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IL MOTIVO DI TUTTO

Vorrei spingervi a ragionare se esiste un modo particolare di fotografare, se le donne possiedano o


no una sensibilità particolare, e se è vero che detestano la tecnica e devono faticare più degli uomini
per farsi strada in campo fotografico. Il bello di questi problemi è che non prevedono risposte
definitive e servono quindi solo a discutere e a confrontarsi, a costruire idee che sembrano solide
quando le si pensa ma risultano fragili di fronte alle tante obiezioni che suscitano. D'altra parte
questa non è una tesi teorica e nemmeno un saggio storico o una mappatura scientifica della
fotografia italiana sotto i trent'anni dal punto di vista emotivo. E' e vuole essere un insieme di
testimonianze, una serie di flash capaci di rivelare mondi personali, un indagine interessata più alla
psicologia delle persone che al profilo personale delle fotografe, ognuno leggerà interpretando come
più desidera.
Eppure proprio per queste ragioni la stesura è stata ancora più interessante e credo che lo sarà per
tutti quelli che vorranno sporgersi su queste righe e trarne la serie di idee e frammenti di vita,
emozioni percepite e trasmesse. Sfogliate questa tesi come volete, dalla prima pagina all'ultima o
cercando personali analogie, aprirla a caso per vedere cosa succede, leggere chi si conoscere o
ascoltare chi ancora si ignora.
Due sono le motivazioni di questo lavoro, capire il significato che ha per ognuno di noi il
fotografare e conoscere più da vicino forme di emotività da cui mi sento toccata. Mi interessava
suggerire, conoscere la persona e il lavoro fotografico, convinta che come dice Nietzsche: “I grandi
pensieri vengono dal cuore, invece quelli che grandi non sono nascono dalla ragione”. Mi sono
trovata così con loro a camminare su fragilissimi fili e a condividere insieme i pesi del vivere una
passione forte e solitaria, qualche volta trattenuta o negata.
Ho ascoltato il coraggio di farcela a tutti i costi e rinunce o inversioni di rotta. Premesso che il
punto di partenza è il comune amore per la fotografia, per scegliere i soggetti di questa tesi mi sono
lasciata guidare dalla curiosità dell'osservare i progetti di mie coetanee e confrontarli con quelli di
un cinquant'anni fa e poterne accogliere aspetti particolari della vita femminile. La motivazione a
scegliere la fotografia come tramite espressivo per liberare energia e la tenacia e la determinazione
ad individuarsi rispetto a un compagno affermato nel lavoro, il bisogno imperioso di raggiungere
un'equilibrio tra vita professionale e vita privata, il ribaltamento dell'ordine dei valori che determina
la presenza di un figlio, la tranquillità nella navigazione che nasce quando la donna si sente
riconosciuta. L'impegno in lei spesso diventa vera passione a testimoniare, valore di verbo quando
si tratta di comunicare ingiustizie e dare emozioni.
Noi fotografe appartenenti a generazioni giovani mettiamo davanti a noi una realtà diversa, abbiamo
solide preparazioni culturali, non ci sentiamo svantaggiate rispetto ai maschi e come loro
investiamo molte energie per costruire il nostro futuro professionale spesso in solitudine.
Oggi la donna impegnata nella fotografia sa bene che quello che prima era un mestiere con una
certa stabilità ora non lo è più, va continuamente conquistato, quindi con ancora più incertezza,
oltretutto anche il venir meno di organismi che prima davano protezione e promozione, grandi studi
agenzie e cambiamenti nei rapporti con i giornali. Alcune fotografe hanno imparato ad adattarsi
sfruttando il web e i mezzi tecnologici altre sufficientemente sicure tentano la strada della moda o
elaborano progetti con photoeditor, filosofi e scrittori.
Così alcune rare giovani artiste che cercando un modo di crescere meno legato a mestiere e
committenze, si gettano nel mare grande e insidioso dell'arte contemporanea.

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Concepiscono i loro progetti, portandoli avanti con determinazione da sole e una volta realizzati li
propongono per la pubblicazione.
Sono artiste o artigiane?
Le fotografe giovani si definiscono facilmente artiste mentre le professioniste di trent'anni fa si
definiscono orgogliosamente artigiane, ma è il linguaggio ad essere cambiato e ormai l'artista è
semplicemente chi manda avanti un progetto artistico personale.
Al centro di tutto quindi linguaggio visivo e ricerca di uno stile, per rivelare inquietudini e gioie,
sentimenti e passioni, per ognuno un distinto codice interpretativo e un distinto modo di guardare,
affinchè uscisse un po' di se stessa.

LA RICERCA DEL SOGGETTO

Con quest'impostazione mentale di intendere la fotografia, possiamo facilmente comprendere che


capita raramente di scattare senza aver inquadrato un idea in testa da realizzare, la conseguenza di
ciò è stata la maturazione di un processo creativo che antepone allo scatto la formazione di un opera
creata da più immagini.
Questo non era all'epoca un modo di fare molto diffuso infatti, nelle opere degli anni '60 '70
primeggia la fotografia singola, le pubblicazioni e le mostre a parte alcuni pochi grandi autori sono
formate principalmente da opere singole scelte tra le migliori realizzate senza preoccuparsi della
coerenza tematica e poetica, specialmente su una serie di belle immagini da intendere una ad una.
In quegli anni inizia in Italia la vicenda dell'arte concettuale, una corrente artistica che, tout court,
nell'opera d'arte toglie il primato alla forma per attribuirlo al concetto. L'arte concettuale applicata
alla fotografia fa maturare nei fotografi quell'idea di opera propria nel mondo artistico, quindi una
serie di immagini che trattengono tra loro una tale coerenza tematica e poetica nel renderle efficaci
nel comunicare un'unica idea centrale.
L'opera è compiuta dunque in un lasso di tempo limitato, le forze del fotografo sono concentrate
verso l'approfondimento del tema le sue interpretazioni secondo cosa il titolo annuncia, è pertanto
un esperienza di profondità nella quale egli acquisisce una nuova conoscenza che evolve nella sua
identità artistica, infine nell'opera compiuta troviamo la forza e la fragilità dell'autore.
In questi termini essa è un umanissimo atto d'amore che produce il segno concreto del proprio Sè.

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ESSERE DONNA

“La grande differenza della donna fotografa è che sa guardarsi dentro prima di iniziare a
guardarsi fuori”.
Giuliana Traverso

E’ fuorviante generalizzare dentro un mondo, quello della fotografia, che in realtà è una
costellazione di forti individualità, tuttavia mi sono fatto un’idea, guardando da sempre con
vivissimo interesse la produzione di alcune grandi autrici. A voler essere molto sintetici,
l’impressione che mi trasmettono rivela spesso una capacità di approfondimento superiore
rispetto a molti loro colleghi uomini.
Meno preoccupate dagli aspetti tecnici, meno narcisiste nel fare foto destinate a stupire, hanno in
genere una maggiore capacità di “empatia fotografica”, intesa come istintiva inclinazione ad
occuparsi intimamente ed emotivamente degli altri, dei loro soggetti.
Nel lavoro The Julie project – per esempio – la fotografa americana Darcy Padilla documenta le
drammatiche vicende umane di Julie dal 1993 al 2010, e solo alla morte della ragazza ritiene
concluso il lavoro. La storia e la vita della povera Julie s’intersecano indissolubilmente con la
storia la vita della fotografa. La parola che meglio racconta l’approccio fotografico di una donna
è compassione, nel suo senso più alto.
Empatia e compassione si celano spesso (come nel caso appena citato) dietro la facciata di foto
dure o durissime, perché talvolta lo sguardo femminile sulla realtà e sulla società è duro, come
dura può essere la vita. Duro non significa cinico. Duro, in questo caso, significa vero, onesto,
magari anche politicamente scorretto. Ma sempre etico.
Quanto coinvolgimento nelle foto di Diane Arbus, Donna Ferrato, Mary Ellen Mark, Graciela
Iturbide, Francesca Woodman, Nan Goldin, Carla Cerati, Flor Garduno (solo per citare qualche
nome, di varie nazionalità e di varie epoche).
Alcune, schiacciate forse dal peso caricato su di sé nel costante confronto con i lati oscuri
dell’esistenza (propria o altrui), di cui è impossibile stabilire se la pratica fotografica è causa o
sintomo, hanno chiuso anzitempo il loro cammino con un gesto estremo (Arbus e Woodman).
In altre continua, ossessivo, l’eco interiore delle urla di dolore registrate nelle fotografie fatte anche
molti anni prima, con una grande difficoltà a prenderne le distanze per rivedere nuove luci, come
ammette una grande donna prima ancora che grande fotografa, Letizia Battaglia. Ella tenta di
rimarginare le ferite ancora aperte rivisitando, oggi, il senso delle sue foto sociali in una Palermo
insanguinata (tra cui le intense e tragiche foto di mafia che l’hanno resa famosa), ricollocandole nel
tempo e nello spazio in dialogo con nuove recenti foto che parlano di bellezza, di femminilità, di
armonia. Una sorta di necessaria terapia visiva.
Guardare il mondo, la vita, i fatti e le persone con occhi di donna significa fotografare con l’urgenza
di mettere in un rettangolo l’esito emotivo e la sintesi intima di tale visione. Così, più che per la
composizione o l’originalità, le immagini di molte fotografe s’impongono a noi per la densità.
Potessimo pesarle con un’ipotetica bilancia, risulterebbero dotate di un enorme peso specifico.
Per il resto, ognuna elabora uno stile proprio, aree d’interessi specifici, linguaggi diversi, né più né
meno di ciò che fa ogni fotografo, senza distinzioni possibili legate all’identità.
Molte fotografe sembrano avere una tendenza naturale a creare immagini pulsanti, calde
grondanti. Foto che hanno quasi una febbre, un’ansia interna.
Se dunque la fotografia è, e dovrebbe sempre essere, anzitutto una grande passione, forse al
femminile può avere davvero una marcia in più.

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Parlare di donne protagoniste della fotografia, e non oggetti, non deve far pensare ad atteggiamenti
di rivendicazioni femministe. L’arte non ha sesso. Sottolineare ‘le differenze’, supposte, sarebbe
mortificante proprio per le donne che hanno lasciato, e continuano a lasciare, impronte indelebili
nell’evoluzione della fotografia come arte autonoma.
Il secondo sesso, scritto nel 1949 da Simone de Beauvoir, l’autrice dichiara che donne non si
nasce ma si diventa, proprio a causa delle pressioni provenienti dal contesto sociale, che definiscono
la donna come “l’altro” rispetto al soggetto maschile. Attraverso un discorso che affronta la
biologia, la storia e la cultura, Simone de Beauvoir sostiene la possibilità per le donne di sottrarsi a
tale subordinazione, liberandosi da quello che non deve essere considerato un destino
inevitabile, per affermarsi come individui capaci di andare oltre la propria condizione.
Molti anni sono trascorsi dalle teorizzazioni di Simone de Beauvoir e molte volte sono cambiati
gli orizzonti e mutate le tensioni; il corpo e il genere sono stati i veicoli privilegiati che hanno
introdotto un nuovo secolo e le grandi autrici della storia sono soggetti agenti, tutte hanno scelto di
“stare al mondo”, scrutando, riprendendo e guardando cosa costantemente del mondo cambia: un
vero e proprio itinerario di visioni, orizzonti, scorci.
Hanno scelto la fotografia come territorio identitario, simbolico, erotico, politico e poetico, non
per rappresentare e indagare le loro storie personali, ma per dare voce ad alcune delle più potenti
tensioni del contemporaneo: l’identità, la relazione, la violenza, la differenza.

Uno sguardo sul mondo a partire dal proprio senso di responsabilità. Un idea che rimarca come
la fotografia negli ultimi anni abbia scelto di divenire una sorta di coscienza del mondo, facendosi
testimone anche di quello che spesso viene occultato. Gemelli monozigoti, bambini già
adulti, ambiguità sessuale, ma anche il ritratto di un poeta e le immagini della morte violenta,
e la bellezza di avventure epiche e il manifesto di una rivendicazione di genere e altri immaginari e
nuove tribù e i conflitti familiari e gli strumenti legali della pena di morte.
Ogni opera diventa la provocazione di un dialogo profondo e intimo tra i soggetti delle fotografie e
lo spettatore, raccontando uno scorcio indefinito della comune condizione umana, un “invito alla
consapevolezza” dell’esistenza di mondi differenti e spesso estranei uno all’altro ma sempre e tutte
scegliendo, in controtendenza, il pensare all’opera come qualche cosa che vive e si sviluppa nella
dimensione reale dei rapporti umani, e delle dimensioni vincolate dalla fisicità dello spazio e del
corpo: un’opera di interazione tra persone che non lavorano su un prodotto spettacolare, bensì su
un’esperienza umana, a volte legata al dolore fisico, alla sofferenza e alla morte, ma anche alla
possibilità di scegliere, di cambiare, di diventare altro. Freak, mostri, prostitute, animali, stranieri.
Michel Foucault pone la questione della posizione del soggetto all’interno della società: “Come
nella nostra cultura gli esseri umani vengono resi soggetti?”.

L’oggettivazione del soggetto, per Foucault, si sdoppia in due momenti precisi: il primo riguarda
le metodologie e le strutturazioni del sociale che si danno lo statuto di scienze, il caso del soggetto
che lavora, inserito nella più vasta analisi della ricchezza o dell’economia, ne è un esempio
chiaro. Il secondo momento si identifica con quello che Foucault chiama ‘pratiche di divisione’:
“Il soggetto è diviso al suo interno o è diviso dagli altri. Questo processo lo oggettiva “. E qui si
affiancano le categorie di pazzo o normale, del malato e del sano, e dall’opposizione dell’uno nei
confronti dell’altro si definisce l’identità del soggetto, la figura di un ‘preciso’ soggetto, e, dunque
della sua collocazione.
La caratteristica principale è l’assoluta centralità del dialogo con il reale, una centralità che
stabilisce un vincolo stretto con le forme del mondo, nel recupero di materiali di vita. Che si tratti di
uomini o donne, che si tratti di una stanza o di un letto, che si veda una panchina o una sedia
elettrica, il modo di comporre le opere non è mai in riferimento a un reportage, al gusto
dell’istantanea, ma si percepisce fortemente la capacità di inventare e costruire le storie a partire da
un pensiero poetico, da un’idea di ciò che potrebbe accadere e spesso accade.

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L’obiettivo, ambizioso e doveroso, è di tracciare una guida di ‘appunti’ per mettere in risalto un
patrimonio di cultura e creatività che traspare dalla storia della fotografia internazionale, fin dagli
albori e che, per quasi centosettant’anni, ha imposto un modo spesso assolutamente insolito di
vedere.
Una storia della fotografia, osservata da angolature diverse, che non mancherà di stupire per
genialità e sensibilità, per innovativi atteggiamenti e libertà espressiva.
Le donne in fotografia sono state tante e bravissime, ed oggi sono protagoniste delle più rilucenti
sfaccettature di un diamante purissimo, la fotografia nelle arti visuali, che sta regalando galattiche
avventure nell’universo dell’immagine.
Il percorso, assai complesso, tocca i punti focali dei generi in fotografia e attraversa le epoche e le
diverse culture d’Europa e Americhe, e del nascente impegno in Africa, Asia, Australia, in spazi
pubblici e gallerie private.
Le frontiere non esistono, nemmeno i confini alla creatività, miracolo della fotografia.
Un’affascinante ‘giro del mondo’ a bordo della macchina del tempo che, dal 1860 alle ricerche
contemporanee, plana in tantissimi Paesi e si sofferma a mettere in luce genialità incomparabili con
immagini indimenticabili.
“L’anatomia è il destino” suppose Sigmund Freud, condannando drasticamente l’umanità in gabbie
di ruolo ben definite: maschio e femmina.

Una sua discepola, Karen Horney, già nel 1923 cominciò a confutare questa dottrina e argomentò
che è la cultura e non la biologia ad incidere in modo determinante e primario sulla personalità.
E in riferimento ad un’altra perniciosa teoria freudiana, l’invidia che le donne proverebbero nei
confronti del sesso maschile, in ‘New Ways in Psychoanalysis’, del 1939, scrisse: “ Il desiderio di
essere un uomo...potrebbe essere l’espressione del desiderio per tutte quelle qualità o privilegi che
la nostra cultura considera maschili come la forza, il coraggio, l’indipendenza, il successo, la
libertà sessuale e il diritto di scegliere il proprio partner.” Ozioso sottolineare che la Horney ebbe
un padre terribilmente autoritario e che la sua volontà di famiglia perché professione disdicevole per
la buona società del tempo.

‘The Women’s Eye’, pubblicato nel 1973, è forse il primo libro che prende in considerazione la
fotografia
al femminile: Gertrude Käsebir, Frances Benjamin Johnston, Margaret Bourke-White, Dorothea
Lange,
Berenice Abbott, Barbara Morgan, Diane Arbus, Alisa Wells, Judy Dater, Bea Nettles, riunite
insieme e non hanno nulla a vedere fra loro, se non il sesso. Anne Tucker apre il testo della
prefazione con:

“È l’anatomia un destino? Siamo molto lontani da rispondere a questa domanda. Tutti i dati al
momento disponibili riflettono le differenze fra donne e uomini imposte dalla società patriarcale
nella quale viviamo.
Fino a che le divisioni saranno così rigidamente definite ed imposte, sarà impossibile sapere se le
differenze sono naturali, e se lo sono, in ogni caso forzano le relazioni ai tradizionali stereotipi.
Certe sensibilità sono esclusive del femminile? Si possono decifrare tali sensibilità in particolare
nell’arte di un individuo?L’arte può e potrebbe essere distinta come femminile o maschile?
...Esiste di fatto un’arte femminile? O, ponendo la questione in altro modo, si può identificare il
sesso
dell’artista attraverso la sua arte?...La gente spesso presume certe distinzioni fra arte maschile e
femminile. Trova delle differenze nelle attitudini e descrive queste differenze usando gli stessi
aggettivi

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con i quali abitualmente si descrivono i comportamenti. Gli uomini sono ritenuti più distaccati
dai loro soggetti, clinici, piuttosto che compassionevoli nell’osservazione. Arguti, le donne prive di
senso dell’umorismo. Le donne realizzano morbide, delicate immagini. Non sono dure, ostili, o
crudeli.”

La Tucker toccava anche argomenti spinosi: la dipendenza economica, l’educazione impartita, lo


scudo che la società frapponeva alle donne artiste, ed altri problemi che in trent’anni sono stati, in
parte, superati. Sottolineava, inoltre, che quegli aggettivi d’identificazione maschile e femminile, in
molti casi, sono del tutto capziosi.
Sono perfettamente d’accordo e, aggiungo che è impossibile stabilire ‘il sesso’ dell’immagine.
Vi sono donne che usano la macchina fotografica come un bastone da baseball piantato nello
stomaco ed uomini di una delicatezza così leggera da commuovere il cuore di pietra.
Eugene W. Smith, insuperabile fotogiornalista per
impegno morale e superba qualità d’immagine,
era
talmente coinvolto in ciò che vedeva, e
fotografava, da compenetrarsi in un solo essere
con i suoi tragici
soggetti. Sembra che dalle sue fotografie
sgorghino le lacrime che non sapeva trattenere.
Cinico?
Distante?

EU Smith – Suora all'arrivo dell'Andrea Doria

Mentre, Margaret Bourke-White, inenarrabili, non distogliere lo sguardo e riprendere per la


memoria eterna. Dolci e delicate le sue fotografie dei campi di concentramento nazisti?
La Bourke-White, bella e di grande fascino, è stata fra le più ‘maschili’, per adeguarci alla
terminologia cara agli anatomisti, delle fotografe.
Dalla Otis Steel Company, acciaio, tanto
per smentire le attitudini romantiche,
viene assunta in qualità di fotografa
industriale. È l’inizio della sua clamorosa
carriera, 1928.
Nel 1935, durante la Depressione, la
rivista Fortune la incarica di documentare
la situazione negli stati del sud, la
accompagna Erskine Caldwell, il grande
scrittore che diventerà il suo secondo
marito. Sofisticata dama, il suo studio di
New York è l’esaltazione dell’Art Deco,
con un gentile animale da compagnia: un
Bread Line during Louisville flood, Kentucky 1937
Margaret Bourke-White

alligatore in una vasca. La realtà con la quale si confronta la sconvolge a tal punto che racconta di
aver avuto un terribile incubo: veniva inseguita dalle rilucenti Buick che aveva fotografatoper la
pubblicità. Le automobili cercavano di travolgerla, di inghiottirla.

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Fortune non pubblicherà il servizio, troppo crudo per una rivista patinata.
Le immagini saranno raccolte due anni dopo nel libro ‘You Have Seen Their Faces’ (Avete visto i
loro volti) con i testi di Caldwell. Dura, volitiva, coraggiosa, e di intensa sensibilità. Le sue
fotografie non lasciano alcuno spazio all’immaginazione, rigorose, prive di sbavature, testimoniano
ciò che è.
Esemplare la ripresa ‘Bread Line during Louisville flood, Kentucky 1937’ della Bourke-White che
coglie una scena paradossale: povera gente, nella maggior parte nera, in fila per ricevere del cibo,
sovrastata daun enorme manifesto che glorifica ‘Il più alto standard mondiale di vita’ degli Stati
Uniti con l’immagine di una famiglia felice a bordo di un’automobile.
È una fotografia tremenda, l’ironia è caustica e colpevolizzante. Rappresenta la sintesi spietata delle
reali condizioni di un Paese spaccato a metà, ‘How the Other Half Lives’ è il libro di immagini che
Jacob Riis aveva mandato alle stampe nel lontano 1890.

Mancano, le donne, di umorismo?


Lisette Model ne è stata maestra con tutta l’abilità di chi sa cogliere con un sorriso, senza offendere
e
calcare...l’obiettivo. “ Non si deve mai riprendere un’immagine se non si è appassionatamente
interessati a quel soggetto.”
Era la filosofia che guidava la sua coscienza di che cosa fosse la fotografia.
La serie sulla Costa Azzurra, del 1937, è esilarante, questi personaggi sembrano essere gli interpreti
diuna commedia buffa, grotteschi al limite della verosimiglianza rappresentano la decadenza
europea, inconsapevoli di quali dure prove dovranno sostenere da lì a un paio di annicon la II guerra
mondiale.
L’attitudine della Model a cogliere la naturale comicità si paleserà anche negli Stati Uniti, dove si
trasferirà nel 1937, affascinata dalla vivacità e dalla singolarità di New York.
Karen Horney contrastava la teoria de ‘ L’anatomia è il destino’ con la cultura e Lisette Model ne è
l’ideale modello. Ricca, di padre italo-austriaco e di madre francese, venne educata privatamente,
amante della musica, negli anni giovanili, il suo maestro fu il compositore Arnold Schoenberg,
possedeva tutti gli strumenti intellettuali per osservare l’umanità con disincanto.
La sua allieva, Diane Arbus apparteneva anch’essa ad
una ricca famiglia ed aveva ricevuto un’educazione
raffinata, eppure questi privilegi furono da lei sfruttati
in senso opposto a quello di Lisette.
Il suo non è più umorismo o sobria ironia, ma aspro
sarcasmo. Riusciva ad esasperare le caratteristiche
degradanti degli individui quando riprendeva gente
comune, ad esempio ne ‘Il bambino con in mano una
granata giocattolo’ sembra che abbia atteso, o forse
provocato, l’espressione più degenerata; così ferma la
giovane coppia per strada e ne restituisce un ritratto di
squallida parodia.
Diane Arbus,
Child with a hand toy grenade
, New York, 1962

Prova un sadico piacere nel sottolineare la diversità delle persone emarginate e sfortunate, e
nell’inasprire le apparenze patetiche fino a trasformarle in caricature sadiche.
Non aveva alcun rispetto per gli altri, e non è vero, come alcuni sostengono, che è stata la pioniera

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di un nuovo stile documentario. La crudeltà non è uno stile ed è stata la più cattiva in assoluto
nell’intera storia della fotografia, uomini compresi.
Priva di compassione, di senso della solidarietà, di amore, si è suicidata, e come può un essere
umano continuare a vivere se considera i suoi simili solo nei lati oscuri?
A qualcuno verrà in mente Joel Peter Witkin per riabilitare la Arbus, credendo che egli sia andato
ben oltre. Il lavoro di Witkin può far rabbrividire, ma si regge su un concetto agli antipodi:
riscattare gli innocenti che il Cielo ha punito con le malformazioni più crudeli e renderli
protagonisti della vita, in elaboratissime messe in scena, restituendo loro dignità e bellezza.
L’espressione creativa non ha sesso.

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ESSERE DONNA NELLA STORIA DELLA FOTOGRAFIA

Le donne in fotografia, comunque, hanno subito pressioni psicologiche, ostracismi e isterici rifiuti.
La determinazione, la chiarezza della volontà sono da sempre le leve che le hanno spinte nel
perseguire
un cammino non facile, anche per le più privilegiate.
Esempio è Julia Margaret Cameron , la prima grande autrice che si è inserita nella storia della
fotografia.

