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Peccati di gola
La scuola di pasticceria
Copyright ‘ Sitcom Editore
Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, o altro, senza
l’autorizzazione scritta dell’editore.
Autore
Luca M ontersino
Progetto Grafico
Sitcom Editore
Fotografie
R. Sammartini
Impaginazione
Bianca&Volta
Supervisione Testi
M aria Abruzzese
Segreteria Organizzativa
Gioia Quattrocchi
ISBN: 978-88-6107-199-5
In copertina
Fronte e bandella: F. Brambilla e S. Serrani
Foto pagina 4: F. Brambilla e S. Serrani
Sommario
Il perché delle 8 basi
Il pan di Spagna
La pasta frolla
La pasta sfoglia
La crema pasticciera
La pasta brioche
La meringa italiana
La dacquoise
Glossario
Indice alfabetico
Il perché delle 8 basi
LE TORTE DA FORNO
Le torte da forno costituiscono il patrimonio più importante della nostra pasticceria classica.
Prima dell’avvento della pasticceria moderna, proveniente in gran parte dalla Francia, le torte
da forno costituivano la parte principale dell’arte dolciaria italiana. Tuttora, anche se presenti
tante altre specialità provenienti da tutto il mondo, i dolci al forno restano sempre molto
apprezzati.
Nei prossimi passaggi, vi voglio spiegare sinteticamente quali sono le condizioni affinché una
torta lieviti e quali gli inconvenienti che avvengono di frequente.
Prima di chiarire tutti gli imprevisti che si possono incontrare nella realizzazione delle torte
da forno, forse è bene che vi indichi che cosa accade durante l’importante fase della cottura.
È chiaro che, se aggiungiamo nella preparazione il lievito chimico (o baking), questo agirà con
il calore, sprigionando dei gas che tenderanno ad andare verso l’alto, facendo aumentare di
volume il dolce. È importante non aprire il forno, né togliere la torta quando la cottura non è
ancora completata. Questo causerebbe la dispersione dei gas, non essendosi ancora coagulate
né le proteine della farina (glutine), né quelle delle uova. Inoltre, con l’apertura del forno, si
avrebbe la tipica discesa del dolce con la conseguente formazione di un incavo nel centro.
Ecco perché, a volte, la vostra torta non riesce.
Se utilizzate il lievito di birra negli impasti, poiché si nutre in modo rilevante di glutine,
dovete prestare particolare attenzione alla farina che andrete a impiegare. In questo caso, vi
suggerisco l’uso di farine “forti”, in quanto ricche di glutine. Inoltre, mentre il baking fa
aumentare il dolce solo in fase si cottura, con il lievito di birra lo sviluppo e la lievitazione si
hanno sia nella fase preparatoria, di impasto e di riposo, sia in quella finale di cottura.
Se, nell’aumentare di volume verso l’alto, la maglia glutinica che si è formata durante la fase
dell’impasto non è abbastanza resistente, questa cede, precipitando verso il basso e
compromettendo la riuscita del dolce. Per questo motivo in alcune preparazioni, prima di
impastare tutti gli ingredienti, è necessario preparare la “biga”, un preimpasto lievitato che ha
la funzione di rinforzare quello finale. Questo processo avviene perché nella biga, non
essendoci altri ingredienti (come grassi o sale) al di fuori della farina, il lievito si sviluppa al
massimo delle sue potenzialità, consentendo una crescita maggiore dell'impasto, oltre a
espandere aromi più fini rispetto a una ricetta preparata con il metodo diretto.
Infine, la lievitazione può avvenire attraverso l’inserimento di aria nella massa. Generalmente,
l’aria si incorpora nelle uova, negli albumi oppure nella preparazione di specifiche ricette,
come l’impasto del pan di Spagna. Vi consiglio di fare questa operazione con una frusta
elettrica, in modo da incorporare più aria possibile al composto; tutti gli altri ingredienti,
invece, andranno aggiunti a mano con una spatola, effettuando il classico gesto “dal basso
verso l’alto”, in modo da non fare fuoriuscire l’aria incorporata, preziosa per la sofficità del
dolce.
LA CONFETTURA
L’estate ci fornisce tantissima frutta, colorata, accattivante e anche a un prezzo competitivo.
Ecco perché ho pensato di suggerirvi idee e consigli su come conservarla al meglio per la
stagione invernale, in modo da poterne apprezzare il profumo e colorare con essa la nostra
tavola, anche nei mesi più freddi, senza essere costretti ad acquistare frutta fuori stagione,
meno saporita e, soprattutto, più cara!
LA BISCOTTERIA
Partendo dal presupposto che la prima colazione è il pasto fondamentale che ogni individuo
dovrebbe fare, si intuisce subito l’importanza di assumere prodotti con un corretto valore
nutritivo, costituiti da grassi genuini, o comunque nobili, senza conservanti, monodigliceridi,
aromi chimici ecc. Inoltre, dal momento che si tratta di preparazioni con pochi ingredienti,
facciamo in modo che siano di qualità eccellente. Andrà a favore del prodotto finito e,
soprattutto, della nostra salute.
In pasticceria e nella biscotteria gli ingredienti sono di solito sempre gli stessi: la frutta secca,
le uova, il burro, la farina di tipo 00, le farine forti, la vaniglia naturale in bacche e il latte.
Consiglio sempre di tostare per qualche minuto in forno a 180 ¡C la frutta secca come
nocciole, mandorle, pistacchi e pinoli, in modo da tirar fuori tutti gli oli essenziali che
contengono. Questo accorgimento migliora notevolmente il gusto, esaltando il sapore.
Per quanto riguarda le uova e il burro, raccomando sempre la massima freschezza; ricordatevi
anche di lavare le uova prima di aprirle, per evitare spiacevoli contaminazioni. Il burro,
invece, va usato generalmente a temperatura ambiente e mai freddo di frigo, al fine di
facilitarne l’unione con gli altri ingredienti.
È preferibile utilizzare farina di tipo 00 (la cosiddetta farina debole), con un basso tenore di
glutine, evitando quella forte, indicata per i prodotti lievitati, perché l’alto contenuto di glutine
renderà i vostri biscotti poco friabili.
Non dimenticate che la friabilità di un frollino è data dall’alto quantitativo di burro che
contiene; quindi, se volete diminuire la dose di burro per rendere i vostri biscotti più dietetici,
fatelo pure, ma ricordatevi che andrà a discapito della morbidezza. Io vi consiglio di usare del
burro di buona qualità, anche perché questo prodotto è ricco di vitamine e di principi
importanti per il nostro organismo.
mele, more, ribes rosso, uva spina, limoni, arance, prugne acerbe sono frutti ricchi di
pectina e notevolmente acidi;
prugne mature e ciliegie dolci sono ricche di pectina, ma poco acide;
fragole, uva, albicocche, amarene sono povere di pectina, anche se discretamente acide;
lamponi, pesche, fichi, pere e, in genere, tutta la frutta matura, contengono poca pectina e
non sono acidi.
Disponete la frutta, ben lavata e tagliata a pezzi, con tutta la buccia, in una pentola e copritela
a filo con l’acqua. Fate cuocere finché la sua consistenza diventa molto morbida (le fragole
saranno pronte in meno tempo, per le pere e le pesche occorrerà qualche minuto in più;
comunque, dipende dal grado di maturazione). Versate la frutta ancora calda in un telo bianco
e pulitissimo (usatelo solo per questo scopo, avendo poi cura di lavarlo senza detersivi), che
avrete poggiato su un ampio tegame. Raccogliete i quattro lembi del telo, legateli e sospendete
la massa cotta sopra il tegame. Dovrà restare lì a percolare per 24 ore. Non toccate il sacco,
non strizzatelo, non accelerate la percolatura: da questa fase dipende la luminosità della vostra
gelatina!
Prendete il succo ottenuto e, in relazione alla frutta impiegata, al vostro gusto e alle necessità
di conservazione, pesate da 400 a 700 g di zucchero per 1 kg di succo. La frutta matura
richiede meno zucchero; quella acerba o fortemente acida ne esige di più. A questo punto, due
utensili vi aiuteranno a ottenere il risultato migliore: la pentola di rame e il termometro. La
prima è utile perché condurrà la cottura al punto di gelificazione (108 ¡C) in minor tempo,
salvaguardando al meglio gli aromi della frutta. Il secondo è di fondamentale importanza: non
deve essere necessariamente un termometro da zucchero, basta che sia tarato fino a 120 ¡C e
che la scala graduata si legga bene. Unite nella pentola il succo, lo zucchero e la purea, che
contiene pectina e/o acidi. Mescolate a freddo per amalgamare il tutto e fate cuocere a fuoco
forte, fino a quando non raggiungerà il punto di gelificazione (circa 12-15 minuti dopo il
bollore). Togliete la pentola dal fuoco, fermate la cottura immergendo il fondo in acqua fredda
e invasate la gelatina con attenzione. Vi suggerisco di utilizzare contenitori piccoli (120 ml),
che tapperete immediatamente. A questo punto, rivoltate sottosopra i barattoli e lasciateli
raffreddare, prima di riportarli nella giusta posizione.
Ricetta base
Il pan di Spagna
Il pan di Spagna
Tra i prodotti di base della pasticceria il pan di Spagna, pensando agli ingredienti che lo
compongono, è quello più semplice (eccezion fatta per la meringa). Ma, al tempo stesso, è
anche uno dei più complicati da approntare, dal momento che i procedimenti di preparazione
contemplano numerose varianti; per non parlare dei passaggi critici, dove solo l’esperienza e
la conoscenza degli ingredienti e dei metodi possono dare luogo a una buona riuscita. I tre
ingredienti primari del pan di Spagna sono le uova, lo zucchero e la farina.
Naturalmente, per perfezionarne il sapore, la leggerezza e la friabilità, si possono aggiungere
altri ingredienti come il burro, la fecola di patate o altri amidi, tuorli, frutta secca in polvere,
cacao e miele.
La sua riuscita è strettamente legata alle quantità dei vari ingredienti utilizzati e, soprattutto,
alla razionale sbattitura, la quale non deve essere né lenta, né violenta, né tantomeno deve
superare il tempo necessario.
La sbattitura lenta non consente di incorporare sufficiente aria, quella violenta, invece, non ne
permette l’incorporazione omogenea e la formazione uniforme degli alveoli. Lo sbattimento
prolungato, dal canto suo, rompe eccessivamente la rete proteica che, di conseguenza, perde di
consistenza, causando la rimozione delle bollicine di aria. In questo modo, il dolce non
raggiungerà la consistenza richiesta. Comunque, solo con la pratica si può arrivare a lavorare
l’impasto “a regola d’arte”.
Le uova: servono come base per il calcolo degli altri ingredienti della ricetta:
1 uovo intero = 50 g
1 tuorlo = 20 g
1 albume = 30 g
È possibile aggiungere più tuorli o, viceversa, più albumi, mantenendo la stessa grammatura.
Se si aggiungono tuorli, si avranno degli alveoli più piccoli e, di conseguenza, un pan di
Spagna leggermente più pesante. La dose è massima 1/3 del peso delle uova.
¥
Nota: quando si uniscono tuorli e burro, il pan di Spagna può essere chiamato anche pasta
margherita.
Se si aggiungono albumi, si otterrà una massa più leggera, con alveoli più grandi. La dose
¥
massima è 1/3 del peso delle uova.
Burro: si aggiunge sciolto, non bollente, alla fine del montaggio, purché sia stato già
precedentemente amalgamato con una piccola quantità di composto, per favorirne
l’assimilazione e non fare smontare l’impasto. La sua presenza nella ricetta migliora il gusto e
favorisce il restringimento degli alveoli. In questo modo, il prodotto si secca meno e risulta
più friabile e meno elastico.
La sua dose massima è di 1/4 rispetto al peso dello zucchero.
Nota: il pan di Spagna, con l’aggiunta di burro, si può chiamare anche genovese.
