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Il marito di mia moglie

Sono qui al bar, come ogni sera da una settimana. So che dovrei tornare a casa subito, quasi l'ora di cena, ma il bar fresco, il bitter buono, e io sono stanco. Anzi sono stufo, come venti persone stufe messe insieme. Il mio ufficio uno schifo, la morte civile di un uomo. Tutti gli uffici lo sono, ma il mio di pi. Guarda come dovevo finire, otto ore al giorno agli ordini di tre direttori deficienti dove ne basterebbe uno di intelligenza mediocre, pi una ventina di sottocapi superattivi dove sarebbero gi troppo tre in letargo. E io l in mezzo. Io che sognavo la libera carriera e le aule dei tribunali risonanti della mia cesarea voce: Signori della corte.... Mia moglie dice che mi confondo con Perry Mason. Non m'interessa quello che dice mia moglie. Sar meglio che prenda un altro bitter, prima di tornare a casa. Se conosceste la mia casa, mi capireste. E anche se conosceste la cassiera di questo bar. Non solo la cassiera, la figlia del padrone, ha vent'anni appena compiuti e si chiama Floretta. Me l'ha detto lei. bionda, morbida, indolente, tirata a lucido in ogni particolare, ha un profumo tipo notte di luna sui tropici, e gli occhi languidi. Quando mi d lo scontrino mi sorride intimamente, carezzandosi gli occhi con le ciglia e traendo dal registratore un melodioso tintinnio. Cos finisce che prendo un sacco di scontrini e torno a casa tardi e pieno di bitter. Che costa, tra l'altro. Ma per tardi che sia, sempre troppo presto. Se conosceste la mia casa... ma questo l'ho gi detto, mi sembra. Beh, lo ripeto: se conosceste la mia casa, capireste. Un giorno vi ci porto, e mi sapete dire. Sar proprio meglio che prenda un altro bitter. Un altro, Floretta dico. Occhi languidi, sorriso, tintinnio, e lo scontrino offerto come un fiore: Trecento lire sussurra amorosamente. Dovete sapere che sono sempre state il mio tipo, le ragazze cos. Con molte curve e pochi problemi, decorative e di tutto riposo. Guardare questa Floretta come tornare indietro di tanti anni, al tempo in cui la mia precipua preoccupazione era quella di dare una disposizione strategica alle mie fanciulle in modo che non s'incontrassero tra loro. Non sempre ci riuscivo. Gran bei tempi erano quelli. Mi bastava tendere una mano per trovarci dentro una ragazza. Anche adesso mi basterebbe, se volessi. State a

vedere. Non stanca di stare qui dentro, Floretta? le chiedo. Inizio acuto. Oh, no. D'estate viene cos poca gente... e tutta simpatica. Sorriso e operazione ciglia. E poi smonto alle dieci sussurra, guardandomi fisso. Cosa vi avevo detto? Eccola qua, la Floretta: seduta sul palmo della mia mano. E adesso? Non so perch debba sentirmi a un tratto cos inquieto. La mancanza d'allenamento, certo. Guardo l'orologio, e da inquieto divento anche ansioso. Metto fuori un foglio da cinquecento lire, la cassa tintinna melodiosamente e lei d il resto sfiorandomi il palmo con le unghie rosse e affilate. Brr. Io esco sempre alle dieci sussurra. Tutte le sere. Ah, s? dico, brillantemente. Oltre che inquieto e ansioso, adesso mi sento anche colpevole. Colpevole! Sono un cretino, ecco cosa sono. Anche stasera ripete lei. Anche stasera esco alle dieci. Ah, s? dico. (Dio dei cretini, mi vedi?). Buonasera, Floretta. Intasco il resto, trangugio il bitter come se fosse una purga, e via, tipo scolaro in ritardo. Il dio dei cretini deve essere fiero di me. E il tram che non arriva. La macchina, a quest'ora, neanche parlarne. La lascio addirittura a casa. Ma vi pare giusto, vi pare decente, che tutte le sere dopo lo schifoso ufficio io debba pigiarmi in uno schifoso tram per tornare in una schifosa casa a... Un momento, ecco il mio tram. Aspettate che mi infili dentro questo carnaio, e poi vi dico. Ecco, sono dentro. Se per un momento questa gente smette di maciullarmi i piedi, vi spiegher com' andata. Dunque, quand'ero universitario, a parte che ero un atleta e, modestamente, belloccio, avevo un harem di ragazze tutto-riposo tipo Floretta, belle, morbide, tirate a lucido, con gli occhi languidi e un sacco di soldi, pure. Non avrei avuto che da scegliere, per dirla tra noi. Ma mi guardavo bene dal farlo. Dovevo essere libero, io. Libera professione, libero amore, libero tutto. E cos sarebbe stato, se un giorno d'estate dei miei ventitre anni (m'ero laureato da un mese), non mi fosse capitata la tegola in testa. Non era bella, non era morbida, non era tirata a lucido, non aveva gli occhi languidi e non aveva una lira. Magra come un chiodo, matta come un cavallo, disordinata come dieci persone disordinate, con un naso che pareva una virgola piccola sopra una virgola grande che era la bocca, con delle mani che parevano dei ragnetti sporchi di biro, e gli occhiali. Per di pi scriveva poesie. Ermetiche.

