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CAPITOLO 1

Il Buon Pastore nella Scrittura

L’immagine del pastore e del gregge, come metafora e come simbologia, è frequente in tutta la
scrittura, fin dall’Antico Testamento.

Infatti essa è di tale potenza da suscitare, soprattutto nel mondo antico, suggestioni, ricordi
esperienziali, sensazioni, emozioni e riflessioni a non finire.

Anche la letteratura profana è ricchissima di generi, immagini, situazioni legate al mondo


pastorale: esso è infatti, per definizione, il luogo della vera pace, della shalom, la dimensione in cui
l’uomo, con la propria attività, è perfettamente inserito e in armonia con tutta la creazione. Il
Pastore, differenza del contadino, non fa violenza alla natura, ma accompagna con rispetto e
attenzione il processo naturale della vita del gregge nell’ambiente. Il Pastore non impone con
prepotenza la propria volontà al gregge: è una guida amorevole, un sostegno sicuro nelle difficoltà
e la sua autorità, simboleggiata dal bastone (che è arma di difesa, ma anche scettro regale), è
amore e servizio.

Forse è anche per questo motivo che in Gen. 4,2 Abel (che significa “Dio è padre” o “Dio è suo
padre”) è definito “pastore di greggi”, mente Caino, il violento, il perturbatore della pace naturale,
è “lavoratore del suolo”.

Pastore è Abramo (Gen. 12), il primo nella scrittura a compiere il “santo viaggio”; pastore è
Giuseppe (Gen. 37), pastore è, per un tempo, Mosè stesso (Es. 3); lo è Davide (1 Sam 16). I grandi
patriarchi hanno in comune, oltre l’ufficio di pastori, anche la caratteristica di essere viaggiatori.
Ancora oggi, durante la transumanza, i pastori devono lasciare la famiglia, la casa, i beni, ogni cosa
per servire e accompagnare il gregge, così come i presbiteri fanno per adempiere la propria
vocazione.

Il salmo 23 esprime la stessa idea, osservata però dal punto di vista delle pecore, per le quali il
pastore è l’unica sicurezza, l’unico punto di riferimento, l’unica salvezza. Anche in questo salmo si
fa riferimento ad un viaggio, non sempre facile, ma che si conclude con un banchetto descritto in
toni decisamente messianici.

Il Cantico presenta lo sposo e la sposa come pastori: “Dimmi… dove vai a pascolare le greggi,…;
segui le orme del mio gregge e pascola le tue caprette presso la dimora dei pastori” (Ct 1, 7-8).

La sposa teme di perdersi dietro “altri compagni”, falsi pastori; lo sposo le dà un segno, le orme del
proprio gregge, e un’indicazione, “la dimora dei pastori” (ci si può leggere un riferimento alla
Chiesa).
Is. 40, nell’annuncio della liberazione di Israele, Dio è presentato come un pastore che “fa
pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce
dolcemente le pecore madri” (Is 40, 11). L’accento è posto in questo passo sulla cura che tiene
conto della condizione particolare di ogni pecora, specialmente se più debole.

Esiste dunque, in tutto l’AT, uno stretto collegamento tra pastore e viaggio; egli è guida e
viaggiatore al tempo stesso; è autorevole in vista di un servizio d’amore.

Gesù sintetizza tutti questi concetti nella meravigliosa parabole del Buon Pastore.

Gv 10, 1-21

«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da
un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il
guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome,
e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le
pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma
fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa
similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In
verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me,
sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso
di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare,
uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.
Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è
pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge,
e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il
buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me
e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da
questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo
gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di
nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di
nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei
per queste parole. Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad
ascoltarlo?». Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio
aprire gli occhi ai ciechi?»."

