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RAPPORTO DI VALUTAZIONE

-Prima stesura-

Novembre 1998

Ispes – Istitituto per la promozione dello sviluppo economico e sociale (Roma)


IL PROGETTO “LE FAMIGLIE RISORSA “ NEL CONTESTO SOCIO-POLITICO
ITALIANO DEGLI ANNI 90

IL PROGETTO

Il progetto le Famiglie-risorsa si colloca nell’ampio dibattito del ripensamento della


riorganizzazione dei sistemi di welfare in generale e della costruzione di welfare specifici
nelle comunità locali. Gli elementi centrali di questa riflessione sono legati ai contenuti e alle
modalità con cui vengono erogate le prestazioni da parte dei servizi, alla loro rispondenza alle
esigenze dei cittadini ed al raccordo tra l’agire degli operatori e la capacità di aggregazione e
di intervento degli stessi utenti. Si tratta di ridefinire sia le forme con cui i servizi
costituiscono una presenza reale nella comunità e sono una “risorsa” per sostenere ed
orientare i processi di cambiamento della stessa, sia quanto questi processi investono e
coinvolgono disponibilità e capacità dei fruitori dei servizi.
Due le finalità principali del progetto:
1. sperimentazione di nuovi modi e di nuove forme di risposta ai bisogni di informazione,
sostegno ed assistenza delle famiglie, in particolare per quelle con bambini nella prima
infanzia,
2. definizione di nuovi orientamenti e di nuove procedure per l’articolazione delle politiche
sociali da parte delle Regioni.

Le riflessioni sui nuovi orientamenti di politica sociale individuano come punti qualificanti
per la realizzazione di un nuovo sistema welfare:
a) la famiglia come soggetto di politiche sociali, considerare la famiglia come soggetto di
politiche sociali significa ritenerla capace di operare delle scelte, di proporsi come “operatore”
negli interventi, con propri saperi e competenze, di definire percorsi di lavoro integrativi a
quelli dei servizi, di orientare gli indirizzi generali che la riguardano
b) l’integrazione tra i servizi sociali, sanitari, educativi e culturali, l’integrazione delle
azioni svolte dai diversi servizi in un sistema raccordato di intervento, che valorizzi le
competenze specifiche e le differenti modalità di lavoro nel quadro di obiettivi definiti in
comune
c) la valorizzazione delle specificità locali in termini di progettualità, capacità di
aggregazione, relazione de intervento
d) la valorizzazione del rapporto tra pubblico e privato, dare cittadinanza alle diverse
modalità di rapporto che si creano tra servizi pubblici e soggetti disponibili nella comunità per
azioni coordinate
e) il raccordo tra i diversi livelli istituzionali con poteri normativi, regolamentari,
programmatori e gestionali in materia di politiche sociali.

IL CONTESTO

La famiglia con bambini


Le famiglie con bambini devono affrontare un aumento della complessità della vita
quotidiana, acquisire competenze, definire strategie di combinazione di lavoro di cura e lavoro
esterno, affrontare trasformazioni relazionali, rapida instabilità del ciclo di vita familiare e
continuo ridefinirsi di relazioni intra ed extrafamiliari al crescere dell’età dei figli. Oggi
spesso le famiglie si trovano senza il riferimento delle reti familiari e comunitarie tradizionali,

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con scarse risorse relazionali nella quotidianità, con difficoltà nel combinare i tempi di cura e
le scarse flessibilità del mercato del lavoro. I tradizionali servizi per l’infanzia spesso non
rispondono più alle nuove articolazioni dei bisogni delle famiglie. In tali condizioni anche
eventi normali del ciclo di vita familiare possono diventare eventi critici se vengono a
mancare le risorse per farvi fronte.
Inoltre da una parte permangono tradizionali sacche di povertà che colpiscono soprattutto in
alcune zone rurali e/o del sud Italia le famiglie con bambini, e dall’altra crescono fortemente
svantaggi e disagi propri delle aree urbane.

Le politiche sociali per la famiglia


In Italia è tradizionalmente assente una politica esplicita a sostegno della famiglia; esistono
interventi categoriali rivolti a specifici target di popolazione o servizi generali per tutta la
popolazione; nella specifica normativa che disciplina i servizi sanitari o determinati servizi
socio-assistenziali od educativi si sono tradizionalmente sviluppati servizi che hanno assunto
funzioni di sostegno della famiglia (es.consultori familiari).La normativa specifica a livello
nazionale fino al 1977 è stata quella anteguerra. Negli anni 90 alcune regioni hanno adottato
legislazioni specifiche a sostegno della genitorialità e avviato sperimentazioni di servizi per
rispondere alla nuova articolazione dei bisogni delle famiglie e dei minori. Gli enti locali solo
negli ultimi anni hanno iniziato a adottare politiche esplicite per le famiglie, e iniziative
specifiche rivolte a promuovere il benessere dell’infanzia. In questo contesto la L.285/97
“Disposizioni per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” si pone
l’obiettivo di mettere in rete i diversi soggetti operanti nell’ambito di uno stesso territorio per
perseguire finalità di: a) sostegno alla relazione genitori figli e contrasto alla povertà ed alla
violenza e realizzazione dei servizi alternativi all’istituzionalizzazione dei minori
b)innovazione e sperimentazione nei servizi educativi per la prima infanzia, c)promozione di
servizi ricreativi e educativi per il tempo libero volti a promuovere e valorizzare la
partecipazione dei minori, d)promozione di azioni positive per la promozione dei diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza.
Dal punto di vista metodologico la legge prevede l’attualizzazione della progettualità al livello
degli enti locali, nell’ambito della programmazione regionale ed individua nell’accordo di
programma lo strumento di concertazione dei diversi soggetti istituzionali.