Fecola/amido: si può aggiungere in quantità pari fino a metà del peso della farina, eliminando
quest’ultima. La presenza di fecola o altro amido nella preparazione riduce gli alveoli e fa
perdere elasticità al composto, donandogli una buona friabilità.
Frutta secca in polvere: va unita insieme con la farina e il suo peso non deve mai superare
quello dello zucchero (ogni 300 g di frutta secca in polvere è necessario eliminare 100 g di
farina). La sua presenza nella ricetta dona al prodotto finale un gusto notevolmente migliore,
accompagnato da alveoli leggermente più piccoli e da una buona friabilità.
Cacao: il suo peso va sottratto a quello della farina e la sua dose massima è di 80 g per 1 kg
di farina.
Il pan di Spagna
per la finitura
600 g di pan di Spagna al cacao
100 g di amarene
150 g di cioccolato al 50%
50 g di zucchero bucaneve
1 Per la crema chocolatine: scaldate sul fuoco la crema pasticciera a 35 ¡C, unite il
cioccolato fuso e mescolate con cura; alleggerite il tutto con la panna montata.
2 Per la panna al kirsch: montate la panna con lo zucchero e la vaniglia quindi profumate
con il kirsch.
4 Mettete sul fondo di un quadro di acciaio alcune fettine di pan di Spagna al cacao
spesse 1 cm circa e inzuppate con la bagna al kirsch (foto A).
5 Disponete sopra il pan di Spagna uno strato di panna al kirsch spessa 1 cm (foto B) e
disponete delle amarene a distanza regolare una dall’altra (foto C).
6 Continuate con altro pan di Spagna inzuppato e aggiungete uno strato di crema
chocolatine spessa 1 cm (foto D). Completate il dolce con la panna montata al kirsch,
livellate bene la superficie e mettete il dolce nel congelatore. Tagliatelo in tronchetti
regolari, guarnite con ciuffi di panna montata al kirsch, sfoglie croccanti di cioccolato,
qualche amarena e completate con lo zucchero bucaneve.
175 g di tuorli
340 g di zucchero
100 g di acqua
1 bacca di vaniglia bourbon
500 g di panna montata
500 g di mascarpone
250 g di pan di Spagna
400 g di bagna al caffè d'orzo
15 g di cacao amaro in polvere
1 Per la crema tirati su: cuocete in una casseruola lo zucchero semolato con l'acqua fino
a raggiungere una temperatura di 121 ¡C (foto A), quindi versate lo zucchero sui tuorli
mentre stanno montando con la vaniglia nella planetaria (foto B). Montate fino al
completo raffreddamento.
per la finitura
600 g di gelée ai frutti rossi
600 g di frutta fresca mista
400 g di pan di Spagna di riso
40 g di gelatina neutra per pasticceria
Vi servono anche
1 quadro di acciaio
1 foglio di acetato
3 A questo punto formate sopra la gelée un altro strato con l'altra metà di chantilly (foto
E) e coprite il tutto con il pan di Spagna inzuppato di bagna al limoncello (foto F), che
avrete ottenuto miscelando insieme tutti gli ingredienti.
per la finitura
360 g di pan di Spagna al cacao
180 g di cioccolato gianduia
72 g di zucchero bucaneve
1 Per la panna cotta al cacao: portate a bollore il latte con lo zucchero, togliete dal fuoco
e unite la colla di pesce, precedentemente ammollata e strizzata, e il cacao amaro.
Mescolate con cura, quindi aggiungete il marsala e, infine, la panna fredda.
2 Per la chantilly allo zabaione: mescolate la crema zabaione molto fredda con la panna
altrettanto fredda (questo è molto importante al fine di un’ottima riuscita), quindi montate
il composto nella planetaria con la frusta (foto A).
La pasta frolla
La pasta frolla
Il termine pasta frolla deriva, secondo la tradizione, dal verbo “frollare”, che indica, in
cucina, il procedimento che favorisce l’intenerimento delle carni e migliora le loro
caratteristiche organolettiche. Di conseguenza, il termine “frolla” è stato associato a questo
tipo di pasta in virtù del fatto che le sue qualità migliorano dopo un riposo di qualche ora in
frigorifero. L’impasto base è composto da pochi ingredienti, che devono essere di buona
qualità, per avere il massimo del risultato soprattutto dal punto di vista del gusto.
Gli ingredienti sono: farina, grassi (principalmente il burro), zucchero, uova e aromi; è un
impasto a cui non va aggiunta l’acqua, se non quella contenuta nel burro e nelle uova.
La farina da usare è di tipo 0 oppure 00, anche se esistono varie tipologie di frolle preparate
con l’aggiunta di farine meno raffinate, come la farina di mais, che determina una maggiore
rusticità del prodotto, un fattore ritenuto, a volte, di pregio nella confezione di crostate alla
marmellata o biscotti per la prima colazione. Il fattore che indica la forza della farina deve
essere basso (150/180 W), per favorire la friabilità dell’impasto, che sarebbe invece
compromessa dall’elasticità del glutine lavorato in presenza di liquidi. A tal proposito, va
detto che anche una farina debole deve essere lavorata il meno possibile perché, dal momento
che vengono inseriti i liquidi (tuorli, uova intere, latte ecc.), l’impasto va manipolato solo fino
al loro assorbimento, poi va subito conservato in frigorifero per farlo riposare.
Un altro ingrediente che determina la maggiore o minore friabilità del composto è il burro che,
costituito dall’83% circa di materia grassa e dal 16% di acqua residua, si combina con la
farina formando la base dell’impasto, che andrà poi completato con le uova. Non esiste una
quantità ottimale di burro, ma essa varia a seconda del tipo di frolla che si vuole ottenere. È
possibile comunque conoscere una percentuale minima sul peso della farina che è consigliato
non superare (30% nelle frolle comuni e 50% in quelle montate) e una massima (70% nelle
frolle comuni e 80% in quelle montate). Superata la soglia minima, si perderebbe la friabilità
che caratterizza una frolla; al contrario, superata la soglia massima, si otterrebbe un impasto
eccessivamente grasso e talmente friabile da non riuscirlo nemmeno a lavorare. Inoltre, si
sbriciolerebbe una volta cotto, tanto da non poterlo tenere neanche in mano. La frolla classica,
costituita generalmente dal 50% di burro sul peso della farina, ha un buon punto di friabilità;
in ogni caso, a seconda dell’utilizzo che se ne deve fare, può essere necessario aumentarne o
diminuirne la quantità.
Il burro va lavorato nell’impasto a una specifica temperatura, che si aggira generalmente
intorno ai 13 ¡C, al fine di permettere la giusta mescolatura. Un burro troppo freddo (per
intenderci, alla temperatura di frigorifero 4 ¡C) non riuscirebbe ad amalgamarsi bene, mentre
un burro troppo caldo tirerebbe fuori tutto il suo grasso (si perderebbe l’emulsione naturale tra
i suoi grassi e la sua acqua).
Lo zucchero utilizzato normalmente è il saccarosio raffinato (il cosiddetto zucchero bianco),
che può essere sia semolato (frolla classica) sia a velo (frolla fine o frolle montate). Bisogna
tenere presente che lo zucchero semolato, rimanendo in sospensione nell’impasto, favorisce lo
sviluppo del glutine a differenza di quello a velo che, entrando nella struttura del composto, lo
rende meno elastico.
Ci sono anche varianti di pasta frolla preparate con zucchero di canna grezzo, miele e zuccheri
alternativi, ma fanno parte di ricette ben specifiche, destinate a impieghi particolari. Anche
per lo zucchero non esiste una quantità ottimale; in generale, una frolla ne contiene
normalmente circa il 40% sul peso della farina. Aumentandone o diminuendone la quantità, si
dà maggiore o minore compattezza all’impasto cotto; questo perché lo zucchero, durante la
cottura in forno, dopo lo scioglimento inizia una vera e propria fase di caramellizzazione che,
oltre a conferire il caratteristico colore nocciola all’impasto, gli dà la croccantezza voluta.
Anche in questo caso, si consiglia di non andare mai sotto il 25% circa sul peso della farina e
di non superare il 60% circa sul peso della farina, per evitare spiacevoli caramellizzazioni.
Gli ultimi ingredienti a entrare in scena sono le uova, che possono essere unite all’impasto
sotto forma di tuorlo, di uova intere o di albume. I tuorli, che sono composti essenzialmente da
grassi, andranno ad aumentare la quantità di questi ultimi all’interno della ricetta, agendo sulla
friabilità. Se si desidera un impasto più elastico, per permettere una maggiore lavorabilità
(per esempio, se si vogliono rivestire tortiere e stampini dalle forme particolari), si consiglia
di unire uova intere, in quanto l’acqua presente nell’albume (circa l’88%) farà reagire il
glutine aumentando elasticità. L’uovo intero, inoltre, fa lievitare di più l’impasto in cottura, a
causa delle proteine montanti presenti nell’albume. In questo modo, si ottiene una frolla che,
dopo la cottura, ha sviluppato un alveolo più grosso e una consistenza più asciutta e croccante,
a differenza dell’alveolo fine che presenta un impasto realizzato solo con tuorli.
Se la frolla viene impastata con lo zucchero semolato, si chiama “frolla comune”; se, invece
viene lavorata con lo zucchero a velo, prende il nome di “frolla fine”. Quando la quantità di
burro supera il 24% sul peso dell’impasto (ossia oltre 500 g di burro su 1 kg di farina), la
frolla viene classificata come sablè.
Per personalizzare le varie ricette, è necessario tener presente alcuni punti essenziali, che
caratterizzano la consistenza dell’impasto:
Una volta apprese queste nozioni, è possibile personalizzare le ricette a seconda dell’utilizzo
finale che se ne dovrà fare, agendo sulle diverse percentuali di grassi e di zuccheri.
Metodi di impasto
A prescindere dal tipo e dalla quantità di ingredienti utilizzati per la preparazione della pasta
frolla, esistono vari metodi di impasto, che hanno in comune un unico passaggio: lavorare il
meno possibile la farina con gli ingredienti che contengono acqua (burro e uova). I
procedimenti si distinguono in:
¥ metodo classico
¥ metodo sabbiato
¥ metodo montato
Metodo classico
Questo metodo consiste nel lavorare con la foglia in planetaria lo zucchero con il burro
(sempre alla giusta temperatura), miscelandolo senza montarlo. Quindi, vanno aggiunte le uova
poco alla volta, in modo da farle completamente assorbire al composto di burro e zucchero;
solo a questo punto vanno uniti gli aromi e la farina, necessaria semplicemente ad assorbire la
parte acquosa della preparazione (costituita da burro e uova).
Metodo sabbiato
Con questo metodo, la farina viene miscelata con il burro, al fine di ottenere un composto non
compatto ma “sabbioso”, in modo che il grasso rivesta le molecole di amido e le proteine
della farina (glutine), mantenendole isolate una dall’altra e impermeabilizzandole. Così, si
rendendo meno vulnerabili all’umidità dell’impasto anche dopo la cottura, ossia legano meno
tra di loro, formando tanti piccoli agglomerati a sé stanti. L’impasto di farina e burro, non
avendo costituito una massa compatta, darà un risultato di friabilità nettamente maggiore
rispetto al metodo tradizionale.
Il successivo passaggio consiste nell’aggiungere lo zucchero, seguito dalle uova che, con la
loro alta percentuale di acqua, riescono a far legare il tutto restituendo quel minimo di
compattezza alla pasta, in modo da poterla stendere. Non appena le uova si saranno
amalgamate all’impasto, è necessario spegnere immediatamente la planetaria.
La pasta frolla
1 kg di farina 00
600 g di burro
400 g di zucchero a velo
160 g di tuorli
1 bacca di vaniglia bourbon
2 g di sale
buccia di limone q.b.
