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IL MOTIVO DI TUTTO
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Concepiscono i loro progetti, portandoli avanti con determinazione da sole e una volta realizzati li
propongono per la pubblicazione.
Sono artiste o artigiane?
Le fotografe giovani si definiscono facilmente artiste mentre le professioniste di trent'anni fa si
definiscono orgogliosamente artigiane, ma è il linguaggio ad essere cambiato e ormai l'artista è
semplicemente chi manda avanti un progetto artistico personale.
Al centro di tutto quindi linguaggio visivo e ricerca di uno stile, per rivelare inquietudini e gioie,
sentimenti e passioni, per ognuno un distinto codice interpretativo e un distinto modo di guardare,
affinchè uscisse un po' di se stessa.
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ESSERE DONNA
“La grande differenza della donna fotografa è che sa guardarsi dentro prima di iniziare a
guardarsi fuori”.
Giuliana Traverso
E’ fuorviante generalizzare dentro un mondo, quello della fotografia, che in realtà è una
costellazione di forti individualità, tuttavia mi sono fatto un’idea, guardando da sempre con
vivissimo interesse la produzione di alcune grandi autrici. A voler essere molto sintetici,
l’impressione che mi trasmettono rivela spesso una capacità di approfondimento superiore
rispetto a molti loro colleghi uomini.
Meno preoccupate dagli aspetti tecnici, meno narcisiste nel fare foto destinate a stupire, hanno in
genere una maggiore capacità di “empatia fotografica”, intesa come istintiva inclinazione ad
occuparsi intimamente ed emotivamente degli altri, dei loro soggetti.
Nel lavoro The Julie project – per esempio – la fotografa americana Darcy Padilla documenta le
drammatiche vicende umane di Julie dal 1993 al 2010, e solo alla morte della ragazza ritiene
concluso il lavoro. La storia e la vita della povera Julie s’intersecano indissolubilmente con la
storia la vita della fotografa. La parola che meglio racconta l’approccio fotografico di una donna
è compassione, nel suo senso più alto.
Empatia e compassione si celano spesso (come nel caso appena citato) dietro la facciata di foto
dure o durissime, perché talvolta lo sguardo femminile sulla realtà e sulla società è duro, come
dura può essere la vita. Duro non significa cinico. Duro, in questo caso, significa vero, onesto,
magari anche politicamente scorretto. Ma sempre etico.
Quanto coinvolgimento nelle foto di Diane Arbus, Donna Ferrato, Mary Ellen Mark, Graciela
Iturbide, Francesca Woodman, Nan Goldin, Carla Cerati, Flor Garduno (solo per citare qualche
nome, di varie nazionalità e di varie epoche).
Alcune, schiacciate forse dal peso caricato su di sé nel costante confronto con i lati oscuri
dell’esistenza (propria o altrui), di cui è impossibile stabilire se la pratica fotografica è causa o
sintomo, hanno chiuso anzitempo il loro cammino con un gesto estremo (Arbus e Woodman).
In altre continua, ossessivo, l’eco interiore delle urla di dolore registrate nelle fotografie fatte anche
molti anni prima, con una grande difficoltà a prenderne le distanze per rivedere nuove luci, come
ammette una grande donna prima ancora che grande fotografa, Letizia Battaglia. Ella tenta di
rimarginare le ferite ancora aperte rivisitando, oggi, il senso delle sue foto sociali in una Palermo
insanguinata (tra cui le intense e tragiche foto di mafia che l’hanno resa famosa), ricollocandole nel
tempo e nello spazio in dialogo con nuove recenti foto che parlano di bellezza, di femminilità, di
armonia. Una sorta di necessaria terapia visiva.
Guardare il mondo, la vita, i fatti e le persone con occhi di donna significa fotografare con l’urgenza
di mettere in un rettangolo l’esito emotivo e la sintesi intima di tale visione. Così, più che per la
composizione o l’originalità, le immagini di molte fotografe s’impongono a noi per la densità.
Potessimo pesarle con un’ipotetica bilancia, risulterebbero dotate di un enorme peso specifico.
Per il resto, ognuna elabora uno stile proprio, aree d’interessi specifici, linguaggi diversi, né più né
meno di ciò che fa ogni fotografo, senza distinzioni possibili legate all’identità.
Molte fotografe sembrano avere una tendenza naturale a creare immagini pulsanti, calde
grondanti. Foto che hanno quasi una febbre, un’ansia interna.
Se dunque la fotografia è, e dovrebbe sempre essere, anzitutto una grande passione, forse al
femminile può avere davvero una marcia in più.
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Parlare di donne protagoniste della fotografia, e non oggetti, non deve far pensare ad atteggiamenti
di rivendicazioni femministe. L’arte non ha sesso. Sottolineare ‘le differenze’, supposte, sarebbe
mortificante proprio per le donne che hanno lasciato, e continuano a lasciare, impronte indelebili
nell’evoluzione della fotografia come arte autonoma.
Il secondo sesso, scritto nel 1949 da Simone de Beauvoir, l’autrice dichiara che donne non si
nasce ma si diventa, proprio a causa delle pressioni provenienti dal contesto sociale, che definiscono
la donna come “l’altro” rispetto al soggetto maschile. Attraverso un discorso che affronta la
biologia, la storia e la cultura, Simone de Beauvoir sostiene la possibilità per le donne di sottrarsi a
tale subordinazione, liberandosi da quello che non deve essere considerato un destino
inevitabile, per affermarsi come individui capaci di andare oltre la propria condizione.
Molti anni sono trascorsi dalle teorizzazioni di Simone de Beauvoir e molte volte sono cambiati
gli orizzonti e mutate le tensioni; il corpo e il genere sono stati i veicoli privilegiati che hanno
introdotto un nuovo secolo e le grandi autrici della storia sono soggetti agenti, tutte hanno scelto di
“stare al mondo”, scrutando, riprendendo e guardando cosa costantemente del mondo cambia: un
vero e proprio itinerario di visioni, orizzonti, scorci.
Hanno scelto la fotografia come territorio identitario, simbolico, erotico, politico e poetico, non
per rappresentare e indagare le loro storie personali, ma per dare voce ad alcune delle più potenti
tensioni del contemporaneo: l’identità, la relazione, la violenza, la differenza.
Uno sguardo sul mondo a partire dal proprio senso di responsabilità. Un idea che rimarca come
la fotografia negli ultimi anni abbia scelto di divenire una sorta di coscienza del mondo, facendosi
testimone anche di quello che spesso viene occultato. Gemelli monozigoti, bambini già
adulti, ambiguità sessuale, ma anche il ritratto di un poeta e le immagini della morte violenta,
e la bellezza di avventure epiche e il manifesto di una rivendicazione di genere e altri immaginari e
nuove tribù e i conflitti familiari e gli strumenti legali della pena di morte.
Ogni opera diventa la provocazione di un dialogo profondo e intimo tra i soggetti delle fotografie e
lo spettatore, raccontando uno scorcio indefinito della comune condizione umana, un “invito alla
consapevolezza” dell’esistenza di mondi differenti e spesso estranei uno all’altro ma sempre e tutte
scegliendo, in controtendenza, il pensare all’opera come qualche cosa che vive e si sviluppa nella
dimensione reale dei rapporti umani, e delle dimensioni vincolate dalla fisicità dello spazio e del
corpo: un’opera di interazione tra persone che non lavorano su un prodotto spettacolare, bensì su
un’esperienza umana, a volte legata al dolore fisico, alla sofferenza e alla morte, ma anche alla
possibilità di scegliere, di cambiare, di diventare altro. Freak, mostri, prostitute, animali, stranieri.
Michel Foucault pone la questione della posizione del soggetto all’interno della società: “Come
nella nostra cultura gli esseri umani vengono resi soggetti?”.
L’oggettivazione del soggetto, per Foucault, si sdoppia in due momenti precisi: il primo riguarda
le metodologie e le strutturazioni del sociale che si danno lo statuto di scienze, il caso del soggetto
che lavora, inserito nella più vasta analisi della ricchezza o dell’economia, ne è un esempio
chiaro. Il secondo momento si identifica con quello che Foucault chiama ‘pratiche di divisione’:
“Il soggetto è diviso al suo interno o è diviso dagli altri. Questo processo lo oggettiva “. E qui si
affiancano le categorie di pazzo o normale, del malato e del sano, e dall’opposizione dell’uno nei
confronti dell’altro si definisce l’identità del soggetto, la figura di un ‘preciso’ soggetto, e, dunque
della sua collocazione.
La caratteristica principale è l’assoluta centralità del dialogo con il reale, una centralità che
stabilisce un vincolo stretto con le forme del mondo, nel recupero di materiali di vita. Che si tratti di
uomini o donne, che si tratti di una stanza o di un letto, che si veda una panchina o una sedia
elettrica, il modo di comporre le opere non è mai in riferimento a un reportage, al gusto
dell’istantanea, ma si percepisce fortemente la capacità di inventare e costruire le storie a partire da
un pensiero poetico, da un’idea di ciò che potrebbe accadere e spesso accade.
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L’obiettivo, ambizioso e doveroso, è di tracciare una guida di ‘appunti’ per mettere in risalto un
patrimonio di cultura e creatività che traspare dalla storia della fotografia internazionale, fin dagli
albori e che, per quasi centosettant’anni, ha imposto un modo spesso assolutamente insolito di
vedere.
Una storia della fotografia, osservata da angolature diverse, che non mancherà di stupire per
genialità e sensibilità, per innovativi atteggiamenti e libertà espressiva.
Le donne in fotografia sono state tante e bravissime, ed oggi sono protagoniste delle più rilucenti
sfaccettature di un diamante purissimo, la fotografia nelle arti visuali, che sta regalando galattiche
avventure nell’universo dell’immagine.
Il percorso, assai complesso, tocca i punti focali dei generi in fotografia e attraversa le epoche e le
diverse culture d’Europa e Americhe, e del nascente impegno in Africa, Asia, Australia, in spazi
pubblici e gallerie private.
Le frontiere non esistono, nemmeno i confini alla creatività, miracolo della fotografia.
Un’affascinante ‘giro del mondo’ a bordo della macchina del tempo che, dal 1860 alle ricerche
contemporanee, plana in tantissimi Paesi e si sofferma a mettere in luce genialità incomparabili con
immagini indimenticabili.
“L’anatomia è il destino” suppose Sigmund Freud, condannando drasticamente l’umanità in gabbie
di ruolo ben definite: maschio e femmina.
Una sua discepola, Karen Horney, già nel 1923 cominciò a confutare questa dottrina e argomentò
che è la cultura e non la biologia ad incidere in modo determinante e primario sulla personalità.
E in riferimento ad un’altra perniciosa teoria freudiana, l’invidia che le donne proverebbero nei
confronti del sesso maschile, in ‘New Ways in Psychoanalysis’, del 1939, scrisse: “ Il desiderio di
essere un uomo...potrebbe essere l’espressione del desiderio per tutte quelle qualità o privilegi che
la nostra cultura considera maschili come la forza, il coraggio, l’indipendenza, il successo, la
libertà sessuale e il diritto di scegliere il proprio partner.” Ozioso sottolineare che la Horney ebbe
un padre terribilmente autoritario e che la sua volontà di famiglia perché professione disdicevole per
la buona società del tempo.
‘The Women’s Eye’, pubblicato nel 1973, è forse il primo libro che prende in considerazione la
fotografia
al femminile: Gertrude Käsebir, Frances Benjamin Johnston, Margaret Bourke-White, Dorothea
Lange,
Berenice Abbott, Barbara Morgan, Diane Arbus, Alisa Wells, Judy Dater, Bea Nettles, riunite
insieme e non hanno nulla a vedere fra loro, se non il sesso. Anne Tucker apre il testo della
prefazione con:
“È l’anatomia un destino? Siamo molto lontani da rispondere a questa domanda. Tutti i dati al
momento disponibili riflettono le differenze fra donne e uomini imposte dalla società patriarcale
nella quale viviamo.
Fino a che le divisioni saranno così rigidamente definite ed imposte, sarà impossibile sapere se le
differenze sono naturali, e se lo sono, in ogni caso forzano le relazioni ai tradizionali stereotipi.
Certe sensibilità sono esclusive del femminile? Si possono decifrare tali sensibilità in particolare
nell’arte di un individuo?L’arte può e potrebbe essere distinta come femminile o maschile?
...Esiste di fatto un’arte femminile? O, ponendo la questione in altro modo, si può identificare il
sesso
dell’artista attraverso la sua arte?...La gente spesso presume certe distinzioni fra arte maschile e
femminile. Trova delle differenze nelle attitudini e descrive queste differenze usando gli stessi
aggettivi
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con i quali abitualmente si descrivono i comportamenti. Gli uomini sono ritenuti più distaccati
dai loro soggetti, clinici, piuttosto che compassionevoli nell’osservazione. Arguti, le donne prive di
senso dell’umorismo. Le donne realizzano morbide, delicate immagini. Non sono dure, ostili, o
crudeli.”
alligatore in una vasca. La realtà con la quale si confronta la sconvolge a tal punto che racconta di
aver avuto un terribile incubo: veniva inseguita dalle rilucenti Buick che aveva fotografatoper la
pubblicità. Le automobili cercavano di travolgerla, di inghiottirla.
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Fortune non pubblicherà il servizio, troppo crudo per una rivista patinata.
Le immagini saranno raccolte due anni dopo nel libro ‘You Have Seen Their Faces’ (Avete visto i
loro volti) con i testi di Caldwell. Dura, volitiva, coraggiosa, e di intensa sensibilità. Le sue
fotografie non lasciano alcuno spazio all’immaginazione, rigorose, prive di sbavature, testimoniano
ciò che è.
