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Torino, 17 aprile 2011 Biennale Democrazia 2011

Giornalista Buongiorno a tutti e grazie per essere qui. Vorrei dare un benvenuto a tutti voi e soprattutto al Dottor Passera, che qui con noi per la seconda edizione di Biennale Democrazia. Ci aveva gi fatto lonore di essere presente nel 2009 e gli rinnoviamo il nostro sincero grazie per aver voluto ancora una volta incontrare i cittadini di Torino, giovani e non. Tengo particolarmente a presentare il Dottor Passera, soprattutto rivolgendomi ai giovani che sono qui presenti, perch conoscere la sua esperienza particolarmente importante, credo, per capire i temi dellincontro e per favorire il dialogo che le ragazze e i ragazzi qui presenti potranno avere con lui. Il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo inizia la sua carriera con una laurea con lode alla Bocconi (che questa sia unindicazione a tutti voi studenti), e subito dopo consegue un master negli Stati Uniti. La sua una carriera che lo vede ai vertici di aziende sia private che pubbliche. Credo che questa sia una caratteristica importante che ci consente di fare riferimento ai diversi mondi dellimprenditoria privata e di quella pubblica. E passato DallOlivetti allesperienza nel settore delleditoria, sempre come capo azienda, prima in Mondadori e poi nel gruppo lEspresso, senza dimenticare limportante ruolo che ha avuto in seguito come responsabile nelle Poste Italiane, dal 1998 al 2002. Ci troviamo qui con lui oggi grazie alla disponibilit che ha dimostrato a incontrare i giovani, a parlare del presente, del futuro, della sostenibilit in termini ampi, sia economici sia sociali, dello sviluppo economico e delle possibilit che il futuro offre ai giovani. Dopo questa breve introduzione, voglio soltanto aggiungere una parola per spiegarvi che questincontro il risultato di una collaborazione tra pubblico e privato; queste manifestazioni sono possibili perch esiste una volont dellamministrazione pubblica, una volont della citt di Torino, che si incontra con la fiducia e con lapporto che ci danno aziende come Intesa Sanpaolo. Questincontro non avviene solo grazie al sostegno economico, che pure indispensabile; i ragazzi devono sapere che queste occasioni sono frutto di uno sforzo comune, costituiscono il punto di arrivo di un lavoro fatto insieme, di una collaborazione di idee. Per questo ringrazio non soltanto il dottor Passera, ma anche tutti i suoi collaboratori: in primis il dottor Meloni e la dottoressa Gemo. Lasciatemi per concludere con un ringraziamento ai ragazzi.

Questa manifestazione sulla democrazia stata pensata soprattutto per loro, e loro ci hanno risposto con entusiasmo. Ci hanno dedicato grande seriet, tanti mesi di lavoro, tanta partecipazione. Grazie a voi, giovani, di seguirci e di dedicare il vostro tempo libero, le vostre energie per cercare di crescere insieme. Adesso lascio il posto al coordinatore Emanuele Chieli, che condurr il dialogo tra il dottor Passera e i giovani: qui in rappresentanza dellassociazione Newton, unassociazione torinese di giovani imprenditori e professionisti che dedicano il proprio tempo libero ad approfondire i temi del ricambio generazionale, della crescita, dellimpegno nellambito delle professioni. A tutti auguro un buon ascolto e lascio la parola. Grazie. Emanuele Chieli Buon pomeriggio a tutti. Il titolo dellincontro di oggi : Il mondo che verr - si pu crescere in modo sostenibile?. Il tema dello sviluppo sostenibile sicuramente molto attuale, anche se di certo non unassoluta novit; ci che nuovo il senso di urgenza che gli accadimenti del recente passato hanno conferito al dibattito sullargomento. E non alludo solo alla recente crisi finanziaria ed economica, ma a tutti quegli eventi che hanno sconvolto il mondo negli ultimi mesi. Per citare Taleb, il mondo si trovato ad affrontare molti cigni neri in un periodo temporale assai ristretto. Tutto ci ha evidenziato la fragilit delle politiche economiche, ambientali e sociali, e ha messo in discussione i paradigmi e le metriche secondo le quali eravamo e siamo tuttora abituati a ragionare. Linterrogativo dellincontro odierno, Si pu crescere in modo sostenibile?, deve quindi diventare un imperativo: si deve crescere in modo sostenibile, non abbiamo pi alibi, non abbiamo pi scuse. Detto ci, vorrei chiedere innanzitutto al dottor Passera quale lezione ci abbia impartito la grande crisi, e quali possano essere i motori di una crescita sostenibile, di uno sviluppo sostenibile, e infine quale possa essere il ruolo del credito o delle banche in generale per promuovere questo tipo di crescita. Grazie. Corrado Passera Prima di tutto grazie per avermi invitato. Credo che questa debba essere soltanto unintroduzione, quindi vorrei occupare il minor tempo possibile, lasciando poi molto spazio alle domande, su qualsiasi argomento che vorrete affrontare. Il coordinatore ha posto tre temi che meriterebbero ore per essere trattati