1 Disponete su una spianatoia la farina a fontana (foto A), mettendo al centro lo zucchero
a velo, i tuorli (foto B), il burro a pezzetti e a temperatura ambiente, il sale, la buccia di
limone grattugiata e la vaniglia (foto B). Cominciate a lavorare gli ingredienti con le
mani (foto C) fino a sabbiare il composto (foto D).
2 Quando l’impasto si sarà compattato (foto E), formate un panetto e avvolgetelo con
della pellicola o della carta da forno e riponetelo in frigorifero a riposare per almeno 30
minuti prima dell'utilizzo.
L’intera operazione può essere eseguita anche con l’impastatrice.
composto frangipane
250 g di mandorle in polvere
250 g di burro
250 g di zucchero a velo
100 g di farina 0
250 g di uova intere
per la finitura
300 g di pasta frolla
100 g di crema pasticciera
300 g di frutta fresca mista
100 g di gelatina neutra
10 g di pistacchi in granella
1 Preparate il frangipane: montate il burro e lo zucchero a velo, unite le uova poco per
volta poi incorporate le mandorle e la farina e impastate fino a rendere omogeneo il
composto.
2 Nel frattempo, mettete lo zucchero in una padella antiaderente e scaldate bene fino a
quando non si sarà sciolto; aggiungete poi il burro, le mele tagliate a pezzetti e
fiammeggiate con il calvados.
3 Rivestite con la pasta frolla una tortiera da 20 cm di diametro (foto A), ed eliminate la
pasta in eccesso con l’aiuto di una rotella (foto B). Bucherellate il fondo (foto C),
disponetevi sopra i cubetti di mela spadellati in precedenza e, infine, coprite il tutto con
il composto frangipane (foto D). Infornate a 180 ¡C per 25 minuti e, a cottura ultimata,
fate raffreddare.
per la finitura
160 g di pasta frolla
40 g di ananas sciroppato
40 g di lamponi
20 g di gelatina neutra
zucchero bucaneve q.b.
1 Portate a bollore, se possibile in una pentola di rame stagnata in acciaio, il latte con la
panna (foto A). Nel frattempo montate i tuorli con lo zucchero e la fecola (foto B).
Quando il latte bolle, unite il composto montato (foto C), frustate subito energicamente e
portate a cottura (foto D).
2 Foderate con la frolla una tortiera di media altezza, bucherellare il fondo e mettervi
dentro delle fettine di ananas sciroppato.
3 Mettete la crema calda nello stampo con la pasta frolla (foto E) e spianate leggermente
con l’aiuto di una spatola o di un cucchiaio (foto F), lasciando la superficie ad altezza
irregolare (questo permetterà una colorazione non del tutto uniforme durante la cottura).
Infine, cuocete in forno a 220 ¡C per 20 minuti.
4 Fate raffreddare e decorate con lamponi, una parte spolverizzati di zucchero bucaneve
e una parte no, e disponete alcuni pezzetti di ananas sciroppato al centro.
Gelatinate la crema e l'ananas prima di servire.
per il ripieno
400 g di mele
60 g di uvetta sultanina
20 g di pinoli
30 g di rum
80 g di burro fuso
160 g di pane casereccio
80 g di latte intero fresco
10 g di buccia di limone
cannella in polvere q.b.
per gli streussel
120 g di zucchero a velo
120 g di marzapane al 65% di mandorle
240 g di burro
320 g di farina 00
5 g di baking (o lievito chimico)
per la finitura
400 g di pasta frolla
100 g di confettura di albicocca
100 g di gelatina neutra
zucchero a velo q.b.
1 Tagliate le mele a dadini (foto A) e il pane a cubetti (foto B); versate quest’ultimo in
una ciotola e ammorbiditelo con il latte (foto C). Unitelo poi al resto degli ingredienti del
ripieno (foto D) e amalgamate il tutto.
3 Lasciate riposare l'impasto in frigorifero per 30 minuti; nel frattempo foderate con la
pasta frolla uno stampo da 20 cm di diametro ben imburrato, bucherellate il fondo e
spalmatevi sopra la confettura di albicocca. Riempite poi con il ripieno di mele e pane e
completate la torta in superficie con la pasta per streussel, passata attraverso un setaccio
a maglie larghe (foto E), in modo da formare tanti vermicelli (foto F). Infornate a 200 ¡C
per 25 minuti circa. A fine cottura, una volta fredda, gelatinate la crostata e
spolverizzatela con lo zucchero a velo.
per il ripieno
400 g di confettura di lamponi
1 Montate il burro “in pomata” con lo zucchero a velo, la cannella in polvere, la buccia
di limone grattugiata e il rum.
Utilizzate per questa operazione una planetaria con la frusta oppure un normale frullino
casalingo, sempre munito di fruste.
Quando il composto risulterà spumoso unite i tuorli sodi e passati al setaccio e
completate il tutto con la farina, girando, però, il meno possibile.
2 A questo punto mettete l’impasto ottenuto in un sac à poche munito di bocchetta rigata,
e dosatelo nello stampo formando il fondo e un bordo (foto A e B). Disponete al centro la
confettura di lamponi (foto C) quindi, sempre con il sac à poche, realizzate sopra delle
righe di pasta intrecciata (foto D e E).
Cuocete in forno a 180 ¡C per 15/20 minuti o, comunque, finché non risulterà dorata. Lasciate
raffreddare completamente prima di estrarre la crostata dallo stampo.
Acqua: serve come base di calcolo per gli altri ingredienti. Al fine di controllare meglio le
proporzioni, si consiglia di quantificare sempre le ricette con 1 l di acqua come partenza.
Latte: può sostituire totalmente o parzialmente l’acqua; il composto ottenuto con l’aggiunta di
latte tende a colorarsi meglio durante la cottura in forno.
Burro: può essere sostituito con margarina, strutto o grassi concentrati. La sua presenza nella
ricetta è funzionale, insieme con le uova e gli amidi della farina, a trattenere il vapore per fare
alzare in altezza il bignè.
Farina: la farina più adatta è il tipo da biscotteria, ossia ricca di amidi con poco glutine.
Attraverso la gelatinizzazione dei suoi amidi, si lega alle uova e al grasso e favorisce la
crescita del composto.
Uova: principalmente intere, si aggiungono (abbastanza velocemente, per non fare prendere
nervo alla massa) dopo che il liquido, il grasso e la farina sono già cotti. La loro dose varia
rispetto alle proporzioni degli altri ingredienti e al prodotto che si vuole ottenere.
Sale: va aggiunto alla ricetta nella proporzione di 0,5-1% sul liquido. La sua presenza nella
ricetta migliora notevolmente il gusto.
Zucchero: va aggiunto alla ricetta nella proporzione di 0,5-1% sul liquido. La sua presenza
migliora leggermente il gusto e accentua la colorazione in forno durante la cottura.
La cottura
Per quanto riguarda le cotture, ogni pasticciere conosce il suo forno. Si parla, quindi, solo di
temperature standard, che riguardano concetti ben precisi a seconda delle ricette utilizzate. Per
le ricette più pesanti, ossia ricche di farina e povere di burro, si utilizzeranno temperature di
circa 180 ¡C.
Per le ricette medie, con burro e farina di pari peso, si useranno temperature di circa 200 ¡C.
Per le ricette leggere, povere di farina e ricche di burro, si utilizzeranno temperature di circa
220 ¡C.
Queste temperature riguardano esclusivamente i forni statici; se si utilizzano forni a
ventilazione, le gradazioni vanno diminuite di 10-20 ¡C.
La valvola del forno va solitamente tenuta chiusa, fino a quando i bignè non si saranno gonfiati
e avranno preso un leggerissimo colore; dopodiché, il forno andrà aperto, liberando così la
camera dall’umidità prodotta e lasciando asciugare il composto.
Ricetta base
185 g di acqua
165 g di burro
175 g di farina 00
25 g di latte intero fresco
270 g di uova intere
un pizzico di sale
1 Mettete a bollire, in una pentola dal fondo molto spesso, acqua, burro, sale e latte
(foto A), versate tutta la farina (foto B), e lasciate asciugare sul fuoco (foto C). Trasferite
l’impasto in planetaria con il gancio a foglia, e lasciate girare per 1 minuto; aggiungete
quindi le uova un po’ per volta (foto D) e lasciate incorporare bene.
2 Con l’aiuto di una tasca da pasticciere (foto E) modellate i bignè su teglie imburrate
(foto F) e cuocete in forno a 220 ¡C con il cielo più alto del suolo o, se preferite,
friggeteli in olio vegetale ben caldo.
per la finitura
200 g di pasta per bignè
20 g di cacao tipo Van Houten
200 g di cioccolato al 70%
5 g di caffè in chicchi
1 Per la chantilly al caffè: stemperate la crema pasticciera fredda di frigorifero con una
frusta, al fine di ottenere una massa ben liscia e omogenea; prelevatene circa la metà e
scaldatela al microonde, quindi unite la colla di pesce ammollata e fatela sciogliere.
Versate il caffè espresso, nel quale è stato fatto sciogliere precedentemente anche il caffè
solubile e aggiungete il resto della crema pasticciera fredda.
2 Nel frattempo montate la panna e unitela alla crema molto delicatamente, con un
movimento del cucchiaio dal basso verso l'alto, in modo da ottenere una crema chantilly
ben areata e leggera. Coprite con la pellicola trasparente e conservate in frigo.
4 Dopo aver cotto i bignè come da ricetta base, farciteli con la chantilly al caffè e, dopo
averli congelati, glassateli con la glassa al mascarpone aiutandovi con una forchetta (foto
C e D). Impilateli uno sopra l'altro in un tubo fatto con il cioccolato fondente,
spolverizzate leggermente con il cacao amaro in polvere e decorate con i chicchi di caffè.
per il caramello
250 g di zucchero
100 g di acqua
150 g di sciroppo di glucosio
per la ganache al cioccolato amaro
250 g di cioccolato al 70%
350 g di panna fresca
per la finitura
400 g di pasta per bignè
200 g di pan di Spagna
150 g di panna montata
1 Per la chantilly allo zabaione: unite alla crema zabaione ancora calda la colla di pesce
ammollata, portate il tutto a 30 ¡C, quindi alleggerite con la panna leggermente sbattuta,
ma ancora semiliquida. Per la ganache al cioccolato amaro: scaldate la panna, unite il
cioccolato amaro a pezzettini, quindi mescolate bene in modo da farlo sciogliere.
2 Nel frattempo, preparate i bignè e, una volta che avrete terminato la cottura, lasciateli
raffreddare.
5 Una volta fredda, ponete sul fondo della corona uno strato di pan di Spagna, uno di
chantilly allo zabaione, uno di ganache al cioccolato amaro. Terminate aggiungendo in
cima al dolce un ultimo strato di crema chantilly allo zabaione. Decorate con fili di
caramello realizzati con l’aiuto dell’apposita frusta priva delle estremità (foto E) e con
ciuffi di panna montata.
per la finitura
1,2 kg di pasta sfoglia
800 g di pasta per bignè
400 g di crema pasticciera al cioccolato
300 g di pan di Spagna
200 g di bagna al rum
400 g di zucchero
1 Stendete la pasta sfoglia in uno strato molto sottile (circa 2 mm), quindi bucherellatela
bene e ricavatene dei dischi da 12 cm di diametro (foto A). Metteteli sulla teglia con
carta da forno e, dopo averli spennellati con acqua, formate intorno un cordone di pasta
per bignè cruda (foto B). Infornate il tutto a 180 ¡C per circa 20 minuti. A fine cottura
lasciate raffreddare direttamente sulla teglia, mentre con il resto della pasta fate dei
piccoli bignè, che cuocerete nel forno a 190 ¡C.
2 Nel frattempo preparate la crema Saint-Honoré: portate a bollore il latte con la panna,
versatevi dentro i tuorli sbattuti con lo zucchero, l'amido di mais e la vaniglia. Cuocete
come una crema pasticciera (cioè fino a quando non si sarà addensata), quindi togliete
dal fuoco, unite la colla di pesce precedentemente ammollata e ben strizzata. Tenete da
parte, coprendo con pellicola a contatto, in modo da evitare la formazione di una
crosticina in superficie; e il fatto che, al tempo stesso, la crema si raffreddi.
