Sei sulla pagina 1di 3

“ MALAMORE”

Note di regia

L’idea dello spettacolo nasce dalla mia lettura del testo di Concita De Gregorio
“Malamore. Esercizi di resistenza al dolore” edito da Mondadori Editore nel 2008.
Il libro è una raccolta di storie di donne, dei loro uomini e della violenza nelle relazioni.

La capacità di Concita De Gregorio, giornalista e scrittrice di comprovata fama


nazionale, di descrivere queste storie facendole vivere intensamente, mi ha attratta
subito. Il suo è un libro che si divora, come la violenza divora le storie d’amore che le
protagoniste raccontano.
Queste donne con le loro storie mi sono entrate subito dentro, e la cosa curiosa è stata
che, qualunque donna a cui io abbia fatto leggere questo libro, ci si è ritrovata, per
intero, per metà o per una piccola parte. Ogni donna con la relativa storia che veniva
descritta ci riguardava. Tutte. Senza distinzione di età, provenienza geografica, religione.
La violenza sulle donne in questo sembra essere altamente democratica.
Tutte indistintamente abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significa cercare di
addomesticare la violenza, la violenza degli uomini. Chi di noi donne non ha mai dovuto
fare i conti con la violenza verbale, con l’aggressività, con la svalorizzazione e
l’umiliazione nelle proprie relazioni con gli uomini? E quante hanno esperito anche la
violenza fisica, la violenza sessuale, e talune, le più sfortunate, anche la morte per mano
di un uomo?

E che cosa fanno le donne quando vengono a contatto con la violenza?


Perchè migliaia, milioni di donne, anziché sottrarsi (quando possono) vivono ogni
giorno sul crinale di un baratro, ci passeggiano in equilibrio, quasi a dimostrare a se
stesse, che loro sì, loro ce la faranno ad addomesticare la violenza dei propri uomini?

Ecco, è proprio questa specie di delirio di onnipotenza femminile di riuscire ad


addomesticare la violenza che è il cardine della ricerca della De Gregorio, e la ricerca
che ciascuna donna dovrebbe fare con se stessa.

Cosa ci porta a non respingere, ma anzi a passar sopra e a convivere con la violenza?
Perchè sopporta, chi sopporta, e come fa?

Sembra quasi si sia accettata l’idea che ci sia un prezzo alto da pagare per essere amate,
tale da accettare forme di violenza come un antidoto contro la solitudine. Oppure che ci
sia una sorta di penitenza da accettare per il solo fatto di essere nate donne, in una
società ancora maschilista e patriarcale, che fa della prevaricazione e della superiorità
maschile il suo cardine. Ogni donna lo può capire ripensando alla propria storia.
Ripercorrendo le tappe della propria crescita, andando ad identificare l’abitudine appresa
fin da bambina a sopportare il dolore inflitto da ogni forma di violenza. Cresciamo
respirando dalle storie delle nostre madri, delle nostre nonne, questa inclinazione alla
sopportazione della violenza maschile. Apprendiamo attraverso il latte materno ad essere
brave negli esercizi di resistenza al dolore.

STRUTTURA SPETTACOLO

Lo spettacolo è strutturato come un insieme di monologhi, di donne estremamente


diverse tra loro, in termini di età, condizione sociale e provenienza geografica, che
raccontano la loro storia.
Sulla scena nove donne, nove esperienze diverse accomunate dalla necessità di liberarsi
della coercizione maschile: un giogo culturale, retaggio di una consuetudine che vuole la
donna inferiore.

Nello specifico:
Emma ovvero l’origine della disuguaglianza tra uomo e donna all’interno del nucleo
familiare, ovvero la mala educación;
Elena e la sua paura di volare via da una relazione opprimente e violenta;
Vittoria il ministro donna e l’autolesionismo come risposta ad un’insicurezza di fondo
nella gestione del potere in un universo in cui esso è accettato solo nelle forme maschili;
Cristina e il tentativo di riabilitare il meretricio con la presunzione di avere in questo
modo il potere sul maschio;
Dalia ovvero lo sfruttamento della donna nella prostituzione;
La rateta la storia, in chiave fiabesca, della presunzione femminile che tutto pensa di
poter cambiare, persino la violenza in un uomo;
Franca e la sua storia di aborto, forzato dalle leggi non scritte di un mondo del lavoro
disumano;
Il Dolore di noi tutte e la sua capacità di sopportazione;
Eva e la sua ricerca di parità, come fonte di ricchezza in uno scambio autentico con
l’uomo.

Nonostante l’importanza delle storie individuali raccontate, lo spettacolo inizia e finisce


con una scena di gruppo. Un gruppo omogeneo, che crea forza. Si parte dal gruppo, ci si
ritrova nel gruppo, si solidarizza con le singole storie, ma al gruppo si fa ritorno. Il
gruppo che impersona una, dieci, mille di noi, vittime di violenza. Il gruppo come forza
e come messaggio di solidarietà e desiderio di libertà. Il gruppo che vuole simboleggiare
la necessità di fare rete, di non vergognarsi e chiudersi, ma di fare della propria storia
una testimonianza politica per spezzare le catene della violenza.
La musica e le immagini (affidate all’ottimo lavoro di ricerca e montaggio di Alberto
Chinigò) sono le altre due protagoniste di questo spettacolo. Protagoniste sempre vive,
che evocano, sconvolgono, denunciano, illudono lo spettatore.

Per concludere, la spinta a voler trarre uno spettacolo da questo saggio nasce dalla mia
profonda convinzione che finché la violenza resterà relegata nelle nostre case
all’esperienza personale di ciascuna di noi, non avremo scampo.
La violenza contro le donne non è un fatto meramente privato e femminile. Ha una
connotazione culturale e politica di respiro e conseguenze estremamente più ampie delle
nostre mura familiari. Occorre discuterne, parlarne tra uomini e donne. Ecco perché uno
spettacolo di donne che parla alle donne e agli uomini tutti. Uno spettacolo però che
non vuole essere una carrellata di storie di vittime della violenza, né un banale attacco
all’aggressività maschile, ma vuole chiedere alle donne e agli uomini di assumersi la
responsabilita’ di riconoscersi e accettarsi come esseri uguali, o meglio diseguali: diversi
ma uguali.

Oslo 03.10.2021 Paola Fulci

Potrebbero piacerti anche