Esemplare la ripresa ‘Bread Line during Louisville flood, Kentucky 1937’ della Bourke-White che
coglie una scena paradossale: povera gente, nella maggior parte nera, in fila per ricevere del cibo,
sovrastata daun enorme manifesto che glorifica ‘Il più alto standard mondiale di vita’ degli Stati
Uniti con l’immagine di una famiglia felice a bordo di un’automobile.
È una fotografia tremenda, l’ironia è caustica e colpevolizzante. Rappresenta la sintesi spietata delle
reali condizioni di un Paese spaccato a metà, ‘How the Other Half Lives’ è il libro di immagini che
Jacob Riis aveva mandato alle stampe nel lontano 1890.
Prova un sadico piacere nel sottolineare la diversità delle persone emarginate e sfortunate, e
nell’inasprire le apparenze patetiche fino a trasformarle in caricature sadiche.
Non aveva alcun rispetto per gli altri, e non è vero, come alcuni sostengono, che è stata la pioniera
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di un nuovo stile documentario. La crudeltà non è uno stile ed è stata la più cattiva in assoluto
nell’intera storia della fotografia, uomini compresi.
Priva di compassione, di senso della solidarietà, di amore, si è suicidata, e come può un essere
umano continuare a vivere se considera i suoi simili solo nei lati oscuri?
A qualcuno verrà in mente Joel Peter Witkin per riabilitare la Arbus, credendo che egli sia andato
ben oltre. Il lavoro di Witkin può far rabbrividire, ma si regge su un concetto agli antipodi:
riscattare gli innocenti che il Cielo ha punito con le malformazioni più crudeli e renderli
protagonisti della vita, in elaboratissime messe in scena, restituendo loro dignità e bellezza.
L’espressione creativa non ha sesso.
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ESSERE DONNA NELLA STORIA DELLA FOTOGRAFIA
Le donne in fotografia, comunque, hanno subito pressioni psicologiche, ostracismi e isterici rifiuti.
La determinazione, la chiarezza della volontà sono da sempre le leve che le hanno spinte nel
perseguire
un cammino non facile, anche per le più privilegiate.
Esempio è Julia Margaret Cameron , la prima grande autrice che si è inserita nella storia della
fotografia.
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dominato la cultura fino ad oggi: Beaumont Newhall e Helmut Gernsheim, o sorvolate a volo
d’uccello nellepubblicazioni più recenti e monumentali.
Perdute nell’oblio della cancellazione di identità, come tirare un tratto di penna o meglio, in termini
contemporanei, pressare il tasto canc del computer e frantumarle nell’hard disk.
Erano donne e avevano seguito uno stile altamente disprezzato dai
guru teorici che vedevano la fotografia secondo dei parametri
diretti/straight, cioè quel tipo di fotografia teorizzato da Stieglitz e
che diventerà l’ossessiva cecità della produzione americana, fino alla
rivolta negli anni Ottanta.
Alfred Stieglitz,
The Steerage
, 1907
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In Messico, il 1927 è l'anno dell'iscrizione al Partito Comunista Messicano
e l'inizio della fase più intensa del suo attivismo politico. In quel periodo le
sue fotografie vennero pubblicate su numerosi giornali di sinistra, tra cui
l'organo ufficiale del PCM, El Machete.
Si pensa che Modotti sia stata introdotta alla fotografia quando era ancora
in Italia, dove suo zio Pietro gestiva uno studio fotografico. Anni dopo,
negli USA, suo padre aprì uno studio simile a San Francisco, accrescendo il
suo interesse per questa forma d'arte. Comunque fu la sua relazione con
Weston che le permise di praticare e migliorare le sue capacità, fino a
divenire un'artista di fama internazionale. Tina Modotti ha tracciato la via a
Manuel Alvarez Bravo, seguito dalle sue discepole che hanno dimostrato
intelligenza indipendente e creatività originale, egli suddivise la carriera
della Modotti in
Tina Modotti
Ritratto
due periodi: quello romantico e quello rivoluzionario. Il primo include il periodo trascorso con
Weston come assistente in camera oscura, poi come contabile e infine come assistente creativo.
Insieme aprirono uno studio di ritrattistica a Città del Messico e ricevettero l'incarico di viaggiare
per il Messico per fare fotografie da pubblicare nel libro Idols Behind Altars, di Anita Brenner. In
questo periodo venne scelta come "fotografa ufficiale" del movimento muralista messicano,
immortalando i lavori di Orozco e di Diego Rivera. Molte delle foto dedicate ai fiori sono state
scattate in quel periodo.
Nel dicembre del 1929 una sua mostra venne pubblicizzata come "La prima mostra fotografica
rivoluzionaria in Messico": fu l'apice della sua carriera di fotografa. All'incirca un anno dopo fu
costretta a lasciare la macchina fotografica dopo l'espulsione dal Messico e, a parte poche eccezioni,
non scattò più fotografie nei dodici anni che le rimanevano da vivere.
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cinematografiche. Lo raccontava con serenità, e grande dolore, unito alla cupa disperazione di
essere la mancata suocera di un desaparecido: il giovane fidanzato della figlia Alicia che aspettava
un bambino.
Annemarie è il mito della fotografia argentina, ed esemplare autrice di un’epoca, per la
compostezza delle sue inquadrature, la bravura nel modulare le luci che plasmano le forme e le
linee. Ogni artista di teatro (attori, musicisti, ballerini) che andava a Buenos Aires si recava nello
studio di Annemarie per un ritratto, come tutta l’alta società.
Le Americhe ‘parlano’ al femminile in fotografia e ne sono coscienti, anche se negli Stati Uniti la
prepotenza maschilista ha tenuto spesso le donne in sotto tono.
Per questo motivo, negli ultimi due decenni si sono moltiplicate le organizzazioni e gli eventi al
femminile, a volte di esasperata rivendicazione femminista, in genere di pacata volontà a correggere
le vistose ‘dimenticanze’ ed attribuire le corrette collocazioni all’interno della storia della
fotografia.
Il ‘Women in Photography International’ è stato fondato nel 1981 con l’intento di: ‘ comunicare
idee,opportunità e la passione per la fotografia’. Ogni anno il WPI lancia un concorso, suddiviso in
diverse categorie, ma è beffardo che della giuria facciano parte anche degli uomini. Dal 1985, onora
con il Distinguished Photographers Award le donne che hanno contribuito in modo significativo
all’evoluzione della fotografia. A Ruth Bernhard, per il suo centesimo compleanno, è stato
riservato uno speciale riconoscimento.
In quell’occasione, la Bernhard ha rilasciato una sorta di testamento morale:
“ Ogni volta che realizzo una fotografia celebro la vita che amo e la bellezza che conosco e la
felicità che ho provato. Tutte le mie fotografie rispondono alla mia intuizione...Dopo così tanti
anni, sono ancora motivata dallo splendore che la luce crea nel trasformare un oggetto in qualcosa
di magico. Ciò che gli occhi vedono è un’illusione del reale. L’immagine in bianco e nero è ancora
un’altra trasformazione. Ciò che davvero esiste, non potremo saperlo mai.”
Sorge la grande scuola della Bauhaus, emerge la volontà di sperimentare, di osservare il mondo e
scomporlo in nuove avventurose esperienze.
Lucia Moholy, che spinge il marito Làzslò Moholy-Nagy ad interessarsi alla fotografia, è
attivissima in molti progetti della Bauhaus, dal 1923 al 1928.
Il suo strumento è la fotografia, riprende i ritratti dei docenti della scuola - i più grandi artisti
dell’avanguardia storica - l’architettura e gli spettacoli del teatro all’interno della Bauhaus,
interpretando appieno la pulizia severa dell’arte modernista. Il suo esempio è stato determinante per
l’evoluzione in fotografia della Bauhaus.
Il suo lavoro è di recente riscoperta e valutazione, ovviamente. Fino a pochi anni fa era, ben di rado,
menzionata solo come moglie del grande genio. Nel 1919, si iscrive al laboratorio di ceramica, la
giovane Toni von Haken , conosce Eberhard Schrammen, a capo dei laboratori dei metalli e della
pietra, che già aveva contribuito alla creazione della Bauhaus stessa.
Nel 1929, si trasferiscono a Gildenhall, una comunità d’artisti appena fondata. Inventano una
tecnica che denomineranno Foto-Grafik, complessa sintesi di fotogramma (la fotografia senza l’uso
della macchina fotografica che risale addirittura agli albori dell’invenzione della fotografia con i
disegni fotogenici di Henry Fox Talbot, e quasi un secolo più tardi, ‘riscoperta’ da Man Ray,
(delizia di dada e surrealisti) e découpage (l’arte di ritagliare frammenti d’immagine per creare
nuove composizioni, ritornato tanto alla moda oggi). Al fotogramma/découpage si dedicò anche
Picasso assieme ad André Villers, con risultati, a dire il vero, inverecondi.
La Von Haken sceglie come tema fondamentale del suo lavoro il mondo infantile: i giochi,
l’apprendimento e le meravigliose scoperte del Creato (i piccoli animaletti del bosco, l’aquario, i
fiori). È un’immagine sintetica di grande estensione narrativa, è un’invenzione sperimentale che
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non ha avuto
seguaci per l’estrema difficoltà di realizzazione.
La Germania, e l’area tedesca, la Francia degli anni Venti e Trenta sono il fecondo territorio dove si
esprimeranno genialità al femminile di prodigiosa forza: Ilse Bing, Lotte Jacobi e Trude
Fleischman,
quest’ultima è una riscoperta recentissima, malgrado sia stata una professionista affermata con
studio a
Vienna, dove le giovani speranze della fotografia internazionale approdavano in cerca di consigli.
In
seguito, si rifugiò negli Stati Uniti per continuare il proprio
lavoro.
Negli anni Novanta, si affaccia timidamente la scoperta di Claude
Cahun e nell’attuale impeto di
esplorazioni che sta scavando le falde profonde della fotografia
come una sonda perforatrice ne saltano
fuori di recuperi belli, e disutili, per la gioia degli autentici cultori,
e degli smaliziati galleristi.
Lucy Schwob, francese, adotta uno pseudonimo e sceglie ‘Claude’
come primo nome che è sia
maschile che femminile. Di nuovo la volontà evidente di annullare
le identità anagrafiche. È il 1917 e rifiuta il ruolo di donna che la
società le impone, ma lo interpreta, nei più diversificati
personaggi, in autoritratti, forse un pò ingenui, di certo
interessanti per meglio definire le frange meno note del
surrealismo.
Claude Cahun. Self-portrait. 1929
‘L 'anatomia non è il destino’ perchè modificabile, anche senza ricorrere al bisturi, e ogni individuo
è libero di scegliere l’aspetto esteriore che più si accorda al proprio sentire.
In sintonia con questa coscienza recuperata, il giapponese Yasumasa Morimura cancella il ruolo che
l’anagrafe gli ha imposto e incarna, in una finzione/desiderio, personaggi della più squisita
femminilità: dive del cinema, desiderate ardentemente dagli uomini, icone dell’arte europea e
l’immaginario ossessivo di Frida Kahlo, la più ambigua e sfuggevole delle artiste moderne, in
un’identificazione così cosciente da lasciare le tracce della sua appartenenza culturale.
Il ritratto è uno dei territori tradizionali dove le donne hanno espresso le loro capacità professionali,
spesso imponendosi in concorrenza con gli altri studi.
Dorothy Wilding, la più stimata e corteggiata fra i fotografi di ritratto in Gran Bretagna, e in seguito
a New York dove aprì un altro studio nel 1937, frequentato dalla migliore società. Nello stesso
anno, in occasione dell’incoronazione di Giorgio VI, fu nominata Fotografo Reale, la prima donna a
ricevere questo onore.
Talento naturale nel modulare la luce, i suoi ritratti sono un capolavoro di perfezione compositiva e
di armonia. Il suo archivio è conservato con rispetto ed ogni precauzione nella British Royal
Collection. La stessa sorte non è toccata a Ghitta Carell nome piuttosto noto in Italia, è stata la
regina indiscussa dei ritrattisti, anche se troppo spesso liquidata, da una furia revisionista che si può
applicare all’arte, con etichette stupide ‘ritrattista di regime’ e dei ‘signori d’Italia’. È vero, nel suo
studio hanno posato tutti i personaggi che contavano fra gli anni Trenta e Quaranta: aristocrazia,
alta borghesia, politica, finanza. Abilissima negli artifici tecnici (luci e ritocchi), è, comunque,
riuscita a realizzare una galleria di ritratti di forte potere narrativo, e spesso di grande suggestione. È
stata vittima anche di un disgustoso delitto: nel 1969 si trasferisce in Israele e affida tutte le sue
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lastre alla 3M che incarica un allora imperversante personaggio, tuttora vivente, della fotografia di
organizzare l’archivio.
Marie-José di Savoia
Ghitta Carell
Questo personaggio, che ha procurato più danni alla
fotografia in Italia di quanti ‘infiniti dolori inflisse agli Achei’,
consigliò di stampare tutte le lastre, riprodurle in negativi,
operazione che eseguì personalmente a fronte di congrua
retribuzione, e distruggerle. La carta utilizzata non era adatta a
restituire i soffici passaggi tonali della Carell , tantomeno la
pellicola negativa 35 mm. troppo dura. Le lastre sono finite nella
discarica, le fotografie originali della Carnell sono rare preziosità e
ciò che ci rimane di un patrimonio sono delle impossibili
riproduzioni.
L’accesso alle donne in fotografia si un po’ dischiuso, anche in
Paesi che il mondo occidentale ritiene
serrato in insormontabili muraglie.
Gli Stati Uniti ignoreranno le esperienze della fotografia sperimentale e tutta l’arte dell’avanguardia
storica, con un notevole ritardo nell’evoluzione che sarà recuperato soltanto negli anni Sessanta con
l’invenzione autoctona della Pop Art.