compiutamente e quindi, magari, individuiamo soltanto alcuni dei punti che potrebbero servirci in seguito nella discussione. Il mondo che verr, quello che creeremo, non un input che arriva dallesterno, ma il risultato di quello che stiamo facendo oggi, che abbiamo fatto, e che continueremo a fare. Primo tema nel quadro della crescita sostenibile e delle lezioni della crisi. Innanzitutto, non c una sola radice della crisi, non c una facile spiegazione per capire il perch del disastro che partito dalla finanza dei paesi anglosassoni, e che poi ha investito come uno tsunami lintero mondo della finanza mondiale, andando successivamente a colpire leconomia reale e loccupazione. Non sarebbe avvenuto un disastro di questa portata se non ci fossero state numerose ragioni profonde. Provo ad elencarene le principali, solo per esigenza di sintesi: si sono sommati problemi di policy, di scelte di gestione del mondo economico, a comportamenti disdicevoli a livello di amministrazione aziendale; parlo quindi del tema delle policy, ossia delle grandi scelte macroeconomiche, delleccessivo lassismo di politiche monetarie che hanno reso disponibile troppa liquidit sul mercato, delleccesso degli squilibri tra le diverse parti del mondo, per cui vi sono rispettivamente grandi risparmi, grandi consumi, e grandi produzioni concentrati nelle diverse aree del pianeta. Certamente c stata una carenza di regole adeguate, a cui solo adesso si sta dando in parte risposta. In molti paesi, soprattutto quelli anglosassoni, cera quasi il vanto che non si volesse regolare il mondo della finanza: la mancanza di buone regole si poi abbinata a scarsi o inadeguati controlli; se fossero state in vigore in tutto il mondo regole buone nel settore finanziario, come quelle adottate in alcuni paesi del mondo come il Canada, lAustralia e la stessa Italia, la crisi si sarebbe potuta evitare. Perch c stata questa mancanza di regole e di controlli? Perch a monte cerano, e purtroppo continuano ad esserci, alcuni assunti culturali ed epistemologici sbagliati: che il mercato si autoregola, che il mercato tende allequilibrio, mentre tende piuttosto alle bolle, che il bene comune emerge come semplice sommatoria degli interessi individuali contrapposti. Non cos, ci vogliono degli indirizzi, delle azioni e delle responsabilit affinch il Bene comune si realizzi. Da questi assunti fallaci nascono, infatti, regole e legislazioni sbagliate: se pensi che il mercato si autoregola infatti non lo regoli, mentre la storia dimostra la necessit del suo controllo. Molto semplicemente, se pensi che il mercato tenda allequilibrio, non crei controlli e meccanismi che lo stabilizzino. Questi assunti ideologici sono stati finalmente, anche se solo parzialmente, messi in discussione; non bisogna poi dimenticare tutti i grandi errori manageriali che sono stati commessi, come leccessivo indebitamento, leccessivo peso alla speculazione finanziaria nellambito delle attivit svolte dalle banche, la tendenza a raccogliere a breve e a investire a lungo.

Pertanto, per non dobbiamo illuderci che la crisi sia stata causata da qualcosa che pu essere facilmente risolto, ribadiamo il fatto che le radici della crisi sono molto profonde e riguardano le policies globali, le regole, le norme, i controlli, linterpretazione e la comprensione del funzionamento dei meccanismi economici; senza dimenticare per i comportamenti delle singole istituzioni, che sono stati molto diversi da azienda a azienda, da paese a paese, da banca a banca. Questo per rispondere alla prima domanda. Passerei adesso alla seconda, che riguardava i motori della crescita sostenibile. La crescita sicuramente insostenibile quella che non c: quando non c crescita, non c produzione di ricchezza, non c creazione di occupazione. Questo vale ancora per moltissimi paesi del mondo, anche per noi, perch da troppo tempo non cresciamo abbastanza: la crescita insostenibile soprattutto questa. Poi ci sono varie altre tipologie di crescita insostenibile: c quella finanziariamente insostenibile, basata sul debito, quella ecologicamente insostenibile perch consuma in maniera eccessiva risorse non rinnovabili del pianeta o della societ, quella socialmente insostenibile, che consentono laccumulo di ricchezza solo per una piccola parte della societ, escludendo buona parte del resto. La crescita sostenibile invece , in paesi come il nostro, quella che nel tempo crea ricchezza e occupazione; si basa su quattro motori, che devono lavorare tutti insieme, perch se uno si ferma, blocca anche gli altri. I quattro motori sono: la forza delle imprese, perch la crescita e loccupazione si misurano in funzione delle aziende che nascono, si sviluppano, vengono in Italia da altre parti del mondo e crescono. Perch crescano devono essere capaci di innovare e di internazionalizzarsi; devono essere capaci di crescere e di rafforzarsi in termini dimensionali, devono avere un contesto di norme, sia sotto il profilo fiscale che burocratico, per agevolare la crescita, e soprattutto ci devono essere quelle risorse che rendono pi competitivo un sistema rispetto a un altro: la qualit della risorsa lavoro, la qualit della risorsa finanza-credito, garantita delle banche in tutte le loro forme, lenergia, che un altro tema importantissimo e che fa la differenza nella competitivit dei sistemi economici. Le aziende, quandanche fossero loro competitive, capaci e produttive, se non hanno intorno un sistema Paese che funziona - come dimostra la storia - non vanno avanti. Cos lefficacia e lefficienza del sistema Paese? Innanzitutto le infrastrutture, rispetto alle quali soffriamo un grande ritardo. Il sistema della scuola, della formazione e della ricerca; il sistema della giustizia, perch non c economia che funziona adeguatamente se non c un sistema di tutela dei diritti, delle norme, dei meccanismi in grado di risolvere le controversie; e poi una cosa che sicuramente fa la differenza nei sistemi Paese lefficacia, oltre che lefficienza, della