Julia Margaret Cameron


autoritratto, 1850

Signora della buona società inglese, colta, cosmopolita, appassionata


ed eccentrica, inizia a dedicarsi alla fotografia a quarantotto anni,
quando oramai le donne dell’epoca erano in assoluto declino.
È nell’isola di Wight che avviene il miracolo, un’isola che deve
emanare particolari onde magiche: vi viveva Alfred Tennyson e la
Cameron, andandolo a trovare, decise di acquistare due cottages dove
fissare la propria residenza. Oscar Gustav Rejlander, nel 1863, si
recò da Tennyson per riprenderne il ritratto. L’incontro fu fatale, la
Cameron già ammirava il celebre fotografo, il primo che compose un’allegoria complessa con ben
trenta negativi diversi e pare che fu proprio lui a fornirle i primi insegnamenti del processo al
collodio umido.
“Trasformai la carbonaia in camera oscura e il pollaio con le vetrate nella
mia ‘casa a vetri’. La società delle oche e dei polli cambiò subito in quella dei poeti, profeti, pittori
e deliziose dame, che hanno resoimmortale l’umile costruzione contadina.”
In quello studio, la dama inglese obbligava a posare davanti al suo apparecchio a lastre ogni vicino,
conoscente, amico, membro della famiglia e, persino, fermava i passanti per la strada. Un furore
creativo che ebbe dei risultati unici. I suoi ritratti, soffusi da una malinconia sottile; le sue immagini
simboliche così ben studiate nella composizione equilibrata sono dei capolavori di altissima classe.
Fu criticata, dai fotografi professionisti contemporanei, per la mancanza di messa a fuoco
precisa, un elemento che definiva all’epoca la perizia tecnica. Infatti, le fotografie della Cameron
sono sempre ‘morbide’, dai contorni sfumati e dai dettagli incerti. Elementi di grande fascino
visuale che precorrono lo stile pittorialista.
Smise nel 1875, quando raggiunse il marito a Ceylon dove possedevano vaste piantagioni di tè,
poco più di dieci anni di attività feconda e ricchissima.
Lo sfumato, i contorni labili, la vaghezza dei segni saranno, appunto, le virtù stilistiche del
movimento pittorialista che, nato in Europa, sarà negli Stati Uniti la liberazione dalle convenzioni
obsolete della fotografia professionale, per dar vita alla liberacreatività. Il pittorialismo venne
importato da Alfred Stieglitz, che per undici anni aveva studiato in Germania e Austria, venendo a
contatto con le punte più avanzate della fotografia del tempo.
Le donne compresero rapidamente la grande rivoluzione stilistica e concettuale della fotografia
pittorialista, divenendo presto le più sensibili interpreti, apprezzate da Stieglitz che espose le loro
opere alla galleria 291 e le pubblicò nell’insuperata rivista Camera Work. Anne Brigman, Alice
Boughton, Gertrude Käsebir, Ema Spencer, Eva Watson-Schütze rappresentano la grande arte della
fotografia nei primi decenni del Novecento negli Stati Uniti.
Naturalmente, non sono nemmeno menzionate nei saggi di storia della fotografia che hanno

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dominato la cultura fino ad oggi: Beaumont Newhall e Helmut Gernsheim, o sorvolate a volo
d’uccello nellepubblicazioni più recenti e monumentali.
Perdute nell’oblio della cancellazione di identità, come tirare un tratto di penna o meglio, in termini
contemporanei, pressare il tasto canc del computer e frantumarle nell’hard disk.
Erano donne e avevano seguito uno stile altamente disprezzato dai
guru teorici che vedevano la fotografia secondo dei parametri
diretti/straight, cioè quel tipo di fotografia teorizzato da Stieglitz e
che diventerà l’ossessiva cecità della produzione americana, fino alla
rivolta negli anni Ottanta.
Alfred Stieglitz,
The Steerage
, 1907

Queste donne erano tutte professioniste di successo, con studi ben


avviati e non semplici amatrici che per diletto borghese, anziché ricamare, riprendevano scenette
familiari. Sublimi nell’espressione creativa, sensibili alle tendenze culturali, abili nella padronanza
delle tecniche anche più impegnative come la stampa al platino, le loro immagini sono, inoltre, la
testimonianza vivida dell’epoca. Il patrimonio che hanno lasciato è un’eredità fondamentale per
apprezzare appieno quanto la fotografia può essere sublime coinvolgimento.
In quegli stessi anni, in Europa la coscienza collettiva aveva subito il duro trauma di una guerra, la I
mondiale. Nulla poteva essere come prima e la fotografia, strumento principe per indagare non solo
la realtà oggettuale, soprattutto la realtà interiore, abbandona la visione romantica per assumere
ruoli diversi.
Dopo quel lontano 1873, si sono susseguite, negli Stati Uniti soprattutto, mostre e saggi dedicati
alle donne fotografe.
Che gli Stati Uniti abbiamo rivolto attenzione a tale argomento piuttosto che l’Europa, e non
parliamo di Asia e Africa, è naturale: là la genealogia della fotografia al femminile risale alla
dagherrotipia, La prima professionista, Julia Shannon, pubblica un annuncio come dagherrotipista e
levatrice già nel 1850, in California.
Racconta Peter E. Palmquist nella sua ricerca presso il Women in Photography International
Archive della Beinecke Library all’Università di Yale:
“ In California vi è una ricca ed unica storia delle donne fotografe...Questa storia ha inizio
probabilmente addirittura prima della corsa all’oro, quando una giovane donna (di circa 12-14
anni) Epifania Gertrudis ‘Fanny’ Vallejo ritrasse probabilmente la madre in un dagherrotipo, fu
montato in un anello che portò il padre Generale Vallejo.”

Temo che Palmquist si sia lasciato trasportare dall’eccessivo entusiasmo, e patriottismo.


Improbabile che una ragazzina riuscisse a mettere a punto tutte le complesse operazioni del
processo di dagherrotipia, e poi un dagherrotipo tanto piccolo da essere incastonato in un anello
lascia perplessi.
La corsa all’oro ha inizio nel 1848, a quell’epoca, la California apparteneva ancora al Messico
(soltanto nel 1850 l’alta California diventerà uno stato USA).
Un aneddoto con tante ombre che tuttavia affascina e permette una riflessione.
In molti Paesi dell’America Latina le donne sono state e sono le migliori fotografe, spesso le più
importanti.

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In Messico, il 1927 è l'anno dell'iscrizione al Partito Comunista Messicano
e l'inizio della fase più intensa del suo attivismo politico. In quel periodo le
sue fotografie vennero pubblicate su numerosi giornali di sinistra, tra cui
l'organo ufficiale del PCM, El Machete.
Si pensa che Modotti sia stata introdotta alla fotografia quando era ancora
in Italia, dove suo zio Pietro gestiva uno studio fotografico. Anni dopo,
negli USA, suo padre aprì uno studio simile a San Francisco, accrescendo il
suo interesse per questa forma d'arte. Comunque fu la sua relazione con
Weston che le permise di praticare e migliorare le sue capacità, fino a
divenire un'artista di fama internazionale. Tina Modotti ha tracciato la via a
Manuel Alvarez Bravo, seguito dalle sue discepole che hanno dimostrato
intelligenza indipendente e creatività originale, egli suddivise la carriera
della Modotti in
Tina Modotti
Ritratto

due periodi: quello romantico e quello rivoluzionario. Il primo include il periodo trascorso con
Weston come assistente in camera oscura, poi come contabile e infine come assistente creativo.
Insieme aprirono uno studio di ritrattistica a Città del Messico e ricevettero l'incarico di viaggiare
per il Messico per fare fotografie da pubblicare nel libro Idols Behind Altars, di Anita Brenner. In
questo periodo venne scelta come "fotografa ufficiale" del movimento muralista messicano,
immortalando i lavori di Orozco e di Diego Rivera. Molte delle foto dedicate ai fiori sono state
scattate in quel periodo.
Nel dicembre del 1929 una sua mostra venne pubblicizzata come "La prima mostra fotografica
rivoluzionaria in Messico": fu l'apice della sua carriera di fotografa. All'incirca un anno dopo fu
costretta a lasciare la macchina fotografica dopo l'espulsione dal Messico e, a parte poche eccezioni,
non scattò più fotografie nei dodici anni che le rimanevano da vivere.

Falce , martello e sombrero


1927
Tina Modotti

L’Argentina vanta un solo autore/autrice di prestigio internazionale: Annemarie Heinrich. La dolce


Annemarie, nel 1926, a quattordici anni, dalla Germania emigra con la famiglia a Buenos Aires.
Nemmeno ventenne apre il suo primo studio, ritratto, nudo, teatro. Per la sua origine tedesca,
durante la II guerra mondiale soffrì di emarginazione, non poteva acquistare pellicole ed utilizzò
quelle

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cinematografiche. Lo raccontava con serenità, e grande dolore, unito alla cupa disperazione di
essere la mancata suocera di un desaparecido: il giovane fidanzato della figlia Alicia che aspettava
un bambino.
Annemarie è il mito della fotografia argentina, ed esemplare autrice di un’epoca, per la
compostezza delle sue inquadrature, la bravura nel modulare le luci che plasmano le forme e le
linee. Ogni artista di teatro (attori, musicisti, ballerini) che andava a Buenos Aires si recava nello
studio di Annemarie per un ritratto, come tutta l’alta società.
Le Americhe ‘parlano’ al femminile in fotografia e ne sono coscienti, anche se negli Stati Uniti la
prepotenza maschilista ha tenuto spesso le donne in sotto tono.
Per questo motivo, negli ultimi due decenni si sono moltiplicate le organizzazioni e gli eventi al
femminile, a volte di esasperata rivendicazione femminista, in genere di pacata volontà a correggere
le vistose ‘dimenticanze’ ed attribuire le corrette collocazioni all’interno della storia della
fotografia.

Il ‘Women in Photography International’ è stato fondato nel 1981 con l’intento di: ‘ comunicare
idee,opportunità e la passione per la fotografia’. Ogni anno il WPI lancia un concorso, suddiviso in
diverse categorie, ma è beffardo che della giuria facciano parte anche degli uomini. Dal 1985, onora
con il Distinguished Photographers Award le donne che hanno contribuito in modo significativo
all’evoluzione della fotografia. A Ruth Bernhard, per il suo centesimo compleanno, è stato
riservato uno speciale riconoscimento.
In quell’occasione, la Bernhard ha rilasciato una sorta di testamento morale:

“ Ogni volta che realizzo una fotografia celebro la vita che amo e la bellezza che conosco e la
felicità che ho provato. Tutte le mie fotografie rispondono alla mia intuizione...Dopo così tanti
anni, sono ancora motivata dallo splendore che la luce crea nel trasformare un oggetto in qualcosa
di magico. Ciò che gli occhi vedono è un’illusione del reale. L’immagine in bianco e nero è ancora
un’altra trasformazione. Ciò che davvero esiste, non potremo saperlo mai.”

Sorge la grande scuola della Bauhaus, emerge la volontà di sperimentare, di osservare il mondo e
scomporlo in nuove avventurose esperienze.
Lucia Moholy, che spinge il marito Làzslò Moholy-Nagy ad interessarsi alla fotografia, è
attivissima in molti progetti della Bauhaus, dal 1923 al 1928.
Il suo strumento è la fotografia, riprende i ritratti dei docenti della scuola - i più grandi artisti
dell’avanguardia storica - l’architettura e gli spettacoli del teatro all’interno della Bauhaus,
interpretando appieno la pulizia severa dell’arte modernista. Il suo esempio è stato determinante per
l’evoluzione in fotografia della Bauhaus.
Il suo lavoro è di recente riscoperta e valutazione, ovviamente. Fino a pochi anni fa era, ben di rado,
menzionata solo come moglie del grande genio. Nel 1919, si iscrive al laboratorio di ceramica, la
giovane Toni von Haken , conosce Eberhard Schrammen, a capo dei laboratori dei metalli e della
pietra, che già aveva contribuito alla creazione della Bauhaus stessa.
Nel 1929, si trasferiscono a Gildenhall, una comunità d’artisti appena fondata. Inventano una
tecnica che denomineranno Foto-Grafik, complessa sintesi di fotogramma (la fotografia senza l’uso
della macchina fotografica che risale addirittura agli albori dell’invenzione della fotografia con i
disegni fotogenici di Henry Fox Talbot, e quasi un secolo più tardi, ‘riscoperta’ da Man Ray,
(delizia di dada e surrealisti) e découpage (l’arte di ritagliare frammenti d’immagine per creare
nuove composizioni, ritornato tanto alla moda oggi). Al fotogramma/découpage si dedicò anche
Picasso assieme ad André Villers, con risultati, a dire il vero, inverecondi.
La Von Haken sceglie come tema fondamentale del suo lavoro il mondo infantile: i giochi,
l’apprendimento e le meravigliose scoperte del Creato (i piccoli animaletti del bosco, l’aquario, i
fiori). È un’immagine sintetica di grande estensione narrativa, è un’invenzione sperimentale che

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non ha avuto
seguaci per l’estrema difficoltà di realizzazione.
La Germania, e l’area tedesca, la Francia degli anni Venti e Trenta sono il fecondo territorio dove si
esprimeranno genialità al femminile di prodigiosa forza: Ilse Bing, Lotte Jacobi e Trude
Fleischman,
quest’ultima è una riscoperta recentissima, malgrado sia stata una professionista affermata con
studio a
Vienna, dove le giovani speranze della fotografia internazionale approdavano in cerca di consigli.
In
seguito, si rifugiò negli Stati Uniti per continuare il proprio
lavoro.
Negli anni Novanta, si affaccia timidamente la scoperta di Claude
Cahun e nell’attuale impeto di
esplorazioni che sta scavando le falde profonde della fotografia
come una sonda perforatrice ne saltano
fuori di recuperi belli, e disutili, per la gioia degli autentici cultori,
e degli smaliziati galleristi.
Lucy Schwob, francese, adotta uno pseudonimo e sceglie ‘Claude’
come primo nome che è sia
maschile che femminile. Di nuovo la volontà evidente di annullare
le identità anagrafiche. È il 1917 e rifiuta il ruolo di donna che la
società le impone, ma lo interpreta, nei più diversificati
personaggi, in autoritratti, forse un pò ingenui, di certo
interessanti per meglio definire le frange meno note del
surrealismo.
Claude Cahun. Self-portrait. 1929

‘L 'anatomia non è il destino’ perchè modificabile, anche senza ricorrere al bisturi, e ogni individuo
è libero di scegliere l’aspetto esteriore che più si accorda al proprio sentire.
In sintonia con questa coscienza recuperata, il giapponese Yasumasa Morimura cancella il ruolo che
l’anagrafe gli ha imposto e incarna, in una finzione/desiderio, personaggi della più squisita
femminilità: dive del cinema, desiderate ardentemente dagli uomini, icone dell’arte europea e
l’immaginario ossessivo di Frida Kahlo, la più ambigua e sfuggevole delle artiste moderne, in
un’identificazione così cosciente da lasciare le tracce della sua appartenenza culturale.
Il ritratto è uno dei territori tradizionali dove le donne hanno espresso le loro capacità professionali,
spesso imponendosi in concorrenza con gli altri studi.

Dorothy Wilding, la più stimata e corteggiata fra i fotografi di ritratto in Gran Bretagna, e in seguito
a New York dove aprì un altro studio nel 1937, frequentato dalla migliore società. Nello stesso
anno, in occasione dell’incoronazione di Giorgio VI, fu nominata Fotografo Reale, la prima donna a
ricevere questo onore.
Talento naturale nel modulare la luce, i suoi ritratti sono un capolavoro di perfezione compositiva e
di armonia. Il suo archivio è conservato con rispetto ed ogni precauzione nella British Royal
Collection. La stessa sorte non è toccata a Ghitta Carell nome piuttosto noto in Italia, è stata la
regina indiscussa dei ritrattisti, anche se troppo spesso liquidata, da una furia revisionista che si può
applicare all’arte, con etichette stupide ‘ritrattista di regime’ e dei ‘signori d’Italia’. È vero, nel suo
studio hanno posato tutti i personaggi che contavano fra gli anni Trenta e Quaranta: aristocrazia,
alta borghesia, politica, finanza. Abilissima negli artifici tecnici (luci e ritocchi), è, comunque,
riuscita a realizzare una galleria di ritratti di forte potere narrativo, e spesso di grande suggestione. È
stata vittima anche di un disgustoso delitto: nel 1969 si trasferisce in Israele e affida tutte le sue

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lastre alla 3M che incarica un allora imperversante personaggio, tuttora vivente, della fotografia di
organizzare l’archivio.
Marie-José di Savoia
Ghitta Carell
Questo personaggio, che ha procurato più danni alla
fotografia in Italia di quanti ‘infiniti dolori inflisse agli Achei’,
consigliò di stampare tutte le lastre, riprodurle in negativi,
operazione che eseguì personalmente a fronte di congrua
retribuzione, e distruggerle. La carta utilizzata non era adatta a
restituire i soffici passaggi tonali della Carell , tantomeno la
pellicola negativa 35 mm. troppo dura. Le lastre sono finite nella
discarica, le fotografie originali della Carnell sono rare preziosità e
ciò che ci rimane di un patrimonio sono delle impossibili
riproduzioni.
L’accesso alle donne in fotografia si un po’ dischiuso, anche in
Paesi che il mondo occidentale ritiene
serrato in insormontabili muraglie.

Gli Stati Uniti ignoreranno le esperienze della fotografia sperimentale e tutta l’arte dell’avanguardia
storica, con un notevole ritardo nell’evoluzione che sarà recuperato soltanto negli anni Sessanta con
l’invenzione autoctona della Pop Art.
Nei primi decenni del secolo, pertanto, alla corrente pittorialista si contrappone una visione
razionalista che sarà dominante, almeno nella stesura dei saggi sulla storia della fotografia
pubblicati in epoca posteriore.
Berenice Abbott è un inconsueto prodigio di oggettività, sempre che si possa applicare tale
termine alla fotografia che oggettiva non lo è mai. Durante il suo soggiorno a Parigi, comprende la
straordinarietà delle escursioni e vagabondaggi fotografici di Eugène Atget, un altro che ha ricevuto
la benedizione di imbattersi in un ‘contesto’ made in USA, altrimenti sarebbe stato polverizzato in
una qualche nebulosa.
Rientrata a New York, viene incaricata di un progetto imponente: testimoniare la città. ‘Changing
New York’ uscirà nel 1939, dopo dieci anni di lavoro. Nel 1958, inizia una serie di fotografie per
illustrare i fenomeni della fisica.
Tutte le immagini della
Abbott, a primo sguardo
sembrano,
pure/dirette/straight,
secondo la
terminologia e la teoria
tanto adorata dalla
storiografia critica
statunitense, ed è stata la
fortuna
della Abbott , una delle
rarissime autrici che
viene menzionata nei
testi.

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Pike and Henry Street
Berenice Abbott
1936

Di fatto, la sua visione è così sottilmente di astratta, e personalissima, interpretazione, e così


avveniristica, da aver ingannato i noiosissimi obsoleti censori della libertà creativa.

Francesca Woodman
Autoritratto 1975

Francesca Woodman con la macchina fotografica


ritrasse nudi femminili in bianco e nero, talvolta
con il volto oscurato, ottenendo effetti sfocati grazie
al movimento ed al lungo periodo di esposizione,
che conferiscono l'effetto di una fusione dei corpi
con l'ambiente circostante. I critici riscontrano nelle
sue immagini l'influenza del surrealismo poiché è
manifesto in esse il desiderio di spezzare il codice
delle apparenze; inoltre l'artista manifestò
l'adesione alla tradizione surrealista attraverso la
volontà di non fornire spiegazioni sulle proprie
opere.

Con gli anni Ottanta, finalmente, la fotografia negli Stati Uniti si risveglia dal lungo e pernicioso
letargo che l’ha esclusa dalle eccitanti avventure dell’Europa.
E sono proprio le donne in prima linea con la fantasia delle costruzioni di Sandy Skoglund che
mette alla berlina, in surrealistiche ed attualissime realizzazioni, la classe media e le irresponsabili
azioni della società contemporanea. Tutto sembra gioioso e ludico nelle sue immagini, eppure là è
palesato il pericolo, e l’alienazione collettiva.
Cindy Sherman, in un continuo trasformismo, ha fatto di se
stessa soggetto e interprete. Tutti gli stereotipi femminili,
come sono vissuti nella mente degli uomini, sono riprodotti
in autoritratti, con un’ironia mordace. Un repertorio di
impersonificazioni che, con il passare degli anni, ha investito
altri territori con rocambolesca fantasia.
Negli Untitled Film Stills Cindy Sherman, vuole presentare i
vari aspetti della donna tramite alcuni scatti. Le immagini che
propone, forzano lo spettatore a "spezzare" l'immagine e
Cindy Shermann
Untitled Film Stills

l'identità che le donne sperimentano ogni volta. Ogni immagine avvicina lo spettatore a costruire la

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natura della donna, ma allo stesso tempo, avvicinandosi così tanto all'identità femminile,
indebolisce questo tipo di costruzione. C'è una dualità nelle opere della Sherman: da una parte, il
fantasticare su ciò che mostra l'immagine, dall'altra la rappresentazione stessa della fotografia.
Cindy Sherman, mostrando i tipi di donna e di femminilità, ci offre lo stile di visualizzazione e
simultaneamente il tipo di femminilità: questi due aspetti sono inscindibili. L'osservatore non vede
la rappresentazione della donna, ma la donna stessa, in quanto l'immagine diviene surrogato della
realtà. Ogni posa ed espressione facciale sembrano esprimere un'immisurabile interiorità e una
totale identità femminile. I frame congelano i momenti della performance e il senso della
personalità è intrappolato nell'immagine stessa; l'espressione facciale è quasi un'impressione della
situazione, ed il volto registra una data reazione.

Anche Orlan è la protagonista diretta delle proprie opere. Qui, però, ci scontriamo con un fenomeno
di metamorfosi non fittizia: Orlan, a partire dagli anni Novanta, si è sottoposta a dolorosissime ed
interminabili operazione chirurgiche per trasformarsi fisicamente. Chirurgia estetica che è la
negazione del costume corrente, e dei condizionamenti di una società che celebra la giovinezza e la
bellezza ad ogni costo. Sorpresa da come i canoni di bellezza varino nelle diverse culture e civiltà,
ha dapprima studiato a fondo l’iconografia delle etnie precolombiane per creare la prima serie ‘Self-
Hybridation’, elaborata al computer, che proseguirà, in anni successivi, rivolgendosi all’Africa ed
agli indiani americani. Era molto bella Orlan, secondo i criteri occidentali, e dimostra, oggi, che
certi concetti sono privi di significato, piuttosto presentano variabili infinite.

Da pochissimi anni si è dischiuso un nuovo mondo, sorprendente, la Cina che, non avendo
tradizioni in fotografia da rispettare o seguire, si sta inventando tutto con un anticonformismo
strabiliante.
Cui Xiuwen è esplosa alla ribalta internazionale a metà degli anni Novanta, a circa venticinque
anni. Le sue bambine, i soggetti delle opere, sono innocenti tramite di metafore complesse.
L’abbigliamento -divisa scolastica, sempre con la camicetta bianca e il fazzoletto rosso al collo- non
è scelta estetica, ma ‘segnaletica’ per veicolare il messaggio: bianco purezza, rosso patriottismo,
secondo gli stereotipi degli anni Cinquanta in Cina.
Le bambine, la bambina, rappresenta se stessa, o meglio ogni donna cinese, confusa e smarrita,
consapevole e volitiva, sognante e realistica, in un coacervo di sentimenti e pulsioni che dal passato
politico riemergono nel presente, così diverso ed inaspettato.
Paese, invece, di grande tradizione è il Giappone, dove però le donne artiste si contano ancora in
piccolissimi numeri.
Shinako Sato è un’esplosione di inventiva che risolve con i mezzi più disparati: fotografie, disegni,
piccoli adesivi, sculture, collages, ricami e murales. Il tema ricorrente è, ancora una volta, la donna,
sia pure analizzata in espressioni diverse, le sue fantasie e candore, la malizia e gli
impulsi.

“Vi sono stati pregiudizi storici contro le donne nella pittura e nella scultura. Siccome la fotografia
è una forma d’arte più recente vi è più apertura e accettazione. Hanno avuto più opportunità, e
sempre ci sono state buone donne fotografe quanti uomini.
Nel Ventesimo secolo, Imogen Cunningham, Margaret Bourke-White e Dorothea Lange hanno
dimostrato la continuità delle grandi donne fotografe nella storia.
Non significa che abbiamo avuto una vita facile. Fino a circa un decennio fa, secondo le persone
del settore, le donne difficilmente trovavano un impiego nella fotografia commerciale o nel
fotogiornalismo, e pertanto erano forzate a lavorare per conto loro.”

È la sintetica analisi di Joan Harrison, co-curatrice della mostra ‘Photojournalism in 80’s’.


In quella stessa occasione, Carnell Capa, allora direttore dell’International Center of Photography di

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New York, espresse il proprio punto di vista: “Credo che sono state tenute fuori da attitudini
maschiliste. Ma, in qualche punto, lungo il percorso, la diga si è rotta. Le donne posseggono
entusiasmo ed energia ed obiettivi.”
E vita facile, le donne, continuano a non averne, se Annie Leibowitz è stata incaricata del
calendario
Pirelli nel 2000, preceduta da soltanto altre due: Sarah Moon. La prima, nel 1972 e, a distanza di
diciassette anni, nel 1989, Joyce Tennyson, in una tradizione annuale che prende le mosse nel 1964,
quarantadue anni fa.

Non per questo si danno vinte, la scelta espressiva della Beecroft è stata quella di pensare e
realizzare performance, utilizzare il corpo di giovani donne più o meno nude, mosse secondo
precise coreografie, con opportuni commenti musicali o con il variare delle luci. Ciascuna delle
partecipanti deve attenersi a una serie di norme che Beecroft stabilisce prima di ciascuna azione,
con l'obiettivo di comporre "quadri viventi", esponendo in gallerie e musei di arte contemporanea.
Beecroft pone al centro della propria riflessione i temi dello sguardo, del desiderio e del mondo
della moda.

Vanessa Beecroft

La produzione artistica di Sam Taylor-Johnson si incentra sempre sul conflitto tra essere e apparire,
su quella linea di confine in cui il senso dell’identità si divide tra l’interno e l’esterno, tra le
esigenze sociali e quelle personali.

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L’intento è evidente nella struttura compositiva delle immagini, ispirata alla tradizione della
predella rinascimentale: un personaggio, solitamente Cristo, la Vergine o un Santo, già ritratto nel
pannello

Sam Taylor Johnson/ Wood


Wrecked, 1996

principale, compariva nuovamente nei riquadri sottostanti, in cui venivano rappresentati episodi
della sua vita. Sam Taylor-Johnson sostituisce ai personaggi biblici della tradizione cristiana uomini
dell’era contemporanea e nella porzione inferiore dell’immagine concretizza, attraverso immagini
panoramiche, i desideri più reconditi dei protagonisti. Si tratta di visioni oniriche, criptiche,
traduzione d’immagini mentali che sottolineano la fondamentale soggettività della percezione
umana. L’osservatore non può che carpire significati parziali e sfuggenti di ciò che osserva, non può
innestare un senso definitivo sulla scena cui assiste. Allo stesso tempo, però, egli proietta la propria
soggettività sulle immagini, trasformando così l’immaginario privato dei protagonisti in qualcosa
che è a loro estraneo.

Chi siamo veramente, al di là di ciò che diciamo di essere, e chi sono gli altri? Stalker,
spogliarellista, dormiente, spia: tutte le sue opere cercano di ricostruire l’intimità dall’esterno,
attraverso minimi dettagli, e tramite queste opere Sophie Calle tenta di appropriarsi delle esperienze
degli altri. Nei suoi lavori la linea di confine tra la vita e l’arte è confusa. All’interno del panorama
delle arti visive, Calle è uno dei casi più interessanti dell’intreccio tra dimensione letteraria e
fotografia, nel quale si può realizzare un’interessante reversibilità dei ruoli.