3 Cuocete 140 g di zucchero con l'acqua fino a raggiungere una temperatura di 121 ¡C,
quindi versate a filo sugli albumi, che stanno montando in planetaria con la frusta,
insieme con 40 g di zucchero; se non si possiede una planetaria eseguite la stessa
operazione con un frullino. Montate il tutto fino a raffreddamento, quindi unite alla crema
calda preparata in precedenza, mescolando delicatamente dal basso verso l'alto e tenete
da parte.
per la decorazione
120 g di parmigiano grattugiato
0,5 g di pepe rosa secco
80 g di panna montata
24 g di riduzione di aceto balsamico
1 Preparate i bignè di forma tonda con la bocchetta liscia n. 12 e fate cuocere in forno a
220 ¡C per 15 minuti circa.
5 Composizione finale: tagliate alle bignole i cappelli (foto C), farcitele con la chantilly
di parmigiano (foto D) e adagiatevi sopra una cialdina di parmigiano (foto E).
Completate con un ciuffetto di panna montata (foto F) e decorate spolverizzando con del
pepe rosa sminuzzato e una goccia di riduzione di aceto balsamico.
La pasta sfoglia
La pasta sfoglia
Si tratta di una pasta molto semplice, composta generalmente da quattro ingredienti, la farina,
il burro o la margarina, l’acqua e il sale che, combinati fra loro in diversi modi, danno vita a
riuscite diverse. Ogni pasticciere realizza la pasta sfoglia a modo suo, a seconda della
conoscenza degli ingredienti e dei procedimenti o perché così gli è stato insegnato.
Di seguito sono riportati il modo, gli ingredienti e i procedimenti che determinano le
differenze tra le varie versioni di pasta sfoglia.
La farina: è preferibile usare una farina mediamente forte (circa 230 W), che permette di
ottenere una buona sfogliatura e una discreta friabilità. Con una farina più debole, come quella
utilizzata per la pasta frolla, si avrà una pasta di buona friabilità ma di pessima sfogliatura e
leggerezza. Di contro, se si utilizza una farina troppo forte, per esempio quella indicata per i
lievitati, si ottiene un effetto molto sfogliato e leggero, ma con una scarsa friabilità, dovuta
all’assorbimento dell’umidità, dopo la cottura, da parte della massiccia presenza di glutine.
L’acqua: serve a sciogliere il sale e, miscelata con la farina, produce il pastello; la quantità
varia a seconda del potere di assorbimento della farina utilizzata.
Durante la cottura, l’acqua evapora, stimolata dal calore del forno, contribuendo così alla
stratificazione dell’impasto.
Burro o margarina: come materia grassa, è preferibile utilizzare il burro, che ha un sapore
notevolmente migliore. È vero che in commercio esistono margarine prodotte appositamente
per la pasta sfoglia, che hanno una struttura lunga e plastica in grado di facilitare la
lavorazione e influenzare notevolmente il distacco fra la materia grassa e il pastello, ma il
sapore è notevolmente peggiore rispetto a quello ottenuto con l’impiego del burro.
Il sale: serve a dare rotondità al sapore della sfoglia cotta; la sua dose è fra i 20 e i 25 g per 1
kg di farina. Generalmente si scioglie nell’acqua.
Metodi di impasto del pastello
Esistono diversi metodi di impasto del pastello, che sono fondamentali per la riuscita:
Nel primo caso, stimolando poco il glutine si ottiene una velocità di produzione notevole e un
tipo di sfogliatura più abbondante e leggermente irregolare.
Stimolando molto il glutine, invece, si ha una sfogliatura più regolare e non abbondante.
In quest’ultimo caso, durante la cottura, il glutine è già in tensione e al massimo della sua forza
quindi, attraversato dal vapore, non è in grado di ostacolarne il passaggio e di gonfiarsi molto.
Aggiungendo materia grassa all’impasto, la consistenza del pastello diventa più solida
favorendo, con l’effetto del freddo ottenuto dal riposo in frigorifero, le pieghe insieme al
panetto del burro.
Impasto del panetto
Ci sono diverse possibilità per avvolgere il panetto di burro con il pastello, che hanno tutte,
come scopo finale, la distribuzione uniforme fra il panetto e il pastello durante la realizzazione
delle pieghe. A tal proposito, vi ricordo che la buona riuscita delle pieghe comincia proprio
dall’inserimento del panetto all’interno pastello.
Metodo n. 1
Mettete al centro del pastello, ben steso e allargato, un panetto di forma rettangolare; chiudete
perfettamente i lati al centro e, successivamente, stendete con il matterello le ali esterne del
pastello, piegandole una sopra e una sotto, in modo da distribuire la pasta uniformemente. Alla
fine, stendete e realizzate le pieghe desiderate.
Metodo n. 2
Utilizzate questo metodo quando volete preparare una pasta sfoglia inversa, cioè con le pieghe
della pasta realizzate con il burro fuori. Per prima cosa, allargate il pastello a forma
rettangolare e appoggiate al centro il panetto, di dimensioni più piccole. Sollevate i bordi del
pastello, attaccandoli al panetto solo attraverso i margini, lasciando in questo modo il panetto
ben visibile al centro; infine, stendete con il matterello e realizzate le pieghe a vostro piacere.
Metodo n. 3
Allargate a forma rettangolare il pastello, disponete al centro il panetto, in maniera che risulti
parallelo al pastello nei lati corti, e chiudete le ali del pastello bene al centro, lasciando liberi
i lati corti. Alla fine, stendete con il matterello e realizzate le pieghe desiderate.
Metodo n. 4
Allargate il pastello in forma quadrata e mettete al centro il panetto di burro (preparato
sempre in forma quadrata), in maniera che si formino quattro punte; chiudetele al centro
coprendo totalmente il panetto, stendete bene il panetto e realizzate le pieghe a piacere.
Solitamente, si è portati a pensare che un’abbondante stratificazione (ossia molte pieghe) sia
alla base di una sfoglia molto friabile e poco alta di spessore, con alveoli molto piccoli;
diversamente, una sfoglia poco stratificata (ossia con poche pieghe) sia propria di una pasta
un po’ elastica, con alveoli molto grandi e abbastanza irregolari. Questi effetti sono accentuati
o diminuiti, a seconda di come vengono realizzate le pieghe (alte o basse).
Le pieghe alte tendono a far aumentare di più la pasta; quelle basse, invece, ad amalgamare il
panetto e il pastello, al fine di ottenere una sfoglia più friabile.
Vi ricordo che, in una pasta sfoglia che ha subito una cottura troppo veloce, si può conservare
dell’umidità all’interno delle stratificazioni (spesso rimaste completamente bianche rispetto
alla superficie), che non ha avuto modo di venir fuori a causa di una cottura troppo veloce o
effettuata con un calore troppo forte. Questa umidità rende la sfoglia poco friabile e gommosa,
inadatta per preparazioni di determinati dolci, come diplomatici, millefoglie e torte Saint-
Honoré. Inoltre, se la sfoglia viene conservata al caldo, in attesa di essere utilizzata, rischia di
diventare secca, dando l’impressione di un prodotto vecchio.
Ricetta base
La pasta sfoglia
per il panetto
440 g di farina 00
1,5 kg di burro
per il pastello
1,060 kg di farina
00 30 g di sale
660 g di acqua
1 Per il panetto: impastate la farina con il burro, senza lavorarli troppo; formate un
panetto quadrato, appiattitelo e ponetelo in frigo per 1 ora (foto A).
2 Per il pastello: impastate tutti gli ingredienti per qualche minuto, fino a ottenere un
impasto liscio e omogeneo (foto A); riponetelo in frigorifero per almeno 30 minuti,
coperto con della pellicola per alimenti.
composto frangipane
95 g di mandorle pelate
90 g di zucchero di canna grezzo
95 g di burro
105 g di uova intere
28 g di farina di riso
7 g di amido di riso
10 g di cacao amaro in polvere
25 g di granella di amaretti
per la finitura
300 g di pasta sfoglia
250 g di pesche sciroppate
100 g di gelatina di albicocche
100 g di amaretti
2 Stendete la pasta sfoglia dello spessore di 2,5 mm e ricavatene dei dischi con l’aiuto
di un coppapasta (foto A). Bucherellate la superficie dei dischi con i rebbi di una
forchetta (foto B).
3 Mettete nel centro un po’ di frangipane al cioccolato (foto C) e gli amaretti ridotti in
granella. Aggiungete mezza pesca sciroppata, premendo leggermente in modo da far
fuoriscire dai lati della pesca un po’ di crema frangipane (foto D). Infornate a 170 ¡C per
20 minuti circa, quindi lasciate raffreddare completamente il dolce prima di lucidarlo
con la gelatina di albicocche calda.
per la finitura
75 g di bacon
400 g di pasta sfoglia
40 g di parmigiano grattugiato
1 Unite gli spinaci lessati, ben strizzati e tritati alla ricotta, aggiungete il resto degli
ingredienti, mescolate con cura e tenete da parte.
Per il ripieno di uova: sbattete le uova intere con i tuorli, unite la panna e il latte; salate e
profumate con noce moscata.
2 Stendete la pasta sfoglia allo spessore di 2 mm, coppate dei dischetti e foderate gli
stampini, facendo in modo che la pasta fuoriesca di 1,5 cm oltre lo stampo (foto A).
3 Bucherellate bene il fondo con i rebbi di una forchetta (foto B), quindi farcite con il
ripieno di ricotta e spinaci. Ponete sopra dei dadini di bacon (foto C) e completate con un
centimetro di composto di uova (foto D). Risvoltate verso l'interno il bordo in eccesso di
pasta, spolverizzate con il parmigiano grattugiato e infornate a 170 ¡C per 20 minuti
circa.
per la finitura
1 kg di crema chantilly alla vaniglia
400 g di pan di Spagna
1 Stendete la pasta sfoglia allo spessore di 2 mm, bucatela con fori piuttosto distanziati
ma regolari e infornate a 160 ¡C, fino a quando la sfoglia non avrà assunto un bel colore
dorato. A questo punto toglietela dal forno, spolverizzatela con lo zucchero a velo e
infornatela nuovamente a 240 ¡C, fino a completa caramellizzazione.
A fine cottura passate su entrambi i lati di pasta sfoglia ancora calda, il burro di cacao in
polvere.
3 A questo punto stendete uno strato alto 1 cm di crema chantilly alla vaniglia sul primo
foglio di pasta sfoglia caramellata (foto B). Disponetevi sopra delle fette di pan di
Spagna alte 1 cm (foto C) e inzuppatele con la bagna al rum (foto D) che avrete ottenuo
miscelando insieme tutti gli ingredienti. Sovrapponete un altro strato di crema chantilly
alla vaniglia e chiudete con l’altro foglio di sfoglia caramellata (foto E). Congelate il
tutto, in modo da poter tagliare il dolce a trancetti regolari con un coltello affilato.
Aspettate lo scongelamento prima di servire.
2 Montate in planetaria, con la frusta, il burro ammorbidito (foto A). Versate poi a filo i
tuorli d’uovo e aggiungete la polvere di mandorle e farro (foto B e C). Completate il
composto con l'albume montato a neve insieme a 80 g di zucchero di canna (foto D).
4 Aggiungete il composto alle mandorle (foto F), quindi spolverizzate con zucchero in
granella e mandorle a filetti.
Completate con alcune strisce di pasta sfoglia intrecciate.
Cuocete in forno a 170 ¡C per 25-30 minuti circa. Una volta sfornata capovolgete la torta
sopra una griglia e lasciate raffreddare. Decorate con lo zucchero bucaneve, le amarene e
le mandorle con la buccia. Infine, gelatinate per rendere brillante la torta.
