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Riassunto delle novelle della Giornata 2 Decameron


Boccaccio
Lettere (Università degli Studi di Catania)

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Giornata 2
In questa giornata si narrano le avventure di chi, colpito da molte avversità, sia riuscito a raggiungere un
lieto fine.

INTRODUZIONE

Dopo essersi svegliata, la compagnia si diletta sul prato. Dopo il pranzo e qualche ballo, si siedono, e
Filomena, regina della giornata, ordina a Neifile di incominciare.

PRIMA NOVELLA (NEIFILE)


Era da poco morto a Trivigi, sant’Arrigo dichiarato santo perché oltre che essere stato un pio uomo, alla sua
morte tutte le campane suonarono contemporaneamente. Allora la gente meravigliata, portava nel luogo
santo ove era tenuta la salma, sia storpi sia ciechi e altri poveri, affinché fossero miracolati dalla vicinanza
del santo. In quel giorno arrivarono nella città tre mercanti fiorentini: Stecchi, Martellino e Marchese che,
incuriositi dalla folla, vollero andare a vedere le spoglie del santo. Martellino trovò il modo per passare
indisturbati e senza noie: lui si sarebbe finto uno storpio e i due compari l’avrebbero aiutato a reggersi.
Arrivato vicino al corpo di Sant’Arrigo, Martellino per burlarsi delle persone che lo guardavano cominciò a
fingersi miracolato, ritornando a poco a poco normale. Ma riconosciuto da un suo compaesano stava per
essere linciato dalla folla, quando Marchese riuscì a portarlo via; e così tutti e tre fecero ritorno a casa.

SECONDA NOVELLA (FILOSTRATO)


Il mercante Rinaldo d’Asti sta cavalcando verso Verona, quando viene derubato da alcuni furfanti travestiti
da onesti cavalieri. Rinaldo vagando dopo il calar del sole e rimasto con pochi indumenti addosso, disperava
di trovare un rifugio per la notte quando, per fortuna, riesce a ripararsi sotto il portico di una casa che crede
abbandonata, ma invece in questa vi era una bellissima vedova che aiuta il mercante a ristorarsi, gli fa fare
un bagno e improvvisamente se ne innamora, da parte sua Rinaldo ricambia l’amore della donna e cosi
passano la notte insieme. Il giorno dopo, vestito con buoni abiti, riparte ringraziando di tutto la donna e
lungo la via incontra i tre briganti che lo avevano rapinato il giorno prima, catturati; perciò può riprendersi i
suoi vestiti e i denari, e ritornarsene felicemente a casa.

TERZA NOVELLA (PAMPINEA)


Lamberto, Tedaldo e Agolante figli di un ricchissimo cavaliere, alla sua morte sperperano tutta l’eredità e,
divenuti poveri, si decidono a lasciare Firenze e a partire per l’Inghilterra dove, prestando il denaro ad usura,
riescono a guadagnare piu’ di quanto avevano perso.Ma, affidati i possedimenti inglesi ad un loro nipote di
nome Alessandro, se ne tornarono a Firenze. Intanto a causa di una guerra le proprietà inglesi non rendono
più, perciò i tre fratelli riperdono tutto e per i debiti sono incarcerati; anche Alessandro, ormai povero, sta
per tornare in Italia quando incontra un abate inglese che gli si affeziona particolarmente. Una sera l’abate
fatto venire Alessandro nel suo letto, comincia ad accarezzarlo ma Alessandro non capisce come può un
uomo toccare un altro uomo; ma l’abate in verità altri non e’ che la figlia del re d’Inghilterra. Dopo una
notte di passione, il giorno seguente giunti a Roma furono sposati dal Papa e così Alessandro divenne duca
di Cornovaglia e poté liberare i tre zii, essendo oramai ricchissimo.

QUARTA NOVELLA (LAURETTA)


A Ravello, una cittadina sul golfo d’Amalfi, vi era un ricchissimo mercante chiamato: Landolfo Rufolo.Questi
partì, un giorno, con una nave piena di mercanzie per Cipro; ma commerciando perse tutto e così decise di

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fare il corsaro.Guadagnò molto di più così che con la precedente attività. Ma un giorno, trovato dai genovesi
in un’insenatura, fu derubato e fatto prigioniero; durante il viaggio, l’equipaggio colto alla sprovvista da una
tempesta fu scaraventato in mare assieme alle merci rubate.Landolfo riuscì a raggiungere terra aggrappato
ad una cassa. Una giovane donna vedutolo sul bagnasciuga, lo portò in casa e lo ristorò per alcuni giorni. Il
mercante, dopo aver scoperto che la cassa conteneva moltissime pietre preziose, lasciata la donna partì per
Ravello dove, non esercitò più come mercante ma visse di rendita fino all’ultimo.