Nei primi decenni del secolo, pertanto, alla corrente pittorialista si contrappone una visione
razionalista che sarà dominante, almeno nella stesura dei saggi sulla storia della fotografia
pubblicati in epoca posteriore.
Berenice Abbott è un inconsueto prodigio di oggettività, sempre che si possa applicare tale
termine alla fotografia che oggettiva non lo è mai. Durante il suo soggiorno a Parigi, comprende la
straordinarietà delle escursioni e vagabondaggi fotografici di Eugène Atget, un altro che ha ricevuto
la benedizione di imbattersi in un ‘contesto’ made in USA, altrimenti sarebbe stato polverizzato in
una qualche nebulosa.
Rientrata a New York, viene incaricata di un progetto imponente: testimoniare la città. ‘Changing
New York’ uscirà nel 1939, dopo dieci anni di lavoro. Nel 1958, inizia una serie di fotografie per
illustrare i fenomeni della fisica.
Tutte le immagini della
Abbott, a primo sguardo
sembrano,
pure/dirette/straight,
secondo la
terminologia e la teoria
tanto adorata dalla
storiografia critica
statunitense, ed è stata la
fortuna
della Abbott , una delle
rarissime autrici che
viene menzionata nei
testi.
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Pike and Henry Street
Berenice Abbott
1936
Francesca Woodman
Autoritratto 1975
Con gli anni Ottanta, finalmente, la fotografia negli Stati Uniti si risveglia dal lungo e pernicioso
letargo che l’ha esclusa dalle eccitanti avventure dell’Europa.
E sono proprio le donne in prima linea con la fantasia delle costruzioni di Sandy Skoglund che
mette alla berlina, in surrealistiche ed attualissime realizzazioni, la classe media e le irresponsabili
azioni della società contemporanea. Tutto sembra gioioso e ludico nelle sue immagini, eppure là è
palesato il pericolo, e l’alienazione collettiva.
Cindy Sherman, in un continuo trasformismo, ha fatto di se
stessa soggetto e interprete. Tutti gli stereotipi femminili,
come sono vissuti nella mente degli uomini, sono riprodotti
in autoritratti, con un’ironia mordace. Un repertorio di
impersonificazioni che, con il passare degli anni, ha investito
altri territori con rocambolesca fantasia.
Negli Untitled Film Stills Cindy Sherman, vuole presentare i
vari aspetti della donna tramite alcuni scatti. Le immagini che
propone, forzano lo spettatore a "spezzare" l'immagine e
Cindy Shermann
Untitled Film Stills
l'identità che le donne sperimentano ogni volta. Ogni immagine avvicina lo spettatore a costruire la
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natura della donna, ma allo stesso tempo, avvicinandosi così tanto all'identità femminile,
indebolisce questo tipo di costruzione. C'è una dualità nelle opere della Sherman: da una parte, il
fantasticare su ciò che mostra l'immagine, dall'altra la rappresentazione stessa della fotografia.
Cindy Sherman, mostrando i tipi di donna e di femminilità, ci offre lo stile di visualizzazione e
simultaneamente il tipo di femminilità: questi due aspetti sono inscindibili. L'osservatore non vede
la rappresentazione della donna, ma la donna stessa, in quanto l'immagine diviene surrogato della
realtà. Ogni posa ed espressione facciale sembrano esprimere un'immisurabile interiorità e una
totale identità femminile. I frame congelano i momenti della performance e il senso della
personalità è intrappolato nell'immagine stessa; l'espressione facciale è quasi un'impressione della
situazione, ed il volto registra una data reazione.
Anche Orlan è la protagonista diretta delle proprie opere. Qui, però, ci scontriamo con un fenomeno
di metamorfosi non fittizia: Orlan, a partire dagli anni Novanta, si è sottoposta a dolorosissime ed
interminabili operazione chirurgiche per trasformarsi fisicamente. Chirurgia estetica che è la
negazione del costume corrente, e dei condizionamenti di una società che celebra la giovinezza e la
bellezza ad ogni costo. Sorpresa da come i canoni di bellezza varino nelle diverse culture e civiltà,
ha dapprima studiato a fondo l’iconografia delle etnie precolombiane per creare la prima serie ‘Self-
Hybridation’, elaborata al computer, che proseguirà, in anni successivi, rivolgendosi all’Africa ed
agli indiani americani. Era molto bella Orlan, secondo i criteri occidentali, e dimostra, oggi, che
certi concetti sono privi di significato, piuttosto presentano variabili infinite.
Da pochissimi anni si è dischiuso un nuovo mondo, sorprendente, la Cina che, non avendo
tradizioni in fotografia da rispettare o seguire, si sta inventando tutto con un anticonformismo
strabiliante.
Cui Xiuwen è esplosa alla ribalta internazionale a metà degli anni Novanta, a circa venticinque
anni. Le sue bambine, i soggetti delle opere, sono innocenti tramite di metafore complesse.
L’abbigliamento -divisa scolastica, sempre con la camicetta bianca e il fazzoletto rosso al collo- non
è scelta estetica, ma ‘segnaletica’ per veicolare il messaggio: bianco purezza, rosso patriottismo,
secondo gli stereotipi degli anni Cinquanta in Cina.
Le bambine, la bambina, rappresenta se stessa, o meglio ogni donna cinese, confusa e smarrita,
consapevole e volitiva, sognante e realistica, in un coacervo di sentimenti e pulsioni che dal passato
politico riemergono nel presente, così diverso ed inaspettato.
Paese, invece, di grande tradizione è il Giappone, dove però le donne artiste si contano ancora in
piccolissimi numeri.
Shinako Sato è un’esplosione di inventiva che risolve con i mezzi più disparati: fotografie, disegni,
piccoli adesivi, sculture, collages, ricami e murales. Il tema ricorrente è, ancora una volta, la donna,
sia pure analizzata in espressioni diverse, le sue fantasie e candore, la malizia e gli
impulsi.
“Vi sono stati pregiudizi storici contro le donne nella pittura e nella scultura. Siccome la fotografia
è una forma d’arte più recente vi è più apertura e accettazione. Hanno avuto più opportunità, e
sempre ci sono state buone donne fotografe quanti uomini.
Nel Ventesimo secolo, Imogen Cunningham, Margaret Bourke-White e Dorothea Lange hanno
dimostrato la continuità delle grandi donne fotografe nella storia.
Non significa che abbiamo avuto una vita facile. Fino a circa un decennio fa, secondo le persone
del settore, le donne difficilmente trovavano un impiego nella fotografia commerciale o nel
fotogiornalismo, e pertanto erano forzate a lavorare per conto loro.”
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New York, espresse il proprio punto di vista: “Credo che sono state tenute fuori da attitudini
maschiliste. Ma, in qualche punto, lungo il percorso, la diga si è rotta. Le donne posseggono
entusiasmo ed energia ed obiettivi.”
E vita facile, le donne, continuano a non averne, se Annie Leibowitz è stata incaricata del
calendario
Pirelli nel 2000, preceduta da soltanto altre due: Sarah Moon. La prima, nel 1972 e, a distanza di
diciassette anni, nel 1989, Joyce Tennyson, in una tradizione annuale che prende le mosse nel 1964,
quarantadue anni fa.
Non per questo si danno vinte, la scelta espressiva della Beecroft è stata quella di pensare e
realizzare performance, utilizzare il corpo di giovani donne più o meno nude, mosse secondo
precise coreografie, con opportuni commenti musicali o con il variare delle luci. Ciascuna delle
partecipanti deve attenersi a una serie di norme che Beecroft stabilisce prima di ciascuna azione,
con l'obiettivo di comporre "quadri viventi", esponendo in gallerie e musei di arte contemporanea.
Beecroft pone al centro della propria riflessione i temi dello sguardo, del desiderio e del mondo
della moda.
Vanessa Beecroft
La produzione artistica di Sam Taylor-Johnson si incentra sempre sul conflitto tra essere e apparire,
su quella linea di confine in cui il senso dell’identità si divide tra l’interno e l’esterno, tra le
esigenze sociali e quelle personali.
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L’intento è evidente nella struttura compositiva delle immagini, ispirata alla tradizione della
predella rinascimentale: un personaggio, solitamente Cristo, la Vergine o un Santo, già ritratto nel
pannello
principale, compariva nuovamente nei riquadri sottostanti, in cui venivano rappresentati episodi
della sua vita. Sam Taylor-Johnson sostituisce ai personaggi biblici della tradizione cristiana uomini
dell’era contemporanea e nella porzione inferiore dell’immagine concretizza, attraverso immagini
panoramiche, i desideri più reconditi dei protagonisti. Si tratta di visioni oniriche, criptiche,
traduzione d’immagini mentali che sottolineano la fondamentale soggettività della percezione
umana. L’osservatore non può che carpire significati parziali e sfuggenti di ciò che osserva, non può
innestare un senso definitivo sulla scena cui assiste. Allo stesso tempo, però, egli proietta la propria
soggettività sulle immagini, trasformando così l’immaginario privato dei protagonisti in qualcosa
che è a loro estraneo.
Chi siamo veramente, al di là di ciò che diciamo di essere, e chi sono gli altri? Stalker,
spogliarellista, dormiente, spia: tutte le sue opere cercano di ricostruire l’intimità dall’esterno,
attraverso minimi dettagli, e tramite queste opere Sophie Calle tenta di appropriarsi delle esperienze
degli altri. Nei suoi lavori la linea di confine tra la vita e l’arte è confusa. All’interno del panorama
delle arti visive, Calle è uno dei casi più interessanti dell’intreccio tra dimensione letteraria e
fotografia, nel quale si può realizzare un’interessante reversibilità dei ruoli.
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Sophie Calle
Statues Ennemies
C' è qualcuno che intanto in Italia nel 1974 documenta l’inizio degli anni di piombo nella sua città,
scattando foto dei delitti di mafia. Letizia Battaglia non è, ad ogni modo, solo la fotografa della
mafia, le sue foto, spesso in
bianco e nero, raccontano Palermo nella sua miseria e nel suo splendore: i suoi morti di mafia
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ma anche le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne, i quartieri, le strade, le feste e i lutti,
la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. Dal 1974 Battaglia fotografa
dunque, giorno dopo giorno, i delitti
mafiosi, documentando l’incedere
della violenza. «Solo allora ho
sentito che con le foto stavo
documentando qualcosa di storico.
Era una specie di guerra
civile, pian piano è diventato tutto
molto violento. Ci ho messo tutto
l’impegno e la serietà possibile,
perché sentivo di dover rispondere
sia alle istanze del giornale che alle
mie. Non bastava
fotografare, bisognava farlo con
rispetto, con partecipazione». Con
le
sue opere non solo ci mette di fronte all’orrore della morte, ma dà anche un volto al dolore di chi
rimane: sguardi di donne.
Sguardi di madri, mogli, figlie, sorelle di uomini uccisi dalla guerra di mafia. Dopo le stragi
del 1992 Letizia Battaglia decide però di smettere di fotografare morti: «Per anni ho fotografato
cadaveri ma mai gli assassini. Non si conoscevano mai. Se si trattava di un omicidio normale, il
killer veniva scoperto subito, ma nei delitti di mafia mai. Ci sentivamo umiliati, un popolo umi
liato e schiacciato da questa tragedia»
Dovremmo anche parlare di paesi assolutamente insospettabili si stanno svegliando con un impeto
inatteso, e con finalità mirabili.
A Kabul, in Afghanistan, si è inaugurata una mostra, la prima in assoluto nella storia del Paese, di
quaranta donne, appena istruite alla fotografia in un corso di dieci giorni, finanziato dall’United
Nations Population Fund.
Dieci giorni sembrano pochi, però queste donne sono in stato di estrema necessità. Durante le tre
decadi di guerra civile, soltanto a Kabul si contano 30.000 vedove, circa due milioni e mezzo fra
vedove e prive di risorse economiche nell’intero Paese. Il programma, che sarà esteso ad altre
province, le educherà ad un mestiere che permetterà loro di sopravvivere, stimolerà l’autostima e, di
conseguenza, migliorerà la loro posizione sociale.
Altri problemi di miseria e malattia, deve affrontare la Repubblica Democratica del Congo e chiede
il contributo delle donne, ancora.
“Grazie alle mie fotografie, desidero rendere più consapevoli le persone sull’AIDS, mostrare loro
le conseguenze della malattia e consigliarle. Ma, desidero anche dimostrare la speranza che ho
ancora in vita, malgrado la mia malattia .”
La dichiarazione di Julie, una delle quindici donne che la Fondation Femmes Plus di Kinshasa ha
istruito alla fotografia, in un programma del Christian Aid. Rimasta sola, dopo la morte del marito,
della piccola bambina e dei genitori, emarginata dalla comunità a causa della sieropositività, come
altre donne nelle sue condizioni, viveva per strada. Una storia ricorrente per tutte, con pochissime
insignificanti varianti.
Alessandra Sanguinetti mentre lavora alla serie On the Sixth Day, incentrata sull’interazione tra gli
allevatori e gli animali destinati al macello, l’artista conosce due ragazzine che vivono nella zona: si
tratta delle cugine Guille e Belinda, protagoniste del suo più noto progetto a lungo termine, che
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ritrae le due ragazze in diverse fasi della vita. L’opera in mostra, Sweet Expectations, è una serie
realizzata tra il 1992 e il 1997, in tempi e luoghi diversi, tra cui Brooklyn, Buenos Aires e Città del
Messico:
una scelta che rispecchia e ripercorre la vita stessa di Alessandra Sanguinetti, cresciuta tra
l’emisfero nord e quello sud del continente americano. I protagonisti delle foto – tutte in bianco
e nero – sono bambini ritratti in versione adulta, con abiti, atteggiamenti ed espressioni che
contrastano con la loro giovane età. L’artista fa così convivere due tempi contrastanti all’interno
delle sue fotografie: il tempo presente (quello dello scatto) e il futuro a cui alludono gli sguardi
pensierosi e pieni di aspettative dei bambini.
copie in tutto il mondo. Il complicato tema della violenza domestica la porta a tenere lezioni nelle
università americane e a interagire con avvocati, giudici, poliziotti, studenti e sindaci.