La prima volta che la vidi pensai: Ges, che peste. E cos continuai a pensare, ferocemente, per mesi, chiedendomi perch mai un tipo come me, inseguito da tante morbide bionde di tutto riposo, dovesse perdere il suo tempo inseguendo a sua volta una ragazzetta scombinata con gli occhiali, che non diceva mai quello che mi aspettavo che dicesse, che un momento era l e il momento dopo era su un altro pianeta, che dimenticava tutto dappertutto, che piangeva come dieci persone che piangono e rideva come dieci persone che ridono, che sognava di fare il giro del mondo su un gommone e si rosicchiava le unghie e scriveva poesie e aveva sempre qualcosa fuori posto: o una calza storta, o un bottone di meno, o un baffo di rossetto sul naso o un baffo d'inchiostro sul mento, qualcosa di sbagliato l'aveva sempre. Anche una rotellina nel cervello: ma quella l'aveva sbagliata dalla nascita. Non era mai dove pensavo che fosse, e mi toccava correrle dietro come un cane da caccia, diventando lo zimbello degli amici. Quando poi la trovavo, litigavamo come pazzi. Io la chiamavo Dante Alighieri e lei mi chiamava Attleta (la doppia t era per accentuare il dispregio), e ci odiavamo atrocemente, finch di colpo mi calava addosso una specie di nuvola, soffice dolorante e stordita, e da quella nuvola emettevo rotte, sommesse voci incomprensibili per chiunque non fossimo lei e io. Sempre dentro la nuvola la prendevo fra le braccia, e lei si toglieva gli occhiali. Non era che un piccolo gesto, eppure cos intimo, e stranamente impudico, che davanti a quella faccetta denudata io sentivo ogni volta le gambe di pastafrolla. Credo che sia per quel gesto che l'ho sposata. L'idea che un giorno potesse togliersi gli occhiali per qualcun altro mi faceva diventare del tutto pazzo. Mi svegliavo la notte a pensarci, tutto sudato, e mordevo il cuscino. Cos, per colpa degli occhiali, ho rinunciato ad aspettare la grande carriera, ho preso il primo impiego sicuro che ho trovato, e l'ho sposata. E sapete cosa mi ha combinato dopo? Un momento, ecco la mia fermata. Fatemi districare fuori dal carnaio, che poi vado avanti. L, sono fuori. Dunque, stavo dicendo che l'ho sposata. Lei e i suoi occhiali e il suo disordine e le sue mani bucate e le sue poesie ermetiche. A tutto questo aggiungete, uno sull'altro, quattro bambini. Quattro, mi spiego? Da notare che fin da ragazza lei era una femminista ante litteram, fiera nemica della riproduzione, tra l'altro; secondo lei mettere al mondo figli era contribuire all'inquinamento, alla sovrappopolazione, quindi al suicidio collettivo. Fare figli era immorale. Per gli altri, ovviamente. Lei era un caso a parte. I geni, si sa, hanno. licenza di partorire. I primi due figli