La crema pasticciera
La crema pasticciera
In pasticceria è considerata la regina delle creme. Con essa si realizza la maggior parte delle
farciture di torte classiche e mignon e, quando è alleggerita con la panna, diventa un prodotto
insostituibile per ogni pasticciere. Gli ingredienti che la compongono sono molteplici; c’è chi
la prepara con latte, zucchero, tuorli, farina e aromi, chi con polvere per crema, chi con latte,
panna, zucchero e amido, chi fa una miscela di amidi. Naturalmente, devono essere sempre
freschissimi e di ottima qualità.
In questo tipo di preparazione si verifica, a carico delle proteine, un coagulo che forma una
specie di rete, nelle cui maglie vengono trattenuti tutti i principi nutritivi. La coagulazione è
favorita anche dalla presenza dell’amido contenuto nella farina che, grazie al calore, si
trasforma in salda.
In genere, queste creme risultano più soffici per la presenza dello zucchero, che diminuisce la
rapidità della coagulazione proteica. Quanto più zucchero si aggiunge, tanto minore è la
velocità di coagulazione. Volendo, si potrebbe abbondare con lo zucchero, in modo da
ritardare completamente la coagulazione dell’uovo, un processo dovuto alla presenza delle
proteine. In questo caso, però, la crema sarebbe immangiabile perché troppo dolce. Anche
l’aggiunta di bucce di agrumi a scopo aromatizzante e il rimescolamento continuo influiscono
sulla morbidezza della crema, perché così facendo si spezza la rete proteica e il prodotto
finale risulta più o meno ben fitto ma non solido, come quello della crema di caramello, che
non subisce alcuna manipolazione.
Le temperature che determinano un inizio di vischiosità degli amidi sono:
aspetto esterno: la crema ha una superficie liscia, un aspetto lucido e un colore giallo
uovo tenue;
aspetto interno: la crema ha una struttura uniforme, cremosa e liscia, esente da sineresi
(ossia parziale cedimento dell’acqua);
qualità sensoriali: la crema ha un sapore leggero di vaniglia, non oppone resistenza al
palato, ha un aroma chiaramente distinguibile e non è farinosa.
Ingredienti principali
Il latte: si utilizza principalmente quello intero di alta qualità; è comunque possibile usare
anche il latte in polvere intero reidratato con l’acqua.
Il tuorlo: la sua coagulazione va da 62 ¡C a 65 ¡C, aspetto da tenere presente per la cottura del
prodotto. Infatti, più tuorli si utilizzano, meno sarà necessario cuocere il prodotto, per evitare
il sapore sgradevole di uovo cotto dovuto alla parte zolferina del tuorlo che, denaturandosi, dà
all’uovo un cattivo sapore.
Per ottenere una buona crema la quantità di tuorli in 1 l di latte può variare da 8 a 25 (da 160 g
a 500 g per 1 l di latte) e, di logica, più aumentano i tuorli meno amido si dovrà aggiungere
alla ricetta (coagulandosi, i tuorli fanno rapprendere la crema). Di contro, sarà necessario
aggiungere più zucchero (come già spiegato prima, lo zucchero neutralizza la capacità di
coagulazione dei tuorli; di conseguenza, si deve aumentare la sua quantità per tenerla sotto
controllo e non far rapprendere troppo velocemente i tuorli).
Il tuorlo aumenta la conservazione della crema grazie alla lecitina, che avvolge le particelle di
grasso ed evita l’ossidazione. L’azione conservante è maggiormente accentuata dallo zucchero.
Inoltre, l’abbondante presenza di tuorli fa sì che, in percentuale, nella preparazione ci sia
meno acqua, garantendo in questo modo una conservazione migliore.
La farina: si utilizza per fare addensare la crema, da sola o insieme agli amidi. La sua
temperatura di viscosità va da 81 ¡C a 94 ¡C.
L’amido di mais: si usa per fare addensare la crema, da solo o unito ad altri amidi o alla
farina. La sua temperatura di viscosità va da 72 ¡C a 84 ¡C.
L’amido di riso: si aggiunge per fare addensare la crema, da solo o insieme ad altri amidi o
alla farina. La sua temperatura di viscosità va da 76 ¡C a 92 ¡C.
Le uova: si possono utilizzare ma non sono molto indicate per una crema di qualità. Il loro
apporto di acqua è notevole e, quindi, minano la conservazione del prodotto.
La panna: con il suo apporto di grasso e una minore quantità di acqua, può sostituire una parte
di latte, migliorando il gusto del prodotto e potenziando la conservazione. La sua dose
massima si aggira sui 300 g per 700 g di latte.
Il burro: aggiunto alla ricetta, dona alla crema una maggiore cremosità, migliora il gusto e il
grado di conservazione. La sua proporzione varia dal 3% al 5% sul totale del peso della
preparazione.
La crema pasticciera si conserva in frigorifero a 4 ¡C; di conseguenza il burro, a contatto con
il freddo, si rapprende e fa rassodare anche la crema, donandole una buona cremosità. Inoltre,
svolge un’azione conservante avvolgendo con il suo grasso le particelle degli altri ingredienti
e rendendoli meno vulnerabili all’ossidazione. Se si dovesse presentare, infatti, argina
parzialmente la sineresi (ossia la perdita di liquido).
La vaniglia: i baccelli devono essere gonfi, morbidi e con una buccia sottilissima, in modo da
poter ricavare il massimo numero di semi. Per scegliere un baccello, provate a schiacciarlo
leggermente tra le dita. Deve risultare soffice e abbastanza elastico da potersi arrotolare
intorno al dito senza spezzarsi. I migliori in assoluto sono i baccelli ricoperti da una leggera
polvere bianca, costituita dalla vanillina che è trasudata dall’interno. La vaniglia va aggiunta
alla crema nella quantità di un baccello per ogni litro di latte. Di solito, si apre a metà il
baccello con un coltello e si raschiano via i semi, che vengono aggiunti al composto di tuorli,
zucchero e amido. Il baccello vuoto si mette a bollire con il latte.
Alcuni problemi
Crema bruciata sul fondo del tegame: accade quando manca il pastorizzatore e si lavora la
crema a fuoco diretto. Le cause possono essere una fiamma troppo violenta, un’azione manuale
(con la frusta) insufficiente o un tegame poco adatto (per esempio di acciaio inox senza il
triplo fondo).
Formazione di grumi: avviene quando, aggiungendo separatamente gli amidi e/o la farina, non
si sbatte energicamente con la frusta il composto, oppure quando la crema pasticciera cotta
viene tenuta scoperta durante il raffreddamento, senza essere mossa; in tal caso, si forma una
crosta abbastanza spessa che difficilmente si riamalgama.
Sensazione di farinosità sul palato: avviene quando la cottura della crema è insufficiente o
quando si usa solo la farina.
Ricetta base
La crema pasticciera
3 Raggiunto il bollore, unite al latte la montata di uova (foto C) e fate cuocere per 1
minuto circa mescolando con una frusta (foto D ed E).
2 Posizionate sulla crema pasticciera un altro strato di biscotto inzuppato con la bagna
all’amaretto (foto B).
3 Completate con un ulteriore strato di crema (foto C) e infine, chiudete con il biscotto
sempre inzuppato con la bagna all’amaretto (foto D). Riponete in freezer e lasciate
congelare.
4 Quando il dolce sarà ben congelato, ricavatene dei cubi che impanerete nell’uovo e nel
pangrattato per 2 volte.
Friggete i cubetti in olio bollente e serviteli caldi, adagiati su delle coppette individuali
con del cioccolato fondente precedentemente sciolto a bagnomaria.
per la finitura
240 g di pan di Spagna
1,6 dl di moscato
50 g di salsa al caramello (già pronta)
30 g di mandorle a scaglie
1 Per la chantilly alle mandorle: prendete una ciotola capiente, versatevi la crema
pasticciera e incorporate, mescolando con delicatezza e dal basso verso l’alto, la panna
montata. Insaporite la crema chantilly che avrete così ottenuto con la pasta di mandorle
per gelato (si tratta di una pasta più fluida rispetto al marzapane o alla pasta di
mandorle).
3 Per la finitura: mettete sul fondo dei bicchieri alcuni tocchetti di pan di Spagna
inzuppato con del moscato (foto A), stendeteci sopra uno strato di chantilly alle mandorle
(foto B), poi uno di mandorle a scaglie (foto C) e poi uno di gelée di moscato (foto D).
Riponete in frigo in modo che la gelée possa solidificarsi. Fatto ciò, realizzate
nuovamente un altro strato di chantilly alle mandorle (foto E). Coprite la superficie con la
salsa al caramello e decorate con una tartare di gelée di moscato (foto F),
precedentemente rappresa in frigorifero. Infine, guarnite con delle mandorle tostate e
affettate.
per la finitura
100 g di fragole
100 g di mirtilli neri
100 g di lamponi
50 g di gelatina neutra
10 g di pistacchi sgusciati e pelati
1 Foderate gli stampini con la pasta frolla, bucherellate il fondo e fate cuocere in forno a
180 ¡C per circa 15 minuti; a fine cottura lasciate raffreddare, quindi sformate le
crostatine dagli stampi e farcite con la crema pasticciera (foto A).
2 Nel frattempo preparate le gelatine di frutta: scaldate un quarto delle polpe con lo
zucchero, e il destrosio (se non si trova il destrosio è possibile sostituirlo con altro
zucchero), quindi scioglietevi la colla di pesce e unitela alle polpe fredde. Fate questo
lavoro mantenendo i diversi gusti separati tra loro.
3 Colate in un quadrato di acciaio senza fondo (foto B), rivestito di pellicola, ogni
gelatina e mettete nel congelatore. Una volta congelate, tagliatele a cubetti (foto C) e
usatele per guarnire le crostatine insieme alla frutta fresca (foto D). Lucidate con della
gelatina neutra (foto E) e decorate con dei pistacchi (foto F).
200 g di uova
340 g di zucchero
440 g di farina di riso
30 g di amido di riso
24 g di germe di riso
10 g di bicarbonato di sodio
1 bacca di vaniglia bourbon
per il ripieno
400 g di ricotta di pecora
200 g di crema pasticciera
180 g di zucchero
120 g di gocce di cioccolato
cannella in polvere q.b.
per la finitura
zucchero a velo q.b.
cannella in polvere q.b.
1 Setacciate la farina insieme all’amido di riso e teneteli da parte. Montate molto bene le
uova con lo zucchero, la vaniglia e il bicarbonato di sodio, utilizzando la frusta della
planetaria. Una volta ottenuta una schiuma ben fissa, togliete la frusta, mettete la foglia e
incorporate il germe di riso e la farina setacciata.
3 Con un raschietto infarinato prendete in mano il dischetto di pasta con la ricotta (foto
D) e chiudetelo nel palmo della mano (foto E).
4 Adagiate le palline ottenute sulla teglia, con la chiusura rivolta verso il basso (foto F)
e infornate a 200 ¡C per 12 minuti circa. Fuori dal forno, una volta fredde,
spolverizzatele con zucchero a velo e cannella.
