Sei sulla pagina 1di 7

Appennino Festival - Per Viam:

Percorsi di musica e cultura sulle vie storiche dell’Appennino delle Quattro Province

Appennino Festival - Per Viam:


Musical and cultural itineraries on the historical routes of the Quattro Province
Appennino

Sunto
Appennino Festival nasce per valorizzare la musica antica e tradizionale delle Quattro Province
(Pavia, Piacenza, Genova, Alessandria), dove convergevano mondo continentale e Mar Mediterraneo
tramite la Via Francigena e le Vie del Sale. Danze, canti e strumenti tradizionali (piffero, piva e müsa,
in seguito fisarmonica, violino e ghironda) si affiancano a un repertorio medievale legato ai trovatori
provenzali e al Monastero di Bobbio. In vent’anni il Festival, curato dal gruppo Enerbia, ha promosso
un turismo attento a specificità territoriali e ambientali, alla riscoperta di suoni e situazioni non ancora
omologati.

Abstract
For 20 years Appennino Festival and its curators, Enerbia ensemble, have promoted early and
traditional music of the “Quattro Province” (Pavia, Piacenza, Genova, Alessandria), an area where
continental and Mediterranean Europe meet, due to commercial and Christian routes such as Via
Francigena. In addition to traditional dances, songs and instruments (local shawm, bagpipes, and later
accordion, violin and hurdy-gurdy), medieval music of the troubadours and of Bobbio Monastery is
key in recreating the local soundscape, thus promoting a tourism focused on territorial and
environmental peculiarities, on retracing non-homologated sounds and situations.

Parole chiave
Paesaggio sonoro
Rapporto tra musica antica e musica popolare
Cammini storici e turismo culturale

Keywords
Soundscape
Relationship between early and folk music
Historical routes and cultural tourism

1. Introduzione
Appennino Festival nasce nel 2002 dal lavoro del gruppo Enerbia con l'intento di valorizzare il
repertorio musicale, sia antico che tradizionale, di quella parte di Appennino che costituisce il confine
tra le province di Pavia (Lombardia), Piacenza (Emilia- Romagna), Genova (Liguria) e Alessandria
(Piemonte). Le valli che si dispiegano dal crinale appenninico che separa la costa del Mar Ligure
dalla Pianura Padana sono oggi tra le aree meno popolate d’Italia. La mancanza di infrastrutture
autostradali, ferroviarie e industriali ha mantenuto un paesaggio fisico molto selvaggio e poco
antropizzato. Ciò che però costituisce la peculiarità più interessante del territorio è la sopravvivenza
nel corso dei secoli di un paesaggio sonoro pressoché intatto rispetto ai cambiamenti profondi della
modernità, caratterizzato da un repertorio musicale ricchissimo ma soprattutto originale, fatto di
strumenti, forme di danza e stile vocale.1 La tradizione musicale, di inesausta vitalità, oggi
denominata “delle Quattro Province”, ha preso il nome da un gruppo musicale di giovani musicisti,

1
Trattando di simili argomenti, immancabile è il riferimento a SCHAFER R.M. (1977).
“I Suonatori delle Quattro Province”, che negli anni Ottanta incominciarono un lavoro sistematico di
studio e riproposizione del repertorio tradizionale di quest’area appenninica. Oggi il termine Quattro
Province, dal mondo musicale, è passato a definire l’area geografica ed è diventato, grazie alla musica
e alla sua diffusione, un brand territoriale ben riconosciuto.2