furono regolarmente programmati: due noi, due i figli: non c'era sopruso, secondo lei. Nei confronti dell'umanit no. Ma nei confronti del nostro bilancio, il sopruso era lampante. Ma dai, non fare tante storie, diceva lei collaborer anchio. Ho gi cominciato. (Come, lo dir poi.) Cominci anche a prendere la pillola. Ma, essendo distratta per natura e ora anche per lavoro, una volta su tre dimenticava di prenderla, e cos ecco gli altri figli. Ognuna gestisce il proprio corpo come vuole: lei lo gestisce cos. E i soldi? Dove li troviamo i soldi? Oh, dice lei uno pi uno meno, cosa fa? Ogni bambino nasce col suo cestellino. Io di cestellini non ne ho mai visti. Ho visto solo pannolini stesi attraverso la sala da pranzo, pentolini sullo scrittoio di mia moglie, borotalco nella formaggiera, spille da balia in ogni luogo, e pietanze nauseabonde e ginocchia sbucciate e tossi asinine e notti insonni e ansie d'inferno e valanghe di straordinari. Ecco cosa ho visto io. Forse cominciate a farvi un'idea. Forse cominciate a capire com' che sono stufo come venti persone stufe. Com' che ho bisogno di rinforzarmi col bitter prima di tornare a casa. Com' che vedendo una ragazza come Floretta mi prende tanta nostalgia e tanta rabbia. Cominciate a capire, ma siete ancora lontani dalla realt. Dovete sapere che mia moglie non scrive pi poesie. Bene, direte voi: in tanto lutto, questo un passo avanti. Un momento, amici, un momento. Mia moglie non scrive pi poesie, ma scrive novelle, niente affatto ermetiche; e gliele stampano, pure. Su riviste a grande tiratura. E la gente le legge. Le legge la portinaia, le leggono le coinquiline, le leggono le ragazze del mio ufficio, le legge la maestra del mio primogenito, le leggono le mogli dei miei amici e anche quella del mio direttore. Le leggono e piangono. Le leggono e ridono. Le leggono e ne parlano. E se in una novella c' un marito infedele (si sa che nelle novelle i mariti infedeli ci sono sempre) eccomi guardato con sospetto da tutta la parentela e da tutto il circondario. Le coinquiline abbassano gli angoli della bocca al mio apparire, la portinaia brontola tra i denti alle mie spalle, le mogli degli amici mi fanno fare meste e severe prediche dai consorti, il mio direttore mi fa capire che i libertini difficilmente fanno carriera in una banca seria. E poi ci sono le lettere. Montagne di lettere. Non contente di leggere, di ridere, di piangere e di parlare, le ammiratrici di mia moglie le scrivono lettere. Lei le legge con gli occhiali appannati dal godimento, sorride come dieci persone che sorridono e poi le mette nel primo posto che le capita. Qualsiasi cassetto apriate in casa mia, potete essere certi di trovarci almeno una spilla da balia e almeno una lettera d'ammiratrice. Le migliori invece

le attacca sul muro del soggiorno-pranzo-nursery-studio con una puntina da disegno, e ogni tanto le rilegge, sentendosi acutamente Dante Alighieri, mentre i figli si azzannano e l'arrosto brucia. E io? Oh, io sono un elemento trascurabile. Buono solo a sgridare i figli (lei non li sgrida neanche per sbaglio) e a fare il travet. lo che... Cribbio, le otto! Chiss cosa dir Minni. Grazioso nome, Minni, vero? Fa pensare a un piccolo topo femmina. Questo non significa affatto che mia moglie sia un piccolo topo femmina, e neanche che sia graziosa. Infatti io non la chiamo mai Minni. La chiamo Moglie, oppure Dante Alighieri, oppure Quattrocchi oppure Tu, a seconda dei casi. Ma com' tardi! A quest'ora sar di sicuro in pensiero. Io esco d'ufficio alle sei e mezza, e adesso sono... Ma com' che ho fatto cos tardi? Sar meglio che corra. Entro come una palla di cannone. Chiss perch, quando torno a casa ho sempre paura che sia successo qualche cosa. Ma gi dall'anticamera posso vedere che non successo niente. Tutto normale. Sul pavimento, proprio davanti alla porta, c' il figlio maschio primogenito disteso sul dorso, con le gambe ad angolo retto e un giornalino appoggiato alle ginocchia nere. Ciao dice, senza guardarmi. E scroscia in una risata apocalittica per qualcosa che sta sul giornalino. Dicono che i figli maschi matrizzano. In casa mia a buon conto matrizzano tutti, maschi e femmine. Direi che anche le colf a mezzo servizio matrizzano. anche le pi esperte, avvedute e intelligenti delle colf a mezzo servizio, dopo la prima mattina passata in casa nostra, vengono travolte da uno sconfinato, frenetico, incondizionato amore per mia moglie, che esprimono sottoponendole complicati problemi sentimentali e logistici, piangendo come vitelli sulle sue novelle, offrendole continuamente succhi d'arancio e pastiglie antinevralgiche e chiedendole continuamente se ha bisogno di qualcosa, di cui non ha bisogno. Altro, ch'io sappia, non fanno. Oh, poverine, dice mia moglie, mi fanno tanta piet. Mia moglie ha sempre piet di tutti - fuorch di me, si capisce. Procedendo nel corridoio tra tricicli zoppi e automobiline rovesciate come scarafaggi agonizzanti, mi imbatto in una figlia femmina, lunga una spanna e larga due, con un paio di mutandine rosse alla rovescia e il bavaglino di qualcun altro che le arriva dal collo ai piedi. Ha un principio di virgola per naso e quattro principi di virgola per capelli. Gianna butta mi informa. Uh, butta Gianna. Gianna sarebbe lei, se i conti tornano. Ma mi stupisce che si dichiari brutta. un tipo molto vanitoso, di solito.