QUINTA NOVELLA (FIAMMETTA)


C’era a Perugia un noto mercante di cavalli, Andreuccio, che un giorno partì per Napoli con una borsa di
fiorini d’oro. La stessa sera, arrivato nei pressi di Napoli, mentre cenava in un’osteria, trasse fuori la borsa
con i soldi che furono subito notati da due scaltre donne. La sera dopo, la più giovane di queste due, invitò
Andreuccio a casa sua e, piangendo, gli disse che lei era sua sorella. Dopo aver convinto Andreuccio, lo
costrinse a rimanere la sera e la notte a casa sua. Il povero commerciante cadde in una botola, che si
trovava nel bagno, e la donna poté così rubargli la borsa; uscito fuori della casa ed avendo cominciato a
capire l’inganno, bussò, inferocito, più volte alla sua porta ma, ovviamente, nessuno rispondeva. Perse le
speranze, s’incamminò verso l’osteria e sulla strada incontrò due contadini che, ascoltata la storia, sembrava
volessero aiutarlo; così lo condussero ad un pozzo per farlo lavare dal fetore che aveva addosso. Ma, una
volta calato Andreuccio nel pozzo, scapparono impauriti da alcune persone che stavano arrivando al pozzo;
lo sfortunato ragazzo, dopo aver risalito il pozzo, saltò fuori terrorizzando tutti e, corse via. Ma incontrò
nuovamente i due astuti contadini che lo obbligarono a rubare un rubino che si trovava al dito di un
cardinale sepolto recentemente nella chiesa del paese.Andreuccio trovato l’anello se l’infilo’ in tasca e diede
il resto delle pietre, sotterrate con il cadavere, ai due loschi individui, che lo chiusero nella cripta assieme al
morto. Il giorno dopo, un prete, incuriosito dal tombino aperto, si calò nell’ipogeo e così, Andreuccio
pote’scappare dopo aver spaventato a morte il prete, e ritornare a Perugia con il rubino.

SESTA NOVELLA (EMILIA)


Poiché il re Manfredi fu costretto a partire per combattere Carlo, affidò il regno ad Arrighetto Capece, un
nobile di Napoli, il quale, venuto a conoscenza della morte del re, non fidandosi della fedeltà dei Siciliani,
decise di fuggire dall’isola con la moglie incinta Beritola Caracciola e il figlio Giuffredi, ma i Siciliani lo
scoprirono e lo imprigionano insieme ad altri servitori del vecchio re. Tuttavia, la moglie riuscì a salvarsi a
Lipari, dove partorì un altro maschio e lo chiamò Scacciato; da lì decisa a ritornare a Napoli dalla sua
famiglia, la donna si imbarcò su una nave con i figli e una balia, ma sfortunatamente un forte vento li spinse
a Ponza, dove decisero di rimanere finché non si fossero placate le acque. Sull’isola Madama Beritola passò
il tempo a piangere il marito ma, non appena si allontanò dai suoi cari per questo, una galea di corsari
genovesi rapì i suoi figli e la balia e rubò la loro barca. Mentre Madama Beritola continuava le ricerche dei
suoi cari, trovò per caso una grotta in cui si erano riparati due caprioli e la madre e subito offrì loro il suo
latte. Alcuni mesi più tardi, approdò sull’isola una nave pisana, sulla quale viaggiava Currado dei Malaspina.
Durante una battuta di caccia, questo inseguì i due caprioli fino alla grotta dove trovò la donna che, gli
raccontò ciò che le era accaduto. Allora Currado decise di imbarcarla con i caprioli sulla sua nave. I corsari
intanto avevano portato i figli di Beritola e la balia a Genova, dove erano stati dati come bottino a Guasparin
Doria. La balia, temendo per la vita dei bambini, gli ordinò di fingersi suoi figli e cambiò il nome del più
grande in Giannotto da Procida affinché non fosse riconosciuto. Raggiunti i sedici anni, Giannotto iniziò ad
imbarcarsi sulle galee del suo. Un giorno arrivò in Lunigiana e lì si mise al servizio di Currado Malaspina della
cui figlia ben presto si innamorò; ma dopo lunghi mesi furono scoperti da Currado che, grazie alle preghiere
di sua moglie, invece di ucciderli, li incarcerò. Mentre ciò accadeva, il re Pietro d’Aragona liberò la Siciliane,
venutolo a sapere Giannotto, decise di rivelare la sua vera identità al carceriere, che subito raccontò tutto a
Currado. Quest’ultimo, memore del racconto di Beritola, liberò il ragazzo e la figlia e permise loro di
sposarsi. Dopo che Beritola ebbe riconosciuto il figlio, Currado mandò due ambasciatori a Genova e in Sicilia