Nan Goldin osserva la parte trasgressiva e nascosta della vita della città con un approccio intimo e
personale. I ricordi privati divengono opere d'arte solo dopo la decisione di esporli. Ritrae amici e
conoscenti, ma anche se stessa come nel celebre Autoritratto un mese dopo essere stata picchiata. Il
suo stile diventa un'icona della sua generazione difficile ed esso assume un'ulteriore svolta dopo la
diffusione dell'AIDS che mette in discussione la sua fiducia nel potere delle immagini rendendole
chiaro che esse le mostravano solo coloro che aveva perso.
Kissing Gilles
Nan Goldin
1993
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mostra sull'AIDS a New York nell'89.
Donne intelligenti, capaci di apprendere una nuova tecnica e forti abbastanza da documentare la
loro vita quotidiana, le visite in ospedale e la tragica esperienza di questo flagello sociale.
Fin dall’inizio del corso, hanno incominciato a sentirsi meglio fisicamente e a curare il loro aspetto
(igiene personale, abiti, pettinatura e un filo di civetteria femminile). Alcune hanno gia ricevuto
commissioni per servizi fotografici. La fotografia come sistema taumaturgico.
Nel 2014, dopo undici anni di silenzio, pubblica Eden and After, una raccolta di fotografie dedicata
al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, in cui non vigono le restrizioni di genere e di
comportamento promulgate dalla società. Il suo ritratto con un occhio nero, lo sguardo fisso sul
partner con la testa affondata nel cuscino, dichiara guerra agli stereotipi: non c’è coraggio senza
fragilità.
Il lavoro di Bettina Rheims ammicca all’universo e ai codici della moda, pur riguardando temi
spesso ampiamente dibattuti nella società. La serie che la rende famosa, dedicata al mondo
degli acrobati e dello striptease, nel 1981 le vale una
mostra monografica al Centre Pompidou.
Al centro della sua ricerca sta il corpo femminile,
raccontato sempre con accenti sensuali, erotici ed
emotivi; nelle sue immagini «la sensualità è legata al
piacere e non al dolore, come spesso
accade in arte». Altro ambito d’indagine nel lavoro di
Bettina Rheims è l’identità: è del 1989-90
la serie Modern Lovers, ritratti in bianco e nero che
raccontano il corpo umano nelle sue forme
androgine e femminili. L’opera in mostra, Gender
Bettina Rheims
Gender Studies
Studies (2011), riprende la linea di ricerca avviata da Modern Lovers, portandola però a uno step
successivo: i protagonisti sono, questa volta, uomini e donne transessuali, o che hanno deciso di
vivere sulla linea di confine tra i due generi sessuali. I modelli sono ingaggiati con un procedimento
inconsueto per l’artista, che crea un profilo Facebook in cui, diffondendo immagini della prima
serie fotografica, invita chi «si sente diverso» a contattarla. Nonostante la sua iniziale diffidenza
verso i social network, Rheims ne scopre il potere di comunicazione e aggregazione: persone
apparentemente solitarie, che non hanno mai lasciato le proprie città, hanno milioni di amici virtuali
nel mondo.
A volte, purtroppo, le notizie che danno speranza vengono annullate da episodi barbari.
Reporters Senza Frontiere oggi hanno fermamente condannato i maltrattamenti fisici, incluse
percosse ed abusi sessuali, che hanno subito tre donne fotografe straniere dalla polizia di Città del
Messico, quando sono state arrestate durante un pesante attacco ad una manifestazione pacifica in
un sobborgo di San Salvador Ateneo, il 4 maggio. Le vittime sono María Sostres, spagnola,
Samantha Dietmar, studentessa tedesca di fotografia e Valentina Palma Novoa, studentessa cilena di
antropologia e cinema.
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María Sostres, Samantha Dietmar
2005
La polizia ha confiscato
anche macchine fotografiche, pellicole, registratori e
libretti di appunti. In un’intervista a WRadio, Sostres
ha dichiarato: “I poliziotti ci hanno schiaffeggiato,
fotografate e filmate, ci hanno spinto in una
camionetta, chiuso le tende e picchiate. C’era
sangue, ci hanno violentato e spogliate.”
Si direbbe un’infame storia di tempi remoti e tirannici,
avvenuta in una qualche contrada dalle sopraffazioni
sovrane. Quel 4 maggio è del 2006.
Una delle tante rivelazioni è la giovane, solo ventiquattro anni, molto bella, determinata e preparata
Alia Al-Shamsi, la prima fotogiornalista professionista degli Emirati Arabi, lavora per due
quotidiani del Dubai, unica donna.
Alia, sotto certi profili, non sfugge alla biografia di molti fotografi, il padre è un appassionato e
regala alla figlia la sua prima macchina fotografica quando ha solo sette anni. Apertura mentale sì,
ma quando Alia esprime il desiderio di essere fotografa, il buon senso paterno interviene e cerca di
dissuaderla. Ha perso, e ha vinto un talento naturale.
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Jodie Cobb
Geisha
E qui si può porre la domanda
dell’inizio, sia pure in termini
diversi: il talento è parte del DNA di
un
individuo?
Credo proprio di sì, gli studi costanti
sono il terreno sul quale sviluppare
idee ed evolversi, ma se non
esistono i presupposti di base, si
rimane confinati nella mediocrità.
E il fatto che delle fotografe - donne
anche loro, e non a caso - abbiano
sentito l’esigenza di raccontare le
loro storie.
Gli scatti che hanno realizzato, attraversando le strade del mondo animate dalla necessità di capire,
documentare, denunciare, raccontare e, in molti casi, sollevare veli e tabù di genere,
racconta Cobb, «nelle fotografie del National Geographic le donne avevano una funzione
puramente decorativa: gli uomini erano sempre mostrati in azione, mentre l’unico compito delle
donne sembrava quello di “essere carine”. La mia ambizione diventò allora mostrare le donne
all’opera nelle loro missioni quotidiane: contadine, soldato, in miniera».
Jodi Cobb, prima a varcare la soglia di molti contesti negati allo sguardo dei fotografi, ha svelato il
volto e la vita quotidiana delle donne saudite dietro la coltre nera dell’abaya e quello delle geishe
giapponesi dietro ai pesanti strati bianchi di polvere di riso, confrontandosi con culture e tradizioni
molto differenti nell’assegnazione dei ruoli di genere:
«Nonostante questo, le donne che ho incontrato volevano tutte le stesse cose: identità, sicurezza,
amore, rispetto. Un’istruzione e la possibilità di rendere migliore la propria vita e quella degli
altri. In molte culture la subalternità femminile ha radici in tradizioni secolari, ma la loro
condizione è destinata a cambiare via via che diventano più istruite e ottengono più credito per il
loro lavoro».
La sfida ai pregiudizi è una pratica a cui queste fotografe sono rimaste fedeli negli scopi che si sono
poste, nei rischi che hanno corso e nei soggetti che hanno scelto, perché, come ricorda un’altra di
loro, Carolyn Drake, «il genere al quale apparteniamo ha un ruolo determinante nel nostro modo
di guardare il mondo: le cose che mi interessano e la possibilità di avere accesso a quelle cose
dipende molto dal mio essere donna».«a una giovane donna che entrasse nello staff di una rivista
come il National Geographic darei un suggerimento molto diverso: sii te stessa, vai dove gli uomini
non possono andare, non pensarti mai diversa o inferiore.
E sii un fotografo, non una “fotografa donna”, perché questa è un’etichetta imposta dagli altri».
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FOTOGRAFIA AL FEMMINILE: LE LEZIONI APERTE DI SARA
MUNARI
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GIOVANI FOTOGRAFE CONTEMPORANEE
Attualità ed Emotività
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VIVIENNE BELLINI
Nata nel 1980 e figlia di Nino Bellini, noto pittore del panorama italiano degli anni '60 - '80,
sviluppa sin da piccola un profondo amore per l'arte e l'estetica.
Nel 2006 amplia le sue conoscenze e si trasferisce all'estero. Vive e lavora a Cape Town in Sudafrica per 2 anni. In
seguito agli incontri professionali nello studio fotografico The Pixel Foundry con Bryan Trylor ( Director /
photographer at Locker 14 Films ) e Malcolm Dare, guru del FoodArt, si dedica esclusivamente alle tecniche di post
produzione digitale, al retouch professionale per modelle e alla manipolazione fotografica.
Torata in Italia, partecipa a “Tribute to Deborah Turbeville” ( Evento creato da Franca Sozzani – Direttore di Vogue
Italia Megazine e Erika Cavallini Fashion Design )
Nel 2014 Viene rappresentata da Modern Art Etc ( Los Angeles ).
4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Ho bisogno di lavorare sulla mia autostima.
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8. Come hai cominciato a scattare?
Ho iniziato a scattare dopo aver visto in tv un documentario sul fotografo di moda Mario Testino.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue immagini
appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia vita e il quotidiano influenzano il mio modo di scattare per il motivo del punto7 ( vedi sopra
). Le mie foto parlano di me perchè sono parte di me, del mio percepire le cose.
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
Sì. Nelle mie foto c'è molto dell'arte di mio padre ( in pittura ).
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15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Le esperienze traumatiche di una persona CONDIZIONANO il modo di scattare di una persona. A
volte quando si scatta accade però che l'incoscio non si ancora in grado di parlare di sè e quindi
rimane latente. I fatti traumatizzanti possono a volte rimanere nascosti nei meandri della spiche e
quindi non venire esternati col mezzo
fotografico
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24. Postproduzione delle immagini,
favorevole o contraria?
Molto favorevole alla post-produzione
fotografica. Un processo molto creativo.
32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o buona
pubblicità?
La vedo come una cosa che non si dovrebbe fare. Poi dipende dalla cosa. Se mi porta pubblicità va
bene.
32
Tutti siamo artisti. Ci sono persone che
sono artisti di se stessi. Che si sanno
reinventare ogni giorno. Non mi
piacciono coloro che si definiscono artisti
solo perchè una loro opera ha avuto
consenso del pubblico. Dico questo
perchè spesso dietro questa loro
definizione di se stessi c'è solo un'
atteggiamento arrogante e presuntuoso,
che sono sentimenti negativi. L'arte è
sempre un'espressione positiva in se
stessa.
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2. Come mai hai scelto di legarti all'ambiente della moda?
Da piccola sfogliavo sempre le riviste moda che mia madre comprava. Sono sempre rimasta
affascinata dalla pubblicità e anche dagli spot pubblicitari. Una cosa che amo.
3. I tuoi soggetti hanno un leggero senso di malinconia che rende la foto quasi fragile, è
una cosa fatta apposta?
In realtà nelle mie foto la malinconia è forse una sensualità repressa.
6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Nei miei lavori cerco di dare una storia al viso della persona ritratta. Cosa esso mi comunica. Se
nello scatto finale lei sempre vivere in quel preciso luogo ed appare nella sua più intima bellezza,
allora il mio lavoro ha un senso.
7. Fiori e tessuti sono elementi che ritornano spesso nei tuoi scatti, sono opera tua?
Quando collaboro con stilisti e fashion stylist, i tessuti ovviamente sono opera loro, ma vengono
scelti da me per essere inseriti nel progetto a cui voglio elaborare. Spesso cucio e creo
personalmente gli abiti che le modelle indossano. A volte sono abiti vintage ripresi e adattati.
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8. Il bianco e nero è praticamente assente nei tuoi lavori, lo vedi distante dalle tue
opere?
ll'inizio del mio percorso fotografico, scattavo solo in bianco nero. Dopo il Sudafrica, mi risultò
quasi impossibile non comunicare il mio modo di sentire senza usare il colore. Ora vorrei
realizzare un progetto personale artistico in bianco nero.
9. Un tuo bellissimo progetto chiamato "marie antoniette" mette vicino uno scatto che
richama fluidi e fiori quasi a sembrare una texture accanto a una figura femminile, è
nato per un motivo preciso?
Questo progetto che amo molto è nato per caso. Le foto scattate alla modella fanno parte di un
Fashion Editorial con stilisti di Torino. Alla fine del servizio scattai delle foto non convenzionali
abbinando gli abiti che preferivo.
Nei giorni successivi volli realizzare dell foto still life con delle rose che stavano appassendo. Viste
poi in post produzione mi piacque abbinarle insieme. Non sempre le cose si studiano a tavolino, ma
il caso e le coincidenze rendono ancora più entusiasmanti le cose. Per questo amo anche la
fotografia. Mi sa sorprendere.
10.Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Sono sempre e in costante movimento. I traguardi non sono punti di arrivo, ma nuove
partenze.
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MARTA BEVACQUA
Nasce a Roma nel 1989. Inizia ad interessarsi alla fotografia durante la scuola; una volta diplomata nel 2008 si dedica
pienamente a questa passione, finché non diviene una professione. Dopo una mostra collettiva a Londra nel 2009, entra
in contatto con lo staff di Arcangel Images e inizia a collaborare per le copertine di libri, cui si dedica tuttora anche
freelance (fino a realizzare lo scatto per uno dei libri del premio Nobel Alice Munro -2014-) e attraverso altre due
agenzie, tra cui Trevillion Images. E’ solo dopo qualche anno che Marta inizia ad interessarsi alla fotografia di moda.
