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Luca Peloso

bibliografia Simone Aurora


Deleuze, Guattari e le macchine semiotiche*
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2003 Le rose e i quaderni. Il pensiero dialogico di An- 1991 Saggi linguistici, vol. II, Milano, Unicopli.
tonio Gramsci, Roma, Carocci. 2009 Teoria del linguaggio. Résumé, a cura di Ga- Gilles Deleuze e Félix Guattari non sono dei linguisti; non lo sono, perlomeno,
lassi, Zorzella, Vicenza, Terra Ferma. nel senso ordinario che il termine linguista assume nel linguaggio scientifico e nel-
CERRONI, U.
1978 Lessico gramsciano, Roma, Editori Riuniti. IVES, P.
la geografia delle discipline. Solitamente, i loro nomi non compaiono neanche nel
2004 Language and Hegemony in Gramsci, London, campo delle ricerche semiotiche o di filosofia del linguaggio ‘puramente’ intese.
DELEUZE, G. Pluto Press. Tuttavia, pur lavorando essenzialmente da filosofi2, essi fanno largo uso di termi-
2004 L’immagine-tempo, Milano, Ubulibri. ni, categorie e strutture, che riprendono, direttamente o indirettamente, da appa-
2005 Qu’est-ce que la philosophie?, Paris, Les édi- JUNG, C.G.
tions de minuit. 1996 Tipi psicologici, Torino, Bollati Boringhieri. rati concettuali appartenenti alla linguistica o alla semiotica, tanto da permettere
ad alcuni critici3 di attribuire esplicitamente, ai due filosofi francesi, l’elaborazione
DE MAURO, T. KANT, I. di una vera e propria teoria4 semiotica5.
1987 Questione della lingua in Italia in AA.VV. 1992 Saggio sulle malattie della mente, Como-Pavia,
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*
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1993 La ricerca della lingua perfetta, Roma-Bari, ma-Bari, Laterza. MP Deleuze, Guattari 2006
Laterza.
2005 Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, MARX, K. 1
Devo ringraziare, per la stesura del presente lavoro, il professor Gaetano Rametta dell’Università
Bompiani. 2005 Manifesto del partito comunista, Roma-Bari, di Padova, il cui supporto e le cui indicazioni sono stati fondamentali. Per quanto riguarda i con-
2007 Dall’albero al labirinto, Milano, Bompiani. Laterza. tenuti, mi assumo, comunque, la più totale e completa responsabilità.
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FINI, M. MAZZEO, M. Ciò è sicuramente vero per quanto riguarda Deleuze che, infatti, si è sempre definito e ha
2006 Il ribelle, Marsilio, Venezia. 2009 Contraddizione e melanconia. Saggio sull’ambi- sempre lavorato come filosofo. Il discorso è, invece, un po’ più complicato per Guattari, psichi-
valenza, Macerata, Quodlibet. atra e psicoanalista oltre che filosofo. Si può, tuttavia, sostenere che i due autori considerano il
FISTETTI, F. prodotto delle proprie collaborazioni come un prodotto essenzialmente filosofico.
1981 La volontà di valore. L’etico-politico dopo ORFANO, E.
3
Nietzsche, Bari, Dedalo Libri. 2006 Osservazioni sul principio Grund/Folge e con- Paolo Fabbri, ad esempio, ha riconosciuto a Deleuze una “altissima attenzione alla linguistica e alla
fronto con il principio di Causa/Effetto in Galassi, semiotica” e “una coscienza semiotica profonda, che comporta un’adeguata conoscenza delle due
GABRIELLI, A. Morandina, Zorzella 2006: 169-184. grandi correnti semiotiche del novecento: quella relativa a Hjelmslev (autore che Deleuze chiama
2008 Il grande italiano. Vocabolario della lingua ita- “il cupo principe spinozista danese”) e quella relativa a Peirce, che Deleuze utilizzerà (a modo suo,
liana, Milano, Hoepli. RAMETTA, G. come al solito) per una rielaborazione dei segni in Bacon o nel cinema” (Fabbri 1998a: 112-113).
1992 Filosofia come “sistema della scienza”, Schio,
4
GALASSI, R. Tamoni. Utilizzo qui teoria in un senso radicalmente diverso da quello che Hjelmslev propone in FTL. La
2009 Introduzione in Hjelmslev 2009: 5-17. teoria elaborata da Deleuze e Guattari, infatti, manca completamente e volutamente del requi-
SAUSSURE, F. DE sito di arbitrarietà: “E la risposta per Deleuze è ovvia: no, risponde Deleuze, il linguaggio non
GALASSI, R., MORANDINA, B., ZORZELLA, C. (a cura 2003 Corso di linguistica generale, Roma-Bari, La- è arbitrario, per la ovvia considerazione che i segni linguistici hanno sempre a che fare con altri
di) terza. segni, che sono segni naturali […] non c’è alcun tipo di realtà esterna ai segni, giacché i segni sono
2006 Studi in onore di Eli Fischer Jørgensen. Janus. costitutivi di oggetti e nominativi di eventi, e quindi sono essi stessi la realtà” (Fabbri 1998a: 114).
Quaderni del circolo glossematico, Vicenza, Terra
5
Ferma. Cf. Bogue 2001 o il già citato articolo di Fabbri.

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Assume allora un senso, e questo senso è precisamente quello che il presente poiché la parole9 non si può definire come la semplice utilizzazione individuale ed
contributo vorrebbe avere, considerare il modo in cui Deleuze e Guattari lavorano estrinseca di una significazione primaria o l’applicazione variabile di una sintassi
il materiale linguistico e semiotico che utilizzano, come essi lo pieghino alle loro preliminare: al contrario, sono il senso e la sintassi della langue che non si lasciano
esigenze filosofiche, quali possibilità di pensiero apra la sua rielaborazione e quali più definire indipendentemente dagli atti di parola [actes de parole] che essa presup-
elementi di criticità invece comporti, nella speranza che la loro prospettiva di pone (MP: 134-135).
outsider, sicuramente eccentrica e talvolta non aliena da intenti provocatori, non
porti solo a forzature arbitrarie e a risultati discutibili, ma possa invece produrre Da questa citazione, due elementi mi sembrano emergere in maniera tanto for-
elementi di rottura, di stimolo o di novità, anche all’interno di quelle discipline, te quanto problematica; il primo è l’identificazione della parole con l’atto lingui-
rispetto alle quali, il loro pensiero risulta decentrato. stico, l’altro coincide invece con l’affermazione secondo cui la langue presuppone
Questo contributo non vuole essere, allora, un contributo di linguistica, semio- la parole e non il contrario, ovvero che la sintassi e la semantica presuppongono la
tica o filosofia del linguaggio, ma vuole essere, invece, un contributo filosofico, in pragmatica, tanto che diverrebbe impossibile “definire una semantica, una sintassi
direzione, però, di quella che Paolo Fabbri ha definito, in un suo intervento riguar- o anche una fonematica, come zone scientifiche del linguaggio indipendenti dalla
dante proprio la semiotica deleuziana (Fabbri 1998a), come linguistica filosofica: “una pragmatica […]. La pragmatica diviene, al contrario, il presupposto di tutte le altre
filosofia che lavora cioè con altri mezzi, tra i quali anche quelli della linguistica e dimensioni e s’insinua ovunque” (MP: 134).