Il sistema dei servizi socio-sanitari e educativi ed il raccordo tra i diversi soggetti


istituzionali
Mentre l’assetto del Servizio sanitario negli anni 80 favoriva le forme di integrazione
istituzionale tra servizi sociali e sanitari ed in molte Regioni la normativa prevedeva la
gestione associata nelle Unità sanitarie locali dei servizi sociali, la riforma del Servizio
sanitario dei primi anni 90 ha comportato una non integrazione istituzionale dei servizi
sanitari con quelli sociali. Anche nelle Regioni dove erano più diffuse le deleghe dei Comuni
alle Unità sanitarie locali e dove si sono tentate sperimentazioni forti di integrazione tra
sociale e sanitario, negli anni 90 si è assistito a riappropriazioni di deleghe da parte dei
Comuni; l’integrazione è stata affidata a strumenti più deboli, come le convenzioni o gli
accordi di programma. La centralizzazione e specializzazione dei presidi e dei servizi sanitari
ha poi comportato una concentrazione di risorse sui secondi livelli e una contrazione di risorse
nei servizi di base e diffusi sul territorio ed un minor investimento sugli interventi preventivi e
di educazione alla salute, la cui realizzazione peraltro comporta una stretta cooperazione tra
sociale e sanitario.
Anche il sistema dell’istruzione ha subito negli anni 90 una progressiva centralizzazione ed
urbanizzazione ,con una progressiva chiusura di scuole soprattutto nelle zone extraurbane e

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continua a presentare scollamenti tra i vari ordini di scuole e con le attività extrascolastiche
destinate ai minori. Il sistema dei servizi prescolastici è estremamente differenziato nella sua
diffusione ed organizzazione nelle diverse Regioni italiane , per cui esistono zone con forte
carenza anche delle tipologie tradizionali di servizi (nidi e materne) e zone in cui invece sia
per insostenibilità finanziaria del sistema che per inadeguatezza dello stesso rispetto alle
nuove strategie familiari si stanno sperimentando nuove tipologie di servizio (micronidi,
educatori a domicilio …).
Il raccordo tra i diversi livelli istituzionali è reso estremamente complesso da una normativa
che non definisce chiaramente il principio di sussidiarietà tra i diversi livelli, che non è lineare
nella definizione dei livelli di programmazione e di gestione ;da una netta separazione del
governo della sanità dalle autonomie locali; dalla sopravvivenza di enti quali le Provincie che
continuano ad avere funzioni di raccordo programmatorio ma sono strette tra uno “Stato delle
Regioni” ed uno “Stato dei comuni”

I soggetti delle politiche sociali


Con la normativa del 1991 che disciplina il volontariato e la cooperazione sociale si sono
definiti nuovi soggetti delle politiche sociali, che concorrono con l’ente pubblico alla
promozione del benessere della comunità .La politica sociale non si esaurisce nella politica
pubblica, ma emerge una pluralità di soggetti produttori di servizi, di forme solidaristiche, di
autoservizi collettivi; si sviluppano e vengono riconosciute nuove forme di identità sociale
collettiva, si arricchisce il panorama del volontariato, dell’associazionismo, della mutualità
delle aggregazioni di self-help… Ma la pluralizzazione dei soggetti delle politiche sociali
rischia di proporre un modello bipolare pubblico/privato, frammentario ed autoreferenziale se
tali soggetti non hanno un radicamento comunitario capace di favorire forme di
responsabilizzazione, partecipazione, aggregazione delle reti primarie. Può prefigurare nuove
forme di cittadinanza societaria da una parte, ma anche una dinamica di burocratizzazione e
”pubblicizzazione” del privato sociale che non dà voce e rappresentanza al soggetto sociale
famiglia, inteso come rete relazionale primaria.
La trasformazione delle strategie di cittadinanza e la partecipazione del cittadino
Negli anni 90 si trasforma la concezione della partecipazione politica del cittadino che aveva
caratterizzato fortemente gli anni 70 e 80 . Si depoliticizza il SSN (la USL non è più un
organismo dei comuni), ma si introducono forme di informazione e tutela dei diritti dei
fruitori dei servizi; nel rapporto tra cittadino ed ente locale si introducono forme di
trasparenza e deburocratizzazione che tutelano il fruitore di un servizio o il portatore di un
diritto. Se da una parte emerge una concezione del cliente nei confronti della Pubblica
Amministrazione, dall’altra parte la pluralizzazione dei soggetti delle politiche sociali può
consentire il passaggio da una concezione della partecipazione come controllo degli obiettivi
del sistema ad una concezione della partecipazione come produzione plurale degli obiettivi
del sistema. La crisi della cittadinanza politica può lasciare spazio ai soggetti individuali
(clienti, utenti, fruitori di servizi) o prefigurare forme di cittadinanza societaria
(partecipazione di soggetti collettivi).
Le politiche di community care ed il lavoro di rete
La filosofia del community care è stato il filo conduttore delle politiche di
deistituzionalizzazione dagli anni 70 ad oggi, che hanno configurato un assetto di forme
organizzative e di tipologie di intervento integrativo o sostitutivo delle reti primarie per
permettere alle persone a rischio di istituzionalizzazione di evitare l’espulsione dal proprio
ambiente di vita e di relazione ed ai membri della famiglia di far fronte ai propri compiti di
cura. Tuttavia spesso si è attuato un modello di cura nella comunità (servizi territoriali,
domiciliari ecc.) più che di cura da parte della comunità (cioè di empowerment della

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comunità). In stretta connessione con la crisi del welfare tradizionale sono ripresi dibattito
e sperimentazione sul lavoro di rete. Il concetto di rete è riferito sia ad un insieme di legami
intersoggettivi o in interazione, sia ad un insieme di servizi o di strutture tra loro collegate.
Diversi sono gli approcci teorici e metodologici del lavoro di rete, che hanno comunque in
comune la promozione di strategie di empowerment di una comunità, di potenziamento delle
sue risorse, di innesco di processi di cambiamento, di strategie di connessione dei soggetti
della rete.
La metodologia del lavoro sociale
La complessità dei bisogni da una parte e la fragilità delle reti relazionali dall’altra, sono
elementi che costringono gli operatori sociale a elaborare risposte complesse, non puntuali e
frammentarie al bisogno, che costringono anche per fornire una risposta tecnicamente
specifica a tenere conto delle reti di relazione del fruitore della prestazione. L’inefficacia del
solo intervento socio-assistenziale e riparativo, impongono che il lavoro del servizio sociale si
qualifichi sempre più come sociale, piuttosto che come socio-assistenziale, più preventivo che
riparativo, più rivolto al sostegno delle strategie della vita quotidiana che all’intervento sulla
crisi o sul bisogno emergente. La crisi del welfare tradizionale e della centralità
dell’intervento pubblico richiede una profonda riflessione su cosa significhi promuovere
l’autonomia di un utente, innescare processi di trasformazione, spezzare la dipendenza dal
servizio sociale; rende necessario ripensare come trasformare le dipendenze assistenziali dal
servizio in interdipendenze nella comunità.