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Sophie Calle
Statues Ennemies

Le immagini di Yelena Yemchuk sono immediatamente riconoscibili, indipendentemente dal


soggetto che fotografa. La sua è una visione che ibrida una fantasia surreale e un romanticismo
dark. Nella serie Untitled Project Yelena sembra scattare istintivamente, in bianco e nero,
creando immagini che riguardano una forma di rappresentazione del sé: una sorta di “messa in
posa” che il soggetto sceglie per se stesso, facendo diventare le fotografie quasi un’esperienza
intima. Lo spirito malinconico dei suoi ritratti è tangibile in queste opere, in cui la fotografia
viene scelta come metodo per comprendere la vita. La Yemchuk sceglie persone che la coinvolgono
emotivamente, creando così immagini che evocano un mondo di interconnessioni, frontali,
dichiarate, dirette.

C' è qualcuno che intanto in Italia nel 1974 documenta l’inizio degli anni di piombo nella sua città,
scattando foto dei delitti di mafia. Letizia Battaglia non è, ad ogni modo, solo la fotografa della
mafia, le sue foto, spesso in
bianco e nero, raccontano Palermo nella sua miseria e nel suo splendore: i suoi morti di mafia

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ma anche le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne, i quartieri, le strade, le feste e i lutti,
la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. Dal 1974 Battaglia fotografa
dunque, giorno dopo giorno, i delitti
mafiosi, documentando l’incedere
della violenza. «Solo allora ho
sentito che con le foto stavo
documentando qualcosa di storico.
Era una specie di guerra
civile, pian piano è diventato tutto
molto violento. Ci ho messo tutto
l’impegno e la serietà possibile,
perché sentivo di dover rispondere
sia alle istanze del giornale che alle
mie. Non bastava
fotografare, bisognava farlo con
rispetto, con partecipazione». Con
le
sue opere non solo ci mette di fronte all’orrore della morte, ma dà anche un volto al dolore di chi
rimane: sguardi di donne.
Sguardi di madri, mogli, figlie, sorelle di uomini uccisi dalla guerra di mafia. Dopo le stragi
del 1992 Letizia Battaglia decide però di smettere di fotografare morti: «Per anni ho fotografato
cadaveri ma mai gli assassini. Non si conoscevano mai. Se si trattava di un omicidio normale, il
killer veniva scoperto subito, ma nei delitti di mafia mai. Ci sentivamo umiliati, un popolo umi
liato e schiacciato da questa tragedia»

Dovremmo anche parlare di paesi assolutamente insospettabili si stanno svegliando con un impeto
inatteso, e con finalità mirabili.
A Kabul, in Afghanistan, si è inaugurata una mostra, la prima in assoluto nella storia del Paese, di
quaranta donne, appena istruite alla fotografia in un corso di dieci giorni, finanziato dall’United
Nations Population Fund.
Dieci giorni sembrano pochi, però queste donne sono in stato di estrema necessità. Durante le tre
decadi di guerra civile, soltanto a Kabul si contano 30.000 vedove, circa due milioni e mezzo fra
vedove e prive di risorse economiche nell’intero Paese. Il programma, che sarà esteso ad altre
province, le educherà ad un mestiere che permetterà loro di sopravvivere, stimolerà l’autostima e, di
conseguenza, migliorerà la loro posizione sociale.
Altri problemi di miseria e malattia, deve affrontare la Repubblica Democratica del Congo e chiede
il contributo delle donne, ancora.

“Grazie alle mie fotografie, desidero rendere più consapevoli le persone sull’AIDS, mostrare loro
le conseguenze della malattia e consigliarle. Ma, desidero anche dimostrare la speranza che ho
ancora in vita, malgrado la mia malattia .”

La dichiarazione di Julie, una delle quindici donne che la Fondation Femmes Plus di Kinshasa ha
istruito alla fotografia, in un programma del Christian Aid. Rimasta sola, dopo la morte del marito,
della piccola bambina e dei genitori, emarginata dalla comunità a causa della sieropositività, come
altre donne nelle sue condizioni, viveva per strada. Una storia ricorrente per tutte, con pochissime
insignificanti varianti.

Alessandra Sanguinetti mentre lavora alla serie On the Sixth Day, incentrata sull’interazione tra gli
allevatori e gli animali destinati al macello, l’artista conosce due ragazzine che vivono nella zona: si
tratta delle cugine Guille e Belinda, protagoniste del suo più noto progetto a lungo termine, che

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ritrae le due ragazze in diverse fasi della vita. L’opera in mostra, Sweet Expectations, è una serie
realizzata tra il 1992 e il 1997, in tempi e luoghi diversi, tra cui Brooklyn, Buenos Aires e Città del
Messico:
una scelta che rispecchia e ripercorre la vita stessa di Alessandra Sanguinetti, cresciuta tra
l’emisfero nord e quello sud del continente americano. I protagonisti delle foto – tutte in bianco
e nero – sono bambini ritratti in versione adulta, con abiti, atteggiamenti ed espressioni che
contrastano con la loro giovane età. L’artista fa così convivere due tempi contrastanti all’interno
delle sue fotografie: il tempo presente (quello dello scatto) e il futuro a cui alludono gli sguardi
pensierosi e pieni di aspettative dei bambini.

Donna Ferrato inizia la sua carriera fotografando la


liberazione sessuale delle donne all’inizio degli
anni ottanta e si ritrova poco dopo a documentare scene di
violenza domestica. Nel 1982, mentre
sta lavorando a un progetto sulle ricche coppie delle aree
suburbane, Donna Ferrato diventa una
testimone involontaria: un uomo, sotto l’effetto di droga,
picchia la moglie. L’evento dà inizio alla sua
missione di documentare gli abusi contro le donne e i
bambini all’interno delle pareti domestiche.
Ferrato non era, per sua stessa ammissione, una fotografa
impegnata, ma assistere a quella scena
le cambia la vita, indirizzandola verso la scoperta del “non
detto” delle donne, quel non detto che
si manifesta nelle sale d’aspetto di ospedali, consultori e
stazioni di polizia. Nel 1991, dal progetto,
nasce il libro Living with the Enemy, il suo libro simbolo,
che ha tre ristampe e vende oltre 40mila
Donna Ferrato
Ruth, My First Unbeatable Woman, 1983

copie in tutto il mondo. Il complicato tema della violenza domestica la porta a tenere lezioni nelle
università americane e a interagire con avvocati, giudici, poliziotti, studenti e sindaci.

Nan Goldin osserva la parte trasgressiva e nascosta della vita della città con un approccio intimo e
personale. I ricordi privati divengono opere d'arte solo dopo la decisione di esporli. Ritrae amici e
conoscenti, ma anche se stessa come nel celebre Autoritratto un mese dopo essere stata picchiata. Il
suo stile diventa un'icona della sua generazione difficile ed esso assume un'ulteriore svolta dopo la
diffusione dell'AIDS che mette in discussione la sua fiducia nel potere delle immagini rendendole
chiaro che esse le mostravano solo coloro che aveva perso.

Kissing Gilles
Nan Goldin
1993

Intende le foto che documentavano


la vita quotidiana dei suoi amici
sieropositivi in funzione di valenza
sociale e politica, e come attivista di
Act Up organizza la prima grande

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mostra sull'AIDS a New York nell'89.
Donne intelligenti, capaci di apprendere una nuova tecnica e forti abbastanza da documentare la
loro vita quotidiana, le visite in ospedale e la tragica esperienza di questo flagello sociale.
Fin dall’inizio del corso, hanno incominciato a sentirsi meglio fisicamente e a curare il loro aspetto
(igiene personale, abiti, pettinatura e un filo di civetteria femminile). Alcune hanno gia ricevuto
commissioni per servizi fotografici. La fotografia come sistema taumaturgico.
Nel 2014, dopo undici anni di silenzio, pubblica Eden and After, una raccolta di fotografie dedicata
al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, in cui non vigono le restrizioni di genere e di
comportamento promulgate dalla società. Il suo ritratto con un occhio nero, lo sguardo fisso sul
partner con la testa affondata nel cuscino, dichiara guerra agli stereotipi: non c’è coraggio senza
fragilità.

Il lavoro di Bettina Rheims ammicca all’universo e ai codici della moda, pur riguardando temi
spesso ampiamente dibattuti nella società. La serie che la rende famosa, dedicata al mondo
degli acrobati e dello striptease, nel 1981 le vale una
mostra monografica al Centre Pompidou.
Al centro della sua ricerca sta il corpo femminile,
raccontato sempre con accenti sensuali, erotici ed
emotivi; nelle sue immagini «la sensualità è legata al
piacere e non al dolore, come spesso
accade in arte». Altro ambito d’indagine nel lavoro di
Bettina Rheims è l’identità: è del 1989-90
la serie Modern Lovers, ritratti in bianco e nero che
raccontano il corpo umano nelle sue forme
androgine e femminili. L’opera in mostra, Gender
Bettina Rheims
Gender Studies

Studies (2011), riprende la linea di ricerca avviata da Modern Lovers, portandola però a uno step
successivo: i protagonisti sono, questa volta, uomini e donne transessuali, o che hanno deciso di
vivere sulla linea di confine tra i due generi sessuali. I modelli sono ingaggiati con un procedimento
inconsueto per l’artista, che crea un profilo Facebook in cui, diffondendo immagini della prima
serie fotografica, invita chi «si sente diverso» a contattarla. Nonostante la sua iniziale diffidenza
verso i social network, Rheims ne scopre il potere di comunicazione e aggregazione: persone
apparentemente solitarie, che non hanno mai lasciato le proprie città, hanno milioni di amici virtuali
nel mondo.

A volte, purtroppo, le notizie che danno speranza vengono annullate da episodi barbari.
Reporters Senza Frontiere oggi hanno fermamente condannato i maltrattamenti fisici, incluse
percosse ed abusi sessuali, che hanno subito tre donne fotografe straniere dalla polizia di Città del
Messico, quando sono state arrestate durante un pesante attacco ad una manifestazione pacifica in
un sobborgo di San Salvador Ateneo, il 4 maggio. Le vittime sono María Sostres, spagnola,
Samantha Dietmar, studentessa tedesca di fotografia e Valentina Palma Novoa, studentessa cilena di
antropologia e cinema.

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María Sostres, Samantha Dietmar
2005

La polizia ha confiscato
anche macchine fotografiche, pellicole, registratori e
libretti di appunti. In un’intervista a WRadio, Sostres
ha dichiarato: “I poliziotti ci hanno schiaffeggiato,
fotografate e filmate, ci hanno spinto in una
camionetta, chiuso le tende e picchiate. C’era
sangue, ci hanno violentato e spogliate.”
Si direbbe un’infame storia di tempi remoti e tirannici,
avvenuta in una qualche contrada dalle sopraffazioni
sovrane. Quel 4 maggio è del 2006.

Shirin Neshat e la serie Women of Allah (1993-97) di


Shirin Neshat è composta da una serie di fotografie che
ritraggono immagini di donne musulmane velate, tatuate,
a volte armate. Neshat inizia la sua carriera artistica
proprio con questa serie, in cui esplora il concetto di
femminilità in relazione all’autorità maschile e al
fondamentalismo islamico nel suo paese d’origine. I
ritratti, in cui
la pelle appare coperta da calligrafia persiana, sembrano
voler indagare le forze sociali complesse che modellano
l’identità delle donne musulmane. Un lavoro, quello di
Shirin Neshat,
condotto sul proprio corpo ma anche all’interno della
cultura islamica, la quale impone che il
corpo femminile sia visibile per frammenti, selezionati
dalla rivoluzione khomeinista: gli occhi,
le mani, i piedi; mentre tutto il resto è coperto dall’hijab,
dal chador, o da una veste larga che
come un mantello nasconde e sottrae alla vista. Neshat usa per le sue immagini l’abbigliamento
tradizionale iraniano e la scrittura parsi; la calligrafia che ricopre volti, mani e piedi trascrive
frammenti di poesie persiane riguardanti temi come l’esilio, l’identità, la femminilità e il marti
rio.

Una delle tante rivelazioni è la giovane, solo ventiquattro anni, molto bella, determinata e preparata
Alia Al-Shamsi, la prima fotogiornalista professionista degli Emirati Arabi, lavora per due
quotidiani del Dubai, unica donna.
Alia, sotto certi profili, non sfugge alla biografia di molti fotografi, il padre è un appassionato e
regala alla figlia la sua prima macchina fotografica quando ha solo sette anni. Apertura mentale sì,
ma quando Alia esprime il desiderio di essere fotografa, il buon senso paterno interviene e cerca di
dissuaderla. Ha perso, e ha vinto un talento naturale.

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Jodie Cobb
Geisha
E qui si può porre la domanda
dell’inizio, sia pure in termini
diversi: il talento è parte del DNA di
un
individuo?
Credo proprio di sì, gli studi costanti
sono il terreno sul quale sviluppare
idee ed evolversi, ma se non
esistono i presupposti di base, si
rimane confinati nella mediocrità.
E il fatto che delle fotografe - donne
anche loro, e non a caso - abbiano
sentito l’esigenza di raccontare le
loro storie.

Gli scatti che hanno realizzato, attraversando le strade del mondo animate dalla necessità di capire,
documentare, denunciare, raccontare e, in molti casi, sollevare veli e tabù di genere,
racconta Cobb, «nelle fotografie del National Geographic le donne avevano una funzione
puramente decorativa: gli uomini erano sempre mostrati in azione, mentre l’unico compito delle
donne sembrava quello di “essere carine”. La mia ambizione diventò allora mostrare le donne
all’opera nelle loro missioni quotidiane: contadine, soldato, in miniera».
Jodi Cobb, prima a varcare la soglia di molti contesti negati allo sguardo dei fotografi, ha svelato il
volto e la vita quotidiana delle donne saudite dietro la coltre nera dell’abaya e quello delle geishe
giapponesi dietro ai pesanti strati bianchi di polvere di riso, confrontandosi con culture e tradizioni
molto differenti nell’assegnazione dei ruoli di genere:
«Nonostante questo, le donne che ho incontrato volevano tutte le stesse cose: identità, sicurezza,
amore, rispetto. Un’istruzione e la possibilità di rendere migliore la propria vita e quella degli
altri. In molte culture la subalternità femminile ha radici in tradizioni secolari, ma la loro
condizione è destinata a cambiare via via che diventano più istruite e ottengono più credito per il
loro lavoro».
La sfida ai pregiudizi è una pratica a cui queste fotografe sono rimaste fedeli negli scopi che si sono
poste, nei rischi che hanno corso e nei soggetti che hanno scelto, perché, come ricorda un’altra di
loro, Carolyn Drake, «il genere al quale apparteniamo ha un ruolo determinante nel nostro modo
di guardare il mondo: le cose che mi interessano e la possibilità di avere accesso a quelle cose
dipende molto dal mio essere donna».«a una giovane donna che entrasse nello staff di una rivista
come il National Geographic darei un suggerimento molto diverso: sii te stessa, vai dove gli uomini
non possono andare, non pensarti mai diversa o inferiore.
E sii un fotografo, non una “fotografa donna”, perché questa è un’etichetta imposta dagli altri».

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26
FOTOGRAFIA AL FEMMINILE: LE LEZIONI APERTE DI SARA
MUNARI

Giulia Pacella, 15 Giugno 2011 - ELLE

D: Perché un incontro sulla fotografia al femminile?


R: La storia della fotografia, nella stesura di testi e monografie, ha spesso seguito le orme della
storia dell’arte e ha aggiudicato minor rilevanza alle donne, rispetto ai colleghi uomini. Sulle donne
fotografe esiste, in generale, poca documentazione e questo è il motivo della mia scelta.
D: In cosa lo sguardo e l’obbiettivo fotografico di una donna sono diversi rispetto a quello
maschile? Quali sono gli aspetti che meglio sa cogliere un occhio femminile?
R: Mi chiedo se il mio ruolo di narratrice/fotografa sia slegato dal fatto che io sia una donna.
Probabilmente fotografare non può essere neutro ma più facilmente, più in generale, senza sesso.
Esiste una manifestazione creativa che possa definirsi "donna"? La risposta è troppo difficile. Non
so se esista o meno una caratteristica o un elemento comune all’interno della produzione artistica
creata da donne, soprattutto se si agisce consapevolmente, in modo artistico.
D: Quali sono state le grandi fotografe del XIX e XX secolo e perché? Quale è stato il loro
contributo?
R: Sono state tantissime, bravissime, anticonvenzionali e innovative. La prima donna
(cronologicamente) che mi ha impressionato nella storia è stata Hannah Maynard. Lei apre uno
studio suo, a Victoria, nel Canada, dove si trasferisce nel 1862, differenti documenti dimostrano
anche che il suo studio è il primo ad aprire in città. Successivamente insegna il mestiere a suo
marito Richard. Solo due donne sono registrate come professioniste nel 1865 nel suo stato ed una è
Hannah. Utilizza esposizioni multiple e viene considerata fin dall’epoca un’ ottima artista.
D: Come vede il connubio donna e fotografia nel prossimo futuro? Quali sono le tendenze?
R: Il connubio lo vedo benissimo!! La fotografia è un mezzo espressivo eccezionale, lo dico in
merito alla mia esperienza, mi è impossibile credere ad un mio possibile futuro, senza fotografia. Le
tendenze della fotografia al femminile sono legate ad ogni genere fotografico che mi venga in
mente, ormai anche nel fotogiornalismo più “difficile” esistono grandi fotografe, che non hanno
nulla da invidiare ai più conosciuti colleghi uomini. Certo sono numericamente inferiori per scelte
legate alla famiglia, ai figli, ma potenzialmente non vedo differenze. Molte donne stanno ottenendo
risultati straordinari in tutti i settori fotografici. Ci sono fotografe che si esprimono nella moda e nel
ritratto a livelli sublimi, basti pensare ad Annie Leibovitz, Vanessa Winship, nel reportage la
nostra Letizia Battaglia, Donna Ferrato, Mary Ellen Mark, Cristina García Rodero, Nan
Goldin, nella ricerca Cindy Sherman, Vanessa Beecroft… insomma tantissime.

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GIOVANI FOTOGRAFE CONTEMPORANEE
Attualità ed Emotività

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VIVIENNE BELLINI
Nata nel 1980 e figlia di Nino Bellini, noto pittore del panorama italiano degli anni '60 - '80,
sviluppa sin da piccola un profondo amore per l'arte e l'estetica.
Nel 2006 amplia le sue conoscenze e si trasferisce all'estero. Vive e lavora a Cape Town in Sudafrica per 2 anni. In
seguito agli incontri professionali nello studio fotografico The Pixel Foundry con Bryan Trylor ( Director /
photographer at Locker 14 Films ) e Malcolm Dare, guru del FoodArt, si dedica esclusivamente alle tecniche di post
produzione digitale, al retouch professionale per modelle e alla manipolazione fotografica.
Torata in Italia, partecipa a “Tribute to Deborah Turbeville” ( Evento creato da Franca Sozzani – Direttore di Vogue
Italia Megazine e Erika Cavallini Fashion Design )
Nel 2014 Viene rappresentata da Modern Art Etc ( Los Angeles ).

1. Cos'hai studiato nella vita?


Liceo Classico, Corso di Moda ( Roma ), Corso di Fotografia e Psicologia dell' Immagine ( Venezia
), Corso in Tecniche Pos-Produzione ( Cape Town ), Didattica dell' Arte presso Accademia
Albertina di Belle Arti di Torino.
2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?
Vivo attualmente a Torino da 6 anni. Sono nata e cresciuta a Roma ( 1980 ). Ho vissuto 2 anni a
Venezia, 1 a Verona, 2 Cape Town ( Sudafrica ).

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Ho lavorato come commessa e cameriera.

4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Ho bisogno di lavorare sulla mia autostima.

5. Definisciti con una parola


Emotiva

6. Critica te stessa per qualcosa


Faccio lavorare troppo il cervello....troppi sè e ma...

7. Che cos'è per te la fotografia?


La fotografia è una perfetta lastra a raggi x del nostro stato d'animo.

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8. Come hai cominciato a scattare?
Ho iniziato a scattare dopo aver visto in tv un documentario sul fotografo di moda Mario Testino.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue immagini
appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia vita e il quotidiano influenzano il mio modo di scattare per il motivo del punto7 ( vedi sopra
). Le mie foto parlano di me perchè sono parte di me, del mio percepire le cose.

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Scelgo le mie tematiche in base ai ricordi del mio passato, e di come ho vissuto. Sono cresciuta in
una casetta in campagna, sul Lago di Bracciano. Immersa nella natura e nei fiori.

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Scelgo i miei soggetti a livello inconscio. Tutte in realtà mi assomigliano. Le scelgo in base al luogo
dove voglio scattare. Devono sposarsi con l'ambiente e con il vestiario laddove sia presente. A volte
invece parto dalla scelta del soggetto e poi passo alla scelta della location....conforme a ciò che quel
viso mi comunica.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Sì, tutte sono una proiezione di me in qualche modo.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?


Con la mia famiglia ho un rapporto molto complicato.

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
Sì. Nelle mie foto c'è molto dell'arte di mio padre ( in pittura ).

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15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Le esperienze traumatiche di una persona CONDIZIONANO il modo di scattare di una persona. A
volte quando si scatta accade però che l'incoscio non si ancora in grado di parlare di sè e quindi
rimane latente. I fatti traumatizzanti possono a volte rimanere nascosti nei meandri della spiche e
quindi non venire esternati col mezzo
fotografico

16. Qual'è la tua più grande paura?


La mia più grande paura è rimanere da
sola senza affetti.

17. Leggi spesso i giornali o segui


l'attualità?
Guardo ogni tanto il telegiornale.
Compro giornali moda, mensilmente.

18. Che rapporto hai con la politica?


La politica? cos'è? ahahahha

19. Che rapporto hai con il cinema?


Ne hai tratto ispirazione?
Amo molto il cinema. Ne traggo grande
ispirazione.

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Non ci sono fotografi specifici da cui
traggo ispirazione. Guardo molte foto, di
fotografi del passato e del presente.
Traggo ispirazione da ciò che attrae la
mia attenzione

21. A quale periodo storico ti senti


legata?
Mi sento molto legata al Romanticismo.

22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Ho letto molti libri, classici e non. Avevo nel passato scelte piuttosto impegnative come scrittori e
libri. Ora è un periodo che non leggo romanzi. L'ultimo libro che davvero mi ha entusiasmato ed ho
letto in una sola serata è stato " Mi piaci da morire " di Francesca Bosco. Un libro molto molto
ironico e pungente.

23. Digitale o analogico? pro e contro?


Digitale perchè si possono fare infinite foto e vederne già il risultato. Si possono misurare e
calibrare molte cose. Analogico: non c'è paragone. È la vera fotografia.

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24. Postproduzione delle immagini,
favorevole o contraria?
Molto favorevole alla post-produzione
fotografica. Un processo molto creativo.

25. Preferisci scattare in solitudine con il


soggetto o preferisci avere uno staff alle
tue spalle?
Se posso scegliere preferisco scattare in
solitudine col soggetto; si crea più intimità.
Con lo staff, sicuramente ci sono altri
vantaggi.

26. Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Il progetto a cui sono più legata è la serie
realizzata con gli alberi intitolata " Elogio
dei Sogni " di quasi due anni fa.

27. Qual'è la foto che ti rappresenta


meglio e perchè?
Mi rappresenta in quanto mio angolo
privato di emozioni. Ci sono sogni di
bambina, ma anche fragilità e paure.

28. Qual'è la foto che ha richiesto più


impegno e perchè?
Questa foto fa parte di uno shooting molto
sofferto. Avevo ancora le lacrime agli occhi.
Un'ora prima il mio matrimonio finì.

29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?


Sono legata a questa foto perchè è uno shooting completamente diverso da quelli che ho sempre
fatto. C'è molta luce, sembra un sogno di bambina.

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Sicuramente i social. Facebook e Instagram.

31. Che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Ho un rapporto molto buono.

32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o buona
pubblicità?
La vedo come una cosa che non si dovrebbe fare. Poi dipende dalla cosa. Se mi porta pubblicità va
bene.

33. Qual'è il tuo concetto di arte?


Arte è tutto ciò che facciamo con le nostre mani ed è frutto di una nostra idea

34. Qual'è il tuo concetto di artista?

32
Tutti siamo artisti. Ci sono persone che
sono artisti di se stessi. Che si sanno
reinventare ogni giorno. Non mi
piacciono coloro che si definiscono artisti
solo perchè una loro opera ha avuto
consenso del pubblico. Dico questo
perchè spesso dietro questa loro
definizione di se stessi c'è solo un'
atteggiamento arrogante e presuntuoso,
che sono sentimenti negativi. L'arte è
sempre un'espressione positiva in se
stessa.

35. Quale periodo storico nell'arte


apprezzi di più e quali artisti?
Amo il Barocco ( Caravaggio e Tiziano )
e i Preraffaelliti.

36. Quale potrebbe essere la


destinazione ottimale per questo tuo
lavoro? E perché?
La destinazione ottimale per il mio lavoro
sarebbe nel settore Moda, campagne
pubblicitarie.

37. Cosa pensi della fotografia italiana


contemporanea?
Penso che la fotografia italiana
contemporanea sia molto conservatrice.

38. E' ancora possibile fare carriera in


questo ambiente?
Sì, si può fare carriera in quest' ambiente. In Italia è molto difficile, ma credo che si possa fare.

39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Meriterebbero più attenzione i fotografi che hanno idee diverse e stili diversi dalla massa.

40. Quali aspirazioni hai per il futuro?


La mia aspirazione è poter firmare una campagna pubblicitaria per brand di Profumi e realizzare un
progetto personale artistico a fini umanitari.

1. Guardando le tue opere mi viene inevitabilmente di pensare al movimento


preraffaelita, ti senti vicina a questa corrente?
Sì, mi sento vicina ai preraffaelliti, ma le mie foto non vertono sul dettaglio. Sono vicina ai loro
temi, al loro modo di rappresentare la femminilità, inserita in un ambiente naturale.

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2. Come mai hai scelto di legarti all'ambiente della moda?
Da piccola sfogliavo sempre le riviste moda che mia madre comprava. Sono sempre rimasta
affascinata dalla pubblicità e anche dagli spot pubblicitari. Una cosa che amo.

3. I tuoi soggetti hanno un leggero senso di malinconia che rende la foto quasi fragile, è
una cosa fatta apposta?
In realtà nelle mie foto la malinconia è forse una sensualità repressa.

