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DANTE

FRA IL SETTECENTOCINQUANTENARIO
DELLA NASCITA (2015) E IL SETTECENTENARIO
DELLA MORTE (2021)

Atti delle Celebrazioni in Senato, del Forum


e del Convegno internazionale di Roma: maggio-ottobre 2015

a cura di
ENRICO MALATO e ANDREA MAZZUCCHI

tomo ii

S
SALERNO EDITRICE
ROMA
Eventi realizzati su iniziativa e a cura del
Centro Pio Rajna e della Casa di Dante in Roma

Con il sostegno di Livio Ambrogio


grande cultore di Dante e collezionista
di cose dantesche

ISBN 978-88-6973-180-8

Tutti i diritti riservati - All rights reserved

Copyright © 2016 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati


la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per
qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preventiva autorizzazione
scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge.
Irene Ceccherini

IL CONVIVIO*

Questo contributo intende offrire una riflessione sul pubblico dei


lettori e sulla circolazione del Convivio a partire dall’analisi e dall’in-
terpretazione di alcuni aspetti materiali, cioè codicologici e paleogra-
fici, dei mss. che trasmettono l’opera dantesca.1 Le mie osservazioni
nascono da una nuova descrizione dei codici, lavoro di cui in questa
sede presento alcuni dei risultati piú significativi.
Converrà innanzitutto riassumere la ricostruzione stemmatica dei
46 testimoni del Convivio, cosí come è offerta da Franca Brambilla
Ageno.2 Conosciamo 45 manoscritti e una stampa, ripartiti in due
famiglie (Į e ȕ), le quali derivano da un archetipo (X) con molti errori

* Sono grata a Luca Azzetta e Teresa De Robertis per aver letto e discusso con me
questo lavoro. Nel citare i mss., faccio uso delle seguenti abbreviazioni: BAV = Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana; Firenze, BML = Firenze, Biblioteca Me-
dicea Laurenziana; Firenze, BNC = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale; Firenze,
BR = Firenze, Biblioteca Riccardiana; Firenze, SD = Firenze, Società Dantesca Italia-
na; Holkham = Holkham Hall, Library of the Earl of Leicester; London, BL = London,
British Library; Madrid, BNE = Madrid, Biblioteca Nacional de España; Milano, BT
= Milano, Biblioteca Trivulziana; Milano, Villa = Milano, Collezione privata famiglia
Villa; Oxford, BL = Oxford, Bodleian Library; Paris, BnF = Paris, Bibliothèque na-
tionale de France; Parma, BP = Parma, Biblioteca Palatina; Ravenna, CD = Ravenna,
Centro Dantesco dei Frati minori conventuali; Strasbourg, BNU = Strasbourg, Bi-
bliothèque Nationale et Universitaire; Venezia, BNM = Venezia, Biblioteca Nazio-
nale Marciana.
1. Questo approccio è differente da quello di un recente contributo di Gianfranco
Fioravanti, che si è occupato di quello che ritiene essere stato il pubblico ideale per cui
è stato scritto il Convivio: G. Fioravanti, Il ‘Convivio’ e il suo pubblico, in « Le forme e la
storia », vii 2014, fasc. 2 pp. 13-21.
2. Dante Alighieri, Il Convivio, a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze, Le Lettere,
1995, 3 voll., in particolare la descrizione dei codici nel vol. i/1 pp. 3-41, e lo stemma co-
dicum nel vol. i/2 p. 585, con approfondimento della famiglia f degli interpolati a p. 893.
Sulla tradizione del Convivio rinvio inoltre a G. Gorni, Appunti sulla tradizione del ‘Con-
vivio’ (a proposito dell’archetipo e dell’originale dell’opera), in « Studi di filologia italiana », lv
1997, pp. 5-22; L. Azzetta, La tradizione del ‘Convivio’ negli antichi commenti alla ‘Comme-
dia’: Andrea Lancia, l’ ‘Ottimo Commento’ e Pietro Alighieri, in « Rivista di studi danteschi »,
v 2005, pp. 4-34; Id., Tra i piú antichi lettori del ‘Convivio’: ser Alberto della Piagentina notaio e
cultore di Dante, ivi, ix 2009, pp. 57-91. Ringrazio Cristina Dusio, che mi ha segnalato il

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e frequenti lacune. La maggior parte dei codici superstiti fa capo al


subarchetipo Į, che presenta numerose contaminazioni, correzioni e
revisioni ed è costituito da tre gruppi (a, b, Y) e da un testimone isola-
to (Ash);3 a sua volta il gruppo Y si divide in tre sottogruppi (c, d e f ),
di cui i primi due (c e d ) sono fortemente scorretti,4 mentre il terzo
(f ) si compone di 17 testimoni, contaminati e interpolati, ripartiti in
due rami.5 Il subarchetipo ȕ comprende solo sei codici.6
Due terzi dei manoscritti contengono soltanto il Convivio, che « si
è diffuso con vicenda sua propria e modi autonomi di trasmissione ri-
spetto alle altre opere volgari » di Dante.7 Gli abbinamenti con le al-
tre opere dantesche, e in particolare con le quindici canzoni della
cosiddetta « silloge del Boccaccio », con la Vita Nuova e con la Monar-
chia, vanno intesi come operazioni quattrocentesche di rilettura del
testo dantesco.8 L’opera, comunque, circolò fin da subito nella strut-

rinvenimento di un altro testimone quattrocentesco del Convivio, frammentario, di cui