La pasta brioche
La pasta brioche
La pasta brioche fa parte degli impasti lievitati dolci, come i babà, i krapfen, il panettone, il
pandoro e tanti altri. Può essere realizzata sia con il lievito di birra sia con il lievito madre,
con un impasto diretto o a più lievitazioni. In genere, più lenta è la lievitazione, migliori
saranno la digeribilità, il profumo e il sapore del prodotto. Ecco perché, oltre a zuccheri
semplici, quali il saccarosio, è importante dare ai lieviti nutrimenti più complessi, come per
esempio il malto. Ovviamente, anche la dose di lievito deve essere limitata il più possibile, a
favore di tempi più lunghi di lievitazione. Solo paste ben riposate e a lungo fermentate danno
il massimo di sé. In tutto questo, veste un ruolo di fondamentale importanza la scelta della
farina. Più siamo di fronte a impasti grassi e ricchi in zuccheri (uova, burro ecc.), più abbiamo
bisogno di farine ricche in proteine, come le due principali del frumento, la gliadina e la
glutenina, che, unendosi grazie all’azione meccanica dell’impasto e all’aggiunta di acqua,
formano la terza proteina che è il glutine. Da questa proteina dipende l’elasticità degli impasti
e, quindi, la conseguente capacità di trattenere l’anidride carbonica che si sviluppa durante la
fermentazione. Ecco perché, in assenza di tale proteina, si avrà molta difficoltà a ottenere
paste soffici e leggere. La formazione di “maglia glutinica” è la stessa in grado di frenare il
vapore che si svilupperà in cottura. In tal modo, la pasta salirà in cottura verso l’alto e si
espanderà, trovando stabilità solo dopo l’avvenuta coagulazione delle proteine, per effetto del
calore, e la gelificazione degli amidi contenuti nell’impasto. La pasta brioche è una pasta
medio grassa e medio zuccherina, cioè non arriva ai livelli dei grandi lievitati quali pandoro e
panettone. Per questo motivo, se si rispettano i metodi di impasto, si otterranno degli ottimi
risultati in termini di morbidezza, leggerezza e sofficità. È un impasto da cuocere tal quale,
oppure può diventare una base per successive lavorazioni come croissant, kranz, girelle,
saccottini ecc.
La farina è il prodotto ottenuto dalla macinazione opportunamente vagliata del grano, sia
tenero sia duro. Quest’ultimo, poco utilizzato in panificazione, se non in prodotti tipici
regionali (come il pane pugliese o di Altamura), è al contrario totalmente impiegato nella
produzione di pasta alimentare (per esempio, gli spaghetti).
Le farine di grano tenero utilizzate per il pane variano la loro composizione a seconda della
provenienza della famiglia di grano impiegata nella coltivazione, del tipo di terreno e
concimazione effettuata e, infine, delle caratteristiche climatiche della zona di coltura.
% minima % massima
- amido 70 75
- proteine 9,7 14
- umidità 13 15,5
- ceneri 0,50 0,65
- grassi 1,35 1,80
Le due colonne si riferiscono alla composizione di due farine di qualità estreme. I valori della
prima colonna indicano una farina debole (ossia povera di glutine) e poco adatta alla
panificazione; quelli della seconda colonna, invece, si riferiscono a una farina ad alto valore
di pianificabilità, adatta sia alla produzione di pane (per esempio rosette, ciabatte ecc.), sia
alla realizzazione di bighe e lieviti madre.
In cucina, è frequente trovare valori intermedi ai due casi sopra citati.
Di questi componenti, i più importanti al nostro scopo sono le proteine e l’amido.
Proteine: nella cariosside di frumento se ne distinguono quattro tipi, che prendono il nome di
albumina, globulina, gliadina e glutenina.
Le ultime due non sono solubili in acqua, per cui rivestono particolare importanza nella
preparazione degli impasti. Esse infatti, per l’azione meccanica dell’impastamento della farina
con l’acqua, costituiranno la struttura reticolata della maglia glutinica e determineranno le
caratteristiche di plasticità, estensibilità ed elasticità dell’impasto.
Le caratteristiche dei vari tipi di farine sono fortemente influenzate anche dalla tecnologia
molitoria. Ne deriva che uno stesso grano, macinato da due società differenti, può presentare
caratteristiche diverse. Le differenze si esprimono in una perdita di proteine e grassi,
componenti necessari alla struttura e alle caratteristiche reologiche dell’impasto.
Normalmente, i mulini tendono a produrre farine con qualità reologiche standardizzate; per
questo motivo, acquistano varietà di grano differenti. Le farine che ne derivano avranno quindi
peculiarità diverse che, opportunamente miscelate tra di loro secondo rapporti corretti,
daranno vita a farine con le caratteristiche desiderate.
A seconda del grado di abburattamento, si hanno varie categorie di farina in commercio: la 00,
la 0, la 1, la 2 e quella integrale. Il tasso di abburattamento indica la percentuale di farina
ottenuta da 10 parti di frumento; quando il grado è basso, la farina è povera di ceneri e ha un
colore più chiaro.
La farina adatta per la preparazione del pane può essere di tipo 0 o 00, con un contenuto
proteico che si aggira intorno all’11%.
Le farine più deboli sono generalmente adatte per le paste battute, ossia per la produzione di
biscotti, ciambelle, pan di Spagna, plum cake ecc.
Le farine più ricche sono adatte per la produzione di prodotti dolciari lievitati come:
¥ panettone, colomba, pandoro, veneziana, croissant ecc.;
¥ bighe, lievito madre, paste acide;
¥ pane rosetta milanese, ciabatta ecc.
In base a questi dati, le farine per biscotteria (paste battute) hanno i seguenti valori:
W = 140-160 P/L = 0,45-0,50 farine deboli
Le farine per lievitati (panettone, colomba, croissant ecc.) hanno i seguenti valori:
W = 320-380 P/L = 0,50-0,60 farine forti
Le farine con valori più alti sono indicate per le bighe e per i rinfreschi del lievito madre,
oppure sono “da taglio”, per rinforzare le farine deboli:
W = 400-450 P/L = 0,60-0,80 farine molto forti
Farina di grano tenero integrale: è il prodotto della macinazione grossolana del chicco di
grano, che mantiene integri tutti gli elementi costitutivi. Naturalmente, per realizzare un pane
integrale di qualità, è necessario utilizzare del grano ricco di sostanze proteiche, in modo da
tenere ben legate la fibra e la cellulosa della crusca.
Farina di pasta acida: è il prodotto della fermentazione della farina. Si ottiene facendo
fermentare la farina impastata o in sospensione in acqua, con l’aggiunta di piccole quantità di
glucosio, che danno alimento ai microrganismi (i lieviti della specie lactobacilli e
saccharomyces cerevisiae).
La combinazione di questi microrganismi con gli enzimi della farina produce i seguenti effetti:
¥ gli enzimi trasformano gli amidi in zuccheri riducenti in “alimento dei lieviti” (lactobacilli
e saccharomyces cerevisiae);
¥ i lieviti si moltiplicano e, in combinazione con gli enzimi, trasformano gli zuccheri riducenti
in composti semplici (aldeidi, acidi e alcol, importanti per l’aroma e il mantenimento della
freschezza prolungata nel tempo).
¥ Lievitazione biologica:
- lievito di
molto usato in panificazione e pasticceria.
birra
- lievito usato nell’industria dolciaria (panettoni, pandori, colombe, veneziane,
madre croissant ecc.).
¥ Lievitazione chimica:
reazione tra sali, acidi+bicarbonato di sodio molto usata in pasticceria (pan di Spagna,
muffin, plum cake, ciambelle ecc.).
decomposizione (bicarbonato d’ammonio) molto usato in biscotteria.
Ringrazio, per la realizzazione di questo capitolo, il mio amico e collega Stefano Laghi, con il
quale ho condiviso molte ore, sia in laboratorio sia in ufficio, a provare, sperimentare,
crescere e cercare di porre dei punti fermi sulle basi della pasticceria.
Ricetta base
La pasta brioche
1/2 kg di farina 00
80 g di latte intero fresco
15 g di lievito di birra
180 g di uova
70 g di zucchero
15 g di miele
10 g di rum
2 g di buccia di limone
1/2 bacca di vaniglia bourbon
180 g di burro
8 g di sale
tuorli
panna
1 Versate la farina nella planetaria. Unite il lievito di birra sbriciolato (foto A) e il latte
a temperatura ambiente (foto B), le uova intere (foto C), lo zucchero, il miele, il rum, la
buccia di limone e la vaniglia; azionate la macchina e impastate per circa 8 minuti a
velocità ridotta.
2 Unite il burro ammorbidito e sbattuto con una frusta a parte, facendolo incorporare
all'impasto poco per volta (foto D). Terminate con il sale e finite di impastare per altri 5
minuti circa, o comunque fino a quando non si ottiene un impasto liscio, omogeneo, ma
soprattutto elastico (foto E).
3 Lasciate lievitare a temperatura ambiente, co prendo con la pellicola (foto F), fino a
che l’impasto non raddoppia, quindi rompete la lievitazione impastando leggermente con
le mani e riponetelo in frigorifero, sempre ben coperto con la pellicola, per 3 ore circa.
4 Trascorso il tempo, formate tante palline con la pasta e disponetele sulle teglie a
lievitare, possibilmente in un ambiente tiepido (30 ¡C) e con un tasso di umidità elevato
(80%). Se non ci fosse sufficiente umidità, coprite le palline con il nylon.
5 Una volta che saranno raddoppiate di volume, lucidatele con una miscela di tuorli e
panna miscelati insieme nella stessa quantità (esempio: 50 g di tuorli, 50 g di panna) e
infornatele a 180 ¡C fino a doratura.
per il lievitino
115 g di acqua
250 g di farina
35 g di lievito di birra
per l’impasto
500 g di farina 00
150 g di zucchero
20 g di malto in polvere
75 g di burro
225 g di uova intere
150 g di latte fresco intero
150 g di sale
per le pieghe
375 g di burro
3 Ricavate dei triangoli di pasta (foto D) e arrotolateli per ottenere la classica forma del
croissant (foto E). Disponete su teglie rivestite con carta da forno, fate lievitare in
ambiente tiepido (30 ¡C) per 2 ore circa; quindi, infornate a 180 ¡C per 15 minuti.
1 kg di farina 00
100 g di burro
150 g di zucchero semolato
50 g di lievito di birra
20 g di sale
150 g di uova
100 g di purea di scorza
di arancia candita
350 g di acqua
1 In una brocca sciogliete il lievito con 50 g di acqua, un pizzico di farina e uno di
zucchero e fate fermentare. Quando l'impasto comincia a schiumare, spostatelo
nell'impastatrice con gli altri ingredienti, tranne il burro, che andrà aggiunto non appena
l'impasto diventerà liscio ed elastico, e il sale, che andrà unito alla fine.
2 Impastate fino a ottenere un composto liscio e omogeneo; quindi lasciate lievitare per
circa 2 ore a 28 ¡C oppure 10-12 ore in frigorifero.
1 Stendete la pasta per danesi allo spessore di 3 mm (foto A); rifilatela con una rotella
quindi ricavate dei quadrati di 10 cm di lato (foto B). Incidete i quattro angoli di ogni
quadrato ma senza arrivare al centro (foto C).
2 Ripiegate una punta sì e una no verso il centro, in modo da ottenere una girandola,
premendo bene per fissare le punte (foto D). Adagiateli sulle teglie rivestite con carta da
forno. Bucate molto bene il centro con i rebbi di una forchetta (foto E) e riponete in
ambiente tiepido a lievitare.
1 Versate la farina nella planetaria, aggiungete lo zucchero, il lievito di birra, gli aromi e
metà delle uova e impastate. Non appena le uova sono incorporate e l'impasto inizia a
prendere “nervo”, unite poco alla volta le uova rimaste. Lasciate lavorare ancora fino a
ottenere un impasto liscio, elastico e omogeneo; a questo punto unite poco alla volta il
burro in pomata e terminate con il sale.
3 Disponete i dischi su una teglia infarinata (foto C), coprite con pellicola per alimenti e
fate lievitare per circa 1 ora e mezza in un ambiente tiepido (30 ¡C). Scaldate l’olio a
160 ¡C in una larga padella e friggeteci i dischi di pasta, pochi alla volta (foto D).
4 Girateli a metà cottura (foto E) e, man mano che sono pronti, scolateli su carta
assorbente da cucina, tamponandoli leggermente.
5 Passateli nello zucchero e, servendovi di una tasca da pasticciere con bocchetta liscia,
farciteli con la crema pasticciera.
La meringa italiana
La meringa
È uno dei composti base più semplici e più utilizzati in pasticceria per le sue molteplici
caratteristiche. Si prepara con due soli ingredienti, albume e zucchero, che vengono montati
insieme. Per ottenere delle varianti, cambiano solo i procedimenti ma non gli ingredienti.