pubblica amministrazione, dei meccanismi che autorizzano, controllano, verificano e fanno s che il sistema nel suo insieme vada avanti. Questi due sono gli elementi fondamentali della competitivit. La storia per, ci dice che non basta essere competitivi. Bisogna anche avere una societ solida, perch se ci sono aziende forti ma la gente ha paura del futuro, non c spazio per la crescita, che richiede invece una societ coesa con valori comuni, con regole non solo condivise, ma anche rispettate: pensate ad esempio a quanta gente da noi invece non rispetta le regole della fiscalit, a quanta evasione c. Un altro elemento fondamentale della coesione sociale il welfare, tutti quei meccanismi che combattono la paura del futuro. Parliamo di assistenza, previdenza, sanit, di tutto ci che serve a riparare dal rischio estremo le parti della societ pi deboli o pi in difficolt in uno specifico momento, con particolare attenzione verso le strutture sociali di base, la famiglia e le comunit. Ecco, questi sono elementi importantissimi, dove un ruolo sempre pi importante nel capitolo coesione rivestito dal Terzo settore: il mondo dellimpresa sociale, il mondo del dono, cio il mondo di quellassociazionismo che va dal volontariato allimpresa sociale, passando per le fondazioni, che supplisce a tutto ci che il pubblico non riesce pi a dare e il privato non d, perch molto spesso si tratta di iniziative che non sono profittevoli. C poi lultimo motore, quello del dinamismo. Lenergia che ha dentro una societ e il suo dinamismo sono fatti a loro volta di cose molto concrete: la mobilit sociale, la meritocrazia e la concorrenza. C poi il tema fondamentale del processo decisionale. Una delle nostre principali debolezze non tanto la mancanza di risorse, quanto la mancanza di meccanismi decisionali rapidi, per cui tutto prende tantissimo tempo e si perdono occasioni, investimenti, occupazione, perch tutto il processo amministrativo, legislativo e istituzionale si come ingolfato, si come impantanato. Quando non c velocit di reazione, quando non c rispetto per il tempo a disposizione delle persone, il livello di dinamismo si abbassa inesorabilmente; si spegne lenergia vitale di una societ e di uneconomia. Proprio questo il terreno dincontro tra le istanze delleconomia e quelle della societ, perch un efficiente processo decisionale si traduce in un buon funzionamento della democrazia nel suo complesso. Cos ci ritroviamo con i due lati di una stessa medaglia: non c buona economia senza una buona democrazia, anche se certi paesi del mondo vorrebbero dimostrare il contrario. In un paese come il nostro la qualit della democrazia e del suo processo decisionale molto importante per rendere difendibile la democrazia stessa; perch una democrazia che non decide una democrazia che delude, che non soddisfa i suoi cittadini. Questi quattro motori della crescita devono lavorare tutti insieme allunisono e siamo

tutti responsabili del loro buon funzionamento. Ovviamente, chi ha le maggiori responsabilit la classe politica, la classe dirigente, anche se alla fine una questione che coinvolge davvero tutti. Quando questi motori vanno allunisono, o comunque nella stessa direzione, si crea un carburante inesauribile che si chiama fiducia: se c fiducia tutto si supera, quando non c fiducia al contrario tutto si ferma. Un carburante prodotto dal lavoro sinergico dei nostri quattro motori. Le banche in questo ambito possono fare tanto, perch sulla competitivit delle imprese possono intervenire sia nel fornire la risorsa del credito, sia nel favorire gli investimenti in innovazione e in internazionalizzazione; ne promuovono la crescita dimensionale e ne favoriscono la nascita di nuove. Le banche possono quindi fare molto, e noi ci siamo attrezzati per farlo al meglio nel migliorare le infrastrutture, nel trovare i soldi e le risorse anche quando il settore pubblico non le ha. Le banche sono presenti in tutti quei progetti che fanno la differenza in termini di produttivit del sistema, nel campo della coesione sociale tanto per fare degli esempi, nel mondo del Terzo settore, nel mondo dellimpresa sociale: questultimo era un settore dove le banche non erano molto attrezzate per operare, e cos abbiamo creato una banca dedicata che si chiama Banca Prossima. Il gruppo nel suo insieme serve oggi gi pi di cinquantamila organizzazioni del Terzo settore. Si possono poi fare tanti altri esempi, ma lo dico perch ciascuno di noi - e tanto pi unazienda grande e importante allinterno di un Paese come pu essere una grande banca come la nostra - deve sentirsi corresponsabile del funzionamento dellintero sistema. Tutto questo non significa venir meno ai propri obbiettivi imprenditoriali; per ciascuno di noi oltre ai propri obiettivi deve farsi carico anche di una parte della responsabilit relativa al funzionamento del sistema: queste considerazioni valgono in particolare nel caso di una grande organizzazione bancaria la cui attivit riguarda tutti i quattro motori di cui parlavo prima. Grazie. Emanuele Chieli Prima di passare la parola agli studenti vorrei richiamare i quattro motori di cui ci ha parlato, e il sistema Italia. Nel nostro Paese c qualcuno o qualcosa che gira contro questi motori? Qualcuno che non va nella stessa direzione? Forse la risposta di tutti sarebbe negativa, ma in realt a mio avviso qualcuno forse potrebbe trovare qualcosa di positivo. Corrado Passera Gran parte di chi nasce, se potesse scegliere il luogo credo opterebbe per un paese