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per aver notizie di Scacciato e di Arrighetto. Quando arrivò a Genova, l’ambasciatore rivelò la vera identità di
Scacciato a Guasparin Doria, il quale, gli diede in moglie la figlia per scusarsi per averlo trattato come un
servo. Riunitisi tutti da Currado per festeggiare i ritrovati parenti e le nozze dei due fratelli, arrivò durante il
pasto, l’altro ambasciatore e raccontò che Arrighetto era vivo e che era stato liberato dai Siciliani una volta
scacciato Carlo d’Angiò. Dopo i festeggiamenti, partirono tutti per Palermo dove, accolti da Arrighetto fecero
una grande festa e vissero lì felici per anni.

SETTIMA NOVELLA (PANFILO)


Il sultano di Babilonia Beminedab, per ringraziare il re del Garbo di averlo soccorso durante una battaglia,
decise di dargli in sposa la sua bellissima figlia Alatiel. Per questo, la imbarcò insieme ad altre damigelle su
una nave che partiva da Alessandria. Erano quasi giunte a termine del loro viaggio, quando dei forti venti
spinsero la nave fuori rotta tanto da farla arenare vicino Maiorca. Alatiel, la mattina seguente fu
fortunatamente aiutata da Pericon da Visalgo che, subito s’innamorò della bella fanciulla e la portò nel suo
palazzo dove la fece ubriacare. E così trascorse con la giovine una felice nottata. Anche il fratello di Pericon,
Marato, s’innamorò della ragazza. Essendo approdata sull’isola una nave di due fratelli genovesi, si accordò
con loro per rapirla, uccidere il fratello e poi fuggire con la ragazza. Così accadde. Anche i due fratelli però
s’innamorarono di Alatiel e, gettato Marato in mare, cominciarono a litigare violentemente e così
combatterono fino alla morte di uno dei due. Alatiel e il genovese sopravissuto giunsero così a Chiarenza
dove presto si sparse la notizia della bellezza della ragazza, tanto che il principe dell’Acaia la rapì e la portò
nel suo palazzo. Anche il duca d’Atene volle vederla e se ne innamorò. Il principe però, non disposto a
lasciare al duca la ragazza, si accordò con un certo Cuiriaci per uccidere il principe e rapire Alatiel. Soltanto
due giorni dopo la fuga del duca e della ragazza ad Atene, fu ritrovato il corpo del principe insieme a quello
di Cuiriaci. Fu così che il fratello del principe organizzò un piccolo esercito e dichiarò guerra al duca. Allora
quest’ultimo chiese aiuto all’Imperatore di Costantinopoli, che inviò oltre al suo esercito i suoi figli:
Costanzio e Manovello. Anche Costanzio si innamorò di Alatiel e, lasciato il campo di battaglia, fuggì con la
ragazza su una piccola nave a Chios dove rimasero fintantoché la ragazza si innamorò di Costanzio. Ma
Osbech, re dei Turchi, rapì Alatiel per sposarla. Saputo questo, l’Imperatore di Costantinopoli chiese aiuto al
re della Cappadocia che uccise Osbech in battaglia. Alora Antioco, essendo stato raccomandato dall’amico
Osbech, di proteggere Alatiel, fuggì con questa e un suo amico a Rodi. Lì però Antioco si ammalò e in punto
di morte chiese al giovane di proteggere la sua donna. Trasferitisi a Cipro, Alatiel riconobbe Antigono di
Famagosta, servo del sultano di Babilonia suo padre. Si accordò con questo per tornare in patria da suo
padre al quale disse che dopo il naufragio in Provenza, era stata soccorsa da quattro cavalieri che l’avevano
portata in un monastero di benedettine dove era rimasta per molto tempo fingendo di esser figlia di un
mercante di Cipro per paura di essere cacciata a causa della sua religione. Alla fine però era riuscita ad
aggregarsi ad un gruppo di pellegrini diretti a Gerusalemme e avendo fatto scalo a Baffa aveva incontrato
Antigono e con lui era ritornata a Babilonia. Il sultano, udite queste parole, accolse felicemente la figlia e la
fece sposare con il principe del Garbo come d’accordo inizialmente; la prima notte di nozze , Alatiel gli fece
credere di essere ancora vergine.