Prenderemo in esame i quattro tipi di meringhe più utilizzati in pasticceria:
¥ la meringa classica
¥ la meringa svizzera
¥ la meringa francese
¥ la meringa italiana
La meringa classica
È stata forse la prima a essere inventata. Si tratta di una montata di albumi a temperatura
ambiente con lo zucchero semolato, che va aggiunto a mano alla fine del montaggio, una volta
raggiunto il punto di neve ferma.
II bianco d’uovo sottoposto a sbattimento incorpora bolle di aria e si trasforma in spuma per
mezzo delle sue molecole tensioattive (che hanno una parte idrofila che fa sì che si leghino
bene all’acqua), e quelle che hanno una parte idrofoba, che non si legano con l’acqua ma con
l’aria (generando la formazione delle bollicine). Uno sbattimento prolungato migliora la
distribuzione delle bolle di aria, che diminuiscono anche di volume; la schiuma diventa così
da trasparente rigida, stabile e di colore bianco candido. A questo punto, aggiungendo lo
zucchero, che si scioglierà sulle pareti delle bolle, si forma una prima stabilizzazione della
schiuma, a questo punto pronta per essere infornata.
Alla fase della cottura sono legate tante piccole attenzioni e destrezze, che fanno la differenza
nel prodotto finito. Ma, prima di parlare di temperatura, andiamo a vedere che cosa avviene
all’interno del prodotto durante questa fase.
Per stabilizzare definitivamente la schiuma, è necessario l’effetto del calore. Infatti, messa nel
forno, la schiuma aumenta di volume perché le bolle di aria in essa racchiuse, per azione del
calore, si dilatano. Nello stesso tempo, le proteine coagulano rendendo stabile la struttura
della schiuma. La presenza dello zucchero all’interno di essa fa sì che, a cottura ultimata,
risulti stabile e porosa (grazie alle bollicine di aria che, a un certo punto, fuoriescono dalla
massa e lasciano quei vuoti chiamati “vacuoli”o “alveoli”).
Le temperature standard per la cottura delle meringhe vanno dai 100 ¡C per circa 3 ore ai 140
¡C per circa 1 ora e 1/2. La cottura va effettuata sempre con la valvola del forno aperta, per
favorire l’uscita del vapore.
Nelle meringhe cotte a bassa temperatura la superficie screpola molto poco o per niente;
inoltre, rimangono bianchissime. Più si aumenta la temperatura, più la meringa si screpola e si
ingiallisce in superficie. Può sembrare un difetto, ma spesso questi prodotti possono essere
anche apprezzati di più rispetto a delle meringhe perfettamente bianche, in quanto
l’ingiallimento causato dalla cottura prolungata degli zuccheri e delle proteine, fa assumere un
sapore più tostato alla preparazione.
La meringa italiana
È l’unica, nella famiglia delle meringhe, a non essere cotta in forno. Infatti, pur avendo lo
stesso rapporto albume/zucchero delle altre, per preparare questa meringa si fa cuocere lo
zucchero facendo montare il tutto in planetaria.
Naturalmente, con la meringa italiana non si possono fare fondi per meringate o spumiglie, ma
essa costituisce una base per innumerevoli dolci freddi quali mousse, semifreddi, chibouste
ecc. Si può aggiungere la panna montata nella ricetta e ornare le meringhe con bellissime
decorazioni fiammeggiate.
La sua preparazione viene effettuata con svariati metodi, utilizzando sempre gli stessi
ingredienti. Dopo aver visto tantissimi maestri pasticcieri all’opera e appreso qualcosa da
ognuno di essi, ho individuato il procedimento migliore per ottenere il prodotto con meno
difetti e più pregi.
Per prima cosa, disponete gli albumi, che devono essere freschissimi e puliti da ogni traccia
di tuorlo, nel vaso della planetaria, montandoli a media velocità con 1/5 del peso totale dello
zucchero. Fate cuocere in una pentola di rame l’altra parte di zucchero con l’acqua. Quando
l’acqua e lo zucchero avranno raggiunto i 121 ¡C, l’albume montato dovrà essere a 3/4 del
montaggio. A questo punto, aumentate la velocità della planetaria e versate velocemente solo
una metà dello zucchero; dopo qualche secondo, diminuite di poco la velocità e unite
velocemente anche la seconda metà di zucchero. Questo perché, se l’albume venisse versato a
filo, tenderebbe (quello iniziale) a granire, in quanto si raffredderebbe a contatto con la
temperatura molto differente di quest’ultimo. Di conseguenza, nella meringa rimarrebbero dei
piccoli puntini di zucchero che, una volta mescolati con altri ingredienti all’interno di dolci,
sciogliendosi farebbero perdere struttura da questi ultimi. Invece, versando la prima quantità
velocemente, si creerà subito una camera calda, che non permetterà al composto di granire.
Dopo avere versato la seconda parte di zucchero nella planetaria, fate girare a velocità
massima per 2 o 3 minuti (lo zucchero deve essere aggiunto quando gli albumi sono a 3/4 del
montaggio). Dopodiché, spegnete la macchina e togliete la meringa italiana, disponetela in una
teglia ben pulita e sterilizzata, copritela con la pellicola e mettetela in un abbattitore a
raffreddare per alcuni minuti.
il volume massimo della meringa (vi ricordo che, facendola raffreddare nella planetaria,
la meringa riduce di molto il suo volume a causa dell’azione meccanica e della perdita di
acqua)
un prodotto sicuramente più sicuro, perché il raffreddamento in abbattitore è più veloce
la non formazione di cristalli di zucchero, che un raffreddamento lento e una perdita di
volume e di acqua, come già detto, potrebbero comportare
La meringa italiana
400 g di zucchero
100 g di acqua
250 g di albumi
100 g di zucchero
1 In una pentola fate scogliere 400 g di zucchero nell’acqua (foto A). Cuocete a fiamma
alta fino a raggiungere la temperatura di 121 ¡C.
2 Nel frattempo fate schiumare lentamente gli albumi con 100 g di zucchero (foto B).
3 Versate lo sciroppo così ottenuto a filo nella planetaria (foto C e D), senza fermarla, e
fate montare il composto fino a raffreddamento.
4 Disponete la meringa su una teglia (foto E), livellate e coprite con un foglio di
pellicola (foto F) se avete intenzione di conservarla nel congelatore.
per la finitura
1,125 kg di pan di Spagna al riso
400 g di fragole
10 g di granella di pistacchi
50 g di gelatina neutra
1 Preparate la gelée: scaldate una piccola parte di yogurt e scioglieteci dentro la colla di
pesce, poi lo zucchero semolato, il destrosio e l’acido citrico. Unite a questo punto il
resto dello yogurt freddo e mescolate bene con una frusta. Tenete da parte.
2 Per la mousse alle fragole: scaldate una piccola parte di purea di fragole, scioglietevi
dentro la colla di pesce precedentemente ammollata e ben strizzata, unite la parte di
purea di fragole fredda e, infine, la meringa italiana mescolando dal basso verso l’alto.
Completare il tutto con la panna montata, mescolando sempre delicatamente e dal basso
verso l’alto.
per la decorazione
200 g di cioccolato bianco
200 g di burro di cacao
20 g di marzapane arancio
per modellaggio
1 g di colorante giallo per alimenti
1 Preparate per prima cosa il pralinato alla nocciola: fate caramellare a secco lo
zucchero in un pentolino, quindi versatelo sulle nocciole stese su un foglio di carta da
forno. Fate raffreddare il tutto, quindi frullate molto bene, fino a ridurre in pasta, in un
macinacaffè.
2 Per il semifreddo: unite il pralinato alla base semifreddo (base tiramisù pastorizzata),
unite il mascarpone e, infine, la meringa italiana mescolando delicatamente dal basso
verso l’alto. Completare con la panna montata. Colate il semifreddo così ottenuto negli
stampini in silicone a mezza sfera di due dimensioni: una da 9 cm di diametro per il
corpo della paperella e l’altra da 4 cm di diametro per la testa. Fate congelare bene.
Smodellate dagli stampi e saldate a due a due le mezze sfere più piccole in modo da
formare una sfera, semplicemente premendole una contro l’altra e loro, per effetto del
freddo, si salderanno. Ponete nuovamente in congelatore.
3 A questo punto sciogliete il cioccolato bianco, unite il burro di cacao fuso e colorate il
tutto con una goccia di colorante giallo uovo liposolubile (foto A). Glassate per
immersione i semifreddi (foto B e C) e disponeteli sulla carta da forno, quindi glassate
anche le teste e attaccatele sempre con un po’ di cioccolato bianco sulla base del corpo.
4 Decorate le paperelle con il marzapane colorato in modo da formare becco (foto D),
zampe (foto E), ali e ciuffo (foto F). Completate formando gli occhi con due puntini di
cioccolato fondente fuso.
2 Rivestite gli stampi a zuccotto con le fettine di pan di Spagna (foto A), adagiatevi
all’interno uno strato di semifreddo alla panna e gocce di cioccolato (foto B) e, tenendo
separati i due strati da uno di pan di Spagna (foto C), e aggiungete quello alla vaniglia.
Chiudete infine lo stampo con altro strato di pan di Spagna (foto D) inzuppato con bagna
al l’alkermes, che avrete ottenuta mescolando quest’ultimo con l’acqua e lo zucchero
liquido.
per la finitura
1 kg di pasta frolla
200 g di lamponi
gelatina neutra q.b.
La dacquoise
La dacquoise
Questo tipo di biscotti si differenzia dagli altri per gli ingredienti, la struttura e la temperatura
di cottura, che è notevolmente più bassa rispetto a quelli classici o alle mandorle. Il perché
dei suoi tanti nomi è dato dall’enorme quantità di addetti al settore che lo utilizzano;
sfogliando vari libri di pasticceria di nazioni e autori diversi, infatti, è difficile riconoscerlo,
anche se, in realtà, la preparazione è sempre la stessa.
Con questo biscotto si ottengono fondi per torte moderne (come mousse, bavaresi ecc.),
oppure, per torte farcite con crema al burro o mousseline, per mignon o paste monoporzioni.
Ha una struttura molto morbida, dovuta alla grande percentuale di umidità che l’albume
apporta, sostenuta anche dalla frutta secca in polvere che, contenendo olio, fa sì che il biscotto
rimanga morbido e umido.
La sua preparazione è molto semplice: unite gli albumi allo zucchero, amalgamandoli molto
lentamente con una frusta, fino a che lo zucchero incomincia a sciogliersi. Dopodiché, montate
il tutto a neve lucida e aggiungete gli ingredienti in polvere.
Generalmente si utilizza il t.p.t. di frutta secca (50% zucchero a velo e 50% di polvere di
frutta secca), ma anche paste aromatizzanti, cioccolato in scaglie, cacao o farina, che assorbe,
insieme alla polvere di frutta secca, i liquidi contenuti nel composto. In poche parole, si tratta
di una meringa con frutta secca che, però, non deve essere cotta a temperatura bassa ma, al
contrario, la sua temperatura di cottura va da 160 ¡C a 190 ¡C.
Ricetta base
La dacquoise
400 g di albumi
250 g di zucchero
375 g di farina di mandorle
100 g di farina di riso o frumento
275 g di zucchero
1 Montate gli albumi con 250 g di zucchero (foto A); in un altro recipiente versate la
farina di mandorle e miscelatela con 275 g di zucchero e con la farina di riso (foto B);
mescolate dal basso verso l’alto il composto ottenuto insieme agli albumi montati, con
dolcezza, per non farli smontare (foto C).
2 Su una teglia rivestita di carta da forno disegnate 2 cerchi con l’aiuto di una scodella
dal diametro di 20 cm circa. Riempite la tasca da pasticciere con l’impasto e seguite il
contorno dei cerchi, riempiendoli (foto D).