2. La tradizione musicale

2.1. Gli strumenti


Il complesso corpus musicale della tradizione delle Quattro Province presenta in primis alcuni
strumenti che sono presenti unicamente in questo territorio: piffero, müsa e piva. Il piffero è un
oboe popolare ad ancia doppia che veniva accompagnato in duo dalla müsa, piccola cornamusa a un
solo bordone, fino allo sviluppo della fisarmonica. Anche la piva è una cornamusa, ma a differenza
della müsa è uno strumento solistico e presenta due bordoni.3 La fisarmonica e il violino
completano e integrano il trio degli strumenti ad ancia antichi.
Dall’Oltrepò Pavese di Stradella, dove venne sistematizzata e trovò uno dei suoi centri di diffusione,
nel corso del Novecento la fisarmonica sostituisce le due cornamuse in tutto il territorio delle Quattro
Province e dagli anni Trenta di tale secolo costituisce con il piffero la coppia ancora oggi più diffusa
per interpretare il repertorio di danze tradizionali più antiche.
Il violino, dall’inizio dell’Ottocento, comincia ad interpretare sia il repertorio dei tre strumenti locali
ad ancia doppia, sia quello allora recente proveniente dalle capitali europee, in particolare le danze di
coppia come il valzer, la polka e la mazurka. Piffero e violino si scambiano quindi sia il repertorio
sia il ruolo di strumento melodico, soprattutto nei borghi più vicini alla pianura, più aperti agli influssi
extraterritoriali e alle nuove mode musicali. Negli ultimi decenni del Novecento le cornamuse
tradizionali sono a loro volta tornate di moda e hanno trovato nuovi esecutori e cultori; la proposta
musicale si è sostanzialmente arricchita con la presenza di diversi piccoli ensemble che accostano
tutti gli strumenti citati: piffero, müsa, piva, fisarmonica e violino.
2.2. Il repertorio
Il repertorio coreutico annovera, come si è accennato, antiche danze di gruppo, alcune delle quali
hanno una denominazione geografica: alessandrina, monferrina, giga e piana. Sono eseguite in
cerchio con passo saltato e con coreografie che prevedono lo scambio delle coppie durante il ballo.
Le danze più moderne sono quelle di coppia fissa: il valzer, la mazurka e la polka, quest’ultima
anch’essa danzata con un passo saltato come le danze di gruppo in cerchio.
Il repertorio è completato da un ricchissimo corpus di canti, sia solistici che corali, principalmente
eseguito da gruppi polivocali maschili. È una delle caratteristiche più interessanti della tradizione
musicale delle Quattro Province, per le modalità di esecuzione e lo stile del canto, oltre che per il
legame con i riti calendari dell’anno agrario come il Cantamaggio.4

2
Si veda BOTTA G. (2007), in particolare gli interventi di Giorgio Botta (Viaggio nelle “quattro province”), Valerio Bini
(La rivincita della tradizione: marginalità, patrimoniolocale, riterritorializzazione nell’area delle “quattro province”) e
Chiara Pirovano (Patrimoni e comunità: gli ecositemi delle “quattro province”).
3
Per quanto molto più oscura rispetto ad altre tradizioni italiane, si può approfondire la questione organologica della
musica delle Quattro Province sui principali testi dedicati a questi particolari strumenti, diffusi in varie forme in tutta
l’area europea e mediterranea: GIOIELLI M. (2005) e LEYDI R., GUIZZI F. (1985)
4
Si veda ARTOCCHINI C. (2002).
3. Appennino Festival
Il Festival è iniziato nel 2002 con un cartellone di eventi musicali nel cuore di questo territorio,
che possiamo identificare nel crinale dove convergono la Val Boreca (PC), la Val Borbera (AL) e la
Val Staffora (PV), culminante con le cime dei monti Lesima, Alfeo e Antola.5

3.1. I luoghi
Capannette di Pey, frazione di Zerba (PC), e Capanne di Cosola (AL) si trovano a 1 km di distanza
uno dall’altro e a 1500 metri di altitudine su questo crinale. I due paesi, i cui nomi rivelano l’antica
origine come sedi di ricovero per gli animali ai pascoli, sono divisi da confini amministrativi recenti.
Qui ci troviamo in quelli che Giorgio Caproni chiamò nelle sue straordinarie poesie appenniniche “i
luoghi non giurisdizionali”6, un territorio di grande interesse naturalistico ma anche storico. Qui
avvenne la ritirata di Annibale dopo la battaglia della Trebbia nel 218 a.C. Alcuni toponimi dei
minuscoli borghi che punteggiano queste vallate ricordano per assonanza analoghi toponimi
cartaginesi, in particolare Tartago, Cartasegna, Carrega, Zerba.
Nel corso delle edizioni il Festival ha poi valorizzato borghi di altre valli dell’Appennino delle
Quattro Province (Val d’Arda, Val Nure, Val Curone, Val d’Aveto, Val Ceno e Val Taro) che
ospitano alcuni tratti dei più importanti percorsi storici che connettono il mondo continentale europeo
con il Mediterraneo (le antiche Vie del Sale e la Via Francigena con le sue varianti, tra le quali la Via
degli Abati).