sta curando la descrizione e presentazione.
3. Al gruppo a appartengono i mss.: BAV, Barb. lat. 4086 (Vb); Firenze, BML, 90 sup.
1352 (L6); Firenze, BNC, Magl. VI 186 (Mgl); Parma, BP, Pal. 19 (Pr); Venezia, BNM, it.
XI 34 (Mc1), mss. a cui va aggiunto, da iv 17 6, Firenze, BNC, Pal. 181 (Pal). Al gruppo
b la Ageno assegna i codici BAV, Ottob. lat. 3332 (Ott); Firenze, BR, 1043 (R2) e 1044
(R3); Paris, BnF, Italien 536 (Pn); Oxford, BL, MS. Canon. Ital. 114 (Can); Venezia,
BNM, it. X 26 (Mc), l’editio princeps (Firenze: Francesco Bonaccorsi, 1490, iSTC n.
id00036000 = Bo) e, da iii 5 7, Ravenna, CD, ms. 6 (già Collezione Ginori Venturi Lisci,
54 = Vga). Infine il ms. Firenze, BML, Pluteo 40 39 (L) oscilla tra a e b. Ash è Firenze,
BML, Ashb. 842.
4. Al gruppo c appartengono i mss. Firenze, BML, Pluteo 90 sup. 1351 (L5); Firenze,
BNC, II III 47 (F) e II III 210 (F1); Firenze, SD, ms. 5 (già Gerini 30 = Sd1) e Stras-
bourg, BNU, 1808 (St). Al gruppo d sono da riferire i mss. Firenze, BNC, Pal. 181 (Pal);
Holkham, 530 (H) e Milano, BT, 1089 (Tr), per i trattati i-ii.
5. BAV, Vat. lat. 4778 (V) e 4779 (V1); Firenze, BML, Pluteo 40 40 (L1), 40 41 (L2), 90
inf. 3 (L3) fino a iii 7 7; e Acquisti e Doni 327 (La); Firenze, BNC, II IX 95 (F2), Pal. 522
(Pal1), Pal. Panc. 11 (Pc); Firenze, BR, 1041 (R); London, BL, Add. 28840 (Br) fino a iii 2 2
e da iv 24 7 e Add. 41647 (Br1) fino a ii 13 2; Madrid, BNE, 10258 (Ma); Milano, BT, 1089
(Tra) per i trattati iii e iv; Milano, Villa, ms. s.s. (Mi); Oxford, BL, It. d. 5 (Bd); Ravenna,
CD, ms. 6 (già Collezione Ginori Venturi Lisci, 54 = Vg) fino a iii 5 7.
6. BAV, Urb. lat. 686 (Vu); Firenze, BML, 90 sup. 134 (L4); Firenze, BNC, Pal. 654
(Pal2); Firenze, BR, 1042 (R1); Firenze, SD, ms. 3 (Sd); Paris, BnF, Italien 1014 (Pn1); a
questi mss. va aggiunto BAV, Capponi 190 (Cap) relativamente ai primi tre trattati.
7. Gorni, Appunti sulla tradizione, cit., p. 5.
8. Cfr. Gorni, Appunti sulla tradizione, cit., e A. Decaria, Un copista di classici italiani e i
libri di Luca della Robbia, in « Rinascimento », xlvii 2008, pp. 243-87.

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tura di quattro trattati9 ed ebbe tradizione tutta fiorentina.10 Indub-


biamente, la peculiarità piú forte della tradizione manoscritta del
Convivio riguarda la cronologia: l’opera ebbe sostanzialmente circo-
lazione tarda, posteriore di oltre un secolo la morte del poeta. Con
l’eccezione di quattro codici (e non due come riteneva la Ageno) la
tradizione manoscritta si colloca soprattutto nel Quattrocento: i ma-
noscritti datati vanno dal 1440 al 1482 e la maggior parte degli altri
testimoni sono da collocare dal secondo quarto del secolo in poi.
Le pagine che seguono vogliono mettere a fuoco tre aspetti della
produzione e tradizione del Convivio: innanzitutto, la piú antica cir-
colazione, sulla base dell’analisi paleografica e codicologica dei due
codici piú antichi (Vb e F); poi, la proposta di anticipare alla fine del
Trecento due testimoni (Ash e L4), assegnati dalla Ageno al sec. XV;
infine, alcune osservazioni sul pubblico dei lettori del Convivio nel
Quattrocento, fondate sulla discussione di alcuni aspetti materiali dei
testimoni. Sarà interessante osservare che i quattro testimoni trecen-
teschi hanno posizione diversa nello stemma e che documentano
una certa continuità nella circolazione del Convivio.
Se la primissima diffusione del Convivio ci è ignota, sappiamo che
già nella Firenze degli anni Trenta del Trecento una cerchia di ami-
ci e cultori di Dante ricorreva a Dante stesso, cioè al Convivio, per
l’esegesi della Commedia: la piú antica tradizione indiretta è infatti
costituita dalle citazioni dell’opera dantesca contenute nel proemio
al volgarizzamento di Boezio di Alberto della Piagentina e in quelle
dei commenti alla Commedia dell’Ottimo, di Pietro Alighieri e di An-
drea Lancia.11 A noi preme qui osservare non soltanto che i due testi-
moni del Convivio piú antichi (F e Vb) sono da collocare negli stessi
anni Trenta del Trecento, ma anche che essi furono prodotti nello
stesso ambiente culturale nel quale è attestata la prima circolazione
indiretta. I dati materiali non lasciano alcun dubbio in merito all’i-
dentificazione dello statuto dei copisti: sono tutti notai e mercanti,
che trasferiscono la loro corsiva professionale dal documento al libro,

9. Azzetta, La tradizione del ‘Convivio’, cit., pp. 16-17.


10. Gorni, Appunti sulla tradizione, cit., p. 10.
11. Azzetta, La tradizione del ‘Convivio’, cit., e Id., Tra i piú antichi lettori del ‘Convivio’, cit.

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secondo un processo non inusuale nella Firenze del primo Trecento


e in progressivo aumento a partire dal secondo quarto del secolo.12
Notai e mercanti collaborano gomito a gomito nell’allestimento
e trascrizione del codice Firenze, BNC, II III 47 (F). A Teresa De
Robertis si deve la precisazione della data del codice, che non va as-
segnato agli anni Sessanta del Trecento, come ha fatto ipotizzare una
nota aggiunta nella guardia iniziale, ma alla seconda metà degli anni
Trenta: questa nuova proposta di datazione è supportata da un esame
accurato della filigrana e della scrittura e dall’identificazione di due
copisti.13 In questo codice nove persone collaborano alla trascrizione
del Convivio, copiando porzioni di testo variabili, che vanno dall’in-
tero fascicolo alle poche righe. Il lavoro è coordinato dal copista che
si identifica come ser Giovanni, un notaio, il quale distribuisce tra
i suoi collaboratori un certo numero di carte da trascrivere, come
attestano le note che si conservano nei margini di alcuni fogli. Grazie
alla scrittura, è possibile stabilire che quattro mani hanno ricevuto
un’educazione grafica di tipo notarile, mentre le altre cinque sono
vicine a esperienze grafiche classificabili come mercantesche.
Sappiamo che fino a tutto il primo quarto del Trecento la scrittura
dei mercanti fiorentini presenta continue, profonde e sostanziali af-
finità morfologiche, tecniche ed espressive con la scrittura dei notai e
che la specializzazione di un tipo grafico autonomo, la mercantesca,
si concretizza proprio nel corso del secondo quarto del secolo.14 La

12. Sarà sufficiente in questa sede rinviare ad alcuni lavori recenti che presentano
materiali e riflessioni sul tema della trasposizione delle scritture documentarie nei li-
bri: I manoscritti della letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, a
cura di S. Bertelli, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2002, e I manoscritti della
letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, a cura di S. Bertel-
li, ivi, id., 2011; T. De Robertis, Scritture di libri, scritture di notai, in « Medioevo e Rina-
scimento », xxiv 2010, pp. 1-27.
13. I. Ceccherini-T. De Robertis, ‘Scriptoria’ e cancellerie nella Firenze del XIV secolo, in
Scriptorium. Wesen-Funktion-Eigenheiten. Comité International de paléographie latine,
xviii. Internationaler Kongress St. Gallen 11.-14. September 2013, hrsg. von A. Niever-
gelt und R. Gamper, München, Bayerische Akademie der Wissenschaften, 2015, pp.
141-69, alle pp. 150-54. Per una precedente descrizione del codice (che si avvaleva della
consulenza di T. De Robertis), cfr. B. Arduini, Alcune precisazioni su un manoscritto trecen-
tesco del ‘Convivio’: BNCF II.III.47, in « Medioevo e Rinascimento », xx 2006, pp. 383-91.
14. I. Ceccherini, Le scritture dei notai e dei mercanti a Firenze tra Duecento e Trecento: unità,
varietà, stile, in « Medioevo e Rinascimento », xxiv 2010, pp. 29-68.