della semiotica” (Id.: 111). Consideriamo il primo elemento. All’interno dell’orizzonte semantico saussu-
Sulla base di queste premesse, si analizzeranno alcuni elementi della linguistica fi- riano, infatti, la parole non coincide con l’atto linguistico, inteso in senso pragma-
losofica proposta dai due autori, così come emergono dalle critiche, contenute in MP6, tico, ma indica semplicemente l’atto fonico individuale, attraverso il quale il par-
che essi rivolgono ai quattro “postulati della linguistica” e che sono: 1) il linguaggio è lante utilizza il codice della lingua per esprimere un pensiero personale10. Deleuze
informativo e comunicativo, 2) esiste una macchina astratta della lingua, tale da non e Guattari, invece, assegnano ad ogni atto di parole, in senso saussuriano, cioè ad
ricorrere ad alcun fattore estrinseco, 3) esistono costanti o universali della lingua che ogni espressione linguistica di un enunciato, un carattere pragmatico che secondo
permettono di definirla come un sistema omogeneo, 4) è possibile studiare scientifi- Saussure, invece, tale atto non possiede.
camente la lingua soltanto nelle condizioni di una lingua maggiore o standard. In questo senso, essi si collocano esplicitamente all’interno della prospettiva
In questa sede, mi occuperò principalmente del primo dei quattro postulati. delineata da Austin 1988, in particolare all’altezza del passaggio dalla diade ‘perfor-
mativo\constativo’, attiva nella prima parte del testo, alla triade ‘locutivo\illocutivo\
2. Il linguaggio non è informativo e comunicativo perlocutivo’, operativa, invece, nella seconda11. In questo passaggio, infatti, si con-
suma lo scarto tra la limitazione dello statuto di atto linguistico a una classe ristretta
Vorrei partire da un rifiuto. Un rifiuto che potrebbe sorprendere e che presen- di enunciati particolari, la classe degli enunciati performativi, e la sua estensione,
ta, certamente, elementi critici e aspetti problematici: è il rifiuto della distinzione invece, alla classe di tutti gli enunciati possibili12. “Tutti gli enunciati, oltre a signi-
saussuriana7 tra langue e parole8, rifiuto che secondo Deleuze e Guattari segue
direttamente dalla negazione, da loro enunciata, della natura informativa e comu- 9
A differenza del traduttore italiano, che traduce il francese parole con l’italiano “parola”, lascio i ter-
nicativa del linguaggio. Tale distinzione sarebbe infatti “impossibile”, mini saussuriani langue e parole in francese, per evitare possibili confusioni ed eventuali ambiguità.
10
“La parole, al contrario, è un atto individuale di volontà e di intelligenza, nel quale conviene
distinguere: 1. le combinazioni con cui il soggetto parlante utilizza il codice della lingua in vista
dell’espressione del proprio pensiero personale; 2. il meccanismo psico-fisico che gli permette di
esternare tali combinazioni” (CLG: 24).
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Cf. in particolare le pagine 131-184. 11
“Le note tesi di Austin mostrano chiaramente che, fra l’azione e la parola, non ci sono vari rapporti
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“Deleuze and Guattari’s semiotics present a conceptual mix of Charles S. Peirce’s logic of rela- estrinseci, tali che un enunciato può descrivere un’azione al modo indicativo oppure provocarla al
tives and Louis Hjelmslev’s linguistics; both frameworks are taken to oppose Saussurean semiol- modo imperativo, ecc. Ci sono anche rapporti intrinseci fra la parole e certe azioni che possiamo
ogy” (Parr 2005: 242). compiere per il semplice fatto di dirle (il performativo: giuro dicendo: ‘lo giuro’), e più in generale
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fra la parola e certe azioni che si compiono parlando (l’illocutivo: interrogo dicendo ‘Est-ce
Le critiche di Deleuze e Guattari sembrano rivolgersi, in realtà, più alla cosiddetta ‘vulgata saussu- que…?’, prometto dicendo ‘Ti amo…’, comando usando l’imperativo, ecc.)” (MP: 134).
riana’ cha a Saussure stesso, tanto che si potrebbe dire di tale critica quanto Elia riferisce alla critica
12
di Saussure operata da Labov: “Esprimiamo qui, di passata, il rammarico che ci viene dal constatare “La dicotomia tra performativi e constativi viene quindi rifiutata in favore di una teoria comp-
che questa critica non distingue tra ciò che realmente pensava Saussure e ciò che è stato diffuso lessiva degli atti linguistici all’interno della quale le affermazioni (e, in generale, i constatati),
dalla vulgata saussuriana, dato che essa in effetti identifica ancora le due cose” (Elia 1978: 73). figurano come casi particolari” (Levinson 1985: 300).

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ficare quello che significano, eseguono quindi atti particolari (o ‘fanno qualcosa’) enunciato che non presenti questo legame, direttamente o indirettamente (MP: 136).
perché hanno, come amava dire Austin, una forza specifica” (ibid). All’interno della
triade austiniana l’illocutivo assume, inoltre, un ruolo privilegiato, poiché da un lato Ogni atto di parole, ogni enunciato, è un atto linguistico, e come tale rinvia
“Eseguire un atto locutorio è in generale, possiamo dire, anche eo ipso eseguire un sempre a relazioni pragmatiche; queste relazioni, tuttavia, rimandano sempre a
atto illocutorio” (Austin 1988: 74 ) e, d’altra parte, poiché il perlocutorio è la formu- strutture di potere, a rapporti d’obbligazione.
lazione performativa dell’illocutorio, è l’esplicitazione dell’intenzionalità implicita Su queste basi, diviene allora chiaro il senso dell’altro elemento che emergeva
nell’illocutorio13. Anche in riferimento a questo elemento, il primato assegnato all’il- dalla citazione proposta all’inizio di questo paragrafo, e cioè il privilegio che De-
locutivo, Deleuze e Guattari si collocano, senza la minima deviazione, nella traccia leuze e Guattari assegnano alla pragmatica, nonché la sua declinazione in senso
segnata da Austin14. marcatamente politico: “la pragmatica”, affermano infatti, “è una politica della
Ciò che, invece, li differenzia è, da un lato, la radicalità con cui essi estendono lingua” (MP: 140). Se ogni enunciato rimanda sempre a ‘obblighi sociali’ pre-
la sfera dell’illocutivo all’intera gamma dell’enunciabile, facendo, così, coinci- supposti, diviene allora primariamente importante lo studio di questi presupposti
dere atto linguistico e atto illocutivo, laddove Austin è molto più cauto e non sociali immanenti a ogni enunciato, l’analisi dei legami che il codice sottostante a
esclude la possibilità di atti linguistici non riferibili all’illocutivo15, e, dall’altro, ogni atto di fonazione intrattiene con le condizioni sociali della sua esecuzione.