Su ognuno degli elementi del contesto brevemente accennati, il “ Progetto famiglie risorsa”
nelle sue articolazioni e localizzazioni si è posto degli obiettivi:
1.individuazione e sperimentazione di interventi di sostegno ed affiancamento alle funzioni di
cura delle famiglie con bambini
2.sperimentazione a livello locale e regionale di strategie di politica sociale per la famiglia
3.individuazione e sperimentazione di forme d’integrazione metodologica tra servizi
e di raccordo tra soggetti istituzionali diversi
4.individuazione di azioni di sostegno alla famiglia come soggetto di politica sociale
5.individuazione di forme di cittadinanza societaria attiva nella riorganizzazione dei rapporti
tra famiglie e servizi
6.sperimentazione di un lavoro di rete con istituzioni e famiglie, che ha come sua specifica
connotazione quella di fondare l’empowerment comunitario non sulla frattura tra istituzioni e
società, ma sul loro reciproco rafforzamento
7.sperimentazione di una metodologia di lavoro sociale che opera sulla quotidianità e non sul
rischio, sulla crescita di autonomie, ma contemporaneamente anche di interdipendenze.

LA LOCALIZZAZIONE DEL PROGETTO E GLI INTERLOCUTORI ISTITUZIONALI


Il Progetto "Famiglie risorsa” ha teso ad affrontare su un duplice piano l’ipotesi di
riorganizzazione del sistema di welfare:
a) Da una parte l’intervento locale, microcomunitario, rivolto a valorizzare le risorse di una
comunità a promuovere forme di cittadinanza attiva, a creare sinergie tra mondi vitali ed
istituzioni, tra famiglie e servizi, al fine di promuovere il benessere dei minori, la capacità di

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cura dei genitori, la capacità di superare i momenti critici del ciclo di vita di una famiglia. Per
far questo si è sperimentato come modello di intervento il gruppo “famiglie-risorsa/ servizi”.
b) Dall’altra l’intervento indirizzato a radicare modelli di sperimentazione che siano
potenzialmente diffondibili e che possano essere assunti ai livelli istituzionali locali e
regionali come possibili modelli innovativi di politica sociale per la famiglia.
Il Progetto quindi, se da una parte ha adottato metodologie proprie del lavoro di rete, dall’altra
si è connotato anche come intervento istituzionale teso a proporre forme di assunzione delle
sperimentazioni ai diversi livelli istituzionali.
Considerata l’assenza di una normativa nazionale unificante e del quadro frammentario
proposto dalle diverse Regioni è parso particolarmente importante e significativo avviare la
sperimentazione in cinque regioni italiane: Basilicata, Calabria, Lazio, Emilia-Romagna e
Sardegna. Regioni diverse tra loro per quanto riguarda i dati demografici relativi ai minori (i
bambini con meno di cinque anni sono in Calabria il 6,4% della popolazione, in Emilia il
3,6%), la composizione dei nuclei familiari, il sistema dei servizi per l’infanzia, le forme di
cittadinanza, di relazione tra cittadini ed istituzioni, le forme di svantaggio o disagio
dell’infanzia.
Se da una parte il Progetto ha dovuto far fronte a carenze dell’intervento pubblico, a servizi
per l’infanzia non in grado di supportare adeguatamente i compiti di sviluppo delle famiglie,
dall’altra ha dovuto affrontare i nodi critici di un sistema di servizi come quello emiliano
eccessivamente strutturato e scarsamente flessibile alle modificazioni dei bisogni delle
famiglie.
Il livello regionale era stato scelto come livello ottimale per una possibile sperimentazione di
politiche sociali per le famiglie, considerando i poteri normativi delle regioni oltre che quelli
programmatori più complessivi e di coordinamento rispetto agli enti locali.

LE SPERIMENTAZIONI LOCALI: LE FAMIGLIE RISORSA E GLI OPERATORI

LA METODOLOGIA
La progettazione locale si è articolata metodologicamente in momenti comuni a tutte le
sperimentazioni:
1.attività di formazione ed autoformazione degli operatori dei servizi interessati (assistenti
sociali, psicologi, sociologi, medici consultoriali ecc.), consistente nell’approfondimento di
tematiche relative all’organizzazione del lavoro, alla conoscenza del territorio, al lavoro di
rete, alla progettazione degli interventi;
2.individuazione delle famiglie –risorsa utilizzando criteri quali la capacità di cura e di
solidarietà, la capacità di riorganizzazione rispetto al ciclo di vita familiare, l’interesse verso
forme di impegno sociale, la non eccessiva esposizione socio-politica,
3.formazione delle famiglie centrata sulla focalizzazione del loro sapere, delle loro
competenze e sulle possibilità di utilizzo delle stesse in relazione ai servizi ed alla comunità
4.formazione del gruppo famiglie-risorsa ed operatori ed analisi comune dei bisogni e delle
modalità di attivazione di risposte in relazione alle scelte di procreazione, cura e educazione
dei figli, ai momenti di crisi del ciclo di vita familiare, alle famiglie in difficoltà

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5.progettazione congiunte di interventi basata sull’individuazione di obiettivi in comune tra
servizi e famiglie-risorsa e sulla realizzazione di attività specifiche per ciascuno dei
componenti il gruppo
6.verifica costante delle attività e dei loro risultati e riprogettazione degli interventi

