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Gabriele d’Annunzio

Gabriele d’Annunzio è il primo intellettuale a intuire le potenzialità dei mezzi di


comunicazione di massa e a percepire gli ingranaggi del sistema editoriale, cogliendo e spesso
anticipando le esigenze di un pubblico sempre più variegato. D’Annunzio lancia infatti ogni
iniziativa con sfrenato esibizionismo e con uno spirito pubblicitario e imprenditoriale,
promuovendo l’immagine del genio che si sente indifferente alla moralità comune e aspira a
una vita inimitabile, superiore a quella del ceto piccolo borghese. Il poeta reagisce dunque
alla perdita di identità subita dalla figura dell’intellettuale nella moderna società di massa,
riproponendo una concezione tradizionale della poesia come valore assoluto, strumento di
libertà e di conoscenza nel mondo, e del poeta come esteta raffinato. Egli trasforma il senso di
disadattamento e alienazione percepito da altri letterati in un culto della bellezza mitica e
accessibile a pochi eletti. Il personaggio dell’esteta che si isola dalla realtà della società
borghese contemporanea in un mondo sublimato di pura arte e bellezza rappresenta una
risposta ideologica ai processi sociali che erano in atto nell’Italia postunitaria e che tendevano
a declassare ed emarginare l’artista, togliendogli quindi quella posizione privilegiata di cui
aveva goduto nelle epoche precedenti, oppure lo costringevano a subordinarsi alle esigenze
della produzione e del mercato. Tuttavia, d’Annunzio non si accontenta di sognare
rifugiandosi nella letteratura, ma assume e descrive il personaggio dell’esteta, colui che si pone
al di fuori della società borghese e fa rivivere una condizione di privilegio all’artista che era
propria di epoche passate e che sembrava definitivamente tramontata. Per d’Annunzio
l’Estetismo era in primo luogo culto della sensazione, cioè esaltazione di ciò che ricade nella
sfera dei sensi, della corporeità e dell’istinto. Come gli altri scrittori decadenti, il poeta tende
a degradare quanto era per i romantici il sentimento e il desiderio di assoluto in quanto tutto
si riduce e si banalizza: la sensazione diviene l’unico criterio per conoscere la realtà.
L’Estetismo è per D’Annunzio anche panismo e vitalismo. Il culto della sensazione tende
infatti a collocare la vita dell’uomo dentro la vita della natura, assimilando l’uno e l’altra in
una visione metamorfica e panica. Infine, Estetismo è assenza di gerarchie. Per il poeta,
infatti, l’esteta si pone allo stesso livello delle cose: il mondo in cui si aggira non ha più
ordine né gerarchia, pare frantumarsi in una miriade di oggetti e quindi di sensazioni. La
realtà non la si può capire, ma solo assaporare. Da ciò deriva la frammentarietà dell’arte
dannunziana, spesso affidata a fugaci impressioni, a suggestioni che assumono cadenze
musicali. Dunque, secondo tali principi, bisognava fare della propria vita un’opera d’arte. Essa
rappresenta il valore supremo a cui sono subordinati tutti gli altri valori. La vita quindi si
sottrae alle leggi del bene e del male e si sottopone solo alla legge del bello, trasformandosi in
opera d’arte. Tuttavia, ben presto d’Annunzio si rende conto che l’esteta non ha la forza di
opporsi realmente alla borghesia in ascesa, la quale a fine secolo si avvia sulla strada
dell’industrialismo, del capitalismo monopolistico e dell’imperialismo. Egli avverte tutta la
fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti brutali: la condizione privilegiata
dell’esteta diviene dunque sterilità e impotenza e il culto della bellezza si trasforma in
menzogna. Tale esperienza è rappresentata dal primo romanzo scritto da d’Annunzio, Il
piacere. Al centro dell’opera si pone la figura di Andrea Sperelli, un giovane aristocratico che
cerca di fare della propria vita un’opera d’arte. Tuttavia, tale volontà diviene una forza
distruttrice che lo priva di ogni energia morale, lo svuota e lo isterilisce. L’eroe è inoltre
diviso tra due immagini femminili: Elena Muti, la donna fatale che incarna l’erotismo, e
Maria Ferres, la donna pura che rappresenta un’occasione di elevazione spirituale. Nei
confronti di questa doppia visione, il poeta assume un atteggiamento critico, facendo
pronunciare al narratore giudizi nei confronti dei personaggi. Se da un lato, d’Annunzio
risente degli influssi del realismo ottocentesco, dall’altro subisce l’influenza delle tendenze che
erano in voga in quegli anni. Per questo motivo, D’annunzio mira soprattutto a creare un
romanzo psicologico, in cui, più che gli eventi esteriori del racconto, contano i processi
interiori del personaggio e alla trama di eventi e oggetti, nella loro concretezza materiale, si
sovrappone un’altra trama simbolica.