la definizione della natura stessa dell’illocutivo, che per Austin si esprime in una Laddove, nella linguistica saussuriana, veniva assegnato un privilegio18 allo
molteplicità di forme e di tipi16, mentre per Deleuze e Guattari rimanda sempre, studio della langue19, per Deleuze e Guattari bisogna allora costruire – citando
in ultima analisi, a relazioni di potere, a ‘obblighi sociali’, nella forma di ciò che ciò che Schlieben Lange proponeva come scopo della pragmalinguistica e che, a
chiamano “parola d’ordine”17: mio avviso, può valere (almeno a questo livello del discorso) anche come intento
programmatico della ‘linguistica filosofica’ proposta da Deleuze e Guattari:
Chiamiamo parole d’ordine non una categoria particolare di enunciati espliciti (per
esempio all’imperativo), ma il rapporto di ogni parole o di ogni enunciato con presup- una linguistica della ‘parole’20 intesa nel miglior senso possibile: non si deve trattare
posti impliciti, cioè con atti di parole che possono compiersi nell’enunciato e possono cioè di porre l’ambito della ‘lingua’ come dato in modo primario e cercare solo
compiersi solo in esso. Le parole d’ordine non rinviano dunque soltanto a comandi, condizioni supplementari per il suo impiego, ma invece di indagare il parlare come
ma a tutti gli atti che sono legati ad un enunciato da un ‘obbligo sociale’. Non vi è attività che crea nuovi piani di senso su cui mutare vecchie unità e modelli di azione
linguistica. Questa scienza del parlare dovrebbe infine avere come oggetto, in quan-
13
to attività, da una parte le condizioni universali della possibilità di comunicazione, e
“L’atto perlocutorio corrisponde infine agli effetti ottenuti dall’atto illocutorio, alle conseguenze
psicologiche o comportamentali, intenzionali o meno” (Bianchi 2003: 65). dall’altra i tipi delle attività linguistiche (azioni, rapporti di azioni, tipi di testo) delle
singole lingue e società (Schlieben Lange 1980: 28).
14
“Sicché il performativo stesso si spiega con l’illocutivo, e non l’inverso. È l’illocutivo che costi-
tuisce i presupposti impliciti e non discorsivi” (MP: 135).
Per sostenere l’inadeguatezza del privilegio assegnato, dalla linguistica saus-
15
“Diciamo chiaramente che l’espressione ‘uso del linguaggio’ può riferirsi ad altre questioni
ancora più disparate che gli atti illocutori e perlocutori e ovviamente del tutto diverse da tutte
18
quelle di cui ci stiamo occupando qui. Ad esempio, possiamo parlare dell’‘uso del linguaggio’ per “Mentre Saussure privilegiò piuttosto la langue sulla parole, alcuni studiosi come Coseriu, o intere
qualcosa, ad esempio per scherzare; e possiamo usare ‘in’ in un modo diverso dall’‘in’ illocutorio, scuole di tradizione strutturalista, come il circolo linguistico di Mosca (tra il 1915 e il 1920) e
come quando diciamo ‘nel dire “p” stavo scherzando’ o ‘recitando una parte’ o ‘scrivendo poe- quello di Praga (fondato nel 1926) si occuparono anche della parole” (Bazzanella 2008: 104); “Per
sia’” (Austin 1988: 77-78). Saussure, invece, l’elemento primario è quello sociale, la langue” (Graffi 2010: 218).
16 19
La classificazione più nota delle forme di illocutivo, di quelle che Austin chiama “forze illocuto- “Con l’accordare alla scienza della lingua il suo vero posto nell’insieme degli studi intorno al lin-
rie”, è quella proposta da Searle, che distingue: illocutivi rappresentativi, dichiarativi, espressivi, guaggio, abbiamo al tempo stesso dato collocazione all’intera linguistica. Tutti gli altri elementi
direttivi, commissivi (cf. Searle 1979). Si potrebbe dire, probabilmente semplificando eccessiva- del linguaggio, che costituiscono la parole, vengono spontaneamente a subordinarsi a questa
mente, che Deleuze e Guattari riconducono i diversi tipi di illocutivi a quelli direttivi. prima scienza, ed appunto grazie a tale subordinazione tutte le parti della linguistica trovano il
17
loro posto naturale” (CLG: 28); cf. anche p. 23: “Separando la lingua dalla parole, si separa a un
In questo senso, Deleuze e Guattari sembrano seguire, radicalizzandone l’aspetto sociale, sol tempo: 1. ciò che è sociale da ciò che è individuale; 2. ciò che è essenziale da ciò che è acces-
l’impostazione di una disciplina che può essere letta come uno sviluppo della teoria degli atti lin- sorio e più o meno accidentale”, e p. 30: “A rigor di termini, il nome di linguistica può essere
guistici austiniana, l’“etnografia della comunicazione”, che suggerisce come “nella assegnazione conservato ad entrambe le discipline e si può parlare di una linguistica della parole. Ma bisognerà
della funzione [degli atti linguistici] sono però importanti non solo le attese relative agli scopi e non confonderla con la linguistica propriamente detta, quella il cui unico oggetto è la lingua”.
allo svolgimento di determinate azioni ma anche la conoscenza dei ruoli sociali dei partecipanti”
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(Levinson 1985: 353). Anche qui, sostituisco il francese parole a “parola”.

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suriana, allo studio della langue, e per supportare, di conseguenza, le ragioni di Se la pragmatica, declinata per lo più in un senso, per quanto lato, politico, di-
una ‘linguistica della parole’ e di uno studio delle variabili pragmatiche implicite viene il presupposto di ogni considerazione linguistica, e ogni atto linguistico, ogni
in ogni enunciato, Deleuze e Guattari rinviano a Labov e, in particolare, a ciò enunciato, rinvia a relazioni di potere, ne deriva conseguentemente che per Deleuze
che egli chiama “the saussurian paradox”21 e che recita così: “The social aspect e Guattari il linguaggio non può essere informativo né comunicativo25, ma espressi-
of language is studied by observing any one individual, but the individual aspect vo, invece, di obblighi sociali, di comandi, di “parole d’ordine”, che sono il contenu-
only by observing language in its social context” (Labov 1972: 186)22. Se la langue to ultimo di quei presupposti sociali impliciti che la pragmatica deve analizzare26.
rappresenta l’oggetto dello studio del linguaggio dal punto di vista sociale, com’è Si tratta allora di capire: 1) se il rifiuto della distinzione saussuriana, affermato
possibile fare astrazione dai rapporti sociali in cui il fatto linguistico si produce? su queste basi, sia, all’interno di questa prospettiva, in primo luogo sostenibile e,
Il linguista dovrebbe studiare e determinare le regole e la struttura di una lingua in secondo luogo, utile; 2) in che senso la parola d’ordine sia “l’unità elementare
chiuso nel proprio ufficio, senza analizzare l’effettiva utilizzazione di questa lingua del linguaggio” e ogni relazione pragmatica rimandi a relazioni di potere, in che
all’interno di un dato contesto sociale. Ogni variazione dalla lingua standard, dalla senso, cioè, il linguaggio sia fatto “per obbedire e per fare obbedire” (Id.: 131).
