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1Barcone sugli scogli, tragedia sfiorata

a Lampedusa
E’ ancora buio fitto a Lampedusa quando, poco prima delle quattro di notte, si sentono delle grida
provenire da Cala Francese, alle spalle del porto commerciale. Prima sono grida flebili, poi si
sentono le richieste di aiuto dalle centinaia di profughi stipati su un barcone in legno. C’è chi dice
che sono almeno 450, forse 500. Alla fine, quello che doveva essere l’ennesimo sbarco di routine,
ha rischiato di trasformarsi in una tragedia dalle proporzioni inimmaginabili.
 Poco prima di entrare in porto, dove il barcone era già atteso dagli uomini della Guardia costiera,
della Finanza e Polizia, per le solite operazioni, la carretta del mare ha rotto il timone e ha
proseguito il suo viaggio verso Cala Francese, proprio ai piedi del monumento dedicato ai tanti
migranti morti in mare.
Così, in pochi secondi l’imbarcazione è rimasta incastrata tra gli scogli con il mare molto mosso,
rischiando di capovolgersi da un momento all’altro. Immediatamente i soccorritori sono arrivati sul
posto e la scena che si sono trovati davanti è stata apocalittica.
Centinaia di profughi, tra cui donne e bambini, attaccati al barcone, con il terrore negli occhi,
pronti a gettarsi in acqua per paura che la vecchia imbarcazione affondasse. ”Servono luci, fari,
presto!”, inizia a sgolarsi un finanziere.
Alcuni profughi sono già in acqua e rischiano di annegare, anche ad altezza d’uomo. Ma le onde
sono alte e impediscono di salire sugli scogli. E’ il panico. I ragazzi della Guardia di Finanza si
organizzano in pochissimi minuti e mentre due di loro raggiungono la barca, mettendo a rischio la
propria vita, altri organizzano una sorta di catena umana con una cima.
Ma è troppo buio e non si vede assolutamente nulla. Si sentono solo le grida, da fare gelare il
sangue, delle centinaia di africani che hanno paura. La barca ondeggia più volte. Sta per
abbattersi da un lato anche per le oscillazioni dovute ai migranti che si sono portati solo da un lato.
Una donna di colore cade in acqua e viene tratta in salvo dopo pochi istanti, ma appena arriva sugli
scogli inizia a gridare: ”Where is my baby, where i my baby, please?”. Vuole sapere dove è il suo
bambino di quattro mesi. I fari illuminano il mare, ma non c’è traccia del bambino. La donna si
accascia terra e continua a piangere, sommessamente, quasi come se non volesse disturbare le
operazioni di soccorso.
Poi accade il miracolo, un uomo indica un bambino sul barcone che sta per cadere in acqua e i
finanzieri si fiondano per recuperarlo. Sono minuti concitati. Tutti urlano, tutti cercano di dare una
mano per salvare il bambino che alla fine viene restituito sano e salvo alla sua mamma.
Molti profughi riescono a risalire sugli scogli grazie alla catena umana, ma a causa del buio non
vedono le falle d’acqua e qualcuno si ritrova con la faccia contusa, un altro si è rotto una gamba.
Un uomo guarda in faccia la sua soccorritrice e dice con un soffio di voce: “God bless you…”, cioè
‘Dio ti benedica’.
Una donna in avanzato stato di gravidanza sale sugli scogli e si tiene il pancione. Piange, grida,
forse perde sangue. Una soccorritrice le accarezza una mano e l’accompagna fino all’ambulanza.
Ma il barcone continua ad oscillare, fino a rischiare di capovolgersi. I finanzieri, i poliziotti, gli
uomini della Guardia costiera imprecano. Qualcuno si lascia andare: ”Qui avremo una tragedia!”.
Ma l’impegno di tutti riesce ad evitare il peggio. Il giovane tenente della Guardia di Finanza
Davide Miserendino non ci pensa su due volte e si getta in acqua, tutto vestito, per prendere dei
bambini caduto in mare. E’ bagnato fradicio, ma sembra non accorgersene. Si rigetta nel mare e
continua la sua opera di salvataggio. Cosi’ come il commissario di Polizia, Corrado Empoli, che
riesce a salvare diverse donne, tirandole su dagli scogli e bambini ancora piccoli. 
 Sono quasi le cinque del mattino, ma è ancora buio fuori. Nel frattempo sono arrivate due
motovedette di Guardia costiera e Guardia di Finanza che illuminano il barcone. Ma non basta. La
luce è troppo fioca. Non si vede nulla. Due barchette e un gommone fanno su e giù dalla carretta
per tentare di salvare almeno i bambini e le loro mamme.
Tra loro ci sono anche dei pescatori lampedusani arrivati appena è scattato l’allarme. Il barcone
ondeggia un’altra volta. Per una frazione di secondo c’è un silenzio irreale. Tutti guardano verso la
carretta e non fiatano.
Si sentono solo le grida di terrore dei profughi a bordo che temono di morire proprio a un passo dal
loro futuro. I profughi che riescono ad arrivare sugli scogli, bagnati fino al midollo, vengono
soccorsi con coperte termiche.
 Un ragazzo pakistano, Ismahil, faccia da intellettuale, con occhialetti da primo della classe,
chiede: ”Avete notizie di mio fratello? E’ caduto in acqua e si è ferito. Forse èmorto”. Deve
aspettare più di mezz’ora per sapere che sono escluse vittime e che forse è stato portato al
Poliambulatorio. ”Thank you very much”, dice con un sorriso che gli illumina il volto.
Rimangono solo pochi profughi sul barcone. Ormai il peggio è passato. Ma il mare è ancora
troppo agitato per cantare vittoria. Sono già le cinque e mezza e sta albeggiando, quando tocca ai
finanzieri alla Guardia costiera risalire sugli scogli per salvare la propria di vita, dopo avere salvato
quella di centinaia di migranti.
I profughi salgono sui pullman della “Lampedusaccoglienza”, molti sono ancora scossi. Ventidue
le donne incinte portate in ospedale. Quando tutto sembra finito, si scopre che su un’ambulanza
dove ci sono quattro bambini senza genitori. Uno ha pochi mesi, un altro poco meno di un anno e
due bambine di cinque-sei anni. I piccoli vengono portati all’Area marina protetta. Poco dopo le
mamme, terrorizzate, riabbracciano i loro figli dopo avere temuto per quasi due ore di averli persi.
Ormai è arrivata l’alba e la tragedia, per fortuna, si è soltanto sfiorata. E’ il maggiore Fabrizio
Pisanelli, della Guardia di Finanza di Lampedusa a spiegare che una motovedetta delle Fiamme
gialle ha raggiunto a una decina di miglia dall’isola la vecchia imbarcazione. ”Tre nostri finanzieri
esperti sono saliti sul barcone per governarlo fino all’arrivo a Lampedusa. Ma giunti in prossimità
del porto si è rotta la catena del timone e la barca è diventata ingovernabile. Il nostro finanziere ha
ingranato la marcia integrata per evitare di finire sugli scogli. Ma la barca si è incagliata e il mare
agitato ha fatto il resto.
”L’importante è poter affermare che siamo riusciti a salvare tutti i profughi sulla barca”, chiosa il
maggiore. Adesso si pensa ai problemi più pratici. ”Dove dobbiamo portare tutti questi
profughi?”, chiedono i soccorritori. Si ricomincia. In attesa del prossimo barcone. Ma una notte
così, in cui il confine tra la vita e la morte si è oltrepassato più volte, non si dimentica facilmente.

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