come il nostro. Non perdiamo di vista questa verit: abbiamo tantissimi problemi, ma guai a non vedere quello che le generazioni prima di noi hanno accumulato, e non soltanto in termini di ricchezza. Per, riprendendo il tema dei 4 motori, mi verrebbe da dire che il primo - quello della forza delle imprese - un motore che gira parecchio bene, altrimenti non saremmo il Paese che ha perso meno quota di mercato nel commercio internazionale negli ultimi 10 anni, se le nostre aziende non fossero competitive. Lanno scorso le aziende che esportano - che operano in un contesto estremamente competitivo - si sono subito riprese, a dimostrazione del fatto che c una parte importante del motore numero uno, quello delle imprese, che funziona e funziona bene, anche se molto rimane ancora da fare. Un altro motore che pi forte e funziona meglio che in altri paesi quello della coesione sociale. Noi siamo uno dei paesi che garantisce un livello di servizi di base, di servizi di rete e di protezione, come pochi altri: dalla previdenza (le pensioni) alla sanit che complessivamente un sistema che molti ci invidiano, seppur con tutti i suoi problemi e le sue disparit tra diverse regioni dItalia. Stiamo parlando di un dibattito in cui negli Stati Uniti, ancora in questi giorni, ci si chiede se dare o non dare la copertura sanitaria minima a 50milioni dei cittadini; per noi il fatto che si possa quasi morire per mancanza di assistenza sanitaria un tema neanche lontanamente concepibile. Il mondo dellassistenza, delle comunit e del Terzo settore, cio tutto quello che ha a che vedere con la coesione sociale, vedono lItalia collocarsi tra i paesi pi avanzati. Molto c ancora molto da fare per ammodernare e per rafforzare questi meccanismi, ma rispetto a qualsiasi standard di tipo internazionale si pu dire che quello della coesione un motore che in Italia funziona piuttosto bene. Siamo invece deboli, molto deboli negli altri due: nel sistema Paese, dove abbiamo accumulato almeno 250 miliardi di euro di ritardo nelle infrastrutture, dalle strade ai porti, dai termovalorizzatori ai gassificatori, cio a tutta la gamma delle infrastrutture che creano lavoro, portano investimenti, fanno realizzare produttivit, determinano la crescita. Sicuramente non siamo forti nel mondo dellistruzione, della formazione e della ricerca; non abbiamo (con grandi ed eccellenti eccezioni) una Pubblica Amministrazione orientata al risultato, al fare, al risolvere, allagire velocemente; anzi, abbiamo generato un meccanismo di livelli decisionali, lo dicevo prima, assolutamente farraginoso e debole, e abbiamo un sistema giudiziario che non tutela, perch un processo che pu durare anche 10 o 15 anni non garantisce la tutela del diritto, ma anzi rischia di far scattare il meccanismo ingiusto della prescrizione. Riguardo al motore del dinamismo potremmo fare molto di pi. Non siamo una societ mobile, non facilitiamo la mobilit, promuoviamo la meritocrazia solo in alcuni settori della societ, e abbiamo ancora molti settori chiusi che potrebbero essere aperti alla

concorrenza. Emanuele Chieli A questo punto vorrei chiamare qui con noi cinque studenti; sarebbe bello chiamarvi tutti, ma non proprio possibile e quindi adesso vi presenter i cinque che porranno delle domande al dottor Passera. Dopodich saranno benvenute le domande dal pubblico, chiunque lo voglia pu intervenire. Allora, abbiamo Niao Wi Ling, che fa parte del gruppo creativit e innovazione del centro interculturale della Citt di Torino e che ha lavorato in collaborazione con la Biennale Democrazia. Alla mia sinistra c Federico Berlingeri dellEast Superop, scuola di specializzazione superiore che ha una sede tra le 5 nel mondo qui a Torino; alla destra del dottor Passera Maria Medori studentessa della Luiss, facolt di Economia; poi Antonio Barcolloni dellassociazione Acmos che fa parte della rete Libera, molto attiva nellorganizzazione della Biennale Democrazia e degli eventi paralleli; poi ultimo e sicuramente non ultimo, Paolo Gallo del presidio di Libera Renata Fonte di Torino. Federico a te allora la prima parola visto che sei il pi vicino. Federico Berlingeri Il concetto stesso di sostenibilit legato al tempo, e quindi allattesa. Assieme a questo c da considerare che a quello che il profitto economico, la sostenibilit affianca unaltra area legata alletica. Queste due cose rischiano di rallentare la crescita dellazienda stessa, rischiano di ridurre nel breve termine la profittabilit, il profitto dellazienda stessa, e sappiamo bene che il ruolo del dirigente spesso strettamente correlato ai risultati nel breve termine. Lei parlava prima di squilibrio, che stato causa di crisi, e forse lo si pu richiamare proprio al fatto di dover a tutti i costi raggiungere i picchi di redditivit nel breve termine. Ora, volevo chiedere per quale motivo uno dovrebbe rischiare di limitare il profitto nella propria azienda nel breve termine, perch dovrebbe rischiare di contenere i risultati diciamo trimestrali della propria impresa? Passo poi alla domanda vera e propria: secondo lei esistono dei criteri oggettivi che si possano elaborare, che si possano definire per far si che lagire etico non sia solamente una questione di ispirazione personale ma sia anche una questione di profittabilit e di profitto nel breve termine? Grazie. Corrado Passera Questo un tema importante per il quale non esiste una risposta universale. Ognuno ha la sua posizione.