regola23, verrebbe allora considerata alla stregua di un errore o come elemento
esterno alla lingua stessa, benché funzionante in un concreto rapporto sociale. 3. Concatenamento collettivo d’enunciazione, discorso indiretto e macchine
Oggetto della linguistica sarebbe allora (secondo la linea che da Saussure conduce semiotiche
fino a Chomsky)24 “an abstract, homogeneus speech community in which everyo-
ne speaks alike and learns the language instantly” (Labov 1972: 186). Ma questa Sulla base di quanto detto fin qui, credo si sia reso evidente che il rifiuto del-
comunità, sostengono Labov e, sulla sua scia, Deleuze e Guattari, semplicemente la distinzione saussuriana, benché professato programmaticamente da Deleuze
non esiste. La parole dovrebbe invece rappresentare l’oggetto di studio del lin- e Guattari, rimanga una mera dichiarazione d’intenti e non trovi una compiuta
guaggio dal punto di vista individuale, ma per studiarla è, tuttavia, sempre neces- espressione. Se, infatti, si trattasse solo di costruire una ‘linguistica della parole’, nella
sario considerare un rapporto sociale, la circostanza effettiva della sua produzione: forma di una ‘pragmatica politica’, come scienza dei presupposti sociali impliciti che
sottendono la lingua, l’operazione di Deleuze e Guattari comporterebbe un sem-
plice rovesciamento della prospettiva saussuriana, di cui manterrebbe però intatto
Si definisce la lingua come ‘la parte sociale’ del linguaggio e si rimanda la parole
il modello27. Laddove, infatti, i due autori sostengono che “sono il senso e la sintassi
alle variazioni individuali. Ma, poiché la parte sociale è chiusa su di sé, ne consegue
della lingua che non si lasciano più definire indipendentemente dagli atti di parole
necessariamente che un solo individuo potrà testimoniare di diritto per la lingua,
che essa presuppone” (MP: 134-135), è evidente che la dicotomia langue-parole non
indipendentemente da ogni dato esterno, mentre la parole non potrà essere scoperta
viene eliminata e che, al contrario, nel rapporto di presupposizione instaurato tra
che in un contesto sociale (MP: 177, n. 6).
i due termini, essa viene anzi confermata. Se l’operazione di Deleuze e Guattari
21
“L’enunciazione di questo paradosso […] rappresenta, secondo noi, il momento culminante della
consistesse, d’altra parte, nella semplice constatazione che, nel linguaggio, langue e
critica alla linguistica di tradizione saussuriana” (Elia 1978: 73). parole stanno in un rapporto che lega inscindibilmente l’una all’altra, e divengono,
22
in questo senso, indistinguibili, lungi dall’essere ‘oltre’ il modello saussuriano, essi vi
Sul “paradosso saussuriano” cf. anche Labov 1977: 122 e sgg. rimarrebbero completamente all’interno28. La tesi dell’impossibilità della distinzione
23
A questo proposito, Labov sostituisce il concetto di “regola variabile” alla nozione di ‘regola’
propria della grammatica generativa. 25
“Il linguaggio non è informativo né comunicativo, non è comunicazione di informazione, ma –
24
In particolare, la grammatica generativa rappresenta, com’è noto, l’obiettivo critico principale cosa molto diversa – trasmissione di parole d’ordine, sia da un enunciato all’altro, sia all’interno
dell’approccio sociolinguistico: “Mentre la prima andava alla ricerca di ciò che è invariabile nel di ogni enunciato, in quanto un certo enunciato compie un atto e in quanto l’atto si compie
linguaggio […] la seconda, al contrario, era interessata alla variabilità, alle differenze, agli usi nell’enunciato” (MP: 136).
concreti del linguaggio. Non è quindi un caso che, a partire dalla metà degli anni settanta, il 26
dialogo tra le due correnti si sia completamente interrotto” (Graffi 2010: 405). Cf. anche Labov “La linguistica non può esistere al di fuori della pragmatica (semiotica o politica) che definisce
1977: 121-122: “Se studiamo le varie restrizioni imposte alla linguistica a partire da Saussure, os- l’effettuazione della condizione del linguaggio e l’uso degli elementi della lingua” (Id.: 144).
serviamo una progressiva esclusione dei dati, in un appassionato interesse per l’individuazione di 27
E in questo senso, la proposta di Deleuze e Guattari produrrebbe esiti molto simili, se non
quello che non è linguistica: ogni campo di ricerca ha subito attacchi, prima o poi: la semantica, la identici, a quelli prodotti da diverse correnti linguistiche post-saussuriane, volte a riconsiderare
fonetica, i fattori sociali, e infine il linguaggio stesso. Il punto culminante di questo programma la gerarchia langue-parole in direzione di quest’ultima, senza presentare, rispetto ad esse, scarti
puristico è la visione generativa della linguistica come studio di una struttura omogenea ideale, apprezzabili. Su questo cf. Graffi 2010.
che si manifesta nelle intuizioni dei più sofisticati membri della comunità, i quali creano medi-
28
ante l’introspezione sia la teoria che i dati”. “Senza dubbio, i due oggetti sono strettamente legati e si presuppongono a vicenda: la lingua è

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langue-parole sarebbe, dunque, insostenibile e, in questo senso, inutile. si tratta, cioè, di designare l’una o l’altra come il vero oggetto della linguistica,
Per sostenere questa tesi, Deleuze e Guattari sono dunque costretti a introdur- ma di studiare i concatenamenti collettivi d’enunciazione in cui, tanto la langue
re un altro elemento, che permetta di superare sia la prospettiva di una semplice quanto la parole, rientrano31.
‘linguistica della parole’, sia l’affermazione della primarietà dell’atto linguistico, “Il concatenamento si definisce come rapporto tra corpi e segni” (Id.: 164). È
affermazione che, come abbiamo visto, manterrebbe la distinzione saussuriana, allora necessario chiarire in che senso Deleuze e Guattari intendano il segno e la
seppur declinata in modo opposto: la langue presupporrebbe la parole. semiotica. Il segno, infatti, non si esaurisce sul piano della sua articolazione lingui-
Questo elemento è rappresentato dalla nozione di “concatenamento collettivo stica, come nel modello saussuriano, in cui il segno è l’unione di un significante e
d’enunciazione”29, che si oppone tanto all’idea di un ‘soggetto d’enunciazione’, del suo corrispondente significato ed è, di conseguenza, tutto interno alla lingua32,
quanto a quella di una ‘enunciazione individuale’. “Non esiste enunciazione ma coincide con la totalità del reale; il segno eccede il dominio del linguaggio:
individuale e neppure soggetto d’enunciazione […]. Il carattere sociale dell’enun-
ciazione è intrinsecamente fondato soltanto se si riesce a mostrare come l’enun- Ogni segno è traduzione di altri segni e – soprattutto – i segni rinviano sempre ai
ciazione rinvii di per sé a concatenamenti collettivi” (Id.: 137). Un concatenamento segni; insomma: non c’è alcun tipo di realtà esterna ai segni, giacché i segni sono costi-
collettivo d’enunciazione è ciò che esprime il rapporto tra i presupposti impliciti tutivi di oggetti e nominativi di eventi, e quindi sono essi stessi la realtà. Ogni modifica
di un enunciato, l’illocutivo, e l’enunciato stesso che, all’interno di questi presup- dei corpi sui corpi, in quanto effetto, è segno-affetto; allora non esiste alcun problema di
posti viene espresso, l’atto di parole in senso saussuriano. “È l’illocutivo che costi- realtà esterna dato che l’evento reale, l’effetto-affetto, è segno (Fabbri 1998a: 114).