Perch? le chiedo insospettito. Le donne di casa mia mi insospettiscono sempre. Gianna scium mi spiega. Mamma sciuuuum! Ve l'ho detto che matrizzano tutti. Tutti ermetici. Mamma scium: mah! Forse un primo tentativo poetico. Rinuncio a interpretarlo e tiro avanti, chiedendomi che cosa trover nel cosiddetto soggiorno. Ci trovo il solito. Mia moglie seduta nel suo angolo, davanti allo scrittoio, e scrive a macchina come dieci persone che scrivono a macchina. Ha un fazzoletto verde messo di sbieco sulla testa, due batuffoli di cotone nelle orecchie, un paio di enormi pantaloni da sci sulle gambe, una figlia femmina media seduta sui piedi e un figlio maschio medio che le spara proiettili di gomma nella schiena, con ritmica ferocia. Tutto normale. Il perch del fazzoletto in testa chiaro: emicrania. Tutti gli scrittori hanno sempre l'emicrania, se volete saperlo. Se poi si mettano tutti il fazzoletto in testa, questo non lo so, ma non ha importanza. In quanto ai batuffoli nelle orecchie, sono isolanti acustici (i miei anti-bell, li chiama lei), ossia servono ad attutire i rumori. Col risultato che i figli, per attirare la sua attenzione, urlano come dieci persone che urlano, oppure la tirano violentemente per il gomito finch lei si toglie i batuffoli, ascolta, risolve, commenta, elogia, si rimette i batuffoli, riacchiappa il filo, salvo poi togliere rimettere e riacchiappare altre venti volte in un'ora - con evidente risparmio di tempo e di fatica. Non chiedetemi poi perch, nel mese di luglio, mia moglie si mette i calzoni da sci per scrivere una novella, perch non lo so. Sono cose troppo profonde per il mio cervello di povero impiegato. Lei dice che quei calzoni - quelli e solo quelli - le menano buono. Che sono magnetici e attirano l'ispirazione. "Dove sono le mie calamite?" dice quando deve mettersi a scrivere. "Chi ha visto le mie calamite?" E tutta la famiglia in giro a cercare le calamite, che, come ogni altra cosa in questa casa, non sono mai dove dovrebbero essere. Trovate le calamite, lei se le infila, e un capolavoro assicurato. Forse anche Dante, quando scriveva l' Inferno, si metteva i calzoni da sci. Ciao mi dicono distrattamente i due figli medi, continuando le operazioni loro. Intanto il figlio maschio grande sta strisciando verso di noi a pancia in gi, senza smettere di leggere, e la figlia femmina piccola, che mi ha inseguito, sta tentando di allacciare il bavaglino al mio ginocchio. Pappa, gnocchio lo esorta. Bavo gnocchio pappa. Ma io non guardo loro. Guardo lei. Gli occhiali enormi le nascondono mezza faccia, e il suo naso, visto di profilo, pi che mai simile a una virgola. cos che mi frega. Sento

