capace di
provare compassione.

(Con disperazione) Ma io ero l’unico a cui dispiacesse veramente!


Ogni volta che mi sedevo sull’orlo del suo letto e lo ascoltavo
parlare, certe volte mi leggeva dei libri, dovevo lottare per non
piangere. E alla fine di quei dodici mesi ero diventato un
veterano. L’unica persona che stava ad ascoltare quel pover’uomo
fallito e febbricitante era un ragazzino spaventato. Passavo delle
ore in quella piccola stanza da letto. Mi parlava ore ed ore,
raccontando gli avanzi della sua povera vita a un ragazzo
solitario e sgomento, che riusciva a capire appena la metà delle
sue parole. E tutto quello che riusciva a percepire era la
disperazione e l’amarezza, l’odore dolce e nauseante di un uomo
che muore.

Capite, ho imparato molto giovane cosa vuol dire l’angoscia, il


non poter far niente, l’essere senza aiuto. E non lo dimenticherò
mai. Quando avevo dieci anni io sapevo dell’amore, del tradimento…
e della morte, molto più di quanto voi ne saprete probabilmente in
tutta la vostra vita!
Come faccio ad aiutare te se non riesco ad aiutare me? Tu dici che
è impossibile vivere con te? Blanche mi diceva: “A che ora vuoi
cenare?” e io: “Non lo so, ora non ho fame”. Poi magari alle tre
del mattino ero capace di svegliarla e dirle: “Ora!”.

Per 14 anni sono stato il cronista più pagato degli States e sai
quanto avevo messo da parte?

Otto dollari e mezzo in monetine! Non sono mai in casa, gioco,


lascio in giro i sigari accesi e brucio i mobili, bevo come una
spugna, mentisco a ogni piè sospinto… e sai che feci al nostro
decimo anniversario di matrimonio? La portai alla partita e un
tifoso le rovesciò in testa un’aranciata.

Eppure io ancora non riesco a capire perché mi ha lasciato… Pensa


com’è facile vivere con me!

-M-
10 COSE CHE ODIO DI TE

Kat Stratford - Odio il modo in cui mi parli e il modo in cui ti


tagli i capelli,

odio il modo in cui guidi la mia macchina,

odio quando mi fissi.

Odio i tuoi stupidi stivali anfibi e il modo in cui mi leggi nella


mente.

Ti odio così tanto che mi fai star male, mi fai persino scrivere
poesie.

Ti odio.

Odio quando hai sempre ragione, odio quando mi menti.

Odio quando mi fai ridere, odio anche di più quando mi fai


piangere.

Odio quando non mi sei attorno e il fatto che tu non abbia


chiamato.

Ma più di tutto odio il fatto che non ti odio...

nemmeno quasi...

nemmeno un pochino...

nemmeno niente.

-F-
THE LIBERTINE

Lizzie Barry – Ho il mio talento e ne sono gelosa. E sebbene


consideri che voi e solo voi in città lo abbiate riconosciuto, non
sono così confusa dal Lord, dal padrone che è in voi da non
avercela con voi. Sì, avete ragione, ho intenzione di fare
qualcosa che nessuno ha mai fatto.
Ieri ho perso di vista il mio scopo per paura del palcoscenico, ma
li conquisterò, sapete, e che non si dica, quando avrò la fama e
le mie due sterline a settimana, che Lord Rochester mi ha presa e
mi ha illuminata del suo genio facendomi diventare una minuscola
parte della sua grandezza… No!

Dovrò essere valutata per me stessa e per quel che io sapevo di


poter fare sul palco e per come io, Lizzie Barry, io ho saputo la
mia anima e modellarla, trasformarla in qualcosa di mirabile e per
questo ho trionfato.

[….]

Voglio l’amore appassionato del mio pubblico.


Voglio che quando muovo il braccio i cuori vengano trascinati via
e quando muoio voglio che soffrano perché non potranno più vedermi
fino al pomeriggio seguente.