tuisce i presupposti impliciti o non discorsivi. E l’illocutivo, a sua volta, si spiega
con i concatenamenti collettivi d’enunciazione” (Id.: 135). Un concatenamento La concezione del segno elaborata da Deleuze e Guattari è guadagnata attraverso
collettivo d’enunciazione si definisce, dunque, come “il complesso ridondante la lettura di Hjelmslev33 e, in particolare, della distinzione, nel segno, o meglio, nella
dell’atto e dell’enunciato che necessariamente lo compie” (Id.: 137); è ciò che funzione segnica, di un piano dell’espressione e di un piano del contenuto:
concatena gli elementi sistemici di una data lingua e le condizioni extralinguisti-
che in cui questi elementi astratti divengono concreti. L’enunciazione individuale Se, in una prospettiva tradizionale, il segno, esteriore alle cose stesse, non può che
lascia il posto a una enunciazione collettiva; ogni atto di parole, lungi dall’essere limitarsi a rappresentarle dall’esterno, nella concezione che Deleuze e Guattari
individuale, è, invece, intrinsecamente sociale, essendo infatti il risultato del derivano da Hjelmslev le cose stesse si identificano senza residui con ciò che po-
concatenamento tra elementi collettivi, impersonali e indisponibili al parlante: tremmo ancora chiamare “segno” solo privando questo termine della sua conno-
le costanti fonologiche, sintattiche e semantiche di una lingua, da una parte, e
le condizioni extralinguistiche in cui queste costanti producono atti di parole,
dall’altra30. In questo senso la distinzione langue-parole sembrerebbe superata; non della variazione transculturale del comportamento linguistico e l’interpretazione dei legami fra
l’uso del linguaggio e altri componenti culturalmente condizionati” (Andorno 2005: 132-133).
31
necessaria perché la parole sia intelligibile e produca tutti i suoi effetti; ma la parole è indispensa- “Una certa espressione o un regime di segni non parlerà delle cose, come se queste fossero il suo
bile perché la lingua si stabilisca; storicamente, il fatto di parole precede sempre […]. V’è dunque oggetto trascendente, il suo significato o il suo referente esterno, ma parlerà nelle cose stesse”
interdipendenza tra la lingua e la parole; la prima è nello stesso tempo lo strumento e il prodotto (Godani 2009: 171).
della seconda” (CLG: 29). 32
“Segno è l’unione di un significante e del suo corrispondente significato […]. Nella lettura del
29
“La nozione di concatenamento collettivo d’enunciazione diviene allora fondamentale, poiché Corso di linguistica generale di Saussure, quando si parla di segno, quindi, ci si riferisce a un’unità
chiamata a rendere conto del carattere sociale” (MP: 137). di lingua non di parole; la lingua, a sua volta, può essere definita come un sistema di segni”
30
(Prampolini 2004: 58-59).
La nozione di concatenamento collettivo d’enunciazione è avvicinabile, credo, alla nozione prag-
33
matica di ‘evento linguistico’, a patto che si sottolinei come nel concetto di concatenamento non “Per Deleuze [Hjelmslev] è essenziale perché rompe definitivamente con la distinzione
si tratti mai di fatti linguistici isolati, ma sempre di un intreccio plurale e variabile di eventi – psicologistica saussuriana tra significante e significato, sostituendo a essa la ripartizione tra ma-
al plurale – socialmente condizionati e collettivamente prodotti. Tuttavia, tanto la nozione di teria, sostanza e forma in relazione sia all’espressione sia al contenuto […]. Se non si ha chiara
‘evento linguistico’, quanto quella di concatenamento collettivo d’enunciazione, tentano di pensare i quest’impostazione hjelmsleviana dell’opera di Deleuze […] non si capisce per esempio tutta la
processi di enunciazione come fenomeni intrinsecamente sociali, con stratificazioni che implica- polemica di Deleuze e Guattari contro la semiologia a favore della semiotica, contro la linguistica
no piani diversi, livelli disparati, ambiti eterogenei: “Con evento linguistico si intende un evento a favore della glossematica, contro un certo tipo di rappresentazione concettuale (referenzialista
– di interesse non solo linguistico ma più latamente antropologico – nel quale centrale è l’attività e psicologista) a favore di un altro tipo di rappresentazione concettuale (immanentista e moleco-
linguistica dei partecipanti […]. I diversi componenti dell’evento comunicativo forniscono una lare)” (Id.: 115-116). Su questo cf. anche Fabbri 1998b. Tuttavia, come ho già accennato, credo
griglia descrittiva utile a evidenziare le relazioni fra l’attività comunicativa di tipo linguistico e che, nel complesso, i due programmi, quello hjelmsleviano di una teoria del linguaggio, e quello
altre attività sociali culturalmente determinate di una comunità. Consente quindi la descrizione di Deleuze e Guattari di una “pragmatica semiotico-politica”, non potrebbero essere più distanti.

148 149
Simone Aurora Deleuze, Guattari e le macchine semiotiche

tazione rappresentativa […]. La conseguenza decisiva che è possibile trarre da un Il discorso indiretto assume una tale importanza, tanto da coincidere per De-
tale rinnovamento della linguistica o, meglio, da questo passaggio che trasforma la leuze e Guattari con il linguaggio stesso, perché testimonia della natura intrinse-
linguistica in semiotica generale, è – come si accennava – la sostanziale indiscernibi- camente sociale di ogni enunciato. È in questo senso che il riferimento a Bachtin
lità di espressione e contenuto (Godani 2009: 171). diviene fondamentale38. Bachtin sottolinea, infatti, come nell’analisi del discorso
indiretto non si tratti di indagare i “processi psicologico-soggettivi casuali e
Ogni cosa, affermano Deleuze e Guattari, è segno in quanto rimanda ad altro, accidentali ‘nell’anima’ di colui che percepisce” (Vološinov, Bachtin 1999: 245),
rinvia al concatenamento collettivo che l’ha prodotta, all’insieme dei presupposti di studiare cioè i modi con i quali un soggetto intenda il discorso altrui, come lo
impliciti che le assegnano una figura determinata, tanto che “il reale non si dà mai accolga nella propria coscienza39, come ne elabori i contenuti e sviluppi autono-
al di fuori dei segni che lo descrivono, così come non si danno segni che non siano mamente, su queste basi, un pensiero individuale, enunciabile e comunicabile a
in presa diretta sulla realtà, cioè che non siano in loro stessi qualcosa di reale” un altro soggetto, che lo può, a sua volta, riportare come ‘discorso altrui’; si tratta,
(ibid.). Il concatenamento collettivo definisce così un ‘regime di segni’ eterogenei, invece, di mettere in luce le “tendenze sociali stabili della percezione attiva del
dove per segni intendiamo tutti gli elementi, linguistici34 e non, che in un dato discorso altrui che si sono cristallizzate nelle forme della lingua” (Id.: 245). Nel
concatenamento costituiscono la serie dei rimandi reciproci e stabiliscono la gri- discorso indiretto così inteso e, dunque, secondo quanto affermano Deleuze e
glia dei rapporti che intrattengono35. Guattari, nel linguaggio tout court, ciò che è importante non è allora la comuni-
Un concatenamanento collettivo di segni linguistici è ciò che Deleuze e Guattari cazione che s’instaura tra i soggetti parlanti, bensì l’espressione delle coordinate
chiamano concatenamento collettivo d’enunciazione e che si manifesta esplicitamente nel sociali che producono tanto le condizioni d’enunciazione quanto i soggetti attivi
modello sintattico del discorso indiretto libero, tanto che questo diviene, seguendo nell’enunciazione:
esplicitamente le indicazioni di Bachtin, “un problema di principio e di enorme im-
portanza per la linguistica generale” (Vološinov, Bachtin 1999: 241): Il meccanismo di questo processo non è nell’anima individuale ma nella società, che
seleziona e grammaticalizza (cioè adatta alla struttura grammaticale della lingua)
Il concatenamento collettivo di enunciazione non ha altri enunciati se non quelli di solo quei momenti della percezione valutativa attiva dell’enunciazione altrui che
un discorso sempre indiretto. Il discorso indiretto è la presenza dell’enunciato ripor- sono socialmente essenziali e costanti e, di conseguenza, fondati sull’esistenza eco-
tato nell’enunciato che lo riporta, la presenza della parola d’ordine nella parola. Il nomica stessa del dato collettivo di parlanti (Vološinov, Bachtin 1999: 245).