Negli anni che hanno portato alla crisi tante aziende si sono comportate in un certo modo, altre si sono comportante in modi diversi. Alcune aziende - anche bancarie, finanziarie, soprattutto nei paesi anglosassoni hanno spinto in maniera abnorme per ottenere risultati a brevissimo termine, non importa a quali condizioni. In molte situazioni non si trattava di comportamenti illegali: ma di comportamenti orientati allesasperato perseguimento del risultato a breve termine e molte di queste aziende sono state anche premiate dai mercati, perch ciascun gestore di aziende quotate in borsa continuamente e quotidianamente valutato dal mercato, dagli analisti, dagli investitori, dai fondi di investimento, dai singoli privati risparmiatori che comprano azioni. Molto spesso il mercato premia chi persegue obiettivi di breve o brevissimo tempo. Questo ha portato in molti casi a comportamenti assolutamente scorretti, determinando una crescita bassa se non addirittura nulla delle stesse aziende nel lungo termine, per il semplice motivo che se si vogliono a tutti i costi produrre risultati nel brevissimo periodo, si sacrificano gli investimenti importanti e strutturali, quelli che danno risultati nel tempo e non certo nellimmediato. E se uno dice tanto sto l solo alcuni anni, limportante fare il massimo nel breve, poi chi vivr vedr, questo atteggiamento pu condurre a decisioni che massimizzano linteresse degli azionisti nel brevissimo termine, ma che non rafforzano lazienda su un orizzonte pi ampio; non massimizzano, non ottimizzano il valore nel tempo, soprattutto non ottimizzano il valore per tutti gli Stakeholder, cio per tutti gli altri soggetti che hanno interesse per lazienda, oltre agli azionisti. Per noi di , Intesa Sanpaolo, invece, anche tutti gli stakeholder sono molto importanti. Ci si trova di fronte a queste scelte, in tanti casi a un mercato che ti dice spingi sullacceleratore, preoccupati del presente e non del futuro; e invece noi siamo unazienda che deve assicurare crescita nel tempo, deve promuovere loccupazione e la creazione di ricchezza: questo anche un imperativo etico. Noi, come molti altri, prima della crisi non abbiamo accettato quelle scorciatoie verso il profitto che avevano a che fare con lutilizzo dei derivati, con il meccanismo dellimpacchettare i crediti e fare le famose cartolarizzazioni selvagge sul mercato, che, certo, davano grandi risultati a breve, ma poi distruggevano il valore fondamentale di una banca come la nostra che quella del rapporto di lungo, lunghissimo termine con i propri clienti. Ai tempi ci definivano una banca paleolitica, per noi crediamo ad altre cose che nel lungo termine, sfortunatamente per il resto del mondo, ci hanno dato ragione. Perch la sostenibilit dei modelli bancari si dimostrata molto pi forte per quelli pi tradizionali, pi solidi, pi orientati al medio-lungo periodo che non per quelli molto pi aggressivi, che sembravano molto di moda nei primi anni 2000. Bisogna scegliere, bisogna dire di no, bisogna cercare investitori che apprezzino il

lungo termine, con un bilanciamento degli utili tra breve-medio-e lungo periodo che certe volte necessita un certo coraggio, mentre sarebbe pi facile massimizzare i risultati a breve. A monte, visto che prima parlavamo di assunti culturali, io sono convinto che il bene di medio periodo (sia a livello aziendale sia nella vita quotidiana) non sia la sommatoria di quello di tanti periodi brevi, quanto piuttosto lesito di una dinamica che sua propria. Bisogna avere lottica di medio-lungo periodo, bisogna credere nel fatto che saremo ci che vorremo diventare, nel lungo periodo, e non soltanto ci che siamo adesso; mi rendo conto che una visione non necessariamente condivisa da tutti. La storia degli ultimi anni sembra dire che esiste un modo pi saggio di gestire le aziende, per ancora adesso ci sono osservatori, professori, teorici che dicono che bisogna massimizzare il profitto di breve termine delle imprese, senza preoccuparsi del bene comune. Non sono daccordo: il bene comune nasce da una comune assunzione di responsabilit e dalla condivisione degli obiettivi di lungo periodo e non soltanto dalla contrapposizione di breve tra i singoli individui. Federico Berlingeri La ringrazio molto. Volevo dilungarmi un secondo perch lei diceva giustamente che sar comunque sempre una questione di scelta, anche perch non esiste pi unetica in termini assoluti, dato che ognuno a casa propria fa quel che vuole. Si sentono spesso queste cose. E possibile fare un passo indietro a livello di libert di chi gestisce lazienda a favore della collettivit? Pu luomo fare un passo indietro nella propria libert individuale per garantire migliori condizioni a livello di comunit? Corrado Passera L bisogna stare attenti perch non c unautorit morale che pu decidere per tutti cosa buono e cosa cattivo: guai a ricadere in scelte dirigistiche o addirittura autoritarie che dovrebbero essere eticamente superiori e quindi capaci di dire a ciascuno cosa deve fare. Questo no. Per in un mondo di libert, di diritti e di regole condivise bisogna cercare di premiare comportamenti che nel tempo siano in grado di produrre un beneficio per lintera societ: parlo, ad esempio, degli investimenti di lungo termine nel comparto dellenergia, nel senso di puntare pi sulle rinnovabili rispetto a energie che consumano inesorabilmente beni comuni. Molto dipende dal comportamento di ciascuno di noi, sia come investitore in borsa, sia come semplice cittadino. La stampa pu fare molto a questo proposito. Credo che dobbiamo continuare fino in fondo a godere della libert che abbiamo