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compresenza di profili grafici di stampo sia notarile sia mercantesco


nel codice F del Convivio non solo conferma che i contatti tra notai e
mercanti continuarono ad essere solidi anche nel secondo quarto del
Trecento, ma ci informa anche che questi contatti oltrepassarono
l’ambito strettamente professionale. Il codice, cartaceo, di aspetto di-
messo, decorato soltanto in alcuni fogli e vergato appunto in scritture
di tradizione corsiva, non ha certo le caratteristiche di una copia di
lusso o di un esemplare di dedica, ma ricorda piuttosto la facies di re-
gistri documentari coevi, sia notarili sia mercantili. La collaborazione
coordinata tra i nove copisti si svolge secondo pratiche ben diffuse e
attestate da libri iurium e registri commerciali, ma che qui sono adat-
tate alla trascrizione di un testo letterario e dunque trasposte dal re-
gistro al codice.15 Perché una tale collaborazione sia possibile, è evi-
dente che le nove persone coinvolte non soltanto debbono conoscer-
si e lavorare insieme, ma anche disporre di un luogo fisico in cui,
praticamente, potersi alternare e coordinare durante la trascrizione.
Il luogo in cui tale collaborazione può realizzarsi va probabilmente
identificato con un ufficio di una delle tante compagnie commercia-
li della Firenze del secondo quarto del Trecento, in cui i notai erano
assunti per lavorare in quello che oggi chiameremmo l’ufficio legale
dell’azienda:16 « in assenza di una prova documentaria, risulta piú dif-

15. Alcuni degli esempi piú antichi della trasposizione di modelli documentari al li-
bro, sia nell’aspetto codicologico che in quello paleografico, sono i canzonieri Vatica-
no, Escorialense e Marciano, per i quali rinvio ai lavori paleografici che accompagnano
l’edizione in facsimile: A. Petrucci, Le mani e le scritture del canzoniere Vaticano, in I can-
zonieri della lirica italiana delle origini, iv. Studi critici, a cura di L. Leonardi, Firenze, Si-
smel-Edizioni del Galluzzo, 2007, pp. 25-41; T. De Robertis, Descrizione e storia del
canzoniere Escorialense, in Il canzoniere Escorialense e il frammento Marciano dello Stilnovo. Real
Biblioteca de El Escorial, E.III.23. Biblioteca Nazionale Marciana, It. IX. 529, a cura di S. Car-
rai e G. Marrani, ivi, id., 2009, pp. 11-48; Ead., Un canzoniere breve?, ivi, pp. 183-89. Per
il canzoniere Vaticano, cfr. anche I. Ceccherini, La cultura grafica dei copisti del canzonie-
re Vaticano latino 3793, in Storia della scrittura e altre storie, a cura di D. Bianconi, Roma,
Accademia nazionale dei Lincei, 2014, pp. 263-82. Sulla tradizione documentaria nei
canzonieri, cfr. S. Bertelli, La tradizione grafica dei canzonieri della lirica italiana delle Ori-
gini, in ‘Scriptoria’ e biblioteche nel Basso Medioevo (secoli XII-XV). Atti del li Convegno
storico internazionale, Todi, 12-15 ottobre 2014, Spoleto, Cisam, 2015, pp. 151-77, alle
pp. 170-77.
16. A. Sapori, Il personale delle compagnie mercantili del Medioevo, in Id., Studi di storia econo-
mica (secoli XIII-XIV-XV), Firenze, Sansoni, 19552, 3 voll., ii pp. 695-763, in partic. p. 699.

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ficile immaginare il caso inverso, di un ‘mercante’ che lavori presso


un notaio o in una ‘cancelleria’ ».17
Ci sfuggono tuttavia le ragioni di questa collaborazione, e in parti-
colare il motivo per cui questo gruppo di professionisti della scrittura
documentaria si sia cimentato nella trascrizione del Convivio, che con
tutta evidenza era un testo raro e di non facile accesso. L’impiego di
cosí tante energie, che sfruttano la possibilità di far lavorare simulta-
neamente piú persone, e quindi di ottimizzare i tempi di copia e
raccordare alla fine i bifogli o i fascicoli, potrebbe rispondere alla ne-
cessità di procurarsi un testo da un exemplar disponibile per un tempo
limitato, ma, in assenza di altre evidenze, questa resta soltanto un’i-
potesi da verificare. Neanche la destinazione del codice è di facile
determinazione. I dati in nostro possesso non consentono ancora di
stabilire se uno dei copisti sia il committente oppure se i nove lavori-
no per un’altra persona, che ha loro affidato la trascrizione, secondo
un procedimento analogo a quello che è stato possibile ricostruire
per Coluccio Salutati, che assegnò la trascrizione di due codici al per-
sonale della cancelleria.18
Siamo però in grado di precisare meglio il profilo di alcune delle
mani coinvolte nella trascrizione. Almeno un copista (la mano D, pro-
babilmente un notaio) non ha consuetudine con la scrittura tradizio-

17. Ceccherini-De Robertis, ‘Scriptoria’ e cancellerie, cit., p. 151. Per una riflessione sul
luogo fisico in cui tali collaborazioni possono realizzarsi, questo articolo prende in
esame il caso dello “scriptorium diffuso” dei copisti della Commedia, la collaborazione tra
notai nell’allestimento del ms. Paris, BnF, Italien 591 (contenente il volgarizzamento B
dell’Ars amandi di Ovidio con relativo commento, vergato da sei copisti, tra cui Andrea
Lancia) e la cooperazione tra notai copisti per Coluccio Salutati, alla fine del Trecento.
Si osserverà inoltre che un caso di collaborazione tra un notaio e un mercante nella
trascrizione di un codice si realizza anche nell’autografo delle Chiose alla ‘Commedia’ di
Andrea Lancia, ms. Firenze, BNC, II I 39, per cui cfr. I. Ceccherini, La cultura grafica di
Andrea Lancia, in « Rivista di studi danteschi », x 2010, pp. 351-67, in partic. alle pp. 358-
59, e A. Lancia, Chiose alla ‘Commedia’, a cura di L. Azzetta, Roma, Salerno Editrice,
2012, 2 voll., i pp. 88-93.
18. Si tratta dei mss. Pistoia, Biblioteca Comunale Forteguerriana, A.45 (Lattanzio
Placido, Commentarii in Statii Thebaida) e Firenze, BNC, Magl. XXIX 199 (Cicerone,
De legibus e Timaeus), per i quali cfr. S. Zamponi, Nello scrittoio di Coluccio Salutati. Il Lat-
tanzio Placido Forteguerriano, in Tra libri e carte. Studi in onore di Luciana Mosiici, a cura di T.
De Robertis e G. Savino, Firenze, Cesati, 1998, pp. 549-92, e il par. curato da T. De
Robertis in Ceccherini-De Robertis, ‘Scriptoria’ e cancellerie, cit., pp. 154-60.