linguaggio intero è discorso indiretto. Il discorso diretto è un frammento di massa
staccato36, sorto dallo smembramento del concatenamento collettivo37 (MP: 142). La semiotica diviene allora lo studio dei concatenamenti collettivi e in questo
modo coincide con una “scienza descrittiva della realtà”40. Un insieme di concatena-
34
“La lingua non è mai un sistema omogeneo, e non contiene sistemi di questo tipo. La linguistica,
che sia quella di Jakobson o quella di Chomsky, crede a questi sistemi perché non potrebbe darsi
senza di essi. Ma non esistono. Una lingua è sempre un sistema eterogeneo o, come direbbero discorso, enunciazione sull’enunciazione”.
i fisici, un sistema lontano dall’equilibrio” (Deleuze 2010: 161). In questo senso, la contrap- 38
posizione tra questa concezione della lingua e della linguistica e la concezione hjelmsleviana “In realtà l’atto verbale o, più precisamente, il suo prodotto – l’enunciazione – non può affatto ve-
non potrebbe essere più netta, benché il linguista danese venga spesso assunto (e spesso, a mio nire inteso come fenomeno individuale nel senso proprio del termine, né può essere spiegato a par-
avviso, indebitamente) dai due autori, per altri motivi, come un modello. Su questo cf. FTL: 8: tire dalle condizioni psicologiche o psico-fisiche individuali dell’organismo parlante. L’enunciazione
“La linguistica deve cercare di cogliere la lingua, non come un conglomerato di fenomeni non è sociale” (Vološinov, Bachtin 1999: 203). Cf. anche Holquist 1986: 195: “In altri termini, non si
linguistici (per esempio, fisici, fisiologici, psicologici, logici, sociologici), ma come una totalità tratta tanto del linguaggio ‘in sé’ (qualunque esso sia), e del suo controllo sulle relazioni soggetto-
autosufficiente, una struttura sui generis”. oggetto che sono le più immediate modellatrici dell’espressione; a plasmare il linguaggio è piut-
tosto una miriade di forze sociali, la cui azione è più larga del semplice conflitto di classe”.
35
“Yet semiotics cannot be reduced to just linguistic signs. There are extra-linguistic semiotic 39
categories too, such as memories, images, or immaterial artistic signs […]. Analogously, a formal “La coscienza individuale non può spiegare qui alcunché: essa stessa, al contrario, necessita di
abstract machine exceeds its application to (Chomskian) philosophy of language; instead semiot- una spiegazione che derivi dall’ambiente ideologico-sociale. La coscienza individuale è un fatto
ics is applied to psychological, biological, social, technological, aesthetic and incorporeal cod- socio-ideologico” (Id.: 125).
ings” (Parr 2005: 243). 40
“In Immagine-tempo, secondo volume della sua immensa ricerca sul cinema, Deleuze parla
36
“Per Deleuze, come per Hjelmslev, la materia non è un insieme caotico di elementi e di tratti; della semiotica come di una ‘scienza descrittiva della realtà’ […]. Ovviamente, Deleuze non sta
ma è qualcosa che diventa sostanza solo in quanto formata” (Fabbri 1998a: 117). pensando qui alla tradizionale semiologia generale come studio dei segni verbali e non verbali;
sta pensando semmai a una specie di ‘trans-semiotica’ come attività costante di traduzione: per
37
Cf. Vološinov, Bachtin 1999: 243 (di cui il passo citato di MP costituisce una parafrasi): “Il ‘dis- Deleuze i concetti non esistono di per sé ma solo in traduzione con altri concetti; allo stesso
corso altrui’ è discorso nel discorso, enunciazione nell’enunciazione, ma al contempo anche discorso sul modo, i segni e gli autori non esistono di per sé, ma solo in traduzione con altri segni e con altri

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Simone Aurora Deleuze, Guattari e le macchine semiotiche

menti collettivi costituisce ciò che Deleuze e Guattari chiamano ‘regime di segni’ o enunciati-parole d’ordine, che presuppongono e trasmettono l’ordine e la dispo-
‘macchina semiotica’, “a configuration of forces that shape, legitimate and stabilize sizione del regime di segni che esprimono. “Non c’è significanza indipendente
the pragmatic variables internal to language” (Bogue 2001: 83). Il concetto di ‘mac- dalle significazioni dominanti, non c’è soggettivazione indipendente da un ordine
china semiotica’ si contrappone al concetto saussuriano di sistema (o di struttura). costituito di assoggettamento. Ambedue dipendono dalla natura e dalla trasmis-
Benché anche questi definiscano, in apparenza come il concatenamento di Deleuze sione delle parole d’ordine in un determinato campo sociale” (MP: 137). Parlare
e Guattari, un insieme di entità definite dalle loro relazioni reciproche41, tali relazio- significa, così, sempre trasmettere quest’ordine, confermarlo e giustificarlo43. “Una
ni sono tuttavia costanti, invariabili, e di conseguenza il sistema o la struttura mo- regola di grammatica è un contrassegno di potere, prima di essere un contrassegno
strano sempre la tendenza a permanere stabili (non a caso una concezione di questo sintattico” (MP: 132). Si trasmette sempre la quantità di informazione minima ne-
tipo mostra difficoltà a spiegare il cambiamento linguistico). Le macchine semio- cessaria a determinare il tipo di ordine, a rendere comprensibile cosa bisogna fare,
tiche mostrano invece una struttura aperta, definita da variabili pragmatiche, nella come bisogna parlare. Non si comunica mai solamente per informare. “Si comunica
quale il ruolo e la funzione dei segni cambia, nella misura in cui cambiano le relazio- soltanto la quantità minima d’informazione necessaria all’emissione, trasmissione
ni sociali e i presupposti impliciti che ad essi stanno dietro. Una macchina semiotica e osservazione degli ordini in quanto comandi” (ibid). È importante sottolineare
mostra certamente una stabilità, ma una stabilità sempre e comunque provvisoria, ancora una volta che Deleuze e Guattari attribuiscono valore di comando ad ogni
un equilibrio precario, in opposizione alla fissità della struttura. “Progressivamente, enunciato e non solo ad un gruppo ristretto; anche una domanda o una promessa
nella riflessione comune di Deleuze e Guattari, il concetto di macchina tenderà ad sono comandi, parole d’ordine. I due autori prendono come esempio il sistema
assorbire e, infine, a sostituire la nozione di ‘struttura’”(Godani 2009: 23)42. dell’istruzione: in una scuola i bambini imparano, attraverso enunciati provenienti
La macchina semiotica produce sempre un ‘ordine semiotico’ che, per quanto da un ‘centro di potere’, in questo caso l’insegnante, le coordinate che li inse-
variabile, delinea una cartografia delle corrispondenze tra i segni, determina il riscono in una determinata macchina semiotica; imparano cosa è giusto e cosa è
codice di traduzione da un segno a un altro segno e, in questo modo, distribuisce sbagliato, cosa è bello e cosa è brutto, cosa è normale e cosa non lo è ; ai bambini
le coordinate semiotiche che individuano gli elementi che la compongono. La viene così assegnata una posizione, dalla quale esercitano un determinato ruolo
macchina semiotica della lingua si manifesta, in questo senso, nella produzione di all’interno del sistema, del regime di segni che li governa, della macchina semiotica
di cui fanno parte44.