conquistato fino ad oggi, in tutti i sensi, senza tornare a comportamenti e a meccanismi dirigistici. Per credo che dobbiamo tutti spingere nella direzione di comportamenti che reputiamo pi vicini al bene per lintera societ, non soltanto per lo specifico individuo o per la singola azienda. Emanuele Chieli Grazie Federico per la tua domanda. Passerei quindi la parola a Niao Willy per la tua domanda. Grazie. Niao Willy Io avrei due domande. La prima: secondo lei giusto investire sui giovani? E la seconda: per lei, i cittadini stranieri sono una risorsa per la societ? E corretto investire su di loro? Corrado Passera Sono domande talmente a risposta ovvia che dire soltanto s sarebbe semplicistico; bisogna capire piuttosto se facciamo abbastanza. Investire sui giovani giusto, ciascuno di noi investe buona parte della sua vita nei giovani; nel senso che fa figli, li segue, li cresce, apre loro le ali. Quindi la risposta ovvia per noi come genitori. Dal punto di vista aziendale, dal punto di vista sociale, di sistema, investire sui giovani vuol dire innanzitutto investire sui sistemi di formazione, istruzione, education in generale. Alcuni paesi fanno molto, altri meno; noi non siamo tra i paesi che fanno abbastanza; certamente non abbiamo ancora adattato il nostro sistema di istruzione e di formazione per educare giovani che in seguito siano capaci di entrare agevolmente nel mondo del lavoro, perch oggi molto alto il numero di giovani che finiscono la scuola per andare verso situazioni di estrema difficolt sul fronte della ricerca del posto di lavoro. Questo dipende dalla scarsa crescita delleconomia in generale, ma probabilmente dipende molto anche dal fatto che non formiamo nel modo adeguato i giovani rispetto ai bisogni del mercato e del mondo del lavoro, e quando dico mondo del lavoro intendo tutto il mondo del lavoro, non soltanto quello pi ovvio, normale, allinterno delle aziende, ma anche il mondo dei nuovi mestieri e delle professioni, delle tecnologie, del non profit, delle competenze che servono per andare a lavorare fuori dItalia. Intendo le lingue, la conoscenza dell'Altro chiaro che l c ancora molto da fare, soprattutto perch dobbiamo rispondere al problema crescente e sottovalutato della disoccupazione. Ci sono due milioni di disoccupati, statisticamente censiti come tali dato che cercano lavoro e non lo trovano; in realt dobbiamo aggiungere molte altre categorie che popolano il sottobosco della non occupazione: gli inoccupati, cio

quelli che non cercano pi lavoro perch si sono disillusi; i sottoccupati, che vanno dai precari estremi ai sottoccupati in termini di quantit di lavoro svolto nel corso della settimana o del mese; o ancora ai sospesi dal lavoro, come i lavoratori in Cig. Ecco che allora il numero assume proporzioni davvero molto importanti: in Europa stiamo parlando di 25 milioni di disoccupati e probabilmente altrettanti sottoccupati. Parliamo quindi di circa 50 milioni di famiglie sotto stress. Quando si creano queste situazioni di grande disagio sociale le implicazioni non sono soltanto economiche; sono sociali, psicologiche, sono a volte - la storia lo dice - anche politicamente molto pericolose. Poi, se investire sui giovani vuol dire assumere, noi abbiamo avuto la fortuna, come azienda in questi anni, di riuscire a fare 7 mila assunzioni, che forse una delle pi grandi operazioni di assunzione che siano mai state fatte nel nostro Paese, e speriamo di poterne fare altre nel futuro. C poi il tema dellavviare i giovani non solo a un mestiere impiegatizio o comunque in aziende gi esistenti, ma di aiutarli a creare nuove aziende. Questo in tante parti del mondo uno dei motori principali di crescita della competitivit delle aziende, che influisce in maniera significativa sulla possibilit che se ne creino di nuove. In questo ambito, molto bello vedere quello che riusciamo a fare con il nostro mestiere, quante iniziative di start up tecnologiche ci sono, da parte di gente che ha fatto ricerca nelle universit, che ha fatto ricerche in aziende medio grandi e che poi, con unidea particolarmente brillante, vuole costruirsi poi la sua azienda. Qui il ruolo della banca pu essere quello dellaiutare a trasformare lidea in un business plan, cio in unidea di azienda, e a trovare poi il capitale iniziale per presentare queste nuove piccole aziende, accompagnate magari da incubatori aziendali, al grande mondo degli investitori che preferiscono puntare sulle nuove aziende tecnologiche. E una delle cose che facciamo e che ci d grandissima soddisfazione: quando nascono nuove imprese c sempre una grande energia. La seconda domanda collegata alla prima: i nuovi giovani, i nuovi cittadini che vengono da altri paesi a vivere in Italia. Questo un altro tema importante dove il nostro Paese non pi indietro di altri. In fondo, se pensiamo allintegrazione dei quattro milioni di cittadini che non sono nati da noi, stiamo parlando di un fenomeno che non ha generato una situazione drammatica come in altri paesi, di esclusione, di ghettizzazione, di non integrazione. Certo, si pu fare di pi. Noi lo tocchiamo con mano nella parte creditizia, dove tendiamo a non distinguere vecchi cittadini e nuovi cittadini. Un esperimento che ci ha dato parecchie soddisfazioni stato quello in cui abbiamo cercato di mettere in moto un meccanismo in base al quale offrire tutte quelle garanzie iniziali che molto spesso limprenditore immigrato non riesce a fornire per fare i primi investimenti e i primi acquisti. E stato un esperimento fatto insieme alla provincia di Milano e alla