Dopo una pubblicità per Romeo Gigli Eyewear (2011) ed uno short course di Fashion Photography alla Central Saint
Martins School di Londra, comincia a realizzare diversi editoriali di moda, pubblicati su numerose riviste e campagne
pubblicitarie, come l’ultima per Generator Hostel Paris (2014). Nello stesso anno, partecipa anche a iniziative lanciate
da PhotoVogue (Vogue Italia), dopo essere stata selezionata più volte sul sito (esempio: PhotoVogue e Swatch, e nel
2015 al progetto The Desire of Excellence in collaborazione con Martini). Intanto realizza diverse mostre, numerose
collettive, ed una personale all’exEliografica di Perugia, durante l’Umbria Jazz Festival (2012) e un’altra a Bruxelles
nel 2015. Vincitrice di diversi concorsi, italiani e stranieri, e ottenuti menzioni e classifiche in concorsi come Px3 e
International Photography Awards,. Da gennaio 2014 vive a Parigi.
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2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?
Vivo a Parigi da un anno e mezzo, e prima ero a Roma, dove sono anche nata e cresciuta.
4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Non ci ho mai pensato, ma credo di essere piuttosto sicura. So cosa fare e mi sono sempre creata da
sola il percorso da seguire.
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8. Come hai cominciato a scattare?
Ho iniziato a 16 anni, e giocavo a vari giochi di ruolo fantasy, di cui uno online. Cercando una foto
o un disegno per rappresentare il mio personaggio, ho passato giorni a navigare su siti come
DeviantArt o Flickr. Una volta trovato ciò che cercavo, senza nemmeno rendermene conto, ho
continuato a navigare per ore, ogni giorno, su quelli e altri siti, sfogliando foto su foto, solo perchè
mi piaceva guardarle. A quel punto ho solo pensato che avrei potuto provarci anche io. Ho iniziato
con una compattina che si spegneva da sola, essendo rotta. Pur cominciando così, la passione è nata
subito, non ho più smesso.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Il mio lavoro è molto influenzato dalla mia vita quotidiana. Passo periodi su scelte cromatiche di un
certo tipo, per poi cambiare completamente direzione (per fare un esempio). Non è tanto la vita
quotidiana in sè, ma come mi sento in certi periodi. Sono una persona abbastanza emotiva, mi lascio
trascinare da pensieri, emozioni e cose che mi succedono o che succedono intorno a me. Da lì
cambia continuamente il mio approccio al mio lavoro. Però, quando ho lavori pagati, in cui mi si
richiede un certo servizio, cerco sempre di fare un lavoro ben fatto in linea con il desiderio del
cliente, mettendo da parte il mio gusto personale.
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una piccola famiglia, tutta al femminile, ma siamo unite. Anche mio padre però mi ha sempre
supportato tanto in tutte le mie scelte.
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Assolutamente si.
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19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?
Tantissimo, e mi piace molto. Spesso mi ispiro ad atmosfere e a particolari colori o luci visti nei
film.
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25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Dipende tantissimo dal tipo di shooting che sto facendo. Quando costruisco veri e propri set, è
importante avere un aiuto. Soprattutto quando mi dedico a lungo a un progetto è difficile, una volta
vederlo realizzato, capire se ci sono difetti o meno, se manca qualcosa, se funziona. Con altri occhi,
raggiungi livelli più alti.
Se però faccio ritratti semplici, preferisco essere da sola.
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32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Se viene scritto il mio nome, è una buona pubblicità.
36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Già Parigi è un'ottima destinazione. Il mercato della moda è forte, e anche quello dell'arte. Si dà
sempre spazio ai giovani e agli emergenti. Però vorrei provare anche negli Stati Uniti. In Europa
forse siamo troppi,
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39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?
Ce ne sono tantissimi. Con l'ondata dei social, è più facile dare attenzione a chi acchiappa più like
su facebook o cose simili. Peccato che non è questo che rende "fotografi".
1. Acqua, elemento dominante dei tuoi ultimi scatti, cosa rappresenta per te?
Ho sempre amato l'acqua, e fotograficamente parlando riesce sempre a rendere al suo massimo. La
cosa più incredibile è che si possono fare un milione di cose differenti con l'acqua, ed è impossibile
che non venga bene. E' sempre e soltanto un valore aggiunto a un ritratto o altri scatti fatti in
acqua.Cambia in continuazione rispetto alla luce, al luogo, o a come la fotografi. E' versatile e
sempre bella.
2. Ti senti più rappresentato dall'ambiente della moda o da quello della fine art?
Ora come ora fine art. Ho lavorato sui miei progetti artistici da quando ho iniziato, e solo negli
ultimi 3-4 anni mi sono concentrata davvero sulla moda. Mi piace molto la moda, ma anche con
essa provo sempre a dare un po' di fine art negli scatti.
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3. Un tuo progetto che ho amato è "Through the glass" come l'hai ideato?
In realtà l'idea è venuta un po' per caso. Ero a casa e fissavo incantata la finestra con i suoi riflessi e
l'idea di utilizzare i riflessi per le foto è arrivata subito (e non si può di certo dire che sia un'idea
originale). Da lì, come faccio sempre, ho iniziato a prendere appunti, e ho scritto parole, riflessioni,
qualsiasi cosa che mi ispirasse in quel momento pensando a una semplice finestra. Ci ho lavorato
molto, ho fatto una lunga lista, selezionando le idee più "potenti" e da lì ho iniziato la serie. I primi
scatti sono stati effettivamente effettuati sulla finestra di casa mia, per tanti altri ho solo usato un
vetro.
5. Mille piccole vite parallele i tuoi progetti che vivono un esistenza quasi surreale tra
pullman e librerie, parlami del tuo rapporto con l'ordinarietà.
Una cosa che mi piace fare con la fotografia è raccontare delle piccole storie. Storie che può
immaginare chiunque, come si vuole. E le storie migliori, e le più facili, sono proprio
nell'ordinarietà. Perchè alla fine c'è qualcosa di magico nell'andare in libreria e scegliere un libro
(un piccolo mondo personale che ti accompagna per un po') o viaggiare in autobus da soli (liberi di
pensare e guardare il mondo dal finestrino). Nelle cose ordinarie ci sono sempre piccoli momenti
personali, privati, e già solo per questo "magici"
6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
No. Tanti pensano che le ragazze con cui lavoro sono stupende, ma se le vedi dal vivo ti rendi conto
che, anzi, sarebbero potute essere le più bruttine della classe (ovviamente dipenda da ragazza a
ragazza). Tutte però risaltano attraverso l'obiettivo, con la luce giusta o il make up adatto, l'idea
azzeccata per loro o lo sguardo perfetto.
7. Considerazioni
libere su te stessa:
Sono un po' in
difficoltà, comunque
dirò quel che mi
viene da dire...
sono da sempre una
ragazza molto
riservata, e provo a
rappresentare mondi
nascosti, in cui
chiunque può
nascondersi.
provo a raccontare
storie immaginarie
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con le foto.
8. in "sogno di una notte di mezza estate" hai realizzato degli scatti con persone nude
in una composizione più che incantevole, mi fa pensare un pò a vanessa beecroft, come
hai realizzato il tutto?
Era un lavoro per una compagnia teatrale in occasione di uno spettacolo molto particolare. Il mio
lavoro, così mi era stato detto, consisteva in "creare opere d'arte come e quando ti pare". Dovevo
realizzare qualche scatto con l'intera compagnia, e ho solo rappresentato ciò che "sogno di una notte
di mezza estate" mi ha fatto venire in mente. Ho pensato a come vedrei 12 persone nude in rapporto
a questo spettacolo di Shakespeare, e da lì l'idea. Non nego che è stato difficile realizzare gli scatti,
erano tanti, e nessuno abituato a stare di fronte all'obiettivo, ma sono super soddisfatta del risultato.
9. Hai realizzato veramente pochi lavori in studio, pensi sia limitativo per la tua arte da
preferire sempre luoghi esterni?
No. Scatto in pieno inverno, come in piena estate. Semplicemente prendo vari provvedimenti di
volta in volta per non uccidere le modelle :)
10. Hai realizzato foto bellissime anche a dettagli o paesaggi, ti senti rappresentata
anche da queste foto anche se prive di figure umane?
Molto meno. Lo facevo anni fa, quando sperimentavo su tutto. Mi piacciono molto e sono legata a
quegli scatti ma non credo che ora come ora mi rappresentino più di tanto.
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ELENA ZANOTTI
CUNENE
4.Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Non sono affatto una persona sicura di sè e per prendere una decisione passano mesi, a volte evito
addirittura di farlo. Spesso non sono soddisfatta da ciò che creo, questo mi spinge a provare a
migliorarmi ma dovrei avere più fiducia nelle mie capacità.
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9.In che modo la tua vita quotidiana
influenza il tuo lavoro e viceversa?
Nelle tue immagini appare una forte
componente emotiva, come mai questa
scelta?
Trovo impossibile per me scindere vita e
emozioni dalle immagini, si compenetrano.
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20.Quali fotografi ti hanno ispirata?
Mi ispirano di più i pittori ma se proprio devo sceglierne alcuni nomino Recuenco, Erwin Olaf,
Tim Walker.
24.Postproduzione delle
immagini, favorevole o
contraria?
Ovviamente favorevole, non farei quello
che faccio altrimenti.
25.Preferisci scattare in
solitudine con il soggetto o
preferisci avere uno staff alle
tue spalle?
In solitudine, ma solo perchè mi è
difficile spiegare agli altri le mie idee.
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Non posso sceglierne una, metto me stessa in ognuna.
32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Metto sempre la firma, se un'immagine venisse modificata e usata per fini commerciali allora mi
urterebbe. Se viene condivisa ben venga.
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2.Una cosa che noto in molte tue opere è un colore acceso dominante che
inevitabilmente colpisce l'occhio dello spettatore, è una cosa casuale o accuratamente
studiata?
E' una scelta, non posso fare a meno del colore, può essere vettore di simboli ed emozioni.
3.Nelle tue opere si possono trovare influenze dall'arte barocca e dalla corrente
preraffaelita, ti sei ispirata a qualche autore in particolare?
Nessuno in particolare ma indubbiamente mi ispiro anche a questa corrente.
4.Alcune tue opere raccontano qualcosa senza lasciare nulla al caso, soprattutto nella
serie "obscure tales" come hai deciso di crearle? Pensi sia un punto forte nella tua
arte?
Molte delle immagini in questa serie hanno qualcosa di simbolico, un'oggetto, uno sguardo, le
posizioni delle mani, piccoli particolari che necessitano di tempo per essere colti. Penso che ogni
mio lavoro debba raccontare qualcosa.
6.Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il
tuo lavoro?
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modo di cadere della luce e l'incredibile impatto estetico che danno allo spettatore.
Come mai questa scelta?
Non è una scelta vera e propria, quando mi va di sperimentare qualcosa di nuovo lo faccio
gradualmente.
10.Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Mai darsi un limite e sentirsi "arrivati", e poi sono ipercritica, avrò sempre la sensazione
che manchi qualcosa. Mi auguro di migliorare.
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ANNA DI PROSPERO
Autoritratti e quotidianità nelle opere di questa giovane 26 anne, Ha studiato fotografia presso l'Istituto Europeo di
Design a Roma e presso la School of Visual Arts di New York.Nel 2008 la prima mostra personale a Roma presso la
Galleria Gallerati. Nel 2011 dopo aver vinto il “People Photographer of the Year” ha ricevuto una nomination per il
“Discovery of the Year” dei Lucie Awards. Nel 2014 inoltre vince il 2° posto ai “Sony World Photography Awards”
categoria ritratto.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Non c’è differenza tra la mia vita quotidiana e la fotografia, sono un’unica cosa.
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10.Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?
Sono tutte tematiche legate al mio personale.
15.Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Forse, ma non è il mio caso.
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21.A quale periodo storico ti senti legata?
A quello attuale.
25.Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Preferisco in solitudine. Il mio staff è composto da amici e familiari.
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28.Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?
In generale tutte le immagini della serie Self-portrait with Strangers. È molto difficile
instaurare un rapporto con una persona attraverso il solo mezzo fotografico. È l’aspetto più
complicato e affascinante di questa serie.
32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Dipende dall’utilizzo. Se utilizzata senza citare nome e fonte è pura ingiustizia.
35.Quale periodo
storico nell'arte
apprezzi di più e
quali artisti?
Edward Hopper e il
realismo americano.
Caspar David Friedrich
e William Turner.
Tutta la pittura gotica.
36.Quale potrebbe
essere la
destinazione
ottimale per questo
tuo lavoro? E
perché?
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La mia ambizione è di lavorare esclusivamente nel campo dell’arte contemporanea.
1. "I am here" questo tuo progetto di autoritratti legati al luogo dove vivi mi ha aperto il
cuore, potresti raccontarmelo?
Nel 2005 mi sono trasferita nella casa dove vivo tutt’ora, a Sermoneta.
Inizialmente odiavo questa casa, era uno spazio freddo e sconosciuto. Grazie alla fotografia
e in particolare a questa serie, ho scoperto e instaurato un rapporto con queste mura. Oggi la
mia casa è il luogo dove realizzo la gran parte del mio lavoro.
2. Le tue opere potrebbero essere scene di assoluta ordinarietà, perchè questa scelta?
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Sono ispirata da ciò che mi circonda, ma non rappresento scene di assoluta ordinarietà.
3. In molto scatti per un motivo o una casualità voluta hai il viso coperto, come mai?
Non è mai casualità ma sempre una scelta voluta. Coprendo il volto non c’è un riferimento
diretto a una persona in particolare. Chiunque osservando l’immagine può riconoscersi nel
soggetto fotografato.
4. Nella tua serie "portrait with strangers" le tue immagini hanno tonalità che
potrebbero sembrare quasi di Gregory Crewdson, ti senti vicina a lui?