LE FAMIGLIE-RISORSA
Le famiglie-risorsa sono risorsa per la comunità, risorse per gli operatori e i servizi, risorse per
le altre famiglie. Il presupposto della sperimentazione è stato quello di ribaltare l’ottica
tradizionale con cui i servizi socio-asssistenziali e sanitari si pongono verso i propri utenti.
Considerare quindi le famiglie non come fruitori passivi, ma come attori del cambiamento,
soggetti capaci di definire non solo i bisogni propri o della comunità, ma di individuare le
possibili modalità di risposta agli stessi; come soggetti competenti, con conoscenza del
proprio territorio, delle reti di relazione della comunità e capaci di attivarle.
Famiglie e non individui, non cittadini, non volontari, non persone-risorsa: famiglie perché è
chiamata in gioco una competenza relazionale interna alla famiglia e capace di mettere in rete
le relazioni della famiglia come insieme complesso. La famiglia come relazione sociale, come
struttura reticolare che in quanto rete si muove tra i due poli pubblico/privato connettendoli e
dando rilievo pubblico alle proprie funzioni; rete di relazione complessa, in grado di innescare
relazioni complesse strutturali e simboliche, nucleo possibile di una cittadinanza societaria.
Mettere in relazione le proprie competenze come individuo o come membro di una famiglia
(come genitore, come figlio, come nonna…) che a sua volta è inserita in una rete di relazioni,
ha valenze ed impatti diversi. Nei gruppi di lavoro attivati anche se era presente un solo
membro della famiglia, esso rappresentava la rete di relazioni della famiglia, con la sua
complessità e come tale doveva essere riconosciuto dagli operatori.
Cito da una relazione di una coordinatrice dei progetti regionali, che analizza alcuni nodi
critici con cui i gruppi operatori/famiglie-risorsa si sono confrontati: “ Nelle occasioni di
lavoro che si sono create tutte le famiglie hanno messo in evidenza praticamente di essere
tutt’altro che isolate, esse hanno dei rapporti con altre famiglie e con gruppi formali e
informali (associazioni culturali, ricreative, di volontariato, gruppi di mutuo aiuto) e sono in
grado di attivare le loro relazioni per perseguire obiettivi che ritengono interessino anche gli
altri. Questo è stato un aspetto scarsamente preso in considerazione dagli operatori. Essi
sono riusciti a vedere le “famiglie”, da essi ritenute e chiamate, non casualmente, signore,
mamme o genitori, come soggetti portatori di un’esperienza “personale” In tal senso gli
operatori, sottolineando alcune caratteristiche delle persone presenti agli incontri hanno
orientato il lavoro del gruppo congiunto verso ciò che leggevano come l’interesse
“personale” dei partecipanti.”
Le famiglie-risorsa non sono un gruppo di volontariato, non hanno propri obiettivi
istituzionali, ma contribuiscono a definire obiettivi comuni tra famiglie e servizi; non si
esprimono con azioni di solidarietà, ma di reciprocità: una famiglia con un bisogno chiede
risorse ad altre, ma può almeno potenzialmente essere a sua volta risorsa per altre. Le famiglie
–risorsa non sono gruppi di auto aiuto che aiutano i membri del gruppo ad affrontare problemi
comuni.
Dalla testimonianza di una famiglia-risorsa: “ …nella famiglia-risorsa credo che il fattore
discriminante rispetto al volontariato, cattolico o non cattolico, è questa trama di rete che si
costruisce per cui uno viene a conoscere chi sono gli assistenti sociali, cosa fa il consultorio,
cosa fanno altri enti, che magari uno nella sua vita normale e quotidiana non si era mai posto
il problema … Però nel momento in cui uno entra in questo progetto capisce che l’importanza

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del tempo dato a questo progetto è finalizzato a che conti il punto di vista della famiglia.
Anche se le persone che fanno i servizi saranno anche loro mamme e papà di famiglia, però
in quel momento per loro è il loro lavoro, è la loro professionalità, per noi deve scattare
questa molla di “famiglia”. Come la famiglia , questo soggetto di politiche sociali, entra
dentro le istituzioni? …”
La differenziazione tra le azioni di gruppi di volontariato riconosciuti, le azioni individuali di
solidarietà e le azioni delle famiglie risorsa appare chiara in un documento delle famiglie-
risorsa della Calabria :
“In sintesi possiamo dire che facciamo parte di gruppi locali(costituiti da noi famiglie e
operatori dei servizi che….si incontrano per:
1.progettare iniziative da attivare per singole famiglie o per gruppi più ampi, con finalità di
supporto a situazioni di difficoltà o di prevenzione del disagio;
2.verificare l’andamento di azioni precedentemente stabilite;
3.discutere su questioni specifiche o su problematiche rilevate sul territorio;
4.approfondire la conoscenza dei Servizi e le loro modalità di fruizione da parte dei cittadini,
conoscere le azioni informative attivate nella comunità da parte di enti e associazioni.
Come famiglie-risorsa:
• siamo famiglie disponibili a collaborare con i servizi ‘con certe modalità’
• siamo un osservatorio della comunità
• favoriamo la fruizione dei Servizi e la loro conoscenza da parte di altri cittadini
• partecipiamo ad azioni rivolte a singoli nuclei familiari ed estendiamo la possibilità di
relazioni di supporto informali nella comunità
• non partecipiamo mai come ’isole’, ma come parte ci una rete sociale
• stimoliamo l’attivazione di raccordi tra strutture ed enti diversi, per migliorare il rapporto
tra istituzioni e cittadini
• stimoliamo e supportiamo gli operatori dei servizi ad attivare alcune iniziative ritenute
valide per la comunità

La forza del nostro lavoro congiunto sta nel fatto che:


• le famiglie risorsa non sostituiscono i Servizi
• i Servizi non sostituiscono le famiglie
• le proposte su cosa fare partono da famiglie e/o da operatori
• le azioni si concordano insieme in base ad una progettazione degli interventi.

E da un documento di un gruppo di famiglie sarde:


“Chi sono le famiglie risorsa?
Sono famiglie in grado di ‘spendere il loro sapere più di altre famiglie, cioè di osservare e
riflettere sulla propria esperienza e sull’esperienza di altri; di definire e sviluppare insieme
con altri degli interventi, cioè di lavorare in gruppo.
Sono famiglie in cui si manifestano capacità di cura e di solidarietà:
capacità di prendersi cura: significa cogliere le esigenze che l’altro ha ed elaborare delle
risposte pertinenti; implica responsabilizzazione nel senso di assunzione di comportamenti
conseguenti rispetto a quello che si è rilevato
solidarietà: è strettamente collegata alla capacità di prendersi cura e, quindi, intesa come
aiuto a fare delle scelte

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Sono famiglie che lavorano in una rete di relazioni, sia per affrontare situazioni di difficoltà
che di normalità. Le famiglie-risorsa operano:
con e nelle relazioni proprie e delle altre famiglie
con e nella rete di relazioni istituzionali
Sono famiglie disponibili perché interessate ad avere una parte attiva nei cambiamenti che la
comunità cerca di portare avanti
Sono famiglie che collaborano con altre famiglie a ‘fare famiglia’, cioè a sviluppare:
capacità di cura, solidarietà, relazioni sociali, autonomia di scelta, capacità di
organizzazione”