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nale dei libri, la littera textualis: lo dimostra l’incertezza con la quale


trascrive, all’interno del testo in prosa, i versi delle tre canzoni oggetto
di commento, per i quali è adottata un’esitante textualis, con evidente
funzione distintiva. Probabilmente, neanche gli altri copisti sono a
loro agio con questa scrittura, giacché trascrivono i versi delle canzoni
nella stessa corsiva che impiegano nel testo, ingrandita nel modulo e
privata di quei fatti tipicamente corsivi (occhielli e legature), per farle
assumere il tono di una scrittura libraria (cioè resa “bastarda”).
Teresa De Robertis ha già mostrato che due copisti sono respon-
sabili anche della trascrizione di altri manoscritti, e dunque che per
loro la copia di un testo letterario non fu un’attività occasionale.19
Al copista Zanobi (mano E), che scrive in mercantesca, va assegnato
anche il ms. Firenze, BML, Pluteo 76 80, volgarizzamento delle Ad
Lucilium di Seneca, mentre a Manovelloro (mano F) va attribuito il
ms. Firenze, BM, Strozzi 166, datato 1345 e contenente il Commento
alla ‘Commedia’ (Inferno e Paradiso) di Iacomo della Lana: 20 questo Ma-
novelloro va identificato col notaio Manovello di Piero da Castiglio-
ne, di cui restano due soli documenti del 1360 e 1361, vergati in una
scrittura molto rapida e non sempre sicura, compatibile con quella
di un notaio avanti negli anni.21 A queste identificazioni possiamo
aggiungerne un’altra: nella seconda metà degli anni Venti il giovane
Manovello collaborò anche con Filippo Ceffi, notaio e traduttore di
classici, nella trascrizione della prima Deca di Livio tradotta « di fran-
ciescho in volgare fiorentino » da Filippo da Santa Croce, in quello
che oggi è il codice Oxford, BL, MS. Canon. Ital. 146, progettato e al-
lestito dal Ceffi stesso e da lui stesso trascritto quasi interamente, fatta
eccezione, appunto, per i ff. 144rb-170vb, affidati a un collaboratore
da identificarsi con Manovello.22

19. Ceccherini-De Robertis, ‘Scriptoria’ e cancellerie, cit., p. 151.


20. Per i due codici rinvio alle descrizioni di S. Bertelli in I manoscritti della letteratura
italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, cit., pp. 61 e 137 (schede nn. 29
e 106) e alla relativa bibliografia.
21. Firenze, Archivio di Stato, Diplomatico, Normali, Firenze, S. Frediano in Cestel-
lo già S. Maria Maddalena (cistercensi), 1359 marzo 22 (id. 00056691) e 1361 maggio 22
(id. 00057868). Consultabili on line all’indirizzo: ‹http://www.archiviodistato.firenze.
it/pergasfi/index.php?› (ultimo accesso marzo 2016).
22. L’identificazione di questo nuovo autografo del Ceffi e della mano di Manovello

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L’altro testimone del Convivio anteriore alla metà del Trecento


è il ms. BAV, Barb. lat. 4086 (Vb). Sulla base della filigrana (simile
a Briquet 7484, Torcello 1322-’23 con varianti simili 1322-’31) e della
scrittura, che discuteremo tra poco, il codice è databile tra la fine de-
gli anni Venti e gli anni Trenta del Trecento. Come F, anche questo
codice è un manufatto eccezionale, giacché contiene « un’antologia
esemplare per la prosa trecentesca », secondo la definizione di Luca
Azzetta.23 In questo codice infatti il Convivio (ff. 7r-49r) è preceduto
da un frammento di una traduzione in volgare della prima Deca di
Tito Livio (ff. 1r-6v) e seguito da un volgarizzamento del De amore di
Andrea Cappellano (ff. 52r-86v) e dall’Eneide volgarizzata da Andrea
Lancia (ff. 88r-110v). La particolarità dell’antologia deriva anche dal
fatto che le versioni di Livio e Andrea Cappellano sono tramandate
solo da questo codice e non sono quelle che hanno normale diffusio-
ne nel corso del Trecento.24 Diversamente da F, il ms. barberiniano è
dunque inserito all’interno di una silloge di testi volgari, tutti trascritti
da una sola mano, la quale è responsabile anche dell’allestimento del
codice. Pur rispondendo a un progetto unitario, la confezione del
ms. dovette realizzarsi in momenti diversi: a giudicare da alcune dif-

come suo collaboratore in I. Ceccherini, Autografi vecchi e nuovi di Filippo Ceffi, tra Si-
mone Peruzzi e Filippo da Santa Croce, in « Italia medioevale e umanistica », lvi 2015, pp.
99-151, in partic. pp. 124-31.
23. L. Azzetta, Un’antologia esemplare per la prosa trecentesca e una ignorata traduzione da
Tito Livio: il Vaticano Barb. lat. 4086, in « Italia medioevale e umanistica », xxxv 1992, pp.
31-85. Rinvio a questo lavoro per la descrizione del codice. La riproduzione integrale
dei fogli relativi al Convivio in F. Schneider, Il ‘Convivio’ di Dante Alighieri riprodotto
in fototipia dal codice Barberiniano latino 4086, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica
Vaticana, 1932.
24. Il testo di questa versione di Livio è stato studiato e pubblicato da Azzetta,
Un’antologia esemplare, cit., pp. 42-85. La versione di Livio piú diffusa venne compiuta da
una traduzione francese oggi perduta, come attestano i numerosi gallicismi, il colophon
del ms. Wrokław, Biblioteka Uniwersytecka, Milich ii 6 membr., f. 198r (« recato di
francesco in latino ») e una nota al f. 2v del codice Oxford, BL, MS. Canon. Ital. 146
(« di franciescho in volgare fiorentino »). Il colophon del codice di Wrokław, trascritto
nel 1348 dal notaio Biagio Seracino, assegna la paternità della traduzione al non meglio
attestato notaio Filippo da Santa Croce, che l’avrebbe compiuta il 2 marzo 1323 (o 1324,
secondo lo stile fiorentino). Sulla versione di Filippo da Santa Croce e la sua possibile
identificazione con Filippo Ceffi, a cui si deve l’allestimento e la trascrizione della
maggior parte dei fogli del codice di Oxford, si veda da ultimo Ceccherini, Autografi
vecchi e nuovi, cit.

