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Lucrezio

Inno a Venere
O genitrice degli Eneadi, godimento degli uomini e degli dei,
divina Venere, che sotto i segni mutevoli del cielo
il mare che sostiene le navi e le terre che producono i raccolti
vivifichi, perché grazie a te ogni genere di viventi
viene concepito e giunge a visitare, una volta nato, i lumi del sole:
te, dea, te fuggono i venti, te le nubi del cielo
e il tuo arrivo, sotto di te la terra operosa soavi
fiori distende, a te sorridono le distese del mare
e, rasserenato, il cielo risplende di luce diffusa.
Infatti non appena si è manifestato l'aspetto primaverile del giorno
e, dischiusasi, prende vigore l'aura generatrice di favonio,
prima di tutto gli uccelli dell'aria te, o dea, e il tuo
ingresso segnalano, risvegliàti nei cuori dalla tua forza.
Quindi fiere le greggi balzano attraverso i pascoli rigogliosi
e attraversano a nuoto i fiumi vorticosi: a tal punto, colto dalla bellezza,
ciascuno ti segue con desiderio dove ti accingi a condurlo.
Infine per mari e monti e fiumi impetuosi
e frondose case di uccelli e campagne verdeggianti
in tutti infondendo nei petti un dolce amore
fai sì che con desiderio, genere per genere, propaghino le specie.

Elogio di Epicuro
Quando la vita umana sotto gli sguardi turpemente giaceva
nel mondo schiacciata sotto la superstizione oppressiva
che mostrava la testa dalle regioni del cielo
incalzando dall'alto i mortali col suo orribile aspetto,
per la prima volta un uomo greco osò sollevare contro
gli occhi mortali e per primo resistere contro,
lui che né la fama degli dei né i fulmini né col minaccioso
mormorio il cielo trattennero, ma ancor più la forte
capacità del suo animo stimolarono a desiderare
di spezzare per primo i chiostri serrati delle porte della natura.
Quindi la vivace capacità della sua mente stravinse, e oltre
le mura infuocate dell'universo lontano si spinse
e tutta l'immensità percorse con la mente e con l'animo,
donde ci riferisce, da vincitore, che cosa possa nascere,
che cosa non possa, e infine con quale criterio per ogni essere
ci sia una possibilità definita e un limite profondamente connaturato.
Perciò la superstizione a sua volta gettata sotto ai piedi
viene calpestata, la vittoria ci innalza al cielo.

Il sacrificio di Ifigenia
In queste situazioni temo quello, che tu per caso pensi di introdurti nei principi empi di una
dottrina e di intraprendere la strada del delitto. Al contrario troppo spesso quella superstizione ha
dato luogo ad azioni scellerate ed empie. In questo modo in Aulide i capi scelti dei Danai, fior fiore
degli eroi, macchiarono orribilmente l’altare della vergine Trivia con il sangue di Ifigenia. E non
appena a costei la benda posta intorno alle chiome verginali scese da una parte e dall’altra delle
guance allo stesso modo e non appena si accorse che il padre triste stava davanti agli altari e che
presso costui i sacerdoti nascondevano la spada e che i cittadini alla sua vista piangevano, muta per
la paura caduta sulle ginocchia cercava la terra. E non poteva giovare a lei infelice in una
situazione del genere il fatto di aver donato per prima il nome di padre al re; infatti, fu sollevata
dalle mani degli uomini e fu condotta tremante verso gli altari, non perché potesse
essere accompagnata in un luminoso imeneo, dopo aver compiuto il rito solenne secondo le
tradizioni, ma pura impuramente nel momento stesso delle nozze cadesse a terra come triste
vittima, per il colpo del padre, affinché fosse data una partenza fortunata e favorevole alla flotta. A
così grandi mali la superstizione poté indurre.

Non bisogna temere la morte


Niente è dunque la morte per noi e non ci riguarda per niente, giacché la natura dell’animo deve
ritenersi mortale. Come nel tempo passato non abbiamo sentito dolore, per il fatto che i Cartaginesi
sono venuti da ogni parte all’assalto, e tutte le cose, scosse dal tumulto di guerra, hanno vibrato
d’orrore e tremato sotto la volta del cielo, essendo in dubbio sotto quale dominio sarebbero caduti
tutti gli uomini in terra e in mare, così, quando non ci saremo, quando avverrà la scissione del
corpo e dell’anima di cui siamo insieme formati, è certo che a noi, che non ci saremo, niente potrà
accadere e stimolare i nostri sensi, neanche se la terra si mescolasse al mare e il mare al cielo4 .
Anche se la natura dell’animo e la facoltà dell’anima dovessero sentire qualcosa una volta separate
dal corpo, a noi tuttavia niente importerebbe, perché noi siamo formati insieme di corpo e anima.
Anche se il tempo raccogliesse la nostra materia dopo la morte e la riportasse allo stato di ora, e ci
fosse ridata la luce dell’esistenza, neppure questo ci riguarderebbe in qualche modo, una volta che
sia interrotta la nostra memoria. Niente ci importa di noi stessi come eravamo, nessuna
preoccupazione ci affligge per questo. Se ti volgi a considerare l’immenso spazio del tempo
trascorso, e quanto vari siano i moti della materia, puoi credere facilmente che gli stessi semi da cui
siamo costituiti siano stati disposti in passato nello stesso ordine attuale.

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