4. L'elemento natura è onnipresente nei tuoi lavori, parlami di questo legame


La natura fa parte dei miei lavori perchè ho voluto dar vita alla mia infanzia. Vissuta interamente
inmmersa nella natura più viva.

5. Nei tuoi lavori richiede più impegno lo scatto stesso o la postproduzione?


La preparazione dello scatto richiede più impegno da un punto di vista pratico. La post -
produzione investe più il lato emotivo.

6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Nei miei lavori cerco di dare una storia al viso della persona ritratta. Cosa esso mi comunica. Se
nello scatto finale lei sempre vivere in quel preciso luogo ed appare nella sua più intima bellezza,
allora il mio lavoro ha un senso.

7. Fiori e tessuti sono elementi che ritornano spesso nei tuoi scatti, sono opera tua?
Quando collaboro con stilisti e fashion stylist, i tessuti ovviamente sono opera loro, ma vengono
scelti da me per essere inseriti nel progetto a cui voglio elaborare. Spesso cucio e creo
personalmente gli abiti che le modelle indossano. A volte sono abiti vintage ripresi e adattati.

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8. Il bianco e nero è praticamente assente nei tuoi lavori, lo vedi distante dalle tue
opere?
ll'inizio del mio percorso fotografico, scattavo solo in bianco nero. Dopo il Sudafrica, mi risultò
quasi impossibile non comunicare il mio modo di sentire senza usare il colore. Ora vorrei
realizzare un progetto personale artistico in bianco nero.

9. Un tuo bellissimo progetto chiamato "marie antoniette" mette vicino uno scatto che
richama fluidi e fiori quasi a sembrare una texture accanto a una figura femminile, è
nato per un motivo preciso?
Questo progetto che amo molto è nato per caso. Le foto scattate alla modella fanno parte di un
Fashion Editorial con stilisti di Torino. Alla fine del servizio scattai delle foto non convenzionali
abbinando gli abiti che preferivo.
Nei giorni successivi volli realizzare dell foto still life con delle rose che stavano appassendo. Viste
poi in post produzione mi piacque abbinarle insieme. Non sempre le cose si studiano a tavolino, ma
il caso e le coincidenze rendono ancora più entusiasmanti le cose. Per questo amo anche la
fotografia. Mi sa sorprendere.

10.Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Sono sempre e in costante movimento. I traguardi non sono punti di arrivo, ma nuove
partenze.

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MARTA BEVACQUA
Nasce a Roma nel 1989. Inizia ad interessarsi alla fotografia durante la scuola; una volta diplomata nel 2008 si dedica
pienamente a questa passione, finché non diviene una professione. Dopo una mostra collettiva a Londra nel 2009, entra
in contatto con lo staff di Arcangel Images e inizia a collaborare per le copertine di libri, cui si dedica tuttora anche
freelance (fino a realizzare lo scatto per uno dei libri del premio Nobel Alice Munro -2014-) e attraverso altre due
agenzie, tra cui Trevillion Images. E’ solo dopo qualche anno che Marta inizia ad interessarsi alla fotografia di moda.
Dopo una pubblicità per Romeo Gigli Eyewear (2011) ed uno short course di Fashion Photography alla Central Saint
Martins School di Londra, comincia a realizzare diversi editoriali di moda, pubblicati su numerose riviste e campagne
pubblicitarie, come l’ultima per Generator Hostel Paris (2014). Nello stesso anno, partecipa anche a iniziative lanciate
da PhotoVogue (Vogue Italia), dopo essere stata selezionata più volte sul sito (esempio: PhotoVogue e Swatch, e nel
2015 al progetto The Desire of Excellence in collaborazione con Martini). Intanto realizza diverse mostre, numerose
collettive, ed una personale all’exEliografica di Perugia, durante l’Umbria Jazz Festival (2012) e un’altra a Bruxelles
nel 2015. Vincitrice di diversi concorsi, italiani e stranieri, e ottenuti menzioni e classifiche in concorsi come Px3 e
International Photography Awards,. Da gennaio 2014 vive a Parigi.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Mi sono diplomata al liceo scientifico, durante il quale avevo iniziato a scattare quasi per
gioco. Finito il Liceo, mi sono ritrovata a pensare a cosa fare, e mi sono buttata a capofitto
nella fotografia. Non ho fatto nessun corso all'inizio, ma solo dopo 2-3 anni. Due corsi serali
a Roma, giusto per colmare qualche lacuna tecnica che da autodidatta avevo, e poi, quattro
anni dopo, uno short course di fashion photography alla Central Saint Martins school di
Londra.

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2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?
Vivo a Parigi da un anno e mezzo, e prima ero a Roma, dove sono anche nata e cresciuta.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Moltissimi. Dalla cameriera, alla centralinista, alla commessa e anche la "contadina" a
vendemmie, raccolte di olive e tanto altro.

4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Non ci ho mai pensato, ma credo di essere piuttosto sicura. So cosa fare e mi sono sempre creata da
sola il percorso da seguire.

5. Definisciti con una parola


Sognatrice.

6. Critica te stessa per qualcosa


Alcune volte mi lascio scivolare addosso alcune cose a cui invece dovrei dedicare più importanza e
attenzione. Alcune volte sono egoista.

7. Che cos'è per te la fotografia?


Prima avrei detto una passione, poi un lavoro. Ora è una droga. Sento sempre la necessità e
l'urgenza di continuare a creare. Per me prima di tutto, gli altri vengono dopo.

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8. Come hai cominciato a scattare?
Ho iniziato a 16 anni, e giocavo a vari giochi di ruolo fantasy, di cui uno online. Cercando una foto
o un disegno per rappresentare il mio personaggio, ho passato giorni a navigare su siti come
DeviantArt o Flickr. Una volta trovato ciò che cercavo, senza nemmeno rendermene conto, ho
continuato a navigare per ore, ogni giorno, su quelli e altri siti, sfogliando foto su foto, solo perchè
mi piaceva guardarle. A quel punto ho solo pensato che avrei potuto provarci anche io. Ho iniziato
con una compattina che si spegneva da sola, essendo rotta. Pur cominciando così, la passione è nata
subito, non ho più smesso.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Il mio lavoro è molto influenzato dalla mia vita quotidiana. Passo periodi su scelte cromatiche di un
certo tipo, per poi cambiare completamente direzione (per fare un esempio). Non è tanto la vita
quotidiana in sè, ma come mi sento in certi periodi. Sono una persona abbastanza emotiva, mi lascio
trascinare da pensieri, emozioni e cose che mi succedono o che succedono intorno a me. Da lì
cambia continuamente il mio approccio al mio lavoro. Però, quando ho lavori pagati, in cui mi si
richiede un certo servizio, cerco sempre di fare un lavoro ben fatto in linea con il desiderio del
cliente, mettendo da parte il mio gusto personale.

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Domanda difficile, non ci ho mai pensato. Non credo di aver mai "scelto" le mie tematiche. Seguo
principalmente l'istinto. Ed è forse questo quello che mi lega a queste tematiche.

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Dipende tantissimo dal tipo di shooting che devo fare. Per la moda, scelgo tra varie modelle che le
agenzie mi propongono, e scelgo la ragazza che secondo me rappresenta meglio il concept o che
comunque possa dare più valore allo shooting in sè. Per il fine art, alcune volte costruisco "storie"
su volti scovati tra i pack delle agenzie o semplicemente su internet.
Altre volte ancora, lavorando appunto con le agenzie, sono loro a propormi delle ragazze e a
chiedermi di scattare con loro; in quel caso, decido cosa fare in base al viso che sto per scattare.
Scatto anche con amiche o con modelle amatoriali, e tante volte è solo per una particolarità, un
certo tipo di bellezza, o qualcosa che, in quelle ragazze, mi ispira al punto di decidere di lavorare
con loro.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Si. Quando ho iniziato a scattare, la mia modella migliore era mia sorella. Poi ho continuato con le
amiche, e solo quando ho iniziato a lavorare davvero ho iniziato con modelle professioniste. In
alcuni casi, ho stretto un'amicizia solida con ragazze conosciute per le foto, ragazze che ora sono
prima di tutto mie amiche, e solo dopo dei possibili soggetti.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?


Ho vissuto con mia madre e le mie due sorelle, e siamo tutte e quattro molto molto legate. Siamo

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una piccola famiglia, tutta al femminile, ma siamo unite. Anche mio padre però mi ha sempre
supportato tanto in tutte le mie scelte.

14.Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?


Non saprei, forse si. Sicuramente la cosa che più mi ha influenzato è stata la casa dove sono nata e
cresciuta, più che il rapporto con la mia famiglia. Una casa rossa nel bel mezzo della campagna,
dove ho coltivato la mia passione per la natura.

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Assolutamente si.

16. Qual'è la tua più grande paura?


Non avere più idee.

17. Leggi spesso i giornali o segui l'attualità?


Non quanto dovrei, purtroppo. Ma quando sento di alcune notizie, spesso e volentieri mi informo di
più e seguo tutto ciò che succede. Ma dovrei sicuramente farlo molto molto di più.

18. Che rapporto hai con la politica?


Effettivamente nessun tipo di rapporto. Non mi interessa, non la capisco, tante volte mi infastidisce,
mi fa paura oppure mi disgusta. La evito.

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19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?
Tantissimo, e mi piace molto. Spesso mi ispiro ad atmosfere e a particolari colori o luci visti nei
film.

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Paolo Roversi, Tim Walker, Ellen Von Unwerth, Annie Leibovitz, Zhang Jingna, e tantissimi altri.

21. A quale periodo storico ti senti legata?


Medioevo. L'atmosfera del Medioevo.

22.Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


La Bussola d'oro di Philip Pullman

23. Digitale o analogico? pro e contro?


Non c'è da parlare molto di pro e contro secondo me. Siamo nel 2015, è l'era del digitale. Lavorare
con l'analogico è impossibile (per i costi, per i tempi, per la riproducibilità).
L'analogico ha ovviamente il suo fascino, e credo sia giusto avere anche un'esperienza sul campo
(io mi ero costruita , anni fa, una piccola camera oscura nel bagno di casa).

24. Postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Assolutamente favorevole. Photoshop non è altro che la camera oscura digitale. Quando stampavo
in camera oscura, mi ero resa conto come il processo fosse simile, anzi, è quasi più facile stampare
a mano, piuttosto che lavorare al computer con una tavoletta grafica.
Chiaramente dipende dall'uso
che se ne fa. Io lavoro sui
contrasti, sui toni, la
saturazione, il colore; ma tutto
ciò che è nella foto, era presente
al momento dello scatto. Se si
utilizza la post produzione come
una vera e propria camera
oscura, si può capire quanto sia
assolutamente necessaria. La
foto digitale originale
corrisponde semplicemente al
negativo, quindi a un lavoro non
terminato.

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25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Dipende tantissimo dal tipo di shooting che sto facendo. Quando costruisco veri e propri set, è
importante avere un aiuto. Soprattutto quando mi dedico a lungo a un progetto è difficile, una volta
vederlo realizzato, capire se ci sono difetti o meno, se manca qualcosa, se funziona. Con altri occhi,
raggiungi livelli più alti.
Se però faccio ritratti semplici, preferisco essere da sola.

26. Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Forse "through the glass" oppure "botanica". Entrambi mi hanno fatto capire che direzione prendere
da quando vivo a Parigi.

27. Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


28. Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?
29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?
Riguardo questa, e le successive due domande, la foto sarebbe sempre una
Mi rappresenta appieno perchè io sono da sempre una grandissima lettrice. E quello è un
autoritratto, scattato nel 2010, in mezzo, appunto, a tantissimi libri, che ho letto quasi tutti. E' un
ritratto molto intimo, in qualche modo, in cui ho provato davvero a rappresentare me stessa, più che
al fare una bella foto. Inoltre, è una foto che ho scattato senza secondi fini, solo per me, e per questo
disperato bisogno di creare.
Ha richiesto tantissimo impegno perchè, come si può vedere, ho dovuto costruire il set interamente
di libri, e me ne sono serviti tantissimi. Ci ho impiegato 7 ore a montare e a rismontare, e ho fatto
tutto da sola, essendo per me molto importante.
Sono legata a quella foto perchè ha in qualche modo segnato una svolta nella mia vita privata ma
anche da fotografa. E' dopo quello scatto che posso dire di aver iniziato davvero a lavorare, e a
sentirmi sicura al cento per cento sulla mia scelta.

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


I social, sicuramente. Sono su molti siti di condivisione artistica e fotografica, e alcune volte è
difficile riuscire a gestirli tutti, e bene, ma trovo sia importante.

31. Che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Pessimo, non ci capisco nulla. Anche sulla fotografia, alcune volte mi fanno domande tecniche su
un apparecchio o altro, e io rimango sempre imbarazzata, perchè spesso non ho idea di cosa stiano
parlando. Non mi interessa molto della tecnica nè dell'attrezzatura, mi interessa quello che c'è tra
me e quel fantomatico apparecchio tecnologico ^^'

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32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Se viene scritto il mio nome, è una buona pubblicità.

33.Qual'è il tuo concetto di arte?


La bellezza, di quel genere che non deve scusarsi con nessuno e che può rappresentare qualsiasi
cosa. La bellezza nel senso del "dare emozione", non necessariamente una buona emozione, ma,
anche se negativa, che ti muove comunque qualcosa dentro.

34. Qual'è il tuo concetto di artista?


L'artista, secondo me, è quello che crea per se stesso, per un bisogno di creare, di esprimersi, di
sfogarsi, qualunque cosa, ma che lo fa per se stesso. Non per la fama, non per il denaro, non per
secondi fini, non per autostima. Che potrebbe creare anche sapendo che nessuno guarderà mai la
sua opera.

35. Quale periodo storico nell'arte apprezzi di più e quali artisti?


Domanda difficilissima! Mi piacciono tantissime cose di troppi periodi storici diversi!
Se devo per forza rispondere, direi il Rinascimento, con Michelangelo.

36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Già Parigi è un'ottima destinazione. Il mercato della moda è forte, e anche quello dell'arte. Si dà
sempre spazio ai giovani e agli emergenti. Però vorrei provare anche negli Stati Uniti. In Europa
forse siamo troppi,

37. Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?


Purtroppo ora come ora la fotografia è talmente accessibile che ci si ritrova circondati da
"fotografi". I fotografi amatoriali, o chi lo fa per hobby o per passione, vengono continuamente
scambiati per dei professionisti, e questo non può che intaccare la "carriera" di altri che lo fanno
davvero per lavoro.
Se però guardo i grandi fotografi contemporanei italiani, ammetto che ci sono i migliori sul campo.

38. E' ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Mi ricollego alla risposta precedente. Si, è possibile, ma devi combattere con molti più ostacoli e
complicazioni. Farsi conoscere è difficile, e siamo talmente tanti che arrivare fino al proprio
obiettivo alcune volte sembra impossibile. Io però vedo come cresco di anno in anno, e sono
disposta ad impegnarmi sempre di più. Penso di si, o almeno spero, che si possa ancora fare carriera
(altrimenti mi chiedo che cosa sto facendo ahahaha)

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39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?
Ce ne sono tantissimi. Con l'ondata dei social, è più facile dare attenzione a chi acchiappa più like
su facebook o cose simili. Peccato che non è questo che rende "fotografi".

40. Quali aspirazioni hai per il futuro?


Mi piacerebbe riuscire a lavorare di più nella moda e dedicarmi con più dedizione a progetti che per
ora sono ancora un'idea. Mi piacerebbe spostarmi negli Stati Uniti per un po' e capire come potrei
lavorare lì. E anche viaggiare, fotografando.

1. Acqua, elemento dominante dei tuoi ultimi scatti, cosa rappresenta per te?
Ho sempre amato l'acqua, e fotograficamente parlando riesce sempre a rendere al suo massimo. La
cosa più incredibile è che si possono fare un milione di cose differenti con l'acqua, ed è impossibile
che non venga bene. E' sempre e soltanto un valore aggiunto a un ritratto o altri scatti fatti in
acqua.Cambia in continuazione rispetto alla luce, al luogo, o a come la fotografi. E' versatile e
sempre bella.

2. Ti senti più rappresentato dall'ambiente della moda o da quello della fine art?
Ora come ora fine art. Ho lavorato sui miei progetti artistici da quando ho iniziato, e solo negli
ultimi 3-4 anni mi sono concentrata davvero sulla moda. Mi piace molto la moda, ma anche con
essa provo sempre a dare un po' di fine art negli scatti.

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3. Un tuo progetto che ho amato è "Through the glass" come l'hai ideato?
In realtà l'idea è venuta un po' per caso. Ero a casa e fissavo incantata la finestra con i suoi riflessi e
l'idea di utilizzare i riflessi per le foto è arrivata subito (e non si può di certo dire che sia un'idea
originale). Da lì, come faccio sempre, ho iniziato a prendere appunti, e ho scritto parole, riflessioni,
qualsiasi cosa che mi ispirasse in quel momento pensando a una semplice finestra. Ci ho lavorato
molto, ho fatto una lunga lista, selezionando le idee più "potenti" e da lì ho iniziato la serie. I primi
scatti sono stati effettivamente effettuati sulla finestra di casa mia, per tanti altri ho solo usato un
vetro.

4. Vivi a parigi, cosasignifica per te questa città?


Possibilità, opportunità, movimento.

5. Mille piccole vite parallele i tuoi progetti che vivono un esistenza quasi surreale tra
pullman e librerie, parlami del tuo rapporto con l'ordinarietà.
Una cosa che mi piace fare con la fotografia è raccontare delle piccole storie. Storie che può
immaginare chiunque, come si vuole. E le storie migliori, e le più facili, sono proprio
nell'ordinarietà. Perchè alla fine c'è qualcosa di magico nell'andare in libreria e scegliere un libro
(un piccolo mondo personale che ti accompagna per un po') o viaggiare in autobus da soli (liberi di
pensare e guardare il mondo dal finestrino). Nelle cose ordinarie ci sono sempre piccoli momenti
personali, privati, e già solo per questo "magici"

6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
No. Tanti pensano che le ragazze con cui lavoro sono stupende, ma se le vedi dal vivo ti rendi conto
che, anzi, sarebbero potute essere le più bruttine della classe (ovviamente dipenda da ragazza a
ragazza). Tutte però risaltano attraverso l'obiettivo, con la luce giusta o il make up adatto, l'idea
azzeccata per loro o lo sguardo perfetto.

7. Considerazioni
libere su te stessa:
Sono un po' in
difficoltà, comunque
dirò quel che mi
viene da dire...
sono da sempre una
ragazza molto
riservata, e provo a
rappresentare mondi
nascosti, in cui
chiunque può
nascondersi.
provo a raccontare
storie immaginarie

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con le foto.

8. in "sogno di una notte di mezza estate" hai realizzato degli scatti con persone nude
in una composizione più che incantevole, mi fa pensare un pò a vanessa beecroft, come
hai realizzato il tutto?
Era un lavoro per una compagnia teatrale in occasione di uno spettacolo molto particolare. Il mio
lavoro, così mi era stato detto, consisteva in "creare opere d'arte come e quando ti pare". Dovevo
realizzare qualche scatto con l'intera compagnia, e ho solo rappresentato ciò che "sogno di una notte
di mezza estate" mi ha fatto venire in mente. Ho pensato a come vedrei 12 persone nude in rapporto
a questo spettacolo di Shakespeare, e da lì l'idea. Non nego che è stato difficile realizzare gli scatti,
erano tanti, e nessuno abituato a stare di fronte all'obiettivo, ma sono super soddisfatta del risultato.

9. Hai realizzato veramente pochi lavori in studio, pensi sia limitativo per la tua arte da
preferire sempre luoghi esterni?
No. Scatto in pieno inverno, come in piena estate. Semplicemente prendo vari provvedimenti di
volta in volta per non uccidere le modelle :)

10. Hai realizzato foto bellissime anche a dettagli o paesaggi, ti senti rappresentata
anche da queste foto anche se prive di figure umane?
Molto meno. Lo facevo anni fa, quando sperimentavo su tutto. Mi piacciono molto e sono legata a
quegli scatti ma non credo che ora come ora mi rappresentino più di tanto.

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ELENA ZANOTTI
CUNENE

Nata nel 1983 e laureata in psicologia, i suoi lavori


presentano un unione di fotografia, pittura e
fotomanipolazione digitale.
Nel 2013 partecipa alla collettiva “Il CuNeo Gotico” al
MIAAO di Torino, espone inoltre alla Flower Pepper
Gallery a Pasadena (California) e alla Pink Zeppelin
Gallery di Berlino.

1.Cos'hai studiato nella vita?


Dopo il liceo linguistico ho studiato
psicologia, un insieme di scelte
sbagliate ma necessarie, il liceo
artistico nella provincia era privato

2.dove vivi attualmente e dove hai


vissuto prima?
Vivo a Mede in provincia di Pavia, ho sempre
vissuto qui.

3.Hai fatto altri lavori non legati


alla fotografia?
Faccio attualmente un lavoro non legato alla
fotografia, sono educatrice scolastica e
domiciliare, assisto bambini disabili e con situazioni famigliari problematiche.

4.Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Non sono affatto una persona sicura di sè e per prendere una decisione passano mesi, a volte evito
addirittura di farlo. Spesso non sono soddisfatta da ciò che creo, questo mi spinge a provare a
migliorarmi ma dovrei avere più fiducia nelle mie capacità.

5.Definisciti con una parola


Multitasking

6.Critica te stessa per qualcosa


Sono troppo critica con me stessa, non saprei da dove cominciare

7.Che cos'è per te la fotografia?


Espressione, soddisfazione all'impulso di creare qualcosa.

8.Come hai cominciato a scattare?


Per caso, creavo cappelli e gioielli, che creo ancora, e avevo bisogno di un'amica che li
indossasse per poterli mostrare a un pubblico online. Le prime foto le ho scattate con una
compatta, sono piaciute a più persone di quante immaginassi.

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9.In che modo la tua vita quotidiana
influenza il tuo lavoro e viceversa?
Nelle tue immagini appare una forte
componente emotiva, come mai questa
scelta?
Trovo impossibile per me scindere vita e
emozioni dalle immagini, si compenetrano.

10.Come scegli le tematiche che


affronti e cosa ti lega ad esse?
Sono schematica, trovo un concetto e per
svilupparlo associo parole e idee, faccio ricerca,
colleziono online immagini e dipinti che mi
possano ispirare. A volte non c'è un tema
prefissato, nasce tutto in post produzione.

11.Come scegli i tuoi soggetti?


Spesso sono loro a scegliere me, mi stupiscono
sempre, ogni persona che ha posato per me mi
ha mostrato un aspetto bellissimo si sè.

12.Ti è mai capitato di usare persone a


te vicine come soggetti?
Certo, è normale, specialmente all'inizio.

13.Che rapporto hai con la tua


famiglia?
Mi supportano ed è ciò che importa.

14.Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?


Credo di sì, come condizionano la mia vita.

15.Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano


condizionare il modo di scattare?
Penso di sì, se fosse stato tutto perfetto e sereno nella mia vita forse non avrei sentito il bisogno di
creare.

16.Qual è la tua più grande paura?


Ne ho troppe, ma dico alla gente solo quelle più stupide: i ragni, i robot e i dinosauri.

17.Leggi spesso i giornali o segui l'attualità?


Sì anche se ultimamente spesso mi manca il tempo.

18.Che rapporto hai con la politica?


Non concepisco la tifoseria e l'ingoranza.

19.Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?


Sempre, guardo molti film, di diversi generi, tra i miei preferiti ci sono The fall di Tarsem Singh,
una favola cruda, e Blade Runner.

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20.Quali fotografi ti hanno ispirata?
Mi ispirano di più i pittori ma se proprio devo sceglierne alcuni nomino Recuenco, Erwin Olaf,
Tim Walker.

21.A quale periodo storico ti senti legata?


A tutti e a nessuno, credo che il nosto periodo storico sia il migliore in cui vivere, anche se
vestirei volentieri come dama ottocentesca.

22.Il nome di uno scrittore e di


un libro a tua scelta?
Stefano Benni " Il bar sotto il mare",
anche per quanto riguarda i libri ho gusti
svariati,potrei anche nominare Isaac
Asimov.

23.Digitale o analogico? pro e


contro?
Digitale, anche se l'analogico ha un'anima
tutta sua.

24.Postproduzione delle
immagini, favorevole o
contraria?
Ovviamente favorevole, non farei quello
che faccio altrimenti.

25.Preferisci scattare in
solitudine con il soggetto o
preferisci avere uno staff alle
tue spalle?
In solitudine, ma solo perchè mi è
difficile spiegare agli altri le mie idee.

26.Qual è il progetto a cui sei


più legata?
Forse Lamiae, è stato il primo progetto
completo da me ideato.

27.Qual è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


E' sui miei biglietti da visita, è una delle prime in cui il colore esce prepotente

28.Qual è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


Ho impiegato settimane per arrivare a questo risultato, c'è molta arte digitale. Poi è stato stampato
su tela e ho aggiunto dei particolari in acrilico. Ora è col suo proprietaro in California.

29.Qual è la foto a cui sei più legata e perchè?

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Non posso sceglierne una, metto me stessa in ognuna.

30.Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


I social network sono un mezzo potentissimo, ma anche il passaparola e le mostre.

31.che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Sono autodidatta, è divertente perchè scopro sempre qualcosa di nuovo.

32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Metto sempre la firma, se un'immagine venisse modificata e usata per fini commerciali allora mi
urterebbe. Se viene condivisa ben venga.

33.Qual è il tuo concetto di arte?


Compulsione a creare.

34.Qual è il tuo concetto di artista?


Chi riesce a incanalare nel migliore dei modi la sua
pulsione, trasformandola in qualcosa di bello.

35.Quale periodo storico nell'arte apprezzi di


più e quali artisti?
Fine '800, amo gli impressionisti e i simbolisti.

36.Quale potrebbe essere la destinazione


ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Mi piace considerare i miei lavori come quadri, non a
caso partecipo a mostre collettive in cui la maggior parte
di artisti sono pittori.

37.Cosa pensi della fotografia italiana


contemporanea?
Non conosco molto l'ambiente.

38.è ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Probabile.

39.Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Non so dire un nome in particolare, chi è meritevole di attenzione finisce per essere apprezzato.

40.Quali aspirazioni hai per il futuro?


Prendo le cose come vengono, se si aprirà una strada in questa direzione la prenderò senza
remore.

1.Digital art, raccontami questo termine


Arricchire una foto copia precisa della realtà con qualcosa di magico.