Fig.1 – Territorio delle Quattro Province (evidenziata in verde una Via del Sale) e Monte Alfeo

© Touring Editore © Creative Commons

5
RUMIZ P. (2007)
6
CAPRONI G. (1999)
3.2. Peculiarità
Particolarmente importante dal 2007 è stato il lavoro di ricerca sul repertorio medievale legato
alla presenza dei Trovatori provenzali nelle corti della famiglia Malaspina in Oltrepò Pavese e nelle
valli vicine, oltre che al patrimonio del Monastero di Bobbio, tra i maggiori centri culturali europei
del Medioevo. Il Festival ha poi continuamente indagato nel corso dei decenni il rapporto tra la
tradizione popolare e quella colta, evidenziando i punti di contatto e il filo ininterrotto che le unisce,
in particolare la sopravvivenza dell’antico nelle tradizioni popolari, luogo di memoria viva e di
esperienze concrete: strumenti musicali, ritualità, modalità di trasmissione e di esecuzione del
repertorio per trasmissione orale di testi e pratiche da musicista a musicista.
Un esempio di ciò, legato alla pratica vocale di gruppo, è la sopravvivenza in tutta l'area delle
Quattro Province di riti calendariali come il Cantamaggio e la Santa Croce. Si tratta di antiche questue
primaverili che si connettono ai Floralia romani e al mese mariano, con la relativa simbologia
floreale7 e hanno modalità molto simili nei borghi delle Quattro Province. In alcuni di questi sono
veri e propri eventi fondamentali per la comunità e non solo una sopravvivenza rituale o una generica
occasione di festa (Marsaglia e Cicogni di Pecorara nel Piacentino sono un esempio). Nella notte tra
il 30 aprile e il 1° maggio – se ci riferiamo al Cantamaggio – o nella notte tra il Sabato Santo e il
giorno di Pasqua – per la Santa Croce –, gruppi di cantori e strumentisti itineranti, ornati di
maggiociondolo e altri fiori di stagione, chiedono in dono uova e cibo in cambio dell'augurio di un
buon anno agrario. La richiesta avviene con un canto che ha poche varianti melodiche e testuali
nell'area.8 Altri borghi in cui è particolarmente viva la tradizione delle questue primaverili sono Santo
Stefano d'Aveto e Leivi (Genova), Romagnese (Pavia) e Casalcermelli (Alessandria).
Peculiari sono anche le forme che assume il turismo in Appennino – le cui specificità il Festival
ha sposato fin dalle prime edizioni9. In particolare, Valerio Bini10 parla di una sorta di turismo che
vede, nel secondo dopoguerra, il lento ritorno degli originari, per riscoperti sentimenti di appartenenza
a questi luoghi, magari solo per il periodo estivo. Questa forma anomala di turismo che con il passare
degli anni prende piede viene poi praticato anche dai nuovi turisti: riprendono le escursioni e le
vacanze estive. Negli ultimi vent’anni molti originari, ormai anziani e stanchi delle città inquinate e
caotiche (Genova, ma anche Torino e Milano) ritornano definitivamente. Più recentemente anche i
figli di quegli originari, nati nelle città dell’esodo, ma ora sospinti dalla nuova ecologia e da spirito
imprenditoriale, ritornano nella case di famiglia ormai vuote e talvolta pericolanti, per intraprendere
attività di ristorazione e accoglienza, agevolando così il turismo oggi fiorente in quelle valli.
Il Festival fin dalla prima edizione ha deciso di optare per un modello complesso e di ampio respiro
temporale, perché nato per supportare il turismo appenninico in maniera regolare: un inizio delle
attività nella prima metà del mese di luglio, con regolare attività nei fine settimana fino alla fine di
ottobre e ulteriori date infrasettimanali nel mese di agosto. Questa impostazione si è mantenuta nel