OTTAVA NOVELLA (ELISSA)


Durante la guerra tra Germani e Francesi, il re di Francia lasciò il comando a Gualtieri conte d’Anversa. Col
tempo la regina s’innamorò molto del Conte e un giorno, si dichiarò. Ma, essendo il conte molto fedele al
re, rifiutò la donna, che, per vendicarsi, si stracciò i vestiti e gridò fingendo che il conte stesse abusando di
lei. Il conte fu allora costretto a fuggire insieme ai figli Luigi e Violante in Inghilterra. Lì, una nobile signora
moglie di un maresciallo del re d’Inghilterra notò la piccola Violante, che, per paura della taglia che il re
aveva posto su loro, era stata chiamata Giannetta, e chiese al conte di poterla portare in casa sua per
crescerla e averla come damigella. Il padre anche se a malincuore acconsentì e si separò dalla figlia, mentre
con Perroto, così era stato rinominato il figlio, andò elemosinando in Galles. Lì, presso un maresciallo del re,

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assistevano agli allenamenti d’equitazione dei ragazzi. Un giorno il maresciallo, propose al conte di prender
con sé Perotto e farlo crescere come suo erede. Allora il conte si trasferì in Irlanda presso un cavaliere e lì
visse molto tempo servendolo come garzone. Nel frattempo Giacchetto, il figlio dei signori presso cui
Giannetta lavorava, si innamorò perdutamente della fanciulla. Ma quando Giannetta raggiunse l’età giusta
per sposarsi, la madre del ragazzo, non conoscendo i sentimenti del figlio, cominciò a darsi da fare per
trovare un buon marito alla ragazza, al ché il figlio si ammalò. Nessun medico riusciva a capire ciò che
causasse il malore del ragazzo, ma un giorno, mentre un medico tastava il polso dell’ammalato, Giannetta
entrò nella stanza e subito i battiti del ragazzo aumentarono. Il medico intuì ciò di cui soffriva il ragazzo e lo
raccontò alla madre, che, acconsentì alle nozze dei due ragazzi. Il che avvenne dopo poco tempo. In Galles,
invece si abbatté una pestilenza e fortunatamente Perotto riuscì a salvarsi insieme con una contadina, ma il
maresciallo e il resto della famiglia morì lasciando a lui tutti i possedimenti. Allora Perotto, innamoratosi
della contadina la sposò e ottenne dal re il titolo di maresciallo. Passati 18 anni da quando si era trasferito in
Irlanda, il conte decise di andare a vedere come stavano i figli. Andò prima in Galles dove, senza farsi
riconoscere, scoprì la felice situazione del figlio Luigi poi, si recò a Londra dalla figlia, anche lì non facendosi
riconoscere,dove scoprì che Violante aveva avuto dei bei bambini. Un giorno elemosinando davanti la loro
casa fu accolto dentro per riscaldarsi e subito i figli di Giannetta lo abbracciarono e lo coccolarono pur non
sapendo chi fosse veramente. Con la morte del vecchio re di Francia e l’ascesa del nuovo, la guerra tra le
due potenze si inasprì a tal punto che il monarca francese dovette chiedere aiuto al re d’Inghilterra, il quale
inviò in guerra i suoi marescialli. Dunque Perotto, Giacchetto e il conte che serviva il genero in qualità di
scudiero furono costretti a partire. Mentre la guerra infuriava, la regina di Francia si ammalò e in punto di
morte chiamò il vescovo per l’ultima confessione, al quale rivelò il crudele gesto che aveva compiuto contro
il conte d’Anversa. Questa notizia giunse rapidamente al nuovo re che proclamò una grida nella quale si
diceva che chiunque avesse riportato al cospetto del re il conte e i suoi figli, avrebbe avuto come
ricompensa una grande somma di denaro. Saputo ciò il conte subito rivelò a Giannetto e Perotto la sua
identità e disse a Giacchetto di portarlo dal re perché ricevesse la ricompensa come dote per la figlia. E così
fu: Giacchetto ricevette il denaro e al conte furono restituite le proprie terre insieme ad altri doni.