aleggiare intorno a me qualcosa che assomiglia pericolosamente a quella famosa nuvola, e faccio un passo avanti. Non mi ha sentito arrivare, per via dei batuffoli. Le metto una mano sulla spalla, e lei fa un salto di mezzo metro. Mi guarda come se non riuscisse a mettermi a fuoco, e quando infine ci riesce, si porta una mano alla fronte: Non dirmi che gi l'ora di cena!. Ecco il grido del cuore. Le altre mogli attendono il marito agghindate e trepidanti, spiando l'orologio e torcendosi le mani, e quando arriva gli corrono incontro col cuore negli occhi. Anche quelle belle. Anche quelle delle sue novelle. E lei, ecco qua. Il suo giovane, prestante marito torna stanco dal lavoro, schiacciato sotto i sacrifici e la fatica e le colluttazioni tramviarie e i direttori deficienti, lei lo guarda e cosa dice? Non dirmi che gi l'ora di cena! Ecco cosa dice. Dante Alighieri ha parlato. Non c' pi traccia di nuvola. Davanti a me c' una tizia con degli orrendi occhiali e degli orrendi calzoni e un orrendo fazzoletto in testa, un mostriciattolo demente a cui ho sacrificato, sa Dio perch, i dieci migliori anni della mia vita, per averne in compenso arrosti bruciacchiati e spille da balia dappertutto. lo che avrei potuto avere ai miei piedi legioni di bionde e di tribunali, io che ancora adesso non avrei che da tendere un dito per... Immagino che dovr andare in cucina sospira lei, guardando la macchina da scrivere come l'esiliato guarda le coste natie. La finir dopo. La novella, oggetto sottinteso. Che siano le otto e che io sia affamato come dieci persone affamate e che i figli siano sporchi come duecento figli sporchi e che non ci sia niente di pronto, non la disturba minimamente. Quello che la disturba che non pu finire la sua novella cretina. Guardate, meglio che sto zitto. Qualsiasi cosa dicessi in questo momento, non sarebbe adatta alle orecchie dell'infanzia. Oh, ma non finir cos, rimugino intanto che aspetto il pranzo. Per quattro stracci di novelle che scrive, crede di potermi trattare come un... oggetto? Che se poi non ci fossi io a rileggergliele e a criticargliele e a correggere tutti i suoi dannati errori di macchina, s che gliele pubblicherebbero. Pff! Oh, ma non finir cos. Le far vedere io. Io che... Il pranzo pronto in meno di mezz'ora; in compenso schifoso, com' normale che sia. Il primo figlio maschio mangia tenendo il giornaletto appoggiato al bicchiere, la prima figlia femmina mangia con la sinistra per poter disegnare bestie surrealiste con la destra, il figlio maschio piccolo spara senza tregua, la figlia femmina piccola d da mangiare a tutto, al mio braccio, al braccio di sua madre, alle dieci bestie di pelo sistemate in

ordine sparso sul tavolo, alle bottiglie, ai tovaglioli, ai bicchieri. Pappa bicche, bavo bicche pappa. La madre si rosicchia un'unghia e guarda tutti da infinite distanze. Io guardo lei, e a un tratto m'accorgo che ha capelli, camicetta e perfino una parte dei calzoni zuppi d'acqua. Dio del cielo, cos'avr fatto stavolta ? Devo aver parlato forte, perch lei torna dalle infinite distanze per rispondere. Ah s, sono cascata nella vasca spiega distrattamente. In cosa? chiedo. Ma s, nella vasca, sei sordo? Avevo fatto venire su i ragazzi di sotto a giocare (pure quelli, capito?) e stavamo facendo andare la barca di Giorgio nella vasca, soffiando tutti insieme per fare il tifone, e questa qui ha voluto arrampicarsi per fare il tifone anche lei, pfff Gianna, bava Gianna pfff, e dentro a testa in gi. I figli tripudiano al ricordo, e lei conclude: Mentre la ripescavo, questo qui mi ha dato una spinta, io sono scivolata, e dentro fin qua. Gianna scium, mamma scium. Capito. Tutto normale. Non potevi cambiarti, almeno? Cambiarmi! dice, indignata. Con la novella da finire? Non avevo tempo. Questa mia moglie. Passa le ore a fare il tifone coi ragazzini e a cascare nelle vasche, ma non ha cinque minuti per asciugarsi e cambiarsi la camicetta. Gianna tutta asciutta, per: dalle scarpe ai calzoncini a quei quattro peli che ha in testa. Per lei ha avuto tempo. Sento arrivare da qualche parte un altro maledetto presagio di nuvola, e per scansarla mi alzo e vado a fingere di leggere il giornale sulla poltrona, stringendo coi denti la mia arrabbiatura e le mie molteplici amarezze.. Dietro di me si incrociano i discorsi ermetici dei figli, inframmezzati dai sinistri tintinnii e i paurosi scrosci che equivalgono a mia moglie che sparecchia la tavola. Che caldo! dice intanto, vagamente. Ma i calzoni da sci non se li toglie, per pericolo che le scappi magari l'ispirazione per dopo. Dio che caldo. Gianna non mangiare il coltello, cosa dice la mamma del coltello, se tu lo mangi? Cosa, Giorgio? Come, Marina? Eh? Chi? Cosa? Dove? Non sparare alla lampadina, Momo, come, Marina-Giorgio? Chi? Cosa? Uno alla volta per piacere... Eh? Come? O Dio Dio che caldo. Un ultimo scroscio, pi lontano, m'informa che mia moglie si trasferita in cucina. Ma non per molto (lei i piatti li lava alle due di notte, oppure mai). Un'altra serie di Eh? cosa? chi? come? uno alla volta per piacere, o Dio che