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2.Una cosa che noto in molte tue opere è un colore acceso dominante che
inevitabilmente colpisce l'occhio dello spettatore, è una cosa casuale o accuratamente
studiata?
E' una scelta, non posso fare a meno del colore, può essere vettore di simboli ed emozioni.

3.Nelle tue opere si possono trovare influenze dall'arte barocca e dalla corrente
preraffaelita, ti sei ispirata a qualche autore in particolare?
Nessuno in particolare ma indubbiamente mi ispiro anche a questa corrente.

4.Alcune tue opere raccontano qualcosa senza lasciare nulla al caso, soprattutto nella
serie "obscure tales" come hai deciso di crearle? Pensi sia un punto forte nella tua
arte?
Molte delle immagini in questa serie hanno qualcosa di simbolico, un'oggetto, uno sguardo, le
posizioni delle mani, piccoli particolari che necessitano di tempo per essere colti. Penso che ogni
mio lavoro debba raccontare qualcosa.

5.Nei tuoi lavori richiede più impegno lo scatto stesso o la postproduzione?


Cinquanta e cinquanta, ma la parte più divertente è la post produzione.

6.Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il
tuo lavoro?

No, molto spesso le ragazze che fotografo


sono ragazze semplici, della porta
accanto, ma che nascondono una bellezza
unica. Viene fuori da sola.

7.i costumi che usi sono


qualcosa di spettacolare, alcuni
sono opera tua?
Sì ma spesso sono semplicemente stoffe
che metto insieme sul momento con gli
spilli. A volte invece ci sono voluti giorni
per costruire qualcosa come un cappello
o un particolare oggetto.

8.Nei tuoi lavori noto anche un


pò di surrealismo alla Ray
Caesar o Nicoletta Ceccoli, ti
senti vicina alle loro
illustrazioni?
Sì, non a caso espongo con un gruppo di
pop-surrealisti, esponenti del Loverismo.
Attualmente ho un lavoro appeso accanto
a quelli di Natalie Shaw ad una mostra a
Berlino.

9.Ogni tua opera come color


correction sembra differente da
quella dopo, le unisce solo il

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modo di cadere della luce e l'incredibile impatto estetico che danno allo spettatore.
Come mai questa scelta?
Non è una scelta vera e propria, quando mi va di sperimentare qualcosa di nuovo lo faccio
gradualmente.

10.Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Mai darsi un limite e sentirsi "arrivati", e poi sono ipercritica, avrò sempre la sensazione
che manchi qualcosa. Mi auguro di migliorare.

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ANNA DI PROSPERO
Autoritratti e quotidianità nelle opere di questa giovane 26 anne, Ha studiato fotografia presso l'Istituto Europeo di
Design a Roma e presso la School of Visual Arts di New York.Nel 2008 la prima mostra personale a Roma presso la
Galleria Gallerati. Nel 2011 dopo aver vinto il “People Photographer of the Year” ha ricevuto una nomination per il
“Discovery of the Year” dei Lucie Awards. Nel 2014 inoltre vince il 2° posto ai “Sony World Photography Awards”
categoria ritratto.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Fotografia, arte, lingue. Non ho ancora smesso di studiare.

2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?


Ho sempre vissuto nella provincia di Latina, attualmente vivo a Sermoneta. Per motivi di
studio ho vissuto a Roma e New York.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


No.
4. Sei una persona sicura
di te o hai bisogno di
lavorare sulla tua
autostima?
Sono consapevole di chi
sono e lavoro
costantemente per
migliorarmi.

5. Definisciti con una


parola
Umana.

6. Critica te stessa per


qualcosa
A volte sono un po’ prepotente.

7. Che cos'è per te la fotografia?


La mia espressione.

8. Come hai cominciato a scattare?


A 15 anni, partecipando a un concorso rivolto agli studenti liceali della mia città.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Non c’è differenza tra la mia vita quotidiana e la fotografia, sono un’unica cosa.

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10.Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?
Sono tutte tematiche legate al mio personale.

11.Come scegli i tuoi soggetti?


Sono esclusivamente persone legate alla mia vita.

12.Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Sempre.

13.Che rapporto hai con la tua famiglia?


Un buon rapporto.

14.Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?


Sì.

15.Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Forse, ma non è il mio caso.

16.Qual'è la tua più grande paura?


Smettere di dedicarmi alla fotografia.

17.Leggi spesso i giornali o segui l'attualità?


Tutti i giorni.

18.Che rapporto hai


con la politica?
Nessun rapporto.

19.Che rapporto hai


con il cinema?
Ne hai tratto
ispirazione?
Adoro il cinema
ma difficilmente
ne traggo
ispirazione.

20.Quali fotografi ti hanno ispirata?


Gregory Crewdson.

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21.A quale periodo storico ti senti legata?
A quello attuale.

22.Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Tutti i saggi di Michel Foucault.

23.Digitale o analogico? pro e contro?


Entrambe. Digitale, istantaneità ed economicità. Analogico, maggiore qualità ma troppo
dispendioso.

24.Postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Sono assolutamente favorevole, se utilizzata con criterio.

25.Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Preferisco in solitudine. Il mio staff è composto da amici e familiari.

26.Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Ardor

27.Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


Non c’è una foto che mi rappresenta meglio. Tendo a considerare il mio lavoro nella sua
totalità.

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28.Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?
In generale tutte le immagini della serie Self-portrait with Strangers. È molto difficile
instaurare un rapporto con una persona attraverso il solo mezzo fotografico. È l’aspetto più
complicato e affascinante di questa serie.

29.Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?


Sicuramente Self-portrait with my mother. Penso che questa foto mi perseguiterà a vita e
non riuscirò a realizzarne una migliore.

30.Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Le gallerie con le quali lavoro.

31.Che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Ottimo

32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Dipende dall’utilizzo. Se utilizzata senza citare nome e fonte è pura ingiustizia.

33.Qual'è il tuo concetto di arte?


L’arte è ricerca, seguire con perseveranza e disciplina un metodo basato sulla comprensione
del mondo che ci circonda e con il quale ci relazioniamo.

34.Qual'è il tuo concetto di artista?


Non ho ancora capito bene il significato e l’impiego di questa parola.

35.Quale periodo
storico nell'arte
apprezzi di più e
quali artisti?
Edward Hopper e il
realismo americano.
Caspar David Friedrich
e William Turner.
Tutta la pittura gotica.

36.Quale potrebbe
essere la
destinazione
ottimale per questo
tuo lavoro? E
perché?

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La mia ambizione è di lavorare esclusivamente nel campo dell’arte contemporanea.

37.Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?


Non è presa seriamente.

38. E' ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


È estremamente difficile ma penso sia ancora possibile.

39.Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Quelli del passato che non sono ancora stati scoperti, come il caso di Vivian Maier.

40.Quali aspirazioni hai per il futuro?


Semplicemente continuare a dedicarmi alla fotografia, fino alla fine.

1. "I am here" questo tuo progetto di autoritratti legati al luogo dove vivi mi ha aperto il
cuore, potresti raccontarmelo?
Nel 2005 mi sono trasferita nella casa dove vivo tutt’ora, a Sermoneta.
Inizialmente odiavo questa casa, era uno spazio freddo e sconosciuto. Grazie alla fotografia
e in particolare a questa serie, ho scoperto e instaurato un rapporto con queste mura. Oggi la
mia casa è il luogo dove realizzo la gran parte del mio lavoro.

2. Le tue opere potrebbero essere scene di assoluta ordinarietà, perchè questa scelta?

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Sono ispirata da ciò che mi circonda, ma non rappresento scene di assoluta ordinarietà.

3. In molto scatti per un motivo o una casualità voluta hai il viso coperto, come mai?
Non è mai casualità ma sempre una scelta voluta. Coprendo il volto non c’è un riferimento
diretto a una persona in particolare. Chiunque osservando l’immagine può riconoscersi nel
soggetto fotografato.

4. Nella tua serie "portrait with strangers" le tue immagini hanno tonalità che
potrebbero sembrare quasi di Gregory Crewdson, ti senti vicina a lui?
Provo un’immensa ammirazione per Gregory Crewdson.

5. Nelle tue opere il contatto con l'architettura è qualcosa di reale, raccontami questo
grande amore
Dopo aver trascorso tre anni a fotografarmi solo ed esclusivamente nella mia casa (self-
portrait at home), ho deciso di allargare i miei orizzonti e ho iniziato così a viaggiare per
varie città, in Europa e Stati Uniti, alla ricerca di nuovi luoghi con cui confrontarmi. Ho
scelto le architetture contemporanee perché sono appunto simboli del nostro presente e il
mio desiderio era quello d’identificarmi non nel passato, non nel futuro, ma come parte di
questo preciso periodo storico. L’intento è stato quello di creare dei legami con questi luoghi
a me sconosciuti, esplorando il concetto di corpo, spazio e interazione.

6. Metti spesso in gioco te stessa nei tuoi scatti, come mai?


È parte della mia ricerca e processo creativo. L’autoscatto è come una piccola performance
davanti alla macchina fotografica.

7. Istinto e Ardore, spiegami queste due parole . nove foto unite in una, spiegami questo
tuo progetto che va oltre il visibile
Instinct e Ardor sono la proiezione di un universo interiore. Un universo popolato da
sentimenti, stati d’animo, pensieri, vissuto; tutte realtà che convivono dentro di noi e non
visibili ai nostri occhi. Per realizzare queste serie mi sono affidata a questi elementi, perché
credo che ciò che sentiamo e che vive dentro di noi, sia più vero di ciò che vediamo e vive
fuori di noi. In altre parole, ho cercato la verità e l’immagine nel non visibile.

8. Ho visto che hai viaggiato molto, qunto ha aiutato la tua crescita e il tuo miglioramente
nel corso degli anni?
Tantissimo. Viaggiare è una componente essenziale per la mia ricerca.

9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Sono ancora all’inizio di questo lungo percorso.

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FRANCESCA ERRICHIELLO

Classe 1990, inizia a fotografare verso la fine del 2009 e solo nel 2011 è diventato un vero e proprio lavoro, iniziando
come ritrattista e poi continuando anche come fotografa di moda. Ha partecipato ad alcuni concorsi nazionali ma il
premio più importante è stato quello della categoria "Fashion" del Nikon Talents 2014, la cui premiazione è avvenuta a
Torino dove espone ad Artissima. La mia prima vera mostra personale è stata curata da Michele Del Vecchio e Dario
Buonfantino per "Le quinte fotografiche" al Teatro Bellini di Napoli, nel 2012, sto curando un'altra mostra personale
che si dividerà in due sezioni, una riguarderà la mia città, Napoli, e l'altra sarà un insieme di tutte le fotografie scattate
in questi anni.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Ho frequentato l'Istituto
Sociopsicopedagogico e nient'altro. Non
ho voluto continuare gli studi, non ho
neanche studiato fotografia e non lo dico
vantandomi ma con un leggero
disagioperchè se avessi fatto almeno un
corso di fotografia avrei evitato errori su
errori ma va bene così.

2. Dove vivi attualmente e dove hai


vissuto prima?
Attualmente vivo a Napoli e l'intenzione
è quella di viverci tutta la vita, senza
precludermi viaggi in Italia e all'estero
per lavoro o per diletto.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla


fotografia?
Si, finito il liceo, mentre decidevo se fare
o no l'università, ho lavorato come
cameriera in un pub per due anni.

4. Sei una persona sicura di te o hai


bisogno di lavorare sulla tua autostima? So di sicuro ciò che voglio ma spesso ho paura di
compiere dei passi verso un obiettivo, ho svariati complessi che però riguardano più il lato
estetico che quello interiore. In sostanza, quindi, direi che sono sicura di me ma devo
comunque lavorare sempre sulla mia autostima, credo come tutti gli esseri umani.
5. Definisciti con una parola Napoli!

6. Critica te stessa per qualcosa La testardaggine.

7. Che cos'è per te la fotografia?


Un'altra dimensione in cui rifugiarmi quando voglio. Posso creare storie, quando posso
creare qualcosa mi sento realizzata anche se quel qualcosa potrebbe far tranquillamente
ribrezzo!

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8. Come hai cominciato a scattare?
Per caso, grazie al mio ragazzo appassionato di fotografia. Lui adora il reportage (e anche io,
solo che io non ne sono capace), io mi sono lanciata in un altro mondo che è quello della
moda e del ritratto.

9. In che modo la tua vita quotidiana


influenza il tuo lavoro e viceversa?
Mi basta guardare alle persone o alle
esperienze del passato, belle e meno, o un
film o ascoltare un brano, o anche girare per
le strade e i vicoli della mia città per
influenzare il mio lavoro. E' facile per me e
credo che tutte le persone che vivono di arte
trovino ispirazione dalle loro esperienze e
dalla loro vita quotidiana.

10. Come scegli le tematiche che affronti e


cosa ti lega ad esse?
Scelgo le tematiche in base al periodo che
sto affrontando o anche solo in base a
qualcosa che mi ha ispirato di recente

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Dipende dal tipo di fotografia, quando si
parla di moda bisogna stare più attenti alla
fisicità e alla versatilità del modello.
Quando si parla di ritratti spontanei mi
lascio ispirare dai loro colori, dagli occhi,
dalla personalità, dai difetti. Ho un debole per le persone con gli occhi chiari, comunque.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Si ed è molto più difficile fotografarle, sul serio. Quando si tratta di amici e familiari o non
si lasciano fotografare o mi inibisco io. L'unica persona a me vicina che riesco a fotografare
con naturalezza è il mio ragazzo.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?Potrebbe essere bello come la famiglia della
Mulino Bianco in cui tutti si amano, si abbracciano, si sostengono etc. ma no, sarebbe
noioso. Ci vogliamo bene e ci odiamo al momento giusto, come gli innamorati.

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?No, assolutamente
no.

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Si, ho avuto un paio di esperienze traumatiche dai 14 ai 16 anni circa e probabilmente in
alcune fotografie è possibile notare che qualcosa non è andato bene durante la mia
adolescenza.

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16. Qual'è la tua più grande paura?
Ho tantissime paure, banali o meno, ho paura del fuoco (ad esempio non riesco ad accendere
un accendino o un fiammifero), dei serpenti, di invecchiare, di vedere il mio corpo cambiare,
di essere sola. Però attualmente la mia grande paura è quella di smettere di immaginare, di
avere idee. Spero non accadrà mai!

17. Leggi spesso i giornali o segui l'attualità?


Abbastanza ma molto superficialmente, dipende dal grado di interesse verso una cosa, ad
esempio mi informo molto sugli sviluppi, sugli eventi della mia città.

Che rapporto hai con la politica?


18. Orribile. Nel senso che non riesco ad avere fiducia nelle istituzioni e credo sia la cosa
peggiore per un cittadino e la migliore per un politico disonesto. L'unica persona che è
riuscita ad attirare la mia attenzione e la mia fiducia è il sindaco di Napoli. Lo ammiro così
tanto perchè è riuscito in poco tempo a far risorgere la città con una serie di squali affamati
intorno a lui. E lo seguo sempre, sono una sua fan, tipo cretina con la bandana in testa che
piange al concerto della sua rockstar.

19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?


Assolutamente, il cinema e Napoli sono le due principali fonti di ispirazione!

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Annie Leibovitz, Ellen Von Unwerth, Federica Erra, Steve McCurry, Helmut Newton e
Steven Meisel!

21. A quale periodo storico ti senti legata?


A quello del dopoguerra, sicuramente. Lo so, sono scontata!

22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Se mia sorella potesse vedere la domanda mi prenderebbe in giro come sempre, la lettrice

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accanita della casa è lei. Io odio leggere ma se devo parlare di uno scrittore che mi è piaciuto
e di un libro che mi ha ispirata è "Lolita" di Nabokov!

23. digitale o analogico? pro e contro?


Digitale perchè sono cresciuta con il digitale, analogico perchè le foto d'epoca hanno un
altro sapore, non migliore ma diverso. Non sono pro o contro. Li adoro entrambi ma
chiaramente sono di parte: digitale!

24. postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Molto molto molto favorevole! Basta essere capaci di fare entrambe le cose!

25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Non ho nessun problema in entrambi i casi, se ho il soggetto giusto davanti mi concentro
solo su di lui. Piuttosto, se non ho l'atmosfera giusta (luce, musica) è lì il vero problema!

26. Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Quello a cui sto lavorando, riguarda la storia di Napoli ma lo tirerò fuori entro il 2017. Ci
tengo moltissimo e spero di non deludere nessuno

27. Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


La mia foto preferita è "Slave"
Ho fatto di me stessa il soggetto di un quadro antico. Mi ricorda una donna legata a certe
tradizioni, abituata a un certo modo di vivere. Mi piace moltissimo!

28. Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


In assoluto "The Rose Garden II" perchè creare quel prato di rose è stata una fatica durata
giorni!

29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè? La foto a cui sono più legata è "Il saluto"
scattata tanti anni fa con Massimo, il mio ragazzo. Non è una delle più belle, secondo me,
tecnicamente. Ma la amo perchè è una scena che poi ho vissuto di recente.

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


La testardaggine di cui parlavo, la fiducia che mi da la gente e il social network!

31. che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Bruttissimo, vedo professionisti a loro agio con la tavoletta grafica e io che ancora mi ostino
a voler utilizzare il mouse. Mi piace ancora scrivere con la penna su un quaderno piuttosto
che su un blocco note sul computer. Apprezzo la funzionalità delle cose ma in certe
situazioni noto quanto io sia chiusa mentalmente!

32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?Dipende dalla situazione, se mi viene rubata una fotografia è una conto,
in quel caso mi arrabbio e faccio di tutto per farla rimuovere! Se ho scattato una foto per
VOGUE e non mi viene inserito il nome è un altro conto, lì la pubblicità ti viene fatta lo
stesso!

33. Qual'è il tuo concetto di arte?

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E' un qualcosa di soggettivo.

34. Qual'è il tuo concetto di artista?


Stessa cosa che per la domanda precedente!

35. Quale periodo storico nell'arte apprezzi di più e quali artisti?


Dal Seicento al Novecento: Caravaggio, Delacroix, Monet, Dalì.

36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Non ne ho assolutamente idea, giuro.

37. Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?


Che ci siano tantissimi eccezionali fotografi a cui io posso solo pensare di stringere la mano,
per ora!

38. è ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Si e credo sia anche molto più semplice di prima se si hanno valide motivazioni e valide
capacità!

39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Laura Makabresku, Carlo Rossi, Hasse Linden!

40. Quali aspirazioni hai per il futuro?


E' un segreto, eheheheheh! Ho parecchie cose in cantiere!

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1. Bianco e nero o colore?
Entrambi se usati bene!

2. Come mai hai scelto di legarti all'ambiente della moda?


Mi attrae la fotografia di moda, artefatta ma anche più semplice. Permette di uscire di più
fuori dall'ordinario! Le foto delle riviste, quando sono spettacolari, farebbero innamorare
anche i meno appassionati!

3. Nelle tue foto usi molti richiami al sud Italia nei dettagli e nell' architettura circostante,
come mai questa scelta?
Perchè non posso farne a meno, sono ispirata da ciò che il Sud Italia e in particolare Napoli
ha da offrire. Vivere qui è come trovarsi costantemente in un film d'epoca e ciò mi rende
immensamente

4. Perchè in un periodo in cui tutte


le giovani promesse migrano
all'estero tu rimani legata alla
tua città?
Perchè ci sono persone nate per
vivere in altre città e altre no. Io
non mi sentirei a mio agio fuori
Napoli. Ne faccio parte ma non
mi stressa ne mi deprime, anzi!
L'amore per una città ti permette
di viverla come si deve. Non
riuscirei ad immaginare la mia
vita fuori da Napoli, non mi
piacerebbe doverla visitare ogni
tanto da turista, non sarei la stessa persona di prima.

5. Nei tuoi lavori richiede più impegno lo scatto stesso o la postproduzione?


A volte richiede lo stesso identico impegno, a volte di più lo scatto e a volte di più la
postproduzione.

6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
No, non sempre. Però mi piace stravolgere i modelli, trasformarli. Ci sono modelle che sono
belle anche da vicino ma in foto riescono ad essere immense e mi piace tirar fuori tutta la
bellezza dai loro corpi!

7. Metti spesso in gioco te stessa nei tuoi scatti, come mai?


Prima lo facevo più per necessità perchè non conoscevo molte modelle, ora lo faccio solo se
ispirata. A volte riesco ad esprimere solo io quello che voglio e quindi vado di autoscatto, a
costo di sembrare estremamente esibizionista.

8. Mi sembri una persona molto solare e socievole, ma a livello professionale le tue opere
ti danno una parvenza di estrema freddezza, ti è mai capitato di sentirti giudicata
diversa da come sei per il tuo lavoro?

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Si, è vero, non mi sento per niente una persona fredda ma non so perchè sia così, forse
perchè già sono troppo solare, esserlo anche mentre fotografo mi annoierebbe. Ogni tanto un
po' di tristezza devo farla uscir fuori, le tengo sempre dentro!

9. preferisci scattare in studio o in esterna?


In esterna, adoro la luce naturale. Però i set sono stupendi se si hanno le luci e la scenografia
adatta!

10. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Credo di essere ancora all'inizio, non ho raggiunto nessun grande traguardo per ora, forse
perchè devo ancora crescere tantissimo professionalmente e anche personalmente.

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GUENDALINA FIORE
Studentessa di ingegneria, fotografa di moda, menzione speciale all' “International Photography Awards Competition”,
“Lens Culture Exposure Award” e “Life Framer Photography Competition”. Scelta da Vogue Italia per una
collaborazione tra Vogue e Swatch in occasione del 50° anniversario della rivista. Legata ai rapporti umani, nei suoi
scatti comunica un apparente quotidiano, ricco di intimita.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Studio Ingegneria Gestionale

2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?


Vivo a Roma per studio e lavoro da diversi anni ma sono nata e cresciuta a Pescara

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


No

4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Ho costantemente bisogno di lavorare sulla mia autostima

5. Definisciti con una parola


Inquieta

6. Critica te stessa per qualcosa


Troppo introversa

7. Che cos'è per te la fotografia?


E’ ovviamente una grandissima passione che spero di riuscire a trasformare in
professione

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8. Come hai cominciato a scattare?
E’ successo abbastanza naturalmente. Mio padre è da sempre un appassionato di
fotografia e sin da quando ero piccola lo vedevo immortalare momenti di vita
quotidiana. Crescendo il mondo delle immagini diventò sempre più uno stimolo
ma mi limitavo a fotografare le mie amiche durante le feste o le uscite. Solo
qualche anno dopo, quando internet è entrato a far parte della vita di tutti i
giorni, ho avuto modo di scoprire la fotografia vera e propria.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia fotografia è influenzata da ciò che leggo, ciò che ascolto e ciò che vedo. Il tutto
poi viene reinterpretato secondo una mia visione personale.
La componente emotiva deve esserci, altrimenti l’immagine non trasmette nulla!

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse? fondamentalmente ritraggo
tutto ciò che mi piace o che in qualche modo mi emozioni.
Sono tematiche che posso aver letto in un libro o visto in un film, cerco comunque di non
perdere mai il contatto con la realtà

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Tendo a lavorare spesso e volentieri con le stesse persone. Ho amici molto belli e diversi
tra loro ed ognuno si presta meglio dell’altro a differenti contesti. Non sento la
necessità di andare alla ricerca di altri “modelli” per il momento. Mi interessa che
siano interessanti e belli a modo loro, non ricerco la perfezione ma quel
particolare che colpisca.

12. Ti è mai capitato


di usare persone
a te vicine come
soggetti?
Continuamente.
Ho usato le mie
sorelle per un
recente progetto e
lavoro spessissimo
con la mia
migliore amica

13. Che rapporto hai


con la tua
famiglia?
Meraviglioso. I
miei genitori sono
le persone che stimo più al mondo così come le mie
due sorelle

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
Non penso. Fino a qualche tempo fa i miei genitori non erano troppo d'accordo che io
mi dedicassi alla fotografia perché pensavano potesse togliere troppo tempo agli

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studi ( non sono mai stata un “ingegnere” molto convinto!). Per cui li ho tenuti all’
oscuro di molti miei lavori per diversi anni. Solo di recente ho iniziato a
coinvolgerli di più, forse perché ormai si sono rassegnati!

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Sicuramente. Sono convinta che ci sia molto di una persona nei propri scatti

16. Qual'è la tua più grande paura?


Quella di non realizzarmi nella vita

17. Leggi spesso i giornali o segui l’attualità?


Cerco di tenermi sempre aggiornata ma non quanto dovrei

18. Che rapporto hai con la politica?


Un rapporto di sfiducia e pessimismo come tutti i giovani del nostro paese (penso). Ma
sono convinta che il disinteresse non sia la soluzione

19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?


Amo il cinema. Oltre ad essere una illimitata fonte di ispirazione è anche un mondo che
mi affascina molto

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Vivian Maier, Alfred Eisenstaedt, Bruce Davidson e William Eggleston

21. A quale periodo storico ti senti legata?


Gli anni 60/70

22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald

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23. Digitale o analogico? pro e contro?
Questo è un discorso complesso. Essendo cresciuta nell’ era del digitale il mondo dell’
analogico mi è sconosciuto per cui non posso dare un parere tecnico o mettere a
confronto una macchinetta analogica con una digitale. Riconosco in qualche
modo, a parità di immagine, la superiorità della fotografia su pellicola che
secondo me richiede forse maggiori competenze rispetto all’ uso di una
macchinetta digitale. Tuttavia, oggi giorno, non penso basti adoperare una reflex
analogica per potersi definire “fotografi”. Come in ogni campo c’è stato un forte
ritorno a tutto ciò che è retrò ed è impossibile non notare quanti giovani hanno
iniziato così a sperimentare l’analogico. Trovo che questo sia meraviglioso ma non
mi spiego come alcune foto, che probabilmente se fossero state scattate in
digitale non sarebbero mai state ritenute interessanti, vengano esaltate
esclusivamente perché scattate su pellicola. Io credo che ciò che realmente vada
valutato è il risultato finale, non importa come ci si sia arrivati. Se l’immagine
funziona o no non dipende dalla tecnica adoperata per realizzarla. Una fotografia
su pellicola può essere banale tanto quanto una fatta in digitale e viceversa.

24. Postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Assolutamente favorevole

25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Scattare da sola o con uno staff ridotto che a volte fa la differenza. Avere troppe persone
intorno mi inibisce parecchio

26. Qual'è il progetto a cui sei più legata?


“If on a winter’s day Eurydice”

27. Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


Una immagine della serie “The dreamers”. Forse perché suggerisce un senso di

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pacatezza e tranquillità ed in qualche modo è forse lo scatto che preferisco tra
quelli che ho realizzato.

28. Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


Forse la serie “Road to Woodstock” ( non saprei dirti una immagine in particolare) dato
che la ricerca della location, dei vestiti e del furgone vintage ha richiesto molto
tempo!

29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?


Una vecchia foto ormai non più presente nel mio sito intitolata “Letter from a soldier”.
Appartiene ad una serie di immagini che ho realizzato con mia sorella qualche
anno fa e la ricollego un po all’ inizio del mio percorso fotografico

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


PhotoVogue e Instagram.

31. Che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Credo che siano indispensabili, io personalmente mi pubblicizzo solo su Instagram e ho
un profilo provato su Facebook. Ho inoltre un sito internet che rappresenta la mia
unica vetrina “seria” in quanto i social sono a portata di tutti ma solo chi è
realmente interessato prende tempo per visitare la tua pagina web

32. L' utilizzo di


una tua
immagine senza
consenso sul
web lo vedi
come ingiustizia
o
buona
pubblicità?
Ingiustizia.
Bisognerebbe
sempre chiedere
il permesso

33. Qual'è il tuo


concetto di arte?
Per me l’arte
deve spiegarsi da sola. Un’ opera visiva che richiede troppe spiegazioni
non ha raggiunto il suo scopo. Questa ovviamente è la mia semplice opinione e
ci tengo a chiarire che non ho mai studiato arte!

34. Qual'è il tuo concetto di artista?


Colui che crea per soddisfare il bisogno di creare

35. Quale periodo storico nell'arte apprezzi di più e quali artisti?


Klimt, Mucha, Vermeer (che più volte mi ha ispirata)

36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?

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Io spero di poter finalizzare il tutto in qualche modo al guadagno. Creare arte per se
stessi è essenziale all’ inizio, ma se si vuole fare della propria passione un
mestiere bisogna commercializzarsi, rimanendo però sempre fedeli al proprio
stile. Non so quale potrebbe essere la destinazione ottimale per i lavori che
faccio, so però che mi piacerebbe immortalare persone famose ed importanti per
riviste più o meno note.

37. Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?

38. E’ ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Credo e spero di si! E’ dura ma c’è chi ce la fa

39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Sicuramente i giovani, a cui comunque vengono già date molte opportunità per farsi
notare, ma in generale tutti i fotografi validi di qualsiasi età meriterebbero le
attenzioni mediatiche. Tutti hanno bisogno di una spinta

40. Quali aspirazioni hai per il futuro?


Sto lavorando alla realizzazione di un portfolio cartaceo che, appena finiti gli studi, mi
piacerebbe esporre ad alcune agenzie per cercarne una interessata a
rappresentarmi. Vorrei vivere per qualche tempo all’estero e viaggiare tanto per
lavoro

1. Hai molti scatti che raccontano scene di spontaneità tra ragazzi che si amano o amiche
in camera da letto, come mai questa ricerca di naturalezza?
Perché il mio gusto personale si avvicina molto più a ciò che è spontaneo rispetto a
qualcosa di palesemente studiato e impostato. Questo non significa che non ci
sia uno studio dietro, anzi! Tutto è pensato nei minimi dettagli, ma nelle pose
voglio sempre dare libertà al soggetto. Mi piace che la foto possa rappresentare
emozioni reali e persone vere.

2. Hai realizzato un progetto in polaroid per una commissione, che rapporto hai con la
fotografia analogica?
E’ stato per lo più un esperimento, era la prima volta che mi cimentavo nella
realizzazione di un progetto in analogico. Ho intenzione di continuare comunque
a scattare in digitale ma non escludo nulla! L’analogico è un mondo che non
conosco ancora bene

3. Nelle tue foto sembra di vivere dentro un film, usi delle amiche o contatti modelle?
Hai realizzato un bellissimo progetto con una coppia a letto nella propria intimità, cosa
volevi raccontare?
Uso sempre amiche, una volta sola mi è capitato di contattare una ragazza che però
all’epoca non era ancora una modella e sono stata molto felice di averlo fatto
perché da quel momento in poi abbiamo scattato molte volte insieme.
Volevo raccontare esattamente l’intimità tra una giovane coppia di amanti, e creare un
contrasto tra la tenerezza delle movenze ed il carattere rude che almeno un
tempo veniva associato a chi fosse ricoperto da tatuaggi.

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4. Scegli spesso ambienti urbani o casalinghi per raccontare le tue storie, è per avvicinarti
a un idea di giornata ordinaria?
Si, come ti ho già detto cerco sempre di rimanere fedele ad un contesto reale

5. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Io ho una mia idea di bellezza che poi è quella che ricerco nelle modelle che immortalo
ed è una importantissima componente del mio lavoro. Non scatto con modelle
professioniste perché per il mio genere di fotografia non servono quei canoni
estetici richiesti dall’industria della moda. Mi piacciono per lo più figure genuine
e semplici, pulite e non artificiali.

6. Hai fatto delle bellissime foto durante i tuoi viaggi, preferisci la street photography o la
ritrattistica?
Mi piace l’idea di vivere con la fotografia di reportage, quella di poter viaggiare e
fotografare posti e popoli di tutto il mondo. Tuttavia la ritrattistica creativa mi da
una immensa soddisfazione, non saprei scegliere!

7. Hai realizzato un bellissimo progetto di una ragazza nuda in un bosco, perchè rimane
così distante dalle altre tue opere?
Perché è stato un progetto completamente improvvisato ed in quel periodo comunque
nutrivo la voglia di provare a fare qualcosa di diverso dal solito. Ogni tanto mi
piace sperimentare qualcosa di nuovo

8. Pensi che continuerai con questo stile così spontaneo o vorresti inserirti nella fotografia
di moda?
Assolutamente, ho moltissime idee sempre su questo stile che devo ancora realizzare.
Sento che potrebbe essere la mia strada.
Il mondo della fotografia di moda è davvero ampio. In qualche modo riesco ad inserirmi
ma sicuramente non potrei mai lavorare nell’alta moda con il genere di fotografia
che faccio. Tuttavia, avendo già avuto qualche esperienza nella moda, lo vedo
sempre più come un mondo troppo distante da me.
Comunque c’è sempre da fare una distinzione tra i progetti personali e quelli realizzati
su commissione. Un progetto personale per quanto mi riguarda è sempre più
rappresentativo dell’artista ed è l’unico modo in cui si può veramente creare ciò
che si vuole, nelle commissioni di moda si deve sempre scendere a compromessi
e assecondare i gusti del committente per cui io non mi sono mai sentita libera.
Ma è giusto fare tutte e due le cose

9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Penso di poter migliorare e fare ancora tanto. Mi ritengo soddisfatta del mio percorso
da autodidatta, ma ci sono tante cose da imparare ancora

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THILINI GAMALATH
Nasce in Sri Lanka nel 1988 e si trasferisce con la famiglia a Roma all'età di due anni. Fin da bambina il suo sogno
era quello di diventare una stilista di moda così all'università decide di studiare Moda e Costume dove si avvicina
alla Storia della Fotografia. Si trasferisce a Torino per studiare Fotografia ed attualmente vive e lavora tra Torino,
Milano e Roma. Specializzata in Fotografia di Moda, Beauty e Ritratto il suo lavoro è stato pubblicato in diverse
riviste nazionali ed internazionali tra cui Grazia, Vanity Fair, Rolling Stone.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Scienze della moda e del costume - "La Sapienza" Roma / CSP Fotografia IED

2. dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?


Vivo a Torino da cinque anni, vivevo a Roma

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Mentre studiavo lavoravo nei locali

4. Sei una persona sicura di te o hai


bisogno di lavorare sulla tua
autostima?
Abbastanza sicura di me

5. Definisciti con una parola


Decisa

6. Critica te stessa per qualcosa


Impaziente

7. Che cos'è per te la fotografia?


Un professione da rispettare

8. Come hai cominciato a scattare?


Per gioco

9. In che modo la tua vita quotidiana


influenza il tuo lavoro e viceversa?
Nelle tue immagini appare una forte
componente emotiva, come mai
questa scelta? La Fotografia mi ha
insegnato a conoscere dei lati di me
stessa che non sapevo di avere. La
componente emotiva non è una scelta,
credo che in Fotografia come in ogni
forma d'arte l'artista metta a nudo una
parte di se, consapevolmente o meno.

10.Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Lavoro prevalentemente nel campo della Moda con clienti. A volte mi capita di realizzare
progetti personali sempre nel campo del Fashion e le tematiche vengono scelte da
ispirazioni di libri, quadri, fotografie di altri professionisti o musica.

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11.Come scegli i tuoi soggetti?
In genere lavoro con modelle/i professionisti di agenzia, mi attira la stranezza.

12.Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Amiche ed amici

13.Che rapporto hai con la tua famiglia?


D'amore

14.Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?


Credo abbiano influenza me, quindi in qualche modo anche la mia arte.. ma non saprei
dire in che modo.

15.Pensi che le esperienze traumatiche


nella vita di una persona possano
condizionare il modo di scattare?
Per chi si occupa di Fotografia
intimista, sicuramente.

16.Qual'è la tua più grande paura?


Perdere qualcuno che amo

17.Leggi spesso i giornali o segui


l'attualità?
Abbastanza

18.Che rapporto hai con la politica?


Mi tengo informata e la odio

19.Che rapporto hai con il cinema? Ne


hai tratto ispirazione?
Amo immensamente il cinema e sì, è
una grande fonte di ispirazione

20.Quali fotografi ti hanno ispirata?


Cecil Beaton è sicuramente il maestro
al quale sono più legata, Alfred
Stieglitz, i fratelli Brasaglia ed i più
"classici" Mapplethorpe, Arbus, Cartier-Bresson, Newton.. e tantissimi altri.

21.A quale periodo storico ti senti legata?


Per quanto riguarda la fotografia direi il Fotodinamismo e la nascita dell'arte fotografica.

22.Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Sandor Marai - La recita di Bolzano

23.digitale o analogico? pro e contro?


Dipende dal progetto. La Fotografia è un linguaggio e lo strumento va scelto in base a
cosa si vuol comunicare. Per lavoro o per i progetti personali di moda uso sempre il

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digitale ma amo l'analogico (soprattutto nel bn). Se parto per un viaggio porto rullini e
diapositive, è un po' una "scusa" per stampare le fotografie

24.postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Come prima, dipende dal progetto. In genere sono pro post-produzione. Esistevano
tecniche di post anche per le stampe da analogico perciò non è nulla di nuovo. La
Fotografia è prima di tutto finzione.

25.Preferisci scattare in solitudine con


il soggetto o preferisci avere uno
staff alle tue spalle? Lavoro sempre
con uno staff, mi piace condividere le
idee sul set

26.Qual'è il progetto a cui sei più


legata?
Ho scattato delle fotografie al mare
ad una delle mie migliori amiche, è il
progetto più vecchio che ho nel
portfolio e non riesco a separarmene
(Risp29)

27.Qual'è la foto che ti rappresenta


meglio e perchè?
Yui con le ciambelle davanti gli
occhi, credo esprima al massimo la
mia idea di fotografia di moda

28.Qual'è la foto che ha richiesto più


impegno e perchè?
Credo le promo di Levante, non per
una questione tecnica ma ci tenevo
molto a fare un bel lavoro. Era il suo
disco d'esordio, conosco Claudia e
sapevo quanto fosse importante per
lei.

29.Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?


Sicuramente l'editoriale di Viola, si tratta di un lavoro bellissimo ed il ricordo di una
giornata tra amiche

30.Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Internet, i social

31.che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Un ottimo rapporto

32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Dipende dall'uso che ne viene fatto, senza la citazione dell'autore trovo sia ingiustizia.

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33.Qual'è il tuo concetto di arte?
Non credo esista un concetto di arte, tutto cio che ci circonda ne fa parte

34.Qual'è il tuo concetto di artista?


Io non mi considero un'artista, mi considero una professionista. Se penso ad un'artista mi
viene in mente un cantante oppure un pittore. Io mostro qualcosa attraverso i miei occhi,
non mi sento di creare nulla.

35.Quale periodo storico nell'arte apprezzi di più e quali artisti?


L'Impressionismo e Monet ma credo che il mio artista preferito sia Klimt

36.Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Scatto prevalentemente campagne moda ed editoriali, sicuramente le riviste

37.Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?


A parte i grandi professionisti e pochissimi coetanei, la fotografia sta morendo.

38.è ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Assolutamente si

39.Quali fotografi meriterebbero


più attenzione?
A Torino sicuramente Adele
Obice ed Alberto Raviglione

40.Quali aspirazioni hai per il


futuro?
Fare sempre di più e sempre
meglio

1. Un artista polivalente che passa


dal glamour all'ambiente
musicale, dove ti senti a casa? In
entrambi gli spazi. La Musica è
una parte fondamentale della
mia vita, mi trasmette le stesse
emozioni della Fotografia ed
esser riuscita a legare le due
cose è stato un grande
traguardo.

2. Come mai hai scelto di legarti


all'ambiente della moda?
Ho studiato moda perché volevo
fare la stilista finche
all'università non ho studiato
Storia della Fotografia. Io non
credo si tratti di una scelta

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consapevole. Come tutti i fotoamatori ero interessata al reportage, in particolare a quello
di guerra. Studiando e giocherellando mi sono avvicinata naturalmente alla Moda.

3. Il tuo nome non è italiano e nelle tue foto ci sono molti dettagli nella varietà di
colori di pelle ed origini dei soggetti, parlami di questo lato multietnico -
Solo il mio nome non è italiano, per il resto lo sono in tutto e per tutto. La scelta delle
modelle si basa sul progetto commissionato dal cliente o dalla rivista, dal mood, non ha a
che vedere con l'etnia. Apprezzo la bellezza della donna e dell'uomo in generale, non
credo di avere un lato multietnico o forse ce l'abbiamo tutti non saprei.

4. Nei tuoi scatti presti molta attenzione alla luce, ti trovi più a tua agio in esterna o in
studio?
Entrambi, tantissimo

5. Nei tuoi lavori richiede più impegno lo scatto stesso o la postproduzione?


Nessuno dei due. L'impegno maggiore è la fase precedente allo shooting, la fotografia
prima si pensa e poi si scatta.. è una delle prime cose che mi è stata insegnata

6. Nelle tuo opere risalta l'estrema bellezza delle tue modelle, è determinante per il tuo
lavoro?
Decisamente

7. In molti dei tuoi primi scatti


tendevi ad ammorbidire le
immagini con una leggera
sfocatura, come mai questa scelta?
Sentivo la necessita di mettere in
risalto il soggetto

8. le tue immagini sono molto


colorate, e ognuna è diversa
dall'altra. la tua foto perfetta di
che colori è composta?
Non saprei dirlo. La mia foto ideale
cambia di giorno in giorno, potrebbe
avere qualsiasi colore credo.

9. ho visto che hai realizzato molti


editoriali con tantissimi abiti, ma ce
n'è uno da cui ti senti davvero
rappresentata?
Candygirl, l'editoriale con la ragazza
giapponese dai capelli corti. Credo sia
uno dei miei lavori migliori.

10.Pensi di aver raggiunto il tuo più


grande traguardo o di poter ancora
migliorare?
La cosa che amo di più della fotografia eè che non si smette mai d'imparare, anche tra
vent'anni avrò da imparare e da migliorare

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ALLA CHIARA LUZZITELLI
Nata nel 1998 a Lipetzk nella Federazione Russa.
Vissuta 8 anni in orfanotrofio nel 2006 viene adottata dalla famiglia Luzzitelli.
Cresciuta nel mondo della fotografia e della pubblicità sin da molto giovane
inizia a sperimentare con la fotografia e l’arte.
L’arte le permette di realizzare se stessa ed esprimere le sue emozioni, un aiuto
essenziale per la sua crescita interiore.
Nel 2014 ed è stata premiata come “Miglior artista emergente” dalla Galleria d’arte Satura di Genova in occasione
dell’ Esposizione Genova Contemporanea.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Frequento attualmente il liceo di fotografia Albe Stainer a Torino
2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?
Sono nata in Russia,in una città di nome Lipetzk successivamente all’età di otto anni
mi sono trasferita in Italia a Torino,ormai sono nove anni che vivo in Italia.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Quando ero più piccola mia piaceva disegnare molto ma conobbi presto la fotografia e
abbandonai il disegno,imparai presto ad amare la scrittura e in qualche modo non so
ancora come trovai il mio piccolo mondo nelle parole,avevo così tanto da raccontare.
Scopri anche il teatro così decisi di iscrivermi ad una scuola di recitazione e l’amai da
subito.

4. Sei una persona sicura di te o


hai bisogno di lavorare sulla
tua autostima?
Sono sicura di me ma ho anche bisogno
di lavorare sulla mia
autostima,miglioro ogni giorno di più è
la sicurezza è fondamentale per me

5. Definisciti con una parola


Racconta storie

6. Critica te stessa per qualcosa


Sono molto esigente e rigida molte
volte con le persone con le quali lavoro

7. Che cos'è per te la fotografia?


La fotografia è solo uno strumento per
raccontare ma allo stesso tempo è
anche il movimento del tempo e la sua
fine.

8. Come hai cominciato a


scattare?
Ho cominciato a scattare guardando
mio padre,i miei genitori sono fotografi
pubblicitari perciò tutto ebbe inizio nello studio

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9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
La mia vita quotidiana fa parte del lavoro e viceversa,non c’è una differenza tra lavoro e la
vita normale tutto è unico così come le storie dei miei soggetti. Non credo sia una scelta quella
della forte componente emotiva, è qualcosa che sento dentro di me quasi come se fosse un mio
dovere e una mia necessità.

10.Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Scelgo le mie tematiche in base al mio umore,alle mie emozioni e in base a quello che
sento di voler raccontare

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Scelgo i miei soggetti in base alle loro storie principalmente,l’aspetto è molto importante ma
quello va in secondo piano.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Ho lavorato solo una volta con un vero modello,gli altri erano i miei amici.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?


Ho un rapporto bellissimo con i miei genitori,siamo circondati di arte e discutiamo a volte ma
loro sono fantastici.

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari


abbiano condizionato la tua arte?
Non credo che abbiano condizionato la mia
arte,tutto quello che vedete è frutto delle
mie emozioni e delle storie altrui

15. Pensi che le esperienze


traumatiche nella vita di una
persona possano condizionare il
modo di scattare?
Esperienze traumatiche creano una
sensibilità diversa da coloro che non ne
hanno mai avute,cambia la prospettiva che
abbiamo su tutto

16.Qual'è la tua più grande paura?


Ho tante paure dentro di me ma tutto è
superabile.

17.Leggi spesso i giornali o segui


l'attualità?
Leggo abbastanza i giornali per rendermi
conto di quanto male ci circonda

18.Che rapporto hai con la politica?


Non credo nella politica ma nella libertà dell’essere umano

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19.Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?
Il cinema per me è fondamentale per la mia ispirazione,mi aiuta spesso a ricordare eventi
passati

20.Quali fotografi ti hanno


ispirata?
Richard Avedon,Annie Leibovitz

21.A quale periodo storico ti


senti legata?
Al romanticismo

22.Il nome di uno scrittore e di


un libro a tua scelta?
Il gabbiano Jhonathan rappresenta la
mia vita e il mio io

23.Digitale o analogico? pro e


contro?
Amo il digitale quanto l’analogico ma
scatto solitamente con digitale. Il
vantaggio del digitale è che tutto è
immediato ma lo svantaggio è che
perdiamo quella linea d’eleganza e
viceversa

24.Postproduzione delle
immagini, favorevole o
contraria?
Sono favorevole alla post produzione

25.Preferisci scattare in
solitudine con il soggetto o
preferisci avere uno staff alle
tue spalle?
Preferisco scattare in solitudine,solo io e la mia creatività

26.Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Il progetto al quale sono più legata si intitola “Come le persone non vorrebbero mai mostrarsi"

27.Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


Questo è uno dei miei primi autoritratti,rappresenta me perchè questo viso è coperto
dall'ombra ed è come se io rinascessi da questa specie di oscurità e mostro il mio io.

28.Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


Credo che queste siano state le immagini più difficile per me da realizzare,tratto dalla mia
prima mostra "come le persone non vorrebbero mai mostrarsi" perchè la storia di queste Opere
non è stata semplice da comprendere,ci sono state grandi emozioni in questo progetto al quale
sono molto legata

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29.Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?
Sono legata a tutte le mie immagini,non potrei mai rinunciare neanche ad una,ho un legame
molto profondo con tutte le mie opere

30.Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Nuove storie

31.che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Un rapporto direi ormai normale la tecnologia è un grande passo ma senza la tecnologia
potremmo vivere anche meglio

32.L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?
Assolutamente ingiustizia

33.Qual'è il tuo concetto di arte?


L’arte è una visione rivoluzionaria che pochi hanno,la visone del mondo in prospettiva diversa
è arte e da lì inizia tutto

34.Qual'è il tuo concetto di


artista?
L’artista è l’occhio del mondo

35.Quale periodo storico


nell'arte apprezzi di più e
quali artisti?
Al cubismo ma non ho artisti preferiti
poiché amo tutto l’insieme di quel
periodo

36.Quale potrebbe essere la


destinazione ottimale per
questo tuo lavoro? E perché?
Sono senza destinazione,vago libera

37.Cosa pensi della fotografia


italiana contemporanea?
Penso che niente è più come 15-20 anni
fa,ora nulla mi stimola dell’arte italiana
contemporanea, tutto ormai (per la
maggior parte) è esibizionismo

38.è ancora possibile fare


carriera in questo ambiente?
E' possibile ma solo se prima lavori su te stesso

39.Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Tanti troppi e pochi

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40.Quali aspirazioni hai per il futuro?
Raccontare nuove storie e creare senza fermarsi

1. Così giovane eppure così brava, come vivi tutto questo?


La mia “bravura” non è abbastanza per me,sono molto orgogliosa dei miei lavori ma non
basta,sento la necessità di lavorare di più e creare di più

2. Vuoi intraprendere la strada della fotografia di moda o vedi altro per il tuo
futuro?
Non saprei ancora ma tutto cambia sempre

3. Molte tue opere sono dittici, ti senti rappresentata da questa particolare tecnica?
No,non mi sento rappresentata,volevano essere solo dei collegamenti da immagini diverse ma
simili

4. Nelle tue opere traspare un gran senso di dinamismo, quasi a vedere soggetti in
perenne movimento, parlami di questo.
Voglio che ogni mia foto sia dinamica,il soggetto deve avere il completo controllo del suo
corpo,senza il controllo del proprio corpo l’immagini è già stata distrutta.

5. Nei tuoi ultimi lavori si vede un notevole cambiamento di stile, è una cosa voluta?
Credo che il mio cambiamento di stile lo devo al mio cambiamento stesso,mi sento diversa ma
come prima e sento la necessità di cambiare stile

6. Metti spesso in gioco te stessa nei tuoi scatti, come mai?


Il soggetto,il modello o chiunque sia non potrà mai interpretare così bene ciò che io chiedo

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perchè loro non vivono nella mia mente perciò di conseguenza sono io l’unica a comprendere
a fondo il mio disegno creativo.

7. Le tue opere fanno trasparire un notevole senso di ricerca, trovando molti


richiami in fotografi noti, cosa e chi ti ispira?
Le mie ispirazioni appartengono a tutto ciò che i miei occhi riescono a vedere

8. Ho visto che hai partecipato al primo FISAD quest'anno, portando un lavoro


molto particolare, vuoi parlarmene?
Il primo quadro con la benda fasciata è stato intitolato dietro la chirurgia e mostra ciò che la
chirurgia crea e il suo sentimento,il secondo quadro invece rappresenta la rabbia dell’essere
umano per ciò che fa ogni giorno,in occasione di Charlie,questo ragazzo rappresentato vuole
fuggire dagli orrori di tutti i giorni

9. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Ogni giorno miglioro,studio,creo e conquisto mai questi elementi finiranno.

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VALENTINA MANGIERI
GELSO NERO

Nasce a Sassuolo il 23 Marzo 1987. Fin da piccola si appassiona al cinema e alla letteratura, che diventeranno poi
ricche fonti di ispirazione per il proprio lavoro. Nel corso del 2006 inizia un percorso di ricerca visiva, e quasi per
caso inizia ad utilizzare programmi di grafica fino a quel momento inesplorati. Nello stesso periodo, decide di
creare un alter ego virtuale che possa rispecchiare le sfaccettature della propria personalità: nasce Gelso Nero. Nel
2008 invece, ha luogo a Roma, la prima esposizione fotografica. Nel corso degli anni successivi collabora con
progetti musicali nella realizzazione di copertine per album e artwork.

1. Cos’hai studiato nella vita?


Ho vissuto un percorso scolastico complesso e variopinto, se così lo possiamo definire;
ho studiato sia in campo artistico che non. Al momento non sono laureata, e non escludo
in futuro di iscrivermi a qualche corso.

2. Dove vivi attualmente e dove hai


vissuto prima?
Vivo da sempre in una cittadina
emiliana, Sassuolo in provincia di
Modena, prima con i miei genitori
e mia sorella, oggi con il mio
compagno e mia figlia.

3. Hai fatto altri lavori non legati


alla fotografia?
Ho fatto vari lavori non legati al
mondo artistico per mantenermi
autonomamente quando abitavo
con i miei genitori, e poco prima di
avere la mia bambina sono stata
selezionata da un’associazione che
si occupa di malati di sclerosi
multipla. Un’esperienza tanto
carica di significati che sto
valutando in quale campo cercare effettivamente lavoro.

4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Sono una persona che ha bisogno di lavorare sulla propria autostima. Forse in eterno.

5. Definisciti con una parola.


Introversa.

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6. Critica te stessa per qualcosa.
Spesso mi rendo conto di costruire un muro tra me e il resto del mondo.

7. Che cos’è per te la fotografia?


Un modo per esprimere concetti ed emozioni che con altri mezzi farei più fatica ad
esternare.

8. Come hai cominciato a scattare?


Per scaricare l’emozioni - anche quelle negative, senza nuocere a niente e nessuno.
Fisicamente parlando, con una polaroid, niente di più scontato.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Al momento è la quotidianità che influenza il lavoro, nel senso che con una bambina di
questa età è molto difficile concentrarsi e impiegare energie principalmente sulle mie
passioni come facevo fino a qualche tempo fa. Con il passare del tempo sono certa le
cose torneranno a funzionare come prima, ad ogni modo, la mia quotidianità è una delle
principali fonti di ispirazioni proprio perché uso il mio lavoro come valvola di sfogo.