7
CARDINI F. (1983).
8
In MILANA F., SCAGNELLI M. et al. (2005) sono presenti vari testi.
9
È possibile inquadrare queste specificità nella stessa panoramica sul turismo contemporaneo effettuata da
DIOGUARDI V. (2009), in particolare per quanto riguarda lo spostamento dell’attenzione del turista dalle
risorse materiali della meta verso invece le sue qualità più immateriali, come possono essere nel nostro caso
la tradizione e l’immagine romantica della sua resistenza – del resto “la nostalgia per il mondo perduto è una
malattia dell’Occidente. Rimpiangendo un mondo arcaico, forse mai esistito, ma costruito dalle nostre menti,
si proietta l’immagine di società ideale e armonica sugli altri” (BARBERANI S. (2006)). Sullo stesso
argomento si veda GARTNER W.C. (1993).
10
Oltre all’intervento Valerio Bini (Cultura tradizionale e progettualità locale nell'area delle “quattro
province”), si veda anche quello di Giorgio Botta (Le “quattro province”: la non regione), entrambi in
BOTTA G.(2007)
corso delle diciotto edizioni. In alcuni anni si è potuto realizzare un’anteprima primaverile
(Cantamaggio - 2004) o una piccola coda invernale (Viaggio d’Inverno - 2007). 2007). Questa
sezione invernale ha ospitato le conferenze del geografo Giorgio Botta – già presente nel Festival
come performer con il gruppo vocale Controcanto –, del musicologo Stefano Pogelli (Archivio RAI)
e dello scrittore Paolo Rumiz. Nell’ultima edizione 2019 si sono realizzati 22 concerti.
Nel 2002 il Festival ha trovato l’iniziale sostegno economico degli enti territoriali di prossimità
(Regione, Provincia, Comuni). Nel corso dei decenni ha instaurato e consolidato la partnership con
la Fondazione di Piacenza e Vigevano, main sponsor privato e con altri sponsor minori. Il sostegno
economico pubblico più importante proviene dalla Regione Emilia-Romagna, sostegno che ha
permesso di mantenere la gratuità di tutti gli spettacoli.

Fig. 2 – Locandina di Appennino Festival 2019


3.3. I musicisti
Il festival ha ospitato nel corso delle 18 edizioni tutti i musicisti locali attivi nella riproposizione
della tradizione musicale delle Quattro Province, sia quelli di livello professionale che quelli
amatoriali. Tra i musicisti locali più interessanti, attivi anche in ambito nazionale e talvolta
internazionale si possono citare la coppia di piffero e fisarmonica di Stefano Valla e Daniele Scurati
(Cegni – Pavia), il pifferaio e polistrumentista Marco Domenichetti (Negruzzo – Pavia), oggi attivo
a Barcellona; il pifferaio e costruttore Ettore Losini (Bobbio – Piacenza) con Davide Balletti
(Cortebrugnatella – Piacenza) alla fisarmonica, la coppia di piffero e fisarmonica di Gabriele Dametti
(Bobbio – Piacenza) e Franco Guglielmetti (Pradovera – Piacenza), il polistrumentista Fabio Paveto
(Daglio – Alessandria), che alterna il piffero e la fisarmonica con diversi partner musicali tra cui il
gruppo Enerbia, il polistrumentista Carlo Gandolfi (Vigolzone – Piacenza), che utilizza oltre al piffero
anche tutte le altre cornamuse tradizionali del territorio, attivo sia come solista che con il gruppo
Enerbia.
Ha beneficiato inoltre, nel triennio dal 2003 al 2005, di un finanziamento europeo che ha permesso
la registrazione sul campo di tutti i gruppi vocali e strumentali presenti nel territorio e attivi in quel
momento, nonché la realizzazione per conto della Regione Emilia-Romagna di un volume collettaneo
e di tre cd audio.11
Oltre ai gruppi locali, il Festival ha ospitato già dalle prime edizioni i maggiori gruppi italiani attivi
nella ricerca sulle tradizioni popolari, tra i quali Ambrogio Sparagna (Lazio), Micrologus (Umbria),
La Macina (Marche), Calicanto (Veneto), I Viulan (Emilia-Romagna), La Rossignol (Lombardia),
La Rionda (Liguria), Trouveur Valdotèn (Val d'Aosta), Baraban (Lombardia), I Liguriani (Liguria),
Tendachënt (Piemonte), Paolo Simonazzi (Emilia-Romagna) Nando Citarella (Campania), Luigi Lai
(Sardegna), Musicanti del Piccolo Borgo (Toscana), Sedon Salvadie (Friuli-Venezia Giulia), Domo
Emigrantes (Puglia), Tre Martelli (Piemonte), Lou Dalfin (Piemonte), con una particolare attenzione
per gruppi provenienti da alcune regioni italiane che mostrano similitudini nel repertorio
organologico. Con cadenza regolare sono stati presenti gruppi strumentali e vocali dalla Sardegna
con le launeddas,12 dalla Toscana e Lazio con la ciaramella, dalle Marche con l’organetto, dalle valli
occitane del Piemonte con la ghironda.