caldo ne annuncia il ritorno. Eccola qui, piccolissima e allucinata, col suo orrendo fazzoletto in testa. Pare un pirata dopo tre giorni di digiuno. Mi guarda. La guardo. L'aria che sta tra noi si potrebbe tagliare col coltello. Ehi dice. lo torno a guardare il giornale. Se crede di mettere tutto a posto con un ehi. Ehi tu insiste. Rialzo gli occhi. Nello spazio libero tra gli occhiali e le virgole comparsa una fossetta. Adesso si toglie gli occhiali, penso, e stringo le mani sui braccioli, deciso a resistere. Non si toglie gli occhiali. Non si sogna neanche. Estrae una mano da dietro la schiena, e nella mano ci sono dei fogli scritti a macchina. Se vuoi leggere la mia novella dice, magnanima. Ecco cosa dice. Durante innumerevoli e piuttosto vivaci discussioni, ho avuto modo di esternare a mia moglie il mio virile disprezzo per le novelle in generale e per le sue in particolare; per se lei spedisse una novella senza farmela leggere prima, mi offenderei a morte, e lei lo sa, e io so che lei lo sa. Di colpo la odio ferocemente, atrocemente, indiscriminatamente. Mi alzo, adagio, e mi pare di ingrossarmi via via come fanno le valanghe. L'aria mi fischia intorno. Me ne frego delle tue novelle! urlo come dieci persone che urlano. Tra i fischi d'aria, sento la voce deliziata di Gianna: Pap ghida. Uh, ghida pap! e vedo mia moglie chinarsi a raccogliere qualcosa che non caduto.. Ride... ride di me, capito? lei che se ne frega! Sento che potrei commettere un uxoricidio. Forse non hai compreso bene dico scrollandole quello stecco di braccio che si ritrova. Ho detto sul serio. Me ne frego delle tue novelle da serve e me ne strafrego di te, mentecatta, pirata mal riuscito! Lei strappa via il braccio. E allora vattene! dice, vibrando un pugno nell'aria. Tu e il tuo naso greco e le tue spalle d'atleta e il tuo cervello da g-gallinaceo! Buono solo a criticare e a dire parolacce! Per quel che mi servi! Io me la cavo benissimo da sola. Vai, vai, cosa aspetti ? Niente dico. Non aspetto niente. Vado. E sbatto la porta, anche. Pap pum. L'ha detto lei, no? Vattene, ha detto. Per quel che mi servi, ha detto. Col tuo naso greco e il tuo cervello da gallinaceo. L'ha detto lei. La donna liberata. Me la cavo benissimo da sola, ha detto. E dunque giusto, no? Che io sia qui al bar di Floretta. i Visto che a mia

moglie non servo. Io che ho rinunciato per lei alla professione e alle morbide bionde, io che faccio il travet da anni per uno sgorbio con gli occhiali e quattro sgorbietti senza occhiali, tutti mentecatti. Cosa mai pu servire, un travet come me, a una che attira l'ispirazione coi calzoni magnetici, tra ghirlande d'ovazioni attaccate al muro con le puntine? Niente, si capisce. Caso vuole che a qualcun'altra io possa servire. Caso vuole che le mie spalle e il mio naso possano far sbattere le ciglia a bionde ventiduenni formose, caso vuole. Date un'occhiata alla cassa, e dite voi se Floretta non sbatte le ciglia. Visto? Non ho che da tendere una mano. E state pur certi che stavolta la tendo. Oh, se la tendo. Il bar mezzo vuoto, a quest'ora: fatemi finire di bere il mio cognac, tanto manca ancora un quarto alle dieci, e poi state a vedere. Guardi la Floretta mi sussurra confidenzialmente il barista. Ci dia solo un'occhiata, signore. Le d un'occhiata. Non solo sbatte gli occhi. Ma se li asciuga con un fazzoletto - badando bene a non compromettere il trucco - e si soffia pure il naso. Sempre cos sogghigna il barista toccandosi la fronte con l'indice. Quando legge quella roba l ci fa sempre su un piantino. Cos'? chiedo. La pagina dei necrologi? Peggio dice. Sono novelle. Le novelle della Minni Liccioli, sa? Ohi, s' strozzato? Guardi in alto, dottore, che le passa. Guarda l'uccellino, mi diceva mia mamma quando mi strozzavo. Guardi l'uccellino, dottore... Mentre tossisco e guardo l'uccellino, Floretta finisce di leggere, si soffia un 'altra volta il naso, mette via il giornale e viene, muovendo i fianchi, verso di me. Siede sullo sgabello vicino al mio, accavalla le gambe, mi guarda, e io smetto di guardare l'uccellino. Avevo quasi dimenticato come fossero le ragazze di vent'anni quando sono belle. Vent'anni... Per questo piange sulle novelle di quella l. Bisogna perdonarle. Piangi pure, Floretta, va'. Basta che non piangi quando sei con me. Non piange, infatti. Mi sorride come dieci ragazze bionde che sorridono, e si carezza gli occhi con le ciglia. Sei bella, Floretta. Fresca e profumata e smagliante come la mia giovinezza - e molto pi vicina. ora di tendere quella mano. una bellissima sera dico. Questi inizi originali sono l'ideale per le morbide bionde. Le va di fare quattro passi con me?