NONA NOVELLA (FILOMENA)


A Parigi in una locanda vi erano molti mercanti italiani che discorrevano sui loro affari e sul fatto che, se
avessero avuto l’occasione, non avrebbero esitato a tradire le proprie mogli con una “scappatella”, poiché
essi ritenevano che anch’esse lo facessero. Soltanto uno, di nome Bernabò Lomellin da Genova non
concordava su ciò: infatti, si fidava ciecamente ed era così innamorato di sua moglie Ginevra (Zinevra nel
testo) che non l’avrebbe mai tradita e che lei avrebbe fatto altrettanto. Udendo questo, un altro mercante,
Ambruogiuolo da Piacenza, volle dimostrare che, come tutte le donne, anche Ginevra era volubile,
scommettendo con Bernabò che l’avrebbe sedotta in tre mesi e che gli avrebbe portato le prove di ciò che
aveva fatto; la posta era 5000 fiorini d’oro se avrebbe vinto, altrimenti ne avrebbe dati 1000 a Bernabò.
Fatto ciò, subito partì per Genova e trovò la casa della donna. Accordatosi con una domestica, si nascose in
un baule e si fece portare nella stanza da letto di Ginevra. La notte, usciva dal baule, memorizzava la stanza,
rubava alcuni anelli e vestiti della donna. Una sera, uscito come suo solito dal baule, scoprì Ginevra e notò
che sotto la mammella sinistra aveva un neo un po’ grande con dei peli biondi intorno; essendo questo
sufficiente per vincere la scommessa, la mattina seguente uscì dal baule e ritornò di corsa a Parigi, dove,
raccontato ciò che aveva visto e mostrato a Bernabò ciò che aveva rubato, non gli rimase che intascare la
posta. A quel punto al povero Bernabò non rimase che ritornare a Genova e, gonfio d’ira, stando da alcuni
suoi parenti incaricare un suo amico di uccidere Ginevra per punirla così dell’adulterio che non aveva
commesso. Secondo gli ordini di Bernabò, quello condusse Ginevra in un luogo isolato e stava per ucciderla
ma sotto le preghiere della donna, gli raccontò l’accaduto e non la uccise; si fece però dare i suoi vestiti per
portarli a Bernabò in modo da fargli credere che l’aveva uccisa. Ginevra subito fuggì da Genova, si travestì
da maschio tagliandosi i capelli e schiacciando il seno e si imbarcò sulla nave del catalano En Cararh come

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marinaio, facendosi chiamare Sicuran de Finale. Ben presto riuscì ad accattivarsi il capitano ed ad avere
incarichi più importanti. Un giorno la sua nave approdò ad Alessandria per consegnare un suo carico al
sultano, al quale, piacendogli molto le capacità di Silurano, convinse En Cararh a lasciarglielo ai suoi ordini.
Dopo poco tempo, a Silurano fu affidato il compito di vigilare durante i mercati tra cristiani e arabi in Acri;
mentre perlustrava i mercati, notò che un mercante (Ambruogiuolo da Piacenza) aveva dei vestiti che le
appartenevano, subito gli chiese come faceva ad averli; Ambruogiuolo rise e gli raccontò ciò che aveva già
raccontato a Bernabò. Allora Silurano, fingendo di apprezzare quella storia, portò Ambruogiuolo affinché la
raccontasse al sultano e fece anche convocare Bernabò, anch’egli lì per affari. Allora smascherò l’inganno
del mercante facendolo minacciare dal sultano e rivelando la sua vera identità al marito e agli altri. Il
sultano allora obbligò Ambruogiuolo a risarcire Bernabò e inoltre regalò alla coppia ritrovata ori, gioielli e
molti 10000 denari: la coppia poté così ritornare a Genova. Ambruogiuolo fu invece cosparso di miele,
legato ad un palo e lasciato nel deserto alla mercé degli insetti.

DECIMA NOVELLA (DIONEO)