fondazione Antiusura che ci aiutavano nel selezionare quelle iniziative di imprenditori che venivano da altri paesi. Siamo riusciti cos a trovare una condivisione del rischio imprenditoriale almeno sulla parte creditizia, e abbiamo lanciato alcune decine di iniziative che poi si sono ben stabilizzate. Quindi rispondo s a entrambe le domande. Se per la domanda implicita era: facciamo abbastanza? La risposta diventa no. Cosa possiamo fare? Prima di tutto dobbiamo migliorare il mondo della formazione, dellistruzione, oltre che rendere pi efficaci i meccanismi che favoriscono e accompagnano la nascita di nuove imprese. Emanuele Chieli Maria, il tuo turno. Maria Medori Lei prima ha parlato di disillusione, di perdita di speranza da parte dei lavoratori attuali, ma anche da parte di quelli che verranno. Io volevo chiederle come il sistema creditizio e finanziario possano aiutare a colmare i limiti del mercato, creando nuovamente fiducia nei giovani e nei lavoratori attuali e nel futuro. Corrado Passera Adesso magari possiamo approfondire alcuni dei temi gi anticipati. Se disillusione vuol dire perdita di speranza, perdita di fiducia nel futuro, perdita di convinzione che col proprio impegno, con la propria energia si possa riuscire a costruire una vita felice, soprattutto in campo economico, allora tutto ci che facciamo per favorire la crescita, e quindi i famosi quattro motori di cui sopra, serve a creare il presupposto per favorire la domanda, le iniziative meritevoli, il dinamismo. Tutto quello che possiamo fare come banca per far nascere nuove imprese, per rafforzare quelle che ci sono e metterle in condizioni di assumere o dallestero, noi lo facciamo e continueremo a farlo. E non perch siamo un Paese dove non bello vivere, e neanche perch il costo del lavoro pi alto, perch, per esempio, paesi come Francia e Germania o addirittura quelli nordici, che hanno il costo superiore al nostro, attirano alla fine pi investimenti di noi. Quindi un insieme di cose - tra le quali sicuramente vanno citate anche il sistema giudiziario non funzionante e la mancanza di sicurezze in alcune parti del Paese, temi che devono essere affrontati , se vogliamo favorire in maniera pi strutturale la creazione di occupazione e la promozione e lo sviluppo di nuove iniziative. Vale il discorso di prima sulle start up, ma vale anche per molti settori che sono forti, o che in passato sono stati forti e che oggi sono invece abbandonati; una grande area per la quale noi, come sistema bancario, possiamo fare di pi. La di attrarre investimenti

globalizzazione non dobbiamo pensarla in una sola direzione: cos come gli altri vengono da noi, noi andiamo nel resto del mondo. Abbiamo cos tanti giovani che hanno successo in luoghi di ricerca, in ambiti accademici, allinterno di imprese tecnologiche in giro per il mondo, soprattutto perch abbiamo buone scuole di formazione; poi, certo, non sempre il primo, il secondo, il terzo lavoro sono in Italia, per questa una sfida che dobbiamo accettare; il mondo per unico, non c lItalia, ma il mondo intero dove bisogna andare a specializzarsi in campi determinati, e le possibilit sono tante, non solo per chi ha i mezzi per farlo: ci sono opportunit che non costano nulla, salvo la fatica, e la sfida competitiva per essere scelti. Quindi dobbiamo promuovere la crescita economica, dobbiamo migliorare la formazione, dobbiamo toglierci dallangolo della disillusione nel quale certe volte ci vediamo costretti a ripiegare. Molte soluzioni tradizionali non valgono pi, e molti degli antichi mestieri sono definitivamente spariti dallorizzonte occupazionale. Dobbiamo inventarci nuovi mestieri e avere la disponibilit di andare a scovarli in giro per il mondo. La globalizzazione dobbiamo cercarla fino in fondo, in posti che forse non avremmo mai pensato fossero destinazioni possibili. Corrado Passera Se la crescita ha come fine solo ed esclusivamente il profitto, non porta da nessuna parte. Non esiste La crescita, ma esistono crescite drogate e crescite strutturali, esistono crescite oneste e crescite che non lo sono, esistono crescite di lungo termine o di brevissimo termine. La crescita pu essere quindi considerata pi come uno strumento che come un fine in s. Dopodich, la crescita che vogliamo in un Paese come il nostro deve essere strutturale, inclusiva, deve creare occupazione, senza essere concentrata solo in alcune fasce della societ, senza consumare beni non pi ricreabili, n nella societ, n in natura. Ridurre il numero di persone sotto il livello della sopravvivenza un obiettivo che per molti paesi cruciale, e fortunatamente per noi non lo ; noi ci poniamo obiettivi pi elevati, di qualit della vita, di qualit della democrazia e di qualit del convivere, del benessere inteso come soddisfacimento di tutti i bisogni intellettuali, umani, sociali, democratici che altri paesi ancora non si possono permettere. Sia nei paesi a grandissimo sottosviluppo, sia nei paesi in via di emersione, che nei paesi pi fortunati caratterizzati da un livello di vita molto elevato, io credo che la ricetta della non crescita o della decrescita sia di per s una impostazione sbagliata, nel senso che noi abbiamo un assoluto bisogno di creare benessere con le caratteristiche della crescita che descrivevo pocanzi. Pensiamo anche a casa nostra, alla sfida che viene dallinvecchiamento della popolazione, che una conquista ma anche uno stress molto pesante in termini di fabbisogno sanitario minimo: la nostra