GLI OPERATORI DEI SERVIZI


Gli operatori dei servizi sanitari, socioassistenziali, educativi, sono una risorsa per la comunità
in cui operano per la competenza tecnica e per le capacità che esprimono. Tuttavia spesso gli
operatori non sono portatori di un sapere utilizzabile immediatamente dai propri utenti. Le
prestazioni tecniche, i servizi a supporto od integrativi della famiglia, possono non essere
direttamente fruibili in assenza di reti sociali che lo consentano. Il sostegno di tipo
specialistico ai momenti di crisi del ciclo di vita familiare, il sostegno tecnico teso a sostituire
o integrare carenze relazionali familiari, proprio per la sua stessa tecnicità e per la non
reciprocità tra operatore e utente può non essere efficace come una relazione di sostegno tra
famiglie. Tuttavia l’accresciuta complessità, centralizzazione, specializzazione dei servizi
spesso non consente agli operatori di lavorare se non con prestazioni specifiche in risposta a
bisogni specifici, non con strategie tese a modificare relazioni e reti comunitarie. Le famiglie
risorsa possono essere per gli operatori una risorsa per conoscere la comunità, mettersi nei
panni dei fruitori dei servizi, rendere più efficace il proprio intervento, agire per il
cambiamento favorendo l’autonomia e la non dipendenza passiva dal servizio innescando reti
di relazioni che evitino la dipendenza. Le famiglie risorsa possono essere per l’operatore uno
strumento di attuazione di politiche di community care che rafforzino le capacità delle
famiglie di far fronte ai propri compiti di cura, svolgendo attività di mediazione tra utenti e
servizi, di prevenzione del rischio e del disagio, di rafforzamento della normalità e dei punti di
forza delle famiglie in difficoltà piuttosto che di stigmatizzazione delle patologie e delle
fragilità.
Nell’ambito del Progetto Famiglie-Risorsa gli operatori hanno sicuramente dovuto
confrontarsi con alcune principali criticità:
1. la selezione delle famiglie risorsa, difficile perché a)la scarsa integrazione dei servizi
sociosanitari spesso specializzati sulla patologia e sul danno con i più generali servizi sociali,
culturali ed educativi , comporta per tali operatori una scarsa conoscenza della normalità;
b)difficilmente l’utente di un servizio è percepito anche come una potenziale risorsa

2. la difficoltà a porsi sullo stesso piano delle famiglie, a coprogettare, e la tendenza, viceversa
a non condividere informazioni ed obiettivi, a non coinvolgere le famiglie nella definizione
degli obiettivi, ma solo sui mezzi per raggiungerli a considerarle tasselli in progetti già
predefiniti

3. la difficoltà a mantenere una forte specificità tecnica rimettendo però in discussione i propri
strumenti di osservazione e di intervento sulla realtà

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4. la necessità di individuare integrazioni con altre professionalità e sinergie con i diversi
soggetti sociali per aumentare la propria capacità di intervento e di soluzione di bisogni
complessi.

LE AZIONI
Le linee di azione attivate nei diversi luoghi di sperimentazione sono diversificate e
rispecchiano da una parte i bisogni di una comunità e dall’altra le su capacità di risposta
.Si possono sostanzialmente individuare tre tipi di azioni:
a)-azioni di coprogettazione complessiva di attività e servizi b)-azioni di gestione di servizi
nella comunità c)-azioni di affiancamento a famiglie in difficoltà.

Azioni di coprogettazione
Un esempio di coprogettazione di una complessiva linea di servizio che implica sia
integrazione tra servizi che tra famiglie risorsa e servizi è il percorso nascita sperimentato o in
via di sperimentazione da parte di diversi gruppi locali di operatori e famiglie- risorsa.
Progetti attivati hanno saputo affrontare i nodi più critici dei tradizionali percorsi nascita
promossi dai Servizi sanitari, cioè l’eccessiva specializzazione, la scarsa integrazione tra
servizi, la non continuità tra pre e post nascita, lo scarso impatto sulla quotidianità e sul sapere
pratico del neo-genitore. Alcune citazioni dai progetti elaborati: “…spesso i genitori quando
tornano a casa dopo la nascita del loro bambino si trovano di fronte a mille difficoltà
pratiche, dubbi, incertezze; spesso sono o si sentono soli… hanno bisogno di saperne di più
sui servizi che esistono per loro, come fare la scelta del pediatra, dove rivolgersi per questa o
quella necessità e come fare quando una certa esigenza non trova risposte già disponibili.
Vorrebbero confrontarsi con qualcuno, a volte un tecnico, a volte un altro genitore che ha un
po’ più di esperienza” (Ravenna)
Da questa esigenza e dai compiti istituzionali dei servizi consultoriali nascono progetti con la
finalità di attivare azioni di sostegno ai genitori nel primo periodo di vita con un nuovo nato e
con alcuni obiettivi specifici:
• Essere un punto di riferimento, di scambio, di dialogo e di organizzazione per i neo
genitori. Le famiglie risorsa si propongono come momento di confronto e di discussione per
esaminare ed approfondire dubbi, incertezze, modi di essere e di vivere il rapporto con lo
sviluppo del bambino, le relazioni interne ed esterne al nucleo familiare, l’utilizzo dei servizi.
Mettono in comunicazione famiglie che hanno esigenze di mutuo aiuto, organizzano incontri.
• Costituire uno strumento di raccordo tra i servizi e i neo genitori. Le famiglie-risorsa
possono fornire informazioni sulla presenza di servizi per i genitori e per i bambini, sulle
modalità di accesso, sulle loro prestazioni. Esse possono stimolare ed orientare i neogenitori
alla fruizione dei servizi e presentare ai servizi esigenze ed istanze degli stessi per
organizzare, eventualmente, insieme adeguate risposte.
• Sostenere le dimissioni precoci e quelle protette dai reparti ospedalieri. Le famiglie
risorsa possono diventare un riferimento per le neo mamme nel ritorno a casa…Ciò può
costituire uno strumento di raccordo tra servizi ospedalieri e servizi territoriali.
• Prendere in carico, con forme differenziate di affiancamento, situazioni che
presentano qualche aspetto di difficoltà o di rischio. Le famiglie risorsa possono essere
coinvolte dai servizi territoriali e/o da quelli ospedalieri in progetti di sostegno a famiglie in
cui sono presenti difficoltà di cura e di relazione con i neonati. (Porto Torres)

Un secondo esempio sono le iniziative di promozione della salute. Da un documento sulle


famiglie-risorsa in Basilicata:

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“Promuovere la salute con le famiglie
Le iniziative all’interno di questa linea sono costituite da:
a) l’organizzazione di luoghi di incontro e di scambio dei genitori per affrontare in modo
informale e con la collaborazione di esperti temi e problematiche sui particolari aspetti del
ciclo di vita delle famiglie,
b) la collaborazione delle famiglie risorsa alle attività di educazione alla salute e di
prevenzione del disagio che i diversi servizi fanno nelle scuole,
c) l’organizzazione e la gestione di opportunità di socializzazione e di formazione per
bambini e ragazzi per la prevenzione del disagio.
d) la promozione della salute della donna
e) l’affiancamento delle famiglie in presenza di particolari patologie
Queste attività possono favorire una maggiore responsabilizzazione delle famiglie sulla tutela
ed autotutela della salute, una mobilitazione delle comunità locali sulla prevenzione del
disagio nei minori e nelle famiglie, una maggiore attenzione alla prevenzione di alcune
patologie, una prima delineazione di iniziative di promozione del benessere. La realizzazione
di queste attività implica la collaborazione con i consultori familiari, con i sert, con reparti
ospedalieri e con i servizi sociali dei comuni. Le iniziative fanno riferimento ad azioni
programmatiche previste nel piano sanitario regionale.”
Un terzo esempio sono i progetti rivolti a adolescenti e preadolescenti come il progetto “Stare
bene insieme a Scalea” elaborato dal gruppo famiglie-risorsa/operatori che ha dato origine ad
un accordo di programma tra Comune di Scalea, Azienda Sanitaria Locale, Distretto
scolastico, Regione Calabria.