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Prendo spunto da letture e visioni, da cosa leggo, cosa ascolto, cosa mi viene raccontato.

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Quando si tratta di fotografie in
base a quello che la persona che
ho di fronte mi trasmette. Quando
lavoro sui collage è il soggetto
che mi trova, non viceversa.

12. Ti è mai capitato di usare


persone a te vicine come
soggetti?
Sì, mi è successo spesso ed è
anche la parte del mio lavoro che
non amo pubblicare. Lo sento
come un processo più intimo
rispetto ai collage, e sento di
avere ancora molto lavoro da fare
per essere pienamente soddisfatta
dei risultati.

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13. Che rapporto hai con la tua famiglia?
Un rapporto forte e simbiotico. La mia famiglia mi ha sempre appoggiato e sostenuto
davanti ad ogni scelta, ad ogni decisione importante della mia vita.

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
In parte, sicuramente. Sono ciò che sono anche in base a quello che mi hanno trasmesso.

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Assolutamente sì.

16. Qual’è la tua più grande paura?


Perdere gli affetti e perdere il controllo delle cose e di me stessa.

17. Leggi spesso i giornali o segui l’attualità?


Fin da quando sono piccola, ho sempre nutrito un forte interesse per ciò che mi circonda.

18. Che rapporto hai con la politica?


Ho le mie idee, molto chiare, e sono fiera di non appartenere a nessun partito e a nessun
movimento riconosciuto dalla società in cui viviamo. Ho conosciuto, conosco e frequento
persone con ideali - anche estremisti - del tutto opposti tra loro ed è anche grazie al
confronto e alla voglia di capire i punti di vista degli altri, che sono giunta alla
conclusione di chi sono io.

19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?


Il cinema è una delle principali fonti di ispirazione per il mio lavoro. Adoro i classici
dell’espressionismo tedesco, il cinema muto italiano e le sue dive, le visioni di Federico
Fellini, Guy Maddin e le sue reinterpretazioni del passato, i dialoghi di Bergman, il
cinema horror degli anni ’70, le biografie. Di cinema potrei parlare per ore, senza non
potrei vivere.
20. Quali fotografi ti hanno ispirata?
Il mio fotografo preferito è il futurista Anton Giulio Bragaglia, ho sempre amato i suoi
esprimenti sul fotodinamismo. Per il resto potrei fare un elenco infinito che va dalla
fotografia nata all’interno dell’azionismo viennese fino ad arrivare ai contemporanei
Ionesco, Witkin e Saudek.

21. A quale periodo storico ti senti legata?


Sono una vera e propria appassionata del movimento culturale, intellettuale e artistico
nato durante il periodo della Repubblica di Weimar. Espansione creativa e libertà di
espressione.

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22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?
“Dellamorte Dellamore” di Tiziano Sclavi è uno dei miei preferiti, perché lui è un genio
e perché Sclavi e i suoi figli di carta mi hanno letteralmente cresciuto.

23. Digitale o analogico? Pro e contro?


Penso che un metodo non escluda l’altro, non mi sento di scegliere perché amo
sperimentare con entrambi i metodi. Con il digitale ho spesso ricreato risultati che
l’analogico produce naturalmente. Senza il digitale non mi sentirei completa. Con
l’analogico tutto ha un altro odore.

24. Postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Dipende da tutta una serie di fattori, da quello che si sente di voler rappresentare.

25. Preferisci scattare in solitudine con il


soggetto o preferisci avere uno staff
alle tue spalle?
Ho sempre scattato in solitudine con il
soggetto.

26. Qual’è il progetto a cui sei più


legata?
L’ultimo “Cocoon" che ho presentato
all’edizione di Fotografia Europea di
quest’anno, perché ci ho lavorato di
notte mentre la mia bimba appena nata
dormiva e perché all’inaugurazione era
presente anche lei.

27. Qual’è la foto che ti rappresenta


meglio e perché?
Questa perché rappresenta la Medusa
Immortale, (Turritopsis nutricula).
Questo essere meraviglioso ha la
capacità naturale di tornare allo stato di
polipo dopo aver raggiunto la fase di
medusa adulta. E' un continuo ciclo che
mi affascina molto.

28. Qual’è la foto che ha richiesto più impegno e perché?


la serie dedicata ai tarocchi, perché ho studiato carta per carta cercando di estrapolare i
dettagli che più mi hanno colpito. Io di divinazione degli arcani non me ne intendo

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affatto, ma trovo enormemente affascinante tutto il discorso che sta dietro alla
simbologia e alla rappresentazione grafica storica di ogni carta.

29. Qual’è la foto a cui sei più legato e perché?


questo collage è da sempre il mio "logo", è l'opera a cui sono più legata.

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Sicuramente il mondo virtuale.

31. Che rapporto hai con gli strumenti


tecnologici?
Un rapporto di amore.

32. L’utilizzo di una tua immagine senza


consenso sul web lo vedi come
ingiustizia o buona pubblicità?
Senza consenso ma con i crediti come un
modo per divulgare ciò che faccio,
diversamente non mi fa piacere ma non
posso farci più di tanto se decido di
pubblicare quello che faccio online.

33. Qual’è il tuo concetto di arte?


Libertà di espressione e di espulsione. Da
dentro a fuori. Senza limitazioni di alcun
tipo.

34. Qual’è il tuo concetto di artista?


E’ un’etichetta che non mi piace se parlo
per me, personalmente non mi sento di
appartenere alla categoria degli artisti,
preferisco fare parte di quella dei viscerali; in generale comunque, per me artista è una
persona sensibile, carismatica, capace di esprimersi con la bellezza o la bruttezza
estrema. E’ innovazione e reciclo, ed è minimalismo e dettagli.

35. Quale periodo storico nell’arte apprezzi di più e quali artisti?


Le avanguardie artistiche nate nei primi anni del ‘900. Surrealismo, Espressionismo,
Futurismo, Dadaismo. Mi viene da citare: John Heartfield, Man Ray, Luis Bunuel,
Marcel Duchamp, Marinetti, Anton Giulio Bragaglia, Hannah Hoch, Hans Bellmer…
potrei andare avanti per ore.

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36. Quale potrebbe essere la destinazione ottimale per questo tuo lavoro? E perché?
Penso ad una collocazione in campo grafico/illustrativo.

37. Cosa pensi della fotografia italiana contemporanea?


Seguo molti artisti carichi di talento proprio perché amo circondarmi di persone creative,
alcuni di loro avranno sicuramente il successo che meritano.

38. E’ ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Non me lo sono mai chiesta, suppongo sia difficile.

39. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Mi viene sempre in mente Roberto Kusterle. Alcune sue opere sono bellissime,
praticamente perfette

40. Quali aspirazioni hai per il futuro?


Continuare a fare quello che faccio, esplorare per ricavarci del bene per me stessa.

1. Monocromatico sopra tutto, come mai questa scelta?


Molto semplicemente, si tratta di una predisposizione naturale verso il monocolore, in
particolare verso le tonalità dei grigi. Mi sento di viverci meglio, Monochrome nasce da
qui.

2. Dove prendi le immagini per i tuoi collage, e con quale criterio le scegli?
Le trovo tra le collezioni visive di inizio Novecento - sia online, che nei mercatini colmi
di antichità e stranezze che mi capita di visitare. Solitamente nasce una sorta di
innamoramento travolgente tra me e la posa/sguardo/abbigliamento del soggetto in
questione.

3. Molte tue opere hanno dettagli e particolari che richiamano ai decenni dei conflitti
mondiali, come mai questa scelta storica così mirata?
E’ una fase storica che mi ha sempre affascinato. Trovo interessante come i conflitti
abbiano plasmato la società di quel tempo: personalità umane, usi, costumi, modi di
approcciarsi o di censurare l’arte, modi di vivere la quotidianità e i rapporti con gli altri
esseri viventi. La crudeltà nella normalità.

4. Hai fatto una bellissima serie di opere legate ai tarocchi, ma reinterpretandoli a


modo tuo, qual’è il tuo preferito?
Senza un attimo di esitazione direi “Il Giudizio” - nell’arcano originale spicca un
gigantesco angelo, che nell’alto dei cieli suona una tromba rivolto verso una un uomo,
una donna e un bambino che si levano da quelle che sembrano tombe o sarcofagi. Nella

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mia versione ho apportato alcune modifiche - nessun angelo compare, e i sarcofagi sono
ciminiere di una fabbrica. Il significato comune della carta mi affascina molto: rinascita,
riscoperta, nuovo inizio.

5. Nell’ultimo periodo scatti


poche fotografie ma hai
realizzato collage meravigliosi,
pensi di esprimerti meglio con
questa tecnica?
Come ho detto anche
precedentemente è un tipo di
espressione visiva che mi
permette di esprimermi al
massimo ma senza scoprire
troppo. La cosa che più amo dei
collage è che posso servirmi di
simboli e particolari che spesso
può decifrare solo chi mi
conosce profondamente, questo
con la fotografia mi riesce meno.

6. Pensi di riuscire ad esprimerti


meglio con scatti del passato,
ma hai provato a riprodurli tu?
Sì, soprattutto recentemente. Il prossimo progetto sarà esclusivamente basato su scatti
che sto facendo ai miei amici.

7. Sei una persona che legge molto e ascolta spesso buona musica, quanto pensi sia
determinante la cultura personale di un artista per le sue opere?
Per quanto mi riguarda è fondamentale perché i miei input vengono principalmente da lì,
ma in generale non credo che la cultura personale sia sempre determinante; ho conosciuto
persone che si interessano poco di coltivare la propria cultura, ma che allo stesso tempo
producono opere interessanti perché viene loro naturale farlo, e così viceversa.

8. Da poco tempo sei diventata mamma, quest’esperienza ti ha dato uno slancio


artistico diverso?
Ha cambiato la mia prospettiva verso il mondo, verso gli altri esseri umani e quindi
anche i contenuti di quello che sento di avere bisogno di creare. Non ha sicuramente
cambiato me, io sono sempre quella di prima ma con una nuova piccola compagna di vita
accanto.

9. Gelso Nero, qual’è il significato di questo nome?


Nasce nel 2006. Ai tempi divoravo i romanzi di Chuck Palahniuk e infatti Gelso è uno
dei suoi personaggi che preferisco (dal romanzo "Ninna Nanna"). Mi ha da subito colpito
perché al frutto collego ricordi della mia infanzia che mi danno una sensazione di
benessere e conforto. E’ un alter ego emozionale.

10.Hai creato una linea di merchandise con le tue opere, che rapporto hai con la moda
e il costume?
La moda è una delle forme d’arte che più mi appassiona, così come i costumi delle varie

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epoche. Adoro Karl Lagerfeld e i servizi fotografici di Vogue sfiorano quasi sempre la
perfezione per il mio cervello; quando poi ad una collezione si aggiunge un fotografo
strepitoso come può essere Peter Lindbergh, e delle atmosfere che richiamo epoche
passate, sono molto felice. In generale mi piace moltissimo curare il mio look.

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GIORGIA NAPOLETANO
BLEKOTAKRA
Percorso artistico di natura autodidatta; questo le ha comunque permesso di maturare competenze complete in
fotografia analogica e digitale, fotomanipolazione, fotoediting e grafica digitale. Dal 2015 sviluppa e stampa in
camera oscura fotografie in bianco e nero, dopo aver perseguito un corso individuale con la fotografa Paola
Mongelli. Mostra personale “The Secret Room” Luxe 128 Gallery, Indianapolis (USA), Targa di riconoscimento - V
Biennale di Arte Contemporanea di Genova ed esposizione Triennale di Arti Visive Roma 2014.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Ho sempre frequentato corsi di studio in ambito scientifico, dopo il Liceo mi sono iscritta alla
Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, per poi, al secondo anno, trasferirmi a
Ingeneria.

2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?


Attualmente mi trovo a Pinerolo, ma non posso dire di essere stata una grande viaggiatrice. Per
quasi vent'anni ho abitato a Pescara; la seconda città che mi ha ospitata, appunto, è stata Torino.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Sicuramente, da studentessa avevo voglia di fare qualcosa in più, così sono riuscita ad
introdurmi nel mondo della pasticceria, una passione collaterale e segreta!

4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Sono sempre stata una persona consapevole della propria personalità ma l'insicurezza spesso è
venuta a galla, ne ho sempre preso coscienza e l'ho sempre accettata come parte del mio modo di
essere, non è mai stata un problema e non ho mai sentito la necessità di lavorare sull'autostima.
Oggi, da mamma, posso dire che l'insicurezza è quasi un ricordo. Un figlio regala della forza che
non si crede mai di avere!

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5. Definisciti con una parola
Overflow. E' una parola usata da William Wordsworth per descrivere il flusso continuo e costante
della manifestazione delle emozioni: “Spontaneous overflow of powerful feelings”.
In italiano è traducibile con straripamento, ma è chiaramente molto meno poetico.

6. Critica te stessa per qualcosa


Sono terribilmente frettolosa, cerco sempre di finire qualcosa in fretta per poterne cominciare
un'altra!

7. Che cos'è per te la fotografia?


E' cercare di vedere meglio, è vedere la realtà in modo personale.
Attraverso l'occhio della macchina fotografica tutto diventa più intimo, tutto si trasforma e tutto
ti appartiene.
Prima di scattare il mondo è tuo, lo devi scrutare e studiare. Il risultato che ne verrà fuori sarà la
propria versione del mondo.

8. Come hai cominciato a scattare?


Ho cominciato a scattare con una reflex digitale, Canon EOS 300D, che apparteneva ad un
fotografo professionista. Lui non la usava più e fu così gentile da regalarmela.
Iniziavo a sentire la necessità di vedere le cose a modo mio.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Il quotidiano ha sempre influenzato il mio modo di creare un'immagine perchè creare significava
esternare tutte le emozioni negative che ristagnavano nella mia vita e la rendevano sgradevole.

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Il tema era uno soltanto ovvero quello di capire cosa mi facesse star male.
Sono sempre stata una persona
tranquilla e serena, ma nelle mie
opere leggevo della sofferenza.
Scattavo e lavoravo in digitale per
stare meglio, esprimevo ciò che di
soffocante c'era in me, mi
depuravo dal dolore attraverso
l'arte.

11. Come scegli i tuoi soggetti?


Il soggetto sono sempre stata io
soltanto, sono sempre stata
un'autoscattista e ancora oggi,
sebbene abbia lasciato il digitale e
mi stia dedicando alla fotografia
analogica, cerco spesso di
realizzare degli autoscatti.
Nelle mie biografie ho sempre
specificato che, essendo la
tematica principale della mie

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opere uno studio su me stessa, ho sempre eseguito autoscatti perchè “Nessuno può essere me
meglio di me”.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Sicuramente, ma l'unico soggetto diverso da me stessa che ho spesso usato è stata mia sorella.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?


Uno splendido rapporto, davvero!

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
No, non credo. Ciò che facevo era molto personale e mi sono sempre espressa liberamente.

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare il
modo di scattare?
Assolutamente sì! L'esperienze traumatiche sono sempre di grande impatto nella vita di
un'artista, quasi decisive. Spesso è proprio dalla sofferenza e dalla necessità di esorcizzare del
dolore, che nasce l'arte.

16. Qual è la tua più grande paura?


Sono sempre stata una temeraria ma oggi, da mamma, tutto è completamente diverso.
E' chiaro che le mie paure sono legate alla mia bambina, cose che si vivono nel quotidiano come
i balconi, le macchine, gli spigoli e chi più ne ha più ne metta.

17. Leggi spesso i giornali o segui l'attualità?


Purtroppo non seguo l'attualità, per un lungo periodo ho anche vissuto senza televisione.

18. Che rapporto hai con la politica?


Non ce l'ho proprio un rapporto con la politica. Ma fortunatamente è il mio compagno a tenermi
spesso aggiornata.

19. Che rapporto hai con il cinema? Ne hai tratto ispirazione?


Non ho mai seguito molto il cinema contemporaneo.
Ho sempre preferito scegliere da me le ambientazioni più retrò. Comunque, salvo rari casi, non è
dal cinema che traevo le mie ispirazioni.
Ad ogni modo preferisco l'Opera!

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Il fotografo da cui traggo maggiormente ispirazione è Anton Giulio Bragaglia, il mio preferito. Il
migliore, per me. Ci tengo a fare il nome del maestro Mario Giacomelli; cito anche Francesca
Woodman, sperando che non venga scambiato per un cliché, ma mi sono sempre rispecchiata nel
suo stato d'animo, nel suo modo di sperimentare e di studiare la sua immagine in relazione al
contesto. Una delle mie più grandi ispirazioni è Irina Ionesco, ho sempre desiderato riuscire a
riprodurre in analogico quei chiaro scuri divini, ci sto lavorando molto.

21. A quale periodo storico ti senti legata?


A due in particolare, ai ruggenti anni Venti e agli anni sessanta di Mina.

22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?


Scrittore: Emil Cioran; libro: Nati sotto Saturno (Wittkower).

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23. Digitale o analogico? pro e contro?
Io sono pro-digitale e consiglio sempre di cercare di acquisire competenze base a chi è un po'
restio.
E' importante avere una certa confidenza per poter valorizzare al meglio le proprie fotografie,
ogni scatto ha bisogno di una buona post-produzione.
Ed è scorretto evitare a priori ogni sorta miglioria in digitale.
Attualmente io scatto in analogico con una macchina fotografica degli anni Settanta, sviluppo e
stampo in camera oscura e grazie a questa piccolissima esperienza posso serenamente affermare
che anche con l'analogico si fa tanta post-produzione.
Ad ogni modo ecco una piccola curiosità che ho scoperto da poco: per quanto siano grandi ed
infinite le potenzialità del digitale, molti fotografi professionisti preferiscono scattare in
analogico, scansionare i negativi con scanner appositi ad altissima risoluzione e post-produrre in
digitale. Questo perchè, per quanti megapixel abbia una macchina fotografica la resa del sensore
non potrà mai essere paragonata a quella di una pellicola.

25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Ho bisogno di solitudine, mi sento molto a disagio quando ci sono delle persone sia che esse mi
guardino sia che non mi guardino. Questo mi capita anche con l'illustrazione oltre che con la
fotografia (parlando anche di post-produzione oltre che della fase dello scatto). Mi immedesimo
completamente nel lavoro che faccio e l'intimità diventa quindi essenziale; ogni distrazione è
fatale. Ma, con il tempo, sto cercando di essere meno rigida a riguardo.. E' un duro lavoro, lo
assicuro.

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26. Qual è il progetto a cui sei più legata?
Attualmente sto realizzando una serie di fotografie analogiche con una forte correlazione tra
loro, è IL progetto che ho sempre sognato e finalmente ho le possibilità per lavorarci sopra
concretamente.
Non posso dire di non essere legata ai miei lavori in digitale perchè sono embrioni del mio
lavoro attuale, ma l'emozione di vedere apparire sulla carta una fotografia tanto agognata e che
ha portato via tempo e fatica è ineguagliabile. Le mie fotografie attuali sono dei tesori a cui sono
affezionata fortemente.

27. Qual è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


Senza dubbio questa il cui titolo è 'Ocus Memini o Rappresentazione della mia mente', appunto.
Per una mostra scrissi un testo a riguardo: ” Rappresenta lo scenario che meglio descrive le
modalità e i principi con cui ho sempre lavorato e portato a termine le mie opere. Il fatto di
essere un'autoscattista è stata la prerogativa che ha caratterizzato ogni mio lavoro, cercavo di
raccontare me stessa attraverso i miei scatti e lo facevo mettendo a disposizione il mio corpo
nudo e quindi spoglio da tutte le 'contaminazioni' esterne. La mia immagine veniva poi
modificata, talvolta stravolta o mutilata. Faceva tutto parte di un processo creativo, ma
principalmente catartico, che verteva alla ricerca di un mio equilibrio interiore, non apprezzavo
il mio aspetto esteriore, così lo modificavo per piacere e piacermi. L'opera vede, dunque, al
centro il mio corpo come metafora della mia persona reale, la parte tangibile di me e la mia
mente distorta e distorcente è rappresentata da un'altra creatura, qualcosa al di fuori della
persona. Un'aracnide nera ed elegante, longilinea, raffinata e riservata oltre che sprezzata,
disdegnata e spesso sottovalutata. 'Occhio della memoria' perchè spesso guardo a questa foto
per ricordarmi chi sono. “

28. Qual è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


Questa è l'immagine che portò via delle ore, il perchè è nel fatto che la realizzai quando ero

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ancora molto inesperta con la fotomanipolazione. Ma avevo questa immagine della mia mente e
misi tutto il mio impegno e tutto il mio tempo per realizzarla. Per un lungo periodo mia sorella
fu molto malata e questa immagine vuole rappresentare la malattia che viene sconfitta, espulsa
dal corpo. Una bomba che esplode, pronta a distruggere, ma affrontata con volto rilassato e a
braccia protese, una metafora di una battaglia vinta con estremo coraggio.

29. Qual è la foto a cui sei più legata e perchè?


E' un'immagine che ha richiesto molto lavoro. Vuole essere una fusione tra l'arte vista come
mezzo intimo di espressione e personale sperimentazione e l'arte universale, comprensibile da
chiunque.
C'è una triade, chiaramente simbolo diffuso di religione, comunità e amore. Una triade fusa tra il
cosmo e l'immagine umana, immensa, universale e creazionista che in quanto amore-e-vita ha il
potere di far nascere dal nulla qualcosa di estremamente grande, come i pianeti, e qualcosa di
estremamente piccolo, come un feto. E' un'immagine potente di nuova vita e nuova nascita, è un
elogio alla novità e allo stupore.
La realizzai poco prima di scoprire di aspettare una bambina, gli embrioni che escono dalla
mano della triade furono quasi una premonizione.

30. Cosa ti aiuta di più a


promuovere la tua arte?
Fino ad oggi mi sono sempre
affidata ad internet, veloce e diretto.
Trovo che sia il mezzo di
comunicazione ideale soprattutto per
chi inizia a farsi strada.

31. Che rapporto hai con gli


strumenti tecnologici?
Purtroppo non sono una vera esperta
in fatto di strumentazioni
tecnologiche. Basti pensare che
lavoro su un PC portatile, vecchio e
fuori produzione, con versioni
obsolete dei programmi, con una
macchina fotografica che non è
sicuramente tra le più costose e le
più ambite e il mio primo cavalletto
fu una pila di libri! Non ho mai
avuto luci, mai un muro bianco alle
mie spalle e la tavoletta grafica su
cui lavoro tutt'oggi fu un prezioso
regalo della mia migliore amica.
Diciamo che in fatto di
strumentazioni ho fatto fatica ad
imparare e mi è occorso molto
tempo. Essere autodidatta, all'inizio,
può creare dei rallentamenti!

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32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o buona
pubblicità?
Non c'è dubbio che sia un'ingiustizia. Ma, parlando molto in generale, milioni di immagini ci
passano sotto gli occhi ogni giorno e nessuno di noi ne conosce l'autore e l'origine e nessuno di
noi si preoccupa di indagare su questo; finisce così che a nessuno viene in mente di aggiungere
un link o un paio di parole in più a riguardo (fatte tutte le eccezioni del caso, ovviamente!!). Che
tra questo andirivieni di immagini ci finisse anche qualcuna delle mie l'ho sempre immaginato
ma non l'ho mai visto come un problema. E' difficile chiamarla “pubblicità” perchè il mio nome
non appare da nessuna parte. Ma è anche un gesto innocuo da parte di un utente del web: apre
per caso una pagina, vede per caso una foto che cattura la sua attenzione e la sala sul PC, un
giorno o l'altro la pubblica (sempre in maniera ignara e, sì, banalmente innocente) e la storia si
chiude così.
Molto più brutto e grave è, invece, quando un utente di internet si appropria dell'immagine. La
pubblica dichiarandola per propria, fingendo di averla creata e divulgando informazioni
sbagliate. Questa è una vera e propria frode che nel peggiore dei casi richiede un passaggio per
le vie legali! Mi è capitato anche questo: in alcuni casi è bastata una mail, in altri casi è servita
una mail dai toni agguerriti, in altri casi sono serviti dei veri e propri chiarimenti (“Chiamo
l'avvocato!”) ma per fortuna è sempre andato tutto a buon fine.

35. Quale periodo storico nell'arte apprezzi di più e quali artisti?


L'arte che apprezzo di più è quella dell'avanguardia futurista, quella di Boccioni, Marinetti e
Balla.
Tra i fotografi cito nuovamente Bragaglia. Inoltre sono appassionata dell'avanguardia russa, del
costruttivismo e del suprematismo, quelle di Malevic, Rodcenko e Popova.
Un pittore, slegato da questo contesto storico, ma che è tra i miei preferiti è Schiele.

1. Blekotakra, che significato ha questo nome?


Blekotakra fu un nome scelto quasi per gioco. Era il nome del protagonista (e titolo) di una storia
che inventai da bambina e a cui, all'epoca in cui mi iscrissi alla prima community d'arte, ero
molto affezionata e credevo mi rappresentasse. Da allora sono passati molti anni e attualmente,
penso sia quasi ovvio, preferisco essere ricordata con il mio nome. Con il tempo, in realtà, noto
che il mio nickname adolescenziale non riesce ad abbandonarmi!

2. Arte digitale, come mai questo modo di esprimerti?


Era il mezzo più efficace e veloce che avessi a disposizione. Frequentavo il liceo scientifico e il
tempo da dedicare agli “hobby” era sempre molto poco. Scoprendo il digitale la mia mente si
aprì, capiii quanto fosse molto più divertente, veloce e soprattutto facile realizzare delle opere
che, al contrario, con acrilici e tela avrei realizzato in mesi.

3. Nell'immaginario onirico delle tue opere il soggetto viene molto spesso imbruttito o
danneggiato, talvolta ferito. Come mai questa scelta? E' collegabile al tuo stato emotivo?
A questa domanda ho sempre risposto con “era una necessità”. Mutilare la figura umana,
deformarla e rinnovarla era una necessità. Non riuscivo a vedere un'immagine se non tramite la

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sua demolizione e ricomposizione. E' sempre stato un processo creativo naturale e non forzato.

4. Ti capita mai di progettare le tue opere a mano prima di realizzarle al pc?


E' capitato, ma poche volte. E' un modo di progettare che mi è capitato di fare ultimamente, ma
con la fotografia. Quando lavoravo esclusivamente con il digitale lasciavo che ogni immagine
venisse da sé.