Il barista tossicchia. Oh, sicuro! dice lei. Volentieri. Volentieri da matti. L. Seduta sul mio palmo. Non c' che stringere e portar via. Andiamo dico, aiutandola galantemente a scendere dallo sgabello. Il barista tossicchia di nuovo. Io le prendo il braccio, e non ho pi di ventitre anni, non ho mai avuto mogli n figli, n direttori deficienti n esaurimenti nervosi. Sono un bel giovanotto senza passato che cammina per le tiepide, libere strade della sera con una bionda profumata al braccio. Il suo gomito non punge. tondo e liscio e fa nostalgia. Avevo dimenticato che effetto facessero i gomiti delle ragazze di vent'anni. un bell'effetto. Malinconico e stimolante e bello. Non parlare, Floretta. Ma lei parla. tanto che volevo chiederglielo dice. Ma non avevo mai il coraggio. Chiedermi cosa? chiedo, stringendo il gomito tondo. Di sua moglie dice. Non potrebbe farmi avere una fotografia di sua moglie? Oh, NO! Signore no, non pu essere. Il troppo stroppia, Signore. Come sa che sono il marito di mia moglie? dico lugubremente. Me l'ha detto una mia amica, che conosce la sorella di una sua coinquilina; era al bar la prima volta che lei c' venuto, la settimana scorsa, e cos mi ha detto: "Vedi quello l col naso schiacciato? il marito della Minni Liccioli". "Ma nooo" faccio io. "S" fa lei. "Proprio lui. Parola" Cos l'ho saputo. Capito. Occhi languidi, voci amorose, sorrisi smaglianti, mica per me, ma per il marito di mia moglie. Della scrittrice demente. Capito. Uno tende una mano credendo di trovarci dentro una ragazza in languore, e ci trova un'ammiratrice della moglie. Che gli fa sapere che ha il naso schiacciato. E gli chiede una fotografia. Della moglie. Capito. Capito tutto. Un momento fa, su questo marciapiede, c'era un bel giovanotto col naso greco e il fascino prorompente, adesso c' un ammasso di macerie. Siccome le macerie non parlano, parla di nuovo lei. Io la terrei con cura: la foto, dico. La metterei in una bella cornice e l'attaccherei sopra la cassa. La fotografia con gli occhiali sopra la cassa di Floretta. Dio dei cretini, guarda gi. Io le ho anche scritto, a sua moglie continua.

Forse sta appesa al muro con la puntina, la lettera di Floretta. Due volte, le ho scritto. La prima volta non mi ha risposto. (Allora avr perso la lettera. Forse sar nella cesta della biancheria. O nel frigorifero.) Ma io ho continuato a volerle bene lo stesso. Ci faccio un tifo da matti, sa? Lo dico sempre a tutti: la Minni Liccioli fantastica, dico. Non ce n' un'altra al mondo come lei. (Questo puoi dirlo, sogghigno amaramente tra me.) strano, ma lo so. E di colpo mi sento paurosamente arrabbiato, e paurosamente orgoglioso, e paurosamente triste. Cos le ho scritto un'altra voltadice Floretta. E lei mi ha risposto! Un bigliettino tanto carino, lo tengo sempre nella borsetta, guardi.... La piccola, sbilenca grafia di mia moglie. Cos nota... Le sue vecchie lettere d'amore. Buffe come venti lettere buffe, e cos vive, cos sue e cos mie. Via, sci! Per la fotografia non me l'ha voluta mandare continua Floretta riponendo religiosamente il bigliettino. Dice che non ce l'ha aggiunge dubbiosa. Ma vero. Quelle poche istantanee che riusciamo a fare con lo scassone fotografico di famiglia sono tutte dedicate ai figli o a me. Voi siete belli, dice lei. O Quattrocchi. Non sono bello. Sono un tizio col naso schiacciato e le pigne in testa. Perch mi hai sposato? E cos ho pensato di chiederla a lei, la foto dice Floretta Lei me la dar, vero? Con l'autografo. Vede, a me non m'importa anche se sua moglie un po' brutta, io... Brutta! dico. Chiss cosa crede di essere questa qui, perch ha ventidue anni e i gomiti rotondi. Chi le ha detto che mia moglie brutta? No no, nessuno dice spaventata. solo che... siccome non voleva mandarmi la fotografia... ho pensato che forse... Non pensare, ragazza, non pensare. Il pensiero non ti si addice. Brutta mia moglie! Adesso sta a sentire me, ragazza; Mia moglie comincio. Devo aver parlato per un pezzo, ho la gola secca. Secca e chiusa. E li, nell'aria tiepida, tra le luci al neon e la gente che cammina e le voci della sera, c' mia moglie, nata dalla mia voce, viva e buffa, come se fosse davvero qua e io la vedessi davvero. Coi suoi occhiali e le sue virgole e il suo disordine e i suoi nervi e la sua allegria. Con le sue poesie dimenticate in un cassetto e le sue novelle che fanno ridere e piangere le Florette, coi suoi orribili arrosti e i suoi bucati calamitosi e la sua fatica e i suoi bambini