È questo quello che voglio. E in un modo o nell’altro lo avrò.

-F-
LA SIGNORINA JULIE

DI AUGUST STRINDBERG

Tu credevi che io non sopportassi la vista del sangue! Così


debole, mi credevi.

Oh… il tuo sangue, il tuo cervello vorrei vedere su quel ceppo!


Tutti quelli del tuo sesso vorrei veder nuotare nel sangue!…

Credo che potrei berci, nel tuo teschio… vorrei bagnarmi i piedi
nel tuo torace… potrei mangiarmi arrosto il tuo cuore…

tu mi credi debole… tu credi che io ti ami… perché il mio ventre


ha desiderato il tuo seme… tu credi che io voglia portare sotto il
mio cuore la tua genia… e nutrirla col mio sangue… partorire tuo
figlio e assumere il tuo nome. Ma come ti chiami tu veramente? Sai
che io il tuo cognome non l’ho mai sentito? Ma ce l’hai tu un
cognome? Scommetto che non ne hai neanche uno. Ah, ecco come
dovevo chiamarmi: signora Portineria o Madame Pattumiera.

Cane col mio collare… schiavo col mio stemma sui polsini!… Io,
spartirti con la mia cuoca… io, avere come rivale la mia serva…

oh, oh, oh, tu mi credi vile, e pensi che voglia fuggire… invece
no… ora rimango! E s’abbatta pure il fulmine! Mio padre torna,
trova la scrivania scassinata… il suo denaro scomparso… allora
suona il campanello, quel campanello… due volte… per il cameriere…
e manda a chiamare la polizia… e allora io dico tutto! Tutto!

Che bello farla finita. Purché finisca. E poi a lui viene un


malore… e muore.

E per noi è la fine! E allora viene la pace… il silenzio! La


quiete eterna! E lo stemma di famiglia si schianta contro il
catafalco… e la stirpe dei conti è stroncata… e la razza dei servi
trasloca all’ospizio dei trovatelli e conquista allori fra le
fogne, e finisce nelle galere!

-F-
Povero amorino mio, tu guardi smarrita, con codesti occhioni
belli: chi sa dove ti par d’essere! Siamo su un palcoscenico,
cara! Che cos’è un palcoscenico? Ma, vedi? E’ un luogo dove si
gioca a far sul serio. Ci si fa la commedia. E noi ora faremo la
commedia. Sul serio, sai! Anche tu… Oh, amorino mio, amorino mio,
che brutta commedia farai tu! Che cosa orribile è stata pensata
per te! Il giardino, la vasca… Eh, finta, si sa! Il guaio è
questo, carina: che è tutto finto qua! Ah, ma già forse a te
bambina, piace più una vasca finta che una vera; per poterci
giocare, eh? Ma no, sarà per gli altri un gioco: non per te,
purtroppo, che sei vera amorino, e che giochi per davvero in una
vasca vera, bella, grande, verde, con tanti bambù che vi fanno
l’ombra, specchiandovisi e tante tante anatrelle che vi nuotano
sopra, rompendo quest’ombra. Tu la vuoi acchiappare, una di queste
anatrelle… (con un urlo che riempie tutti di sgomento) No Rosetta
mia no! La mamma non bada a te, per quella canaglia di figlio là!
Io sono con tutti i miei diavoli in testa… E quello lì… (Lascerà
la Bambina e si rivolgerà col solito piglio al Giovinetto) Che
stai a far qui, sempre con quest’aria di mendico? Sarà anche per
causa tua, se quella piccina affoga: per questo tuo codesto star
così, come se io facendovi entrare in casa non avessi pagato per
tutti! Che hai lì? Che nascondi? Ah, Dove, come te la sei
procurata? Sciocco, in te, invece di ammazzarmi io, avrei
ammazzato uno di quei due, o tutti e due: il padre e il figlio.

-F-

Potrebbero piacerti anche