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ferenze espressive che si rilevano nella scrittura delle quattro opere,


appare evidente che la trascrizione fu svolta in momenti distinti, an-
che se non molto lontani.
Anche Vb è un codice cartaceo e vergato in una scrittura che ri-
manda inequivocabilmente alla tradizione corsiva e, come F, fu al-
lestito secondo modelli codicologici documentari. Un’analisi paleo-
grafica si rende dunque necessaria al fine di mettere meglio a fuoco
il profilo del copista. Come molte scritture documentarie trasposte
nel libro, la scrittura di Vb appare spesso frenata nella realizzazio-
ne di quegli elementi che sono propri dello scrivere currenti calamo:
poche sono dunque le legature e le lettere sono ben individuate. A
giudicare dalla regolarità dei segni e dalla tenuta dell’allineamento,
il copista è senz’altro competente, ma colpisce la generale sobrietà
della sua scrittura, priva di artifici e abbellimenti stilistici (si osservi
per esempio la modesta estensione sotto il rigo del secondo tratto di
h, incurvato sotto il corpo della lettera). La morfologia di alcuni segni
è degna di attenzione: le f e s dall’asta raddoppiata e inclinata da destra
a sinistra; la compresenza di alcune f e s tracciate dall’alto, a partire
dall’originario secondo tratto; le aste di b, h e l tracciate secondo due
varianti, e cioè con occhielli ampi quanto il corpo della lettera oppure,
piú raramente, con un piccolo tratto di attacco collocata alla sinistra
dell’asta stessa; l’inclinazione dell’asta di d, raddoppiata ad occhiello
e quasi perpendicolare al corpo della lettera; la r in un tempo solo e
discendente sotto il rigo; la compresenza di z tracciata nella variante
che somiglia a un 3, variamente semplificata, e di ç, benché quest’ulti-
ma sia meno frequente; la morfologia di numerose e, dal primo tratto
incurvato, quasi adagiato sul rigo di base e prolungato verso l’altro, il
secondo perpendicolare e il terzo, disteso in orizzontale oltre il corpo
della lettera (la cosiddetta e “raddoppiata”); la compresenza di e in
due tratti e due tempi, col secondo tratto prolungato in orizzontale;
la g dalla sezione inferiore costituita da un occhiello spostato verso
sinistra e leggermente inclinato rispetto al corpo della lettera; l’uso
modesto dei trattini di stacco, o virgule, dopo i, m, n e u e il mancato
prolungamento verso l’alto dell’ultimo tratto di a e l.
Se da una parte questo ritratto paleografico potrà risultare utile
per l’identificazione del copista, che ancora non mi sembra di poter

391
irene ceccherini

riconoscere tra i fiorentini attivi nei libri e nei documenti del secondo
quarto del Trecento, dall’altra consente una riflessione sull’ambito
di produzione del codice. La scrittura di Vb è stata identificata come
mercantesca nel 1959 da Gianfranco Orlandelli, al quale dobbiamo le
prime osservazioni sulla diffusione di questa scrittura nel Trecento e
nel Quattrocento, fondate sostanzialmente sulle riproduzioni allora
disponibili, contenute nelle edizioni di libri di commercio e lavori
di storia economica di Armando Sapori: 25 per il Convivio Orlandelli
poteva giovarsi dunque della riproduzione in fototipia curata dallo
Schneider.26 Il profilo del copista di Vb è perfettamente compatibile
con quello di una persona che ha ricevuto la sua educazione grafica
in ambiente mercantile. Si rilevano infatti fortissimi punti di contatto
formali ed espressivi (la generale sobrietà, le aste inferiori, gli occhiel-
li di quelle superiori, la g, la r sotto il rigo, la e, l’assenza delle virgule
dopo i, m, n e u, il mancato prolungamento di a e l ) con i documen-
ti di alcuni mercanti attivi negli anni Venti e Trenta del Trecento:
ad esempio, nella scrittura di Lippo di Fede del Sega, cambiatore
fiorentino di cui si conserva un registro di ricordi di fatti contabili,
patrimoniali e personali che vanno dal 1304 al 1363;27 nella scrittura di
Francesco del Bene (morto nel 1326), membro di una famiglia attiva
nel commercio per tutto il Trecento, con un giro d’affari di medie
dimensioni, e in quella dei suoi figli Amerigo, Giovanni e Iacopo;28

25. G. Orlandelli, Osservazioni sulla scrittura mercantesca nei secoli XIV e XV, in Studi in
onore di Riccardo Filangieri, Napoli, L’Arte tipografica, 1959, pp. 445-60, in partic. alle pp.
455-56 per il ms. barberiniano.
26. Schneider, Il Convivio, cit.
27. I ricordi di Lippo si conservano a Firenze, Archivio di Stato, Manoscritti 75. Tra
il 1323 e il 1352 Lippo soggiornò in Francia, senza portare con sé il libro: le registrazioni
relative a questo periodo furono dunque aggiunte dopo il rientro a Firenze, sulla base
dei conti tenuti dalla sorella Francesca e dal cognato Bartolo Niccoli. Cfr. C.M. de la
Roncière, Un changeur florentin du Trecento: Lippo di Fede del Sega (1285 env.-1363 env.), Pa-
ris, Sevpen, 1973, e I. Ceccherini, La genesi della scrittura mercantesca. Tesi di dottorato in
Storia e tradizione dei testi nel Medioevo e nel Rinascimento (xix ciclo), curriculum
di Paleografia, codicologia e illustrazione del libro manoscritto, Università degli Studi
di Firenze, 2007, 2 voll., i pp. 244-46, ii tav. ii.45.
28. La scrittura di Francesco del Bene è documentata dai registri Firenze, Archivio di
Stato, Del Bene 24, 25 e 26, per i quali si vedano, risp., Nuovi testi fiorentini del Dugento e dei
primi del Trecento, a cura di A. Castellani, Firenze, Sansoni, 1952, 2 voll., ii pp. 703-7; A.
Sapori, L’interesse del denaro a Firenze nel Trecento (dal testamento di un usuraio), in Id., Studi

392
il convivio

nella scrittura di Vanni di ser Lotto Castellani, di cui rimane traccia


in un libro di ricordi di compere relative agli anni 1311-1354.29 In sede
libraria, si potranno rilevare somiglianze col copista del ms. Firenze,
BML, Gaddi 83, testimone del Tesoro tradotto in italiano e databile
alla metà del secolo.30
La possibilità di identificare il copista di Vb con un notaio, per
quanto remota, non può però essere del tutto esclusa. In ambien-
te notarile la definizione di un tipo grafico stilisticamente distinto
è già ampiamente documentata tra la fine del Duecento e l’inizio
del Trecento e si caratterizza per i ben noti esiti cancellereschi (aste
inferiori appuntite, aste superiori con occhielli di varie dimensioni)
che, trasposti nel libro e resi calligrafici, sono alla base del celebre tipo
dei Danti del Cento. Tuttavia, ancora negli anni Venti del Trecento,
alcuni notai portano avanti modelli piú sobri e dimessi, di origine
duecentesca. Benché nettamente minoritarie, queste realizzazioni
presentano anch’esse punti di contatto (gli stessi osservati in prece-
denza: aste, g, r, sobrietà, assenza delle virgule) con la scrittura di Vb:
sarà sufficiente in questa sede ricordare i nomi dei notai Giovanni
di Bonaventura (attestato tra il 1303 e il 1338) e il quasi omonimo,
ma distinto, Giovanni di Tura da Firenze (1315-’48).31 In definitiva,