In questa meravigliosa Parabola, Cristo parla di sé come di “porta” delle pecore, prima che di
pastore.
Nell’antico Israele c’era l’usanza che il pastore ponesse la propria persona nell’apertura del
recinto, venendo così a costituire la “porta” vivente che garantiva ingressi e uscite sicure.
Gesù ribadisce qui il concetto di essere Lui la Via a Dio, ma al tempo stesso di essere qualcosa di
più: l’elemento della sicurezza e della guida, fino a confermare l’identità tra Lui stesso e Dio, “Colui
che entra per la porta”. Nella seconda parte della parabola, Gesù dice apertamente “Io sono il
buon pastore”; quindi è sia la porta, sia Colui che entra attraverso la porta.
Gesù sottolinea pure la conoscenza personale e puntuale di tutte le pecore (“ciascuna per nome”)
e la risposta fiduciosa delle pecore stesse che “conoscono la voce”.
Il ruolo di Dio quale pastore del suo popolo si ritrova già in AT, ad esempio in Ps 23. 1-4 e in Ps 95,
7, il noto salmo invitatorio, in cui l’accenno al gregge si ritrova unito al monito ad ascoltare la nota
voce di Dio senza farsi traviare e imboccare vie diverse, che non conducono al “luogo del riposo”.
C’è quindi un viaggio da compiere, insieme come un gregge, ma al tempo stesso singolarmente,
conosciuti e amati in prima persona come individui; c’è una direzione che solo il pastore conosce e
indica, precedendo le pecore, c’è un luogo di shalom da raggiungere. La vita non è stasi.
Il termine “shalom” è spesso tradotto con “pace”; ma non si tratta né della pace politica, né della
pace interiore, bensì di uno stato di benessere totale, conseguente alla propria realizzazione come
uomini e come figli di Dio, che non è esente da dolore e difficoltà, ma è pieno di vita e di felicità.
Gesù spesso chiama questo stato “Vita eterna”: essa è certamente la Vita dopo il cammino
terreno, ma si può sperimentare già sulla terra come pienezza di vita.
Affidandosi al Pastore, si può arrivare a questo.
Papa Francesco, nell’Ottobre 2017, in Santa Marta, tenne questa catechesi:

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.250, 31/10/2017)

Ci sono cinque verbi «di vicinanza» che Gesù vive in prima persona e indicano i criteri del
«protocollo finale»: vedere, chiamare, parlare, toccare e guarire. Su questo saranno giudicati non
solo i pastori, i primi a correre il rischio di essere «ipocriti», ma tutti gli uomini. Con l’avvertenza
che non bastano belle parole e buone maniere, perché Gesù ci chiede di toccare con mano la
carne dell’altro, soprattutto se sofferente. È questa «la strada del buon pastore» che il Papa ha
indicato nella messa celebrata lunedì 30 ottobre a Santa Marta.

«In questo passo del Vangelo — ha subito fatto notare Francesco riferendosi al passo di Luca (13,
10–17) — troviamo Gesù non sulla strada com’era sua abitudine ma in sinagoga: il sabato la
comunità va in sinagoga a pregare, ad ascoltare la parola di Dio e anche la predica; e Gesù era lì,
ascoltando la parola di Dio». Ma «insegnava anche, perché siccome aveva un’autorità, autorità
morale tanto grande, lo invitavano a dire una parola», proprio per «insegnare alla gente». E «in
sinagoga c’era una donna che era curva, completamente curva, poveretta, e non riusciva a esser
dritta: una malattia della colonna che da anni la tratteneva così».

E «cosa fa Gesù? A me colpiscono — ha confidato il Papa — i verbi che usa l’evangelista per dire
cosa ha fatto Gesù: “vide”, la vide; “chiamò”, la chiamò; “le disse”; “Impose le mani su di lei e la
guarì”». Sono «cinque verbi di vicinanza».

Anzitutto, ha spiegato il Pontefice, «Gesù si avvicinò a lei: l’atteggiamento del buon pastore, la
vicinanza». Perché «un buon pastore è vicino, sempre: pensiamo alla parabola del buon pastore
che Gesù ha predicato», così «vicino» alla pecora «smarrita che lascia le altre e va a cercarla».

Del resto, ha affermato Francesco, «il buon pastore non può essere lontano dal suo popolo e
questo è il segnale di un buon pastore: la vicinanza. Invece gli altri, in questo caso il capo della
sinagoga, quel gruppetto di chierici, dottori della legge, alcuni farisei, sadducei, gli illustri, vivevano
separati dal popolo, rimproverandolo continuamente». Ma, ha rilanciato il Papa, «questi non erano
buoni pastori, erano chiusi nel proprio gruppo e non importava loro del popolo: forse importava
loro, quando finiva il servizio religioso, andare a vedere quanti soldi c’erano nelle offerte, questo
importava loro, ma non erano vicini al popolo, non erano vicini alla gente».