sporchi e felici. Coi suoi calzoni magnetici e i suoi batuffoli nelle orecchie e le sue occhiaie e la sua emicrania e le sue risate e i suoi giochi. Col suo piccolo corpo indomito e il suo cuore grande come una casa. Una grande casa disordinata e coraggiosa e allegra. La mia casa. Quattrocchi, fammi entrare. Lei deve amarla da matti dice una voce vicino a me. Cosa fa questa tizia qui coi capelli gialli? Questa bambolotta senza sugo? Mi ha fatto venire il magone dice. E ce l'ha. Non una bambolotta, Floretta, una ragazza che vuol bene a mia moglie. Sei simpatica, Floretta. Un po' fissata, ma simpatica. Mi far avere quella fotografia? prega, asciugandosi l'angolo dell'occhio. Sicuro, le far tante e tante fotografie, una pi bella dell'altra, e poi te ne dar una, Floretta. Da mettere sopra la cassa. Pu contarci le dico. Oh, grazie! dice. Con l'autografo? Con l'autografo dico. E poi un giorno o l'altro le porter mia moglie di persona da vedere. Va bene? Davvero? dice. O mamma, che gentile! Gentile da matti. Davvero me la porter? Me lo promette? S, s, prometto. Ma adesso vado a casa. La macchina da scrivere tace. La stanza dei figli tace. Le luci sono spente. La trovo in camera nostra, raggomitolata su una sedia, che si rosicchia un'unghia. Mamma mia, si messa gli occhiali di lusso. E un vestito da donna, tutto pimpante, che le sta da cane. Ha l'aria di essere stanca morta. Dentro di me si scatena una selvaggia ondata di rabbia e ilarit e gratitudine, e vorrei farne qualcosa che lei potesse sempre vedere coi suoi quattrocchi, sempre toccare coi suoi ragnetti sporchi d'inchiostro, e sapere. Sempre. Un poema, vorrei farne. Un poema d'amore per mia moglie. Ehi dico. Questo il poema. Ehi dice. Si alza e sporge le mani come un bambino sperduto: Non tornavi mai.:. In queste tre parole c' tutto quello che avevo bisogno di sentire. Apro le braccia e lei ci viene dentro, col suo piccolo corpo e il suo cuore grande come una casa. La tengo contro di me, dentro la vecchia nuvola, a riposarsi. Dove sei stato? chiede assonnata, con la faccia nel cavo del mio braccio.

Da una ragazza dico. Un occhio nerissimo guizza dietro gli occhiali, poi si richiude. Com'era? chiede, ma senza pi sonno. Le racconto di Floretta. Sguardi languidi, sorrisi, nostalgie, lusinghe, e quando arrivo alla scena madre ("Mi pu far avere una foto di sua moglie?") lei spalanca due occhi pi grandi degli occhiali e poi si butta a rotolarsi sul letto, ridendo come dieci persone che ridono. Cos mi rotolo anch'io, e siamo venti. Infine la tengo ferma per i capelli. Che figura mi dice. Ci far su una novella. Capace di farlo sul serio. Capace di infilarsi le calamite e correre a scriverla seduta stante. E io di arrabbiarmi come dieci persone che si arrabbiano. Capacissimi. Mentre stringo tra le mani quel suo pezzetto di faccia, so che domani sar tutto d nuovo come oggi e come dieci anni fa e come tra vent'anni: la stanchezza e i litigi e l'allegria e la fatica e i figli e noi. Ciao, Dante dico. Ciao, Attleta sospira. E si toglie gli occhiali.

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