di storia economica, cit., i pp. 223-43, alle pp. 229-30; Id., Case e botteghe a Firenze nel Trecento.
La rendita della proprietà fondiaria, ivi, i pp. 305-52; cfr. inoltre Ceccherini, La genesi, cit.,
i pp. 317-18. Per la scrittura dei figli di Francesco del Bene si vedano, oltre al registro
Del Bene 26 già ricordato, i registri Del Bene 27, 28, 29 e 31, nonché A. Sapori, Una
compagnia di Calimala ai primi del Trecento, Firenze, Olschki, 1932, in partic. p. 230; Id., I
mutui dei mercanti fiorentini del Trecento e l’incremento della proprietà fondiaria, in Id., Studi di
storia economica, cit., i pp. 191-221, e Ceccherini, La genesi, cit., pp. 320-23.
29. Si tratta del registro Firenze, Archivio di Stato, Corporazioni religiose soppresse
dal governo francese 90 (S. Verdiana), 130. Dopo la morte di Vanni (1354) la registrazio-
ne dei ricordi proseguí fino al 1383 per cura del figlio Michele. Nella sezione di Vanni
si riscontrano altre tre mani con ricordi relativi agli anni 1343-’46. Cfr. G. Ciappelli, I
Castellani di Firenze: dall’estremismo oligarchico all’assenza politica (secoli XIV-XV), in « Archi-
vio storico italiano », cxlix 1991, pp. 33-91, alle pp. 42-43, e Ceccherini, La genesi, cit., i
pp. 261-63, e ii tavv. ii.61, ii.62, ii.63.
30. I manoscritti della letteratura italiana delle Origini, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenzia-
na, cit., p. 107 (scheda n. 78) e tav. cxvii.
31. Numerosi documenti di questi due notai si conservano nel fondo Diplomatico
dell’Archivio di Stato di Firenze. Per Giovanni di Bonaventura bisognerà ricordare
almeno: Firenze, S. Maria della Badia detta Badia fiorentina (benedettini cassinesi),
1293 novembre 22 (id. 00024330, ma 1316); Firenze, S. Salvi (abbazia vallombrosana),

393
irene ceccherini

l’identificazione del copista di Vb con un notaio è possibile, ma poco


probabile: negli anni Venti e Trenta del Trecento sono ormai po-
chissimi i notai la cui scrittura è compatibile con quella del copista del
Convivio e nella maggior parte dei casi si tratta di notai già avanti negli
anni, cosa che non mi sembra si possa affermare per la mano sicura e
competente di Vb.
L’esame paleografico e codicologico della tradizione manoscritta
del Convivio ha consentito di assegnare al Trecento anche i testimoni
Ash e L4, genericamente datati da Franca Brambilla Ageno al sec.
XV e appartenenti, il primo, al subarchetipo Į, il secondo al meno
prolifico subarchetipo ȕ.
Il testimone L4, ms. Firenze BML, Pluteo 90 sup. 134, già assegnato
in precedenza al sec. XIV,32 è un codice membranaceo di buona fat-
tura, di grande formato (mm. 335 × 240), impaginato su due colonne,
vergato in littera textualis, vale a dire nella scrittura libraria tradiziona-
le, rubricato e decorato con iniziali rosse e blu filigranate. Contiene
soltanto il Convivio. L’impianto complessivo del codice, la scrittura
e la decorazione concordano con una datazione all’ultimo quarto
del Trecento. Questi dati materiali sono infatti assimilabili a quelli
dei codici prodotti nella cerchia di Coluccio Salutati,33 tra cui si po-
trà osservare l’inserimento di alcuni elementi “all’antica”, come la
M capitale accanto alla M onciale. La littera textualis di questo copista,
lontana dal modello formalizzato della rotunda dei codici universitari
e giuridici, si caratterizza per il modulo minuto, la chiara distinzione
tra corpi e aste e la generale sobrietà esecutiva: tutti fatti, questi, che
assimilano la cultura grafica di questo copista a quella di alcuni intel-

1303 ottobre 19 (id. 00028746); Maiano, S. Martino (benedettine), 1324 maggio 16 (id.
00037276). Per Giovanni di Tura da Firenze: Vallombrosa, S. Maria d’Acquabella (ba-
dia vallombrosana), 1318 dicembre 24 (id. 00034716). Per la tradizione di scritture no-
tarili sobrie e dimesse vd. Ceccherini, Le scritture dei notai e dei mercanti, cit., pp. 59-61, e
Ead., La cultura grafica dei copisti, cit., pp. 268-69.
32. Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine, Firenze, Sansoni, 1957, pp. 33-34
(L 29).
33. Cfr. T. De Robertis-S. Zamponi, Libri e copisti di Coluccio Salutati: un consuntivo, in
Coluccio Salutati e l’invenzione dell’umanesimo. Catalogo della Mostra di Firenze, Bibliote-
ca Medicea Laurenziana, 2 novembre 2008-30 gennaio 2009, a cura di T. De Robertis,
G. Tanturli, S. Zamponi, Firenze, Mandragora, 2008, pp. 345-63.

394
il convivio

lettuali trecenteschi, come Filippo Ceffi, Andrea Lancia, Giovanni


Boccaccio, Coluccio Salutati.34
L’altro testimone da assegnare al Trecento è il codice Firenze,
BML, Ashburnham 842. Come L4, appena descritto, contiene soltan-
to il Convivio, ma per quanto riguarda i dati materiali si tratta di un
manufatto radicalmente diverso: di fattura piú modesta, dimensioni
minori (mm. 295 × 215), cartaceo, vergato in una scrittura corsiva abi-
le ma disimpegnata, nella quale possiamo agevolmente riconoscere
il modello della mercantesca. La carta impiegata nei fascicoli reca
due tipi di filigrane, entrambe attestate alla fine degli anni Ottanta,35
e anche la scrittura concorda con questa datazione. In particolare,
propongo di mettere a confronto la scrittura del testimone Ash del
Convivio con quella del ms. Firenze, BR, 1023, testimone dell’Otti-
mo (Inferno), cartaceo, di dimensioni identiche, datato 1380 (al f. 171v:
« Explicit, anno mccclxxx scrittus ») e poi posseduto da Goro Dati.36
La mercantesca dei due codici presenta profonde affinità sia nella
forma dei segni grafici (specie quelli complessi, come g, la nota tiro-
niana 7, la x), sia nella gestione dello spazio scritto (proporzioni tra
corpo e aste, bianco interlineare, separazione delle parole). Tali so-
miglianze non documentano soltanto la prossimità cronologica dei
due codici, ma sono tali da far avanzare l’ipotesi dell’identità di mano.