Un ritratto allo specchio: Andrea Sperelli ed Elena Muti
Il passo è tratto dal secondo capitolo del libro Il piacere e descrive la difficoltosa relazione tra
Andrea Sperelli ed Elena Muti. Quest’ultima sceglie di troncare improvvisamente la relazione
e scompare; ma, quando ritorna, Andrea capisce che per non cadere in rovina economica la
donna ha dovuto sposare un ricco inglese. Disgustato da tale scelta, assalito dal terrore che
Elena è toccata dalle mani immonde del marito, egli delinea un ritratto della donna amata
mettendone in evidenza tutte le caratteristiche negative, e al tempo stesso, traccia un quadro
di sé stesso altrettanto spietato. La prima parte del brano è un discorso interiore del
personaggio, condotto in forma indiretta libera. Tuttavia, il narratore sceglie di introdurre
anche la sua prospettiva, manifestando un atteggiamento critico verso Andrea, il quale, a sua
volta vede con grande lucidità dentro la propria anima. Nella prima parte del romanzo, l’eroe
cerca sempre di sovrapporre alla sua vita costruzioni estetiche: ogni cosa, come paesaggi
naturali, situazioni, volti e gesti richiamano a opere famose che richiamano all’Estetismo. Ma,
ben presto, Andrea si rende conto che in lui, come in Elena, si nascondono i bisogni erotici
della carne. È proprio questo il momento in cui l’immagine dell’esteta entra in crisi e il poeta
cerca di prenderne le distanze, denunciandone le mistificazioni e debolezze.
I romanzi del superuomo
Ben consapevole dei processi in atto che declassano l’intellettuale, d’Annunzio non si piega
ad accettare tale sorte, ma ambisce a rovesciarla, a ritrovare quindi un ruolo sociale. Si pone
quindi il compito di profeta di un ordine nuovo in quanto l’artista mediante la sua attività
intellettuale può porre fine al caos del liberalismo borghese, della democrazia e
dell’egualitarismo. Per questo motivo si scaglia violentemente contro la realtà borghese del
nuovo Stato unitario, in cui il trionfo dei principi democratici ed egualitari contaminano il
senso della bellezza. Viene proposta una nuova aristocrazia che sappia elevarsi a forme
superiori di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed eroica. Ispirandosi
al pensiero di Nietzsche, che rifiutava il conformismo borghese ed esaltava lo spirito
dionisiaco, d’Annunzio crea il mito del superuomo, un individuo che si pone al di sopra della
massa e che strappa la nazione alla sua mediocrità avviandola verso destini imperiali, proprio
come l’antica Roma. Il nuovo personaggio del superuomo creato da d’Annunzio, non nega
l’immagine dell’esteta ma la ingloba in sé. Il culto della bellezza diventa quindi essenziale nel
processo di elevazione di pochi eletti: in tal senso, l’estetismo non si accontenta più di
vagheggiare la bellezza in una dimensione lontana dalla vita sociale, ma si adopera per
imporre attraverso essa il culto di un’élite.