Provo un’immensa ammirazione per Gregory Crewdson.
5. Nelle tue opere il contatto con l'architettura è qualcosa di reale, raccontami questo
grande amore
Dopo aver trascorso tre anni a fotografarmi solo ed esclusivamente nella mia casa (self-
portrait at home), ho deciso di allargare i miei orizzonti e ho iniziato così a viaggiare per
varie città, in Europa e Stati Uniti, alla ricerca di nuovi luoghi con cui confrontarmi. Ho
scelto le architetture contemporanee perché sono appunto simboli del nostro presente e il
mio desiderio era quello d’identificarmi non nel passato, non nel futuro, ma come parte di
questo preciso periodo storico. L’intento è stato quello di creare dei legami con questi luoghi
a me sconosciuti, esplorando il concetto di corpo, spazio e interazione.
7. Istinto e Ardore, spiegami queste due parole . nove foto unite in una, spiegami questo
tuo progetto che va oltre il visibile
Instinct e Ardor sono la proiezione di un universo interiore. Un universo popolato da
sentimenti, stati d’animo, pensieri, vissuto; tutte realtà che convivono dentro di noi e non
visibili ai nostri occhi. Per realizzare queste serie mi sono affidata a questi elementi, perché
credo che ciò che sentiamo e che vive dentro di noi, sia più vero di ciò che vediamo e vive
fuori di noi. In altre parole, ho cercato la verità e l’immagine nel non visibile.
8. Ho visto che hai viaggiato molto, qunto ha aiutato la tua crescita e il tuo miglioramente
nel corso degli anni?
Tantissimo. Viaggiare è una componente essenziale per la mia ricerca.
9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Sono ancora all’inizio di questo lungo percorso.
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FRANCESCA ERRICHIELLO
Classe 1990, inizia a fotografare verso la fine del 2009 e solo nel 2011 è diventato un vero e proprio lavoro, iniziando
come ritrattista e poi continuando anche come fotografa di moda. Ha partecipato ad alcuni concorsi nazionali ma il
premio più importante è stato quello della categoria "Fashion" del Nikon Talents 2014, la cui premiazione è avvenuta a
Torino dove espone ad Artissima. La mia prima vera mostra personale è stata curata da Michele Del Vecchio e Dario
Buonfantino per "Le quinte fotografiche" al Teatro Bellini di Napoli, nel 2012, sto curando un'altra mostra personale
che si dividerà in due sezioni, una riguarderà la mia città, Napoli, e l'altra sarà un insieme di tutte le fotografie scattate
in questi anni.
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8. Come hai cominciato a scattare?
Per caso, grazie al mio ragazzo appassionato di fotografia. Lui adora il reportage (e anche io,
solo che io non ne sono capace), io mi sono lanciata in un altro mondo che è quello della
moda e del ritratto.
13. Che rapporto hai con la tua famiglia?Potrebbe essere bello come la famiglia della
Mulino Bianco in cui tutti si amano, si abbracciano, si sostengono etc. ma no, sarebbe
noioso. Ci vogliamo bene e ci odiamo al momento giusto, come gli innamorati.
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?No, assolutamente
no.
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Si, ho avuto un paio di esperienze traumatiche dai 14 ai 16 anni circa e probabilmente in
alcune fotografie è possibile notare che qualcosa non è andato bene durante la mia
adolescenza.
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16. Qual'è la tua più grande paura?
Ho tantissime paure, banali o meno, ho paura del fuoco (ad esempio non riesco ad accendere
un accendino o un fiammifero), dei serpenti, di invecchiare, di vedere il mio corpo cambiare,
di essere sola. Però attualmente la mia grande paura è quella di smettere di immaginare, di
avere idee. Spero non accadrà mai!
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accanita della casa è lei. Io odio leggere ma se devo parlare di uno scrittore che mi è piaciuto
e di un libro che mi ha ispirata è "Lolita" di Nabokov!
25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Non ho nessun problema in entrambi i casi, se ho il soggetto giusto davanti mi concentro
solo su di lui. Piuttosto, se non ho l'atmosfera giusta (luce, musica) è lì il vero problema!
29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè? La foto a cui sono più legata è "Il saluto"
scattata tanti anni fa con Massimo, il mio ragazzo. Non è una delle più belle, secondo me,
tecnicamente. Ma la amo perchè è una scena che poi ho vissuto di recente.
32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?Dipende dalla situazione, se mi viene rubata una fotografia è una conto,
in quel caso mi arrabbio e faccio di tutto per farla rimuovere! Se ho scattato una foto per
VOGUE e non mi viene inserito il nome è un altro conto, lì la pubblicità ti viene fatta lo
stesso!
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E' un qualcosa di soggettivo.
36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Non ne ho assolutamente idea, giuro.
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1. Bianco e nero o colore?
Entrambi se usati bene!
3. Nelle tue foto usi molti richiami al sud Italia nei dettagli e nell' architettura circostante,
come mai questa scelta?
Perchè non posso farne a meno, sono ispirata da ciò che il Sud Italia e in particolare Napoli
ha da offrire. Vivere qui è come trovarsi costantemente in un film d'epoca e ciò mi rende
immensamente
6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
No, non sempre. Però mi piace stravolgere i modelli, trasformarli. Ci sono modelle che sono
belle anche da vicino ma in foto riescono ad essere immense e mi piace tirar fuori tutta la
bellezza dai loro corpi!
8. Mi sembri una persona molto solare e socievole, ma a livello professionale le tue opere
ti danno una parvenza di estrema freddezza, ti è mai capitato di sentirti giudicata
diversa da come sei per il tuo lavoro?
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Si, è vero, non mi sento per niente una persona fredda ma non so perchè sia così, forse
perchè già sono troppo solare, esserlo anche mentre fotografo mi annoierebbe. Ogni tanto un
po' di tristezza devo farla uscir fuori, le tengo sempre dentro!
10. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Credo di essere ancora all'inizio, non ho raggiunto nessun grande traguardo per ora, forse
perchè devo ancora crescere tantissimo professionalmente e anche personalmente.
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GUENDALINA FIORE
Studentessa di ingegneria, fotografa di moda, menzione speciale all' “International Photography Awards Competition”,
“Lens Culture Exposure Award” e “Life Framer Photography Competition”. Scelta da Vogue Italia per una
collaborazione tra Vogue e Swatch in occasione del 50° anniversario della rivista. Legata ai rapporti umani, nei suoi
scatti comunica un apparente quotidiano, ricco di intimita.
4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Ho costantemente bisogno di lavorare sulla mia autostima
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8. Come hai cominciato a scattare?
E’ successo abbastanza naturalmente. Mio padre è da sempre un appassionato di
fotografia e sin da quando ero piccola lo vedevo immortalare momenti di vita
quotidiana. Crescendo il mondo delle immagini diventò sempre più uno stimolo
ma mi limitavo a fotografare le mie amiche durante le feste o le uscite. Solo
qualche anno dopo, quando internet è entrato a far parte della vita di tutti i
giorni, ho avuto modo di scoprire la fotografia vera e propria.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia fotografia è influenzata da ciò che leggo, ciò che ascolto e ciò che vedo. Il tutto
poi viene reinterpretato secondo una mia visione personale.
La componente emotiva deve esserci, altrimenti l’immagine non trasmette nulla!
10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse? fondamentalmente ritraggo
tutto ciò che mi piace o che in qualche modo mi emozioni.
Sono tematiche che posso aver letto in un libro o visto in un film, cerco comunque di non
perdere mai il contatto con la realtà
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
Non penso. Fino a qualche tempo fa i miei genitori non erano troppo d'accordo che io
mi dedicassi alla fotografia perché pensavano potesse togliere troppo tempo agli
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studi ( non sono mai stata un “ingegnere” molto convinto!). Per cui li ho tenuti all’
oscuro di molti miei lavori per diversi anni. Solo di recente ho iniziato a
coinvolgerli di più, forse perché ormai si sono rassegnati!
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Sicuramente. Sono convinta che ci sia molto di una persona nei propri scatti
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23. Digitale o analogico? pro e contro?
Questo è un discorso complesso. Essendo cresciuta nell’ era del digitale il mondo dell’
analogico mi è sconosciuto per cui non posso dare un parere tecnico o mettere a
confronto una macchinetta analogica con una digitale. Riconosco in qualche
modo, a parità di immagine, la superiorità della fotografia su pellicola che
secondo me richiede forse maggiori competenze rispetto all’ uso di una
macchinetta digitale. Tuttavia, oggi giorno, non penso basti adoperare una reflex
analogica per potersi definire “fotografi”. Come in ogni campo c’è stato un forte
ritorno a tutto ciò che è retrò ed è impossibile non notare quanti giovani hanno
iniziato così a sperimentare l’analogico. Trovo che questo sia meraviglioso ma non
mi spiego come alcune foto, che probabilmente se fossero state scattate in
digitale non sarebbero mai state ritenute interessanti, vengano esaltate
esclusivamente perché scattate su pellicola. Io credo che ciò che realmente vada
valutato è il risultato finale, non importa come ci si sia arrivati. Se l’immagine
funziona o no non dipende dalla tecnica adoperata per realizzarla. Una fotografia
su pellicola può essere banale tanto quanto una fatta in digitale e viceversa.
25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Scattare da sola o con uno staff ridotto che a volte fa la differenza. Avere troppe persone
intorno mi inibisce parecchio
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pacatezza e tranquillità ed in qualche modo è forse lo scatto che preferisco tra
quelli che ho realizzato.
36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
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Io spero di poter finalizzare il tutto in qualche modo al guadagno. Creare arte per se
stessi è essenziale all’ inizio, ma se si vuole fare della propria passione un
mestiere bisogna commercializzarsi, rimanendo però sempre fedeli al proprio
stile. Non so quale potrebbe essere la destinazione ottimale per i lavori che
faccio, so però che mi piacerebbe immortalare persone famose ed importanti per
riviste più o meno note.
1. Hai molti scatti che raccontano scene di spontaneità tra ragazzi che si amano o amiche
in camera da letto, come mai questa ricerca di naturalezza?
Perché il mio gusto personale si avvicina molto più a ciò che è spontaneo rispetto a
qualcosa di palesemente studiato e impostato. Questo non significa che non ci
sia uno studio dietro, anzi! Tutto è pensato nei minimi dettagli, ma nelle pose
voglio sempre dare libertà al soggetto. Mi piace che la foto possa rappresentare
emozioni reali e persone vere.
2. Hai realizzato un progetto in polaroid per una commissione, che rapporto hai con la
fotografia analogica?
E’ stato per lo più un esperimento, era la prima volta che mi cimentavo nella
realizzazione di un progetto in analogico. Ho intenzione di continuare comunque
a scattare in digitale ma non escludo nulla! L’analogico è un mondo che non
conosco ancora bene
3. Nelle tue foto sembra di vivere dentro un film, usi delle amiche o contatti modelle?
Hai realizzato un bellissimo progetto con una coppia a letto nella propria intimità, cosa
volevi raccontare?
Uso sempre amiche, una volta sola mi è capitato di contattare una ragazza che però
all’epoca non era ancora una modella e sono stata molto felice di averlo fatto
perché da quel momento in poi abbiamo scattato molte volte insieme.
Volevo raccontare esattamente l’intimità tra una giovane coppia di amanti, e creare un
contrasto tra la tenerezza delle movenze ed il carattere rude che almeno un
tempo veniva associato a chi fosse ricoperto da tatuaggi.
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4. Scegli spesso ambienti urbani o casalinghi per raccontare le tue storie, è per avvicinarti
a un idea di giornata ordinaria?
Si, come ti ho già detto cerco sempre di rimanere fedele ad un contesto reale
5. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Io ho una mia idea di bellezza che poi è quella che ricerco nelle modelle che immortalo
ed è una importantissima componente del mio lavoro. Non scatto con modelle
professioniste perché per il mio genere di fotografia non servono quei canoni
estetici richiesti dall’industria della moda. Mi piacciono per lo più figure genuine
e semplici, pulite e non artificiali.
6. Hai fatto delle bellissime foto durante i tuoi viaggi, preferisci la street photography o la
ritrattistica?
Mi piace l’idea di vivere con la fotografia di reportage, quella di poter viaggiare e
fotografare posti e popoli di tutto il mondo. Tuttavia la ritrattistica creativa mi da
una immensa soddisfazione, non saprei scegliere!
7. Hai realizzato un bellissimo progetto di una ragazza nuda in un bosco, perchè rimane
così distante dalle altre tue opere?
Perché è stato un progetto completamente improvvisato ed in quel periodo comunque
nutrivo la voglia di provare a fare qualcosa di diverso dal solito. Ogni tanto mi
piace sperimentare qualcosa di nuovo
8. Pensi che continuerai con questo stile così spontaneo o vorresti inserirti nella fotografia
di moda?
Assolutamente, ho moltissime idee sempre su questo stile che devo ancora realizzare.
Sento che potrebbe essere la mia strada.
Il mondo della fotografia di moda è davvero ampio. In qualche modo riesco ad inserirmi
ma sicuramente non potrei mai lavorare nell’alta moda con il genere di fotografia
che faccio. Tuttavia, avendo già avuto qualche esperienza nella moda, lo vedo
sempre più come un mondo troppo distante da me.
Comunque c’è sempre da fare una distinzione tra i progetti personali e quelli realizzati
su commissione. Un progetto personale per quanto mi riguarda è sempre più
rappresentativo dell’artista ed è l’unico modo in cui si può veramente creare ciò
che si vuole, nelle commissioni di moda si deve sempre scendere a compromessi
e assecondare i gusti del committente per cui io non mi sono mai sentita libera.