34. Queste sono le caratteristiche della scrittura testuale del Ceffi secondo De Ro-
bertis, Scritture di libri, cit., p. 26. Per il Lancia si veda Ceccherini, La cultura grafica di
Andrea Lancia, cit., pp. 365-67; per Boccaccio M. Cursi, La scrittura e i libri di Giovanni
Boccaccio, Roma, Viella, 2013, e T. De Robertis, Il posto di Boccaccio nella storia della scrit-
tura, in Boccaccio letterato. Atti del Convegno internazionale di Firenze-Certaldo, 10-12
ottobre 2013, a cura di M. Marchiaro e S. Zamponi, Firenze, Accademia della Crusca,
2015, pp. 145-70; per Salutati T. De Robertis, Salutati tra scrittura gotica e ‘littera antiqua’,
in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo. Atti del Convegno internazionale di Fi-
renze, 29-31 ottobre 2008, a cura di C. Bianca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
2010, pp. 369-99.
35. Nei fascicoli 1, 2, 5 e in alcuni bifogli del fasc. 6 filigrana (arco) assimilabile al n.
123527 (Barcellona 1387) della collezione Piccard Collection, Landesarchiv Baden-Württ-
emberg, Hauptstaatsarchiv Stuttgart (‹http://www.piccard-online.de›); nei fascicoli 3,
4 e in alcuni bifogli del fasc. 6 filigrana (lettera M sormontata da un braccio che termi-
na con croce latina) assimilabile al nr. 28884 (Firenze 1387) della Piccard Collection.
36. I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, ii. Mss. 1001-1400, a cura di T.
De Robertis e R. Miriello, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 1999, p. 6 (scheda
n. 7) e tav. vii.

395
irene ceccherini

Che la stessa persona si interessi al Convivio e all’Ottimo è fatto nuo-


vo, e spero che possa dare qualche spunto di riflessione a chi voglia
approfondire la circolazione e la fortuna del testo dantesco alla fine
del Trecento.
I codici Ash e L4 documentano che alla fine del Trecento la for-
ma-libro del Convivio si era ormai differenziata da quella dei piú anti-
chi testimoni. Se infatti, prima della metà del secolo, il Convivio sem-
bra essere un testo prodotto e letto in ambiente mercantesco, con
collaborazione notarile (Vb e F), alla fine del Trecento il pubblico
dei lettori si è evidentemente allargato. L’opera dantesca continua
ad essere attestata in ambiente mercantile (Ash) e conquista anche la
forma e la dignità del libro tradizionale (L4), secondo modelli, come
si è detto, vicini a quelli della cerchia del Salutati. D’ora in avanti, la
tradizione materiale dei codici del Convivio si caratterizza per questa
doppia forma, una piú corrente, l’altra piú formale, con cui l’opera
dantesca è trascritta.
Per una prima analisi della produzione e diffusione del Convivio
nel Quattrocento gioverà dunque passare in rassegna alcuni fatti co-
dicologici. L’esame comparato di formato e mise en page non rivela
nessuna peculiarità, né di un ramo né di un gruppo di testimoni vicini
per il testo. Per il Convivio non si assiste, insomma, a quello che, com’è
noto, si è verificato nel Trecento per la Commedia, e in particolare per
i Danti del Cento, dove la tradizione del testo ha trovato corrispon-
denza nella sua forma materiale.37 Quanto al formato, anche se han-
no dimensioni differenti, tutti i testimoni sono classificabili come co-
dici di taglia media.38 L’impaginazione a due colonne ricorre, com’è
ovvio, soprattutto nei codici piú grandi e, forse significativamente,
caratterizza quasi tutti i testimoni del gruppo a. Solo quattro codici
(Ash, Mc1, L6, F), due dei quali trecenteschi (Ash e F), adottano una

37. Rinvio, anche per la bibliografia pregressa, ai lavori di M. Boschi Rotiroti,


Codicologia trecentesca della ‘Commedia’. Entro e oltre l’antica Vulgata, Roma, Viella, 2004, e di
S. Bertelli, La tradizione della ‘Commedia’ dai manoscritti al testo, i. I codici trecenteschi, entro
l’antica Vulgata, conservati a Firenze, Firenze, Olschki, 2011.
38. Sono manoscritti di taglia media quelli il cui semiperimetro è compreso tra mm.
341 e 540: cfr. C. Bozzolo-E. Ornato, Pour une histoire du livre manuscrit au Moyen Âge.
Trois essais de codicologie quantitative, Paris, Éditions du Cnrs, 19832, pp. 217-18, e I mano-
scritti della letteratura italiana delle Origini. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, cit., p. 9.

396
il convivio

scrittura diversa, di modulo piú grande, per evidenziare le citazioni


dei versi delle canzoni all’interno della prosa dei trattati, mentre la
maggior parte dei testimoni ricorre a rubricature, sottolineature e ri-
tocchi alle maiuscole; solo in sette casi le citazioni non sono segnalate
(F2, L1, L3, Mgl, Pal, Pal1, Pc). Quanto al supporto, infine, solo dieci
codici sono membranacei (Cap, F2, H, L3, L4, Ma, Pn, Pn1, Sd, Vu);
tutti gli altri sono cartacei.
La scrittura è il dato materiale piú eloquente. Si osserverà innanzi-
tutto che nel Quattrocento il Convivio è trascritto in tutte le tipologie
grafiche che caratterizzano la produzione libraria del tempo, e in
particolare quella fiorentina, che ci interessa piú da vicino. La situa-
zione è grosso modo tripartita: prosegue la tradizione in mercante-
sca; altri codici sono vergati nella cosiddetta bastarda, vale a dire una
scrittura di origine documentaria la cui base corsiva è stilisticamente
non connotata; un ultimo gruppo di codici è in scrittura umanistica,
sia nella variante piú formale (littera antiqua) sia nella variante corsiva:
anche in quest’ultimo caso, tuttavia, la scrittura è comunque ele-
gante e calligrafica. Come è normale aspettarsi per codici prodotti
dal secondo quarto del Quattrocento in avanti, è assente la littera
textualis, la cui funzione di scrittura libraria per eccellenza è stata
“assorbita” dalla scrittura umanistica, formale o corsiva.39 Le diverse
tipologie grafiche sono variamente distribuite nello stemma, con
una coincidenza tra le realizzazioni piú formali (in scrittura umani-
stica, in littera textualis e in una bastarda decisamente calligrafica) e il
subarchetipo ȕ.
Nel Quattrocento, dunque, il Convivio è concepito sostanzialmen-
te in due modi: da una parte come libro di studio, di aspetto dimesso,
vergato in una scrittura corsiva, spesso di tradizione mercantesca;
dall’altra come libro di apparato o comunque di lusso. Un esempio
di questa seconda situazione sono il ben noto codice di dedica per
Alfonso d’Aragona confezionato intorno al 1468 da Tommaso Bal-

39. Sono in scrittura umanistica, formale o corsiva, i codici: Bd, Cap, H, L2, L3, Ma,
Mc, Mi, Pal2, Pn, Pn1, Pr, Sd, V, Vg, Vu. Sono in scrittura mercantesca i codici: Ash, Br,
Can, F1, L1, L5, La, Ott, Pal, Pal1, R2, R3, Sd1, Tr, V1. Sono in scrittura bastarda i codici:
Br1, F2, L, Mgl, L6, Pc, R, R1.