Obiettivi generali del progetto sono:


“Realizzare un contesto ambientale forte, dinamico e maturo per prevenire il disagio
giovanile
promuovere una maggiore partecipazione dei giovani alla vita della Comunità
integrare le attività, le iniziative ed i servizi sociali e sanitari in particolar modo quelli rivolti
agli adolescenti e ai genitori
rendere questi servizi e queste attività più rispondenti ai bisogni degli adolescenti”
Due le attività previste che coinvolgono servizi, organismi istituzionali, associazioni di
volontariato e famiglie risorsa:
 Integrazione tra Scuola, Sanità e Comune per la prevenzione del disagio scolastico
 Integrazione attività del Centro di Aggregazione Giovanile con quelle dello Spazio
Giovani del Consultorio per la prevenzione del disagio giovanile

Azioni di gestione di servizi


Le azioni di coprogettazione hanno, in alcuni contesti, dato origine a progetti di gestione dei
servizi in cogestione o collaborazione tra pubblico e famiglie-risorsa. Diverse sono le
sperimentazioni già avviate e i progetti elaborati. Citiamo solo alcuni esempi, dai resoconti
delle famiglie-risorsa.
Il gruppo delle famiglie-risorsa di Montemilone (Basilicata) ha avviato la sperimentazione di
un centro estivo per minori riuscendo a coinvolgere nell’esperienza giovani volontari e
riuscendo a stimolare l’Amministrazione comunale a farsene carico .”Nell’ultimo anno gli
interventi sono stati diversi, ma il centro estivo resta la nostra massima espressione; viene
programmato per fronteggiare le esigenze delle famiglie più deboli, ma finisce per offrire

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ospitalità a tutti quelli che ne fanno richiesta….Nel 97 si è svolto solo di mattino in
concomitanza con quello della parrocchia: 20 animatori giovanissimi senza esperienza ma
con molta buona volontà hanno interpretato liberamente le nostre direttive. Quest’anno pur
non variando il periodo si svolgerà anche di pomeriggio. L’organizzazione è del Comune che
sosterrà l’iniziativa, non solo
sotto l’aspetto economico, riacquisterà il proprio ruolo istituzionale, creerà spazi di
formazione…per i giovani animatori …e spazi di formazione per i genitori disponibili su
proposta del gruppo famiglia risorsa.”
Le famiglie risorsa di Polistena sottolineano due punti fondamentali del loro percorso:
1) “La costituzione di un conto corrente bancario per affrontare situazioni di
emergenza; se ne è avvertita l’esigenza in considerazione delle lungaggini burocratiche dei
servizi di assistenza, questo è stato e rimane un ottimo mezzo per interventi repentini, che
devono comunque conservare le caratteristiche iniziali di occasionalità, riservatezza e
stimolo propositivo per chi ne usufruisce.
2) L’indagine svolta presso famiglie e ragazzi allo scopo di individuare possibili
risposte alla problematiche da essi lamentate…. In particolare si è formulato un progetto
per la realizzazione di un centro polivalente che può costituire valida struttura ad ampio
respiro per il tempo libero dei giovani..”

Le famiglie risorsa di Porto Torres:


“Noi a Porto Torres abbiamo sentito l’esigenza di non lavorare solo sui casi singoli, ma
anche su ‘la normalità’. Nel nostro comune ci sono dei quartieri che hanno più necessità di
altri. A tale proposito abbiamo (noi, i servizi ed altri)
varato una serie di iniziative tenendo presente la situazione che c’è in quartiere specifico,
dove si è cercato di promuovere dei legami tra i bambini, gli anziani e le famiglie del
quartiere…Nel quartiere satellite abbiamo promosso l’apertura del Centro anziani con uno
spazio gioco destinato ai bambini dai 6 ai 10 anni ed ai ragazzi dagli 11 ai 14 anni. In realtà,
quello che inizialmente ci sembrava difficile, cioè entrare nei modi di vivere di questo
quartiere, denominato a ‘rischio’, non lo è stato per niente, ma è da sottolineare che in questo
è stato molto utile il contributo degli assistenti sociali, dello psicologo e dell’educatore…”
In Emilia Romagna i gruppi famiglie- risorsa operatori hanno proposto l’organizzazione di
modalità di accoglienza per bambini 0-3 anni alternativi o integrativi dei nidi tradizionali:
“Vorremmo organizzare una rete diffusa di punti di accoglienza per singoli bambini o per
piccoli gruppi presso case, spazi pubblici e privati, per venire incontro alle esigenze dei
genitori che lavorano i periodi i con orari particolari e che comunque sono in cerca di
soluzioni per l’accudimento dei loro bambini” (famiglie-risorsa e operatori di Ravenna)
Tutte le esperienze fanno emergere una forte capacità progettuale e gestionale delle famiglie
risorsa, che tende comunque a non sostituirsi mai al pubblico, ma a stimolarlo, integrarlo,
utilizzarlo per le sue competenze, nell’ambito di obiettivi comunemente condivisi.