spesa sanitaria, per il solo fatto del continuo allungamento della vita media, arriver facilmente ad un livello insostenibile; se non avessimo pi le risorse per pagarle, e sarebbe drammatico da un punto di vista sociale, dovremmo abbassare il livello di assistenza a una parte importante della popolazione: la crescita serve se crescita buona, se crescita competitiva, se crescita sostenibile dal punto di vista ambientale e finanziario. Pertanto, la scorciatoia del dire non cresciamo , secondo me, una ipotesi del tutto irrealistica da non prendere neanche in considerazione. Cosa diversa ridurre lo spreco, ridurre le ingiustizie, come levasione fiscale: noi a parit dellattuale nostro PIL abbiamo tra i 100 e i 150 miliardi di evasione fiscale. Questo un furto, e dipende dal mancato rispetto delle leggi, dipende da tutti noi, perch in fondo in tante occasioni si tollerano situazioni che invece non dovrebbero essere tollerate, e che portano alla mancanza di quelle risorse da spendere per obiettivi comuni che contribuiscono ad aumentare la qualit della vita, una delle tante ragioni per cui, come dicevo allinizio, dobbiamo tutti sentirci responsabili del Bene comune. Paolo Gallo Io trovo che lattuale crisi sia partita da un doppio binario. Prima di tutto lidea per cui il profitto era fine a s stesso e ad ogni costo. Parallelamente a questo, lidea per cui viviamo in unet delloro in cui possiamo consumare allinfinito, felicemente, diciamo per sempre perch le nostre risorse sono infinite, ci ha reso alla fine succubi di questo stesso impulso al consumo. Quindi, partendo da questo, come si pu, sapendo che il problema sia politico che di giustizia, fare in modo che leconomia sia al servizio della persona e non la persona al servizio delleconomia? E allo stesso tempo permettere un effettivo controllo su questo sistema che non si pu di fatto reggere sulla mano invisibile, ma che anzi ci garantisca i nostri diritti e non ci renda schiavi dei nostri bisogni? Corrado Passera Qui andiamo alla pi difficile delle domande. Ci sar pure il consumo estremo, eccessivo, come c lo spreco intollerabile, il capriccio; per noi dobbiamo sapere che una quota molto importante della societ non vede ancora soddisfatti tutti i suoi bisogni; nella nostra societ ci sono milioni di persone che fanno bene la pianificazione della loro vita, risparmiano, investono, fanno crescere la propria famiglia, aiutano gli altri; per esiste anche tanta parte della societ che non ha ancora raggiunto un livello di consumi sufficiente. Certo, c un tema di approccio alla vita e questo dipende da come ci comportiamo, dipende da come ciascuno di noi si comporta sia nello scegliere il proprio stile di vista, sia nello stabilire il proprio modo di partecipare alla societ e alla democrazia; dobbiamo partecipare di pi e voi, lasciatemi dire, dovete farlo

ancora di pi per spingere nella direzione che reputate pi giusta, pi bella e pi auspicabile per fare in modo che la societ diventi quella che volete, quella che vogliamo tutti quanti insieme. Il mondo delleconomia e il mondo della democrazia si devono sposare, perch per cambiare il primo dobbiamo sfruttare la fortuna di avere un sistema democratico di tutela di diritti , che pu intervenire efficacemente sullaltro; in tanti paesi del mondo ad alto sviluppo, diciamo capitalistico, questo binomio economia-democrazia non si verifica, perch si pensava che il mercato e la democrazia fossero due cose slegate: non vero. Purtroppo esiste il mercato senza diritti, senza libert, senza democrazia, che non ti d gli strumenti e le possibilit di decidere. Abbiamo quindi la fortuna di avere un sistema, e questa la grande ricchezza dellEuropa e del mondo occidentale, che dobbiamo valorizzare fino in fondo: quello dellessere consci delleconomia come strumento per far funzionare di pi la nostra democrazia - ma che, oggettivamente, non sta dando il meglio di s in questi ultimi tempi, pur essendo uno strumento ancora tutto da sfruttare. Dobbiamo sempre guardare avanti e creare uneconomia sempre pi al servizio di valori che reputiamo importanti, condivisi, e che democraticamente decidiamo che siano i valori sui quali puntare e su cui misurarci. In fondo, oggi abbiamo molti pi strumenti a disposizione per vivere complessivamente meglio pi di qualsiasi altra generazione prima di noi. Certo, dobbiamo impegnarci di pi, affinch quei quattro motori funzionino tutti in contemporanea, senza che prevalgano i temi della competitivit, della redditivit e dellimpresa a discapito dellintero sistema, della coesione, e del dinamismo. Non esiste la mano invisibile che aggiusta e fa diventare egoismo altruismo o interesse particolare il bene comune; dipende da ciascuno di noi e dobbiamo sicuramente impegnarci di pi: non una cosa al di l della nostra portata. Emanuele Chieli Siamo arrivati alla fine. Grazie Dottor Passera per gli elementi di riflessione, per gli spunti di ottimismo che ha saputo regalarci, grazie a tutti per la partecipazione e grazie soprattutto a Biennale Democrazia per questaltro incontro, una vera opportunit di crescita. Grazie.

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