Il Trionfo della morte
Il quarto romanzo di d’Annunzio, Il Trionfo della morte, rappresenta una fase di transizione
dall’estetismo al superomismo. Il protagonista è un esteta, Giorgio Aurispa, il quale è afflitto
da una lunga malattia interiore che va continuamente alla ricerca di un nuovo senso da dare
alla propria esistenza, sperando di raggiungere l’equilibrio e la pienezza. Il suo tormento
interiore si aggrava ancora di più nell’ambiente familiare a causa dei rapporti tormentati che
ha con il padre. Egli decide dunque di cercare l’equilibrio in un villaggio abruzzese assieme
alla donna amata, Ippolita. Qui se da un lato viene affascinato dalla riscoperta delle sue origini
primordiali, dall’altro prova disgusto nei confronti di un mondo così barbaro e primitivo. I
suoi drammi interiori non si affievoliscono ma, al contrario, prendono vita nella figura della
donna amata, poiché la lussuria consuma tutte le energie e impedisce a Giorgio di agire nella
società. Per questo motivo, alla fine si suicida. Il suo suicidio è però simbolico per lo stesso
scrittore perché è come se uccidesse il proprio alter ego e facendolo può lasciarsi alle spalle
tutte le problematiche che aveva trattato fino ad allora per passare alla ricerca di una nuova
figura di intellettuale, più adatto a imporsi nella società dell’epoca.
Le vergini delle rocce
In Le vergini delle rocce, d’Annunzio non vuole più proporre un personaggio debole e
tormentato ma un eroe forte e sicuro che ha il coraggio di inseguire la meta che si è
prefissato. Il romanzo, definito come il manifesto politico del Superuomo, ha come
protagonista l’eroe Claudio Cantelmo, un uomo stanco della realtà borghese contemporanea
che vuole portare a compimento l’ideale tipo latino e generare il superuomo, il futuro re di
Roma che guiderà l’Italia a destini imperiali. Per questo, l’eroe va alla ricerca della donna con
cui generare il futuro superuomo in una famiglia della nobiltà borbonica, che vive isolata in
una villa ormai in sfacelo. In questo scenario di decadenza, disfacimento e morte l’eroe cerca
colei che dovrà essere la sua compagna fra le tre figlie del principe Montaga. Ma tale scelta
nasconde un significato più profondo: dietro ai propositi vitalistici, eroici e trionfali si cela
una vera e propria attrazione per la decadenza e la morte. Inizialmente, l’eroe sceglie
Anatolia, colei che possiede la maestà e la forza interiore di una regina. Ma questa non può
seguire l’eroe perché deve occuparsi della famiglia. Così l’eroe sceglie Violante, colei che
rappresenta l’incarnazione della donna fatale, immagine di un Eros perverso, distruttivo e
crudele. Alla fine del romanzo, tutti i protagonisti restano deboli e sconfitti, incapaci di
tradurre le loro aspirazioni in azioni concrete e imporsi nella società dell’epoca.
Il programma politico del superuomo
Il programma politico del superuomo è un passo che appartiene alla prima parte del romanzo
“Le vergine delle rocce” e la voce narrante è quella del protagonista stesso, Claudio
Cantelmo. Il passo, tuttavia, non ha un’impostazione narrativa ma assume i caratteri di
un’orazione profetica. Il linguaggio, pertanto, è aulico e prezioso, fa uso di metafore,
paragoni, interrogative retoriche e esclamazioni. Tale orazione mira a proporre il programma
politico del superuomo. Cantelmo è ancora un esteta, proprio come gli eroi che l’hanno
preceduto, ma vuole essere anche un uomo d’azione. L’artista per d’Annunzio non deve più
isolarsi dal mondo nel culto dell’arte, non deve più isterilirsi nella contemplazione impotente:
deve gettarsi nella lotta, finalizzare la sua elevazione spirituale di un individuo superiore alla
trasformazione della realtà, modellando sul suo ideale di bellezza e forza. L’estetismo dunque
non è negato, ma recuperato e inserito in una struttura ideologica nuova, che ne muta
funzione e significato. Il programma presentato è preceduto da una parte negativa, in cui il