Ecco che «Gesù sempre si presenta così, vicino», ha fatto presente il Pontefice. E «tante volte
appare nel Vangelo che la vicinanza viene da quello che Gesù sente nel cuore: “Gesù si
commosse”, dice per esempio un passo del Vangelo, sente misericordia, si avvicina». Per questa
ragione «Gesù sempre era lì con la gente scartata da quel gruppetto clericale: c’erano lì i poveri,
gli ammalati, i peccatori, i lebbrosi: erano tutti lì perché Gesù aveva questa capacità di
commuoversi davanti alla malattia, era un buon pastore». E «un buon pastore si avvicina e ha
capacità di commuoversi».

«E io dirò — ha affermato Francesco — che il terzo tratto di un buon pastore è non vergognarsi
della carne, toccare la carne ferita, come ha fatto Gesù con questa donna: “toccò”, “impose le
mani”, toccò i lebbrosi, toccò i peccatori». È «una vicinanza proprio vicina, vicina». Toccare «la
carne», dunque. Perché «un buon pastore non dice: “Ma, sì, sta bene, sì sì, io sono vicino a te
nello spirito”». In realtà «questa è una distanza» e non vicinanza.

Invece, ha insistito il Papa, «il buon pastore fa quello che ha fatto Dio Padre, avvicinarsi, per
compassione, per misericordia, nella carne del suo Figlio, questo è un buon pastore». E «il grande
pastore, il Padre, ci ha insegnato come si fa il buon pastore: si abbassò, si svuotò, svuotò se
stesso, si annientò, prese condizione di servo».

Proprio «questa è la strada del buon pastore» ha spiegato il Pontefice. E qui ci si può chiedere:
«“Ma, e questi altri, quelli che seguono la strada del clericalismo, a chi si avvicinano?». Costoro, ha
risposto Francesco, «si avvicinano sempre o al potere di turno o ai soldi e sono i cattivi pastori:
loro pensano soltanto come arrampicarsi nel potere, essere amici del potere e negoziano tutto o
pensano alle tasche e questi sono gli ipocriti, capaci di tutto». Di sicuro «non importa del popolo a
questa gente. E quando Gesù dice loro quel bell’aggettivo che utilizza tante volte con questi —
“ipocriti” — loro si sono offesi: “Ma noi, no, noi seguiamo la legge”». Invece «la gente era
contenta: è un peccato del popolo di Dio vedere quando i cattivi pastori sono bastonati; è un
peccato, sì, ma hanno sofferto tanto che “godono” di questo un pochettino».

«Pensiamo — è il suggerimento del Pontefice — al buon pastore, pensiamo a Gesù che vede,
chiama, parla, tocca e guarisce; pensiamo al Padre che si fa nel suo Figlio carne, per
compassione». E «questa è la strada del buon pastore, il pastore che oggi vediamo qui, in questo
passo del Vangelo: è una grazia per il popolo di Dio avere dei buoni pastori, pastori come Gesù,
che non si vergognano di toccare la carne ferita, che sanno che su questo — non solo loro, anche
tutti noi — saremo giudicati: ero affamato, ero in carcere, ero ammalato...».

«I criteri del protocollo finale — ha concluso il Papa — sono i criteri della vicinanza, i criteri di
questa vicinanza totale» per «toccare, condividere la situazione del popolo di Dio». E «non
dimentichiamo questo: il buon pastore si fa vicino sempre alla gente, sempre, come Dio nostro
Padre si è fatto vicino a noi, in Gesù Cristo fatto carne».

In questa meravigliosa catechesi, il Santo Padre identifica il ruolo del pastore con la kenosis di
Cristo: non ci può essere vero servizio senza vera vicinanza e non può esserci vera vicinanza senza
svuotamento, senza farsi carico, senza vivere con la più piena com-passione la condizione, anche
materiale, che vivono le pecore.
CAPITOLO 2

La catechesi del Buon Pastore: il ruolo del segno

Catechesi con i ragazzi


Il metodo di Maria Montessori, che pone il bambino al centro del processo educativo, ne fa anche
il protagonista assoluto del proprio sviluppo spirituale.