Azioni di affiancamento di famiglie in difficoltà


La collaborazione tra famiglie-risorsa ed operatori dei servizi sociali e consultoriali ha
permesso in molte realtà di avviare esperienze di affiancamento a famiglie in difficoltà con
modalità che hanno tentato di superare il classico approccio assistenziale .Gli interventi sono
rivolti a promuovere o a sviluppare le potenzialità interne al nucleo familiare in difficoltà e a
favorire l’integrazione nella comunità al fine di superare o contenere i fattori che determinano
il disagio familiare o individuale. Obiettivi sono quelli di far uscire le famiglie e i minori in
difficoltà dal circuito di isolamento e di emarginazione in cui molto spesso finiscono per

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trovarsi, sollecitare e sostenere la ripresa di capacità di cura familiari, affiancare le famiglie
nelle loro scelte di educazione e di cura dei figli, favorire l’accesso e l’utilizzo dei servizi,
rendendo più efficaci gli strumenti di intervento economico, psicosociale, sanitario e
educativo, coordinare l’azione dei servizi con quella del volontariato.
Una famiglia risorsa di Cosenza dice: ”Dal raccordo tra il sapere tecnico-professionale degli
operatori e il nostro sapere ed in particolare le nostre risorse, si è scelto di poter collaborare
su un tipo di intervento denominato ”sostegno diurno”. Sostegno per quelle famiglie con
maggiori difficoltà nello svolgimento della loro vita quotidiana e durante le transizioni
’normali’ dell’esistenza. Sostegno avviato secondo una rete di rapporti informali per colmare
quei vuoti lasciati da uno stile di vita in continua trasformazione in cui ognuno vive gioie e
sofferenze nel proprio isolamento per riproporre quei valori che un tempo venivano portati
avanti da parenti, amici, vicini. Attraverso forme di ascolto e di condivisione noi famiglie
risorsa possiamo attivare un’opera di mediazione tra le famiglie della comunità e i servizi.”
Alcuni gruppi di famiglie-risorsa ed operatori per presentare i percorsi di affiancamento alle
famiglie in difficoltà hanno utilizzato il concetto di “familiarmente accanto”, per sottolineare
l’azione di sostegno su basi di reciprocità che le famiglie risorsa possono svolgere.
Tali esperienze hanno consentito di mettere a punto progetti e metodologie di lavoro
importanti anche ripensare le politiche dei servizi sociali sull’affido familiare. L’affido
familiare è classicamente uno di quegli interventi in cui i servizi per raggiungere i propri
obiettivi istituzionali di tutela dei minori si sono serviti di famiglie affidatarie riconoscendo
loro una competenza genitoriale. Il progetto famiglie-risorsa permette di affrontare dal punto
di vista metodologico alcuni nodi critici dell’affidamento familiare: la progettualità attiva,
spesso negata dai servizi nelle esperienze tradizionali della famiglia che sostiene; il ruolo della
famiglia che sostiene rispetto non solo al minore ma alla famiglia in difficoltà; come utilizzare
nel sostegno al minore in difficoltà la sua comunità di appartenenza evitando il suo
allontanamento , ad es. in famiglie affidatarie lontane; la reciprocità di famiglia in difficoltà e
di famiglia che sostiene data dal comune riconoscimento di appartenenza ad una medesima
comunità.

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L’IMPATTO E LE PROSPETTIVE

L’IMPATTO DEL PROGETTO FAMIGLIE RISORSA AI DIVERSI LIVELLI DI


INTERVENTO

Complesso è valutare i risultati e l’impatto complessivo del progetto “famiglie-risorsa" ai


diversi livelli d’intervento: a livello delle famiglie, a livello degli operatori, a livello dei
servizi e degli enti locali, a livello di Regione. Come in tutti gli interventi sociali è difficile
valutare l’impatto diretto del progetto, le sinergie, i processi innescati, le ricadute
complessive. Sicuramente il Progetto nelle sue ipotesi teoriche e nel suo impianto
metodologico trova ampi riscontri e conferme nel complessivo dibattito sulla riorganizzazione
del welfare, sui nuovi soggetti delle politiche sociali, sul rapporto tra pubblico e privato nella
definizione delle politiche sociali. Dal punto di vista metodologico le sperimentazioni
attivate hanno rappresentato un’anticipazione di quanto la legge 285/97 avrebbe poi promosso
ed incentivato e si collocano pienamente negli ambiti di intervento da tale legge individuati.
Sicuramente in alcune realtà la progettazione può uscire dalla fase di sperimentazione e gli
interventi proseguire come parte integrante dell’operatività dei servizi e della comunità, in
altre la sperimentazione andrebbe ancora sostenuta, in altre ancora non sono stati raggiunti
risultati tali da poterle considerare efficace. Diversi sono i fattori che possono aver influito sul
radicamento o meno della progettualità, ma su questo non ci soffermeremo, proponendo
piuttosto alcune riflessioni relativamente all’impatto del Progetto ai diversi livelli di
intervento.

L’impatto sulle famiglie


I processi attivati e i risultati raggiunti in termini di iniziative permettono di verificare
l’efficacia della metodologia di intervento rispetto a:
 Promuovere la crescita delle competenze relazionali e progettuali delle famiglie rispetto
ai propri compiti di cura
 Accrescere la consapevolezza da parte delle famiglie delle proprie capacità e competenze
 Accrescere la capacità di assunzione di responsabilità rispetto alla risoluzione dei
problemi della comunità
 Acquisire capacità di coprogettazione rispetto ai servizi
 Conferire un ruolo pubblico alle famiglie, dando rilevanza e spessore comunitario alla
disponibilità all’impegno sociale ed alla solidarietà
 Rafforzare le reti di relazioni tra le famiglie e tra queste ed i diversi soggetti pubblici e
privati nella comunità

La visibilità ed il peso dell’intervento sociale delle famiglie dipendono dal contesto e dalla
rete di sinergie che si sono create.
La percezione da parte delle famiglie di essere una forte componente di una possibile nuova
forma di cittadinanza societaria ha fatto sì che in diverse realtà si sia avviata una riflessione
sulle forme di coordinamento dei gruppi di famiglie-risorsa, fino ad ipotizzare una possibile
Associazione delle famiglie risorsa.

L’impatto sugli operatori dei servizi


Sugli operatori dei servizi che hanno partecipato ai gruppi di progettazione locali il Progetto
oltre che una ricaduta di ordine motivazionale, ha avuto una ricaduta in termini di
qualificazione professionale rispetto a:
 acquisizione di metodologie per l’integrazione tra servizi e tra servizi e risorse informali

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 tecniche di osservazione e conoscenza della comunità in cui si opera
 capacità di coprogettazione con altri soggetti
 capacità di lavorare in gruppo e coi gruppi
 aumento della capacità ad operare non per semplici prestazioni, ma con interventi
complessi
 acquisizione di una rete di risorse umane e relazionali quali strumenti per attuare i propri
obiettivi istituzionali
 attivazione di nuovi strumenti e metodologie di intervento per rispondere ai bisogni della
propria utenza

L’impatto su servizi e sugli enti locali


Anche se una sperimentazione di breve periodo non è sufficiente per consentire una
valutazione rispetto all’impatto del Progetto sulle politiche degli enti locali e dei servizi, si
può affermare che in alcune realtà esistono i presupposti perché la sperimentazione avviata
diventi parte integrante della progettualità dei servizi ed assuma la continuità di un metodo di
lavoro e di intervento. In particolare per quanto riguarda l’integrazione tra servizi con
competenze istituzionali diverse, la collaborazione tra pubblico e soggetti sociali, la
possibilità di azioni preventive e di empowerment comunitario. Dal punto di vista
metodologico in alcune sperimentazioni locali è stato messo a punto il metodo dell’accordo di
programma come strumento di coordinamento tra soggetti istituzionali diversi per il
raggiungimento di obiettivi comuni, come previsto anche dalla L.285/97.
Il Progetto ha consentito poi di mettere in luce uno dei nodi critici cruciali dell’assetto dei
servizi, suggerendo anche percorsi metodologici possibili: come si fa programmazione nei
servizi, come si raccordano gli indirizzi politici e la lettura dei bisogni da parte degli operatori,
come si trasformano le espressioni di bisogni in modalità di risoluzione degli stessi.