protagonista delinea la realtà sociale a cui intende opporsi con la sua azione. La realtà
borghese contemporanea è una realtà caratterizzata dallo spirito affaristico e dall’ossessione per
il denaro. Il protagonista respinge inoltre i principi egualitari che avevano guidato la
borghesia dalla Rivoluzione francese in poi, sostenendo che essi minacciano di appiattire
l’umanità; di contro, egli rivendica il privilegio di pochi eletti, gli aristocratici, i quali hanno
ereditato dagli avi ciò che la borghesia non potrà mai avere, il gusto della bellezza e la forza
feroce. Lo Stato deve quindi essere l’istituzione che favorisce l’elevazione di una classe
privilegiata verso una superiore forma di esistenza. Per questo motivo, bisogna riportare i
plebei nella loro naturale condizione di schiavi. Bisogna ridare a Roma una potenza imperiale
che la porti di nuovo a dominare il mondo. Il mito di Roma sarà poi ereditato dal Fascismo,
il movimento di cui d’Annunzio sarà il massimo esponente. In tal senso, gli intellettuali
devono inserirsi in questo contesto dando un contributo essenziale alla società. Non devono
quindi limitarsi a rimpiangere il passato, ma devono usare la parola poetica per creare un
mondo in cui la bellezza possa di nuovo vivere nella realtà. Il protagonista, Cantelmo, si pone
un triplice obiettivo: portare nella sua persona i caratteri della stirpe latina, trasmettere tali
ideali in un figlio, che sarà poi il superuomo, colui che dovrà guidare Roma ai futuri destini
imperiali. Il programma politico del superuomo ha radici nella realtà sociale e culturale
italiana: in quel periodo c’erano molti conflitti sociali che il governo cercava di contrastare
con estrema violenza. Per questo motivo, d’Annunzio ebbe una forte influenza sul ceto
medio che era rimasto deluso dal compimento dell’Unità, dalla staticità della realtà sociale in
contrapposizione alla dinamicità del capitalismo dei paesi stranieri.
D’Annunzio e il Fascismo
Grazie alla parola poetica, D’Annunzio fu il cantore della vita politica del Paese in quanto fu
il primo a promuovere presso i lettori un’ideologia anti-giolittiana e anti-parlamentarista,
anticipando così i due presupposti fondamentali del Fascismo. Molti motivi dannunziani
(come l’imperialismo coloniale, l’esaltazione della forza, il mito della potenza, incarnata nel
superuomo) saranno infatti sfruttati dal regime fascista nella sua ricerca del consenso presso
l’opinione pubblica piccolo borghese. Fu d’Annunzio, in Italia, il primo a promuovere quel
processo di estetizzazione della politica, diventando il modello della comunicazione diretta
stabilita dal regime fascista con le masse. Sul piano storico, con l’impresa di Fiume diede
l’esempio di come una piccola fazione potesse sovvertire le istituzioni, alleandosi con gli
ambienti militari e industriali più agli slogan del patriottismo e del combattentismo. Dopo
l’impresa fiumana, l’ascesa di Mussolini fermò il sogno di d’Annunzio che voleva diventare la
guida di una rivolta nazionale contro il crescere dei movimenti di sinistra e le lotte sociali.
Nel 1922 d’Annunzio cercò di favorire la pacificazione nazionale, organizzando un incontro
al Vittoriale tra Francesco Saverio Nitti e Mussolini che però fallì. Dopo la marcia su Roma,
D’Annunzio rimase quindi diffidente verso Mussolini, il quale da parte sua lo temeva per la
fama e il carisma di cui godeva presso un ampio pubblico; in particolare lo scrittore non
accettò mai l’alleanza italo-tedesca. Tuttavia, lasciò che il fascismo sfruttasse il prestigio del
suo nome facendosi relegare ai margini, confinato nella sua villa-museo di Gardone tra le
glorie della nazione italiana.

Alcyone
Alcyone è il terzo libro del ciclo poetico delle Laudi. Nel libro, d’Annunzio intende
celebrare l’estate nella sua evoluzione, dalla fine della primavera all’apparire dell’autunno. Il
poeta torna quindi a sviluppare il motivo del panismo, cioè la fusione dell’Io con la natura.