3 Cuocete in forno a 180 ¡C a valvola aperta, ovvero con il forno leggermente aperto per
12-15 minuti.
per la finitura
200 g di dacquoise alle nocciole
40 g di fave di cacao in granella
40 g di granella di nocciole
50 g di gelatina neutra
1 Per la base tiramisù fate cuocere acqua e zucchero a 121 ¡C; raggiunta la temperatura
versate i tuorli, che avrete già semimontato con la polpa della vaniglia. Quindi montate
fino a completo raffreddamento.
2 Versate la dacquoise alle nocciole su una placca rivestita di carta da forno (foto A) e
spolverizzate con la granella di fave di cacao e la granella di nocciole prima di infornare
(foto B e C). Cuocete poi come da ricetta base.
3 Unite alla base tiramisù pastorizzata ancora calda la gelatina in soluzione e la pasta di
nocciole; ma aspettate che il tutto arrivi a 30 ¡C prima di alleggerirla con la panna
montata.
4 Mettete sul fondo di un quadro in acciaio un foglio di dacquoise alle nocciole, poi la
chantilly (foto D) e infine ancora la dacquoise alle nocciole, con le granelle rivolte verso
l'alto (foto E). Congelate il tutto e tagliate in cubotti, che andranno spennellati con la
gelatina neutra.
per la finitura
110 g di lamponi
140 g di gelatina neutra
40 g di zucchero bucaneve
40 g di cocco rape’
3 Preparate la mousse al cioccolato: cuocete l'acqua e lo zucchero fino a 121 ¡C, quindi
versate il preparato sui tuorli e montate fino al completo raffreddamento. Alla fine unite
il cioccolato precedentemente fuso e ancora caldo, il burro ammorbidito e alleggerite il
tutto con la panna montata.
4 Stratificate i tre composti all’interno di un quadro nel seguente ordine: dacquoise (foto
A), mousse al cioccolato (foto B e C), gelée al passion fruit (foto D); proseguite con la
mousse al cioccolato (foto E) e completate con un ultimo strato di dacquoise (foto F).
5 Riponete nel congelatore per far indurire il tutto; togliete delicatamente il quadro e
tagliate la torta in piccoli quadratini. Spennellate la superficie con la gelatina e, infine,
guarnite con lamponi freschi, spolverizzando con lo zucchero a velo e il cocco rape’.
6 Mettete sul fondo della tortiera la dacquoise al cocco (foto A); formate sopra uno
strato di chibouste al cocco (foto B), quindi inserite il cremoso ancora congelato (foto
C). Coprite con un altro disco di dacquoise al cocco (foto D) e completate con un altro
strato di chibouste al cocco (foto E ed F).
Ricoprite i bordi della torta con il rape’ al cocco e decoratela con ciuffi di panna
montata, versate sulla superficie la gelatina di lamponi e la gelatina neutra. Decorate con
i lamponi freschi e la granella di pistacchi e riponete in frigo per far rassodare la
gelatina.
per la finitura
100 g di mandorle a filetti
100 g di zucchero a velo
1 Preparate la dacquoise alle mandorle: montate gli albumi con 250 g di zucchero e
aggiungete la farina di mandorle, che avrete miscelato al resto dello zucchero e alla
farina di riso. Con il composto ottenuto formate 3 dischi sulla carta da forno di 18 cm di
diametro, aiutandovi con una tasca da pasticciere e cuocete in forno a 180 ¡C a valvola
aperta per 12-15 minuti.
3 Mentre lo sciroppo cuoce, mettete nella planetaria i tuorli con la vaniglia e montateli a
spuma. Quindi versate a filo sui tuorli in movimento lo sciroppo precedentemente cotto e
continuate a montare fino a completo raffreddamento.
Bicarbonato di ammonio: è un agente lievitante che viene utilizzato per la lievitazione dei
dolci durante la cottura.
Bocchetta: cono metallico che va inserito nel sac à poche per decorare, farcire e modellare.
Esiste di svariate misure e nei modelli liscia o dentellata.
Burro di nocciola: si ottiene facendo fondere il burro lentamente all’interno di una casseruola.
Una volta fuso va filtrato attraverso un telo e poi scaldato nuovamente fino a che non acquista
una colorazione nocciola.
Cannello: è uno strumento dotato di una bomboletta di gas che emana una fiamma utile a
scaldare, fiammeggiare, caramellare ad esempio la creme brûlée.
Caramellare a secco: lo zucchero viene versato poco alla volta in un pentolino di rame non
stagnato, senza aggiungere acqua o altri liquidi.
Chibouste: è una crema pasticciera che viene alleggerita incorporando degli albumi montati
con lo zucchero.
Chinois: è un colino in acciaio dotato di forma conica, con fori più o meno grandi usato per
filtrare e, nello stesso tempo, trattenere le impurità.
Coppare: è chiamata così l’operazione che consiste nel ritagliare la pasta con un coppapasta
tondo, liscio o dentellato.
Cru di cacao: cacao monorigine selezionato direttamente nelle piantagioni e utilizzato per un
tipo unico di cioccolato.
Cutter: è una macchina da cucina utilizzata per triturare, impastare, sminuzzare e mescolare.
Dacquoise: è un biscotto alle mandorle e albumi montati da utilizzare come base per torte o
mignon. È possibile sostituire le mandorle con altri ingredienti come nocciole, cocco o
pistacchi.
Destrosio o glucosio: è un dolcificante naturale utilizzato per sostituire lo zucchero che, come
il levulosio e il fruttosio, si trova in natura in quasi tutta la frutta. Fisicamente si presenta come
una polvere bianca, inodore e solubile perfino in acqua fredda.
Flambare: indica l’atto di irrorare la preparazione con una bevanda alcolica e darle fuoco,
appena prima di servirla in tavola.
Ganache: ripieno al cioccolato che si ottiene amalgamando della crema dolce con del
cioccolato.
Glassare: si intende l’atto di rivestire dolci con uno strato di glassa di zucchero o di
cioccolato fuso.
Pezzare: suddividere l’impasto pesandolo in modo tale da ricavarne tanti pezzi uguali.
Pirlatura: tecnica che consente di dare alla massa la forma della colomba o del panettone.
Planetaria: attrezzo da cucina dotato di un recipiente e di tre utensili: la frusta per montare, la
foglia per lavorare gli impasti morbidi e il gancio per quelli duri e scarsi di liquidi.
Puntare l’impasto: consiste nel lasciar lievitare un impasto (solitamente sono sufficienti 15-
30 minuti) ricoprendolo con della pellicola trasparente cosicché il glutine si rilassa e diventa
lavorabile.
Raffinatrice: strumento dotato di due o più rulli in pietra o marmo, regolabili tra di loro per
poter triturare finemente gli ingredienti fino a ridurli in pasta. Viene spesso utilizzato in
pasticceria per raffinare nocciole o mandorle.
Rifrattometro: strumento che si utilizza per misurare i solidi solubile all’interno dei
composti. Ad esempio, la percentuale di zucchero presente in frutti o sciroppi o durante la
cottura di confetture e gelatine.
Sabbiare: impastare poco un grasso (generalmente burro) con farina, per ottenere un composto
simile alla sabbia bagnata.
Sac à poche: sacca utilizzata in pasticceria per la creazione di biscotti, per la farcitura e la
decorazione dei dolci.
Sbiancare: montare le uova con lo zucchero finché non assumono un colore chiaro.
Temperare: consiste nel fondere il cioccolato (più o meno intorno ai 50 ¡C), versarlo su una
lastra di marmo e mescolarlo con cura con una spatola (senza incorporare troppa aria) fino a
una temperatura di 27-28 ¡C. Si rimette poi il cioccolato sul fuoco, fino a quando la massa non
ha raggiunto una temperatura di 31 ¡C per il fondente e 29 ¡C per quello al latte e bianco: non
superare mai i 33 ¡C altrimenti l’operazione è da rifare. Occorre considerare che anche la
temperatura dell’ambiente influisce sull’operazione, pertanto l’ideale sarebbe operare a una
temperatura compresa tra 18 e 22 ¡C.
Valvola aperta e valvola chiusa: i forni professionali da pasticceria hanno la possibilità di
controllare la fuoriuscita del vapore che si forma durante la cottura dei prodotti. Se la valvola
è chiusa, il vapore resta nella camera del forno, quindi i prodotti si mantengono più solidi e
umidi (panettoni, brioche ecc.); se invece la valvola è aperta si asciugano (frolle, biscotti,
sfoglie ecc.). Talvolta è opportuno tenere la valvola chiusa nella prima parte di cottura e
aperta nella seconda, per far asciugare i prodotti.
Zucchero invertito: si tratta della molecola del saccarosio (zucchero comune) scissa in una
soluzione liquida di glucosio e fruttosio, invertendo la rotazione della luce polarizzata. È più
dolce e più economico del saccarosio da cui deriva. Il miele è particolarmente ricco di
zucchero invertito.
Indice alfabetico
Bignè con chantilly al parmigiano
Choco passion fruit
Coppa cacao e zabaione con cioccolato gianduia
Coppa di mandorle e moscato
Crema pasticciera
Croissant sfogliato
Croquenbouche alla chantilly di zabaione
Crostata alla crema cotta ananas e lamponi
Crostata di lamponi con chibouste alla vaniglia
Crostata di pane e mele in crosta croccante
Crostata frangipane alle mele e frutta fresca
Crostata Linzer
Crostatina alla gelatina di frutta e crema pasticciera
Dacquoise
Danesi all’albicocca
Kranz
Krapfen alla crema
Langaroli
Meringa italiana
Pan di Spagna
Pan di Spagna con crema fritta
Pan ricotta al germe di riso e crema pasticciera
Pasta brioche
Pasta frolla
Pasta per bignè
Pasta sfoglia
Profiterol tiramisù
Semifreddo paperella
Sfogliatina frangipane alle pesche e cioccolato
Sfogliatina salata ai due gusti
Tirati su classico con caffè d'orzo
Torta Caraibi
Torta di sfoglia al farro e amarene
Torta Elvezia
Torta giardino di fragole
Torta quadro d'autore
Torta Saint-Honoré
Trancetto diplomatico
Tronchetto foresta nera
Zuccotto toscano
Table of Contents
Frontespizio
Colophon
Sommario
Il perché delle 8 basi
Prima di cominciare… qualche segreto
LE TORTE DA FORNO
LA CONFETTURA
LA BISCOTTERIA
LA GELATINA DI FRUTTA
Il pan di Spagna
Il pan di Spagna
Tronchetto foresta nera
Tirati su classico con caffè d'orzo
Torta quadro d'autore
Coppa cacao e zabaione con cioccolato gianduia
La pasta frolla
La pasta frolla
Crostata frangipane alle mele e frutta fresca
Crostata alla crema cotta ananas e lamponi
Crostata di pane e mele in crosta croccante
Crostata Linzer
La pasta per bignè
La pasta per bignè
Profiterol tiramisù
Croquenbouche alla chantilly di zabaione
Torta Saint-Honoré
Bignè con chantilly al parmigiano
La pasta sfoglia
La pasta sfoglia
Sfogliatina frangipane alle pesche e cioccolato
Sfogliatina salata ai due gusti
Trancetto diplomatico
Torta di sfoglia al farro e amarene
La crema pasticciera
La crema pasticciera
Pan di Spagna con crema fritta
Coppa di mandorle e moscato
Crostatina alla gelatina di frutta e crema pasticciera
Pan ricotta al germe di riso e crema pasticciera
La pasta brioche
La pasta brioche
Croissant sfogliato
Kranz
Impasto base per danesi
Danesi all’albicocca
Krapfen alla crema
La meringa italiana
La meringa italiana
Torta giardino di fragole
Semifreddo paperella
Zuccotto toscano
Crostata di lamponi con chibouste alla vaniglia
La dacquoise
La dacquoise
Langaroli
Choco passion fruit
Torta Caraibi
Torta Elvezia
Glossario
Indice alfabetico
Quarta di copertina