Anche la dimensione trascendente, come le altre dimensioni dell’uomo, cresce con l’età, con
l’esperienza e con l’aiuto di adulti che sono sostanzialmente facilitatori e catalizzatori di
apprendimento e si servono, come anche Dio si serve, dello strumento meraviglioso ed
efficacissimo dei segni.

Le forme, i colori, le sensazioni che percepiamo sono tutti permeati di significati che vanno “oltre”
e che ci parlano, in modo diverso e a livelli diversi, della realtà di Dio; tutta la creazione e anche
tutta l’opera dell’uomo può essere letta a partire da questo meraviglioso punto di vista.

Meno si è abituati alla mediazione dello strumento della ragione, più direttamente i segni ci
parlano, e con maggiore forza e immediatezza: per questo è importante che, soprattutto ai
bambini, siano proposte esperienze sensoriali che li indirizzino verso le grandi scoperte, anche
quelle relative alla vita dello spirito.

Gli adulti spesso disimparano la naturale capacità di godere delle cose: i colori della natura, il
tepore del sole sul viso, la freschezza dell’acqua, la bellezza di un oggetto, la gioia del produrre
cose belle e buone.

Compito dell’educatore è mantenere viva e potenziare il più possibile questa capacità e usarla per
avvicinare il bambino alla dimensione trascendente.

E’ molto importante, nella catechesi del Buon Pastore, la produzione in prima persona, da parte
dei catechisti e dei ragazzi, di oggetti, fatti di materiale vario, che vadano a costituire “segni”
tangibili, di quanto scoperto nel cuore e nella mente: ad esempio a partire dalla lettura di un
brano biblico, una rappresentazione grafica o plastica delle scene e dei personaggi può essere il
punto di partenza per una discesa nella profondità dei significati del testo nella nostra vita.

FOTO DI OGGETTI PRODOTTI A CATECHISMO

Bibbia e liturgia
Due grandi serbatoi di segni da cui trarre il materiale su cui lavorare sono il testo sacro e la liturgia.
A seconda dell’età, delle esperienze, e del cammino del gruppo, ogni catechista sceglierà una serie
di brani su cui lavorare, che siano significativi per la singola circostanza e proporrà ai ragazzi di
esporre “quel che il Signore ha detto loro attraverso quella lettura” in forma di segno (disegno,
sculture in plastica o altro materiale; e da questo materiale così prodotto “dirigerà”, sottolineando
e incoraggiando, la costruzione del senso e la sua interiorizzazione.

Nella liturgia, che è essa stessa grande segno visibile di immense realtà spirituali, il catecumeno
dovrà essere partecipe attivamente e abituarsi a leggere, nei gesti, nelle parole, nel susseguirsi dei
momenti, la presenza speciale di Dio “Buon Pastore”, il quale si prende cura del gregge e anche di
ogni singola pecora.

Nessuno è secondario, nessuno è trascurato: ognuno avrà dunque il suo ruolo, in modo da
“sperimentare” di essere importante per il Buon Pastore.

La liturgia dovrà essere curata e bella da vedersi: si tratta infatti di un luogo e un tempo
privilegiati, in cui si vive una speciale presenza di Dio e in cui l’Incontro è particolarmente
importante e solenne.

ESEMPI PRATICI

FOTO DI LITURGIE CON BAMBINI ATTIVI

Il segno parla all’uomo


Il segno parla all’uomo, non a una categoria di uomini.

Il metodo montessoriano della catechesi del Buon Pastore può essere, ed è di fatto, utilizzato non
soltanto nel cattolicesimo, ma anche presso protestanti e ortodossi; e ritengo che potrebbe
avvicinare chiunque all’idea di Dio, da qualunque parte del mondo e da qualunque credo religioso
provenga, perché pone al centro l’amore di Dio.

L’idea che un bambino sviluppa di Dio, attraverso questo tipo di percorso, ha caratteristiche
materne innanzitutto, di cura, tenerezza e attenzione; paterne poi, di sicurezza, solidità,
tranquillità di vita.

Se si sviluppa una autentica fiducia nell’Amore di Dio, è facile che le paure e le insicurezze da cui
ha origine ogni male, ogni distorsione del nostro pensiero, del nostro sentire e del nostro
comportamento, vengano sanate e si arrivi alla vera fede.