Ma è giusto fare tutte e due le cose
9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Penso di poter migliorare e fare ancora tanto. Mi ritengo soddisfatta del mio percorso
da autodidatta, ma ci sono tante cose da imparare ancora
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THILINI GAMALATH
Nasce in Sri Lanka nel 1988 e si trasferisce con la famiglia a Roma all'età di due anni. Fin da bambina il suo sogno
era quello di diventare una stilista di moda così all'università decide di studiare Moda e Costume dove si avvicina
alla Storia della Fotografia. Si trasferisce a Torino per studiare Fotografia ed attualmente vive e lavora tra Torino,
Milano e Roma. Specializzata in Fotografia di Moda, Beauty e Ritratto il suo lavoro è stato pubblicato in diverse
riviste nazionali ed internazionali tra cui Grazia, Vanity Fair, Rolling Stone.
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11.Come scegli i tuoi soggetti?
In genere lavoro con modelle/i professionisti di agenzia, mi attira la stranezza.
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digitale ma amo l'analogico (soprattutto nel bn). Se parto per un viaggio porto rullini e
diapositive, è un po' una "scusa" per stampare le fotografie
32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Dipende dall'uso che ne viene fatto, senza la citazione dell'autore trovo sia ingiustizia.
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33.Qual'è il tuo concetto di arte?
Non credo esista un concetto di arte, tutto cio che ci circonda ne fa parte
36.Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Scatto prevalentemente campagne moda ed editoriali, sicuramente le riviste
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consapevole. Come tutti i fotoamatori ero interessata al reportage, in particolare a quello
di guerra. Studiando e giocherellando mi sono avvicinata naturalmente alla Moda.
3. Il tuo nome non è italiano e nelle tue foto ci sono molti dettagli nella varietà di
colori di pelle ed origini dei soggetti, parlami di questo lato multietnico -
Solo il mio nome non è italiano, per il resto lo sono in tutto e per tutto. La scelta delle
modelle si basa sul progetto commissionato dal cliente o dalla rivista, dal mood, non ha a
che vedere con l'etnia. Apprezzo la bellezza della donna e dell'uomo in generale, non
credo di avere un lato multietnico o forse ce l'abbiamo tutti non saprei.
4. Nei tuoi scatti presti molta attenzione alla luce, ti trovi più a tua agio in esterna o in
studio?
Entrambi, tantissimo
6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Decisamente
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ALLA CHIARA LUZZITELLI
Nata nel 1998 a Lipetzk nella Federazione Russa.
Vissuta 8 anni in orfanotrofio nel 2006 viene adottata dalla famiglia Luzzitelli.
Cresciuta nel mondo della fotografia e della pubblicità sin da molto giovane
inizia a sperimentare con la fotografia e l’arte.
L’arte le permette di realizzare se stessa ed esprimere le sue emozioni, un aiuto
essenziale per la sua crescita interiore.
Nel 2014 ed è stata premiata come “Miglior artista emergente” dalla Galleria d’arte Satura di Genova in occasione
dell’ Esposizione Genova Contemporanea.
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9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia vita quotidiana fa parte del lavoro e viceversa,non c’è una differenza tra lavoro e la
vita normale tutto è unico così come le storie dei miei soggetti. Non credo sia una scelta quella
della forte componente emotiva, è qualcosa che sento dentro di me quasi come se fosse un mio
dovere e una mia necessità.
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19.Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?
Il cinema per me è fondamentale per la mia ispirazione,mi aiuta spesso a ricordare eventi
passati
24.Postproduzione delle
immagini, favorevole o
contraria?
Sono favorevole alla post produzione
25.Preferisci scattare in
solitudine con il soggetto o
preferisci avere uno staff alle
tue spalle?
Preferisco scattare in solitudine,solo io e la mia creatività
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29.Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?
Sono legata a tutte le mie immagini,non potrei mai rinunciare neanche ad una,ho un legame
molto profondo con tutte le mie opere
32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Assolutamente ingiustizia
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40.Quali aspirazioni hai per il futuro?
Raccontare nuove storie e creare senza fermarsi
2. Vuoi intraprendere la strada della fotografia di moda o vedi altro per il tuo
futuro?
Non saprei ancora ma tutto cambia sempre
3. Molte tue opere sono dittici, ti senti rappresentata da questa particolare tecnica?
No,non mi sento rappresentata,volevano essere solo dei collegamenti da immagini diverse ma
simili
4. Nelle tue opere traspare un gran senso di dinamismo, quasi a vedere soggetti in
perenne movimento, parlami di questo.
Voglio che ogni mia foto sia dinamica,il soggetto deve avere il completo controllo del suo
corpo,senza il controllo del proprio corpo l’immagini è già stata distrutta.
5. Nei tuoi ultimi lavori si vede un notevole cambiamento di stile, è una cosa voluta?
Credo che il mio cambiamento di stile lo devo al mio cambiamento stesso,mi sento diversa ma
come prima e sento la necessità di cambiare stile
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perchè loro non vivono nella mia mente perciò di conseguenza sono io l’unica a comprendere
a fondo il mio disegno creativo.
9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Ogni giorno miglioro,studio,creo e conquisto mai questi elementi finiranno.
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VALENTINA MANGIERI
GELSO NERO
Nasce a Sassuolo il 23 Marzo 1987. Fin da piccola si appassiona al cinema e alla letteratura, che diventeranno poi
ricche fonti di ispirazione per il proprio lavoro. Nel corso del 2006 inizia un percorso di ricerca visiva, e quasi per
caso inizia ad utilizzare programmi di grafica fino a quel momento inesplorati. Nello stesso periodo, decide di
creare un alter ego virtuale che possa rispecchiare le sfaccettature della propria personalità: nasce Gelso Nero. Nel
2008 invece, ha luogo a Roma, la prima esposizione fotografica. Nel corso degli anni successivi collabora con
progetti musicali nella realizzazione di copertine per album e artwork.
4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Sono una persona che ha bisogno di lavorare sulla propria autostima. Forse in eterno.
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6. Critica te stessa per qualcosa.
Spesso mi rendo conto di costruire un muro tra me e il resto del mondo.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Al momento è la quotidianità che influenza il lavoro, nel senso che con una bambina di
questa età è molto difficile concentrarsi e impiegare energie principalmente sulle mie
passioni come facevo fino a qualche tempo fa. Con il passare del tempo sono certa le
cose torneranno a funzionare come prima, ad ogni modo, la mia quotidianità è una delle
principali fonti di ispirazioni proprio perché uso il mio lavoro come valvola di sfogo.
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13. Che rapporto hai con la tua famiglia?
Un rapporto forte e simbiotico. La mia famiglia mi ha sempre appoggiato e sostenuto
davanti ad ogni scelta, ad ogni decisione importante della mia vita.
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
In parte, sicuramente. Sono ciò che sono anche in base a quello che mi hanno trasmesso.
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Assolutamente sì.
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22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?
“Dellamorte Dellamore” di Tiziano Sclavi è uno dei miei preferiti, perché lui è un genio
e perché Sclavi e i suoi figli di carta mi hanno letteralmente cresciuto.
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affatto, ma trovo enormemente affascinante tutto il discorso che sta dietro alla
simbologia e alla rappresentazione grafica storica di ogni carta.
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36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Penso ad una collocazione in campo grafico/illustrativo.
2. Dove prendi le immagini per i tuoi collage, e con quale criterio le scegli?
Le trovo tra le collezioni visive di inizio Novecento - sia online, che nei mercatini colmi
di antichità e stranezze che mi capita di visitare. Solitamente nasce una sorta di
innamoramento travolgente tra me e la posa/sguardo/abbigliamento del soggetto in
questione.
3. Molte tue opere hanno dettagli e particolari che richiamano ai decenni dei conflitti
mondiali, come mai questa scelta storica così mirata?
E’ una fase storica che mi ha sempre affascinato. Trovo interessante come i conflitti
abbiano plasmato la società di quel tempo: personalità umane, usi, costumi, modi di
approcciarsi o di censurare l’arte, modi di vivere la quotidianità e i rapporti con gli altri
esseri viventi. La crudeltà nella normalità.
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mia versione ho apportato alcune modifiche - nessun angelo compare, e i sarcofagi sono
ciminiere di una fabbrica. Il significato comune della carta mi affascina molto: rinascita,
riscoperta, nuovo inizio.
7. Sei una persona che legge molto e ascolta spesso buona musica, quanto pensi sia
determinante la cultura personale di un artista per le sue opere?
Per quanto mi riguarda è fondamentale perché i miei input vengono principalmente da lì,
ma in generale non credo che la cultura personale sia sempre determinante; ho conosciuto
persone che si interessano poco di coltivare la propria cultura, ma che allo stesso tempo
producono opere interessanti perché viene loro naturale farlo, e così viceversa.
10.Hai creato una linea di merchandise con le tue opere, che rapporto hai con la moda
e il costume?
La moda è una delle forme d’arte che più mi appassiona, così come i costumi delle varie
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epoche. Adoro Karl Lagerfeld e i servizi fotografici di Vogue sfiorano quasi sempre la
perfezione per il mio cervello; quando poi ad una collezione si aggiunge un fotografo
strepitoso come può essere Peter Lindbergh, e delle atmosfere che richiamo epoche
passate, sono molto felice. In generale mi piace moltissimo curare il mio look.
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GIORGIA NAPOLETANO
BLEKOTAKRA
Percorso artistico di natura autodidatta; questo le ha comunque permesso di maturare competenze complete in
fotografia analogica e digitale, fotomanipolazione, fotoediting e grafica digitale. Dal 2015 sviluppa e stampa in
camera oscura fotografie in bianco e nero, dopo aver perseguito un corso individuale con la fotografa Paola
Mongelli. Mostra personale “The Secret Room” Luxe 128 Gallery, Indianapolis (USA), Targa di riconoscimento - V
Biennale di Arte Contemporanea di Genova ed esposizione Triennale di Arti Visive Roma 2014.
4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Sono sempre stata una persona consapevole della propria personalità ma l'insicurezza spesso è
venuta a galla, ne ho sempre preso coscienza e l'ho sempre accettata come parte del mio modo di
essere, non è mai stata un problema e non ho mai sentito la necessità di lavorare sull'autostima.
Oggi, da mamma, posso dire che l'insicurezza è quasi un ricordo. Un figlio regala della forza che
non si crede mai di avere!
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5. Definisciti con una parola
Overflow. E' una parola usata da William Wordsworth per descrivere il flusso continuo e costante
della manifestazione delle emozioni: “Spontaneous overflow of powerful feelings”.
In italiano è traducibile con straripamento, ma è chiaramente molto meno poetico.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Il quotidiano ha sempre influenzato il mio modo di creare un'immagine perchè creare significava
esternare tutte le emozioni negative che ristagnavano nella mia vita e la rendevano sgradevole.
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opere uno studio su me stessa, ho sempre eseguito autoscatti perchè “Nessuno può essere me
meglio di me”.
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
No, non credo. Ciò che facevo era molto personale e mi sono sempre espressa liberamente.
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Assolutamente sì! L'esperienze traumatiche sono sempre di grande impatto nella vita di
un'artista, quasi decisive. Spesso è proprio dalla sofferenza e dalla necessità di esorcizzare del
dolore, che nasce l'arte.
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23. Digitale o analogico? pro e contro?
Io sono pro-digitale e consiglio sempre di cercare di acquisire competenze base a chi è un po'
restio.
E' importante avere una certa confidenza per poter valorizzare al meglio le proprie fotografie,
ogni scatto ha bisogno di una buona post-produzione.
Ed è scorretto evitare a priori ogni sorta miglioria in digitale.
Attualmente io scatto in analogico con una macchina fotografica degli anni Settanta, sviluppo e
stampo in camera oscura e grazie a questa piccolissima esperienza posso serenamente affermare
che anche con l'analogico si fa tanta post-produzione.
Ad ogni modo ecco una piccola curiosità che ho scoperto da poco: per quanto siano grandi ed
infinite le potenzialità del digitale, molti fotografi professionisti preferiscono scattare in
analogico, scansionare i negativi con scanner appositi ad altissima risoluzione e post-produrre in
digitale. Questo perchè, per quanti megapixel abbia una macchina fotografica la resa del sensore
non potrà mai essere paragonata a quella di una pellicola.
25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Ho bisogno di solitudine, mi sento molto a disagio quando ci sono delle persone sia che esse mi
guardino sia che non mi guardino. Questo mi capita anche con l'illustrazione oltre che con la
fotografia (parlando anche di post-produzione oltre che della fase dello scatto). Mi immedesimo
completamente nel lavoro che faccio e l'intimità diventa quindi essenziale; ogni distrazione è
fatale. Ma, con il tempo, sto cercando di essere meno rigida a riguardo.. E' un duro lavoro, lo
assicuro.
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26. Qual è il progetto a cui sei più legata?
Attualmente sto realizzando una serie di fotografie analogiche con una forte correlazione tra
loro, è IL progetto che ho sempre sognato e finalmente ho le possibilità per lavorarci sopra
concretamente.
Non posso dire di non essere legata ai miei lavori in digitale perchè sono embrioni del mio
lavoro attuale, ma l'emozione di vedere apparire sulla carta una fotografia tanto agognata e che
ha portato via tempo e fatica è ineguagliabile. Le mie fotografie attuali sono dei tesori a cui sono
affezionata fortemente.
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ancora molto inesperta con la fotomanipolazione. Ma avevo questa immagine della mia mente e
misi tutto il mio impegno e tutto il mio tempo per realizzarla. Per un lungo periodo mia sorella
fu molto malata e questa immagine vuole rappresentare la malattia che viene sconfitta, espulsa
dal corpo. Una bomba che esplode, pronta a distruggere, ma affrontata con volto rilassato e a
braccia protese, una metafora di una battaglia vinta con estremo coraggio.
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32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o buona
pubblicità?