4. Conclusioni
Dopo quasi venti anni di storia – nel 2019 si è conclusa la diciottesima edizione – possiamo
affermare che il Festival ha supportato lo sviluppo turistico di un territorio marginale, poco conosciuto
ma di estremo interesse storico naturalistico, e che tale manifestazione è stata protagonista nel
ricercare un tipo di turismo slow,13 oggi particolarmente significativo e vivace, che privilegia i
percorsi a piedi o in bicicletta, non occasionale, attento alle specificità territoriali, rispettoso
dell’ambiente e desideroso di riscoprire sapori, suoni e situazioni non ancora omologati. Le ultime
edizioni hanno previsto eventi collaterali e collaborazioni con associazioni attive nel costruire
percorsi turistici sostenibili per raggiungimento degli eventi.
Il Festival ha poi contribuito in maniera sostanziale a diffondere tra le nuove generazioni la
conoscenza e la pratica dei repertori tradizionali, supportando la formazione e l’attività di giovani
strumentisti e cantori. Oggi una nuova attività di registrazione dei gruppi vocali e strumentali

11
MILANA F., SCAGNELLI M. et al. (2005)
12
Sui punti di contatto tra diverse tradizioni europee nell’ambito degli strumenti ad ancia e dei relativi repertori, si veda
ad esempio GANDOLFI C. (2017)
13
Vale la pena ricordare in questa sede l’osservazione di AIME M., PAPOTTI D. (2012), secondo la quale l’esperienza
turistica si declina sempre meno come momento di scoperta, assumendo invece la funzione di conferma del proprio
immaginario precostituito.
esistenti, a 15 anni da quella realizzata per la Regione Emilia-Romagna, documenterebbe un numero
di giovani professionisti e amatori molto consistente, preparato, e di grande consapevolezza artistica.
Il gruppo Enerbia, che cura con la scrivente la direzione artistica e la complessa organizzazione del
Festival e che ha collaborato nel corso di questi anni con numerosi esponenti del mondo culturale (tra
gli altri: Ermanno Olmi, Paolo Rumiz, Giuseppe Bertolucci, Marco Bellocchio), troverà sicuramente
nei prossimi anni gli eredi per mantenere viva la musica delle Quattro Province.
I progetti futuri di studio musicologico e di programmazione di spettacoli dal vivo nel Festival, sono
orientati a incrementare gli scambi culturali e l’internazionalizzazione, con particolare riferimento al
tema della Via Francigena e a quello del patrimonio culturale del Monastero di Bobbio.

Bibliografia
AIME M., PAPOTTI D. (2012), L’altro e l’altrove. Antropologia, geografia e turismo, Einaudi, Torino.
ARTOCCHINI C. (2002), Tradizioni popolari piacentine, voll. 1-3, Tep Edizioni d’Arte, Piacenza.
BARBERANI S. (2006), Antropologia e turismo: scambi e complicità culturali nell'area mediterranea,
Guerini scientifica, Milano.
BOTTA GIORGIO (2006), (a cura di), Territori, tradizioni, oggi, in Geotema, n.30, Pàtron Editore,
Bologna.
BOTTA GIORGIO (2007), (a cura di), Tradizioni e modernità. Saperi che ci appartengono, Giappichelli
Editore, Torino.
CAPRONI G. (1999), Tutte le poesie, Garzanti, Milano.
CARDINI F. (1983), I giorni del sacro, UTET, Milano.
DIOGUARDI V. (2009), L’immagine della destinazione turistica come costruzione sociale,
FrancoAngeli, Milano.
GANDOLFI C. (2017), Aerofoni a sacco. Uno sguardo comparativo tra diversi strumenti e repertori,
Pubblicazione autonoma.
GARTNER W.C. (1993), Image Formation Process, in Journal of Travel and Tourism Marketing, n.2,
Haworth Press Inc., Filadelfia, Pennsylvania, USA.
GIOIELLI M. (2005), (a cura di), La zampogna. Gli aerofoni a sacco in Italia, Cosmo Iannone Editore,
Isernia.
LEYDI R., GUIZZI F. (1985), Le zampogne in Italia, vol. I, Ricordi, Milano.
MILANA F., SCAGNELLI M. et al. (2005), Le tradizioni musicali delle Quattro Province, GAL Soprip,
Regione Emilia-Romagna – Provincia di Piacenza.
RUMIZ P. (2007), La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, Milano.
SCHAFER R.M. (1977), Il paesaggio sonoro, Ricordi, Milano

Sitografia
http://www.appennino4p.it/ (data u.c.: 04.01.2020)
http://www.appenninofestival.eu/ (data u.c.: 04.01.2020)
http://www.enerbia.com/ (data u.c.: 04.01.2020)

Potrebbero piacerti anche