Un giudice pisano di nome Ricciardo di Chinzica, era uomo fisicamente gracile. Piuttosto ricco di famiglia,
volle sposarsi una donna molto giovane e bella di nome Bartolomea Gualandi. La festa nuziale fu fastosa,
ma già dall'inizio questo marito mostrò scarsa propensione a frequentare la moglie. Il giudice, allora,
sentendosi a disagio, cominciò a spiegare alla moglie come certi giorni del calendario vietassero le intimità
coniugali; ad essi aggiungeva i giorni di digiuno, le vigilie di apostoli e altri santi; i venerdì, i sabati e la
domenica, tutta quanta la quaresima e persino i giorni in cui la luna occupava determinate posizioni. Tutto
questo rattristava la sposa, che era anche attentamente sorvegliata dal marito, il quale temeva che qualche
altro uomo le insegnasse un calendario senza tutte quelle feste. Ora, un giorno estivo di grande calura, il
giudice Ricciardo organizzò una bella gita di pesca; su una barca salirono Ricciardo e i pescatori, mentre
sopra un'altra si sistemarono alcune donne assieme alla giovane Bartolomea. Nell'entusiasmo per la pesca
si allontanarono un po' troppo dalla riva e furono sorpresi dalla nave corsara di Paganino da Mare che,
bloccata la barca dove erano le donne, e, notata la bella Bartolomea, la sequestrò sotto gli occhi di messer
Ricciardo che non poté far nulla per evitare la cattura della moglie. Tornato a Pisa il giudice si diede molto
da fare per avere notizie della moglie scomparsa, ma nulla. Costei, nel frattempo, era stata portata afflitta e
piangente fino a Monaco, sulla Costa Azzurra, che era appunto la sede dei pirati. Paganino, intanto, cercava
di consolarla e tanto bene vi riuscì che la sera stessa Bartolomea dimenticò il giudice e le sue leggi e
cominciò a vivere lietamente con Paganino il pirata. Dopo qualche tempo messer Ricciardo venne
finalmente a sapere dove si trovava la moglie e, imbarcatosi, raggiunse Monaco nella ferma speranza di
poter riavere la moglie, pagando anche un costosissimo riscatto. Incontratosi con Paganino, messer
Ricciardo venne presto al dunque e Paganino disse che, se veramente la donna che lui aveva sequestrato nel
mare di Pisa era sua moglie, pagando il riscatto da lui deciso, messer Ricciardo, poteva riprendersela
liberamente. Ricciardo accettò, sicuro che la moglie, rivedendolo, gli avrebbe certo gettato le braccia al
collo; invece, giunti in casa di Paganino, Bartolomea guardò il marito facendo finta di non riconoscerlo. Lo
stupefatto Ricciardo, colpito da quell'indifferenza, insistette con la donna affinché riconoscesse in lui il suo
legittimo marito, ma lei rispose che sarebbe stato poco conveniente guardare troppo un uomo sconosciuto,
ma che, per quanto guardasse, non riconosceva nessun marito. Ricciardo allora pensò che la donna facesse
così perché temeva Paganino che era lì presente e perciò pregò il padrone di casa di farlo parlare con la
moglie a quattrocchi. Paganino acconsentì e i due andarono nella camera della donna dove Ricciardo, con
tono appassionato e affettuoso, insistette perché la moglie lo riconoscesse. Bartolomea inizialmente rise in
seguito gli rivelò di averlo riconosciuto da subito, ma gli rimproverò anche sfrontatamente il fatto che lui,
con la storia delle vigilie, della quaresima e delle altre festività, l'aveva costantemente ignorata, gli ricordò,
inoltre, che, se avesse imposto tante festività a coloro che lavoravano le sue terre, non avrebbe raccolto
neanche un chicco di grano. E gli disse anche che si era imbattuta in un uomo gagliardo che non conosceva
festività di sorta, che era sempre presente con la sua donna e che lei era ben lieta di vivere così; i digiuni e le

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festività religiose le avrebbe rispettate quando fosse stata vecchia. Messer Ricciardo, scandalizzato da tanta
franchezza, provò a insistere ancora, ricordandole i doveri di moglie e le promise che, se fosse tornata a Pisa
con lui, avrebbe trovato un marito del tutto diverso, capace di farla contenta. Bartolomea rispose che il suo
onore era affar suo e si chiese anche come avrebbe potuto mai cambiare suo marito, visto che era un uomo
freddo, indifferente alla sua sposa e che, per quanto si fosse ingegnato, sarebbe stato sempre un disastro.
Lei se ne sarebbe stata col suo Paganino e, se poi fosse stata abbandonata, a Pisa non sarebbe tornata di
sicuro, perché, tanto, qualunque soluzione sarebbe stata sempre più vantaggiosa di quella di un ritorno al
talamo maritale; di conseguenza lo invitava a ripartirsene per Pisa da dove era venuto. Ricciardo se ne tornò
così a Pisa dove gli venne una specie di fissazione e, quando incontrava qualche conoscente, si lamentava
con lui, che una giovane donna non vuole mai rispettare le solennità religiose; questo stato d'animo lo fece
ammalare di un male che lo portò presto a morte. Paganino, saputa la cosa, fu così lieto di sposare
regolarmente la vedova e i due, finché poterono, non rispettarono mai le festività religiose.

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