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DIETRO LE OCCUPAZIONI C’E’ QUALCOSA DI PIU’

Le scuole a Roma che nell’ultimo periodo hanno scelto di occupare sono moltissime
raggiungendo numeri dimenticati da decenni.

Ascoltando le interviste ai ragazzi protagonisti delle occupazioni emergono contorni


particolari della protesta. Mentre da un lato viene posto l’accento sui temi specifici come le
aule sovraffollate ed in pessime condizioni, la dispersione scolastica, i banchi a rotelle, dall’
altro lato emergono istanze che hanno spessore sociologico se non addirittura antropologico.

Gli studenti attuali sono composti, non urlano e non inneggiano a slogan ma si pongono su un
piano intellettuale del tutto nuovo, invocando una scuola che sia a misura di studente ma che
tenga anche conto degli uomini che in futuro prenderanno la guida del paese. Quindi nelle loro
dichiarazioni parlano di soldi da investire nell’istruzione pubblica per aumentare il personale
ed affrontare la fatiscenza degli edifici ma lo fanno con fastidio evidente come se fossero
argomenti scontati e stucchevoli. Chiedono i motivi per i quali non vengono ascoltati da anni
e per i quali la loro formazione continua ad avere una matrice di indottrinamento, plasmata su
programmi miopi e statici, un assurdo logico visto che sono gli studenti ad essere più
aggiornati del corpo insegnante o del ministero. E questo è l’antropos di una specie che si
evolve, dell’uomo che fissa il cielo.

Loro, gli studenti, leggono costantemente i segnali di un mondo che cambia e impone culture
e professionalità nuove, proiettate verso un futuro sempre più incerto. Il tema del futuro è
onnipresente nelle loro esternazioni e viene declinato con appelli dal profilo alto, tanto
responsabili da lasciare in tutta evidenza la pochezza sia di governi che di politica sul tema. In
buona sostanza la loro domanda è nuda e cruda: se avete deciso che questa civiltà non deve
avere un futuro almeno parliamone. Sono argomentazioni di carattere maieutico, addirittura
nobili se si tiene conto della giovane età di coloro che le formulano e dell’afflato di generosità
dal quale traggono ispirazione.

Ma di tutto questo i media non percepiscono nulla in quanto più protesi all’ascolto
dell’interpretazione di un qualsiasi anonimo politico piuttosto che di qualche rarissimo
intellettuale che invita a ragionarci sopra. Ed eccolo il tema centrale: quel nocciolo duro al
quale, per fortuna in questa fase, gli studenti non sono ancora giunti: qualunque cosa essi
dicano, lo fanno al vento in quanto latitano gli interlocutori, non esiste chi deve o può o vuole
ascoltarli. Il nulla o vuoto intellettuale, innanzi tutto, poi istituzionale, poi morale e civile li
avvolge e li soffoca e si chiama politica. Ciò che sanno in molti ma che tacciono, pavidi e
ammantati di cinismo se non di vigliaccheria, è che dalle attuali manifestazioni si solleva (e si
solleverà) un fumus di antipolitica, immediata scatterà la scomunica: sono anarchici, o sono
fascisti, o sono viziati figli dell’opulenza che sputano sui loro privilegi.

Ci saranno le manifestazioni di piazza e le cariche della polizia ed il regime del nulla imporrà
ancora una volta le regole della sua matrice nichilista. Se vogliamo che ciò non avvenga o, in
altri termini che non si ripeta anche per questa generazione, è dovere di tutti comprendere cosa
vuol dire: “Vogliamo una scuola a misura di studente.”

Per una scuola “a misura di studente” si intende un bene accessibile a tutti, una scuola che
possa rappresentare un luogo di continuo confronto e dibattito, una scuola che informi gli
studenti a 360 gradi e che li renda pronti alle sfide del domani.

Si intende un discorso molto più ampio delle battaglie studentesche viste e riviste decine di
volte.

Quindi l’Italia tutta ha il dovere di ascoltare la voce degli studenti e smetterla di vederli come
dei ragazzi immaturi privi di senno che urlano e sbraitano in nome di un cambiamento non ben
identificato. Gli adulti con un minimo di linfa ancora nelle vene, devono urlare: Aprite le
porte ai giovani, e fatelo presto!

Ne va del futuro dell’Italia.

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