397
irene ceccherini

dinotti (Sd);40 un altro esempio è il codice Oxford, BL, MS. It. d. 5,


cartaceo e di aspetto piú dimesso, ma comunque riferibile al modello
del libro di apparato. Di per sé, questo dato non è sorprendente, giac-
ché sono molti i testi che nel Quattrocento sono trasmessi secondo
questa duplice forma.41 Per rimanere in ambito dantesco, sarà inte-
ressante osservare che su un totale di 594 codici riferibili al Quattro-
cento, i codici della Commedia in littera antiqua sono soltanto 80, vale
a dire poco piú del 13%, mentre quelli del Convivio sono circa il 33%,
come abbiamo appena detto.42 Altrettanto sorprendente, tuttavia, è
la constatazione che un altro terzo dei testimoni quattrocenteschi del
Convivio è in mercantesca. Mi riservo di approfondire questo tema
con un esame piú accurato dei codici e una piú precisa definizione
dell’ambito di produzione e in questa sede mi limito a una riflessione
sull’associazione tra mercantesca e Convivio. I dati in nostro posses-
so rivelano che la scrittura di molti copisti dei due mss. piú antichi
rimanda alla tradizione grafica mercantesca, che uno dei due codici
della fine del Trecento è in mercantesca e che un terzo dei codici del
Quattrocento è in mercantesca. Di fronte a questa situazione, non si
può fare a meno di chiedersi se l’ambiente dei mercanti possa aver
costituito un terreno privilegiato per la diffusione del Convivio, quasi
una specie di filo rosso tra i lettori del Trecento e la ben piú fortunata
tradizione quattrocentesca.
Per tentare di dare delle prime risposte, sarà opportuno conside-
rare i codici dell’opera dantesca in rapporto al resto della produzione
libraria del tempo e, in seconda battuta, valutare che cosa significhi
scrivere in mercantesca nel Quattrocento. Grazie ai 9 cataloghi del-
la collana Manoscritti Datati d’Italia relativi ad alcune biblioteche
fiorentine,43 possiamo stimare che su 1234 codici quattrocenteschi,

40. Cfr. T. De Robertis, Il copista, in Società Dantesca Italiana. Manoscritto n. 3, Città di


Castello, Edimond, 1997, pp. xix-xxiv.
41. Per un censimento sulle tipologie grafiche in uso nel sec. XV vd. T. De Ro-
bertis, Aspetti dell’esperienza grafica del Quattrocento italiano attraverso i ‘Manoscritti Datati
d’Italia’, in « Aevum », lxxxii 2008, pp. 505-22.
42. Per la Commedia i dati si ricavano da S. Bertelli, La ‘Commedia’ all’antica, Firenze,
Mandragora, 2007, p. 15.
43. Cfr. i seguenti volumi, tutti editi a Firenze da Sismel-Edizioni del Galluzzo:
I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, i. Mss. 1-1000, a cura di T. De

398
il convivio

ben 251 (il 20%) sono vergati in mercantesca “pura” oppure in una
scrittura che denuncia grande familiarità con la mercantesca.44 Nel
Quattrocento dunque questa scrittura costituisce un tipo grafico già
codificato, che ha assunto la dignità di scrittura anche libraria ed è
utilizzata non soltanto da illetterati o “copisti per passione”, ma an-
che da professionisti della scrittura. Nel Quattrocento fiorentino, in
definitiva, la mercantesca è scrittura comune per i testi in volgare e il
Convivio non fa eccezione.
Bisogna però ammettere che la percentuale dei codici del Convivio
in mercantesca è superiore alla media (il 33% contro il 20%). Allo
stesso tempo, si dovrà però fare attenzione a qualsiasi associazione
automatica tra il tipo di scrittura e il profilo sociale e culturale del
copista, giacché mercantesca, in quanto scrittura dell’uso quotidiano,
nel libro tende spesso a ibridarsi con scritture di altra tradizione, spe-
cie umanistica. Si dovrà inoltre ricordare che, nella Firenze degli anni
sessanta del Quattrocento « si fa luce una vulgata del Convivio rinno-
vata a fondo », frutto di « un’attività filologica di riscoperta e accerta-
mento »,45 di cui sono testimoni datati proprio i manoscritti del grup-
po b del ramo Į, tutti in mercantesca: Can, copiato da Filippo Benci;
R2, copiato nel 1461 da Pierozzo di Domenico Del Rosso; Ott, datato
1462 e di mano di Matteo Lachi e R3, copiato dai fratelli Marabottino
e Antonio Manetti. La scelta della mercantesca non va dunque neces-
sariamente interpretata come spia di scarsa cultura del copista. Se ce

Robertis e R. Miriello, 1997; I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, ii.
Mss. 1001-1400, cit.; I manoscritti datati del Fondo Conventi Soppressi della Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze, a cura di S. Bianchi et al., 2002; I manoscritti datati del fondo Palatino
della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, a cura di S. Bianchi, 2003; I manoscritti datati
del fondo Acquisti e Doni e dei fondi minori della Biblioteca Medicea Laurenziana, a cura di L.
Fratini e S. Zamponi, 2004; I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, iii.
Mss. 1401-2000, a cura di T. De Robertis e R. Miriello, 2006; I manoscritti datati della
Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, i. Plutei 12-34, a cura di T. De Robertis, C. Di
Deo, M. Marchiaro, 2008; I manoscritti datati della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze,
iii, a cura di S. Pelle et al., 2011; I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, iv.
Mss. 2001-4270, a cura di T. De Robertis e R. Miriello, 2013.
44. Per questa analisi rinvio a I. Ceccherini, Per una storia della mercantesca attraverso
i manoscritti datati, in Catalogazione, storia della scrittura, storia del libro. I ‘Manoscritti datati
d’Italia’ vent’anni dopo, a cura di T. De Robertis e N. Giovè Marchioli, Firenze, Si-
smel-Edizioni del Galluzzo, i.c.s.
45. Gorni, Appunti sulla tradizione, cit., p. 12.

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irene ceccherini

ne fosse ancora bisogno, si può portare come ulteriore esempio il


Convivio terminato di scrivere nel 1470 da Piero di Ottaviano Gerini
da Firenze (Sd1). Il testo dell’opera dantesca è sí in mercantesca, ma la
sottoscrizione e le note nella guardia iniziale denunciano una chia-
ra ed inequivocabile educazione grafica umanistica, evidentemente
della stessa mano. Probabilmente la mercantesca è per Piero Gerini
la scrittura con cui si sente piú a suo agio per scrivere rapidamente un
intero codice, ma non è la sola scrittura conosciuta. In definitiva, se è
innegabile che ci sia un rapporto stretto tra il Convivio e la mercante-
sca, esso è meno scontato di quanto possa sembrare a una prima ana-
lisi e le ragioni di questo sodalizio necessitano di essere indagate piú
a fondo.

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