Non c'è dubbio che sia un'ingiustizia. Ma, parlando molto in generale, milioni di immagini ci
passano sotto gli occhi ogni giorno e nessuno di noi ne conosce l'autore e l'origine e nessuno di
noi si preoccupa di indagare su questo; finisce così che a nessuno viene in mente di aggiungere
un link o un paio di parole in più a riguardo (fatte tutte le eccezioni del caso, ovviamente!!). Che
tra questo andirivieni di immagini ci finisse anche qualcuna delle mie l'ho sempre immaginato
ma non l'ho mai visto come un problema. E' difficile chiamarla “pubblicità” perchè il mio nome
non appare da nessuna parte. Ma è anche un gesto innocuo da parte di un utente del web: apre
per caso una pagina, vede per caso una foto che cattura la sua attenzione e la sala sul PC, un
giorno o l'altro la pubblica (sempre in maniera ignara e, sì, banalmente innocente) e la storia si
chiude così.
Molto più brutto e grave è, invece, quando un utente di internet si appropria dell'immagine. La
pubblica dichiarandola per propria, fingendo di averla creata e divulgando informazioni
sbagliate. Questa è una vera e propria frode che nel peggiore dei casi richiede un passaggio per
le vie legali! Mi è capitato anche questo: in alcuni casi è bastata una mail, in altri casi è servita
una mail dai toni agguerriti, in altri casi sono serviti dei veri e propri chiarimenti (“Chiamo
l'avvocato!”) ma per fortuna è sempre andato tutto a buon fine.
3. Nell'immaginario onirico delle tue opere il soggetto viene molto spesso imbruttito o
danneggiato, talvolta ferito. Come mai questa scelta? E' collegabile al tuo stato emotivo?
A questa domanda ho sempre risposto con “era una necessità”. Mutilare la figura umana,
deformarla e rinnovarla era una necessità. Non riuscivo a vedere un'immagine se non tramite la
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sua demolizione e ricomposizione. E' sempre stato un processo creativo naturale e non forzato.
6. Sei una persona che legge molto e ascolta spesso buona musica, quanto pensi sia
determinante la cultura personale di un artista per le sue opere?
La cultura è fondamentale non per un'opera ma per l'artista stesso. La cultura talvolta aiuta a
migliorare una propria opera, ma migliora noi stessi sempre.
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JESSICA PASCUCCI
Classe 1992, Le sue foto sono tutte frutto di ispirazioni improvvise, emotive e con un tocco di surrealismo. Nel
corso degli anni ha fatto qualche pubblicazione freepress, distribuzione nelle più importanti località turistiche e della
moda italiane e alcune esposizioni, tutt’ora sta seguendo pubblicazioni sul magazine sfogliabile Domiad Photo
Network.
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4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Autostima? Quel briciolo che avevo l’ho perso a scuola, sembra niente ma mi porto tutto
il peso dietro tutt’ora, ci sto lavorando… mi ha aiutato molto l’esperienza che ho fatto
proprio l’inizio di questa estate, mi hanno chiamato per fotografare in locale, ero
contraria fino l’anno prima forse proprio per questa cosa di essere molto chiusa con gli
altri, invece mi sono ricreduta, mi ha aiutato tantissimo, fino 5 mesi fa avevo paura di
entrare in un bar, ora devo dire che mi faccio molti meno problemi e finalmente sorrido
alla gente e mi sento abbastanza bene.
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più interessante con il passare dei giorni.
9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Io racconto ciò che sono, ciò che ero, quello che ho vissuto, quello che vivo… quello che
sento, non si può spiegare, lo percepite guardando le foto, spero di riuscirci… ognuno in
un modo diverso… ma spero di comunicare qualcosa credo che piuttosto di dire ciò chi
sono parlando o scrivendovelo preferisco mostrarvelo, mi riesce meglio.
14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
No, non penso che abbiano condizionato la mia arte.
15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Decisamente, SI. Ho già detto tutto con la storia della scuola e del bullismo, è una
cicatrice non va più via, ma sai una cosa? dai finti abbracci, dai fogli attaccati nella
schiena di nascosto per essere derisa da tutta la scuola all’ombra di tutto scoprendolo
nella corriera al ritorno, dalle scritte nei diari e le caricature su di me, dalle parole forti
nei miei confronti, i minuti passati in un angolo dentro la classe all’intervallo per evitare
le botte o altre brutte figure, da tutto questo ho tratto una conclusione, ho pensato e
ripensato nella mia testa che alla fine dei conti ciò che sono ora è grazie a loro. Non
sapendo più dove appigliarmi la mia unica ancora è stato il rialzarmi in piedi, di
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conseguenza scattare mi sfogava e mi liberava da tutto ciò che mi passava di mente, non
sono felice di come si andata a scuola ma non posso dire che non mi dispiace ora, è un
controsenso ma è così.
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L’ultimo che ho letto è di Charles Dickens “Oliver Twist”
25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Mi piace scattare in solitudine assieme al soggetto, si crea un atmosfera diversa, quelle
poche volte che mi va di fare un progetto con un velo di trucco e i capelli in un certo
modo, ci metto io le mani in prima persona, guardandomi e studiandomi i tutorial.
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batteva il cuore a mille, me lo sento legata anche per il vestito essendo mio di quando ero
piccola.
32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Dipende cosa vuole farci chi si prende la mia foto, mi è capitato non tanto tempo fa un
episodio strano, dove un soggetto a me sconosciuto ha deciso di prendersi una mia foto
per poi rivenderla su 500px, oppure ho trovato tramite google immagini tante mie foto
rielaborate, ecco se si usano per farne una buona pubblicità o perché semplicemente
quella foto ti è piaciuta tanto che la vuoi condividere con il resto del mondo tramite
facebook, sul tuo blog o dove ti pare io sono felice ben venga, ma secondo me per essere
veramente giusti bisognerebbe sempre citare l’autore altrimenti li si è ingiustizia.
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ovviamente.
1. Nelle tue opere usi spesso bambine come soggetto, come mai questa scelta?
I bambini sono spontanei, non c’è niente di strutturato fondamentalmente, io gli spiego le
foto che vorrei fare… le creo quasi una sorta di storia e loro fanno tutto da sole, giuro è
così gratificante vedere che trasmettono perfettamente quello che ti senti dentro.
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Non c’è un motivo specifico se devo essere sincera, mi piacciono le curve sinuose di un
corpo femminile e poi sinceramente non ho sempre a disposizione degli abiti da far
indossare alle modelle, quelli che ho cerco di sfruttarli per le bambine che fotografo.
7. Riesci a realizzare sia foto commerciali che opere surreali, come pensi di
considerare questo tuo doppio lato? vuoi portarlo avanti o devi trovare ancora la
tua strada?
A me piace sperimentare di tutto e di conseguenza spero di riuscire a fare tutto, o per lo
meno una piccola parte so che magari dovrei fermarmi e scegliere un certo stile, ma
perché? Io amo la fotografia punto e tutto ciò che la circonda. ovviamente non mi sento
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ne arrivata ne tantomeno brava, faccio quello che posso fare andando a occhio, faccio
ciò che mi sento di fare e come me lo sento di fare in quel preciso istante, se poi mi
riesce, bene! Ma comunque la mia strada penso di averla trovata ma questo non vuol dire
che dovrò sempre fare solo quella!
10. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Assolutamente NO! Cerco di migliorarmi di foto in foto… ancora sono solo all’inizio…
la strada è lunga, ma sono speranzosa!
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ESPERIENZE DI VITA MESSE A CONFRONTO
Vorrei raccontare del perchè ho scelto una tematica così particolare, del come mi sono
rispecchiata in ogni singola artista e di come dentro di me ho compreso appieno ogni singola
parola. Sono partita con determinate idee precise e insindacabili in cui ero assolutamente certa di
trovare conferma e mi sono ritrovata con un punto di vista completamente ribaltato. Immergersi
nella vita delle persone molte volte è difficoltoso soprattutto quando in 50 domande provi a
spogliarle definitivamente di ogni segreto e alla fine di tutto ti ritrovi con ancora più domande di
prima.
La risposta da parte dei soggetti non è stata sempre positiva, forse perchè intimidite dalle tante
domande forse perchè insensibili davanti alla motivazione “Tesi di Laurea,” o semplicemente
perchè noncuranti di quanto potesse essere importante per me quel tempo speso a rispondere, per
cui tra l'altro non posso che ringraziare le altre.
Di 15 mail mandate solo 11 fotografe hanno deciso di mettersi in gioco.
Non giudico nessuno, poiché non sono nessuno per giudicare, ma un primo spunto di riflessione
finale di questo lavoro sta proprio nell'analizzare l'indifferenza delle mie coetanee davanti al
dover parlare di qualcosa che per loro dovrebbe essere così fondamentale.
Nello scorrere delle domande apparentemente casuali ho nascosto determinati punti chiave che
poi avrei voluto analizzare e mettere a campione tra loro. Capisco che come punto di ricerca il
parere di undici persone non sia determinante per create una teoria scientifica meritevole di studi
approfonditi a riguardo, ma è sicuramente interessante da conoscere.
Il primo di questi punti era l'importanza degli studi affrontati nella vita, quasi la totalità delle
ragazze ha risposto positivamente. Studi anche non strettamente collegati alla fotografia o
all'arte, ma la capacità di studiare e quindi comprendere testi scritti per arrivare a un preciso
traguardo, e qui si ricollega un' altro punto interessante, addirittura la metà di loro ha
effettivamente fatto altri lavori nella propria vita non collegabili alla fotografia, lavori umili
magari, lavori manuali, un po' per necessità un pò per altri interessi, ma si parla comunque di
capacità di mettersi in gioco e sporcarsi le mani.
Il quotidiano vissuto diventa determinante negli scatti, e si sapeva, soprattutto nei più emotivi e
personali. Le persone vicine e le storie che abbiamo vissuto anche in paesi lontani, stimolano la
nostra sensibilità e vengono succhiate, assorbite e riprodotte con naturale costanza in molti lavori
che ho visionato. In pochi casi però la fotografia è vista come terapeutica, in altri è semplice
stimolo artistico. I legami umani in tutti i casi sono molto saldi, amicizia e famiglia, anche se
non avrei scommesso molto su questo ultimo punto, soprattutto perchè non considerato
determinante nella maggioranza dei casi per la propria crescita artistica, quando io ero
estremamente convinta che pesasse molto di più il bagaglio familiare.
I libri e il cinema diventano guru di inestimabile importanza, anche la storia con romanticismo,
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medioevo e dopoguerra. La conoscenza di fotografi da cui poter ispirarsi senza sentirsi tuttavia
delle copiatrici, l'originalità dello scatto sarà un valido punto di distacco.
Nonostante la tecnologia diventi un punto fondamentale nella pubblicità e nella diffusione dei
propri lavori: Facebook, PhotoVogue e Istagram in primis, tuttavia ho trovato una quasi totale
carenza di conoscenza a livello di attualità e informazione sociale, come se il mondo esterno e la
politica fossero nemici della propria creatività emotiva e si tendesse a respingerli, lasciandoli
fuori dalla propria esistenza come se fossero entità a parte troppo distanti per poterci davvero
toccare da vicino.
La paura del futuro aveva risposte quasi scontate, viviamo in una situazione che come dicevo
nelle prime pagine, mette ogni singola artista nelle condizioni di doversi trovare un lavoro da
sola senza il minimo appoggio esterno, e ovviamente chi ha idee migliori spicca su altri senza
troppi ostacoli. Da una parte questo potrebbe essere giusto in quanto “screma” il grande numero
di possessori di macchine fotografiche che usano la parola “Arte” a sproposito, dall'altra
dimezza le possibilità di farsi conoscere a persone magari emotivamente più fragili ed insicure.
Pensavo di trovare una componente emotiva molto più “sofferta” e da una parte sono felice di
vedere che da vite serene e situazioni tranquille si può comunque approcciarsi alla fotografia con
solo la sensibilità che una donna sa di avere. E anche se ho avuto a che fare con giovani artiste a
tratti acerbe a tratti ancora insicure, ripenso al fatto che prima o poi siamo tutti destinati a
crescere, e chissà che qualcuno di loro in tesi di lauree future verrà menzionata in mezzo a chi la
storia, con la macchina fotografica, l' ha già fatta, e tuttora rimane in immagine sui libri.
Gli stessi libri che ho dovuto sfogliare prima di scrivere tutto questo.
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BIBLIOGRAFIA
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RINGRAZIAMENTI:
A Plinio che mi ha ha dato la forza di provare a creare qualcosa di mio e mi ha seguito in tutti
questi anni, e a Luca Beatrice che mi ha permesso di creare qualcosa di così intimo e femminile.
Alle mie adorate amiche che mi hanno aiutato in questo percorso, a tutte le altre che non hanno
mai smesso di starmi vicino, e ai miei compagni di corso ormai diventati a loro volta amici.
A Marina, ormai parte della famiglia e alle mie zie per avermi sempre aiutato e consigliato la
strada giusta.
A Dora, perchè ho scritto tutto questo anche pensando a chi tra pochi giorni entrerà nella mia
vita, e a mia madre che anche non essendoci più non ha mai smesso di starmi vicino.
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INDICE:
- ANNA DI PROSPERO.................................................................................. 52
- FRANCESCA ERRICHIELLO.................................................................... 58
- GUENDALINA FIORE................................................................................ 65
- THILINI GAMALATH................................................................................. 72
- VALENTINA MANGIERI
GELSO NERO....................................................................................................................... 83
- GIORGIA NAPOLETANO
BLEKOTAKRA ….............................................................................................. 91
- JESSICA PASCUCCI.................................................................................... 99
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BIBLIOGRAFIA................................................................................................. 111
RINGRAZIAMENTI ….......................................................................................112
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