autori” (Fabbri 1998a: 112).
41
4. Conclusioni
Questa impostazione saussuriana conosce, com’è noto, la sua elaborazione più estrema e radi-
cale in Hjelmslev e, in particolare, nella sua concezione della struttura. Cf. FTL: 26-27: “In altri
termini gli oggetti si possono descrivere solo con l’aiuto delle dipendenze, e questo è l’unico L’idea di semiotica proposta da Deleuze e Guattari, così come emerge
modo per definirli e coglierli scientificamente […]. Il riconoscimento del fatto che una totalità all’altezza della nozione di ‘macchina semiotica’, sembra non essere così distante
non consiste di cose ma di rapporti, e che non la sostanza, ma solo i suoi rapporti interni ed dall’idea di semiotica sviluppata da Hjelmslev e che Cosimo Caputo riassume così:
esterni hanno esistenza scientifica, non è ovviamente una novità nella scienza, ma può essere una
novità nella scienza linguistica […]. In realtà nella scienza linguistica ci si è venuti di recente
avvicinando a certe intuizioni che, una volta approfondite, non possono non condurre a questa
La semiotica mette a fuoco problemi di ordine economico, sociale, assiologico,
concezione. A partire da Ferdinand de Saussure si è spesso affermato che c’è un’interdipendenza tematizza cioè la genesi del senso, svolgendo una funzione di disoccultamento e di
fra certi elementi della lingua, tale che una lingua non può avere uno di questi elementi senza demistificazione. E qui viene fuori il legame con le sue sporgenze, eccedenze, e si
avere anche l’altro […]. Tutto indica che Saussure, che cercava ‘rapports’ dappertutto, e soste- avvia un lavoro ai margini, lungo i punti di contatto e di intersezione, lavoro che
neva che la lingua è una forma e non una sostanza, riconobbe la priorità delle dipendenze del
linguaggio”. Si tratta cioè, secondo Hjelmslev, di assumere e approfondire l’idea saussuriana dan-
dole una rigorosa sistemazione scientifica, eliminando ogni assunzione ‘metafisica’ e superflua,
43
da un lato, e raffinando l’analisi delle dipendenze, dall’altro. In sostituzione ai rapporti e alle di- “Language is a mode of action that is fundamentally social, a coding that imposes power rela-
pendenze saussuriane, Hjelmslev introduce, allora, uno schema delle possibili dipendenze e una tions” (Bogue 2001: 82).
nuova terminologia per designarle; egli distingue, quindi, “interdipendenze”, “determinazioni” e 44
“costellazioni” (lo schema prevede poi altre designazioni, a seconda che tali dipendenze entrino Per un’analisi dettagliata delle relazioni di potere interne all’organizzazione del sistema della
in un processo o in un sistema). Sulla nozione di struttura in Hjelmslev cf. anche Graffi 1974. formazione cf. Foucault 1993, ad esempio a pagina 160: “L’organizzazione di uno spazio seriale
fu una delle grandi mutazioni tecniche dell’insegnamento elementare: esso permise di superare
42
Il passo citato continua così: “Le analisi di L’anti-Edipo e di Mille piani avranno il compito di il sistema tradizionale […]. Assegnati dei posti individuali, rese possibile il controllo di ciascuno
mostrare come l’inconscio, le lingue e le società siano appunto macchine che si compongono e si ed il lavoro simultaneo di tutti; organizzò una nuova economia dei tempi di apprendimento; fece
disfano continuamente, sistemi caratterizzati dal presentarsi di un’infinita varietà e variabilità di funzionare lo spazio scolare come una macchina per apprendere ma anche per sorvegliare, gerar-
concatenamenti, piuttosto che da un numero limitato di relazioni e invarianti”. chizzare, ricompensare”.

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Michail Bachtin45 chiama “metalinguistica” (Caputo 2001: 74). generale o semiotica del non verbale47, Hjelmslev supera il verbocentrismo di cui
potrebbe essere accusato, sulle basi di una sua lettura superficiale o parziale:
Tuttavia, sembrerebbe imporsi un elemento ambiguo nel percorso che si è
cercato di tracciare fin qui. Abbiamo, infatti, affermato la differenza incomponi- Il percorso hjelmsleviano muove dalla linguistica all’epistemologia, alla semiologia.
bile tra la concezione del linguaggio elaborata da Hjelmslev e quella proposta da Il verbocentrismo sembra qui una prospettiva molto lontana e solo rimanendo
Deleuze e Guattari, mentre nelle righe appena sopra abbiamo, invece, sostenuto ancorati alla concezione tradizionale del linguaggio si può muovere questa accusa
la possibilità di un avvicinamento delle due prospettive a livello delle caratteriz- (Caputo 1986: 64).
zazioni che in esse assume la semiotica. Per chiarire questo punto, è bene consi-
derare, brevemente, il procedimento con il quale Hjelmslev si accosta allo studio È proprio su questo punto che è possibile provare a chiarire l’apparente am-
del linguaggio. In primo luogo, egli procede a circoscrivere l’ambito dell’oggetto biguità della lettura hjelmsleviana di Deleuze e Guattari. I due autori francesi,
studiato, la lingua naturale, in secondo luogo ne organizza lo studio secondo un infatti, riconoscono a Hjelmslev di aver posto le condizioni per il superamento del
fine puramente immanente che impone di “cercare una costanza che non sia anco- verbocentrismo, e di avere anzi praticato questo superamento all’altezza della sua
rata a una qualche realtà fuori del linguaggio, ma che sia quel che fa di una lingua elaborazione semiotica, ma di averlo tuttavia conservato, nel privilegio assegnato,
una lingua (di qualunque lingua si tratti), e che fa una lingua particolare identica seppur come istanza epistemologica, alle lingue naturali da un lato, e nella con-
a sé stessa in tutte le sue varie manifestazioni” (FTL: 10-11); infine, una volta co- cezione della distinzione espressione-contenuto secondo il modello significante-
stituita, su queste basi, la teoria del linguaggio, e tenendo la lingua come “punto significato, dall’altro48.