L’impatto sul livello regionale


I gruppi regionali di coordinamento del Progetto istituiti in ogni Regione hanno funzionato
con modalità e con efficacia molto diversa. Il Progetto è stato recepito in misura diversa nelle
cinque Regioni, anche se tutte hanno aderito all’ipotesi di consolidamento della
sperimentazione. Sicuramente maggiore è l’adesione al Progetto in Basilicata dove più
capillare è la diffusione delle sperimentazioni e dove è stato possibile innestarla nella
formazione complessiva degli operatori dei consultori familiari. In altre Regioni, come
l’Emilia Romagna prevale nettamente una forte autonomia locale delle sperimentazioni
mentre è difficile individuare percorsi per un’incidenza regionale del Progetto, peraltro
sintonico con la legge 27/89 in materia di sostegno alle scelte di procreazione ed all’impegno
di cura verso i figli.
In generale la sperimentazione ha reso concreti e visibili alcuni generici orientamenti regionali
rispetto alle politiche sociali per le famiglie; ha reso esplicite possibili forme di integrazione
tra sociale e sanitario indipendentemente dagli assetti istituzionali; ha permesso di focalizzare
l’attenzione sulla necessità di valorizzare le specificità locali, di raccordare i diversi livelli
amministrativi, di diffondere una cultura della sperimentazione. Ha rafforzato attraverso
azioni concrete ,visibili e riproducibili gli orientamenti verso: a) l’integrazione tra sociale e
sanitario, b) gli interventi di politica sociale piuttosto che le prestazioni assistenziali, c)le
azioni preventive piuttosto che quelle riparative del danno, d)la partecipazione dei fruitori dei
servizi alla definizione degli obiettivi.

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LE PROSPETTIVE

Il Progetto “Famiglie –Risorsa” ha proposto una metodologia di lavoro che riguarda il come
fare politica sociale , intendendo con politica sociale l’assunzione di responsabilità da parte di
una società di questioni e problematiche che la riguardano, l’organizzazione di risorse per
intervenire su problemi che interessano la società, la comunità. Le prospettive identificate
dal progetto riguardano tutti i cinque punti che in via preliminare il Progetto aveva identificato
come punti qualificanti per la realizzazione di un nuovo sistema di welfare.

A. La famiglia può essere soggetto di politica sociale; c’è disponibilità da parte delle
famiglie ad impegnarsi su tematiche di politica sociale; c’è disponibilità da parte delle
famiglie ad impegnarsi nell’assumersi delle responsabilità; l’assunzione di
responsabilità può passare attraverso l’uso dei saperi delle famiglie e non solo attraverso
la loro “partecipazione”, le famiglie cioè possono essere valorizzate per quel che fanno e
che sanno; vanno create le condizioni perché le famiglie possano esprimersi al meglio,
in base alle loro esperienze ed alloro saper fare. Le famiglie hanno ambiti privilegiati di
intervento rispetto agli operatori dei servizi: il lavoro sulle reti informali. Le famiglie
possono collegare i mondi vitali con la dimensione istituzionale. E’ possibile una
trasformazione della cittadinanza: dalla partecipazione politica alla cittadinanza
societaria.
B. La sperimentazione con le famiglie ha permesso concretamente di individuare obiettivi
specifici di integrazione progettuale tra servizi sociali, sanitari, educativi.
Prevenzione e promozione sono parte integrante di una politica sociale e possono
attuarsi solo attraverso l’integrazione di servizi con competenze istituzionali diversi ma
orientati al perseguimento dei medesimi obiettivi di benessere della popolazione.
L’integrazione tra servizi istituzionalmente non integrati avviene più facilmente sulla
‘normalità’, sulle strategie di prevenzione e promozione, piuttosto che sugli interventi
riparativi e curativi che richiedono azioni settoriali e specialistiche.
C. Nel quadro di indirizzi generali, le modalità e le risorse di cui una comunità dispone per
far fronte ai propri problemi ed alle proprie strategie di risposta sono specifiche; per
promuovere azioni efficaci di politica sociale bisogna tenere conto delle capacità,
disponibilità, risorse locali. La Regione partendo da questo presupposto dovrebbe
orientare, definire strumenti, ma non modalità di attuazione, favorire sperimentazioni e
soluzioni flessibili dei problemi di una comunità; individuare priorità ma lasciare al
livello locale l’organizzazione e le modalità di intervento. Emerge dalla sperimentazione
l’esigenza di valorizzare le specificità locali e di favorire le forme di autorganizzazione
di una comunità.
D. Il privato, inteso come espressione dei mondi vitali, come famiglie, come soggetti,
gruppi, associazioni può svolgere una funzione di rilievo pubblico, societario,
concorrendo con le istituzioni pubbliche alla determinazione degli obiettivi, delle
strategie per raggiungerli, cogestendo con i servizi pubblici le risposte ai bisogni; la
sperimentazione attuata ha dimostrato che il rapporto tra pubblico e privato sociale,
strategico per l’integrazione delle risorse in una comunità, può essere efficacemente
mediato, dalla famiglie, dalle reti di relazioni primarie ,capaci di coprogettare azioni
coordinate e sinergiche.
E. Le possibili modalità di raccordo tra i diversi livelli istituzionali, previste anche nella
recente normativa sull’infanzia e la famiglia, sono state individuate e verificate
nell’ambito del Progetto Famiglie-Risorsa che aveva tra i propri obiettivi anche la
definizione delle procedure per l’articolazione delle politiche sociali a livello locale,
zonale o distrettuale, provinciale regionale. Strumenti come gli accordi di programma, i

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protocolli, gli atti di indirizzo possono essere efficacemente utilizzati per definire linee
progettuali e gestionali.

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