La catechesi del Buon Pastore pone l’accento sulla fiducia e sull’affidarsi.

La centralità è posta sulle pecore, oggetto di cura da parte del pastore.

Allo stesso modo, il pontificato di Giovanni Paolo II è stato incentrato sul servizio all’uomo.
Secondo l’insegnamento del papa, i pastori che si dedicano oggi a questa missione, la devono
intendere come un servizio di cura, perché è appunto il servizio il vero senso dell’autorità.

La catechesi del Buon Pastore: il ruolo del segno

Catechesi con gli adulti


Anche con gli adulti può essere molto efficace una catechesi che prenda le mosse dai suggerimenti
della Montessori, con le dovute modifiche.

Innanzitutto, pur con il suo razionalismo spesso esasperato e le sue certezze(!), l’adulto ha più che
mai bisogno di sicurezza e di guida. A volte non lo sa o non lo ammette, ma se la trova non la
abbandona.

Tanti purtroppo oggi, spinti proprio da quel bisogno di sicurezza che né il denaro, né la scienza, né
la ragione possono dare, si rivolgono a magie e ciarlatanerie varie come surrogati della fede.

Declinare per gli adulti la catechesi del Buon Pastore potrebbe essere di grande giovamento,
perché significherebbe porre l’accento innanzitutto su quelle cose che l’uomo per natura cerca
come prime, quali il soddisfacimento del naturale bisogno di sicurezza, di serenità e di speranza.
Fede e speranza sono sempre indissolubilmente legate.

Se l’adulto trova soltanto una morale, delle regole di comportamento o, nel migliore dei casi, una
filosofia, prima o poi si allontanerà per rivolgersi a ideologie, altre filosofie o magie.

Se invece troverà cura, accettazione, comprensione, amore, in qualunque condizione si trovi, e


Pastori che, come dice Papa Francesco, lo “toccano”, si fanno carico di tutte le sue ferite e lo
guidano nelle reali circostanze della sua esistenza, è facile che resti e scopra la Fede. Verrà poi
naturale il comportamento conforme alla fede.

La liturgia

Anche nel caso degli adulti, i segni sono importantissimi. Gli adulti si dovrebbero coinvolgere nella
preparazione di una liturgia il più bella possibile, con la spiegazione del significato di ciascuno dei
segni che si adoperano, gli oggetti, i colori, le immagini, la musica.

E non soltanto la liturgia eucaristica, ma la celebrazione di ogni sacramento va spiegata e


preparata con ogni cura.

Per gli adulti, molto può fare anche l’arte: la storia della pittura e della scultura sono ricche di
opere di grandissima suggestione e grandissimo valore da mostrare (oggi è molto facile, grazie a
Internet) e attraverso le quali si possono veicolare messaggi accompagnati dal potentissimo
strumento dell’emozione.
Anche la musica è di grande aiuto, sia prodotta che fruita: e la Chiesa possiede probabilmente il
patrimonio musicale più ricco e più prezioso del mondo.

Più si mette cura nel fare le cose, più esse rivelano ai nostri occhi il loro valore.

E’ possibile mettere al servizio della comunità tutte le capacità e i talenti che Dio ha ampiamente
diffuso tra la gente: chi sa fare qualcosa sarà invitato, in uno spirito di servizio e gratuità, a fare uso
del proprio dono a beneficio di tutti.

Nessuno è solo spettatore nel gregge di Dio.

La Scrittura

I Cristiani normalmente conoscono poco e male i testi sacri.

Molti ne hanno solo confusi ricordi risalenti al catechismo della Cresima.

Chi frequenta la Chiesa ha una certa familiarità solo con i testi usati nella liturgia domenicale.

Bisognerebbe invece diffondere la conoscenza del sacro testo, attraverso, ad esempio, lectiones,
incontri a tema, momenti artistici incentrati su un argomento biblico, eventi organizzati sulla base
del calendario liturgico.

Potremmo imparare dalla sapienza dei nostri antenati, che affrescavano le pareti delle chiese con
scene bibliche per istruire il popolo analfabeta con la storia della salvezza. Noi, nell’era di internet,
abbiamo molte più possibilità.

Si possono realizzare blog, canali youtube con video, pagine dedicate agli argomenti della fede.

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