5. Quanto tempo impieghi per realizzare le tue opere indicativamente?


Le fotomanipolazioni in digitale richiedevano delle ore. Talvolta tralasciavo i compiti, gli
impegni scolastici, gli amici e ogni tipo di interrelazione per dedicarmi al mio lavoro al PC.
Chiaramente non lo facevo volutamente, ma concentrandomi tralasciavo e ignoravo tutto ciò che
mi circondava ed ero assolutamente contenta così, davanti allo schermo.

6. Sei una persona che legge molto e ascolta spesso buona musica, quanto pensi sia
determinante la cultura personale di un artista per le sue opere?
La cultura è fondamentale non per un'opera ma per l'artista stesso. La cultura talvolta aiuta a
migliorare una propria opera, ma migliora noi stessi sempre.

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JESSICA PASCUCCI
Classe 1992, Le sue foto sono tutte frutto di ispirazioni improvvise, emotive e con un tocco di surrealismo. Nel
corso degli anni ha fatto qualche pubblicazione freepress, distribuzione nelle più importanti località turistiche e della
moda italiane e alcune esposizioni, tutt’ora sta seguendo pubblicazioni sul magazine sfogliabile Domiad Photo
Network.

1. Cos'hai studiato nella vita?


Ho fatto frequentato il Liceo Artistico, Istituto Statale d'Arte di Urbino per due anni,
avevo scelto di fare quella scuola per animazione, mi piaceva tanto disegnare, la
fotografia non era nei miei interessi, successe che a metà del primo anno circa, iniziarono
mesi burrascosi passati tra un atto di bullismo e l’altro il secondo anno fù anche peggiore,
talmente tanto peggiorò la situazione da farmi perdere anche la più piccola briciola di
voglia che avevo di studiare, di disegnare, di imparare, sparì tutto e infatti mi bocciarono,
non ero una cima però me la cavavo… ma andare a scuola per me era come essere sotto
un riflettore, sentire tutte le risate, ogni giorno si amplificava di più dentro di me, così
persi la voglia di fare tutto, venni bocciata e cambiai scuola ma non riuscii a finire
nemmeno questa anche se non venni bocciata.

2. Dove vivi attualmente e dove hai vissuto prima?


Vivo a Fano, precisamente Cuccurano, ho sempre vissuto qua, è un posto con tanta
natura, tanti animali mi piace vivere qua.

3. Hai fatto altri lavori non legati alla fotografia?


Certo, ho fatto la babysitter e cameriera.

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4. Sei una persona sicura di te o hai bisogno di lavorare sulla tua autostima?
Autostima? Quel briciolo che avevo l’ho perso a scuola, sembra niente ma mi porto tutto
il peso dietro tutt’ora, ci sto lavorando… mi ha aiutato molto l’esperienza che ho fatto
proprio l’inizio di questa estate, mi hanno chiamato per fotografare in locale, ero
contraria fino l’anno prima forse proprio per questa cosa di essere molto chiusa con gli
altri, invece mi sono ricreduta, mi ha aiutato tantissimo, fino 5 mesi fa avevo paura di
entrare in un bar, ora devo dire che mi faccio molti meno problemi e finalmente sorrido
alla gente e mi sento abbastanza bene.

5. Definisciti con una parola


introversa

6. Critica te stessa per qualcosa


Odio non finire mai una cosa, inizio qualcosa e non sono mai in grado di finirla è più
forte di me.

7. Che cos'è per te la fotografia?


La fotografia è la mia FORZA, mi ha dato tanto: amici, speranza, voglia di fare e tanta
voglia di credere in qualcosa di nuovo, mi ha aiutato anche emotivamente, mi ha aiutato
ad aprirmi e anche a capire me stessa.

8. Come hai cominciato a


scattare?
E’ una cosa tanto strana
quanto bella, ho trovato la
vecchia Comet di mio sei anni
fà, una piccola analogica
abbandonata nella soffitta, mi
aprì un mondo, un mondo che
mai e poi mai avrei pensato
potesse piacermi e darmi così
tanto. Purtroppo anche se non
funzionante me ne innamorai perdutamente, mi intrigava così tanto, non avevo macchine
fotografiche così comprai una CASIO, una compattina. Scoprii piano piano che
fotografare mi liberava la mente... mi faceva stare veramente bene, i pensieri e i problemi
sparivano.
Cominciai a fotografare di tutto, a sperimentare e mi appassionavo ogni giorno di più
cosicché mi regalarono la mia prima Nikon, una D60 fu amore a prima vista, iniziai ad
approfondire da sola, totalmente autodidatta: gli iso, il diaframma, i tempi e photoshop,
Successivamente quando mi stancai di fotografare fiori, insetti presi come cavia la mia
migliore amica e per gioco iniziammo a fare delle foto a sperimentare, diventava sempre

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più interessante con il passare dei giorni.

9. In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa? Nelle tue
immagini appare una forte componente emotiva, come mai questa scelta?
Io racconto ciò che sono, ciò che ero, quello che ho vissuto, quello che vivo… quello che
sento, non si può spiegare, lo percepite guardando le foto, spero di riuscirci… ognuno in
un modo diverso… ma spero di comunicare qualcosa credo che piuttosto di dire ciò chi
sono parlando o scrivendovelo preferisco mostrarvelo, mi riesce meglio.

10. Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse?


Le tematiche le scelgo in base al mio stato d’animo, mi lega ad esse una forte carica
emotiva tanta voglia di esprimermi di raccontarvi una piccola parte della mia vita,
qualcosa.

11. Come scegli i tuoi soggetti?


I miei soggetti li scelgo in base alle loro speciali caratteristiche, ho un debole per la gente
bella con i loro difetti, le amo così, struccate al naturale... le rende particolari. valorizzate
dalle loro imperfezioni, piene di lentiggini, cicatrici e di carnagione chiarissima.
Credo che questo sia il loro punto di forza.

12. Ti è mai capitato di usare persone a te vicine come soggetti?


Ovvio che sì, praticamente tutte le amiche di mia sorella sono passate davanti al mio
obiettivo e anche le mie amiche.

13. Che rapporto hai con la tua famiglia?


Con la mia famiglia ho un buon rapporto, sono fieri di me del mio percorso, la strada è
lunga ma penso di farcela, anche grazie al loro supporto.

14. Pensi che i tuoi rapporti familiari abbiano condizionato la tua arte?
No, non penso che abbiano condizionato la mia arte.

15. Pensi che le esperienze traumatiche nella vita di una persona possano condizionare
il modo di scattare?
Decisamente, SI. Ho già detto tutto con la storia della scuola e del bullismo, è una
cicatrice non va più via, ma sai una cosa? dai finti abbracci, dai fogli attaccati nella
schiena di nascosto per essere derisa da tutta la scuola all’ombra di tutto scoprendolo
nella corriera al ritorno, dalle scritte nei diari e le caricature su di me, dalle parole forti
nei miei confronti, i minuti passati in un angolo dentro la classe all’intervallo per evitare
le botte o altre brutte figure, da tutto questo ho tratto una conclusione, ho pensato e
ripensato nella mia testa che alla fine dei conti ciò che sono ora è grazie a loro. Non
sapendo più dove appigliarmi la mia unica ancora è stato il rialzarmi in piedi, di

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conseguenza scattare mi sfogava e mi liberava da tutto ciò che mi passava di mente, non
sono felice di come si andata a scuola ma non posso dire che non mi dispiace ora, è un
controsenso ma è così.

16. Qual'è la tua più grande paura?


Di paure ne ho a bizzeffe ma quella
più grande è di dimenticarmi chi sono e
dimenticarmi delle persone intorno a
me

17. Leggi spesso i giornali o segui


l'attualità?
Ogni tanto, quando capita.

18. Che rapporto hai con la politica?


La politica non mi piace.

19. Che rapporto hai con il cinema? Ne


hai tratto ispirazione?
Ho un buon rapporto con il cinema,
guardo qualsiasi tipologia di film, ma
ciò che preferisco sono i cartoni
animati, i film Fiabeschi e il cinema
dell’orrore che devo dire negli ultimi
anni ha perso davvero tanto,
purtroppo.
Sono cresciuta con la Disney,
recentemente ho fatto un servizio
fotografico ispirandomi a Biancaneve, non mi vergogno a dire che so tutte le canzoni di
tutti i film Walt Disney sono tanto appassionata, il prossimo anno si vola a Disneyland
per cercare nuove ispirazioni.

20. Quali fotografi ti hanno ispirata?


Be direi che Tim Walker e Philippe Halsman mi hanno ispirato abbastanza, con le foto
surrealiste mi hanno fatto innamorare totalmente.

21. A quale periodo storico ti senti legata?


Al medioevo, tra cavalieri, castelli, location da paura e abiti bellissimi, tuniche e mantelli
lunghissimi con un forte valore simbolico

22. Il nome di uno scrittore e di un libro a tua scelta?

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L’ultimo che ho letto è di Charles Dickens “Oliver Twist”

23. Digitale o analogico? pro e contro?


A me poco interessa, basta che ho una macchina nelle mani e sono felice, l’unico pro per
le digitali e i contro per le analogiche è che io scatto veramente tanto, se non avessi una
reflex a quest’ora probabilmente sarei a fare la carità per comprarmi i rullini, ho 10
macchine usa e getta ancora da sviluppare nell’armadio da anni e anni, nemmeno ricordo
più cosa ci sia ritratto.

24. Postproduzione delle immagini, favorevole o contraria?


Favorevole assolutamente, ma senza esagerare!

25. Preferisci scattare in solitudine con il soggetto o preferisci avere uno staff alle tue
spalle?
Mi piace scattare in solitudine assieme al soggetto, si crea un atmosfera diversa, quelle
poche volte che mi va di fare un progetto con un velo di trucco e i capelli in un certo
modo, ci metto io le mani in prima persona, guardandomi e studiandomi i tutorial.

26. Qual'è il progetto a cui sei più legata?


Il progetto a cui sono più legata è il progetto “ Dot to Dot “ ovvero ritrarre volti pieni di
lentiggini, ho selezionato in tutti questi mesi tanti volti, anche fuori dall’Italia e penso
che ben presto di vola, speriamo.

27. Qual'è la foto che ti rappresenta meglio e perchè?


Questa è quella che mi rappresenta meglio secondo me, ho lottato e lotto tutt’ora con me
stessa per farmi capire ogni giorno che si è belli così come si è, che siamo quello che
siamo e dobbiamo essere felici e apprezzarci ogni giorno per i nostri difetti, ci rendono
speciali e unici.

28. Qual'è la foto che ha richiesto più impegno e perchè?


Questa è quella che ha richiesto più impegno di tutte le foto non tanto per scattarla in sé,
ma è quella che ha richiesto più post produzione di tutte quelle che ho fatto, circa 5 ore di
post, ho rimosso sotto di lei uno sgabellino su cui era appoggiata, ricreato la schiena che
toccava lo sgabello, ovviamente era schiacciata e aveva delle ombre che non andavano
bene e infine ho cercato di ricreare l’ombra sotto di essa.

29. Qual'è la foto a cui sei più legata e perchè?


Decisamente questa, ritrae una bambina, immaginate che quella bambina sono io, io per
creare questo scatto ho fatto lo stesso, quando ero piccola facevo una sorta di giochino
per combattere le mie paure del buio, chiudevo gli occhi coprendoli con le mani davanti a
una stanza con luce spenta e porta spalancata, contavo per vedere quanto resistivo, mi

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batteva il cuore a mille, me lo sento legata anche per il vestito essendo mio di quando ero
piccola.

30. Cosa ti aiuta di più a promuovere la tua arte?


Direi che facebook al giorno d’oggi aiuta tanto, quindi facebook in primis e le mostre.

31. Che rapporto hai con gli strumenti tecnologici?


Sono una frana, mi odiano, ogni anno computer nuovo che finisce per fondersi, uno degli
ultimi faceva il fumo ti dico solo questo, per non parlare dei cellulare usa e getta e lo uso
veramente poco ogni volta che ne compro uno. Questo è un Tasto dolente.

32. L' utilizzo di una tua immagine senza consenso sul web lo vedi come ingiustizia o
buona pubblicità?

Dipende cosa vuole farci chi si prende la mia foto, mi è capitato non tanto tempo fa un
episodio strano, dove un soggetto a me sconosciuto ha deciso di prendersi una mia foto
per poi rivenderla su 500px, oppure ho trovato tramite google immagini tante mie foto
rielaborate, ecco se si usano per farne una buona pubblicità o perché semplicemente
quella foto ti è piaciuta tanto che la vuoi condividere con il resto del mondo tramite
facebook, sul tuo blog o dove ti pare io sono felice ben venga, ma secondo me per essere
veramente giusti bisognerebbe sempre citare l’autore altrimenti li si è ingiustizia.

33. E' ancora possibile fare carriera in questo ambiente?


Si certo, fuori da qua, partirò prima o poi.

34. Quali fotografi meriterebbero più attenzione?


Ma io penso quelli emergenti, ci sono pochissime persone che si interessano per quello
che vedo io degli artisti emergenti, ma non sono nel campo fotografico, in tutto: musica,
pittura, nell’arte in sé, è sbagliato e lo trovo triste, il prossimo anno se tutto va come
deve, seguirò e dirigerò una mostra aiutando fotografi emergenti, io sono compresa

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ovviamente.

35. Quali aspirazioni hai per il futuro?


Ancora non lo so di preciso

1. Nelle tue opere usi spesso bambine come soggetto, come mai questa scelta?
I bambini sono spontanei, non c’è niente di strutturato fondamentalmente, io gli spiego le
foto che vorrei fare… le creo quasi una sorta di storia e loro fanno tutto da sole, giuro è
così gratificante vedere che trasmettono perfettamente quello che ti senti dentro.

2. Sensibilità e malinconia, è quello che traspare da molti tuoi lavori , spiegami il


perché.
Perché io sono così, sensibile e malinconica non voglio comunicare qualcosa che non
sono, che non mi rispecchi, dalle foto leggete me.

3. Molte altre invece richiamano a qualcosa di onirico, come atmosfere surreali da


sogno, ti trovi in questo pensiero?
Io amo sognare, sogno ad occhi aperti 24h su 24, vivo in un mondo tutto mio… lo faccio
per distaccarmi da tutto questo, dai problemi da tanti pensieri che mi girano in testa, mi
da un senso di pace e serenità.

4. Usi molti corpi nudi nelle tue opere, come mai?

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Non c’è un motivo specifico se devo essere sincera, mi piacciono le curve sinuose di un
corpo femminile e poi sinceramente non ho sempre a disposizione degli abiti da far
indossare alle modelle, quelli che ho cerco di sfruttarli per le bambine che fotografo.

5. Nei tuoi lavori richiede più impegno lo scatto stesso o la postproduzione?


Fino ad ora di più la postproduzione, gli scatti sono la maggior parte tutti frutto di
momenti improvvisati o pensati nell’arco di pochi minuti per poi essere ricreati con gli
oggetti che più si addicono, facendomi aiutare dalla cantina di mia nonna, la soffitta di
mia zia il baule di mio babbo, sono pieni di meraviglie, per me sono posti magici.

6. Rispetto ai tuoi scatti precedenti la tua ultima produzione è completamente diversa,


com'è partita questa crescita stilistica?
tutto è iniziato dal sentirsi le cose, scavare a fondo e provare a comunicarle con gli altri,
ogni foto è un racconto che porta a soffermarti a farti delle domande, voglio provare a
fare pensare alla gente, al perché di quella foto, la luce, lo sguardo e tutto il resto, voglio
gente che ancora immagina qualcosa, che sogni.

7. Riesci a realizzare sia foto commerciali che opere surreali, come pensi di
considerare questo tuo doppio lato? vuoi portarlo avanti o devi trovare ancora la
tua strada?
A me piace sperimentare di tutto e di conseguenza spero di riuscire a fare tutto, o per lo
meno una piccola parte so che magari dovrei fermarmi e scegliere un certo stile, ma
perché? Io amo la fotografia punto e tutto ciò che la circonda. ovviamente non mi sento

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ne arrivata ne tantomeno brava, faccio quello che posso fare andando a occhio, faccio
ciò che mi sento di fare e come me lo sento di fare in quel preciso istante, se poi mi
riesce, bene! Ma comunque la mia strada penso di averla trovata ma questo non vuol dire
che dovrò sempre fare solo quella!

8. Ho visto che vuoi sviluppare un progetto sulle lentiggini, parlamene


il mio progetto sulle lentiggini è partito 2 anni fa è sempre in fase di aggiornamento, sono
alla ricerca di volti con lentiggini costantemente ho trovato tante persone interessanti
grazie a facebook ma anche grazie ai supermercati dove vado a fare la spesa, alla fiere e
pure nel locale dove lavoro, faccio paura, dico davvero, se becco un soggetto pieno di
lentiggini parte il conto alla rovescia prima di essere stalkerizzato e poi fermato.
Ho contattato ragazze anche dalla Germania, voglio girare e fotografare tante persone
con questi segni particolari, non mi voglio fermare qua, pure io le ho, non tante ma le ho
e ho sempre pensato che fossero brutte e più mi guardavo allo specchio e desideravo che
sparissero, con il passare del tempo ho capito che le mie erano solo paranoie, una delle
poche cose che sono riuscita a farmi veramente piacere tanto di me stessa sono proprio
questi minuscoli puntini, così è partito tutto, il far capire alle persone che la maggior
parte si vedono tutt’altro che belle e sicure di sé, che la bellezza sta negli occhi di chi la
guarda, io guardo tutte queste ragazze e le vedo belle, non solo esteticamente ma anche
dentro, non voglio persone nei miei servizi piene del loro ego, che secondo me non
hanno nulla da dire, vedo solo tanta gente vuota, io invece voglio raccontare qualcosa
assieme al soggetto che mi trovo di fronte, voglio andare fuori dai canoni della bellezza
che si vedono nelle pubblicità o dalle sfilate di Victoria’s Secret.

9. Preferisci scattare in studio o in esterna?


Esterna tutta la vita, mi piace un sacco la natura, il 90% dei miei scatti sono fatti tutti nei
luoghi aperti dove si respira tanta aria buona e tanta ispirazione.

10. Pensi di aver raggiunto il tuo più grande traguardo o di poter ancora migliorare?
Assolutamente NO! Cerco di migliorarmi di foto in foto… ancora sono solo all’inizio…
la strada è lunga, ma sono speranzosa!

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ESPERIENZE DI VITA MESSE A CONFRONTO

Vorrei raccontare del perchè ho scelto una tematica così particolare, del come mi sono
rispecchiata in ogni singola artista e di come dentro di me ho compreso appieno ogni singola
parola. Sono partita con determinate idee precise e insindacabili in cui ero assolutamente certa di
trovare conferma e mi sono ritrovata con un punto di vista completamente ribaltato. Immergersi
nella vita delle persone molte volte è difficoltoso soprattutto quando in 50 domande provi a
spogliarle definitivamente di ogni segreto e alla fine di tutto ti ritrovi con ancora più domande di
prima.

La risposta da parte dei soggetti non è stata sempre positiva, forse perchè intimidite dalle tante
domande forse perchè insensibili davanti alla motivazione “Tesi di Laurea,” o semplicemente
perchè noncuranti di quanto potesse essere importante per me quel tempo speso a rispondere, per
cui tra l'altro non posso che ringraziare le altre.
Di 15 mail mandate solo 11 fotografe hanno deciso di mettersi in gioco.
Non giudico nessuno, poiché non sono nessuno per giudicare, ma un primo spunto di riflessione
finale di questo lavoro sta proprio nell'analizzare l'indifferenza delle mie coetanee davanti al
dover parlare di qualcosa che per loro dovrebbe essere così fondamentale.

Nello scorrere delle domande apparentemente casuali ho nascosto determinati punti chiave che
poi avrei voluto analizzare e mettere a campione tra loro. Capisco che come punto di ricerca il
parere di undici persone non sia determinante per create una teoria scientifica meritevole di studi
approfonditi a riguardo, ma è sicuramente interessante da conoscere.

Il primo di questi punti era l'importanza degli studi affrontati nella vita, quasi la totalità delle
ragazze ha risposto positivamente. Studi anche non strettamente collegati alla fotografia o
all'arte, ma la capacità di studiare e quindi comprendere testi scritti per arrivare a un preciso
traguardo, e qui si ricollega un' altro punto interessante, addirittura la metà di loro ha
effettivamente fatto altri lavori nella propria vita non collegabili alla fotografia, lavori umili
magari, lavori manuali, un po' per necessità un pò per altri interessi, ma si parla comunque di
capacità di mettersi in gioco e sporcarsi le mani.

Il quotidiano vissuto diventa determinante negli scatti, e si sapeva, soprattutto nei più emotivi e
personali. Le persone vicine e le storie che abbiamo vissuto anche in paesi lontani, stimolano la
nostra sensibilità e vengono succhiate, assorbite e riprodotte con naturale costanza in molti lavori
che ho visionato. In pochi casi però la fotografia è vista come terapeutica, in altri è semplice
stimolo artistico. I legami umani in tutti i casi sono molto saldi, amicizia e famiglia, anche se
non avrei scommesso molto su questo ultimo punto, soprattutto perchè non considerato
determinante nella maggioranza dei casi per la propria crescita artistica, quando io ero
estremamente convinta che pesasse molto di più il bagaglio familiare.

I libri e il cinema diventano guru di inestimabile importanza, anche la storia con romanticismo,

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medioevo e dopoguerra. La conoscenza di fotografi da cui poter ispirarsi senza sentirsi tuttavia
delle copiatrici, l'originalità dello scatto sarà un valido punto di distacco.

Come avevo supposto di carente c'è sicuramente l'autostima e la sicurezza in se stesse, la


capacità di giudicare in modo oggettivo e razionale il proprio lavoro, lasciando spazio a paura e
il timore di non essere brave o di esaurire l'inventiva. Da qui determinante è il preferire nella
maggior parte dei casi lo scatto in solitudine con il soggetto da ritrarre, solo nei casi di fotografe
già affermate e attive dal punto di vista professionistico si può trovare la naturalezza anche nel
lavoro in equipè, dopo aver superato la fase più intima e introspettiva.

Nonostante la tecnologia diventi un punto fondamentale nella pubblicità e nella diffusione dei
propri lavori: Facebook, PhotoVogue e Istagram in primis, tuttavia ho trovato una quasi totale
carenza di conoscenza a livello di attualità e informazione sociale, come se il mondo esterno e la
politica fossero nemici della propria creatività emotiva e si tendesse a respingerli, lasciandoli
fuori dalla propria esistenza come se fossero entità a parte troppo distanti per poterci davvero
toccare da vicino.

La paura del futuro aveva risposte quasi scontate, viviamo in una situazione che come dicevo
nelle prime pagine, mette ogni singola artista nelle condizioni di doversi trovare un lavoro da
sola senza il minimo appoggio esterno, e ovviamente chi ha idee migliori spicca su altri senza
troppi ostacoli. Da una parte questo potrebbe essere giusto in quanto “screma” il grande numero
di possessori di macchine fotografiche che usano la parola “Arte” a sproposito, dall'altra
dimezza le possibilità di farsi conoscere a persone magari emotivamente più fragili ed insicure.

Pensavo di trovare una componente emotiva molto più “sofferta” e da una parte sono felice di
vedere che da vite serene e situazioni tranquille si può comunque approcciarsi alla fotografia con
solo la sensibilità che una donna sa di avere. E anche se ho avuto a che fare con giovani artiste a
tratti acerbe a tratti ancora insicure, ripenso al fatto che prima o poi siamo tutti destinati a
crescere, e chissà che qualcuno di loro in tesi di lauree future verrà menzionata in mezzo a chi la
storia, con la macchina fotografica, l' ha già fatta, e tuttora rimane in immagine sui libri.

Gli stessi libri che ho dovuto sfogliare prima di scrivere tutto questo.

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BIBLIOGRAFIA

- Appunti per una storia di fotografia al femminile – Giuliana Scimè

- Giulia Pacella, 15 Giugno 2011 - ELLE

- Fotografia, sostantivo femminile – Leonello Bertolucci, 31 maggio 2013 - Il Fatto Quotidiano


- Chiti – Covi , “Parlando con Voi”, incontri con fotografe italiane - Danilo mantanari Editore
- Giuliana Traverso - “Donna Fotografa” - Archivio Fotografico italiano
- Trasforini- “Donne d'Arte” – Meltemi Editore
- Catalogo “Women of Vision: Le Grandi Fotografe di National Geographic”

-Catalogo “Sguardo di donna: Da Diane Arbus a Letizia Battaglia. La passione e il coraggio”

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RINGRAZIAMENTI:

A Claudio, per tutto.

A Plinio che mi ha ha dato la forza di provare a creare qualcosa di mio e mi ha seguito in tutti
questi anni, e a Luca Beatrice che mi ha permesso di creare qualcosa di così intimo e femminile.

Alle mie adorate amiche che mi hanno aiutato in questo percorso, a tutte le altre che non hanno
mai smesso di starmi vicino, e ai miei compagni di corso ormai diventati a loro volta amici.

A Marina, ormai parte della famiglia e alle mie zie per avermi sempre aiutato e consigliato la
strada giusta.

A Dora, perchè ho scritto tutto questo anche pensando a chi tra pochi giorni entrerà nella mia
vita, e a mia madre che anche non essendoci più non ha mai smesso di starmi vicino.

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INDICE:

IL MOTIVO DI TUTTO …...............................................................................2


LA RICERCA DEL SOGGETTO ….........................................................................3
ESSERE DONNA............................................................................................. 4
ESSERE DONNA NELLA STORIA DELLA FOTOGRAFIA....................... 10

FOTOGRAFIA AL FEMMINILE: LE LEZIONI APERTE DI SARA MUNARI...... 27

GIOVANI FOTOGRAFE CONTEMPORANEE


Attualità ed Emotività....................................................................................... 28

- VIVIENNE BELLINI …................................................................................29


- MARTA BEVACQUA................................................................................... 36
- ELENA ZANOTTI
CUNENE................................................................................................................................ 46

- ANNA DI PROSPERO.................................................................................. 52

- FRANCESCA ERRICHIELLO.................................................................... 58

- GUENDALINA FIORE................................................................................ 65

- THILINI GAMALATH................................................................................. 72

- ALLA CHIARA LUZZITELLI..................................................................... 77

- VALENTINA MANGIERI
GELSO NERO....................................................................................................................... 83

- GIORGIA NAPOLETANO
BLEKOTAKRA ….............................................................................................. 91

- JESSICA PASCUCCI.................................................................................... 99

ESPERIENZE DI VITA MESSE A CONFRONTO....................................... 108

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BIBLIOGRAFIA................................................................................................. 111
RINGRAZIAMENTI ….......................................................................................112

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