centrale di riferimento”, “la si potrà proiettare sulla realtà fuori della lingua (di La concezione semiotica di Hjelmslev si avvicina, dunque, a ciò che Deleuze e
qualunque realtà ‘si tratti’: fisica, fisiologica, psicologica, logica, ontologica)” Guattari chiamano ‘macchina semiotica’, ma sconta, secondo loro, un duplice er-
(ibid.), e in questo modo procedere all’elaborazione di una semiotica generale, per rore; da un lato, Hjelmslev giunge a definire la semiotica generale sulla base della
come l’abbiamo definita all’inizio del paragrafo46. In un primo momento, dunque, teoria linguistica e, in questo modo, plasma la prima sul modello della seconda
Hjelmslev opera per deduzione, mentre riproponendo, così, il verbocentrismo che si voleva superare e impedendo, di con-
seguenza, la costruzione di una semiotica generale indipendente dalla linguistica;
Il secondo momento della sua costruzione scientifica vede la sintesi o induzione che dall’altro, Deleuze e Guattari contestano la limitazione con la quale Hjelmslev
ricolloca la sua teoria nel processo storico e culturale del suo tempo. Si parte dal intraprende la propria analisi del linguaggio, limitazione che circoscrive e isola il
concreto [il linguaggio] per ritornare al concreto [la semiotica generale] dopo averlo linguaggio rispetto agli elementi non linguistici che esso contiene49.
idealizzato (approfondito o astratto) [la teoria linguistica] (Caputo 1986: 131). Si può dunque affermare che, seppur contestando il programma hjelmsleviano
di una ‘teoria del linguaggio’, Deleuze e Guattari riconoscano, negli esiti semiotici
In questo senso, nel confluire della teoria del linguaggio in una semiotica del lavoro del linguista danese, le condizioni per la costruzione di una semiotica
generale in consonanza con il concetto di ‘macchina semiotica’; tuttavia, nella loro
lettura, Hjelmslev non giunge al fondo di quest’impresa (che però è la loro), perché
rimarrebbe ancorato alla linguistica e non coglierebbe, così, il carattere intrinseca-
45
Cf. MP: 177, n. 9: “In due modi diversi Bachtin e Labov hanno insistito sul carattere sociale
dell’enunciazione. Così essi non si oppongono soltanto al soggettivismo, ma allo strutturalismo, 47
“Queste riflessioni metodologiche mostrano come il fatto che Hjelmslev non porti oltre le lingue
nella misura in cui quest’ultimo rimanda il sistema della lingua alla comprensione di un individuo naturali la sua analisi non è affatto pregiudizievole per l’utilizzazione della sua teoria ai fini di
ideale e i fattori sociali agli individui empirici in quanto parlano”. una costruzione di una teoria semiotica del non-verbale. Anzi proprio la sua riflessione sul lin-
46
“In partenza la teoria linguistica è stata costituita in maniera immanente, mirando solo alla guaggio verbale spinge verso una semiotica generale” (Id.: 64).
costanza, al sistema, e alla funzione interna, a spese, apparentemente, delle fluttuazioni e delle 48
“La forza di Hjelmslev è di aver concepito la forma d’espressione e la forma di contenuto come
sfumature, della vita e della realtà concreta fisica e fenomenologica. Tale temporanea limitazione due variabili del tutto relative, su uno stesso piano, come ‘i funtivi di una stessa funzione’. Questa
del punto di vista è stata il prezzo che si è dovuto pagare per strappare alla lingua il suo segreto. avanzata verso una concezione diagrammatica del linguaggio è tuttavia ostacolata per il fatto che
Ma appunto grazie a tale punto di vista immanente la lingua ci ha ripagato delle limitazioni che Hjelmslev concepisce ancora la distinzione dell’espressione e del contenuto secondo il modello
ci aveva imposto: essa ha assunto una posizione centrale nella conoscenza, in un senso superiore significante-significato, e mantiene così la dipendenza della macchina astratta dalla linguistica”
a quello in cui ciò poteva essere accaduto nella linguistica fino ad oggi […]. La teoria linguistica (MP: 180, n. 18).
arriva per necessità interna a riconoscere non solo il sistema linguistico, nel suo schema e nel
49
suo uso, nella sua totalità e nella sua individualità, ma anche l’uomo e la società umana dietro la “Ma questa obiezione ci sembra diretta soltanto contro la condizione restrittiva posta da
lingua, e tutta la sfera delle conoscenze umane attraverso la lingua” (Id.: 135-136). Hjelmslev” (Id.: 183, n. 39).

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Simone Aurora Deleuze, Guattari e le macchine semiotiche

mente sociale del linguaggio. Ciò che Deleuze e Guattari contestano a Hjelmslev è bibliografia
il processo di astrazione e di limitazione con cui egli dà inizio alle sue analisi; Il lin-
guaggio non è mai isolabile, sostengono infatti i due filosofi, dai presupposti sociali
impliciti che lo determinano e dalle condizioni che lo sottendono, pena la perdita ANDORNO, C. FOUCAULT, M.
del suo carattere sociale. Il linguaggio, affermano invece Deleuze e Guattari, deve 2005 Che cos’è la pragmatica linguistica, Roma, Ca- 1993 Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi.
essere indagato nel concreto del concatenamento collettivo d’enunciazione in cui rocci.
si esprime, non nell’astrazione di un sistema formale. Nella prospettiva delineata GODANI, P.
AUSTIN, J. L. 2009 Deleuze, Roma, Carocci.
da Deleuze e Guattari, non è, di conseguenza, possibile dire che la lingua “è una 1988 Come fare cose con le parole: le William James
semiotica nella quale ogni altra semiotica, cioè ogni altra lingua e ogni altra strut- lectures tenute alla Harvard University nel 1955, Ge- GRAFFI, G.
tura semiotica concepibile, può essere tradotta” (FTL: 117), poiché non esiste una nova, Marietti. 1974 Struttura, forma e sostanza in Hjelmslev, Bolo-
gna, Il Mulino.
lingua astratta, indipendente dai fattori eterogenei con cui si intreccia, dai presup- BAZZANELLA, C. 2010 Due secoli di pensiero linguistico. Dai primi
posti impliciti che la sottendono; è vero, invece, che ogni lingua e ogni semiotica 2008 Linguistica e pragmatica del linguaggio. Un’in- dell’Ottocento a oggi, Roma, Carocci.
rinviano a concatenamenti collettivi che configurano delle macchine semiotiche, troduzione, Bari, Laterza.
e che ogni semiotica e ogni lingua possono essere tradotti e si traducono sempre HJELMSLEV, L.
BIANCHI, C. 1968 I fondamenti della teoria del linguaggio, Torino,
in questi concatenamenti collettivi50: “la linguistica non può esistere”, allora, “al di 2003 Pragmatica del linguaggio, Bari, Laterza. Einaudi.
fuori della pragmatica (semiotica o politica) che definisce l’effettuazione della condi-
zione del linguaggio e l’uso degli elementi della lingua” (MP: 144). BOGUE, R. HOLQUIST, M.
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