L’Io del poeta si fonde con il fluire della vita e con il Tutto, si identifica con i vari elementi
della natura e si potenzia all’infinito, raggiungendo una condizione divina. L’opera è quindi
una manifestazione del superomismo in quanto il poeta non rinuncia ad essere superiore: la
fusione tra l’elemento umano e quello naturale rappresenta un evento quasi soprannaturale,
capace di collocare il poeta in una dimensione sovrumana di contatto con la natura, di cui
diventa parte integrante. Tra i fili conduttori dell’opera ci sono dunque l’esaltazione della
forza vitale del Superuomo e l’ulissismo, il desiderio di chi intende vivere ogni tipo di
esperienza superando ogni limite. Il poeta ambisce ad assumere il ruolo di interprete di Pan e
a esprimere l’armonia misteriosa che vive e palpita nell’universo. In questo senso, d’Annunzio
ripropone la figura del poeta orfico che sa comprendere e rivelare l’essenza più profonda della
natura. Dal punto di vista formale, l’opera è caratterizzata da una grande musicalità: la parola
viene privata dalla sua funzione referenziale e considerata semplicemente come una sostanza
fonica, cioè come un suono che rimanda ad un significato che va oltre la realtà. Il linguaggio
è quindi analogico, fondato sull’uso continuo di immagini che si collegano tra loro.
La pioggia nel pineto
La poesia è ispirata a una passeggiata senza meta in compagnia della donna amata Ermione,
lungo una pineta del litorale pisano. La poesia ha un’evidente struttura musicale: le quattro
strofe sono organizzate come movimenti di una sinfonia. Al centro di tutta la poesia si pone il
tema panico della fusione con la natura: mentre vagano nel paesaggio naturale
completamente estraniati dal resto del mondo e immersi nei suoni, il poeta e la compagna si
svestono dei panni umani e iniziano un processo di trasformazione verso una forma di vita
vegetale che si attua in crescendo; i loro volti divengono silvani (v.21), l’anima schiude (v.27)
pensieri come fiori, fino a che la loro comunione con la natura non è completa. La loro
identità, infatti, non è più umana, essendosi dissolta in una metamorfosi panica che li ha
investiti completamente, coinvolgendo la dimensione fisica e quella psichica. Il poeta e la
donna sono viventi d’arborea vita, il volto della donna è molle di pioggia/come una foglia, i
capelli profumano come ginestre, Ermione è una creatura terrestre che scaturisce dalla terra
come la vegetazione. Abbattuta definitivamente ogni barriera tra l’io e la natura, l’ultima
strofa sancisce il compimento dell’identificazione: il cuore delle creature è come
pesca/intatta, gli occhi sono come polle tra l’erbe, i denti come mandorle acerbe. Il poeta
può finalmente attingere al mistero dell’universo, immergendosi nella profondità arcana della
natura. L’esperienza della metamorfosi è evocata quindi come il compimento di una favola
bella (vv.29 e 125), un’avventura purificatrice che li libera dalla civiltà e permette loro di
ascendere a un altro piano, quello dell’estasi dei sensi e della sensazione dell’annullamento nel
fluido e nella linfa degli alberi. Tuttavia, il panismo d’annunziano coincide sempre con
l’affermazione di un privilegio riservato a creature superiori. Le parole più nuove (v.5)
pronunciate da gocciole e foglie (v.6) possono essere udite solo dallo spirito eletto che è in
grado di decifrarle e celebrarle. La sensibilità musicale della poesia è espressa innanzitutto dalla
metrica che è libera e quindi permette di riprodurre la pluralità innumerevole di presenze e
voci che si affollano nella pineta sotto la pioggia. Altro elemento è l’anafora del verbo piove,
ripetuto per ben sei volte; la musicalità delle parole è accentuata dagli effetti fonici prodotti
dalle allitterazioni (per esempio, piove su i pini, v.12; verde vigorrude, v.112, al pianto il
canto/delle cicale/che il pianto australe, vv. 41-43).

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